PROCESSO:
nullità del provvedimento
in caso di violazione/elusione
del giudicato cautelare
(Cons. St., Sez. V,
sentenza 7 giugno 2013 n. 3133).
Massima
1. Ai sensi dell'art. 114 comma 4 lett. c), C.p.A., in caso di accoglimento del ricorso il giudice può pronunciare l'inefficacia degli atti emessi in violazione od elusione di sentenze non passate in giudicato o di altri provvedimenti, con conseguente nullità anche se derivante dalla violazione di un giudicato cautelare.
2. L'art. 21-septies della L. n. 241/90 dispone la nullità dell'atto violativo od elusivo del giudicato e non anche della pronuncia del giudice che non abbia ancora il carattere della definitività.
2.1 Il dato letterale della norma ha condotto parte della giurisprudenza di primo grado ad escludere la nullità dell'atto adottato in violazione od elusione delle statuizioni contenute in un'ordinanza cautelare ancorché non più soggetta a gravame, in base all’intrinseca provvisorietà che caratterizza le misure cautelari e nella inidoneità a regolare il rapporto in modo definitivo; oltre a poter essere oggetto di un provvedimento di revoca o di modifica (art. 58 c.p.a.), infatti, esse possono essere travolte da una decisione sul merito della causa di segno differente.
2.2 Tuttavia, ragioni di effettività della tutela giurisdizionale, impongono di assicurare l'osservanza del provvedimento cautelare da parte della pubblica amministrazione.
Infatti, alcune recenti pronunce di questo Consiglio (Cons. Stato, sez. VI, 17 luglio 2008, n. 3606; Cons. Stato, sez. VI, 4 giugno 2007, n. 2950; Cons. Stato, sez. V, 24 luglio 2007), sulla base di una supposta equivalenza tra giudicato e giudicato cautelare, hanno riconosciuto la nullità dei provvedimenti amministrativi dell'ordinanza cautelare divenuta inoppugnabile; nullità rilevabile anche d’ufficio dal giudice adito, giusto il disposto di cui all’art. 31, comma 4, c.p.a.
Si è adottata, in questi casi, una nozione di giudicato più ampia, comprensiva di tutte le pronunce immediatamente esecutive, in quanto caratterizzate da una certa stabilità.
3. La questione, peraltro, ha trovato esplicita soluzione nell'art. 114, comma 4, c.p.a. che, alla lett. c), prevede che in caso di accoglimento del ricorso il giudice possa pronunciare l'inefficacia degli atti emessi in violazione od elusione di sentenze non passate in giudicato o di altri provvedimenti; confermandosi, quindi, la tesi della nullità derivante dalla violazione di un “giudicato” cautelare.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6113 del 2011,
proposto da:
Monteco Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Silvestro Lazzari e Giuseppe Positano, con domicilio eletto presso l’avv. Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;
Monteco Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Silvestro Lazzari e Giuseppe Positano, con domicilio eletto presso l’avv. Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;
contro
Comune di Casarano, rappresentato e difeso dall'avv.
Giuseppe Mormandi, con domicilio eletto presso lo Studio Grez e Associati Srl
in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI
LECCE: SEZIONE III n. 00890/2011, resa tra le parti, concernente revisione
canoni relativi a contratto di appalto, nonché maggiori oneri relativi
all'affidamento coattivo del servizio di igiene urbana.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di
Casarano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile
2013 il Cons. Paolo Giovanni Nicolo' Lotti e uditi per le parti gli avvocati
Loria in delega dell'avvocato Lazzari,Mormandi,Loria in delega avvocato
Positano;
FATTO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia,
Lecce, Sez. III, con la sentenza n. 890 del 23 maggio 2011, ha accolto, nei
limiti di cui in motivazione, il ricorso proposto dall’attuale appellante per
l'accertamento e la declaratoria del diritto della società ricorrente ad
ottenere la revisione dei canoni relativi al contratto di appalto stipulato con
il Comune di Casarano, nonché i maggiori oneri connessi all’affidamento
coattivo del servizio di igiene urbana e per la condanna del predetto Ente al
pagamento di quanto spettante alla Monteco s.r.l.
