giovedì 6 febbraio 2014

PROVVEDIMENTO: i limiti alla sindacabilità della discrezionalità tecnica (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I ter, sentenza 5 novembre 2013 n. 9394).


PROVVEDIMENTO: 
i limiti alla sindacabilità 
della discrezionalità tecnica 
(T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I ter
sentenza 5 novembre 2013 n. 9394).


Massima

Se da un lato il principio di separazione dei poteri impone di escludere la possibilità che il giudice amministrativo eserciti un sindacato intrinseco o forte sull'esercizio della discrezionalità tecnica, sovrapponendo sempre e comunque la propria valutazione (rectius la valutazione dei propri consulenti o verificatori) a quella operata dall'Amministrazione, dall’altro tale possibilità deve essere riconosciuta qualora nell'operato dell'Amministrazione vengano in rilievo indici sintomatici del non corretto esercizio del potere sotto il profilo del difetto di motivazione, di illogicità manifesta, dell'erroneità dei presupposti di fatto e di incoerenza della procedura valutativa e dei relativi esiti).


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9164 del 2010, proposto da Augusta Dall'Aglio, rappresentata e difesa dall'avv. Emanuela Mazzola, con domicilio eletto presso Emanuela Mazzola in Roma, via Tacito, 50; 
contro
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
per l'annullamento
del Decreto del Ministero dell'Interno, Dipartimento per le Politiche del Personale dell'Amministrazione Civile e per le Risorse Strumentali e Finanziarie, Direzione Centrale per le Risorse Umane, adottato in data 14.06.2010, nella parte in cui è stato stabilito che <<Non è riconosciuta la dipendenza da causa di servizio delle infermità "Sindrome depressiva maggiore trattata con psicofarmaci e psicoterapia insorta a seguito di disagio lavorativo" e "Gastrite erosiva — Duodenite — Sclerosi sistemica a interessamento cutaneo diffuso con interstiziopatia polmonare ed esofagea" da cui la medesima risulta affetta». E, dunque, per l'annullamento del provvedimento nella parte in cui le infermità sovra indicate non sono state riconosciute dipendenti da fatti del servizio; ove occorra, del parere n. 3621/2010, adottato nell'adunanza n. 138/2010 del 26.04.2010, dal Comitato di Verifica per le cause di servizio, presso il Ministero dell'Economia e delle Finanze, il quale si esprimeva in senso negativo circa la dipendenza da causa di servizio delle infermità della ricorrente sovra indicate; di ogni altro atto presupposto, preparatorio, connesso e/o consequenziale ai provvedimenti impugnati;
per l'accertamento
del diritto della ricorrente al riconoscimento della causa di servizio e cioè della dipendenza da fatti del servizio delle infermità "Sindrome depressiva maggiore trattata con psicofarmaci e psicoterapia insorta a seguito di disagio lavorativo, "Gastrite Erosiva — Duodenite" e "Sclerosi sistemica a interessamento cutaneo diffuso con interstiziopatia polmonare ed esofagea";
per la condanna
dell'Amministrazione all'adozione del provvedimento di riconoscimento della dipendenza dal servizio delle suddette infermità, con ogni conseguenza di legge e con condanna al risarcimento del danno patito dalla ricorrente.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero Dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 ottobre 2013 il dott. Roberto Proietti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
La ricorrente, vice prefetto a riposo, con istanza del 28.01.2009, chiedeva al Ministero dell'Interno il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle seguenti infermità: "Gastrite erosiva duodenite", "Artrosi cervicale, artrosi dorso lombare della colonna vertebrale", "Sclerosi sistemica ad interessamento cutaneo diffuso con interstiziopatia polmonare ed esofagopatia", avanzando domanda tesa ad ottenere l'equo indennizzo e la pensione privilegiata.
Con nota del 12.03.2009 produceva certificazione medica relativa alle proprie infermità e l’Amministrazione, con nota in data 17.03.2009, trasmetteva il tutto alla Commissione Medica di Verifica, la quale convocava l’interessata per il giorno 21.04.2009, allo scopo di eseguire la visita e gli accertamenti del caso.
In tale occasione, la ricorrente produceva ulteriore documentazione sanitaria, la quale era inviata alla Direzione Centrale per le Risorse Umane del Ministero dell'Interno ed alla Direzione Centrale per le Risorse Finanziarie e Strumentali.
In data 3.12.2009 la ricorrente, ad integrazione dell'istanza presentata il 28.01.2009, chiedeva anche il riconoscimento della dipendenza da fatti del servizio anche dell'infermità "Sindrome depressiva maggiore, trattata con psicofarmaci e psicoterapia, insorta a seguito di disagio lavorativo".
Il Comitato di Verifica per le cause di servizio, nell'adunanza del 24.04.2010, deliberava come di seguito indicato: l'infermità "Artrosi cervicale — Artrosi dorsolombare" era riconosciuta dipendente da fatti del servizio; l'infermità "Sindrome depressiva maggiore, trattata con psicofarmaci e psicoterapia, insorta a seguito di disagio lavorativo" era giudicata non dipendente da fatti di servizio, così come l'infermità "Gastrite erosiva — Duodenite" e l'infermità "Sclerosi sistemica a interessamento cutaneo diffuso interstiziopatia polmonare ed esofagopatia".
Con decreto datato 11.01.2010, con riferimento a tutte le infermità indicate, l’Amministrazione respingeva l'istanza intesa ad ottenere l'equo indennizzo, in quanto presentata decorso il termine semestrale decorrente dalla conoscenza delle stesse.
Ciò rappresentato, la ricorrente ha evidenziato le circostanze che hanno caratterizzato la propria attività lavorativa e la propria carriera, che (a suo parere) hanno determinato l'insorgenza delle infermità descritte.
La ricorrente ha iniziato il proprio servizio presso il Ministero dell'Interno all'esito del superamento del Concorso per esami a Consigliere di Prefettura nel ruolo della carriera direttiva, indetto con D.M. del 1978. E' stata assegnata alla Direzione Generale dell'Amministrazione Civile - Servizio Segretari Comunali e, successivamente, è stata trasferita alla Prefettura di Milano ove si è occupata di depenalizzazione e di polizia amministrativa, con l'ulteriore incarico di Segretario della Commissione di Vigilanza per la Sicurezza dei Locali di Pubblico Spettacolo (sino al 1983). Trasferita a Roma, dal 1983 al 1984, è stata assegnata al Dipartimento di P.S. — Direzione Centrale dei Servizi Tecnico — Logistici, Accasermamento Forze di Polizia — Sezione Contratti. Nel 1985 è alla Direzione Centrale per gli Istituti di Istruzione — Ufficio Studi e Programmi, con funzione di Segretario della Commissione Consultiva per la formazione e qualificazione del personale. Nel 1991 ha ottenuto la qualifica di Vice Prefetto Ispettore Aggiunto. Nel 1992 è stata nominata Vice Prefetto Ispettore 1^ Dirigente. Dal gennaio 1993 al Marzo 1995 ha prestato servizio presso II Gabinetto del Ministro con funzioni di Vice Consigliere Ministeriale, prima presso l'Ufficio IV e poi all'Ufficio del Cerimoniale. Dal Marzo 1995 al dicembre 2000 ha prestato servizio presso la Segreteria del Capo della Polizia Ufficio III — Relazioni Esterne — con le funzioni di Vice Consigliere Ministeriale. Nel gennaio 2001 ha prestato servizio presso il Gabinetto del Ministro — Ufficio Cerimoniale. Dal 21 maggio 2001 sino al 31 gennaio 2006 è alla Presidenza del Consiglio — Organismi Informativi.
La ricorrente ha affermato che, le infermità sono insorte proprio in questo periodo e sono da collegarsi all'incarico rivestito ed all'attività lavorativa espletata.
La ricorrente ha iniziato a prestare servizio al C.E.S.I.S. (Comitato Esecutivo per i Servizi di Informazione e di Sicurezza) dal 21.05.2001. Il C.E.S.I.S. coordina il S.I.S.M.I. (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare) ed il S.I.S.D.E. (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica); dipende dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e fa riferimento al Sottosegretario alla Presidenza con delega ai Servizi.
In questo periodo, nell'espletamento dei propri compiti, l’interessata ha svolto attività di coordinamento con i rappresentanti dei Servizi di Sicurezza esteri presenti a Roma, convocandoli, di volta in volta, in base alle specifiche necessità, affinchè - con riferimento a fatti, circostanze, accadimenti ed eventi di varia natura, relativi a rischi ed allarmi coinvolgenti la sicurezza - acquisissero informazioni dal proprio paese e riferissero poi al C.E.S.I.S.. Per ogni incontro di questo tipo era compito della ricorrente predisporre appunti e relazioni da sottoporre all'attenzione del Direttore di Divisione, del Capo Reparto e, infine, del Segretario Generale del C.E.S.I.S., il quale allegava le relazioni necessarie fornite dagli analisti del settore. Il tutto al fine di formare un dossier da inviare al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai Servizi per le informazioni al Premier.
La ricorrente ed i soggetti dalla stessa coordinati, lavoravano sull'emergenza del momento, in costante stato d'allerta, senza orari, fornendo la propria continua reperibilità. L'incarico rivestito dalla ricorrente era di grande responsabilità e comportava l'espletamento di compiti assai delicati.
In aggiunta, la Dall’Aglio faceva parte di tre Comitati di approfondimento di alcuni temi inerenti la sicurezza (contro proliferazione di armi di distruzione di massa, intelligence economica, ecc.) che si riunivano mediamente ogni due mesi, salvo convocazioni straordinarie per urgenze ed anche in tale ambito lavorativo svolgeva attività gravosa.
In generale, l’interessata rimaneva in ufficio, salvo qualche pausa, dalle ore 8.30 alle 20.30/21.00; a turno con altri dipendenti, aveva la reperibilità notturna; lavorava cinque giorni a settimana, con turnazione per il sabato e la domenica.
Ella dirigeva una sezione composta dalla stessa e da altre tre persone. Aveva quale referente un Direttore di Divisione, un Capo Reparto nonché il Segretario Generale del C.E.S.I.S., un ulteriore livello ed il Direttore Generale. In quegli anni aveva la qualifica di Direttore di Sezione.
Il servizio descritto, caratterizzato da un eccessivo e stressante carico di lavoro, è stato causa delle infermità indicate, anche perché caratterizzato da un clima teso all'interno dell'ufficio, che ha provocato una alterazione dei rapporti interpersonali con gli altri colleghi, a causa della competitività ed aggressività degli stessi.
La ricorrente, proprio durante il periodo in cui prestava servizio presso C.E.S.I.S., si è ammalata ed è stata assente per lunghi periodi.
Le prime manifestazioni di malessere si sono rivelate con crisi di pianto, ansia, senso di solitudine ed isolamento, frustrazione, disturbi del sonno.
Nel 2004 si verificava un forte episodio depressivo che rendeva indispensabile il proprio allontanamento dal lavoro per circa tre mesi (come consigliato dal Dott. Luca Steardo, neuropsichiatra: cfr. certificato del 27.05.2004). Alla ricorrente era prescritta e somministrata psicofarmacoterapia e la stessa si sottoponeva a psicoterapia.
Nel 2005 si manifestava la Sclerosi Sistemica ad interessamento cutaneo diffuso, a causa della quale la ricorrente era ricoverata presso il Policlinico S. Matteo di Pavia dal 31.10.2005 al 9.11.2005.
Nel 2006, impossibilitata a proseguire la descritta attività, la ricorrente chiedeva di rientrare nell'Amministrazione di appartenenza e veniva posta a disposizione del Ministero dell'Interno, riassumendo effettivo servizio con decorrenza dal 01.02.2006 assegnata all'Ufficio di Gabinetto del Ministro, con la qualifica di Vice Prefetto.
Ma lo stato di salute psico-fisico, ormai compromesso, costringeva la Dall’Aglio a rassegnare le dimissioni il 29.01.2006.
Alla luce delle circostanze descritte, ritenendo erronee ed illegittime le determinazioni assunte dall’Amministrazione, la ricorrente ha proposto ricorso dinanzi al TAR del Lazio, avanzando le domande indicate in epigrafe.
L’Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha sostenuto l’infondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.
Con successive memorie e documenti le parti hanno argomentato ulteriormente le rispettive posizioni .
All’udienza del 17 ottobre 2013 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

