sabato 28 settembre 2013

CULTURA: Umberto Terracini, Presidente della Costituente, e quelle eterne parole di onestà e dignità che abbiamo perso.


CULTURA: 
Umberto Terracini, 
Presidente della Costituente, 
e quelle eterne parole di onestà e dignità 
che abbiamo perso.


La Costituzione è stata appena approvata. Entrerà in vigore il 1 gennaio 1948.
Umberto Terracini era il Presidente dell?Assemblea Costituente.

"Onorevoli colleghi,
è con un senso di nuova profonda commozione che ho pronunciato or ora la formula abituale con la quale, da questo seggio, nei mesi passati ho, cento e cento volte, annunciato all’Assemblea il risultato delle sue votazioni. Di tutte queste, delle più combattute e delle più tranquille, di quelle che videro riuniti in un solo consenso tutti i settori e delle altre in cui il margine di maggioranza oscillò sull’unità; di tutti questi atti di volontà che, giorno per giorno, vennero svolgendosi, con un legame non sempre immediatamente conseguente – in riflesso di situazioni mutevoli non solo nell’aula, ma anche nel Paese – quest’ultimo ha riassunto il significato e gli intenti, affermandoli definitivamente e senza eccezione come legge fondamentale di tutto il popolo italiano.
Ed io credo di potere avvertire attorno a noi, oggi, di questo popolo l’interesse fervido ed il plauso consapevole e soddisfatto. Si può ora dirlo; vi è stato un momento, dopo i primi accesi entusiasmi, nutriti forse di attese non commisurate alle condizioni storicamente maturate ed in loro reazione, vi è stato un momento nel quale come una parete di indifferenza minacciava di levarsi fra questo consesso e le masse popolari. E uomini e gruppi, già ricacciati al margine della nostra società nazionale dalla prorompente libertà – detriti del regime crollato o torbidi avventurieri di ogni congiuntura – alacremente, e forse godendo troppa impunità, si erano dati ad approfondire il distacco, ricoprendo di contumelie, di calunnie, di accuse e di sospetti questo istituto, emblema e cuore della restaurata democrazia.
Onorevoli deputati, è col nostro lavoro, intenso e ordinato, è con lo spettacolo ad ogni giorno da noi offertogli della nostra metodica, instancabile applicazione al compito affidatoci, che noi ci siamo in fine conquistati la simpatia e la fiducia del popolo italiano. Il quale, nelle sue distrette come nelle sue gioie, sempre più è venuto volgendosi all’Assemblea costituente come a naturale delegata ed interprete e realizzatrice del suo pensiero e delle sue aspirazioni. E le centinaia, le migliaia di messaggi di protesta, di approvazione, di denuncia, di richieste giunti alla presidenza nel corso dei diciotto mesi di vita della Costituente, testimoniano del crescente spontaneo affermarsi della sua autorità, come Assemblea rappresentativa. E’ questo un prezioso retaggio morale che noi lasciamo alle future Camere legislative della Repubblica.
Ho parlato di lavoro instancabile. Ne fanno fede le 347 sedute a cui ci convocammo, delle quali 170 esclusivamente costituzionali; i 1663 emendamenti che furono presentati sui 140 articoli del progetto di Costituzione, dei quali 292 approvati, 314 respinti, 1057 ritirati o assorbiti; i 1090 interventi in discussione da parte di 275 oratori; i 44 appelli nominali ed i 109 scrutini segreti; i 40 ordini del giorno votati; gli 828 schemi di provvedimenti legislativi trasmessi dal governo all’esame delle Commissioni permanenti ed i 61 disegni di legge deferiti all’Assemblea; le 23 mozioni presentate, delle quali 7 svolte; le 166 interpellanze di cui 22 discusse; le 1409 interrogazioni, 492 delle quali trattate in seduta, più le 2161 con domanda di risposta scritta, che furono soddisfatte per oltre tre quarti dai rispettivi dicasteri.
Lavoro instancabile, sta bene. Ma anche lavoro completo? Alla stregua del mandato conferitoci dalla nostra legge istitutiva, sì. Noi consegniamo oggi, a chi ci elesse il 2 giugno, la Costituzione; noi abbiamo assolto il compito amarissimo di dare avallo ai patti di pace che hanno chiuso ufficialmente l’ultimo tragico e rovinoso capitolo del ventennio di umiliazioni e di colpe; e, con le leggi elettorali, stiamo apprestando il ponte di passaggio, da questo periodo ancora anormale, ad una normalità di reggimento politico del Paese nel quale competa ad ogni organo costituzionale il compito che gli è proprio ed esclusivo: di fare le leggi, al Parlamento; al governo di applicarle; ed alla magistratura di controllarne la retta osservanza. Ma, con la Costituzione, questa Assemblea ha inserito nella struttura della stato repubblicano altri organi, ignoti al passato sistema, suggeriti a noi dall’esperienza dolorosa o dettati dalla evoluzione della vita sociale ed economica del Paese. Tale la Corte delle garanzie costituzionali, sancita a difesa dei diritti e delle libertà fondamentali, ma non a preclusione di progressi ulteriori del popolo italiano verso una sempre maggiore dignità dell’uomo, del cittadino, del lavoratore. Tale il Consiglio nazionale della economia e del lavoro, che rimuovendo gli ostacoli dovuti a incomprensione o ad ignoranza delle altrui esigenze, eviterà le battaglie non giustificate, disperditrici di preziose energie, dando alle altre, necessarie invece ed irreprimibili in ogni corpo sociale che abbia vita fervida e sana, consapevolezza di intenti e idoneità di mezzi. Ma forse, sì, non taciamolo, onorevoli colleghi, molta parte del popolo italiano avrebbe voluto dall’Assemblea costituente qualcos’altro ancora. I più miseri, coloro che conoscono la vana attesa estenuante di un lavoro in cui prodigare le proprie forze creatrici e da cui trarre i mezzi di vita; coloro che, avendo lavorato per un’intera vita, fatti inabili dall’età, dalla fatica, dalle privazioni, ancora inutilmente aspettano dalla solidarietà nazionale una modesta garanzia contro il bisogno; coloro che frustano i loro giorni in una fatica senza prospettiva, chiudendo ad ogni sera un bilancio senza residui, utensili pensanti e dotati d’anima di un qualche gelido mostruoso apparato meccanico, o forze brute di lavoro su terre estranee e perciò stesso ostili: essi si attendevano tutti che l’Assemblea esaudisse le loro ardenti aspirazioni, memori come erano di parole proclamate e rieccheggiate.Noi lo sappiamo, oggi, che ciò avrebbe superato le nostre possibilità. Ma noi sappiamo di avere posto, nella Costituzione, altre parole che impegnano inderogabilmente la Repubblica a non ignorare più quelle attese, ad applicarsi risolutamente all’apprestamento degli strumenti giuridici atti a soddisfarle. La Costituzione postula, senza equivoci, le riforme che il popolo italiano, in composta fiducia, rivendica. Mancare all’impegno sarebbe nello stesso tempo violare la Costituzione e compromettere, forse definitivamente, l’avvenire della Nazione italiana. Onorevoli colleghi, ieri sera, quasi a suggello simbolico apposto alla Carta costituzionale, voi avete votato un ordine del giorno col quale raccomandate e sollecitate dal presidente della Repubblica un atto generoso di clemenza e di perdono. Già al suo primo sorgere, la Repubblica volle stendere le sue mani indulgenti e volgere il suo sguardo benigno e sereno verso tanti, che pure non avevano esitato a straziare la Patria italiana, ad allearsi con i suoi nemici, a colpirne i figli più eroici. Il rinnovato gesto di amistà, del quale vi siete fatti promotori, vuole oggi esprimere lo spirito che ha informato i nostri lavori, in ognuno di noi, su qualunque banco si sedesse, a qualunque ideologia ci si richiami. L’Assemblea ha pensato e redatto la Costituzione come un solenne patto di amicizia e fraternità di tutto il popolo italiano, cui essa lo affida perchè se ne faccia custode severo e disciplinato realizzatore. E noi stessi, onorevoli deputati, colleghi cari e fedeli di lunghe e degne fatiche, conclusa la nostra maggiore opera, dopo avere fatta la legge, diveniamone i più fedeli e rigidi servitori. Cittadini fra i cittadini, sia pure per breve tempo, traduciamo nelle nostre azioni, le maggiori e le più modeste, quegli ideali che, interpretando il voto delle larghe masse popolari e lavoratrici, abbiamo voluto incidere nella legge fondamentale della Repubblica. Con voi m’inchino reverente alla memoria di quelli che, cadendo nella lotta contro il fascismo e contro i tedeschi, pagarono per tutto il popolo italiano il tragico e generoso prezzo di sangue per la nostra libertà e per la nostra indipendenza; con voi inneggio ai tempi nuovi cui, col nostro voto, abbiamo aperto la strada per un loro legittimo affermarsi. Viva la Repubblica democratica italiana, libera, pacifica ed indipendente!2.