Il TAR fondava la sua decisione rilevando,
sinteticamente, che la revisione prezzi, oggetto di controversia, è stata
riconosciuta alla ricorrente di primo grado fino al 28 febbraio 2002 ed in
ordine a tale periodo il procuratore della medesima, con dichiarazione espressa
a verbale nell’udienza di merito avanti al TAR, ha dichiarato di non esservi
contestazione alcuna. Pertanto, per il TAR, il diritto alla revisione prezzi in
ordine al periodo suindicato deve essere riconosciuto nei limiti di quanto
quantificato e riconosciuto dalla P.A.
Per il TAR, inoltre, con riferimento al periodo 28
febbraio 2002-17 luglio 2003, in cui l’attuale appellante (ricorrente di primo
grado) ha svolto il servizio in virtù della deliberazione di G.C. n. 15 del 18
gennaio 2002 e della determinazione dirigenziale n. 284 del 22 febbraio 2002,
con le quali si è disposto di rinnovare il servizio in questione, nulla può
essere riconosciuto.
I suddetti atti, infatti, ha osservato il TAR, in
quanto illegittimi, sono stati annullati con sentenza del Consiglio di Stato n.
2079-2003 con conseguente caducazione ed inefficacia del relativo contratto
stipulato con la P.A.; l’inefficacia del contratto scaturita dalla citata
sentenza di annullamento ha comportato l’invalidità del rapporto contrattuale,
sicché l'assenza di un contratto perfetto ed efficace, ovvero di un presupposto
essenziale richiesto dall'art. 6, comma 4, l. n. 537-93 (che richiede
"contratti ad efficacia periodica e continuativa"), rende inconfigurabile
l’applicazione della normativa citata e quindi il diritto alla revisione del
prezzo.
Né, secondo il TAR, tale diritto può ritenersi
riconoscibile facendo applicazione della normativa in tema di indebito
arricchimento ai sensi dell’art. 2041 c.c., poiché in tema di azione d'indebito
arricchimento nei confronti della P.A., conseguente all'assenza di un valido
contratto di appalto di opere (perché annullato dal giudice amministrativo),
tra la P.A. ed un privato, l'indennità prevista dall'art. 2041 c.c. va
liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall'esecutore della
prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo
stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale
fosse stato valido ed efficace.
Infine, il TAR ha respinto la domanda relativa al
riconoscimento del diritto al rimborso dei maggiori oneri derivanti
dall’affidamento coattivo del servizio, dal luglio 2003 al 30 marzo 2006 in
forza di ordinanze contingibili ed urgenti ex art 50 TUEL, per affrontare una
situazione di emergenza di igiene pubblica.
Infatti, per il TAR, tali atti, esercizio di potere
pubblicistico, andavano impugnati nei termini decadenziali previsti dalla
legge, essendo del tutto irrituale e tardiva la contestazione delle ordinanze
contingibili in questione sotto l’aspetto del corrispettivo ivi previsto
(parametrato ai patti e condizioni di cui al previgente contratto del 16
dicembre 2002, rep. 1523).
Né l’azione proposta può essere accoglibile, ha
concluso il TAR, ove tendente ad ottenere il risarcimento del danno subito
parametrato all’incremento dei prezzi di mercato esistenti per la categoria;
sia in quanto gli elementi costituivi della pretesa non risultano provati
essendosi limitata la ricorrente a dimostrare il quantum della richiesta
risarcitoria, senza nulla osservare in merito all’an della pretesa; sia in
quanto l’atteggiamento incoerente e poco corretto della ricorrente in primo
grado, che anziché contestare immediatamente alla P.A. la incongruenza del
corrispettivo previsto nelle varie ordinanze si è uniformata alle stesse,
rileva ai fini dell’art. 1227 c.c. ed esclude che possa riconoscersi in capo
alla P.A. l’elemento soggettivo della colpa e, quindi, il presupposto del
risarcimento.