DIRITTO
1. Avverso gli atti impugnati ed a sostegno delle domande proposte, la ricorrente ha dedotto i motivi di ricorso di seguito indicati.
I) - ILLEGITTIMITA' PER VIOLAZIONE DI LEGGE - VIOLAZIONE DELL'ART. 11, I COMMA, D.P.R. 461/2001. ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA - TRAVISAMENTO DEI PRESUPPOSTI DI FATTO — CONTRADDITTORIETA' — ILLOGICITA' - IRRAZIONALITA' - VIOLAZIONE DELLE NOR1VIE SUL GIUSTO PROCEDIMENTO.
Il Ministero dell’Interno, sulla base di quanto affermato dal Comitato di Verifica, ha ritenuto che tre delle infermità della ricorrente non fossero dipendenti dai fatti del servizio.
Al riguardo, nel parere del Comitato di verifica si legge quanto segue.
In relazione alla ‘Sindrome depressiva maggiore trattata con psicofarmaci e psicoterapia insorta a seguito di disagio lavorativo’, si afferma che trattasi di: «forma di nevrosi che si estrinseca con disturbi di somatizzazione attraverso i canali neuro¬vegetativi, scatenata spesso da situazioni contingenti che s 'innescano, di frequente, su personalità predisposta. Non rinvenendosi, nel caso di specie, documentate situazioni conflittuali relative al servizio idonee, per intensità e durata, a favorirne lo sviluppo, l'infermità non può ricollegarsi agli invocati eventi, neppure sotto il profilo concausale efficiente e determinante».
In sostanza, l'infermità non è stata riconosciuta dipendente da fatti del servizio in quanto, da un lato, sarebbe una patologia collegabile a situazioni contingenti, agevolata da una personalità predisposta e, dall'altro, il servizio prestato dalla ricorrente non sarebbe caratterizzato da situazioni conflittuali relative al servizio tali da divenire quanto meno concausa efficiente e determinante nella produzione dell'infermità.
In ordine alla circostanza che la sindrome depressiva è patologia collegabile a situazioni contingenti, agevolata da una personalità predisposta, il Comitato di Verifica non ha chiarito, neanche in generale, quali siano le situazioni contingenti che possono determinare la patologia di cui si tratta e non ha descritto quali e quanti di questi fattori avrebbero determinato in concreto la patologia nel dipendente, consentendo così di escludere la riconducibiltà della stessa al servizio. Non ha chiarito i tratti di una «personalità predisposta>> allo sviluppo della patologia, né ha fornito indicazioni sulla personalità della ricorrente dalle quali dedurre la propria predisposizione. E cioè a dire che, in mancanza di specifici e puntuali accertamenti, ci si chiede come si possa affermare che una data personalità, non conosciuta e non indagata, sia predisposta ad una o ad altra affezione psichica.
Per questo motivo il parere espresso dal Comitato di Verifica pare più che altro il risultato di mere presunzioni e/o deduzioni, e non della necessaria attività istruttoria, la quale è completamente carente.
D'altro canto il Comitato di Verifica ha omesso anche di esaminare approfonditamente e valutare la documentazione in proprio possesso, prima fra tutte la relazione di servizio del Dirigente della ricorrente nel periodo di assegnazione al C.E.S.I.S., dalla quale risulta la circostanza che l'attività lavorativa è stata sicura fonte di incommensurabile stress per la ricorrente.
In aggiunta, non è stato dato alcun rilievo, con ulteriore vizio di motivazione, ai seguenti significativi elementi: 1) la circostanza che l'episodio depressivo si ê verificato nel 2004, dopo circa tre anni di lavoro al C.E.S.I.S. e che mai, nel passato, durante la precedente attività lavorativa, la ricorrente ha mai sofferto di depressione o accusato episodi depressivi; 2) la circostanza, anch'essa degna di nota, che la ricorrente in occasione della manifestazione dell'episodio depressivo sia stata costretta ad assentarsi dal servizio per alcuni mesi, in quanto un rientro avrebbe determinato ii riacutizzarsi della patologia, legata evidentemente all'ambiente di lavoro ed al tipo di lavoro stesso; 3) nessun rilevo ha ricevuto ii fatto che addirittura la diagnosi effettuata al momento, all'atto di insorgenza dell'episodio depressivo, ha ricondotto tale episodio causalmente al «disagio lavorativo», ii quale è stato tale da causare non solo un episodio depressivo, ma una patologia depressiva, che a sua volta ha prodotto altre infermità, e che ancora affligge la ricorrente, la quale abbisogna di continue cure; 4) l'ulteriore circostanza che la ricorrente è stata materialmente costretta, prima, a chiedere il rientro in sede e dunque a lasciare il C.E.S.I.S. per poi rassegnare, anzi tempo, con grave perdita economica, le proprie dimissioni.
Relativamente all'infermità ‘Sclerosi sistemica’, dal parere del Comitato di verifica si desume che la stessa è stata ritenuta non dipendente dal servizio in quanto: «non risultano sussistere nel tipo di prestazioni di lavoro rese disagi e strapazzi di particolare intensità, né elementi di eccezionale gravita, che abbiano potuto prevalere su fattori individuali, almeno sotto il profilo concausale efficiente e determinante>>.
In ordine alla circostanza che non risulterebbero disagi e strapazzi lavorativi di particolare intensità, né elementi di eccezionale gravità, trattasi di affermazione smentita dalla documentazione e da fatti oggettivi, quali la natura e funzione stessa del C.E.S.I.S., la particolare dedizione ed attaccamento della ricorrente al lavoro, i particolari risultati conseguiti, la propria abnegazione, l'alto senso di responsabilità.
Il Comitato di Verifica non ha chiarito quali siano i fattori individuali atti a produrre, in astratto, tali infermità, né ha chiarito quali fattori individuali le abbiano prodotte.
Il citato parere risulta censurabile anche con riferimento all'infermità "Gastrite erosiva - duodenite", in quanto tali malattie, diversamente dal Comitato di verifica, hanno genesi stress-correlata.
In generale, la ricorrente ha rilevato che, per il riconoscimento della causa di servizio, i fatti del servizio non devono necessariamente assurgere al ruolo di causa unica dell'infermità e, pertanto, ove pure altri e diversi fattori avessero partecipato alla causazione delle patologie, in aggiunta ai fatti del servizio, il nesso di causalità dell'infermità con i fatti del servizio non potrebbe essere escluso.
Il fatto che l'attività lavorativa della ricorrente ed i fatti del servizio abbiano avuto valore efficiente e determinante nell'insorgenza delle infermità descritte, trova riscontro nella relazione clinica del Prof. Franco Bellato (Docente all'Università di Pisa, Specialista in Psichiatria e Psicoterapeuta), il quale ha riscontrato come la ricorrente abbia dovuto affrontare, durante il periodo in cui ha prestato servizio al CESIS, «difficoltà crescenti per l'esistenza di molteplici fattori negativi "stressor" ambientali che hanno determinato riduzione del benessere psicofisico e del sistema immunitario … gli stressor ambientali lavorativi possono indurre depressione (Connor T.1 e Leonard B.E., 1998) e, per ridotta funzione immunitaria, maggiore penetranza alle malattie infettive, neoplastiche e immunitarie. Aumentano le citochine circolanti in depressi (Maes M ed al., 1997) con disregolazione del sonno, del cibo, della dimensione cognitiva, dei livelli neuroendocrini (Sternberg E.M., 1997). L'attività delle cellule natural-killer e la replicazione dei linfociti T, importanti fattori di immunità cellulare, e ridotta nella depressione. .... Da quanto ricordato in letteratura si evince che le condizioni ambientali lavorative hanno determinato importanti fattori psico-neuro-endocrino¬immunitari nella paziente per l'insorgenza di una Depressione, cui poi ha fatto seguito la patologia sclerotica fino a portare il soggetto alle dimissioni volontarie per critica situazione psico-fisica insostenibile con l'attività lavorativa>>.
Le considerazioni che precedono, a parere della ricorrente, consentono di affermate che il Comitato di Verifica abbia violato l'art. 11, comma 1, del D.P.R. n. 461/2001.
Infatti, i fatti del servizio, ai fini della sussistenza del diritto al trattamento pensionistico privilegiato, non debbono costituire fattore causale unico nella produzione dell'infermità, essendo sufficiente, a tal fine, verificare se i fatti di servizio assurgano a fattore concausale efficiente e determinate.
Una istruttoria adeguata deve tenere conto non astratti e generici fatti di servizio, ma la situazione particolare ed il vissuto della ricorrente la quale, invece, nel caso di specie non è stata adeguatamente considerata.
Il Comitato di verifica, infatti, ha adottato il proprio giudizio negativo limitandosi a fare riferimento a situazioni contingenti (nel caso della sindrome depressiva), a fattori endogeni (nel caso della gastrite erosiva) ed a fattori individuali (con riferimento alla sclerosi), omettendo di valutare o valutando erroneamente l'attività di servizio svolta dall’interessata.
In sostanza, il Comitato di Verifica non ha istruito adeguatamente il caso prima di emettere il proprio giudizio e tale vizio si è riverberato sul provvedimento assunto dall’Amministrazione, la quale si è limitata a recepire quanto accertato dall’Organo consultivo.
II) - ILLEGITTIMITA' PER VIOLAZIONE DELL'ART. 11, III COMMA, E DELL'ART. 14, I COMMA, DEL D.P.R. 461/2001 - VIOLAZIONE DELL'ART. 3 DELLA L.n. 241/1990 — INSUFFICIENZA, INADEGUATEZZA E CARENZA DELLA MOTIVAZIONE — CONTRADDITTORIETA', ILLOGICITA' DELL'AGIRE AMMINISTRATIVO.
Le circostanze rilevate con il primo motivo di ricorso, inducono a ritenere illegittime le determinazioni assunte dall’Amministrazione anche per carenza di motivazione, a fronte dell'art. 11, comma 3, del D.P.R. n. 461/2001 che pone a carico del Comitato di verifica uno specifico obbligo di motivazione, e dell'art. 14, comma 1, del medesimo decreto, che individua uno specifico obbligo motivazionale anche in capo all’Amministrazione che deve assumere il provvedimento conclusivo del procedimento, la quale, se lo ritiene utile o necessario, è tenuta a chiedere all’organo consultivo di eseguire gli approfondimenti del caso.
Sulla base delle considerazioni che precedono, risulta inadeguata sia la motivazione fornita dal Comitato di Verifica che la determinazione assunta dall’Amministrazione, posto che il primo si è limitato (senza esaminare adeguatamente le circostanze del caso concreto, lo stato di servizio e l’attività svolta dall’interessata) a fare riferimento a generici fattori quali «situazioni contingenti», fattori endogeni e fattori individuali, affermando che i fatti del servizio della ricorrente non presenterebbero disagi e caratteristiche che deporrebbero per la loro efficienza causale, mentre, la seconda, si è limitata a recepire acriticamente il giudizio espresso dall’organo consultivo.
La ricorrente – che, nel corso del giudizio ha depositato in data 14.4.2011 relazione della Dr.ssa Katarzyna Sowicka del 14.2.2011 e certificazione del Prof. Franco Bellato – con il ricorso introduttivo del giudizio ha avanzato istanza istruttoria tesa all’espletamento di una verificazione o di una consulenza tecnica d’ufficio, per accertare la dipendenza dai fatti del servizio delle proprie infermità.
2. L’Amministrazione resistente ha prodotto note, memorie e documenti per sostenere la correttezza del proprio operato e l’infondatezza del ricorso.
3. Il Collegio – all’esito dell’esame degli atti di causa ed, in particolare, della documentazione prodotta dalle parti costituite -, ritiene che le censure di parte ricorrente siano infondate e debbano essere respinte.
3.1. In ordine alla disciplina applicabile alla fattispecie va rilevato, in generale, che l’art. 2 del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2001, n. 461 (recante il Regolamento recante semplificazioni dei procedimenti per il riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio, per la concessione della pensione privilegiata ordinaria e dell’equo indennizzo, nonché per il funzionamento e la composizione del comitato per le pensioni privilegiate ordinarie), stabilisce che “il dipendente che abbia subito lesioni o contratto infermità o subito aggravamenti di infermità o lesioni preesistenti, ovvero l’avente diritto in caso di morte del dipendente, per fare accertare l’eventuale dipendenza da causa di servizio, presenta domanda scritta all’ufficio o comando presso il quale presta servizio, indicando specificamente la natura dell’infermità o lesione, i fatti di servizio che vi hanno concorso e, ove possibile, le conseguenze sull’integrità fisica, psichica o sensoriale e sull’idoneità al servizio, allegando ogni documento utile. Fatto salvo il trattamento pensionistico di privilegio, la domanda, ai fini della concessione di benefici previsti da disposizioni vigenti, deve essere presentata dal dipendente entro sei mesi dalla data in cui si è verificato l’evento dannoso o da quella in cui ha avuto conoscenza dell’infermità o della lesione di aggravamento”.
La Commissione medico-ospedaliera di cui all’articolo 165, comma primo, del D.P.R. 29.12.1973, n. 1092, si pronuncia in merito alla “diagnosi dell’infermità o lesione, comprensiva possibilmente anche dell’esplicitazione eziopatogenetica, nonché del momento della conoscibilità della patologia, e delle conseguenze sull’integrità fisica, psichica e sensoriale, e sull’idoneità al servizio” (art. 6, DPR n. 461/2001).
La Commissione redige apposito verbale nel quale viene dato atto di tutte le circostanze sopra indicate.
L’Amministrazione competente ad emettere il provvedimento finale invia al Comitato di verifica per le cause di servizio il verbale della Commissione unitamente ad una relazione contenente gli elementi informativi relativi al nesso causale fra infermità o lesione e attività di servizio (art. 7, DPR n. 461/2001).
Il Comitato di verifica accerta la riconducibilità ad attività lavorativa delle cause produttive di infermità o lesione in relazione a fatti di servizio ed al rapporto causale fra i fatti e l’infermità o lesione stessa (art. 11, DPR n. 461/2001).
A tal fine, salvo il caso in cui ritenga di dover disporre ulteriori accertamenti, il Comitato esprime parere sulla scorta delle valutazioni diagnostiche formulate dalla Commissione medico-ospedaliera.
Infine, l’Amministrazione si pronuncia, anche sul solo riconoscimento della dipendenza da causa di servizio (ove la domanda di equo indennizzo sia stata presentata in ritardo o non sia stata affatto proposta), “su conforme parere del Comitato” (art. 14, comma 1, DPR n. 461/2001).
3.2. Nel caso di specie, a seguito dell’istanza della Dall'Aglio del 28 gennaio 2009 – tesa ad ottenere il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio per le infermità gastrite erosiva duodenite, artrosi cervicale, artrosi dorso lombare della colonna vertebrale, sclerosi sistemica ad interessamento cutaneo diffuso con interstiziopatia polmonare ed esofageopatia, sindrome depressiva maggiore, trattata con psicofarmaci e psicoterapia, insorta a seguito di disagio lavorativo, in data 21 aprile 2009 la Commissione Medica di Lucca ha convocato l’interessata per accertamenti sanitari e, con verbale modello BL/13 n. 553/CS datato 21 aprile 2009 (all. 6 dell’Amministrazione resistente), ha riscontrato che la ricorrente era affetta dalla patologia "sindrome depressiva maggiore, trattata con psicofarmaci e psicoterapia, insorta a seguito di disagio lavorativo", ascrivibile alla categoria 1 della Tabella A, indicando l’anno 1994 quale periodo nel quale l’infermità era emersa e divenuta conoscibile da parte dell’interessata.