UMBERTO TERRACINI

venerdì 27 settembre 2013

CULTURA: Renzo incontra l'Avvocato Azzeccagarbugli (dal Cap. III dei "Promessi Sposi").


CULTURA
Renzo incontra l'Avvocato Azzeccagarbugli 
(dal Cap. III dei "Promessi Sposi").

 "Le leggi per gli amici si interpretano, per i nemici si applicano" (Giovanni Giolitti).
"Giunto al borgo, domandò dell’abitazione del dottore; gli fu indicata, e v’andò. All’entrare, si sentì preso da quella suggezione che i poverelli illetterati provano in vicinanza d’un signore e d’un dotto, e dimenticò tutti i discorsi che aveva preparati; ma diede un’occhiata ai capponi, e si rincorò. Entrato in cucina, domandò alla serva se si poteva parlare al signor dottore. Adocchiò essa le bestie, e, come avvezza a somiglianti doni, mise loro le mani addosso, quantunque Renzo andasse tirando indietro, perché voleva che il dottore vedesse e sapesse ch’egli portava qualche cosa. Capitò appunto mentre la donna diceva: – date qui, e andate innanzi -. Renzo fece un grande inchino: il dottore l’accolse umanamente, con un – venite, figliuolo, – e lo fece entrar con sé nello studio. Era questo uno stanzone, su tre pareti del quale eran distribuiti i ritratti de’ dodici Cesari; la quarta, coperta da un grande scaffale di libri vecchi e polverosi: nel mezzo, una tavola gremita d’allegazioni, di suppliche, di libelli, di gride, con tre o quattro seggiole all’intorno, e da una parte un seggiolone a braccioli, con una spalliera alta e quadrata, terminata agli angoli da due ornamenti di legno, che s’alzavano a foggia di corna, coperta di vacchetta, con grosse borchie, alcune delle quali, cadute da gran tempo, lasciavano in libertà gli angoli della copertura, che s’accartocciava qua e là. Il dottore era in veste da camera, cioè coperto d’una toga ormai consunta, che gli aveva servito, molt’anni addietro, per perorare, ne’ giorni d’apparato, quando andava a Milano, per qualche causa d’importanza. Chiuse l’uscio, e fece animo al giovine, con queste parole: – figliuolo, ditemi il vostro caso.
- Vorrei dirle una parola in confidenza.
- Son qui, – rispose il dottore: – parlate -. E s’accomodò sul seggiolone. Renzo, ritto davanti alla tavola, con una mano nel cocuzzolo del cappello, che faceva girar con l’altra, ricominciò: – vorrei sapere da lei che ha studiato…
- Ditemi il fatto come sta, – interruppe il dottore.
- Lei m’ha da scusare: noi altri poveri non sappiamo parlar bene. Vorrei dunque sapere…
- Benedetta gente! siete tutti così: in vece di raccontar il fatto, volete interrogare, perché avete già i vostri disegni in testa.
- Mi scusi, signor dottore. Vorrei sapere se, a minacciare un curato, perché non faccia un matrimonio, c’è penale.
” Ho capito “, disse tra sé il dottore, che in verità non aveva capito. ” Ho capito “. E subito si fece serio, ma d’una serietà mista di compassione e di premura; strinse fortemente le labbra, facendone uscire un suono inarticolato che accennava un sentimento, espresso poi più chiaramente nelle sue prime parole. – Caso serio, figliuolo; caso contemplato. Avete fatto bene a venir da me. È un caso chiaro, contemplato in cento gride, e… appunto, in una dell’anno scorso, dell’attuale signor governatore. Ora vi fo vedere, e toccar con mano.
Così dicendo, s’alzò dal suo seggiolone, e cacciò le mani in quel caos di carte, rimescolandole dal sotto in su, come se mettesse grano in uno staio.
- Dov’è ora? Vien fuori, vien fuori. Bisogna aver tante cose alle mani! Ma la dev’esser qui sicuro, perché è una grida d’importanza. Ah! ecco, ecco -. La prese, la spiegò, guardò alla data, e, fatto un viso ancor più serio, esclamò: – il 15 d’ottobre 1627! Sicuro; è dell’anno passato: grida fresca; son quelle che fanno più paura. Sapete leggere, figliuolo?
- Un pochino, signor dottore.
- Bene, venitemi dietro con l’occhio, e vedrete. E, tenendo la grida sciorinata in aria, cominciò a leggere, borbottando a precipizio in alcuni passi, e fermandosi distintamente, con grand’espressione, sopra alcuni altri, secondo il bisogno:
- Se bene, per la grida pubblicata d’ordine del signor Duca di Feria ai 14 di dicembre 1620, et confirmata dall’lllustriss. et Eccellentiss. Signore il Signor Gonzalo Fernandez de Cordova, eccetera, fu con rimedii straordinarii e rigorosi provvisto alle oppressioni, concussioni et atti tirannici che alcuni ardiscono di commettere contro questi Vassalli tanto divoti di S. M., ad ogni modo la frequenza degli eccessi, e la malitia, eccetera, è cresciuta a segno, che ha posto in necessità l’Eccell. Sua, eccetera. Onde, col parere del Senato et di una Giunta, eccetera, ha risoluto che si pubblichi la presente.
- E cominciando dagli atti tirannici, mostrando l’esperienza che molti, così nelle Città, come nelle Ville… sentite? di questo Stato, con tirannide esercitano concussioni et opprimono i più deboli in varii modi, come in operare che si facciano contratti violenti di compre, d’affitti… eccetera: dove sei? ah! ecco; sentite: che seguano o non seguano matrimonii. Eh?
È il mio caso, – disse Renzo.
- Sentite, sentite, c’è ben altro; e poi vedremo la pena. Si testifichi, o non si testifichi; che uno si parta dal luogo dove abita, eccetera; che quello paghi un debito; quell’altro non lo molesti, quello vada al suo molino: tutto questo non ha che far con noi. Ah ci siamo: quel prete non faccia quello che è obbligato per l’uficio suo, o faccia cose che non gli toccano. Eh?
- Pare che abbian fatta la grida apposta per me.
- Eh? non è vero? sentite, sentite: et altre simili violenze, quali seguono da feudatarii, nobili, mediocri, vili, et plebei. Non se ne scappa: ci son tutti: è come la valle di Giosafat. Sentite ora la pena. Tutte queste et altre simili male attioni, benché siano proibite, nondimeno, convenendo metter mano a maggior rigore, S. E., per la presente, non derogando, eccetera, ordina e comanda che contra li contravventori in qualsivoglia dei suddetti capi, o altro simile, si proceda da tutti li giudici ordinarii di questo Stato a pena pecuniaria e corporale, ancora di relegatione o di galera, e fino alla morte… una piccola bagattella! all’arbitrio dell’Eccellenza Sua, o del Senato, secondo la qualità dei casi, persone e circostanze. E questo ir-re-mis-si-bil-mente e con ogni rigore, eccetera. Ce n’è della roba, eh? E vedete qui le sottoscrizioni: Gonzalo Fernandez de Cordova; e più in giù: Platonus; e qui ancora: Vidit Ferrer: non ci manca niente.
Mentre il dottore leggeva, Renzo gli andava dietro lentamente con l’occhio, cercando di cavar il costrutto chiaro, e di mirar proprio quelle sacrosante parole, che gli parevano dover esser il suo aiuto. Il dottore, vedendo il nuovo cliente più attento che atterrito, si maravigliava. ” Che sia matricolato costui “, pensava tra sé. – Ah! ah! – gli disse poi: – vi siete però fatto tagliare il ciuffo. Avete avuto prudenza: però, volendo mettervi nelle mie mani, non faceva bisogno. Il caso è serio; ma voi non sapete quel che mi basti l’animo di fare, in un’occasione.