L’appellante contestava la sentenza del TAR,
sostenendo:
- In ordine al diritto alla revisione del canone di
appalto: illegittimità, erroneità, difetto di motivazione;
- in ordine al diritto al rimborso dei maggiori oneri
derivanti dall’affidamento coattivo del servizio: illegittimità, erroneità e
difetto di motivazione.
Si costituiva la parte appellata chiedendo la
reiezione dell’appello.
All’udienza pubblica del 9 aprile 2013 la causa veniva
trattenuta in decisione.
DIRITTO
Ritiene il Collegio di dover precisare, sotto il
profilo fattuale, che la vicenda oggetto dell’appello riguarda un contratto
(rep. n. 1144 del 22 marzo 1994), con cui l’appellato Comune di Casarano aveva
affidato all’A.T.I. G.I.ECO srl - SO.GEA.A. srl (poi Monteco srl, attuale
appellante) il servizio di igiene urbana e servizi complementari per la durata
di otto anni.
Alla scadenza del suddetto rapporto contrattuale (28
febbraio 2002) il medesimo servizio veniva riaffidato alla società
concessionaria, inizialmente in virtù della deliberazione di G.C. n. 15 del 18
gennaio 2002 e della determinazione n. 284 del 22 febbraio 2002; poi, in virtù
di delibera di G.C. n. 332 del 22 novembre 2002 e determinazione n. 67 del 9
dicembre 2002, fino al 17 luglio 2003.
Successivamente, sia la cit. delibera di G.C. n. 15
del 18 gennaio 2002 che la cit. determina n. 284 del 22 febbraio 2002, venivano
annullate da questo Consiglio con sentenza 2079-03; invece, la cit. delibera di
G.C. n. 332 del 22 novembre 2002 e la cit. determinazione n. 67 del 9 dicembre
2002 risultavano adottate in violazione dell’ordinanza cautelare di questo
Consiglio 28 agosto 2002, n. 3576, reso nel corso dello stesso giudizio
d’appello (RG n. 6947/02).
Per fronteggiare la situazione di emergenza, il Comune
appellato aveva imposto l’esecuzione dell’attività precedentemente appaltata
mediante l’adozione di ordinanze sindacali ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n.
22-1997 e dell’art. 30 del d.lgs. n. 267-2000 (ordinanza n. 113 del 10 luglio
2003, ordinanza n. 209 del 30 dicembre 2003, ordinanza n. 124 del 29 giugno 2004,
ordinanza n. 219 del 30 dicembre 2004, ordinanza n. 98 del 30 giugno 2005,
ordinanza n. 212 del 30 dicembre 2005), tutte di durata infrasemestrale).
Nel 2007, quando il Comune aveva affidato il medesimo
servizio ad altro concessionario, individuato con apposita gara, la ditta
Monteco ha presentato ricorso al TAR Puglia, sezione di Lecce, chiedendo:
- il compenso revisionale (comprensivo degli importi
corrispondenti all’alea del 10%) per il periodo dal 1° gennaio 1998 al 17
luglio 2003;
- il recupero dell’importo corrispondente all’alea per
il periodo 1° marzo 1995- 31 dicembre 1995 e per il periodo 1° gennaio 1996- 31
dicembre 1997;
- il riconoscimento del diritto al rimborso dei
maggiori oneri derivanti dall’affidamento coattivo del servizio.
Il TAR, con la sentenza già riassunta in punto di
fatto, riconosceva il diritto della ricorrente alla revisione dei prezzi per il
periodo di durata dell’originario rapporto contrattuale (ovvero sino al 28
febbraio 2002) e disconosceva il preteso diritto della ricorrente alla
revisione dei prezzi per il periodo successivo (fino al 17 luglio 2003),
rigettando la richiesta di rimborso dei maggiori oneri derivanti
dall’affidamento coattivo.
