martedì 24 febbraio 2015

PROCESSO & RISARCIMENTO: la V Sezione rimette alla Plenaria un quesito sull'inderogabilità della tutela demolitoria (Cons. St., Sez. V, ordinanza collegiale 22 gennaio, n. 284).


PROCESSO & RISARCIMENTO: 
la V Sezione rimette alla Plenaria
un quesito sull'inderogabilità 
della tutela demolitoria 
(Cons. St., Sez. V, 
ordinanza collegiale 22 gennaio, n. 284)



Massima

Il Collegio ritiene di sottoporre all’esame dell’Adunanza Plenaria (che valuterà se definire anche il secondo grado del giudizio) il quesito se il giudice amministrativo – in basi ai principi fondanti la giustizia amministrativa ovvero in applicazione dell’art. 34, comma 3, del c.p.a. - possa non disporre l’annullamento della graduatoria di un concorso, risultata illegittima per un vizio non imputabile ad alcun candidato, e disporre che al ricorrente spetti un risarcimento del danno (malgrado questi abbia chiesto soltanto l’annullamento degli atti risultati illegittimi), quando la pronuncia giurisdizionale – in materia di concorsi per l’instaurazione di rapporti di lavoro dipendente - sopraggiunga a distanza di moltissimi anni dalla approvazione della graduatoria e dalla nomina dei vincitori, e cioè quando questi abbiano consolidato le scelte di vita e l’annullamento comporti un impatto devastante sulla vita loro e delle loro famiglie.


Ordinanza collegiale per esteso

Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente

ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL'ADUNANZA PLENARIA
sul ricorso numero di registro generale 9166 del 2002, proposto dalla signora Giammaria Lorella, rappresentata e difesa dall’avv. Vincenzo Camerini e dall’avv. Adriano Rossi, con domicilio eletto in Roma presso lo studio di quest’ultimo, viale delle Milizie, 1;

contro
Comune de L’Aquila (Aq), in persona del Sindaco pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv. Domenico De Nardis, dell’Avvocatura Comunale, con elezione di domicilio in Roma presso lo studio dell’avv. Annalisa Pace, via Tremiti 10; 
nei confronti di

signori Costanzi Paolo e Sico Elena, costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dall’avv. Roberto Colagrande, con domicilio eletto in Roma presso lo Studio Scoca, via Giovanni Paisiello, 55;
la signora D’Orazi Sabrina Anna;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per l’Abruzzo, L’Aquila, n. 69 del 2002, resa tra le parti e concernente un concorso per titoli ed esami a tre posti di funzionario tecnico di ragioneria;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di L'Aquila;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista la precedente ordinanza collegiale n. 1170 del 13 marzo 2014, resa nel presente procedimento, e le conseguenti acquisizioni istruttorie;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 luglio 2014 il Cons. Fulvio Rocco e uditi per gli intimati Paolo Costanzi e Elena Sico l’avv. Roberto Colagrande;
Ritenuto in fatto e diritto quanto segue.