Per intender quest’uscita del dottore, bisogna sapere, o rammentarsi che, a quel tempo, i bravi di mestiere, e i facinorosi d’ogni genere, usavan portare un lungo ciuffo, che si tiravan poi sul volto, come una visiera, all’atto d’affrontar qualcheduno, ne’ casi in cui stimasser necessario di travisarsi, e l’impresa fosse di quelle, che richiedevano nello stesso tempo forza e prudenza. Le gride non erano state in silenzio su questa moda. Comanda Sua Eccellenza (il marchese de la Hynojosa) che chi porterà i capelli di tal lunghezza che coprano il fronte fino alli cigli esclusivamente, ovvero porterà la trezza, o avanti o dopo le orecchie, incorra la pena di trecento scudi; et in caso d’inhabilità, di tre anni di galera, per la prima volta, e per la seconda, oltre la suddetta, maggiore ancora, pecuniaria et corporale, all’arbitrio di Sua Eccellenza.
Permette però che, per occasione di trovarsi alcuno calvo, o per altra ragionevole causa di segnale o ferita, possano quelli tali, per maggior decoro e sanità loro, portare i capelli tanto lunghi, quanto sia bisogno per coprire simili mancamenti e niente di più; avvertendo bene a non eccedere il dovere e pura necessità, per (non) incorrere nella pena agli altri contraffacienti imposta.
E parimente comanda a’ barbieri, sotto pena di cento scudi o di tre tratti di corda da esser dati loro in pubblico, et maggiore anco corporale, all’arbitrio come sopra, che non lascino a quelli che toseranno, sorte alcuna di dette trezze, zuffi, rizzi, né capelli più lunghi dell’ordinario, così nella fronte come dalle bande, e dopo le orecchie, ma che siano tutti uguali, come sopra, salvo nel caso dei calvi, o altri difettosi, come si è detto. Il ciuffo era dunque quasi una parte dell’armatura, e un distintivo de’ bravacci e degli scapestrati; i quali poi da ciò vennero comunemente chiamati ciuffi. Questo termine è rimasto e vive tuttavia, con significazione più mitigata, nel dialetto: e non ci sarà forse nessuno de’ nostri lettori milanesi, che non si rammenti d’aver sentito, nella sua fanciullezza, o i parenti, o il maestro, o qualche amico di casa, o qualche persona di servizio, dir di lui: è un ciuffo, è un ciuffetto.
- In verità, da povero figliuolo, – rispose Renzo, – io non ho mai portato ciuffo in vita mia.
- Non facciam niente, – rispose il dottore, scotendo il capo, con un sorriso, tra malizioso e impaziente. – Se non avete fede in me, non facciam niente. Chi dice le bugie al dottore, vedete figliuolo, è uno sciocco che dirà la verità al giudice. All’avvocato bisogna raccontar le cose chiare: a noi tocca poi a imbrogliarle. Se volete ch’io v’aiuti, bisogna dirmi tutto, dall’a fino alla zeta, col cuore in mano, come al confessore. Dovete nominarmi la persona da cui avete avuto il mandato: sarà naturalmente persona di riguardo; e, in questo caso, io anderò da lui, a fare un atto di dovere. Non gli dirò, vedete, ch’io sappia da voi, che v’ha mandato lui: fidatevi. Gli dirò che vengo ad implorar la sua protezione, per un povero giovine calunniato. E con lui prenderò i concerti opportuni, per finir l’affare lodevolmente. Capite bene che, salvando sé, salverà anche voi. Se poi la scappata fosse tutta vostra, via, non mi ritiro: ho cavato altri da peggio imbrogli… Purché non abbiate offeso persona di riguardo, intendiamoci, m’impegno a togliervi d’impiccio: con un po’ di spesa, intendiamoci. Dovete dirmi chi sia l’offeso, come si dice: e, secondo la condizione, la qualità e l’umore dell’amico, si vedrà se convenga più di tenerlo a segno con le protezioni, o trovar qualche modo d’attaccarlo noi in criminale, e mettergli una pulce nell’orecchio; perché, vedete, a saper ben maneggiare le gride, nessuno è reo, e nessuno è innocente. In quanto al curato, se è persona di giudizio, se ne starà zitto; se fosse una testolina, c’è rimedio anche per quelle. D’ogni intrigo si può uscire; ma ci vuole un uomo: e il vostro caso è serio, vi dico, serio: la grida canta chiaro; e se la cosa si deve decider tra la giustizia e voi, così a quattr’occhi, state fresco. Io vi parlo da amico: le scappate bisogna pagarle: se volete passarvela liscia, danari e sincerità, fidarvi di chi vi vuol bene, ubbidire, far tutto quello che vi sarà suggerito.
Mentre il dottore mandava fuori tutte queste parole, Renzo lo stava guardando con un’attenzione estatica, come un materialone sta sulla piazza guardando al giocator di bussolotti, che, dopo essersi cacciata in bocca stoppa e stoppa e stoppa, ne cava nastro e nastro e nastro, che non finisce mai. Quand’ebbe però capito bene cosa il dottore volesse dire, e quale equivoco avesse preso, gli troncò il nastro in bocca, dicendo: – oh! signor dottore, come l’ha intesa? l’è proprio tutta al rovescio. Io non ho minacciato nessuno; io non fo di queste cose, io: e domandi pure a tutto il mio comune, che sentirà che non ho mai avuto che fare con la giustizia. La bricconeria l’hanno fatta a me; e vengo da lei per sapere come ho da fare per ottener giustizia; e son ben contento d’aver visto quella grida.
- Diavolo! – esclamò il dottore, spalancando gli occhi. – Che pasticci mi fate? Tant’è; siete tutti così: possibile che non sappiate dirle chiare le cose?
- Ma mi scusi; lei non m’ha dato tempo: ora le racconterò la cosa, com’è. Sappia dunque ch’io dovevo sposare oggi, – e qui la voce di Renzo si commosse, – dovevo sposare oggi una giovine, alla quale discorrevo, fin da quest’estate; e oggi, come le dico, era il giorno stabilito col signor curato, e s’era disposto ogni cosa. Ecco che il signor curato comincia a cavar fuori certe scuse… basta, per non tediarla, io l’ho fatto parlar chiaro, com’era giusto; e lui m’ha confessato che gli era stato proibito, pena la vita, di far questo matrimonio. Quel prepotente di don Rodrigo…
- Eh via! – interruppe subito il dottore, aggrottando le ciglia, aggrinzando il naso rosso, e storcendo la bocca, – eh via! Che mi venite a rompere il capo con queste fandonie? Fate di questi discorsi tra voi altri, che non sapete misurar le parole; e non venite a farli con un galantuomo che sa quanto valgono. Andate, andate; non sapete quel che vi dite: io non m’impiccio con ragazzi; non voglio sentir discorsi di questa sorte, discorsi in aria.
- Le giuro…
- Andate, vi dico: che volete ch’io faccia de’ vostri giuramenti? Io non c’entro: me ne lavo le mani -. E se le andava stropicciando, come se le lavasse davvero. – Imparate a parlare: non si viene a sorprender così un galantuomo.
- Ma senta, ma senta, – ripeteva indarno Renzo: il dottore, sempre gridando, lo spingeva con le mani verso l’uscio; e, quando ve l’ebbe cacciato, aprì, chiamò la serva, e le disse: – restituite subito a quest’uomo quello che ha portato: io non voglio niente, non voglio niente.
Quella donna non aveva mai, in tutto il tempo ch’era stata in quella casa, eseguito un ordine simile: ma era stato proferito con una tale risoluzione, che non esitò a ubbidire. Prese le quattro povere bestie, e le diede a Renzo, con un’occhiata di compassione sprezzante, che pareva volesse dire: bisogna che tu l’abbia fatta bella. Renzo voleva far cerimonie; ma il dottore fu inespugnabile; e il giovine, più attonito e più stizzito che mai, dovette riprendersi le vittime rifiutate, e tornar al paese, a raccontar alle donne il bel costrutto della sua spedizione".