L’appellante impugnava detta sentenza limitatamente ai
capi 2.2.B e 2.3.C, chiedendone la parziale riforma.
Secondo il Collegio, l’appello non può essere accolto.
Infatti, in primo luogo, con riferimento al periodo 28
febbraio 2002-17 luglio 2003, poiché i provvedimenti con cui è stato affidato
il servizio (delibera di G.C. n. 15 del 18 gennaio 2002 e determina n. 284 del
22 febbraio 2002) sono stati annullati da questo Consiglio con sentenza
2079-03, il relativo contratto è da ritenersi invalido è affetto da nullità
(rectius: sia stato caducato), come già chiarito in via generale da questo
Consiglio con la fondamentale sentenza della sez. V 13 novembre 2002, n. 6281,
che ha utilizzato la categoria della nullità virtuale o extratestuale per
violazione di norme imperative, ma anche, conseguentemente, di tipo
strutturale, per difetto di titolo al contratto in capo all'affidatario.
Secondo la cit. sentenza del 2002 la nullità per
violazione di norma imperativa (proibitiva della stipula del contratto con
l'affidatario), si traduceva, dunque, anche in una conseguente nullità
strutturale per carenza di titolo a contrarre.
Nella consapevolezza delle difficoltà ricostruttive di
questa figura, sembra che questa ricostruzione possa ritenersi sostituita dalla
tesi della caducazione automatica, che vi si è sovrapposta, secondo la quale la
fase di evidenza pubblica costituisce un requisito legale di efficacia del
contratto, il cui venire meno, per effetto dell’annullamento
dell’aggiudicazione, determina il travolgimento automatico del contratto, in
forza del principio generale del simul stabunt, simul cadent, proprio anche dei
negozi giuridici privati collegati in via necessaria (cfr. Cons. Stato, Sez.
VI, 5 maggio 2003, n. 2332 e 4 aprile 2007, n. 1523).
Tale opzione fa discendere, come conseguenza
dell’annullamento dell’atto amministrativo, l’automatica e retroattiva
improduttività degli effetti del contratto, e tale descrizione della
trasmissione del vizio di illegittimità del provvedimento sulla validità del
contratto stipulato a valle non è circoscrivibile alle sole ipotesi di
aggiudicazione di un contratto d’appalto, ma si estende a tutte le ipotesi in
cui l’atto amministrativo e l’atto negoziale siano legati da un indissolubile
nesso di presupposizione necessaria, nel senso che la stipulazione del
contratto consegua al provvedimento di affidamento.
Ovviamente, posteriormente al recepimento della cd.
Direttiva ricorsi (Dir n. 66 del 2007, recepita con il d. lgs. n. 53 del 2010),
saranno applicabili le regole attualmente contenute negli artt. 121 e ss.
c.p.a., non applicabili, tuttavia, al caso di specie, che è antecedente
all’introduzione di tali novità normative.
Peraltro, per detto periodo antecedente (così come per
i settori della contrattualistica pubblica attualmente non oggetto della
Direttiva) potrebbe porsi un problema di giurisdizione riguardo alla cognizione
della validità del contratto e della sorte del rapporto contrattuale, poiché,
come è noto, in tema di attività negoziale della P.A., rientrano nella
giurisdizione del giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto tutti gli
atti della serie negoziale successiva alla stipulazione del contratto, cioè non
solo quelle che attengono al suo adempimento e quindi concernenti
l'interpretazione dei diritti e degli obblighi delle parti, ma anche quelle
volte ad accertare le condizioni di validità, efficacia, nullità o
annullabilità del contratto, siano esse inerenti o estranee o sopravvenute alla
struttura del contratto, comprese quelle derivanti da irregolarità o
illegittimità della procedura amministrativa a monte e le fattispecie di
radicale mancanza del procedimento di evidenza pubblica o sussistenza di vizi
che ne affliggono singoli atti (cfr. Cass. civile, Sez. Un., 5 aprile 2012, n.