Nel suddetto verbale non è stato espresso alcun parere in merito alle altre patologie indicate dalla Dall'Aglio e, quindi, l’Amministrazione dell’Interno, con nota n. 09754-2 FS del 7 luglio 2009 (all. 7 dell’Amministrazione resistente), ha chiesto alla Commissione Medica di verifica di Lucca di far conoscere l'esito degli accertamenti sanitari anche in merito alle altre patologie oggetto della citata istanza del 28 gennaio 2009.
La Commissione Medica di verifica di Lucca ha integrato i propri accertamenti mediante modello BL/B n. 553/CS del 21 aprile 2009, esprimendo il giudizio diagnostico per le seguenti infermità: a) - Sindrome depressiva maggiore trattata con psicofarmaci e psicoterapia insorta a seguito di disagio lavorativo, ritenuta ascrivibile alla categoria I della Tabella A, conoscibile dal 2004; b) Gastrite erosiva - Duodenite - Sclerosi sistemica a interessamento cutaneo diffuso con interstiziopatia polmonare ed esofageopatia, non ascrivibili ad alcuna categoria, conoscibili dal 2005; c) - Artrosi cervicale - Artrosi dorso lombare, non ascrivibili ad alcuna categoria, conoscibili dal 2005 (all. 8 dell’Amministrazione resistente). Tutte le predette menomazioni sono state ascritte, per cumulo, alla categoria I della Tabella A.
Il Dipartimento per le politiche del personale dell'amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie, con nota n. 09754-2 FS dell' 11 novembre 2009, ha fatto presente all’interessata che la Commissione Medica di verifica di Lucca aveva riscontrato, oltre alle infermità indicata dalla ricorrente, anche l'infermità "sindrome depressiva maggiore trattata con psicofarmaci e psicoterapia insorta a seguito di disagio lavorativo", invitandola ad integrare l'istanza del 28 gennaio 2009. Quindi, la Dall'Aglio provvedeva all’integrazione con istanza del 3 dicembre 2009 (all. 10 dell’Amministrazione resistente).
Considerato che la Commissione Medica di verifica di Lucca aveva accertato e riferito la conoscibilità delle citate patologie agli anni 2004 e 2005 e che la Dall'Aglio aveva presentato istanza in data 28 gennaio 2009 (oltre il termine di sei mesi previsto dall'art. 2, comma 6, del D.P.R. n. 461 del 29 ottobre 2001), con provvedimento del Capo Dipartimento per le politiche del personale dell'amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie dell'11 gennaio 2010 (all. 11 dell’Amministrazione resistente), è stata respinta la richiesta di concessione dell'equo indennizzo.
All’esito dell’istruttoria del caso, in data 21 gennaio 2010 l’Amministrazione ha inviato al Comitato di verifica per le cause di servizio l'istanza della Dall'Aglio del 28 gennaio 2009 e la successiva integrazione del 12 marzo 2009, il verbale della Commissione Medica di Lucca, la relazione e la documentazione (all.ti 13-22 dell’Amministrazione resistente).
Con parere n. 3621/2010, deliberato nell'adunanza n. 138/2010 del 26 aprile 2010 (all. 23 dell’Amministrazione resistente), il Comitato di verifica ha ritenuto che l'infermità "artrosi cervicale — artrosi dorsolombare" poteva riconoscersi dipendente da fatti di servizio, in quanto, dall'esame della documentazione sanitaria e dagli atti allegati, era dato ravvisare il nesso di causalità tra l'infermità denunciata dall’istante, riscontrata dalla Commissione Medica, con l'attività di servizio prestata e che gli elementi e le circostanze di fatto evidenziati si prospettavano in rapporto di valida efficienza etiopatogenetica con l'insorgenza e l'evoluzione della predetta affezione.
Non sono state, invece, riconosciute dipendenti da causa di servizio le altre infermità: - Sindrome depressiva maggiore trattata con psicofarmaci e psicoterapia insorta a seguito di disagio lavorativo", in quanto trattasi di forma di nevrosi che si estrinseca con disturbi di somatizzazione attraverso i canali neuro-vegetativi, scatenata spesso da situazioni contingenti che si innescano, di frequente, su personalità predisposta; - "Gastrite erosiva - duodenite", trattandosi di affezione prevalentemente a sfondo neuro-distonico endogeno, sull'insorgenza e decorso della quale non poteva avere nocivamente influito, neppure sotto il profilo concausale efficiente e determinante, il servizio reso e non caratterizzato da condizioni di particolare e protratta gravosità; - Sclerosi sistemica a interessamento cutaneo diffuso con interstiziopatia polmonare ed esofageopatia", in quanto non risultavano sussistere, nel tipo di prestazioni di lavoro rese, disagi e strapazzi di particolare intensità, né elementi di eccezionale gravità, che avessero potuto prevalere sui fattori individuali, almeno sotto il profilo concausale efficiente e determinante, tenuto conto della peculiare natura della patologia di cui trattasi.
Conseguentemente, con decreto del Capo del Dipartimento per le politiche del personale dell'amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie del 14 giugno 2010 (all. 24 dell’Amministrazione resistente), è stata riconosciuta la dipendenza da causa di servizio dell'infermità "artrosi cervicale - artrosi dorsolombare", ma non è stata riconosciuta la dipendenza da causa di servizio delle altre infermità indicate.
3.3. Come rilevato, la Dall'Aglio ha presentato il 28 gennaio 2009 istanza per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, della concessione dell'equo indennizzo e della pensione privilegiata per le infermità "gastrite erosiva duodenite", "artrosi cervicale, artrosi dorso lombare della colonna vertebrale", "sclerosi sistemica ad interessamento cutaneo diffuso con interstiziopatia polmonare ed esofageopatia", integrando in data 3 dicembre 2009 le proprie richieste in relazione all'ulteriore patologia "sindrome depressiva maggiore trattata con psicofarmaci e psicoterapia insorta a seguito di disagio lavorativo".
Con verbale modello n. BL/B n. 553/CS datato 21 aprile 2009 (cfr. all. 8 dell’Amministrazione resistente), successivamente integrato con le altre infermità riscontrate, la Commissione Medica di Lucca, ai sensi dell'art. 3, comma 1, del DM del 12 febbraio 2004, ha riscontrato che l’interessata era affetta da "sindrome depressiva maggiore trattata con psicofarmaci e psicoterapia insorta a seguito di disagio lavorativo", accertando la conoscibilità della patologia all'anno 2004, e da “gastrite erosiva duodenite", "artrosi cervicale, artrosi dorso lombare della colonna vertebrale", "sclerosi sistemica ad interessamento cutaneo diffuso con interstiziopatia polmonare ed esofageopatia", infermita, conoscibili dall'anno 2005.
Tenuto conto delle date di conoscibilità delle patologie, l’Amministrazione ha ritenuto che l'istanza della Dall'Aglio tesa ad ottenere l'equo indennizzo era stata presentata oltre il termine di sei mesi, decorrente dalla data di avvenuta conoscenza delle infermità, fissato dall'art. 2 del D.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461 e, conseguentemente, con provvedimento del Capo Dipartimento per le politiche del personale dell'amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie dell'11 gennaio 2010, è stata respinta la richiesta di concessione dell'equo indennizzo.
3.4. Per quanto concerne la domanda di riconoscimento delle infermità da causa di servizio, va rilevato che il 21 gennaio 2010 l'Amministrazione ha trasmesso l'intera documentazione al Comitato di verifica (cfr. all. 13 dell’Amministrazione resistente), il quale risulta averne preso atto e tenuto conto ai fini degli accertamenti da compiere.
Quindi, non possono ritenersi inficiati da carenza di istruttoria e di motivazione il citato parere n. 3621/2010, deliberato nell'adunanza n. 138/2010 del 26 aprile 2010, ed il decreto del Capo del Dipartimento per le politiche del personale dell'amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie del 14 giugno 2010, con i quali non è stata riscontrata la dipendenza da fatti di servizio per le patologie "sindrome depressiva maggiore trattata con psicofarmaci e psicoterapia insorta a seguito di disagio lavorativo" e "gastrite erosiva – duodenite - sclerosi sistemica a interessamento cutaneo diffuso con interstiziopatia polmonare ed esofageopatia" (cfr. all. 23 e 24 dell’Amministrazione resistente).
Secondo il Collegio, il Comitato di verifica per le cause di servizio risulta aver espresso il proprio parere seguendo le regole specialistiche attinenti al caso di specie, mediante considerazioni che non appaiono né illogiche, né irrazionali.
Infatti, il Comitato ha ritenuto non dipendente da fatti di servizio l’infermità della parte ricorrente, seguendo un corretto iter procedimentale-istruttorio, e motivando congruamente il proprio parere, specificando le ragioni per le quali ha ritenuto di escludere la sussistenza del nesso di causalità tra il servizio prestato dall’interessato e l'infermità sofferta dallo stesso.
A parere del Collegio, le considerazioni espresse dal Comitato appaiono immuni dalle censure prospettate dalla parte ricorrente, poiché l’Organo consultivo ha tenuto in considerazione tutta la documentazione acquisita nel corso del procedimento, ha esaminato i documenti prodotti (puntualmente indicati), ed ha esternato una motivazione puntuale dando conto del percorso logico seguito e delle considerazioni tecniche per le quali alle patologie accertate non si può dare rilevanza ai fini del riconoscimento della dipendenza da causa di servizio (Consiglio Stato , sez. IV, 16 ottobre 2009 , n. 6352), in quanto, nella fattispecie, è emerso: - in relazione alla ‘sindrome depressiva maggiore trattata con psicofarmaci e psicoterapia insorta a seguito di disagio lavorativo’, "trattasi di forma di nevrosi che si estrinseca con disturbi di somatizzazione attraverso i canali neuro-vegetativi, scatenata spesso da situazioni contingenti che si innescano, di frequente, su personalità predisposta"; - riguardo all'infermità ‘Gastrite erosiva – duodenite’, che trattasi di " affezione prevalentemente a sfondo neuro-distonico endogeno, sull'insorgenza e decorso della quale non poteva avere nocivamente influito, neppure sotto il profilo concausale efficiente e determinante, il servizio reso e non caratterizzato da condizioni di particolare e protratta gravosita"; circa l'infermità ‘Sclerosi sistemica a interessamento cutaneo diffuso con interstiziopatia polmonare ed esofageopatia’, che “non risultano sussistere nel tipo di prestazioni di lavoro rese disagi e strapazzi di particolare intensità, né elementi di eccezionale gravita, che avessero potuto prevalere sui fattori individuali, almeno sotto il profilo concausale efficiente e determinante, tenuto conto della peculiare natura della patologia di cui trattasi".
Al riguardo, va considerato che le valutazioni del Comitato di verifica per le cause di servizio, rientrano nell’ambito della c.d. discrezionalità degli organi tecnici che, nello svolgere i necessari accertamenti, mediante i mezzi tecnici in uso, pervengono alle relative conclusioni assumendo a base le cognizioni della scienza medica e specialistica. Tali circostanze implicano che il giudizio del C.V.C.S. non possa essere sindacato nel merito e che il sindacato di legittimità sia ammesso esclusivamente nelle ipotesi di evidenti e macroscopici vizi logici degli atti impugnati.
Del resto, il sindacato giurisdizionale sui giudizi espressi in relazione a domande di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di patologie contratte da pubblici dipendenti in costanza di servizio e/o di riconoscimento dell'equo indennizzo è ammesso esclusivamente nelle ipotesi in cui emergano dall'atto contestato evidenti vizi logici, desumibili dalla sua motivazione, in ragione dei quali si evidenzi l'inattendibilità metologica delle conclusioni cui è pervenuta l'Amministrazione; segue da ciò che il giudice della legittimità non può impingere nel merito, specialmente se tecnico, di valutazioni che competono esclusivamente all'Amministrazione, né tanto meno sostituire la valutazione di merito dell'Amministrazione con una propria determinazione di merito di segno opposto, che direttamente conceda il beneficio richiesto dall'interessato (Consiglio Stato , sez. IV, 16 ottobre 2009 , n. 6352).
Pertanto, condividendone le argomentazioni, l’Amministrazione ha fatto affidamento sul parere del Comitato di Verifica, giungendo, correttamente, ad esprimere i giudizi contestati dal ricorrente.
Il provvedimento finale risulta motivato per relationem rispetto al parere del citato Comitato, in linea con quanto stabilisce in materia la disciplina di riferimento, la quale non mette a disposizione dell'Amministrazione una serie di pareri pariordinati resi da organi consultivi diversi e dotati di identica competenza, sui quali orientarsi, ma affida al Comitato di Verifica per le cause di servizio il compito di esprimere un giudizio conclusivo.
Pertanto, il parere del Comitato deve essere tenuto in considerazione dall'Amministrazione, la quale deve solo verificare se l'organo in questione, nell'esprimere le proprie valutazioni, abbia tenuto conto delle considerazioni svolte dagli altri organi e, in caso di disaccordo, se le abbia congruamente confutate (come avvenuto nella fattispecie). Infatti, l'Amministrazione, non avendo particolari competenze specialistiche al riguardo, difficilmente può operare una scelta tecnica fra giudizi sanitari diversi, sicché può limitarsi a verificare se le ragioni addotte dagli altri organi consultivi siano state tenute presenti e valutate dal Comitato di verifica.
Del resto, l'Amministrazione non deve indicare le ragioni per cui ritiene di attenersi al parere di organi consultivi che si sono pronunciati per ultimi anziché ad altro precedente parere di segno opposto; un obbligo di motivazione in capo all'Amministrazione è ipotizzabile solo per il caso in cui essa, per gli elementi di cui dispone e che non sono stati vagliati dal Comitato, ritenga di non potere aderire al suo parere (Consiglio Stato , sez. VI, 18 settembre 2009 , n. 5612).
Ciò posto, vanno disattese, ai fini che interessano in questa sede, le considerazioni tecniche espresse dalla parte ricorrente ed, in particolare, dal consulente tecnico di parte (cfr. relazione in atti ed, in particolare, la relazione della Dr.ssa Katarzyna Sowicka del 14.2.2011 e la certificazione e relazione clinica del Prof. Franco Bellato), sia perché il Comitato di Verifica per le cause di servizio, per la competenza specifica che gli è attribuita, è l'organo che è meglio in grado di cogliere se esista o meno un nesso eziologico tra l'insorgenza di una infermità ed il tipo di lavoro svolto nell'ambito dell’Amministrazione, sia in quanto – alla luce degli elementi e delle considerazioni sopra espressi - i rilievi tecnici di parte non appaiono in grado di porre in dubbio le valutazioni e le conclusioni alle quali è giunto il Comitato di Verifica per le Cause di Servizio e, conseguentemente, le determinazioni finali dell’Amministrazione.
Per tali ragioni, il Collegio ritiene che non sia necessario disporre ulteriori accertamenti sanitari e, quindi, disattende l’istanza istruttoria di parte ricorrente tesa ad ottenere l’esecuzione di una verificazione o la nomina di un CTU.
4. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato e debba essere respinto.
5. Sussistono gravi ed eccezionali motivi – legati alla particolarità della vicenda e delle questioni trattate – per compensare le spese di giudizio tra le parti in causa.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
- lo respinge;
- dispone la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa;
- ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Linda Sandulli, Presidente
Roberto Proietti, Consigliere, Estensore
Antonella Mangia, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/11/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