giovedì 26 settembre 2013

APPALTI: la mancata aggiudicazione definitiva non consiste in una revoca di quella provvisoria (Cons. St., Sez. III, sentenza 4 settembre n. 4433).


APPALTI: 
la mancata aggiudicazione definitiva 
non consiste in una revoca di quella provvisoria 
(Cons. St., Sez. III, 
sentenza 4 settembre n. 4433).


Massima

1.  Nelle gare ad evidenza pubblica, la “revoca” non è altro che la mancata conferma dell’aggiudicazione provvisoria; la rimozione dei presupposti atti della gara, che così non si conclude, è meramente consequenziale a tale non aggiudicazione. Quest’ultima non configura un’autotutela vera e propria, sì da richiedere il raffronto tra l'interesse pubblico e quello privato sacrificato 
Non è prospettabile poi alcun affidamento del destinatario, ché l'aggiudicazione provvisoria non è l'atto conclusivo del procedimento di evidenza pubblica, onde non v’è ragione di motivare sulle ragioni di pubblico interesse 
Sicché, quand’anche si possa predicare improprio  il richiamo  all'art. 81, co. 3 del D.Lgs. n.163/2006 (ma improprio non è) la stazione appaltante ben può legittimamente non statuire l’aggiudicazione definitiva e non dar corso definitivo alla gara svolta, in presenza di ragioni d’opportunità economica e/o di sopravvenuta non congruenza dell’oggetto dell’appalto a fronte del mutato scenario organizzativo.
Insomma, non si ha, un procedimento di secondo grado —a differenza del caso in cui s’intervenga sull'aggiudicazione definitiva—, ma si conclude in senso negativo lo stesso ed unico procedimento di evidenza pubblica, a causa della sopravvenuta non utilità del contratto, ancora in itinere, all’interesse creditorio, mutato per factum principis non derogabile e tale da non rendere conveniente l’attivazione del rapporto negoziale.
2.  Non è qui in discussione se occorra, nei procedimenti di autotutela, una congrua motivazione circa il modo con cui la P.A. contempera i contrastanti interessi nel momento della emanazione dell'atto di revoca, ché ciò è scontato. 