1.1. L’attuale appellante, dott.ssa Lorella Giammaria, ha partecipato ad un concorso pubblico per titoli ed esami avente ad oggetto la copertura di tre posti di funzionario tecnico di ragioneria (all’epoca VIII^ qualifica funzionale, ai sensi del D.P.R. 25 giugno 1983, n. 347), dei quali uno riservato al personale interno, indetto dal Comune de L’Aquila, con deliberazione della Giunta Comunale n. 1363 del 26 agosto 1997.
Nel bando di concorso, pubblicato in data 10 ottobre 1997, era stato previsto – tra l’altro – all’art. 6 il programma di esami, stabilendo che sarebbero state svolte due prove scritte, una in materia di legislazione amministrativa e tributaria concernente gli enti locali, e la seconda in materia di diritto amministrativo e tributario con particolare riferimento all’ordinamento degli enti locali.
Per quanto attiene alla nomina della commissione esaminatrice, l’art. 8 del bando medesimo rinviava alla normativa vigente, nel mentre l’art. 9 precisava che avrebbero conseguito l’ammissione al colloquio orale i candidati che avessero riportato in ciascuna prova scritta la votazione di almeno 7/10.
Con la nota del 28 aprile 1999 del presidente della commissione esaminatrice, la signora Giammaria è stata informata di avere ottenuto il punteggio di 4/10 per il suo elaborato relativo alla prima prova scritta e di 6/10 per l’elaborato relativo alla seconda prova scritta, e di non essere stata pertanto ammessa a sostenere la prova orale.
La signora Giammaria riferisce di aver chiesto in data 15 maggio 1999 l’accesso, ai sensi dell’art. 22 e ss. della L. 7 agosto 1990, n. 241, alla documentazione relativa al concorso e di aver constatato che la votazione insufficiente le era stata attribuita da una commissione d’esame da lei ritenuta non costituita secondo la disciplina al riguardo prevista dall’art. 37 del Regolamento organico del personale del Comune, e che in violazione dell’art. 46 del Regolamento medesimo organico la commissione esaminatrice non aveva previamente stabilito i criteri e le modalità di valutazione delle prove orali sostenute.
1.2. In dipendenza di ciò, con ricorso proposto sub R.G. 469 del 1999 innanzi al T.A.R. per l’Abruzzo, Sede de L’Aquila, la signora Giammaria ha chiesto – tra l’altro - l’annullamento del provvedimento recante la sua mancata ammissione alle prove orali, nonché delle deliberazioni della Giunta Comunale n. 565 del 21 maggio 1998 e n. 979 del 14 luglio 1998, n. 979, recanti la nomina della commissione esaminatrice, nonché degli atti della procedura concorsuale e, segnatamente, dei verbali della commissione esaminatrice n. 1 del 30 settembre 1998, n. 2 del 7 ottobre 1998 e n. 8 del 28 aprile 1999.
L’interessata ha dedotto al riguardo le seguenti censure.
I) violazione dell’art. 37 del regolamento organico del Personale in vigore presso il Comune di L’Aquila e degli artt. 1 ed 8 del bando concorsuale, nonché eccesso di potere per difetto di presupposti e travisamento dei fatti in dipendenza dell’illegittima composizione della Commissione esaminatrice; e ciò poiché il funzionario “esperto” componente della Commissione, prescelto tra i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, non apparteneva alla qualifica funzionale superiore rispetto a quella relativa al posto messo a concorso; non essendo – per l’appunto – un dirigente;
II) violazione dell’art. 46 del Regolamento organico del personale e degli artt. 1 e 6 del bando concorsuale, nonché eccesso di potere per irragionevolezza dell’azione amministrativa, non avendo la commissione esaminatrice previamente stabilito, nella prima riunione, i criteri di valutazione delle prove scritte;
III) eccesso di potere per illogicità manifesta e per contraddittorietà.
La ricorrente ha concluso per l’accoglimento del ricorso, con ogni consequenziale statuizione in ordine alle spese ed onorari di giudizio.
1.2. Si sono costituiti in tale primo grado di giudizio i controinteressati Elena Sico, Sabrina Anna D’Orazi e Paolo Costanzi, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso e concludendo comunque per la sua reiezione.
1.3. Non si è costituito in tale primo grado di giudizio il Comune.
1.4. Con la sentenza n. 69 del 5 marzo 2002, l’adito T.A.R. ha respinto il ricorso nel senso che “può prescindersi dall’eccezione di inammissibilità sollevata dai controinteressati, stante la infondatezza del ricorso.
E’ infondato il primo motivo di ricorso, con cui la ricorrente denuncia la illegittima composizione della Commissione esaminatrice per la presenza di un componente, nominato quale esperto, prescelto tra di dipendenti del Comune, che non sarebbe in possesso della qualifica superiore a quella relativa al posto messo in concorso.
