ADUNANZE PLENARIE & GIURISDIZIONE:
sussiste la giurisdizione ordinaria
per la revoca di un contributo pubblico
per inadempimento del beneficiario
(Cons. St., Ad. Plen.,
sentenza 29 gennaio 2014 n. 6).
Un'interessante Plenaria che spazia dalla giurisdizione esclusiva del G.A. ai principi di concentrazione processuale e di diritto di difesa. Passando per un'interpretazione restrittiva delle storiche sentenze della Consulta nn. 204/04 e 191/06.
Massima
1. Sussiste
la giurisdizione del giudice ordinario in materia di revoca di un contributo
finanziario disposta assumendo l’inadempimento da parte del beneficiario delle
obbligazioni assunte, per avere realizzato un programma di investimento diverso
da quello approvato per l’ottenimento delle agevolazioni.
2. Trattasi
difatti di autotutela "privatistica" della P.A..
3. La
posizione giuridica fatta valere è inoltre di diritto soggettivo, e nel caso di
specie non sussiste neanche la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo (condizione necessaria ma non sufficiente ad ogni modo, giacché
deve sussistere l'esercizio del potere pubblico, almeno in via mediata, escluso
dal presupposto di quest'ultimo, ossia l'inadempimento).
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza
Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 37 di A.P. del
2013, proposto da:
Cicoria Alberto, Cicoria Massimo rappresentati e difesi dall’avvocato Giovanni Bruno, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo in Roma, via Savoia 31 int. 2;
Cicoria Alberto, Cicoria Massimo rappresentati e difesi dall’avvocato Giovanni Bruno, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo in Roma, via Savoia 31 int. 2;
contro
Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero
dell’Economia e delle Finanze, in persona dei legali rappresentanti pro
tempore, entrambi rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale
dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
Unicredit s.p.a., non costituita nel presente grado di
giudizio;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE
III TER n. 01134/2013, resa tra le parti con cui è stata dichiarato il difetto
di giurisdizione - revoca totale del contributo in conto capitale già concesso;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del
Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero dell’Economia e delle
Finanze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 20
novembre 2013 il Consigliere Roberto Giovagnoli e uditi per le parti l’avvocato
Mariani per delega dell’avvocato Bruno e l’avvocato dello Stato Vittorio Russo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO
e DIRITTO
1. I signori Alberto e Massimo Cicoria, odierni
appellanti, hanno chiesto la riforma della sentenza in epigrafe indicata, con
la quale il Tribunale amministrativo del Lazio ha dichiarato il difetto di
giurisdizione del giudice amministrativo a decidere il ricorso n. 160 del 2013,
proposto avverso l’atto – emesso il 12 settembre 2012 – di revoca delle
agevolazioni già concesse dalla Cassa per il Mezzogiorno il 20 febbraio 1985
alla loro dante causa, signora Clara Morra, titolare della omonima ditta, a
causa della diversità dell’effettiva attività esercitata (servizi di
manutenzione) rispetto a quella (produzione in serie di mobili metallici)
prevista nel programma d’investimento a suo tempo approvato ai sensi e per gli
effetti dell’art. 69 d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218 (Testo unico delle leggi
sugli interventi nel Mezzogiorno).
2. Nella fattispecie in esame, le circostanze che
hanno determinato la contestata revoca sono emerse a seguito dell’accertamento
di spesa previsto dall’art. 73 del citato Testo unico, effettuato nello
stabilimento della ditta Morra il 18 settembre 1991, dopo il rilascio del
provvedimento che ha disposto il beneficio, per la mancata produzione delle
merci previste dalla classificazione ISTAT dichiarata nel programma approvato,
sostituite da servizi non ammissibili ai benefici della legge 2 maggio 1976, n.
183 (Disciplina dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno per il
quinquennio 1976-80), e quindi per ragioni inerenti alla qualificazione
dell’attività effettivamente esercitata.
3. Gli appellanti contestano la decisione,
evidenziando che la revoca costituisce esercizio di un pubblico potere,
sindacabile perciò dal giudice amministrativo.
4. La Sesta Sezione, con ordinanza 15 luglio 2013, n.
3789, ha rimesso all’Adunanza Plenaria la questione relativa alla
individuazione del giudice avente giurisdizione sulla domanda relativa
all’impugnazione della revoca dei contributi o agevolazioni concesse alle
imprese.