martedì 4 febbraio 2014

ADUNANZE PLENARIE: ancora sul ricorso incidentale; la distinzione tra appalto e concessione di servizi ai fini dell'applicabilità dell'art. 37 co. 13 del D.Lgs. n. 163/2006 (Ad. Plen., sentenza 30 gennaio 2014 n. 7).


ADUNANZE PLENARIE: 
ancora sul ricorso incidentale; 
la distinzione tra appalto e concessione di servizi 
ai fini dell'applicabilità 
dell'art. 37 co. 13 del D.Lgs. n. 163/2006 
(Ad. Plen., sentenza 30 gennaio 2014 n. 7).


Massima

1. Nel giudizio avente ad oggetto procedure di gara, solo il ricorso incidentale escludente che sollevi un’eccezione di carenza di legittimazione del ricorrente principale non aggiudicatario – in quanto soggetto che non ha mai partecipato alla gara, o che vi ha partecipato ma è stato correttamente escluso ovvero che avrebbe dovuto essere escluso ma non lo è stato per un errore dell’amministrazione - deve essere esaminato prioritariamente rispetto al ricorso principale; tale evenienza non si verifica allorquando il ricorso incidentale censuri valutazioni ed operazioni di gara svolte dall’amministrazione nel presupposto della regolare partecipazione alla procedura del ricorrente principale. 
2. La distinzione tra procedura selettiva di appalto di lavori da un lato e di concessione di servizio pubblico locale dall'altro, va operata sulla base dei concreti dati sia qualitativi che quantitativi.
3. Non esiste un principio di necessaria corrispondenza, in tema di a.t.i., fra quote di partecipazione, quote di esecuzione e quote di qualificazione in materia di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, mentre, al contrario, la corrispondenza corre solo fra quote di partecipazione e quote di esecuzione (e solo per gli appalti di lavori a decorrere dal 15 agosto 2012);
4. La norma sancita dall’art. 37, co. 13, nella parte in cui impone, in tema di a.t.i., la corrispondenza fra quote di partecipazione e quote di esecuzione, esprima un principio generale in materia di trasparenza e, in quanto tale, sia applicabile ai sensi degli artt. 27, co. 1, e 30, co. 3, D.Lgs. n. 163/06, ai contratti esclusi ed alle concessioni di servizi pubblici; al contrario, tale norma esprime un precetto imperativo limitato ai soli appalti.


Sentenza per esteso

Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 18 di A.P. del 2013, proposto dalla Società Stile Costruzioni Edili di Rebecchini Ing. Luigi & C. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore - in proprio e quale capogruppo mandataria dell’a.t.i. costituita con Sarfo Appalti e Costruzioni s.r.l., Sette Costruzioni s.p.a., I.R.CO.S. Impresa Romana Costruzioni Sociali s.p.a., Edilgamma s.r.l., Cosvim Società Cooperativa e Consorzio Cooperative di Abitazione Associazione Italiana Casa -Aic soc. coop. a r.l. - rappresentata e difesa dagli avvocati Piero D'Amelio, Marco Annoni e Maria Stefania Masini, con domicilio eletto presso Piero D'Amelio in Roma, via della Vite, n. 7; 
contro
Pessina Costruzioni s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Angelo Clarizia, Pier Filippo Giuggioli e Claudio Guccione, con domicilio eletto presso Pier Filippo Giuggioli in Roma, piazza San Lorenzo in Lucina n.4;
nei confronti di
Roma Capitale (già Comune di Roma), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi D'Ottavi, domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;