Sentenza per esteso


INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 9304/2012 RG, proposto dalla Servizi Ospedalieri s.p.a., corrente in Ferrara, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e n.q. di capogruppo mandataria dell’ATI con la F.lli Bernard s.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati Enza Maria Accarino e Gaetano Di Giacomo, con domicilio eletto in Roma, alla via Cicerone n. 49, 
contro
l’Azienda sanitaria locale – ASL BT, con sede in Andria (BA), in persona del Direttore generale pro tempore, appellante incidentale, rappresentata e difesa dall'avv. Alessandro Delle Donne, con domicilio eletto in Roma, via Cosseria n. 2, presso lo studio dell’avv. Placidi e
nei confronti di
- ALSCO Italia s.r.l., corrente in Merlino (LO), in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e n.q. di capogruppo mandataria dell’ATI con la COLIM soc. coop., non costituita nel presente giudizio e
- LAVIT s. coop. prod, e lavoro Lavit, corrente in Foggia, in persona del legale rappresentante pro tempore, appellante incidentale, rappresentata e difesa dall'avv. Gennaro Notarnicola, con domicilio eletto in Roma, via Cosseria n. 2, presso lo studio dell’avv. Placidi, 
per la riforma
della sentenza del TAR Puglia, Bari, sez. I, n. 1804/2012, resa tra le parti e concernente l’affidamento dei servizi di noleggio di dispositivi tessili e materasseria nei presidi ospedalieri aziendali;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio solo dell’ASL BT e della LAVIT s. coop.;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, c. 10, c.p.a.;
Relatore all'udienza pubblica del 18 giugno 2013 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti, gli avvocati Saverio Accarino (su delega dell’avv. E. M. Accarino), Delle Donne e Notarnicola;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO
1. – Con deliberazione n. 112 del 30 settembre 2010, l’ASL BT, con sede in Andria (BA), indisse una procedura aperta, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per l’affidamento quinquennale del servizio integrato di Noleggio, ricondizionamento e logistica dei dispositivi tessili e della materasseria dei presidi ospedalieri e nelle strutture territoriali aziendali, con contestuale revoca della precedente gara indetta con delibera n. 866 del 20 maggio 2009.
A tal gara, dichiara d’aver inteso partecipare, quale capogruppo mandataria dell’ATI con la F.lli Bernard s.r.l., pure la Servizi Ospedalieri s.p.a., corrente in Ferrara, proponendo rituale offerta.
In esito alla valutazione delle cinque offerte pervenute, detta ATI è stata dichiarata aggiudicataria provvisoria in base alla delibera n.1323 del 15 settembre 2011, terza graduata essendo risultata la LAVIT s. coop. prod. e lavoro, corrente in Foggia. Sennonché l’ASL, con delibera n. 1504 del 14 ottobre 2011 (in parte rettificata con la delibera n. 1589 del successivo giorno 26), ha ritirato la delibera di aggiudicazione n. 1323/2011. Tanto a seguito di alcune riscontrate criticità, ossia: A) – il sopravvenuto mutamento degli assetti organizzativi e funzionali di Presidi e strutture aziendali, per effetto del nuovo Piano regionale di riordino ospedaliero e di rientro dalla spesa sanitaria, sì da determinare la modifica dell’oggetto dell’appalto e del relativo capitolato; B) – l’eccessiva onerosità dell’esito della gara per contrazione delle risorse in base al bilancio di previsione 2011, al DIEF per il Servizio sanitario nella Regione Puglia (triennio 2010/2012) ed al Piano di rientro; C) – il mutamento del sinallagma contrattuale, per l’imminente accorpamento o chiusura dei Presidi di Minervino Murge e di Spinazzola, secondo il riordino regionale della rete ospedaliera.
2. – Detta ATI ha allora impugnato tali statuizioni innanzi al TAR Bari, ponendo altresì domanda risarcitoria nei confronti dell’ASL intimata, a titolo di responsabilità precontrattuale (per violazione dei principi di buona fede ex artt. 1337 e 1338 c.c. nel disporre la revoca degli atti di gara dopo dieci mesi dalla relativa indizione) e, in via subordinata, domanda di pagamento dell’indennità ex art. 21-quinquies della l. 7 agosto 1990 n. 241. Si son costituite in quel giudizio l’ASL BT e la LAVIT s. coop., quest’ultima proponendo a sua volta gravame incidentale.
Con sentenza n. 1804 del 25 ottobre 2012, l’adito TAR ha accolto la sola domanda risarcitoria per responsabilità pre-contrattuale, respingendo quella impugnatoria e dichiarando improcedibile il ricorso incidentale.
3. – Appella allora detta ATI, deducendo in punto di diritto l’erroneità della sentenza per: A) – non aver considerato l’effettiva natura della delibera n. 1323/2011, che fu di aggiudicazione non già provvisoria, bensì definitiva, essendo stata in quella sede vagliata pure l’opportunità economica per l’ASL d’assegnare il servizio; B) – per non aver inteso rinegoziare comunque il contratto ai sensi dell’art. 17, c. 1, lett. a), VI per. del DL 6 luglio 2011 n. 98 (convertito, con modificazioni, dalla l. 15 luglio 2011 n. 111), a fronte dei soli 55 posti-letto effettivamente soppressi (nei citati due Presidi ospedalieri) rispetto agli 860 dedotti in appalto; C) – l’improprio richiamo all’art. 81, c. 3 del Dlg 12 aprile 2006 n. 163, giacché la non convenienza dell’appalto è dipesa non da aspetti tecnico – economici delle singole offerte, ma dalla gara in sé, fermo restando che il ritiro ha riguardato tutti gli atti di quest’ultima e non la graduatoria formulata dalla commissione; D) – l’insussistenza d’una reale perdita economica in capo all’ASL, perché i due Presidi ospedalieri sono stati riconvertiti e non soppressi e perché l’appellante ha formulato la propria offerta tenendo conto della possibilità di riduzione dei posti – letto; E) – omesso ritiro, da parte della delibera n. 1504/2011, della precedente delibera n. 112/2010, con cui è stata indetta la nuova gara per cui è causa; F) – non aver considerato che la delibera n. 1323/2011 non solo tiene conto del Piano regionale di riordino, ma aggiudica il servizio su un prezzo onnicomprensivo calcolato su quattro Presidi ospedalieri e non sui sette di cui al capitolato speciale; G) – non aver considerato l’omessa motivazione, nella delibera n. 1504/2011, in ordine alle difficoltà finanziarie sull’esecuzione dell’appalto aggiudicato, visto che il relativo prezzo è commisurato solo ai giorni di degenza e, quindi, il corrispettivo si riduce in proporzione diretta al numero dei posti – letto soppressi; H) – non aver inteso che, a tutto concedere, la modifica dell’esecuzione dell’appalto, a seguito della soppressione dei predetti Presidi, implica sì una variazione quantitativa della prestazione, ma non oltre il c.d. “quinto d’obbligo” di cui all’art. 4 del capitolato speciale, che perciò considerò la possibilità di tal variazione.
Nel costituirsi in giudizio, l’ASL intimata propone impugnazione incidentale della sentenza de qua, relativamente alla condanna risarcitoria per responsabilità pre-contrattuale. Resiste in giudizio pure la LAVIT s. coop., proponendo anch’essa appello incidentale, con cui ribadisce quanto già dedotto così in primo grado.
Alla pubblica udienza del 18 giugno 2013, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.
4. – L’appello principale non può esser condiviso.
4.1. – Anzitutto, s’appalesano inammissibili le questioni che l’appellante muove alla natura giuridica della delibera n. 1504/2011, considerandola una revoca propriamente detta, cioè la statuizione conclusiva d’un procedimento di secondo grado con esito di riforma.
Così non è in sé, ma non è questo il punto, perché già in primo grado l’appellante è stata ben consapevole della circostanza che la predetta delibera fosse intervenuta nei confronti di una aggiudicazione provvisoria. In altri termini, innanzi al TAR l’appellante, che pure con dovizia di argomenti ha reputato la delibera de qua erronea sotto molteplici profili fattuali e di merito (ossia, sull’illegittimità della mancata aggiudicazione definitiva), non ha poi espresso alcun dubbio circa la natura di aggiudicazione provvisoria da riconoscere all’atto ritirato con la delibera stessa. Infatti, in primo grado l’odierna appellante rammenta che, per quanto precaria, l’aggiudicazione provvisoria non sarebbe revocabile, se non in base ad un atto motivato in modo congruo e senza travisamenti di fatto o di diritto. Sennonché, nello svolgersi dell’argomentazione in quella sede, l’appellante ha solo dedotto vizi sulla ragionevolezza e la coerenza giuridica della mancata aggiudicazione definitiva, non già sul procedimento in sé d’una supposta autotutela.
È perciò improponibile ogni doglianza che solo adesso l’appellante muove contro la qualificazione della delibera n. 1323/2011, come ritirata dalla delibera n. 1504/2011, a guisa di aggiudicazione provvisoria, al duplice intenzionale fine d’eludere il giusto procedimento d’autotutela e di non dar contezza dei relativi presupposti.
Al più tali censure l’appellante avrebbe dovuto muovere subito contro la delibera n. 1323/2011, se l’avesse reputata ab initio un’aggiudicazione definitiva dissimulata con il nomen di aggiudicazione provvisoria. E ciò per l’evidente, immediata e non irrilevante lesività d’una siffatta qualificazione, non foss’altro perché atta a differire illegittimamente la stipulazione e l’esecuzione del contratto. Poiché innanzi al TAR detta appellante non ha concluso in tal senso, non può in questa sede più far valere i relativi argomenti.
4.2. – Ciò posto, ogni ulteriore considerazione sulla pretesa “definitività” dell’aggiudicazione secondo il contenuto della delibera n. 1323/2011 non trova riscontro né fattuale, né giuridico.