L’assunto non può essere condiviso. Dal certificato rilasciato dal Dirigente amministrativo del Comune di Roseto degli Abruzzi, amministrazione di appartenenza dell’esperto di cui si discute, depositato in data 3 novembre 2001, si evince che la stessa, dott. Rosaria Ciancaione, con atti sindacali in data 25 giugno 1998 , 11.dicembre 1998 e 9 febbraio 1999 è stata nominata Dirigente Direttore di Ragioneria ed è tuttora in servizio in qualità di Dirigente Direttore di Ragioneria. Orbene, gli atti formali di incarico, ancorché non costituenti formali atti di nomina, tuttavia sono idonei a supportare la qualità di “esperta” di una Commissione per l’esperienza e la capacità professionale acquisite e riconosciute.
Il Collegio ritiene di interpretare sostanzialmente il dettato dell’art. 37 del Regolamento organico del Comune, nel senso che la disposizione esige garanzie in ordine alle capacità sostanziali del soggetto, alla sua idoneità a svolgere la funzione di “esperto” in seno alla Commissione.
Ne consegue che è indubbio che il dott. Ciancaione, che effettivamente espleta funzioni dirigenziali, abbia l’esperienza sostanziale richiesta dalla norma di regolamento.
Anche il secondo motivo è infondato. Va precisato che la predeterminazione dei criteri di valutazione delle prove (non dei titoli, che nella specie, risultano determinati nel verbale n. 1 del 30 settembre 1998) di un concorso non può essere considerato elemento imprescindibile ai fini della legittimità concorsuale, poiché trattasi di attività riservata alla discrezionalità amministrativa, quando la valutazione avviene mediante l’attribuzione di un punteggio numerico; configurandosi,questo, come formula sintetica di esternazione della valutazione tecnica compiuta dalla Commissione.
Inammissibile, infine, il terzo motivo di ricorso, atteso che viene richiesto al Collegio una valutazione di merito degli elaborati, riservato alla valutazione tecnico-discrezionale della Commissione esaminatrice, sottratto al sindacato di legittimità, se non nei limiti della manifesta irrazionalità ed ingiustizia”.
Il giudice di primo grado ha integralmente compensato tra le parti
2.1. Con l’appello in epigrafe, la signora Giammaria chiede ora la riforma della sentenza surriportata, riproponendo anche nel presente grado le prime due censure sopradescritte, ma riferendo le relative illegittimità anche alle considerazioni contenute nella sentenza impugnata.
2.2. Si sono costituiti nel presente grado di giudizio gli appellati signori Paolo Costanzi e Elena Sico, replicando ai motivi avversari e concludendo per la reiezione dell’appello.
2.3. Con l’ordinanza collegiale n. 1170 del 13 marzo 2014, la Sezione ha “rilevato che nel primo grado di giudizio l’attuale appellante risulta aver formalmente esteso la propria impugnativa a tutti gli atti del procedimento concorsuale di cui trattasi, ivi segnatamente compresa la deliberazione di pprovazione della graduatoria del concorso medesimo” e “rilevato che tale provvedimento non risulta agli atti di causa”, ha ritenuto, pertanto, “la necessità di acquisirne copia mediante ordine al Sindaco de L’Aquila, il quale provvederà al riguardo entro il termine di giorni 60 (sessanta), decorrenti dalla comunicazione della presente ordinanza, ovvero dalla sua notificazione se anteriormente avvenuta, al conseguente deposito presso la Segreteria della Sezione”.
2.4. Il Comune de L’Aquila ha provveduto a tale incombente in data 23 aprile 2014 e si è quindi costituito anch’esso nel presente grado di giudizio, concludendo per la reiezione dell’appello.
3. Alla pubblica udienza dell’8 luglio 2014, l’appello è stato trattenuto in decisione.
4. Tutto ciò premesso, il Collegio respinge il primo motivo d’appello che – come sopra rilevato – ricalca nel suo contenuto la corrispondente prima censura dedotta nel ricorso proposto in primo grado.
L’art. 37 del Regolamento organico del personale comunale, laddove segnatamente si riferisce alla “qualifica funzionale superiore rispetto a quella relativa messa a concorso”, di per sé non preclude di far espletare l’incarico previsto dalla disciplina regolamentare in esame a coloro che non sono inquadrati in tale qualifica, ma ne svolgono interinalmente le funzioni su formale incarico ricevuto dall’amministrazione di appartenenza (nel caso di specie il Comune di Roseto degli Abruzzi).
A ragione il giudice di primo grado ha in tal senso fatto riferimento all’esperienza maturata nello svolgimento della funzione – comunque assegnata mediante un formale provvedimento dell’amministrazione di appartenenza – quale elemento sostanziale e in sé esaustivo al fine di legittimare la relativa nomina per l’espletamento della procedura concorsuale.