sul ricorso numero di registro generale 19 di A.P. del 2013, proposto da Roma Capitale, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi D'Ottavi, domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;
contro
Pessina Costruzioni s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Angelo Clarizia, Pier Filippo Giuggioli e Claudio Guccione, con domicilio eletto presso Pier Filippo Giuggioli in Roma, piazza San Lorenzo in Lucina n.4;
nei confronti di
Società Stile Costruzioni Edili di Rebecchini Ing. Luigi & C. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore - in proprio e quale capogruppo mandataria dell’a.t.i. costituita con Sarfo Appalti e Costruzioni s.r.l., Sette Costruzioni s.p.a., I.R.CO.S. Impresa Romana Costruzioni Sociali s.p.a., Edilgamma s.r.l., Cosvim Società Cooperativa e Consorzio Cooperative di Abitazione Associazione Italiana Casa -Aic soc. coop. a r.l. - rappresentata e difesa dagli avvocati Piero D'Amelio, Marco Annoni e Maria Stefania Masini, con domicilio eletto presso Piero D'Amelio in Roma, via della Vite, n. 7; 
per la riforma
della sentenza in forma semplificata del T.a.r. per il Lazio – Roma - Sezione II, n. 3891 del 30 aprile 2012.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Pessina Costruzioni s.p.a., Roma Capitale e Stile Costruzioni Edili di Rebecchini Ing. Luigi & C. s.p.a.;
Viste le memorie difensive depositate dalle parti prima davanti alla V Sezione del Consiglio di Stato e successivamente in vista della udienza pubblica celebrata innanzi all’Adunanza plenaria;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 novembre 2013 il consigliere Vito Poli e uditi per le parti gli avvocati Annoni, D'Amelio, Masini, Clarizia, Guccione e D'Ottavi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. LA PROCEDURA OGGETTO DEL PRESENTE GIUDIZIO.
1.1. Oggetto del presente giudizio è la procedura competitiva indetta da Roma Capitale (cfr. determinazione n. 660 dell’11 agosto 2010, bando di gara ed annesso disciplinare pubblicati il successivo 19 novembre 2010), per la realizzazione del programma di housing sociale nell’area F del Comprensorio direzionale di Pietralata.
1.2. Il programma, dal contenuto complesso, ha previsto, fra l’altro:
a) la progettazione (definitiva ed esecutiva), e realizzazione sull’area assegnata (di proprietà comunale), di un intero quartiere residenziale, per una portata edificatoria complessiva di 132.000 mc, calcolati secondo il vigente piano particolareggiato di Pietralata, ripartita in 127.000 mc per un totale di almeno 555 alloggi (di cui 80 alloggi di edilizia residenziale pubblica da retrocedere al Comune in regime di proprietà, con le aree fondiarie annesse; almeno 50 alloggi da mantenere in locazione per 25 anni al canone mensile sostenibile di euro 6,00 al mq di superficie complessiva, che al termine resteranno nella disponibilità dell’assegnatario per 99 anni fino alla scadenza del diritto di superficie; almeno 150 alloggi da destinare a locazione con patto di futura vendita con canone mensile sostenibile di euro 8,00 al mq di superficie complessiva e rata finale di saldo prezzo convenuto, da far valere tra il 16° e il 25° anno, secondo e con i valori posti in offerta all’assegnatario; almeno 275 alloggi da cedere a prezzo convenzionato per un importo massimo di euro 2.400,00 mq di superficie complessiva, oltre oneri fiscali);
b) la progettazione (definitiva ed esecutiva), e realizzazione di edificazioni con destinazione commerciale per 5.000 mc (che restano nella disponibilità dell’assegnatario fino alla scadenza della durata del diritto di superficie, anche come eventualmente rinnovato);
c) la progettazione (definitiva ed esecutiva), e realizzazione di tutte le opere di urbanizzazione primaria (infrastrutture a rete, viabilità, arredo urbano, parcheggi e verde pubblico);
d) la progettazione (definitiva ed esecutiva), e costruzione di una scuola materna di 3 sezioni;
e) le funzioni di stazione appaltante, in capo all’assegnatario, per la realizzazione di opera monumentale artistica;
f) gestione venticinquennale (inclusa la locazione e la vendita), in regime di proprietà superficiaria, dell’edilizia residenziale destinata alla locazione a canone sostenibile, a riscatto o alla vendita a prezzo convenzionato; in questo ambito sono attribuiti all’assegnatario (in partnershipcon l’amministrazione), compiti di soggetto gestore dell’assegnazione degli alloggi (comprensivi della predisposizione degli avvisi e della selezione delle domande), nel rispetto delle tariffe imposte da Roma Capitale (canoni e prezzi da praticare alle diverse categorie di beneficiari del programma);
g) l’assenza di oneri a carico dell’amministrazione salva la possibilità che le offerte in gara contemplino, ai fini del perseguimento dell’equilibrio finanziario in funzione della garanzia della sostenibilità imprenditoriale del progetto, un corrispettivo (che in ogni caso concorre in chiave comparativa come elemento della parte economica costruttiva delle offerte).
1.3. La legge di gara, in relazione agli aspetti di maggiore interesse ai fini della risoluzione della presente lite:
a) ha individuato in modo puntuale, a pena di esclusione, taluni adempimenti (per lo più formali) e requisiti soggettivi di capacità e qualificazione; in quest’ambito, ha richiamato in modo specifico le disposizioni del codice dei contratti pubblici ritenute applicabili (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163); fra queste non vi è la norma sancita dall’art. 37, co. 13 (tale articolo, infatti, è stato menzionato nella nota 4 del disciplinare solo avuto riguardo al deposito cauzionale prestato dalle a.t.i.);
b) ha dettato una compiuta autonoma disciplina: delle a.t.i., delle quote di partecipazione delle imprese, dei requisiti tecnici e di qualificazione dei partecipanti, della possibilità di far gareggiare cooperative di abitazione e loro consorzi, della indicazione dei soggetti esecutori della progettazione e dei soli lavori (stimati per un importo complessivo di euro 69 milioni esclusa IVA), della possibilità di associare, in sede di esecuzione del programma di housing sociale, fondi immobiliari specializzati nel settore dell’edilizia sociale privata;
c) ha posto a base del programma un progetto preliminare, suscettibile di essere variato dai partecipanti, senza indicazione di limiti invalicabili presidiati dalla sanzione della esclusione;
d) nell’ambito del programma costruttivo messo a concorso, ha previsto la possibilità, da parte dei concorrenti, di offrire scostamenti, in consistente misura percentuale, del numero degli alloggi da realizzare per ciascuna tipologia assentita dal programma medesimo.
1.4. Alla gara hanno partecipato:
a) la Società Stile Costruzioni Edili di Rebecchini Ing. Luigi & C. s.p.a., in proprio e quale capogruppo mandataria dell’a.t.i. costituita con Sarfo Appalti e Costruzioni s.r.l., Sette Costruzioni s.p.a., I.R.CO.S. Impresa Romana Costruzioni Sociali s.p.a., Edilgamma s.r.l., Cosvim Società Cooperativa e Consorzio Cooperative di Abitazione Associazione Italiana Casa -Aic soc. coop. a r.l. (in prosieguo A.t.i. Stile, 1° classificata);
b) Pessina Costruzioni s.p.a. (in prosieguo ditta Pessina, 2° classificata);
c) l’A.t.i. costituita da Unione Generale Immobiliare s.p.a., Fabbrica Immobiliare SGF s.p.a. e Stemm s.r.l. (in prosieguo A.t.i. UGI, 3° classificata); giova fin da ora precisare, per completezza, che tale concorrente è stato escluso dalla commissione tecnica ma successivamente riammesso con riserva alla gara in base all’ordinanza del T.a.r. per il Lazio n. 2593 del 14 luglio 2011; in sede di approvazione provvisoria e definitiva della graduatoria (cfr. verbale n. 24 del 13 settembre 2011 e determinazione dirigenziale n. 778 del 4 ottobre 2011), l’A.t.i. UGI risulta graduata al 3° posto senza riserve; con sentenza in forma semplificata del T.a.r. per il Lazio n. 3892 del 30 aprile 2012, è stato respinto il ricorso contro il provvedimento di esclusione; tale sentenza è stata appellata dall’A.t.i. Generale con ricorso allibrato al nrg. 2309 del 2012 tutt’ora pendente.
1.5. Con determinazione dirigenziale n. 778 del 4 ottobre 2011 la gara è stata aggiudicata all’A.t.i. Stile.
2. IL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO.
2.1. L’aggiudicazione è stata impugnata dinanzi al T.a.r. per il Lazio dalla ditta Pessina con il ricorso principale rubricato al nrg. 9510 del 2011, integrato da motivi aggiunti (proposti unicamente per far valere l’illegittimità derivata del silenzio formatosi sul preavviso di contenzioso ex art. 243 bis del codice dei contratti pubblici, datato 13 novembre 2011), e accompagnato dalla richiesta di risarcimento del danno.
2.2. La ditta Pessina ha articolato sette autonomi complessi motivi di ricorso (pagine 6 – 28 del ricorso principale di primo grado), senza muovere alcuna doglianza alla legge di gara; in particolare con i primi due motivi (pagine 6 – 12), nel presupposto implicito che l’oggetto della procedura sia un appalto di lavori, ha dedotto le seguenti censure:
a) violazione dell’art. 37, co. 1 e 13, codice dei contratti pubblici nonché dell’art. 4.4.11. del disciplinare nella parte in cui impone ai consorzi di cooperative di cui all’art. 34, co. 1, lett. b) e c) del codice dei contratti pubblici di indicare per quale consorziato concorre; si sostiene che l’A.t.i. orizzontale Stile ha fatto partecipare al raggruppamento (nella misura del 16,50%), un consorzio di cooperative di abitazione (A.I.C.), che non effettua lavori, risultando violato l’obbligo di indicare la pertinente quota di esecuzione dei lavori e comunque senza specificare le prestazioni in concreto richieste a tale soggetto all’interno della medesima a.t.i., per giunta sprovvisto della qualificazione SOA e della certificazione di qualità ISO 9901; risulta inoltre per tabulas l’omessa indicazione del consorziato per il quale il Consorzio A.I.C. gareggia;
b) violazione del principio di corrispondenza fra quote di partecipazione, quote di esecuzione e quote di qualificazione dei componenti delle a.t.i.; risulta per tabulas che le imprese riunite, diverse dal Consorzio di cooperative di abitazione A.I.C., eseguono lavori in una percentuale diversa da quella di partecipazione all’a.t.i. con ciò violando il precetto imperativo sancito dalla norma di cui all’art. 37, co. 13, cit.;
c) violazione degli artt. 1.4. e 4.4.11. del disciplinare sotto il profilo che taluni associati eseguono lavori in misura inferiore a quanto richiesto dalla legge di gara in relazione al possesso dei requisiti tecnici, di qualificazione nella categoria OG1 (classifica VIII), e di certificazione di qualità.
2.3. Radicatosi il contraddittorio con Roma Capitale e l’A.t.i. Stile, quest’ultima ha proposto ricorso incidentale sostenendo che la ditta Pessina avrebbe dovuto essere esclusa dalla procedura per aver presentato una offerta difforme (aliud pro alio), dalle prescrizioni del bando e del disciplinare.
In particolare, in tre autonomi motivi (pagine 5 – 11 del ricorso incidentale), ha lamentato quanto segue:
a) il progetto e l'offerta non rispetterebbero quanto stabilito dal disciplinare di gara e dalle linee guida architettonico-funzionali ad esso allegate, cui l'offerente avrebbe dovuto attenersi nella redazione dell'offerta tecnico qualitativa ai sensi del punto 2.3 e 2.3.2 del disciplinare, nonché della normativa in materia di calcolo della superficie complessiva (Sc) per interventi di edilizia residenziale sovvenzionata e agevolata, a cui il disciplinare e le linee guida hanno fatto riferimento; quanto alla cubatura massima realizzabile (punto 3.2.2 delle linee guida architettonico-funzionali, secondo comma (<<ai fini degli indici, dei calcoli e delle regole edilizie vale la normativa del precedente Piano regolatore generale approvato con d.p.r. n. 1645/1965 e successive varianti>>), nella cui vigenza è stato approvato il piano particolareggiato del Comprensorio Pietralata); invece il progetto Pessina sarebbe elaborato prevedendo una cubatura ben superiore a quella prevista e per di più calcolata in base ai criteri dettati dal nuovo piano regolatore generale di Roma e non, come avrebbe dovuto, dal vecchio piano regolatore; infatti la superficie progettata da Pessina risulterebbe pari a circa 130.000 m³ e quindi ben superiore ai 119.000 m³ previsti dal bando; inoltre il denunciato esubero di cubatura non terrebbe conto della circostanza (facilmente verificabile dal progetto), che alcune cantine sono state progettate al piano interrato fuori dalla sagoma di massimo ingombro del fabbricato, e che quindi anche il volume delle suddette cantine avrebbe dovuto essere computato all'interno della cubatura sensibile, come previsto dalle norme tecniche di attuazione del vecchio Piano regolatore generale cui le Linee guida si richiamano; quanto al calcolo delle superfici (Snr: superficie non residenziale; Su: superficie utile; Sp: superficie parcheggi; Sc: superficie complessiva), di cui al punto 2.1.4 del disciplinare ("ai fini del calcolo delle superfici, con riferimento sia alla determinazione dei canoni di locazione che delle rate del riscatto e dei prezzi di vendita, si fa riferimento alla superficie complessiva degli alloggi di cui all'articolo 6 del decreto del Ministero dei lavori pubblici 5 agosto 1994”); e lo stesso criterio sarebbe ribadito al punto 1.3 delle linee guida architettonico-funzionali: in proposito la superficie utile nella offerta economico-costruttiva presentata da Pessina è pari a 17.243 m²; altresì Pessina, in base alla previsione dell'articolo 6 del citato decreto del Ministero dei lavori pubblici 5 agosto 1994, avrebbe potuto dichiarare una superficie convenzionale massima pari a 26.554 m², cioè un valore inferiore a quello di 26.992 m² indicato nell'offerta economico-costruttiva della ricorrente incidentale Stile; la situazione sopra descritta avrebbe alterato la formula di calcolo applicata, ai sensi del punto 3 del disciplinare di gara, per la valutazione dell'offerta economico costruttiva e per la conseguente attribuzione del relativo punteggio da parte della Commissione di gara;
b) l'offerta presentata da Pessina indica come progettisti due distinti professionisti: l'architetto M. O., quale responsabile del team ai sensi del punto 1.3.1 del disciplinare e l'architetto S. P., di 3TI, quale professionista incaricato dell'integrazione delle prestazioni specialistiche; questa doppia indicazione violerebbe il disciplinare di gara, che al punto 1.3 prescrive: <<il progetto dovrà essere sottoscritto da un unico professionista, responsabile del team di progettazione e come tale titolato alla firma degli elaborati>>;
c) infine, il progetto presentato da Pessina violerebbe gli standard previsti dall'articolo 2 della legge n. 122 del 1989, il quale stabilisce che <<nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad 1 m² per ogni 10 m³ di costruzione>>; in difformità da questi standard il progetto elaborato da Pessina prevede, a fronte di una cubatura nei comparti R1 e R2.1, rispettivamente di metri cubi 27.738,05 e metri cubi 28.151,42, rispettivamente destinati a parcheggio metri quadrati 1802 e metri quadrati 2457, dunque una superficie di gran lunga inferiore a quella imposta dalla legge, che non poteva essere inferiore rispettivamente a metri quadrati 2773,81 e 2815,14.
2.4. L’impugnata sentenza - T.a.r. per il Lazio – Roma - Sezione II, n. 3891 del 30 aprile 2012 - resa in forma semplificata:
a) ha esaminato il ricorso incidentale dell’A.t.i. Stile e, assodatane la natura non paralizzante (perché incentrato sulla contestazione della erroneità della valutazione, da parte della commissione giudicatrice, dell’offerta presentata dalla ditta Pessina e non su ragioni che inibivano la partecipazione alla gara della medesima ditta o della sua offerta), lo ha dichiarato inammissibile per carenza di interesse ad agire in quanto dal suo accoglimento la parte non avrebbe tratto alcuna utilità (pagina 13);
b) ha qualificato la procedura per la scelta del soggetto attuatore del programma di housing sociale nei termini di un contratto misto atipico, in cui si rinvengono elementi propri della concessione di costruzione e gestione di opere pubbliche, della concessione di servizi, della vendita di cosa futura insieme ad ulteriori aspetti atipici, ma in cui prevale comunque l’esigenza di realizzare lavori, procedura in quanto tale esclusa dall’ambito applicativo del codice dei contratti pubblici ma sottoposto alla disciplina sancita dall’art. 27, co. 1, del medesimo codice e dunque ai principi generali della materia contrattuale tra cui quello di trasparenza (pagine 17 – 23);
c) ha statuito nel senso che la norma sancita dall’art. 37, co. 13, codice dei contratti pubblici, nella parte in cui impone alle imprese riunite in a.t.i. la corrispondenza fra quote di partecipazione e quote di esecuzione, sia espressione di un principio generale di trasparenza e dunque, in virtù del rinvio operato dal menzionato art. 27, co. 1, cit. (nonché dall’art. 30 codice dei contratti pubblici), applicabile alla procedura di gara in contestazione (pagine 23 – 26);
d) conseguentemente ha annullato l’aggiudicazione in favore dell’A.t.i. Stile, ha dichiarato l’inefficacia del contratto stipulato da quest’ultima con Roma Capitale, ha dichiarato aggiudicataria, a titolo di risarcimento del danno specifico, la ditta Pessina, condannando le parti soccombenti alla rifusione delle spese di lite.