L’ordinanza di rimessione richiama la consolidata
giurisprudenza (delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del Consiglio di
Stato) secondo cui sussiste la cognizione del giudice ordinario quanto alle
controversie instaurate per contrastare l’Amministrazione che, servendosi degli
istituti della revoca, della decadenza o della risoluzione, abbia ritirato il
finanziamento o la sovvenzione sulla scorta di un preteso inadempimento, da
parte del beneficiario, degli obblighi impostigli dalla legge o dagli atti
concessivi del contributo in esame, mentre è configurabile una situazione soggettiva
d’interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice
amministrativo, se, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento
sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale
con il pubblico interesse.
5. La Sezione remittente, pur riconoscendo che in
fattispecie corrispondenti a quella ora in esame l’indirizzo giurisprudenziale
appena richiamato ravvisa pacificamente la sussistenza di un diritto soggettivo
e, quindi, la giurisdizione civile, ritiene, tuttavia, che i principi espressi
da tale giurisprudenza circa l’individuazione del giudice competente a
pronunciarsi sulla legittimità della revoca (basata su considerazioni generali
circa la nascita di un diritto soggettivo a seguito del rilascio del contributo
o della sovvenzione, e sulla qualificazione in termini di provvedimento
obbligato della revoca del finanziamento a causa della mancata conformità alle
norme che lo consentono: cfr. Cass. Sez. Un. 21 novembre 2011, n. 24409)
possano essere oggetto di una rimeditazione generale, che valga alla
riconduzione sistematica delle diverse questioni alla sola giurisdizione
amministrativa.
6. A sostegno del superamento del precedente indirizzo
giurisprudenziale, la Sezione, in parte anche richiamando le considerazioni
svolte nella precedente ordinanza di rimessione n. 517 del 2013, indica i
seguenti argomenti:
a) il potere di autotutela
dell’Amministrazione, esercitato con un atto di revoca (o di decadenza), in
base ai principi del contrarius actus, incide di per sé sempre su
posizioni d’interesse legittimo (come si evince dalla pacifica giurisprudenza
della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato attinente ai casi in cui una
concessione di un bene pubblico o di un servizio pubblico sia ritirata per qualsiasi
ragione, anche nell’ipotesi d’inadempimento del concessionario);
b) l’art. 7 del codice del processo
amministrativo dispone che il giudice amministrativo ha giurisdizione nelle
controversie “riguardanti provvedimenti, atti […] riconducibili anche mediatamente
all’esercizio” del potere pubblico, fra i quali rientrerebbe anche il
provvedimento di ritiro di un precedente atto a sua volta di natura
autoritativa;
c) la configurabilità di un potere
autoritativo e di un correlativo interesse legittimo, in presenza
dell’esercizio del potere di autotutela, risulta più rispondente alle esigenze
di certezza del diritto pubblico (divenendo l’atto di revoca inoppugnabile, nel
caso di mancata tempestiva impugnazione) ed a quelle di corretta gestione del
denaro pubblico, poiché l’esercizio del medesimo potere autoritativo agevola
non solo il rapido recupero della somma in ipotesi non dovuta, ma anche la
conseguente erogazione dei relativi importi ad altri soggetti, con ulteriori
atti aventi natura autoritativa (onde neppure si giustificherebbe sul piano
della logica giuridica l’attribuzione alla giurisdizione civile della
controversia riguardante la legittimità dell’atto di ritiro, mentre
indubbiamente sussiste quella amministrativa per le controversie riguardanti la
fase di ulteriore attribuzione delle risorse recuperate a seguito dell’atto di
ritiro);
d) la sussistenza della giurisdizione
amministrativa potrebbe anche essere affermata, in via esclusiva, in
considerazione dell’art. 12 della legge n. 241 del 1990, riguardante i “provvedimenti
attributivi di vantaggi economici”, che disciplina la “concessione di
sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari”, attribuendo il nomen
iuris di concessione a qualsiasi provvedimento che disponga
l’erogazione del denaro pubblico. Sotto tale profilo, potrebbe, allora,
risultare rilevante l’art. 133, comma 1, lettera b), cod. proc.