La relativa censura va pertanto respinta dal Collegio, con la valenza propria di sentenza parziale, a’ sensi dell’art. 36, comma 2, cod. proc. amm.
5.1. Più complessa è la questione riguardante il secondo motivo d’appello, anch’esso ricalcante la corrispondente seconda censura proposta in primo grado.
5.2. Come si è rilevato, il T.A.R. ha respinto la censura stessa, affermando che la predeterminazione dei criteri di valutazione delle prove - ossia, l’adempimento segnatamente non posto in essere dalla commissione esaminatrice - non costituirebbe un “elemento imprescindibile” ai fini della legittimità del procedimento concorsuale, trattandosi di “attività riservata alla discrezionalità amministrativa, quando la valutazione avviene mediante l’attribuzione di un punteggio numerico”, il quale costituirebbe in tal senso una “formula sintetica di esternazione della valutazione tecnica compiuta dalla Commissione”.
In effetti, risulta del tutto consolidato nella giurisprudenza di questo Consiglio il principio per cui nella fissazione dei criteri di valutazione delle prove di concorso la commissione è titolare di un’ampia discrezionalità, la quale, pur non precludendo in linea di principio il sindacato giurisdizionale, non consente, comunque, che nell’esercizio di questo il giudice possa sostituirsi alla commissione medesima compiendo valutazioni di merito o di opportunità (così, ex plurimis,e tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. VI, 17 giugno 2014, n. 3049), potendo i criteri medesimi essere censurati soltanto nei casi di manifesta illogicità e irrazionalità (cfr., ex plurimis e sempre tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 2013, n. 5760).
Peraltro, il principio della previa fissazione dei criteri di valutazione delle prove concorsuali che devono essere stabiliti dalla commissione esaminatrice, nella sua prima riunione - o tutt’al più prima della correzione delle prove scritte - deve essere inquadrato nell’ottica della trasparenza dell’attività amministrativa perseguita dal legislatore, che pone l’accento sulla necessità della determinazione e della verbalizzazione dei criteri stessi in un momento nel quale non possa sorgere il sospetto che questi ultimi siano volti a favorire o sfavorire alcuni concorrenti (così Cons. Stato, Sez. V, 4 marzo 2011, n. 1398); e tra la necessaria fissazione dei criteri anzidetti e la legittimità dell’attribuzione del voto numerico che legittimamente sintetizza la valutazione della commissione sussiste un nesso indissolubile, poiché - se mancano criteri di massima e precisi parametri di riferimento cui raccordare il punteggio assegnato- risulta illegittima la valutazione dei titoli in forma numerica (cfr. in tal senso, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 11 febbraio 2011, n. 913).
Del resto, anche a prescindere dalla stessa fonte regolamentare vigente nel Comune de L’Aquila, in applicazione dell’art. 12 del D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, devono essere sempre predeterminati i criteri di valutazione delle prove d’esame; e la violazione di tale adempimento rende conseguentemente illegittimo il procedimento concorsuale (cfr. ad es. Cons. Stato, Sez.IV, 30 novembre 2007, n. 6096).
L’illegittimità degli atti risulta effettivamente sussistente, non essendo stati fissati i criteri di valutazione da parte della commissione d’esame.
2. Posto ciò, il Collegio ritiene di sottoporre all’esame dell’Adunanza Plenaria la questione riguardante la sorte che in sede giurisdizionale debbano avere le risultanze di un concorso caratterizzato da atti risultati illegittimi, quando il suo espletamento risulti avvenuto da tempo ormai risalente e sia stato seguito dalla assunzione in servizio dei suoi vincitori (nella specie, avvenuta circa 15 anni prima della rilevazione dei vizi del procedimento, con la presente pronuncia).
Risulta innegabile che in tale consistente lasso di tempo coloro che hanno partecipato al concorso ed hanno poi preso servizio (ed ai quali non sono riferibili i vizi del procedimento) hanno fatto le loro scelte di vita, di ordine familiare, lavorativo, anche di cessazione degli studi a seguito del conseguimento di posti di lavoro a tempo indeterminato.
In una tale situazione, il Collegio ritiene che – ove la parte che abbia fondatamente impugnato gli atti del procedimento concorsuale ne faccia espressa richiesta – la pronuncia del giudice amministrativo, basandosi su una valutazione di tutte le circostanze, possa disporre unicamente il risarcimento del danno, senza il previo annullamento degli atti risultati illegittimi.