Non in punto di fatto, perché la graduatoria di merito, in esito alla disamina delle offerte, è stata formulata dal seggio di gara il 2 settembre 2011, mentre la delibera n. 1323/2011 ha disposto l’aggiudicazione provvisoria con contestuale approvazione della graduatoria stessa. Ad essa è poi seguita la nota prot. n. 71868 del successivo giorno 21, con cui l’ASL ha chiesto all’appellante la documentazione occorrente alla definizione dell’aggiudicazione definitiva. Non in punto di diritto, perché la citata delibera non ha espresso alcun giudizio d’opportunità economica dell’appalto, limitandosi soltanto a parametrare l’importo di aggiudicazione al numero effettivo di giornate di degenza con riferimento ai dati acquisiti al bilancio aziendale al 31 dicembre 2010, impregiudicati restando, alla data di detta delibera, i controlli sulla posizione dell’aggiudicataria provvisoria.
È appena da precisare che, nella specie, la delibera n. 1504/2011 parla sì di «revoca» della predetta aggiudicazione provvisoria, ma, con ogni evidenza e diversamente dalla contestuale statuizione nei confronti degli atti del procedimento di gara, in senso atecnico, non certo come esercizio di potestà di autotutela.
Invero, nelle gare ad evidenza pubblica, la “revoca” de qua non è altro che, come sarebbe meglio è più propriamente dire, la mancata conferma dell’aggiudicazione provvisoria, mentre nella specie la rimozione dei presupposti atti della gara, che così non si conclude, è meramente consequenziale a tale non aggiudicazione. Quest’ultima non configura un’autotutela vera e propria, sì da richiedere il raffronto tra l'interesse pubblico e quello privato sacrificato e di ciò il TAR ha dato contezza ampia e condivisibile. Né sul punto è prospettabile alcun affidamento del destinatario, ché l'aggiudicazione provvisoria non è l'atto conclusivo del procedimento di evidenza pubblica, onde non v’è ragione di motivare sulle ragioni di pubblico interesse (arg. ex Cons. St., V, 20 aprile 2012 n. 2338). Sicché, quand’anche si possa predicare improprio nella specie il richiamo dell’ASL all'art. 81, c. 3 del Dlg 163/2006 (ma improprio non è, come vedrà infra), la stazione appaltante ben può legittimamente non statuire l’aggiudicazione definitiva e non dar corso definitivo alla gara svolta, in presenza di ragioni d’opportunità economica e/o di sopravvenuta non congruenza dell’oggetto dell’appalto a fronte del mutato scenario organizzativo (arg. ex Cons. St., VI, 17 marzo 2010 n. 1554). Tale scelta, già in sé possibile quando sia discrezionale, s’appalesa non manifestamente irrazionale o arbitraria nella specie, non essendo nella (totale) libera disponibilità dell’ASL stessa, per i poteri regionali di organizzazione e dislocazione del SSN.
Insomma, non si ha, nel caso in esame, un procedimento di secondo grado —a differenza del caso in cui s’intervenga sull'aggiudicazione definitiva—, ma si conclude in senso negativo lo stesso ed unico procedimento di evidenza pubblica, a causa della sopravvenuta non utilità del contratto, ancora in itinere, all’interesse creditorio, mutato per factum principis non derogabile e tale da non rendere conveniente l’attivazione del rapporto negoziale.
Non è qui in discussione se occorra, nei procedimenti di autotutela, una congrua motivazione circa il modo con cui la P.A. contempera i contrastanti interessi nel momento della emanazione dell'atto di revoca, ché ciò è scontato. Ma è parimenti indubbio che, l’adeguatezza della motivazione in ordine alla “revoca” de qua, ossia dell’esito negativo del procedimento d’evidenza pubblica si commisura solo con riferimento o all'indisponibilità delle relative somme in bilancio, o alla necessità di assicurare il rispetto delle previsioni del bilancio e del patto di stabilità o al mutato assetto organizzativo che discende dai nuovi vincoli finanziari.
4.3. – Non inficia quest’ordine concettuale la circostanza che, nella specie, l’ASL non abbia interrotto per tempo il procedimento di gara, pur se già nella fase iniziale di quest’ultimo ha avuto contezza della soppressione dei presidi ospedalieri di Minervino Murge e di Spinazzola.
Da questa vicenda l’appellante vuol inferirne l’irrilevanza o la non influenza sull’assetto negoziale impresso dall’ASL alla gara, come se tal soppressione in fondo mantenesse integre le esigenze di acquisto del servizio appaltando e fosse poi adoperata, a gara finita, quale pretesto per non definirne il contratto. Ma ciò è solo una petizione di principio, in quanto, per un verso, l’appellante legge la vicenda stessa in tal maniera ma, già negli argomenti dedotti in primo grado, non ne indica i dati e la dimostrazione logico-finanziaria. Per altro verso ed in relazione all’oggetto del servizio —da fornire in base alle giornate di degenza—, la predetta soppressione modifica, sì in pejus ma per l’ASL, la previsione sulla convenienza di mantenere inalterato il numero di tali giornate a fronte di un’oggettiva e non manifestamente irrilevante diminuzioni delle degenze. Né coglie il segno l’obiezione che, siccome l’ASL nei primi tre trimestri ha avuto un qualche utile di gestione, non può affermare di versare in difficoltà finanziarie, ché un trend favorevole di (un solo) esercizio di per sé solo non implica né la diminuzione dellostock del debito pregresso (e, dunque, delle ragioni della crisi sanitaria), né l’obbligo d’impiegare tutto l’utile stesso per assecondare un solo contratto, in sé non più conveniente.
Da tanto discende come non giovi all’appellante il richiamo d’un precedente della Sezione (cfr. Cons. St., III, 15 maggio 2012 n. 2805), pur se riferito all’ASL appellata, in quanto esso, per contro, serve a corroborare la non necessarietà dell’aggiudicazione definitiva.
Invero, la Sezione precisa, in modo assai opportuno, che le ben «… note… difficoltà finanziarie in cui versano numerose aziende sanitarie…se impongono l’eliminazione di tutte le spese non necessarie e, più in generale, l’adozione di misure volte al contenimento delle spese di funzionamento, con una gestione più attenta delle limitate risorse disponibili, non impediscono alle aziende di esercitare la propria funzione e quindi di svolgere quelle attività necessarie per l’erogazione dei servizi pubblici ai quali devono provvedere…». È esattamente ciò cui mira l’ASL, con la delibera n. 1504/2011, laddove, appunto, mira non già svincolarsi da un contratto stipulato, ma a non impegnarsi in un rapporto sì in fieri però non più congruo rispetto alla previsione di spesa ed all’originario suo oggetto. L’ASL non rinuncia affatto al servizio in sé —tant’è che al contempo indice una nuova gara, commisurata al nuovo contesto organizzativo aziendale—, ma rinuncia ad un rapporto non più conveniente, appunto allo scopo d’una più razionale gestione di risorse comunque scarse. Tal scopo non sarebbe stato certo raggiunto, ove l’ASL avesse comunque, ossia al medesimo costo per un oggetto più ridotto, aggiudicato all’appellante.
Se, dunque, non v’è una statuizione di secondo grado e poiché verso di essa l'aggiudicatario provvisorio non ha titolo di pretendere l’adempimento della stipulazione del contratto d’appalto, è impossibile far riferimento all’art. 21-quinquies della l. 241/1990. Invero, l'obbligo della P.A., relativo all'indennizzo per il ristoro dei pregiudizi provocati dalla revoca, concerne i provvedimenti ad efficacia durevole, tra i quali non rientra l'aggiudicazione provvisoria (arg. ex Cons. St., III, 21 gennaio 2013 n. 339).
Non a diversa conclusione deve il Collegio pervenire con riguardo al richiamo dell’appellante alla possibilità di rinegoziare al contratto ai sensi dell’art. 17, c. 1, lett. a), VI per. del DL 98/2011. La norma invocata, al tempo in cui è stata emanata la delibera n. 1504/2011, aveva un altro contenuto e non prevedeva l’obbligo per l’ASL di rinegoziare il contratto, in realtà introdotto dalla novella ex art. 15, c. 13, lett. b) del DL 6 luglio 2012 n. 95 (convertito, con modificazioni, dallal. 7 agosto 2012 n. 135). Non a caso detta norma, entrata in vigore il 7 luglio 2012, legittimamente non è stata considerata dalla delibera stessa ed il riferimento ad essa da parte dell’appellante è inammissibile, in quanto formulato, oltre che per la prima volta in appello, per una vicenda ben anteriore alla citata novella del 2012.
5. – Sulla scorta di tali argomenti, si deve rigettare l’assunto dell’appellante, che reputa superficiale e non congrua l’articolata motivazione della delibera n. 1504/2011. Al contrario, il Collegio non può che ribadire quanto sul punto ha già affermato il Giudice di prime cure, laddove considera invece la delibera stessa a guisa di atto a motivazione plurima, ciascun elemento del quale essendo in sé sufficiente a fondarne la legittimità.
Al riguardo, s’è già detto come sufficienti a supportare la scelta sottesa alla ripetuta delibera siano gli argomenti delle difficoltà finanziarie del Servizio sanitario regionale. Queste s’appalesano dati così evidenti, da aver determinato, da parte della Regione e con statuizione (deliberazione G.R. n. 306 del 20 marzo 2011) non contestata dall’appellante, la scelta di sopprimere i plessi di Minervino Murge e di Spinazzola e di convertirne le attività.
E s’è detto pure dell’alterazione dell’equilibrio sinallagmatico, ab origine (ossia, quando fu indetta la gara per cui è causa) sussistente e tenuto presente, ma mantenuto solo rebus sic stantibus, fintanto che non sia divenuta efficace la predetta soppressione.