amm. sulla sussistenza della giurisdizione esclusiva per le “controversie
aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di
beni pubblici”.
e) la portata applicativa delle
disposizioni di legge sopra richiamate non sarebbe riducibile in via
interpretativa, per il rilievo da attribuire all’art. 44 della legge 18 giugno
2009, n. 69, che ha condotto all’approvazione del codice del processo
amministrativo, disponendo che il riassetto del medesimo dovesse avvenire “al
fine di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte
costituzionale e delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con le norme del
codice di procedura civile in quanto espressione di princìpi generali e di
assicurare la concentrazione delle tutele”). Infatti, la finalità di
adeguamento alla giurisprudenza della Corte costituzionale ha consentito
l’elaborazione dell’art. 7 del codice, ripetitivo di espressioni contenute
nelle sentenze della Corte stessa 6 luglio 2004, n. 204 e 11 maggio 2006, n.
191.
Inoltre, la distinta, e parimenti rilevante, finalità
di “assicurare la concentrazione delle tutele” può aver giustificato
l’attribuzione alla giurisdizione amministrativa delle controversie riguardanti
- per il tramite dell’esercizio del potere di autotutela - il ritiro dei
provvedimenti “attributivi di vantaggi economici”, aventi ex
lege natura concessoria, e dunque delle controversie che peraltro già
di per sé potevano essere riferite ai rapporti inerenti alla concessione di un
bene pubblico (il denaro), prima ancora delle modificazioni disposte dal codice
del processo amministrativo.
7. Alla camera di consiglio del 20 novembre 2013 la
causa è stata trattenuta per la decisione.
8. L’Adunanza Plenaria ritiene di dover confermare il
tradizionale e consolidato indirizzo giurisprudenziale, condiviso sia dalle
Sezioni Unite della Corte di Cassazione (cfr. Cass. Sez. Un., ordinanza 25
gennaio 2013, n. 1776; Cass. Sez. Un. 24 gennaio 2013, n. 1710; Cass. Sez. Un.
7 gennaio 2013, n. 150; Cass. Sez. Un. 20 luglio 2011, n. 15867; Cass. Sez. Un.
18 luglio 2008, n. 19806; Cass. Sez. Un. 26 luglio 2006, n. 16896; Cass. Sez.
Un. 10 aprile 2003, n. 5617), sia dal Consiglio di Stato (cfr., da ultimo, Ad.
Plen. 29 luglio 2013, n. 13), secondo cui il riparto di giurisdizione tra
giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di controversie riguardanti
la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche deve essere
attuato sulla base del generale criterio di riparto fondato sulla natura della
situazione soggettiva azionata, con la conseguenza che:
- sussiste sempre la giurisdizione del giudice
ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge,
mentre alla Pubblica Amministrazione è demandato soltanto il compito di
verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad
alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione
(cfr. Cass. Sez. Un. 7 gennaio 2013, n. 150);
- qualora la controversia attenga alla fase di
erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto
inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o
dall’acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato,
la giurisdizione spetta al giudice ordinario, anche se si faccia questione di
atti formalmente intitolati come revoca, decadenza o risoluzione, purché essi
si fondino sull'inadempimento alle obbligazioni assunte di fronte alla
concessione del contributo. In tal caso, infatti, il privato è titolare di un
diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario,
attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e
all'inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di
attribuzione (cfr. Cass. Sez. Un., ord. 25 gennaio 2013, n. 1776);
- viceversa, è configurabile una situazione soggettiva
d’interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice
amministrativo, solo ove la controversia riguardi una fase procedimentale
precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure
quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato
annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il
pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario (Cass. Sez. Un. 24
gennaio 2013, n. 1710; Cons. Stato, Ad. Plen. 29 luglio 2013, n. 17).
9. Le pur suggestive ed articolate argomentazioni
invocate nell’ordinanza di rimessione al fine di superare tale indirizzo
giurisprudenziale non possono essere condivise.