5446 e 28 dicembre 2007, n. 27169)
Tuttavia, le condizioni di validità, efficacia,
nullità o annullabilità del contratto, siano esse inerenti o estranee o
sopravvenute alla struttura del contratto, comprese quelle derivanti da
irregolarità o illegittimità della procedura amministrativa a monte e le
fattispecie di radicale mancanza del procedimento di evidenza pubblica o
sussistenza di vizi che ne affliggono singoli atti possono essere accertate
incidentalmente dal giudice amministrativo, quando la loro determinazione, come
in questo caso, sia funzionale all’accertamento rimesso alla cognizione del
giudice amministrativo medesimo, poiché ai sensi dell'art. 8, comma 1, c.p.a.,
il G.A. ha il potere di decidere, senza efficacia di giudicato, tutte le
questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione
sia necessaria per pronunciare sulla questione principale (cfr. Consiglio di
Stato, sez. V, 13 dicembre 2012, n. 6400).
Nel caso di specie, dunque, con riferimento al periodo
28 febbraio 2002-17 luglio 2003, poiché i provvedimenti con cui è stato
affidato il servizio (delibera di G.C. n. 15 del 18 gennaio 2002 e determina n.
284 del 22 febbraio 2002) sono stati annullati da questo Consiglio con sentenza
2079-03, il relativo contratto è da ritenersi, con accertamento incidentale,
inefficace e caducato retroattivamente, con la conseguenza che manca il
presupposto essenziale richiesto dall'art. 6, comma 4, l. n. 537/93 per poter
configurare il diritto alla revisione del prezzo.
Per il successivo periodo connesso all’emanazione della
cit. delibera di G.C. n. 332 del 22 novembre 2002 e della cit. determinazione
n. 67 del 9 dicembre 2002, si deve rilevare che esse risultano adottate
effettivamente in violazione dell’ordinanza cautelare di questo Consiglio 28
agosto 2002, n. 3576, reso nel corso dello stesso giudizio d’appello, con
conseguente nullità del relativo rapporto contrattuale.
In proposito deve osservarsi che l'art. 21-septies
della legge n. 241 del 1990 dispone la nullità dell'atto violativo od elusivo
del giudicato e non anche della pronuncia del giudice che non abbia ancora il
carattere della definitività.
Il dato letterale della norma ha condotto parte della
giurisprudenza di primo grado ad escludere la nullità dell'atto adottato in
violazione od elusione delle statuizioni contenute in un'ordinanza cautelare
ancorché non più soggetta a gravame, in base all’intrinseca provvisorietà che
caratterizza le misure cautelari e nella inidoneità a regolare il rapporto in
modo definitivo; oltre a poter essere oggetto di un provvedimento di revoca o
di modifica (art. 58 c.p.a.), infatti, esse possono essere travolte da una
decisione sul merito della causa di segno differente.
Tuttavia, ragioni di effettività della tutela
giurisdizionale, impongono di assicurare l'osservanza del provvedimento
cautelare da parte della pubblica amministrazione.
Infatti, alcune recenti pronunce di questo Consiglio
(Cons. Stato, sez. VI, 17 luglio 2008, n. 3606; Cons. Stato, sez. VI, 4 giugno
2007, n. 2950; Cons. Stato, sez. V, 24 luglio 2007), sulla base di una supposta
equivalenza tra giudicato e giudicato cautelare, hanno riconosciuto la nullità
dei provvedimenti amministrativi dell'ordinanza cautelare divenuta
inoppugnabile; nullità rilevabile anche d’ufficio dal giudice adito, giusto il
disposto di cui all’art. 31, comma 4, c.p.a.
Si è adottata, in questi casi, una nozione di
giudicato più ampia, comprensiva di tutte le pronunce immediatamente esecutive,
in quanto caratterizzate da una certa stabilità.