3. IL GIUDIZIO DI APPELLO DAVANTI ALLA V SEZIONE DEL CONSIGLIO DI STATO.
3.1. Con ricorso ritualmente notificato e depositato – allibrato al nrg. 5104 del 2012 – l’A.t.i. Stile ha interposto appello deducendo:
a) con il primo mezzo di gravame (pagine 6 – 14 del ricorso), la violazione delle norme e dei principi in materia di efficacia paralizzante del ricorso incidentale come stabiliti dall’Adunanza plenaria 7 aprile 2011, n. 4, riproponendo, altresì, tutte le censure poste a sostegno del proprio ricorso incidentale;
b) con il secondo mezzo di gravame (pagine 14 – 26), l’erroneità delle statuizioni sfavorevoli di merito dell’impugnata sentenza che ha confutato analiticamente.
3.2. Con ricorso ritualmente notificato e depositato – allibrato al nrg. 5244 del 2012 – Roma Capitale ha interposto appello deducendo, con due complessi motivi:
a) l’erroneità degli snodi argomentativi della sentenza impugnata, nella parte in cui non ha tenuto conto dell’autonomia della legge di gara e dell’autovincolo da essa discendente (specie in assenza di specifica impugnazione ad opera della ditta Pessina);
b) la violazione della norma sancita dall’art. 12, l. n. 241 del 1990 (che fissa i principi generali in materia di procedimenti di valutazione comparativa), e l’inapplicabilità della norma sancita dall’art. 37, co. 13, cit. non essendo posta a presidio dei principi di trasparenza e par condicio.
3.3. Si è costituita in entrambi i giudizi la ditta Pessina, contestando la fondatezza dei ricorsi in fatto e diritto, e riproponendo, ai sensi dell’art. 101, co. 2, c.p.a., le censure non esaminate in prime cure.
3.4. Si è costituita Roma Capitale, nel giudizio nrg. 5104/2012, aderendo al gravame formulato dall’A.t.i. Stile che, a sua volta, costituendosi nel giudizio nrg. 5244/2012 ha aderito al gravame formulato da Roma Capitale.
4. L’ORDINANZA DI RIMESSIONE DEI RICORSI ALL’ADUNANZA PLENARIA.
Con ordinanza n. 2059 del 15 aprile 2013, la V Sezione del Consiglio di Stato ha riunito gli appelli, in quanto proposti nei confronti della medesima sentenza, ed ha sottoposto all’Adunanza plenaria le seguenti questioni:
a) nel presupposto che le censure del ricorso incidentale dell’A.t.i. Stile fossero <<…certamente finalizzate a escludere la ricorrente principale PESSINA, allegando in proposito carenze dell’offerta, in violazione di clausole del Bando, tali da concretare vizi della ammissione alla gara dell’offerta PESSINA, e da escludere per quella impresa la legittimazione a ricorrere…>>, la Sezione ha evidenziato che esse, però <<… riguardano il merito della controversia e comportano - relativamente alla lex specialis di gara e alla stessa offerta della ricorrente principale PESSINA - una non semplice attività interpretativa, che peraltro per taluni profili, attenendo a sindacato giurisdizionale su valutazioni di così detta discrezionalità tecnica (si pensi alla valutazione di conformità ai criteri per il calcolo delle cubature e delle superfici, anche con riferimento agli standard relativi alle aree destinate a parcheggio), richiederebbe l’espletamento di consulenze tecniche d'ufficio, anche col contraddittorio tra le parti>>; ha quindi ritenuto che <<…tenuto conto del numero e della complessità delle questioni spesso portate nelle controversie in materia di appalti, del pubblico interesse alla migliore aggiudicazione, del principio del contraddittorio (v. la citata pronuncia della Cassazione civile - Sezioni unite - 21 giugno 2012, n. 10294) - una complessa delibazione di merito della sola istanza dell’aggiudicatario (anche se diretta a “paralizzare”, con lo strumento del ricorso incidentale, l’istanza di chi – col ricorso introduttivo del giudizio – afferma l’illegittimità dell’aggiudicazione) appare concretare uno sbilanciamento e uno snaturamento del contenzioso, poiché privilegia, nella congerie delle questioni di merito portate dinanzi al giudice, solo quelle di chi resiste al ricorso introduttivo>>; conseguentemente ha osservato che <<…in fattispecie come quella in esame il ricorso incidentale porta preliminarmente in giudizio, con la verifica della legittimazione, una parte cospicua del merito della controversia, nonché il sindacato sui criteri di valutazione delle offerte da parte della stazione appaltante. Sicché l’esame delle sole prospettazioni dell’aggiudicatario sembrerebbe contrario al principio di parità delle parti. Pertanto appare necessario che l’Adunanza plenaria si pronunci sulla applicabilità del principio di diritto da essa affermato nella pronuncia n. 4/2011 anche a una fattispecie come quella in esame>>;
b) relativamente alla questione di diritto <<…concernente l’applicabilità, in forza del richiamo di cui all’art. 27 del decreto legislativo n. 163/2006, alla presente gara per la realizzazione di un programma di housing socialedella disposizione del successivo art. 37, comma 13…>>, ha osservato che la stessa <<…non essendo l’affidamento di contratti di social housing disciplinato da precise disposizioni - appare richiedere, ex art. 12 delle Preleggi, un’interpretazione analogica, o anche l’applicazione di principi generali dell’ordinamento…>>, e, premessa l’irrilevanza (allo stato ed ai fini della rimessione dell’affare alla Adunanza plenaria), della circostanza relativa all’omessa impugnativa della lex specialis da parte della ditta Pessina, ha ritenuto che <<… secondo il generale principio di trasparenza - espresso, con altri principi, anche relativamente ai contratti esclusi di cui agli artt. 16 e seguenti del decreto legislativo n. 163/2006, nell’art. 27, comma 1, del medesimo Codice dei contratti pubblici – la piena corrispondenza tra quote di partecipazione al RTI e quote di esecuzione espressamente sancita dall’art. 37, comma 13, del Codice, parrebbe effettivamente applicabile, a pena di esclusione, anche alla presente gara per realizzazione di housing sociale…>>; per converso, ha sottolineato che <<…la circostanza che la norma ritenuta dal Tar precetto sanzionato da esclusione non è espressamente richiamata dalla lex specialis di gara; e che avvalendosi sul punto, come fatto dal primo giudice, di una interpretazione estensiva della normativa di riferimento, o applicativa di principi generali, potrebbe ritenersi violato il noto principio di tassatività delle ipotesi di esclusione (v. C.d.S., Sez. V, 27 maggio 2011, n. 3193), principio che ha avuto da ultimo una puntuale traduzione normativa attraverso il nuovo comma 1 bis dell'articolo 46 del decreto legislativo n. 163/2006, come aggiunto dal n. 2) della lettera d) del citato art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 70/2011; ma che vigeva nell’ordinamento anche prima, in quanto desumibile dall'art. 45 della Direttiva 2004/18/CE (v. C.d.S., Sez. V, 13 dicembre 2012, n. 6393). Tra l’altro, il ritenere che quanto prescritto dall’art. 37, comma 13, del codice dei contratti pubblici sia espressione di uno dei principi – nella specie quello di trasparenza – applicabili anche ai contratti così detti esclusi, come disposto dall’art. 27, comma 1, del medesimo codice, potrebbe far venire meno la certezza del diritto nel relativo settore, a maggior ragione non trattandosi di prescrizione fissata dalla lex specialis di gara; esigenza - quella della certezza del diritto - particolarmente sentita in un settore estremamente delicato per l’economia del Paese e soggetto a continui e alluvionali cambiamenti normativi. E in una gara, quale quella di cui trattasi, che non prevede alcun finanziamento pubblico e consente la partecipazione associata di soci di solo capitale, sembra conseguente che nel RTI possano esservi soci finanziatori, altri soci che eseguano le opere nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al RTI; e altresì soci che (ferma restando la trasparenza nei rapporti all’interno del raggruppamento) eseguano opere per percentuali superiori a quelle di cui alla quota di partecipazione. Con l’ulteriore ipotizzabilità che, nella specie, il RTI assuma peculiarità tali da discostarsi dalla tipologia prevista dal codice dei contratti pubblici; con la conseguente non assoggettabilità alla disciplina del codice stesso>>.
5. IL RAPPORTO FRA RICORSO INCIDENTALE E RICORSO PRINCIPALE NELLE CONTROVERSIE IN MATERIE DI GARE PUBBLICHE.
5.1. In ordine logico è prioritario l’esame della questione concernente l’asserita violazione, da parte dell’impugnata sentenza, dei principi elaborati dall’Adunanza plenaria n. 4 del 2011 circa il rapporto fra ricorso incidentale (proposto dall’aggiudicatario), e ricorso principale (proposto da concorrente non aggiudicatario), nelle controversie in materie di gare pubbliche: l’erroneità in parte qua della sentenza impugnata comporterebbe, infatti, l’esame prioritario del ricorso incidentale articolato in prime cure dall’A.t.i. Stile.
5.2. Per la completa disamina della questione il collegio rinvia agli argomenti e principi elaborati da questa Adunanza nella causa - nrg. AP 23/2013 e nrg. VI Sezione 4939/2012 – assunta in decisione alla medesima udienza pubblica del 20 novembre 2013.
5.3. Sul punto specifico concernente la necessità che il ricorso incidentale sia sempre esaminato prima del ricorso principale quando prospetti carenze oggettive dell’offerta della impresa non aggiudicataria, si ritiene di non condividere l’impostazione fatta propria dall’ordinanza di rimessione, che non trova rispondenza nei principi formulati dalla plenaria n. 4 del 2011.
5.4. Dalla piana lettura della più volte menzionata sentenza n. 4 del 2011 (in particolare § 51), emerge in modo univoco che il discrimine è rintracciato nella introduzione, da parte del ricorso incidentale, di censure che colpiscono la mancata esclusione, da parte della stazione appaltante, del ricorrente principale (ovvero della sua offerta), a causa della illegittima partecipazione di quest’ultimo alla gara o della illegittimità dell’offerta; tale situazione lato sensu di invalidità della posizione del ricorrente principale, deve scaturire dalla violazione di doveri o obblighi sanzionati a pena di inammissibilità, di decadenza, di esclusione (a titolo esemplificativo si pensi all’intempestività della domanda di partecipazione alla gara, alla carenza di requisiti soggettivi generali, di natura tecnica o finanziaria, ovvero di elementi essenziali dell’offerta).
La situazione di contrasto fra la condotta dell’impresa che partecipa alla selezione e la legge di gara, effettivamente rilevante per stabilire la priorità dell’esame del ricorso incidentale, è solo quella che produce, come ineluttabile conseguenza, la non ammissione ab origine alla gara del concorrente non vincitore, ovvero l’estromissione successivamente deliberata in apposite fasi (anche solo in senso logico), deputate all’accertamento della regolare partecipazione del concorrente: si pensi al caso classico in cui l’amministrazione proceda al riscontro della tempestività della presentazione delle domande di partecipazione cui seguono (soprattutto dal punto di vista logico, poiché sovente tali adempimenti sono effettuati in unico contesto temporale e procedurale), le ulteriori fasi relative all’accertamento dei requisiti soggettivi dell’imprenditore ovvero oggettivi dell’offerta.
Ne discende che tutte le criticità prospettate come incidenti su attività svolte a valle di quelle dedicate al riscontro dei suddetti requisiti, non impongono l’esame prioritario del ricorso incidentale perché, in tale ipotesi, esso non mira ad accertare l’insussistenza della condizione dell’azione rappresentata dalla legittimazione del ricorrente, in quanto soggetto escluso o che avrebbe dovuto essere escluso dalla gara.
In questi casi, infatti, il ricorso incidentale si appunta su vizi della valutazione operata dall’organo tecnico a ciò preposto e le relative censure presuppongono, in definitiva, il superamento di ogni questione inerente la regolare presenza dell’impresa (o della sua offerta) nella gara.
Si pensi alla contestazione del punteggio tecnico o economico nonché alla valutazione di anomalia dell’offerta che, secondo le approfondite conclusioni cui è giunta questa Adunanza, attiene a <<…scelte rimesse alla stazione appaltante, quale espressione di autonomia negoziale in ordine alla convenienza dell’offerta ed alla serietà e affidabilità del concorrente ….>>(cfr. Ad. plen. 29 novembre 2012, n. 36).
5.6. In conclusione, avuto riguardo alla prima questione sottoposta all’adunanza plenaria, deve enunciarsi il seguente principio di diritto: <<nel giudizio di primo grado avente ad oggetto procedure di gara, solo il ricorso incidentale escludente che sollevi un’eccezione di carenza di legittimazione del ricorrente principale non aggiudicatario – in quanto soggetto che non ha mai partecipato alla gara, o che vi ha partecipato ma è stato correttamente escluso ovvero che avrebbe dovuto essere escluso ma non lo è stato per un errore dell’amministrazione - deve essere esaminato prioritariamente rispetto al ricorso principale; tale evenienza non si verifica allorquando il ricorso incidentale censuri valutazioni ed operazioni di gara svolte dall’amministrazione nel presupposto della regolare partecipazione alla procedura del ricorrente principale>>.
5.7. Si tratta a questo punto di stabilire le caratteristiche del ricorso incidentale proposto dall’At.i. Stile analizzandone la causa petendi.
Come già rilevato nel precedente § 2.3., il ricorso incidentale introdotto dall’A.t.i. Stile è interamente incentrato sulla erroneità della scelta valutativa compiuta dalla Commissione che non avrebbe percepito lo scostamento radicale (al punto di configurare un aliud pro alio), del progetto presentato dalla ditta Pessina rispetto ad una serie di parametri ritenuti vincolanti.
In fatto si rileva che:
a) il bando e il disciplinare di gara non hanno individuato, a pena di esclusione, alcuno dei parametri indicati dal ricorso incidentale come elementi essenziali dell’offerta tecnica;
b) la legge di gara ha stabilito che il progetto preliminare ben poteva essere variato dai partecipanti;
c) nell’ambito del programma costruttivo messo a concorso è stata prevista la possibilità di scostamenti, in consistente misura percentuale, del numero degli alloggi da realizzare per ciascuna tipologia.
E’ evidente che i vizi prospettati nel ricorso incidentale incidono sulla valutazione discrezionale riservata dalla legge di gara alla commissione tecnica giudicatrice (in sede di attribuzione del punteggio e di giudizio sulle varianti proposte dai concorrenti al progetto preliminare ed al programma costruttivo), valutazione tanto più ampia quanto maggiore è lo spazio concesso (come nel caso di specie), alle iniziative dei concorrenti.
5.8. Da quanto sopra rilevato discende:
a) la correttezza dell’impugnata sentenza nella parte in cui, dopo aver esaminato la causa petendi del ricorso incidentale ed averne assodato il carattere non escludente, ne ha posposto l’esame rispetto al ricorso principale della ditta Pessina;
b) l’infondatezza in parte qua del primo motivo di appello dell’A.t.i. Stile. Sul punto si impone una precisazione: il ricorso incidentale dell’A.t.i. Stile, infatti, non può essere dichiarato ex se inammissibile perché non escludente; invero, fermo restando che anche il ricorso incidentale deve essere sostenuto dagli ordinari requisiti di proponibilità, ammissibilità e procedibilità, è necessario prioritariamente accertare il numero effettivo di imprese in gara utilmente inserite nella graduatoria finale (cfr. retro § 1.4.); quindi procedere (secondo le coordinate ermeneutiche individuate dall’Adunanza plenaria 15 aprile 2010, n. 1), all’esame del ricorso principale secondo l’ordine logico proprio dei residui vizi di legittimità fatti valere (ove non espressamente condizionati), principiando dalle doglianze che introducono cause di invalidità escludenti l’offerta dell’aggiudicataria, per proseguire con vizi della procedura posti in essere dal seggio di gara; infine, prendere in esame le criticità che si appuntano sulla valutazione della bontà e congruità delle offerte, e, in tale ultimo ambito, vagliare il ricorso incidentale; nella specie, quindi, in occasione dello scrutinio (ove mai ritenuto ammissibile in quanto non implicante l’esercizio di giurisdizione di merito da parte del giudice amministrativo), delle reciproche illegittimità asseritamente incidenti sulla valutazione delle offerte tecniche e l’attribuzione dei punteggi da parte della commissione giudicatrice.
A tali principi si atterrà la V Sezione nel prosieguo del giudizio.
6. LA NATURA GIURIDICA DELLA PROCEDURA DI GARA DI HOUSING SOCIALE.
6.1. Anticipando le conclusioni tratte dagli argomenti che saranno esposti nel presente § 6, l’Adunanza plenaria ritiene che dall’esame del contenuto degli elementi essenziali del programma di housing sociale intrapreso da Roma Capitale (retro §§ 1.1. – 1.3.), emerge che è stata posta in essere una iniziativa di partenariato pubblico – privato per la gestione di un servizio pubblico locale di rilievo economico e a domanda individuale, mediante lo strumento della concessione di servizio pubblico.