10. Anzitutto, deve essere disatteso l’argomento che –
muovendo dalla qualificazione del denaro come bene pubblico e, di conseguenza,
dell’atto di erogazione come provvedimento di natura concessoria – sostiene che
le controversie in materia di attribuzione (e, quindi, di revoca) di contributi
o agevolazioni finanziarie rientrerebbero nella giurisdizione esclusiva di cui
il giudice amministrativo dispone in materia di concessioni di beni pubblici ai
sensi dell’art. 133, lett. b) cod. proc. amm. (tesi sostenuta,
oltre che dall’ordinanza di remissione, anche da una parte minoritaria della
giurisprudenza amministrativa: cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 luglio 1993, n.
727; Cons. Stato, sez. IV, 2 agosto 2000, n. 4255; Cons. Stato, sez. VI, 16
febbraio 2005, n. 516).
Come hanno bene evidenziato le Sezioni Unite della
Corte di Cassazione nella sentenza 19 maggio 2008, n. 12641, deve essere
esclusa l’equiparabilità tra concessione di beni ed erogazione del denaro, in
quanto, anche se il denaro è annoverabile nella categoria dei beni, non va
confusa la figura della concessione a privati di benefici pubblici, che
presuppone l’uso temporaneo da parte dei privati di detti bene per una finalità
di pubblico interesse, con quella del finanziamento, che implica un tipo di
rapporto giuridico del tutto diverso, in forza del quale il finanziato
acquisisce la piena proprietà del denaro erogatogli ed eventualmente assume
l’obbligo di restituirlo in tutto o in parte ad una determinata scadenza. Ben
altrimenti, infatti, nell'uno e nell'altro caso, le finalità pubbliche
s'intrecciano con l'interesse del concessionario o del finanziato, e le ragioni
di non agevole distinguibilità tra posizioni di diritto soggettivo e
d’interesse legittimo, che sottostanno alla scelta legislativa di attribuire
alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in tema di
concessione di beni o servizi pubblici, non necessariamente ricorrono nei
rapporti di finanziamento. Né, d’altronde, il carattere eccezionale della
giurisdizione esclusiva ne consente l’applicazione al di là dei casi indicati
dalla legge (in questi termini Cass. Sez. Un. 19 maggio 2008, n. 12641, par. 3
della motivazione).
10.2. Inoltre, anche a prescindere dalla possibilità
di riconoscere natura concessoria all’atto di erogazione del contributo, va
ulteriormente evidenziato che alla sussistenza della giurisdizione
amministrativa osterebbe, comunque, la riserva, prevista dallo stesso art. 133,
lett. b) cod. proc. amm., a favore della giurisdizione ordinaria di
tutte le questioni patrimoniali inerenti a compensi vantati dal concessionario,
qualunque sia ilnomen in concreto utilizzato (“canoni, indennità
ed altri corrispettivi”) (in tal senso cfr., fra le altre, Cons. Stato,
sez. IV, 11 aprile 2002, n. 1989; Cass. Sez. Un. 11 gennaio 1994, n. 215; Cass.
Sez. Un. 10 dicembre 1993, n. 12164).
10.3. L’insussistenza di una giurisdizione esclusiva
afferente, in generale, alla materia di contributi pubblici risulta, inoltre,
confermata, argomentando a contrario, dalla recente introduzione,
ad opera della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (Norme generali sulla
partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e
delle politiche dell'Unione europea), nel testo dell’art. 133 del codice
del processo amministrativo della letteraz-sexies. La disposizione in
esame ha espressamente devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo “le controversie relative agli atti ed ai provvedimenti che
concedono aiuti di Stato in violazione dell'articolo 108, paragrafo 3, del
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e le controversie aventi ad
oggetto gli atti e i provvedimenti adottati in esecuzione di una decisione di
recupero di cui all'articolo 14 del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio
del 22 marzo 1999, a prescindere dalla forma dell'aiuto e dal soggetto che l’ha
concesso”.
In questo modo, la “concessione” di aiuti non
notificati e il “recupero” di aiuti incompatibili diventano, per
tabulas, materia di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Nell’ambito della variegata categoria dei contributi pubblici, il legislatore
ha, dunque, selezionato una species, (quella dei contributi che
costituiscono aiuti di Stato), attribuendoli espressamente alla giurisdizione
esclusiva, realizzando così una reductio ad unitatem, con l’effetto
di escludere le altre giurisdizioni nazionali (ordinaria e tributaria) e di
superare le diversità delle molteplici discipline sostanziali.