La questione, peraltro, ha trovato esplicita soluzione
nell'art. 114, comma 4, c.p.a. che, alla lett. c), prevede che in caso di
accoglimento del ricorso il giudice possa pronunciare l'inefficacia degli atti
emessi in violazione od elusione di sentenze non passate in giudicato o di
altri provvedimenti; confermandosi, quindi, la tesi della nullità derivante
dalla violazione di un “giudicato” cautelare, come nella specie.
Peraltro, con riguardo alla richiesta di indennizzo ex
art. 2041 c.c., si deve rilevare che sussisterebbe il difetto di giurisdizione
del giudice adito poiché, a seguito della sentenza della Corte Cost. 6 luglio
2004, n. 204 non appartiene più alla giurisdizione del G.A., neppure nella
materia dei pubblici servizi, e rientra dunque in quella del G.O., la
controversia avente ad oggetto l’azione di indebito arricchimento (cfr. Cass.
civ, Sez. Un., n. 28042-08); tale capo della sentenza non è stato impugnato
dalla P.A. che ne eccepisce il difetto, come necessario ai sensi dell’art. 9
c.p.a.
Peraltro, come risulta dalla pacifica giurisprudenza
civile, l'indennità prevista dall'art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della
diminuzione patrimoniale subita dall'esecutore della prestazione resa in virtù
del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a
titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed
efficace; pertanto, ai fini della determinazione dell'indennizzo dovuto, non
può farsi ricorso alla revisione prezzi, tendente ad assicurare al richiedente
quanto si riprometteva di ricavare dall'esecuzione del contratto, la quale, non
può costituire neppure un mero parametro di riferimento, trattandosi di
meccanismo sottoposto dalla legge a precisi limiti e condizioni, pur sempre a
fronte di un valido contratto di appalto (Cassazione civ., Sez. Un., 11 settembre
2008, n. 23385).
Pertanto, alla luce di tali argomentazioni, il primo
motivo d’appello deve essere respinto.
Con riferimento al secondo motivo d’appello, relativo
alla richiesta di riconoscimento del diritto al rimborso dei maggiori oneri
derivanti dall’affidamento coattivo del servizio, dal luglio 2003 al 30 marzo
2006 in forza delle già citate ordinanze contingibili ed urgenti, questo
Collegio condivide la posizione del TAR.
Infatti, la Società ricorrente ha svolto il servizio
per tale periodo in virtù di 6 ordinanze sindacali contingibili ed urgenti,
successive e autonome, nelle quali di volta in volta era stato sempre indicato
in maniera esatta il corrispettivo a cui l’ente si obbligava; corrispettivo che
la società ha sempre accettato senza mai contestare alcunché e il cui eventuale
ammontare inferiore a quello previsto dalla legge non inciderebbe comunque
sulla legittimità dell’atto amministrativo.
Pertanto, non è possibile in questa sede proporre
domanda di risarcimento danni, trattandosi di atti del tutto legittimi, per i
quali è assente ogni profilo di violazione dell’affidamento da parte della P.A.
e in cui, anzi, emerge una contraddittorietà nel comportamento dell’appellante
che si è sempre uniformato al provvedimento e non ha mai contestato l’ammontare
di quanto pattuito, integrando così il principio del venire contra factum
proprium idoneo a paralizzare la relativa azione giudiziaria (cfr., ex multis,
Cassazione civ., sez. I, 4 settembre 2004, n. 17888).
Tali argomentazioni sarebbero, dunque, già tranchant e
condurrebbero inevitabilmente alla reiezione dell’appello.
Il Collegio ritiene di precisare ulteriormente, al
riguardo, che la richiesta tendente al riconoscimento del diritto a percepire
le somme che le sarebbero spettate se fosse stato adottato il criterio della
“revisione dei prezzi”, può anche essere qualificabile come richiesta
risarcitoria trattandosi di una diritto derivante da un provvedimento che si
assume come implicitamente illegittimo.