Il partenariato pubblico – privato, secondo i principi sottostanti le risoluzioni del Parlamento europeo di maggiore interesse in parte qua (14 gennaio 2004 concernente il libro verde sui servizi di interesse generale, 26 ottobre 2006 concernente i partenariati pubblico – privati e il diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni), recepite dal codice dei contratti (art. 3, co. 15 ter, introdotto dal d.lgs. 11 settembre 2008, n. 152, c.d. terzo correttivo, e dunque applicabile ratione temporis alla procedura in oggetto), si realizza anche attraverso la formula organizzatoria della concessione di servizi che dà vita ad un partenariato non istituzionale (ovvero senza la creazione di enti ad hoc preposti alla gestione della collaborazione e del servizio).
A sua volta, l’art. 3, co. 12, del codice dei contratti pubblici, definisce la concessione di servizi come «un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo».
6.1.1. L’housing sociale si è sviluppato alla metà del secolo scorso, nei paesi dell’Europa settentrionale, in conseguenza dell’evoluzione della scienza urbanistica, come tentativo di ampliare, qualificandola, l’offerta degli alloggi in affitto (e in misura minore anche in vendita), mettendo a disposizione nuove unità abitative a favore di quelle persone che, escluse per ragioni di reddito dall’accesso all’edilizia residenziale pubblica, non sono tuttavia in grado di sostenere i costi del libero mercato.
Tale istituto nasce, pertanto, dalla necessità di ripensare gli insediamenti di edilizia sociale sul territorio non solo sotto un profilo quantitativo ma anche sul versante economico-qualitativo: l’housing sociale si presenta, quindi, come una modalità d’intervento nella quale gli aspetti immobiliari vengono studiati in funzione dei contenuti sociali, offrendo una molteplicità di risposte per le diverse tipologie di bisogni, dove il contenuto sociale è prevalentemente rappresentato dall’accesso a una casa dignitosa per coloro che non riescono a sostenere i prezzi di mercato, ma anche da una specifica attenzione alla qualità dell’abitare.
La finalità dell’housing sociale è di migliorare la condizione di queste persone, favorendo la formazione di un contesto abitativo e sociale dignitoso all’interno del quale sia possibile, non solo accedere ad un alloggio adeguato, ma anche a relazioni umane ricche e significative. Data la sostanziale assenza di sovvenzioni pubbliche, l'housing sociale si focalizza su quella fascia di cittadini che sono disagiati in quanto impossibilitati a sostenere un affitto di mercato, ma che non lo sono al punto tale da poter accedere all’edilizia residenziale pubblica, finendo con il rappresentare, nel contempo, una politica volta all'incremento del patrimonio in affitto a prezzi calmierati o controllati.
L’housing sociale si sostanzia in un programma attraverso il quale si progetta di realizzare un insieme di alloggi e servizi, di eseguire azioni e strumenti, tutti rivolti a coloro che non riescono a soddisfare sul mercato il proprio bisogno abitativo, per ragioni economiche o per l’assenza di un’offerta adeguata. Tra le molteplicità di risposte offerte dall’housing sociale vi sono l’affitto calmierato, l’acquisto della casa mediante l’auto-costruzione e le agevolazioni finanziarie, nonché soluzioni integrate per le diverse tipologie di bisogni.
In Italia, il progressivo ritiro della mano pubblica dagli investimenti immobiliari a fini sociali e la bolla speculativa del mercato immobiliare, che ha toccato insieme vendita e locazioni, hanno contribuito non poco ad allargare l’area del disagio, sbarrando o rendendo impervio l’accesso alla casa a vaste categorie di persone (giovani coppie, pensionati, famiglie monoparentali, ecc.).
In questo contesto socio economico si è inserito il legislatore attraverso alcune disposizioni normative che hanno individuato, fra l’altro, i destinatari di tali progetti, ovvero le categorie alle quali possono essere destinati gli alloggi realizzati mediante tale programma: l'art. 11, co. 2 del d.l. 25 giugno 2008 n. 112 convertito con la legge 6 agosto 2008 n. 133 – recante la disciplina generale per la realizzazione del c.d. Piano casa al fine di garantire su tutto il territorio nazionale i livelli minimi essenziali di fabbisogno abitativo per il pieno sviluppo della persona umana - ha segnalato le seguenti categorie di destinatari:
a) nuclei familiari a basso reddito, anche monoparentali o monoreddito;
b) giovani coppie a basso reddito;
c) anziani in condizioni sociali o economiche svantaggiate;
d) studenti fuori sede;
e) soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio;
f) altri soggetti in possesso dei requisiti di cui all’art. 1 della legge 8 febbraio 2007 n. 9 (particolari categorie sociali, soggette a procedure esecutive di rilascio per finita locazione degli immobili adibiti ad uso di abitazioni e residenti nei comuni capoluoghi di provincia, nei comuni con essi confinanti con popolazione superiore a 10.000 abitanti e nei comuni ad alta tensione abitativa);
g) immigrati regolari a basso reddito, residenti da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nella medesima regione.
In attuazione della normativa primaria, il d.P.C.M. 16 luglio 2009 - recante l’approvazione del Piano nazionale di edilizia abitativa c.d. Piano casa – ha previsto espressamente, quale prima linea di intervento, la costituzione di un sistema integrato nazionale e locale di fondi immobiliari per l’acquisizione e la realizzazione di immobili per l’edilizia residenziale ovvero la promozione di strumenti finanziari immobiliari innovativi, con la partecipazione di soggetti pubblici e privati per la valorizzazione e l’incremento dell’offerta abitativa in locazione (art. 1).
6.1.2. All’interno del delineato quadro normativo, urbanistico, edilizio e finanziario, si è collocato il Comune di Roma nel tentativo di soddisfare le esigenze della popolazione appartenente a diverse fasce sociali. Già in sede di approvazione del nuovo p.r.g., l’housing sociale è stato inserito fra gli obbiettivi da realizzarsi mediante criteri di perequazione nonché modalità e procedure per l'acquisizione di aree; sono seguite specifiche iniziative tese a verificare, sotto il profilo finanziario, giuridico ed amministrativo, la fattibilità dell’intervento di housing sociale (cfr. la deliberazione consiliare n. 23 del marzo del 2010, recante gli indirizzi per il c.d. Piano casa di Roma, che ha proposto un programma organico di iniziative da intraprendere per il soddisfacimento dei bisogni alloggiativi per il c.d. segmento debole della popolazione comunale, giungendo a stimare necessaria la realizzazione di 25.700 alloggi entro il 2016).
6.2. Individuate le basi normative ed amministrative, nonché la finalità immanente del programma di housing sociale di Roma Capitale, si passa a verificare la presenza degli indici rivelatori della concessione di servizio pubblico, quali delineati, nel corso del tempo, dalle fonti europee e nazionale (cfr. Comunicazioni interpretative della Commissione europea 5 febbraio 2008 e 12 aprile 2000; direttive 2004/18 e 2004/17; artt. 3, co. 12, e 30 codice dei contratti pubblici; artt. 112 e 113 t.u.e.l.; circolari della P.C.M. nn. 3944 del 1 marzo 2002 e 8756 del 6 giugno 2002), nonché dai principi elaborati dalla giurisprudenza europea e nazionale (cfr. da ultimo Corte giust. 15 ottobre 2009, C-196/08; 13 settembre 2007, C-260/04; Corte cost., 7 giugno 2013, n. 134; 12 aprile 2013, n. 67; 20 luglio 2012, n. 199; 17 novembre 2010, n. 325; Cass. civ., sez. un., 15 giugno 2009, n. 13892; 22 agosto 2007, n. 17829; Cons. Stato, ad. plen., 7 maggio 2013, n. 13; 3 marzo 2008, n. 1).
6.2.1. Nel particolare caso di specie sono presenti tutti gli indici che sono stati ritenuti, nel tempo, come qualificanti una concessione di servizio pubblico locale, di rilievo economico e a domanda individuale.
In dettaglio:
a) la presenza di un autentico servizio pubblico locale rivolto alla produzione di beni e utilità per obiettive esigenze sociali – ovvero, secondo il linguaggio dell’Unione europea (artt. 16 e 86 del Trattato FUE), un servizio di interesse economico generale che viene a svolgere una funzione essenziale nell’ambito della costituzione economica di tutti i Paesi membri, dovendosi intendere per tale quello rivolto all’utenza, capace di soddisfare interessi generali e di garantire una redditività - del quale i cittadini usufruiscono uti singuli e come componenti la collettività;
b) la prestazione a carico degli utenti che si riscontra tipicamente nei servizi a domanda individuale (nella specie gli utenti devono partecipare ad apposita selezione, gestita dal concessionario, per l’assegnazione degli alloggi, versando di volta in volta il corrispettivo della locazione o delle varie tipologie di vendita in base al complesso sistema tariffario individuato dalla legge di gara);
c) l’assunzione a carico del concessionario del rischio economico relativo alla gestione del servizio; sul punto, deve reputarsi irrilevante che la legge di gara abbia previsto un parziale corrispettivo a carico di Roma Capitale, stante il suo carattere meramente eventuale, frutto della scelta dell’offerente finalizzata alla garanzia dell’equilibrio finanziario dell’impresa, scelta comunque penalizzante in sede di attribuzione del relativo punteggio; inoltre, la subordinazione al pagamento di un corrispettivo — rilevante nella prospettiva europea e nazionale in sede di distinzione tra la figura dell’appalto e quella della concessione — dipende dalle caratteristiche tecniche del servizio e dalla volontà «politica» dell’ente ma non incide, ex se, sulla sua qualifica di servizio pubblico e non può essere pertanto sopravalutata;
d) la preordinazione dell’attività a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti, tendenzialmente a tempo indeterminato o comunque per un periodo di lunga durata (nella specie il rapporto concessorio ha una durata pari a 25 anni);
e) la sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi, tra i quali quelli di esercizio e tariffari, volti a conformare l’espletamento dell’attività a regole di continuità, regolarità, capacità tecnico-professionale e qualità, perché ciò che connota in modo rilevante la natura di servizio pubblico è il conseguimento di fini sociali a favore della collettività per il tramite dell’attività svolta dal gestore;
f) la delega traslativa di poteri organizzatori dall’ente al privato (nella specie, non solo i compiti in materia di stazione appaltante per la realizzazione di opera monumentale, ma soprattutto quelli organizzatori inerenti la scelta dei beneficiari, l’assegnazione degli alloggi, la gestione dei conseguenti rapporti); tale elemento deve esprimere, al di là del nomen iuris impiegato dalla legge di gara (concessione, assegnazione, affidamento, contratto di servizio, atto di incarico), la sostanza di un atto di organizzazione e, in quanto tale, ontologicamente diverso da un contratto di appalto; vi è dunque una proiezione esterna dell’utilitas perseguita con l’atto concessorio, a differenza della dimensione interna dell’utilitas che si consegue con il contratto di appalto; solo grazie al modulo concessorio è possibile esternalizzare il servizio affidandone la gestione a soggetti privati per i quali il vantaggio è costituito dalla possibilità di esigere un prezzo (tariffa) nei confronti degli utenti, donde l’importanza della durata del rapporto idonea a far conseguire un utile al concessionario (caratteristiche queste tutte presenti nella fattispecie per cui è causa);
g) il contenuto del programma di housing, inoltre, si caratterizza per la sua struttura trilaterale in quanto tutte le prestazioni dei soggetti coinvolti fanno capo all’amministrazione, al gestore ed agli utenti, mentre nel contratto d’appalto, come noto, il rapporto ha carattere bilaterale (nella specie è pacifico che la gran parte delle prestazioni del concessionario sono rivolte a soddisfare esigenze dell’utenza disagiata, nel rispetto dei vincoli gestionali imposti e monitorati dall’amministrazione).
6.3. Non è di ostacolo alla qualificazione della procedura in esame quale concessione di servizio pubblico, la circostanza che, nel caso di specie, il concessionario prescelto, in ossequio al contenuto del programma di housing, debba realizzare anche cospicui lavori.
6.3.1. Qualora un affidamento contempli l’esecuzione di lavori congiuntamente alla gestione di un servizio, la linea di demarcazione tra i diversi istituti va individuata avendo di mira la direzione del nesso di strumentalità che lega gestione del servizio ed esecuzione dei lavori, nel senso che solo laddove la gestione del servizio sia servente rispetto alla costruzione delle opere è configurabile l’ipotesi della concessione di lavori pubblici; viceversa, l’inserimento dei lavori all’interno di un programma complesso rivolto alla gestione di servizi volti a soddisfare esigenze primarie di grande rilievo sociale ed economico (il disagio abitativo delle fasce deboli della popolazione), induce a ritenere che siano i lavori a porsi in termini obbiettivamente accessori o secondari rispetto alla gestione delle strutture al servizio della collettività; alle medesime conclusioni è giunta l’Adunanza plenaria in relazione alla connessione ravvisata fra appalti di servizi (accessori e strumentali), rispetto a concessione di servizio pubblico ritenuta prevalente (cfr. Ad. plen. 6 agosto 2013, n. 19).
Tale impostazione è conforme ai principi elaborati dalla giurisprudenza comunitaria (cfr. Corte giust. 14 novembre 2001, C-310/01; 18 novembre 1999, C-107/98; 19 aprile 1994, C-331/92), per l’individuazione della disciplina applicabile ai contratti di appalto misti, quando vengono in considerazione prestazioni di lavori e servizi: in tal caso, infatti, occorre avere riguardo all’oggetto principale della prestazione secondo la funzione prevalente o accessoria svolta da ciascuna componente (c.d. criterio qualitativo), a prescindere dal valore economico delle prestazioni medesime (c.d. criterio quantitativo). Per completezza si evidenzia che tali principi sono stati recepiti, con alcune peculiarità, dall’art. 14 del codice dei contratti (salvo il temperamento costituito dal criterio quantitativo, inteso come canone esegetico per la determinazione delle prestazioni, che cede, però, a fronte del carattere meramente accessorio dell’una prestazione rispetto all’altra).
6.3.2. Nella specie, deve evidenziarsi che:
a) tutte le opere (sia quelle pubbliche, sia quelle di pubblica utilità sia quelle commerciali), sono destinate, nel loro complesso, ad assicurare il servizio di housing sociale garantendo condizioni di vita decorose a tutti i futuri utenti che saranno selezionati in base alle apposite graduatorie;
b) il valore delle opere pubbliche in senso proprio (alloggi di edilizia residenziale pubblica, scuola pubblica ed opere di urbanizzazione), è di gran lunga inferiore al valore dell’insieme delle opere di pubblica utilità e di quelle meramente private (secondo il dato riportato dalla difesa dell’A.t.i. Stile a pagina 14 del gravame incidentale, dato non contestato specificamente da controparte, solo il 15% degli alloggi complessivi è destinato a edilizia residenziale pubblica, mentre la restante parte, oltre il 75%, riguarda la realizzazione di alloggi privati, oltre agli immobili a destinazione commerciale);
c) la durata del rapporto esorbita dai tempi strettamente necessari alla realizzazione delle opere in quanto il servizio di assegnazione e gestione degli alloggi si sviluppa in un arco minimo di 25 anni.
6.4. Assodata la natura di concessione di servizio pubblico locale della procedura in contestazione, ne deriva l’applicazione dell’art. 30 del codice dei contratti pubblici nella cornice esegetica delineata nel tempo dall’Adunanza plenaria (cfr. 6 agosto 2013, n. 19; 7 maggio 2013, n. 13; 3 marzo 2008, n. 1).
Il compendio di norme sancite dall’art. 30 cit., rispecchia l’elaborazione comunitaria in ordine:
a) al limitato spazio che occupa la concessione di servizi nella direttiva 2004/18: una scarna definizione nell’art. 1 ed un'unica regola di non discriminazione dei fornitori nell’art. 3, con espressa previsione, per il resto, di esclusione dall’ambito della direttiva (art. 17);
b) all’applicazione dei principi del Trattato FUE alle concessioni di servizi;
c) all’essenzialità della traslazione del rischio di gestione al concessionario.
Ne discende, da un lato, l’inapplicabilità diretta delle disposizioni del codice dei contratti pubblici (art. 30, co. 1), dall’altro, l’obbligo di rispettare i principi desumibili dal Trattato FUE e i principi generali relativi ai contratti pubblici (trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, gara informale, predeterminazione dei criteri selettivi).
6.5. Si tratta a questo punto di stabilire, in relazione alla controversia sottoposta all’esame dell’Adunanza plenaria, la natura giuridica e la portata applicativa della norma sancita dall’art. 37, co. 13, codice dei contratti pubblici; è irrilevante, ai fini della decisione, che la questione sia stata sottoposta dalla V Sezione nella diversa prospettiva dell’art. 27 del codice dei contratti pubblici (in luogo dell’art. 30), perché in entrambi i casi è necessario comunque individuare i principi desumibili dal Trattato FUE e i principi generali relativi ai contratti pubblici (fra cui quello di trasparenza di cui si lamenta la lesione da parte della ditta Pessina).