Appare evidente come una tale previsione, interferendo
con la questione oggetto del presente giudizio, si giustifichi proprio sul
presupposto che, in assenza di norme speciali, la giurisdizione in materia di
contributi e agevolazioni finanziarie è soggetta agli ordinari criteri di
riparto, con il conseguente possibile concorso, a seconda del tipo di
controversia e di situazione soggettiva dedotta, delle giurisdizioni ordinaria,
amministrativa e tributaria.
11. L’esclusione della sussistenza di una
giurisdizione esclusiva consente di superare anche l’argomento fondato
sull’art. 7 cod. proc. amm., laddove tale disposizione richiama, attraverso la
formula “atti […] rincoducibili anche mediatamente all’esercizio del potere
amministrativo” le espressioni contenute nelle note sentenze della Corte
costituzionale 6 luglio 2004, n. 204 e 11 maggio 2006, n. 191.
Nella citata giurisprudenza costituzionale, invero, il
riferimento alla riconducibilità della controversia, anche in via mediata o
indiretta, all’esercizio del potere viene utilizzato non come criterio generale
di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo,
ma come criterio legittimante, sotto il profilo della compatibilità con il
vincolo costituzionale delle “particolari materie” di cui all’art. 103
Cost., la stessa giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
In altri termini, dalla richiamata giurisprudenza costituzionale
non può ricavarsi che ogni controversia comunque riconducibile, sia pure in via
indiretta o mediata, all’esercizio del potere pubblico possa essere ricondotta
alla giurisdizione amministrativa di legittimità, involgendo, per ciò solo,
posizioni di interesse legittimo. La Corte costituzionale, al contrario, ha
individuato nella riconducibilità all’esercizio, pure se in via indiretta o
mediata, del potere pubblico, il criterio che legittima la scelta legislativa
di introdurre una ipotesi di giurisdizione esclusiva, escludendo, per converso,
tale possibilità ove detto collegamento sia assente.
Ne deriva che il criterio della riconducibilità
all’esercizio del potere opera all’interno della giurisdizione esclusiva, come
condizione in assenza della quale la controversia avente ad oggetto diritti
soggettivi, nonostante l’afferenza degli stessi alla materia oggetto della
giurisdizione esclusiva, deve comunque essere devoluta al giudice ordinario.
L’art. 7 cod. proc. amm. che tale espressione ha
recepito deve, quindi, essere interpretato nel senso che, ferma la vigenza del
generale criterio di riparto della giurisdizione fondato sulla dicotomia tra
diritti soggettivi e interessi legittimi, nelle materie di giurisdizione
esclusiva è comunque necessario che il diritto soggettivo sia stato leso da
atti, accordi o comportamenti riconducibili, sia pure in via diretta o mediata,
all’esercizio del potere.
12. Non può essere enfatizzata, per derogare a detto
assetto, neanche la finalità “di assicurare la concentrazione delle tutele”,
pur richiamata dall’art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69.
Quello della concentrazione delle tutele è, infatti,
in primo luogo, un criterio direttivo che la legge delega ha posto
all’esercizio del potere legislativo delegato da parte del Governo e che ha
legittimato, fra l’altro, la scelta (già avallata dalla sopra citata
giurisprudenza costituzionale) di concentrare in campo al giudice
amministrativo ogni forma di tutela dell’interesse legittimo, ivi compresa
quella risarcitoria. Esso, tuttavia, non consente di attrarre, in via meramente
interpretativa e senza base normativa, nell’ambito della giurisdizione
amministrativa controversie relative a diritti soggettivi, pure a prescindere
dall’individuazione di una disposizione legislativa fondante un’ipotesi di
giurisdizione esclusiva.
Ciò a maggior ragione se si considera che nel caso di
specie la domanda proposta ha ad oggetto esclusivamente diritti soggettivi (il
diritto soggettivo al mantenimento del finanziamento già erogato) e non vi è
alcuna connessione con domande contestualmente proposte relative ad interessi
legittimi.