In tal senso, possono essere richiamati:
- i principi di giustizia già enunciati da questo Consiglio a partire dalla sentenza della Sez. VI n. 2755 del 2011, la quale ha evidenziato – sia pure in una controversia riguardante la tutela dell’ambiente e dunque caratterizzata dalla applicazione dei principi del diritto europeo – come il giudice amministrativo possa non disporre l’annullamento dell’atto risultato illegittimo (ma, se del caso, disporne la sostituzione con l’eliminazione del vizio riscontrato), quando un tale annullamento non comporti alcun beneficio per gli interessi pubblici coinvolti, né arrechi giovamento al ricorrente che ha proposto il ricorso d’annullamento, risultato fondato;
- il principio di proporzionalità, da intendere nella sua accezione etimologica e dunque da riferire al senso di equità e di giustizia, che deve sempre caratterizzare la soluzione del caso concreto, non solo in sede amministrativa, ma anche in sede giurisdizionale.
3. A questo punto, il Collegio evidenzia che – se l’interessata avesse formulato una espressa domanda risarcitoria, basata sulla illegittimità degli atti del concorso conclusosi nel 1999 – il presente giudizio si sarebbe potuto senz’altro concludere con l’accoglimento di tale domanda, senza l’annullamento dei medesimi atti.
Infatti, ragioni di equità e giustizia inducono a ritenere che – sulla base di una complessiva valutazione del caso di specie - il giudice amministrativo possa in linea di principio modulare la tutela spettante a chi abbia fondatamente impugnato gli atti di un procedimento concorsuale (ad es., perché è risultato illegittimamente escluso, ovvero perché sussistono altri vizi, che non siano imputabili ai vincitori del concorso), decidendo di non annullare la graduatoria finale e di disporre la condanna al risarcimento del danno.
Il danno sociale derivante da un tale annullamento - disposto ‘automaticamente’ - risulta evidente: la perdita dell’attività lavorativa da parte dei candidati a suo tempo risultati vincitori comporta il radicale e gravissimo sconvolgimento delle loro vite e delle loro famiglie.
Certo, il decorso del tempo (specie quando si tratti di dare tutela ai valori primari, come la tutela del territorio, dell’ambiente, e del paesaggio) non può essere considerato di per sé un elemento ostativo all’annullamento dell’atto illegittimo e all’affermazione del principio per cui chi ha proposto un ricorso fondato ha titolo alla pronuncia favorevole: le insufficienze organizzative degli uffici giudiziari non possono incidere negativamente sulla effettività della tutela di chi abbia ragione.
Tuttavia, il giudice amministrativo – quando si tratti di questioni che riguardino persone fisiche e le loro attività lavorative - non può che farsi carico delle conseguenze delle proprie pronunce, verificando se esse risultino, appunto, conformi ai principi di proporzionalità, di equità e di giustizia.
Mentre l’annullamento dell’atto autoritativo illegittimo risulta (e deve risultare) la misura tipica di giustizia quando la sua rimozione attribuisca il ‘bene della vita’ a chi abbia ragione (o intenda salvaguardare valori primari dell’ordinamento), l’accoglimento del ricorso in concreto – in materia di concorsi (o, ad es., di selezione per l’accesso all’università) può risultare in contrasto con tali principi se – disponendo l’annullamento dell’atto - sottrae il ‘bene della vita’ ad uno o più controinteressati, senza poterlo attribuire al ricorrente (e dunque quando per soddisfare una chance – per di più ben difficilmente soddisfabile - si facciano cessare rapporti di lavoro da tempo in corso).
4. In questo contesto, va dunque esaminato il contenuto dell’art. 34, comma 3, cod. proc. amm., il quale dispone che “quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”.
La giurisprudenza di questo Consiglio ha sin qui prevalentemente interpretato tale disposizione nel senso che debba esservi anche un'espressa richiesta dell’interessato (così, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 14 dicembre 2011n. 6539 e 6 dicembre 2010 n. 8550), incombendo sulla parte medesima l’onere di allegare compiutamente i presupposti per la successiva proposizione dell’azione risarcitoria (così Cons. Stato, Sez. IV, 28 dicembre 2012, n. 6703).