Vanno allo scopo applicati i criteri di indagine elaborati di recente da questa Adunanza plenaria proprio al fine di individuare quali disposizioni del codice dei contratti pubblici siano espressive di principi generali (di derivazione europea ovvero solo nazionale), e dunque capaci di integrare la disciplina delle gare per la selezione di concessionari di servizi pubblici (cfr. Ad. plen., 6 agosto 2013, n. 19; 7 maggio 2013, n. 13).
In sintesi è sufficiente ribadire che:
a) la regola generale, a mente dell’art. 30, co. 1. cit., è nel senso che alle concessioni di servizio pubblico non si applicano le disposizioni specifiche del codice dei contratti pubblici;
b) si deve tener conto del fatto che in linea teorica tutte le norme di dettaglio del codice costituiscono una derivazione, più o meno diretta, di principi (o più semplicemente di esigenze) generali;
c) in senso proprio costituiscono principi generali applicabili alle concessioni di servizio, non solo i c.d. super principi o valori di sistema, di solito espressamente indicati nelle parti iniziali dei codici di settore (nella specie art. 2 codice dei contratti pubblici), ma anche quelli che si traggono da talune specifiche norme;
d) tuttavia, l’applicabilità di talune disposizioni specifiche di tali codici è predicabile solo quando esse superino uno scrutinio rigoroso di indagine basato sull’accertamento della natura dell’interesse presidiato dal precetto e della sua ampiezza applicativa, trovando la propria ratio immediata e diretta nella tutela di valori immanenti al sistema (nella specie dei contratti pubblici di appalto di lavori, servizi e forniture), in funzione nomo genetica rispetto alle singole norme costitutive delle codificazioni di settore.
7. LA NATURA GIURIDICA E LA PORTATA APPLICATIVA DELLA NORMA SANCITA DALL’ART. 37, CO. 13, CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI.
7.1. L’art. 37, co. 13, cit., nel testo vigente alla data del bando, era il seguente: <<13. I concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento. >>.
Successivamente tale disposizione è stata novellata dalla lettera a), del comma 2-bis dell’art. 1 del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, introdotto dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135 (con decorrenza dal 15 agosto 2012 data di entrata in vigore della legge di conversione): <<13. Nel caso di lavori, i concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento. >>.
7.2. Prima della novella del 2012, la giurisprudenza amministrativa (cfr. da ultimo Cons. St., sez. V, 29 settembre 2013, n. 4753; sez. VI, 20 settembre 2013, n. 4676), per alcuni aspetti corroborata da recenti pronunce dell’Adunanza plenaria (cfr. 13 giugno 2012, n. 22 e 5 luglio 2012, n. 26 in tema di appalti di servizi), si era consolidata - sulla scorta di una lettura unitaria della norma sancita dal comma 13 cit. con quella di cui al comma 4 del medesimo articolo 37, secondo cui: <<4.Nel caso di forniture o servizi nell’offerta devono essere specificate le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati>> - nell’affermazione dei seguenti principi, da cui questa Adunanza non intende decampare:
a) corrispondenza sostanziale, già nella fase dell'offerta, tra le quote di partecipazione all’a.t.i. e le quote di esecuzione delle prestazioni, costituendo la relativa dichiarazione requisito di ammissione alla gara, e non contenuto di obbligazione da far valere solo in sede di esecuzione del contratto;
b) funzione dell’obbligo di corrispondenza fra quote di partecipazione ed esecuzione ravvisata nelle seguenti esigenze: I) conoscenza preventiva, da parte della stazione appaltante, del soggetto incaricato di eseguire le prestazioni e della misura percentuale, al fine di rendere più spedita l’esecuzione del rapporto individuando ciascun responsabile; II) agevolare la verifica della competenza dell’esecutore in relazione alla documentazione di gara; III) prevenire la partecipazione alla gara di imprese non qualificate;
c) trattandosi di un precetto imperativo che introduce un requisito di ammissione, quand'anche non esplicitato dalla lex specialis, la eterointegra ai sensi dell’art. 1339 c.c. sicché la sua inosservanza determina l'esclusione dalla gara (sulla non necessità, ai sensi dell’art. 46, co. 1 bis, codice dei contratti pubblici, che la sanzione della esclusione sia espressamente prevista dalla norma di legge allorquando sia certo il carattere imperativo del precetto che impone un determinato adempimento ai partecipanti ad una gara, cfr. Adunanza plenaria 16 ottobre 2013, n. 23; 7 giugno 2012, n. 21);
d) tale obbligo di dichiarazione in sede di offerta si impone per tutte le tipologie di a.t.i. (costituite, costituende, verticali, orizzontali), per tutte le tipologie di prestazioni (scorporabili o unitarie, principali o secondarie), e per tutti i tipi di appalti (lavori, servizi e forniture), indipendentemente dall’assoggettamento della gara alla disciplina comunitaria;
e) poiché l’obbligo di simmetria tra quota di esecuzione e quota di effettiva partecipazione all’a.t.i. scaturisce e si impone ex lege, è necessaria e sufficiente, in sede di formulazione dell’offerta, la dichiarazione delle quote di partecipazione a cui la legge attribuisce un valore predeterminato che è quello della assunzione dell’impegno da parte delle imprese di eseguire le prestazioni in misura corrispondente.
7.3. All’interno del su riferito indirizzo giurisprudenziale si è sviluppato un filone esegetico che ha divisato un ulteriore necessario parallelismo, in modo congiunto, anche fra quote di partecipazione, requisiti di qualificazione e quote di esecuzione.
Tale impostazione deve essere respinta perché:
a) in contrasto con il tenore testuale delle disposizioni del codice dei contratti pubblici (e segnatamente, i commi 4 e 13 dell’articolo 37), che non consentono di avallare una siffatta opzione interpretativa;
b) in contrasto con la sistematica del codice (e del regolamento attuativo), che disciplina in maniera completa e nella sede propria il regime della qualificazione delle imprese anche riunite in a.t.i., per i lavori, mentre affida alla legge di gara ogni determinazione in materia per gli appalti di servizi e forniture, salvi i limiti sanciti dagli artt. 41 – 45;
c) si rileva, inoltre, che una siffatta opzione (volta a superare e, di fatto, integrare l’espressa previsione di legge – comma 13 dell’articolo 37 – la quale si limita ad imporre il parallelismo fra le quote di partecipazione e quelle esecuzione), determinerebbe in molti casi l’effetto di escludere dalle pubbliche gare raggruppamenti ai cui partecipanti sarebbe ascritto null’altro se non una sorta di eccesso di qualificazione; l'approccio in questione si porrebbe in contrasto con i principi del favor partecipationis e della libertà giuridica di impresa, negando in radice la possibilità per taluni operatori economici (in particolare quelli maggiormente qualificati), di individuare in modo autonomo la configurazione organizzativa ottimale per partecipare alle pubbliche gare.
7.4. Il quadro unitario così faticosamente ricostruito dalla giurisprudenza, ha subito, successivamente alla novella introdotta dal d.l. n. 95 del 2012, una frattura che conduce ad una lettura atomistica delle norme sancite dai più volte richiamati commi 4 e 13 dell’art. 37 codice dei contratti pubblici.
Deve ritenersi, invero, che:
a) giusta il tenore letterale della nuova disposizione e la sua finalità di semplificare gli oneri di dichiarazione incombenti sulle imprese raggruppate che operano nel mercato dei contratti pubblici, l’obbligo di corrispondenza fra quote di partecipazione e quote di esecuzione sancito dal più volte menzionato comma 13, sia rimasto circoscritto ai soli appalti di lavori;
b) per gli appalti di servizi e forniture continua a trovare applicazione unicamente la norma sancita dal comma 4 dell’art. 37, che impone alle imprese raggruppate il più modesto obbligo di indicare le parti del servizio o della fornitura facenti capo a ciascuna di esse, senza pretendere anche l’obbligo della corrispondenza fra quote di partecipazione e quote di esecuzione, fermo restando, però, che ciascuna impresa deve essere qualificata per la parte di prestazioni che si impegna ad eseguire, nel rispetto delle speciali prescrizioni e modalità contenute nella legge di gara;
c) rimane inteso, in entrambi i casi, che le norme in questione continuano ad esprimere un precetto imperativo da rispettarsi a pena di esclusione e sono dunque capaci di eterointegrare i bandi silenti.
7.5. Una volta ricostruito il compendio delle norme (anche nella loro evoluzione diacronica), e dei principi costitutivi del micro ordinamento di settore, è agevole riscontrare che il dovere di corrispondenza fra quote di partecipazione e quote di esecuzione in capo alle imprese raggruppate, sancito dall’art. 37, co. 13, cit., non esprime un principio generale del Trattato e della disciplina dei contratti, segnatamente a tutela del valore della trasparenza, poiché l’esigenza che soddisfa, pur meritevole di apprezzamento per scelta della legge, si esaurisce completamente all’interno della sfera di interessi della stazione appaltante, in funzione di esigenze di semplice correntezza dell’azione amministrativa, rendendo più agevoli i compiti di accertamento e controllo da parte del seggio di gara.
Pertanto, all’esito dello scrutinio rigoroso di indagine basato sull’accertamento della natura dell’interesse presidiato dal precetto e della sua ampiezza applicativa (retro § 6.5.), non si può affermare che la ratio essendi di tale norma sia incentrata, in via immediata e diretta, nella tutela di valori immanenti al sistema dei contratti pubblici.
Anche la novella introdotta dal d.l. n. 95 del 2012, pur non applicabile ratione temporis alla fattispecie per cui è causa, avvalora e rafforza le su esposte conclusioni esegetiche perché dimostra che il legislatore, nel circoscrivere la portata applicativa dell’obbligo di corrispondenza fra quote di partecipazione e quote di esecuzione ai soli appalti di lavori, ha mostrato di ritenerlo una precetto vincolante non per l’intero settore dei contratti (comprensivo di forniture e servizi), ma solo per il più ristretto ambito dei lavori pubblici col che facendo venir meno anche il profilo soggettivo (inteso quale comunanza della regola a tutti gli appalti), del principio generale, residuando un precetto che se pure è imperativo rimane confinato ai soli appalti di lavori.
7.6. In conclusione, avuto riguardo alla seconda questione sottoposta all’Adunanza plenaria, deve enunciarsi il seguente principio di diritto: <<la norma sancita dall’art. 37, co. 13, codice dei contratti pubblici (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163), che impone ai concorrenti riuniti, già in sede di predisposizione dell’offerta, l’indicazione della corrispondenza fra quota di partecipazione al raggruppamento e quota di esecuzione delle prestazioni (per i contratti di appalto di lavori, servizi e forniture fino al 14 agosto 2012 e per i soli contratti di appalto di lavori a decorrere dal 15 agosto 2012) - pur integrando un precetto imperativo capace di imporsi anche nel silenzio della legge di gara come requisito di ammissione dell’offerta a pena di esclusione - non esprime un principio generale desumibile dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea ovvero dalla disciplina dei contratti pubblici di appalto e come tale, a mente dell’art. 30, co. 3, del medesimo codice, non può trovare applicazione ad una selezione per la scelta del concessionario di un pubblico servizio>>.
8. L’ESAME DEI PRIMI DUE MOTIVI DEL RICORSO PRINCIPALE DI PRIMO GRADO PROPOSTO DALLA DITTA PESSINA.
Alla luce dell’acclarata natura giuridica della procedura contestata, dell’ambito applicativo della norma sancita dall’art. 37, co.13, codice dei contratti pubblici (non estensibile alle concessioni di servizio pubblico), e della omessa impugnativa della lex specialis da parte della ditta Pessina, emerge l’infondatezza, in fatto e diritto, dei primi due motivi del ricorso principale di primo grado (retro § 2.2.).
8.1. In fatto è sufficiente osservare che la lex specialis, certamente non impugnata in parte qua, ha previsto un compendio di regole (fra l’altro, in tema di partecipazione alle a.t.i. in gara di cooperative di abitazione e loro consorzi, di corrispondenza di quote - di partecipazione, esecuzione e qualificazione – di possesso e accertamento dei requisiti tecnici e di qualificazione), del tutto incompatibile con quelle prese a presupposto della tesi di Pessina; ne discende in particolare, anche alla luce delle ulteriori risultanze istruttorie acquisite in atti:
a) l’incontestabilità della scelta dell’amministrazione di far partecipare, in sede di gara, cooperative di abitazione (e loro consorzi) senza attribuire loro quote di esecuzione di lavori, nonché la logicità di tale scelta posto che tali soggetti hanno il compito di gestire la delicata fase della assegnazione degli alloggi, e dei conseguenti adempimenti (ovvero la locazione e vendita dei medesimi alloggi);
b) l’insussistenza della violazione dell’obbligo, da parte del consorzio A.I.C., di indicazione della consorziata, ex art. 34, co. 1, lett. b) e c) del codice dei contratti pubblici, in quanto quest’ultima disposizione si riferisce alle cooperative di produzione e lavoro (mentre A.I.C. è un Consorzio di cooperative di abitazione);
c) la prova del possesso, da parte delle imprese incaricate della esecuzione dei lavori nell’ambito dell’At.i. Stile, dei requisiti minimi di capacità tecnica, di qualificazione e di certificazione di qualità imposti dalla legge di gara.
8.2. Le doglianze della ditta Pessina sono altresì inaccoglibili in diritto, per tutte le ragioni illustrate nei precedenti §§ 6 e 7 , in quanto muovono dai seguenti erronei presupposti:
a) che la procedura selettiva per cui è causa sia qualificabile in termini sostanziali di appalto di lavori, perché, esaminando l’oggetto del rapporto, spiccherebbe la prevalenza delle prestazioni costruttive; al contrario, si è in presenza di una concessione di servizio pubblico locale, alla luce dei dati sia qualitativi che quantitativi sopra esposti;
b) che esista un principio di necessaria corrispondenza, in tema di a.t.i., fra quote di partecipazione, quote di esecuzione e quote di qualificazione in materia di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, mentre, al contrario, la corrispondenza corre solo fra quote di partecipazione e quote di esecuzione (e solo per gli appalti di lavori a decorrere dal 15 agosto 2012);
c) che la norma sancita dall’art. 37, co. 13, nella parte in cui impone, in tema di a.t.i., la corrispondenza fra quote di partecipazione e quote di esecuzione, esprima un principio generale in materia di trasparenza e, in quanto tale, sia applicabile ai sensi degli artt. 27, co. 1, e 30, co. 3, codice dei contratti pubblici, ai contratti esclusi ed alle concessioni di servizi pubblici; al contrario, tale norma esprime un precetto imperativo limitato ai soli appalti.
9. L’INCIDENZA DELLE STATUIZIONI DELL’ADUNANZA PLENARIA SUGLI APPELLI IN TRATTAZIONE.
In conclusione:
a) la corretta applicazione, da parte dell’impugnata sentenza, dei principi in tema di rapporti fra ricorso principale e ricorso incidentale conduce alla reiezione del primo motivo di appello dell’A.t.i. Stile (nei limiti precisati retro al § 5.8.);
b) l’assodata infondatezza dei primi due motivi del ricorso principale di primo grado della ditta Pessina, conduce all’accoglimento integrale dell’appello proposto dal comune di Roma e del secondo motivo dell’appello dell’A.t.i. Stile;
c) l’Adunanza plenaria restituisce gli atti alla V Sezione del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, commi 1, ultimo periodo, e 4, c.p.a., affinché si pronunci sui restanti motivi (dal III° al VII°), dell’originario ricorso principale, sui motivi aggiunti e sulla domanda di risarcimento del danno proposti in primo grado dalla ditta Pessina, nonché (ed eventualmente) sul ricorso incidentale proposto dall’A.t.i. Stile.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), non definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti come in epigrafe proposti:
a) accoglie in toto l’appello proposto da Roma Capitale (già Comune di Roma), ed in parte quello proposto dall’A.t.i. Stile, e per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, respinge i primi due motivi del ricorso di primo grado proposto dalla ditta Pessina;
b) formula i principi di diritto di cui in motivazione;
c) restituisce gli atti alla V Sezione del Consiglio di Stato per ogni ulteriore statuizione, in rito, nel merito nonché sulle spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Riccardo Virgilio, Presidente
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Stefano Baccarini, Presidente
Alessandro Pajno, Presidente
Marzio Branca, Consigliere
Vito Poli, Consigliere, Estensore
Francesco Caringella, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Nicola Russo, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere


IL PRESIDENTE



L'ESTENSORE
IL SEGRETARIO





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/01/2014
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Il Dirigente della Sezione