13. Non può, peraltro, non ricordarsi come le Sezioni
Unite, nella loro veste di giudice del riparto, hanno in più occasioni
disatteso la tesi dello spostamento della giurisdizione per motivi di
connessione (anche in presenza di connessione tra domande contestualmente
proposte di fronte ad un unico giudice, ma devolute a diverse giurisdizioni),
affermando l’opposto principio secondo cui “salvo deroghe normative espresse,
vige nell’ordinamento processuale il principio generale dell'inderogabilità
della giurisdizione per motivi di connessione, potendosi risolvere i problemi
di coordinamento posti dalla concomitante operatività della giurisdizione
ordinaria e di quella amministrativa su rapporti diversi, ma interdipendenti,
secondo le regole della sospensione del procedimento pregiudicato” (cfr., da
ultimo, Cass. Sez. Un. 19 aprile 2013, n. 9534; Cass. Sez. Un. 7 giugno 2012,
n. 9185).
È vero che alcune sentenze delle Sezioni Unite, in
presenza di controversie rimesse alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo ed interessate parallelamente da domande consequenzialmente
nascenti da pretese di diritto privato, di fronte all’esigenza di decisione
unitaria, hanno ritenuto che le norme costituzionali sul giusto processo e
sulla sua ragionevole durata di esso (art. 111 Cost.) e sul diritto di difesa
(art. 24 Cost.), coordinate con l’art. 103 Cost., hanno escluso la possibilità
di scindere il processo in tronconi affidati a giurisdizioni diverse ed hanno
imposto il giudizio unitario, di modo che è stata ritenuta prevalente la
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e si è rimessa allo stesso
anche la decisione sulle domande accessorie su cui avrebbe dovuto pronunziarsi
il giudice ordinario (Cass. Sez. Un. 28 febbraio 2007 n. 4636 e 27 luglio 2005
n. 15660).
La giurisprudenza successiva ha, tuttavia,
definitivamente chiarito che la prevalenza del potere cognitivo del giudice
amministrativo presuppone, oltre che la contestuale proposizione delle domande,
che egli sia titolare di giurisdizione esclusiva, a fronte della giurisdizione
sui soli diritti propria del giudice ordinario. In questo caso, infatti, il
giudice amministrativo è titolare di poteri maggiori che non quelli
riconosciuti al giudice ordinario (cfr. Cass. Sez. Un. 24 giugno 2009, n.
14805; Cass. Sez. Un. 7 giugno 2012, n. 9185).
Nel caso di specie, oltre alla già rilevata
circostanza dell’assenza di domande propriamente “connesse”, è assorbente la
considerazione che il giudice amministrativo non è titolare di giurisdizione
esclusiva, il che esclude ulteriormente la possibilità di invocare la
concentrazione delle tutele per giustificare deroghe all’assetto del riparto
della giurisdizione normativamente delineato.
15. A favore della tesi secondo cui il codice del
processo amministrativo non abbia inteso, né direttamente, né indirettamente,
innovare il criterio di riparto della giurisdizione previgente (quale
desumibile dal “diritto vivente” delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione)
deve ancora richiamarsi quanto affermato dalla Corte costituzionale nella
sentenza 27 giugno 2012, n. 162, che ha dichiarato incostituzionali, per
eccesso di delega, gli articoli 133, comma 1, lett. l); 134., comma
1, lett. c) e 135, comma 1, lett. c) del codice del
processo amministrativo, nella parte in cui attribuiscono al giudice
amministrativo, con cognizione estesa al merito, con competenza funzionale del
T.a.r. Lazio, le controversie in materia di sanzioni amministrative applicate
dalla Consob.
La Corte costituzionale ha ravvisato la violazione
dell’art. 76 Cost. nella circostanza che il legislatore delegato, disattendendo
l’obbligo previsto dalla legge delega (art. 44 legge n. 69 del 2009) di “tenere
conto della giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni
superiori”, ha attribuito le sanzioni irrogate dalla Consob alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo, discostandosi dalla giurisprudenza delle
Sezioni Unite della Corte di cassazione formatasi sul tema (che, invece,
avrebbe dovuto orientare l’intervento del legislatore delegato, secondo quanto
previsto dalla legge delega).