Pertanto, in virtù di tale qualificazione giuridica,
devono applicarsi i principi giurisprudenziali indicati nella nota sentenza
delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 500-1999 che ha affermato
chiaramente che l'imputazione della responsabilità alla P.A., riferibile agli
elementi costituitivi della responsabilità ex art. 2043 c.c., non può avvenire
sulla base del mero dato obiettivo dell’illegittimità dell'azione
amministrativa, poiché il giudice deve svolgere una più penetrante indagine,
non limitata al solo accertamento dell'illegittimità del provvedimento in
relazione alla normativa ad esso applicabile, bensì estesa anche alla
valutazione della colpa, non del funzionario agente (da riferire ai parametri
della negligenza o imperizia), ma della P.A. intesa come apparato che sarà
configurabile nel caso in cui l'adozione e l'esecuzione dell'atto illegittimo
(lesivo dell'interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole
di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali
l'esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi (punto 11 della
motivazione).
Al riguardo, è pur vero che, in materia di appalti
pubblici, la giurisprudenza comunitaria (Corte di Giustizia UE 30 settembre
2010, C-314-09) ha affermato che la normativa dell’UE osta alle norme nazionali
che subordinano il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno
compiuto da una Pubblica Amministrazione al carattere colpevole della
violazione commessa dalla PA medesima.
Ma tale indirizzo interpretativo è strettamente
connesso alle violazioni, commesse dalla PA, in materia di procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici, procedure che, in relazione alla
controversia in oggetto, non vengono direttamente in rilievo, trattandosi di
lite relativa ad aspetti di esecuzione del contratto d’appalto, “ a valle”
dell’aggiudicazione, ove tale principio non è operante (cfr. Consiglio di
Stato, sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 829).
E’ centrale, quindi, l'idea che l'elemento soggettivo
della fattispecie aquiliana in esame debba configurarsi come colpa dell'apparato,
non predicabili di riflesso in quanto discendenti dai rimproveri eventualmente
addebitabili a carico del singolo agente, ma dedotta dalla considerazione
dell'intero contegno dell'Amministrazione, ossia dal fatto che questa abbia
effettivamente adottato l'atto illegittimo e dannoso mediante un esercizio
scorretto della funzione, sindacabile come tale secondo il criterio usuale
dell'id quod plerumque accidit.
Anche per la giurisprudenza di questo Consiglio,
coerentemente con l’indirizzo espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione, ai
fini dell'ammissibilità della domanda di risarcimento del danno a carico della
Pubblica amministrazione non è sufficiente il solo annullamento del
provvedimento lesivo, ma è altresì necessaria la prova del danno subito e la
sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo ovvero della colpa (cfr., ex
multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 7 gennaio 2013, n. 23).
Si deve quindi verificare se l'adozione e l'esecuzione
dell'atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità,
correttezza e buona fede alle quali l'esercizio della funzione deve
costantemente ispirarsi, con la conseguenza che il giudice amministrativo può
affermare la responsabilità dell'Amministrazione per danni conseguenti a un
atto illegittimo quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto
di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento normativo e giuridico
tali da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del
provvedimento viziato e negarla quando l'indagine presupposta conduca al
riconoscimento dell'errore scusabile per la sussistenza di contrasti
giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la
complessità della situazione di fatto.
Nel caso in esame, il Comune di Casarano, nell’emanare
le ordinanze citate si è sempre uniformato ai Decreti del Commissario
Straordinario per l’Emergenza Ambientale in materia di rifiuti, con ciò
palesando la conformità ai principi di buon andamento ed imparzialità
dell’azione amministrativa e l’assenza di ogni imputazione di responsabilità
per colpa.
Conclusivamente, anche alla luce di tale
argomentazione, il secondo motivo d’appello deve essere respinto, in quanto
infondato.
Le spese di lite del presente grado di giudizio,
liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quinta),
definitivamente pronunciando sull’appello come in
epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna parte appellante al pagamento, in favore
dell’appellato, delle spese di lite del presente grado di giudizio, spese che
liquida in euro 4000,00, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 9 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Trovato, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere, Estensore
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere
Carlo Schilardi, Consigliere
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/06/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.)
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