È materialmente vero che quest’ultima, di per sé sola, non ha provocato, né pare determinare anche adesso la definitiva cessazione delle relative due strutture, per le quali, quindi, se ne determina la trasformazione di queste in plessi che svolgono servizi sanitari non ospedalieri. In tal modo, però, si ha pure la riduzione non solo dei posti-letto, ma soprattutto delle degenze nel loro complesso e, quindi, delle esigenze del servizio di lavanolo per quei plessi, donde la modificazione in peggio di detto equilibrio, a suo tempo fissato in modo inderogabile dall’ASL nella delibera n. 1323/2011, con stima relativa all’anno 2010. Sicché non convince la tesi dell’appellante, per cui la modifica di tal equilibrio ridonderebbe in danno solo verso se stessa e non verso l’ASL. In disparte la fissazione dell’importo di aggiudicazione posta dalla citata delibera n. 1323/2011 in base alle giornate di degenza per il 2010, la modifica dell’incidenza dei due presidi soppressi implica la diminuzione dei costi fissi dell’appaltatore, con riguardo all’acquisto dei beni da prestare, al personale da impiegare nel servizio e della relativa logistica per il ritiro e la consegna della biancheria.
L’appellante insiste nell’affermare che la delibera n. 1323/2011 avrebbe già incorporato la riduzione dei presidi ospedalieri aziendali. Essa trae tal convincimento dalla parte della delibera stessa con cui l’ASL prende atto che «… per l’anno 2010, il numero di giornate di degenza presso i 4 Presidi Ospedalieri della ASL BT ammonta…». Nondimeno questo argomento, esplicitato così solo in questo grado d’appello, riguarda un enunciato della delibera n. 1323/2011 che, per quanto poco perspicuo, è servito all’ASL soltanto per determinare il reale numero di giornate di degenza da remunerare e guarda all’assetto aziendale al 31 dicembre 2010. Ma, a tale data, già v’era sì il piano regionale di ristrutturazione della rete ospedaliera, ma non anche la DGR n. 306/2011 (di cui dà contezza l’appellante a pag. 14 del ricorso di primo grado), recante la riconversione dei due ex-ospedali di Minervino Murge e di Spinazzola ed intervenuta ben dopo non solo la scadenza del termine di presentazione delle offerte, ma addirittura l’inizio delle operazioni di valutazione di esse da parte del seggio di gara.
Da condividere è altresì la sentenza, laddove confuta l’erroneo riferimento dell’odierna appellante all’art. 4 del CSA, relativo al jus variandi della stazione appaltante sulle quantità delle prestazioni dedotte in appalto, nei soli limiti del c.d. “quinto d’obbligo” e nel caso di rimodulazione strutturale dell’ASL (e ciò, d’altronde, è stato ribadito dalla ripetuta delibera n. 1323). Rettamente il TAR osserva come siffatta clausola riguardi la sola esecuzione del contratto stipulato, non già, questo essendo appunto l’oggetto della delibera n. 1504/2011, la convenienza in sé dell’impegno negoziale prima della stipulazione. In altri termini, la clausola è stata apposta al CSA, con ogni evidenza, nella consapevolezza dell’imminente ristrutturazione della rete ospedaliera regionale e dell’esecuzione di questa non uno actu ma in continuo divenire. Dunque essa avrebbe riguardato tal ristrutturazione, ov’essa si fosse determinata dopo la stipulazione del contratto, non durante l’espletamento della gara o prima dell’aggiudicazione definitiva, com’è avvenuto.
6. – Ancora, l’appellante si duole dell’illegittimo richiamo, anche da parte dell’impugnata sentenza, al citato art. 81, c. 3 del Dlg 163/2006, ma pure tale tesi non convince.
Detto art. 81, c. 3 dispone che «… le stazioni appaltanti possono decidere di non procedere all'aggiudicazione se nessuna offerta risulti conveniente o idonea in relazione all'oggetto del contratto…». La norma, come si vede, richiede alla stazione appaltante un giudizio di convenienza sul futuro contratto, che consegue, tra l’altro, ad apprezzamenti sull'inopportunità di proseguire nella verifica di congruità, affidabilità ed utilità economica del rapporto negoziale. Tanto, se del caso, anche alla luce di una generale riconsiderazione dell'appalto, foss’anche per ragioni organizzative o economiche discendenti da volizioni altrui: ciò è dunque sufficiente a rendere ragione della decisione assunta. Invero, in sede d’evidenza pubblica, la stazione appaltante dispone di ampi poteri, non condizionati dalle valutazioni tecniche del seggio di gara, ben potendo essa sempre disporre del contratto (o, per meglio dire, della non definizione dell’aggiudicazione definitiva) nell’esercizio delle sue funzioni di controllo. In concreto, questi ultimi, in particolare, discendono non già o non tanto dalla scansione procedimentale fissata dagli art. 11 e 12 del Dlg 163/2006, bensì dalla diversa e più generale facoltà attribuitale a norma del successivo art. 81, c. 3 (arg. ex Cons. St., IV, 17 maggio 2012 n. 2848).
Né basta: il potere della stazione appaltante di non procedere all'aggiudicazione definitiva, appunto ai sensi dell'art. 81, c. 3, ha un carattere amplissimo, servendo alla stazione appaltante un’ampia gamma di poteri circa la possibilità di non procedere all'aggiudicazione del contratto per specifiche ed obiettive ragioni di pubblico interesse (arg. ex Cons. St., IV, 26 marzo 2012 n. 1766).
Né può esser condiviso l’assunto per cui la delibera n. 1504/2011 revoca tutti gli atti della gara, compresi quelli già a suo tempo rimossi dall’ASL, ma non anche la delibera n. 112/2010, che detta gara indice. La serena lettura della delibera stessa porta invece a concludere che la volizione di detta ASL è solo quella di rimuovere ab imis le disposizioni regolatrici della gara de qua, nonché tutti i suoi effetti. Pretestuosa ne è ogni altra o diversa lettura, giacché la stessa delibera n. 1504/2011 demanda agli uffici di riformulare una nuova gara, ad oggetto certo simile (ché, come s’è detto, l’ASL non ha rinunciato al servizio), ma con regole e clausole incompatibili con quanto ha formato oggetto della delibera n. 112/2010. Poiché, appunto, la nuova gara deve tener conto in modo differente, rispetto alla situazione organizzativa del 2010, la realtà aziendale valutando in altro modo l’incidenza dei due presidi soppressi, si ha per ciò solo la abrogazione della delibera n. 112/2010 per incompatibilità.
7. – Ammissibile così essendo il gravame incidentale dell’ASL intimata, esso è pure da condividere, nei termini di cui appresso.
Il TAR ha accolto la domanda risarcitoria dell’appellante principale verso l’ASL stessa, a titolo di responsabilità pre-contrattuale, nella considerazione che detta P.A., pur già consapevole del piano regionale di ristrutturazione della rete ospedaliera e della soppressione dei citati presidi e per quanto vicende sopravvenute all’indizione della gara, ne ha rimosso gli atti a causa di tali presupposti, ma molto tempo dopo il loro verificarsi.
Nondimeno, accogliendo sul punto le obiezioni dell’ASL, il piano regionale, di cui alla DGR n. 2791 del 15 dicembre 2010, ha sì indicato i presidi di Minervino Murge e di Spinazzola tra quelli da sopprimere, ma ne ha solo stabilito le linee-guida per l’appropriatezza degli ospedali. Dal canto suo, l’art. 4 del regol. reg. 16 dicembre 2010 n. 18, dopo aver stabilito il miglioramento della qualità e dell’appropriatezza sarebbe stato perseguito mercé la trasformazione delle degenze ospedaliere in servizi assistenziali alternativi ai ricoveri, perché più adeguati alle esigenze dei pazienti e meno onerosi per la collettività, ha rimodulato gli ospedali soppressi in strutture assistenziali territoriali alternative al ricovero. Né va sottovalutato che il processo di trasformazione è proseguito per tutto l’anno 2011 ed è poi stato formalizzato, con la ridefinizione degli organici, con la l. reg. Puglia 15 maggio 2012 n. 11, ossia ben dopo la definizione della gara de qua e dell’emanazione degli atti impugnati in primo grado.
Sicché, ai fini della responsabilità pre-contrattuale, non basta predicare nella specie il mero fatto, in sé materialmente vero, della sopravvenienza della cessazione dei presidi ospedalieri di Minervino Murge e di Spinazzola in corso di gara.
In disparte che, come ha ammesso in primo grado pure l’appellante principale, è dovuta intervenire la DGR 306/2011 per riconvertire detti presidi in altro tipo di strutture, tal provvedimento è stato emanato nel corso delle valutazioni del seggio di gara sulle offerte. Le relative sedute, per la complessità dell’oggetto delle prestazioni dedotte in appalto e delle relative offerte, si sono a loro volta distribuite nell’arco temporale da febbraio ad agosto 2011, con una media di tre sedute al mese. Rettamente l’ASL precisa che, per quanto ben a conoscenza di tali vicende di ristrutturazione, non per ciò solo ha tenuto una condotta colpevole, a fronte d’una sì lunga e complessa attività valutativa del seggio di gara, regolata secondo giudizi ed accertamenti di merito tecnico, certo non nella libera disponibilità della stazione appaltante. Al contrario, detta ASL, una volta chiarite le implicazioni dell’eventuale aggiudicazione definitiva nel nuovo assetto organizzativo aziendale, ha provveduto tempestivamente a rimuovere gli atti e gli effetti della gara stessa, prima, cioè, che la relativa definizione la impegnasse in modo irreversibile ad un appalto ormai non più conveniente.
8. – In definitiva, solo per questa parte ed in accoglimento del solo gravame incidentale dell’ASL, la sentenza impugnata va riformata, mentre l’appello incidentale della LAVIT s. coop. va dichiarato improcedibile, non essendosi modificato l’assetto impresso da tal sentenza nei riguardi di tal Società cooperativa. Giusti motivi e la complessa articolazione della vicenda suggeriscono l’integrale compensazione, tra tutte le parti, delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. III), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 9304/2012 RG in epigrafe, respinge l'appello principale, accoglie l’appello incidentale dell’ASL BT e dichiara improcedibile quello incidentale della LAVIT s. coop. e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, rigetta integralmente il ricorso proposto in primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 18 giugno 2013, con l'intervento dei sigg. Magistrati:


Giuseppe Romeo, Presidente
Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore
Massimiliano Noccelli, Consigliere
Alessandro Palanza, Consigliere
Pierfrancesco Ungari, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/09/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


NOVITA': l'Italia, Paese "extracomunitario".


NOVITA': 
l'Italia, 
Paese "extracomunitario".


Le ultime procedure d'infrazione dell'U.E. contro l'Italia testimoniano che "di diritto" siamo un paese comunitario, ma "di fatto" siamo un Paese "extracomunitario", ossia del tutto estraneo ai capisaldi (giustizia, P.A., politica, conti pubblici, "etc") d'Oltralpe.
C'è poco da aggiungere e molto da riflettere e da fare.
FF

mercoledì 25 settembre 2013

TRIBUTARIO: anche nel processo tributario il contribuente ha diritto d'introdurre dichiarazioni dei terzi extraprocessuali (Cass.Civ., Sez. Trib., sentenza 18 settembre 2013 n. 21305).


TRIBUTARIO: 
anche nel processo tributario 
il contribuente ha diritto 
d'introdurre dichiarazioni dei terzi extraprocessuali (Cass.Civ., Sez. Trib., 
sentenza 18 settembre 2013 n. 21305).


Massima

In tema di contenzioso tributario, anche al contribuente oltre che all' amministrazione finanziaria, deve essere riconosciuta in attuazione dei principi del giusto processo e della parità delle parti di cui al nuovo testo dell'art. 111 cost. - la possibilità di introdurre, nel giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale (come appunto le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà), le quali hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e come tali devono essere valutate dal giudice nel contesto probatorio emergente dagli atti.