È evidente, quindi, che, anche alla luce dei principi
affermati nella sentenza costituzionale n. 162 del 2012, deve escludersi una
interpretazione delle norme del codice del processo amministrativo volta a
riconoscere al giudice amministrativo spazi di giurisdizione innovativi
rispetto a quelli già ad esso attribuiti in base all’assetto normativo
previgente come risultante dall’interpretazione univocamente fornitane dalle
Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
16. Non risulta, del resto, condivisibile neanche
l’argomento secondo cui gli atti di ritiro di cui si discute, in quanto espressione
di “autotutela”, sarebbero per ciò solo atti di esercizio di un potere
autoritativo, a fronte del quale non potrebbe che configurarsi una posizione di
interesse legittimo del privato. Nel caso di specie, al contrario, non viene in
rilievo il generale potere di autotutela pubblicistica (fondato sul riesame
della legittimità o dell’opportunità dell’iniziale provvedimento di
attribuzione del contributo e sulla valutazione dell’interesse pubblico), ma lo
speciale potere di autotutela privatistica dell’Amministrazione (di cui
peraltro l’ordinamento conosce altre tassative ipotesi, le più importanti delle
quali si riscontrano nell’esecuzione dei contratti pubblici: cfr. le ipotesi di
recesso e risoluzione di cui agli artt. 134-136 d.lgs. 12 aprile 2006 recante Codice
dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione
delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), con il quale, nell’ambito di un
rapporto ormai paritetico, l’Amministrazione fa valere le conseguenze derivanti
dall’inadempimento del privato alle obbligazioni assunte per ottenere la
sovvenzione. L’atto in questione si configura come declaratoria della
sopravvenienza di un fatto cui la legge ricollega l’effetto di determinare la
decadenza dal diritto di godere del beneficio e trova ragione non già in una
rinnovata ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato, ma
nell’asserito inadempimento degli obblighi imposti al beneficiario e nella
verifica dei presupposti di esigibilità del credito. Ne deriva che le
contestazioni che investono l’esercizio di tale forma di autotutela, sono
sottratte alla giurisdizione del giudice amministrativo e sono devolute a
quella del giudice ordinario.
17. Alla luce delle considerazioni che precedono,
l’appello deve essere respinto, in quanto nel caso di specie la revoca del
contributo finanziario è stato disposto assumendo l’inadempimento da parte del
beneficiario delle obbligazioni assunte, per avere realizzato un programma di
investimento (servizi di manutenzione) diverso da quello approvato per
l’ottenimento delle agevolazioni (produzione di mobili metallici).
Ed invero, l’erogazione del contributo – anche se
avvenuto, come nella specie, in via provvisoria – crea un credito dell’impresa
all’agevolazione, che viene adempiuto, senza margini di discrezionalità,
dall’Amministrazione erogante, sussistendo già, per effetto di una siffatta
concessione, un diritto soggettivo (relativamente alla concreta erogazione
delle somme di denaro oggetto del finanziamento e alla conservazione degli
importi a tale titolo già riscossi o da riscuotere), con la conseguenza che il
giudice ordinario è competente a conoscere le controversie instaurate per
ottenere gli importi dovuti o per contrastare l'Amministrazione che, servendosi
degli istituti della revoca, della decadenza o della risoluzione, abbia
ritirato il finanziamento o la sovvenzione concessi, adducendo l’inadempimento,
da parte del beneficiario, degli obblighi impostigli dalla legge o dagli atti
concessivi del contributo.
18. Le spese del giudizio di appello seguono la regola
della soccombenza e sono liquidate in complessivi € 1.500.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Adunanza Plenaria), definitivamente pronunciando sull’appello, come in
epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna gli appellanti in solido al pagamento, a
favore del Ministero dello Sviluppo Economico, delle spese del giudizio di
appello, che liquida in complessivi € 1.500 (millecinquecento).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 20 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente del Consiglio di Stato
Riccardo Virgilio, Presidente aggiunto del Consiglio
di Stato
Pier Giorgio Lignani, Presidente di sezione
Stefano Baccarini, Presidente di sezione
Alessandro Pajno, Presidente di sezione
Marzio Branca, Consigliere
Vito Poli, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Nicola Russo, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere, Estensore
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI STATO
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L'ESTENSORE
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IL SEGRETARIO
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/01/2014
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.)
Il Dirigente della Sezione
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