Esiste tuttavia anche una giurisprudenza di segno diverso, secondo la quale al quesito se l’applicazione della disciplina in esame presupponga una specifica istanza dell'interessato “va data risposta negativa”, posto che “in tal senso milita, anzitutto, l'argomento testuale. Infatti, la norma dispone che in presenza dei presupposti dalla stessa predefiniti “il giudice accerta l'illegittimità dell'atto”, impiegando una locuzione vincolante In secondo luogo, l'accertamento dell' illegittimità dell'atto impugnato è contenutonel petitum di annullamento come un presupposto necessario. Siccome il più contiene il meno, il giudice limita la sua pronuncia ad un contenuto di accertamento in seguito ad una valutazione dell'interesse a ricorrere, quindi da compiere d'ufficio: in quanto manca l'interesse all'annullamento ma sussiste l'interesse all'accertamento ai fini risarcitori” (così Cons. Stato, Sez. V, 12 maggio 2011, n. 2817).
5. Il Collegio ritiene che tali questioni interpretative dell’art. 34, comma 3, non riguardino specificamente la problematica che si intende porre all’esame dell’Adunanza Plenaria.
Il medesimo comma 3 non sembra ostacolare una pronuncia del giudice amministrativo che – quando si tratti della tutela di posizioni di lavoro - si limiti ad affermare l’illegittimità dell’atto impugnato, senza disporne l’annullamento, anche se il ricorrente non abbia esplicitato una domanda risarcitoria, quando – dall’esame della complessiva situazione venutasi a verificare – il giudice ritenga che l’annullamento medesimo – lungi dal dare una vera e piena tutela al ricorrente – in realtà non sia altro che una fonte di danno sproporzionato per controinteressati che non abbiano determinato l’illegittimità degli atti.
In tal caso, per i principi sopra richiamati, la vera giustizia del caso concreto e la effettiva tutela per il ricorrente possono consistere nell’accertare – così come richiesto – l’illegittimità degli atti impugnati, affinché – se del caso in un separato giudizio, in ipotesi anche d’ottemperanza – sia quantificato il danno patrimoniale risarcibile.
6. Stando così le cose, il Collegio ritiene di sottoporre all’esame dell’Adunanza Plenaria (che valuterà se definire anche il secondo grado del giudizio) il quesito se il giudice amministrativo – in basi ai principi fondanti la giustizia amministrativa ovvero in applicazione dell’art. 34, comma 3, del c.p.a. - possa non disporre l’annullamento della graduatoria di un concorso, risultata illegittima per un vizio non imputabile ad alcun candidato, e disporre che al ricorrente spetti un risarcimento del danno (malgrado questi abbia chiesto soltanto l’annullamento degli atti risultati illegittimi), quando la pronuncia giurisdizionale – in materia di concorsi per l’instaurazione di rapporti di lavoro dipendente - sopraggiunga a distanza di moltissimi anni dalla approvazione della graduatoria e dalla nomina dei vincitori, e cioè quando questi abbiano consolidato le scelte di vita e l’annullamento comporti un impatto devastante sulla vita loro e delle loro famiglie.
7. Per le ragioni che precedono, il primo motivo d’appello va respinto, mentre si deferisce all’esame dell’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99 del c.p.a., il secondo motivo in relazione alle conseguenze del suo accoglimento.
Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio sono riservate al definitivo.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, respinge il primo motivo di appello a’ sensi dell’art. 36, comma 2, cod. proc. amm. e, per il resto, ne dispone il deferimento all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
Manda alla segreteria della Sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all'adunanza plenaria.
Riserva al definitivo la pronuncia sulle spese e gli onorari del presente grado di giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 luglio 2014 con l’'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere
Manfredo Atzeni, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE






DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/01/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


TRIBUTARIO: la Consulta ritiene legittima l'aliquota massima dell'IRESA fissata dallo Stato (Corte Costituzionale, sentenza 13 febbraio 2015, n. 13).


TRIBUTARIO: 
la Consulta ritiene legittima 
l'aliquota massima dell'IRESA 
fissata dallo Stato
 (Corte Costituzionale, 
sentenza 13 febbraio 2015, n. 13) 



Semplifichiamo: l'IRESA è un'imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili civili, introdotta dallo Stato tramite artt. 90 ss. della l. n. 342/2000 e disciplinata, di recente, dalla Regione Lazio con l.r. n. 3/2012 (insieme alla Regione Lombardia la più "sensibile" sul tema, a causa della presenza di un forte flusso aviario in entrambe le Regioni).
Ovviamente la regione ha tutto l'interesse a rinpinguare le esangui casse regionali; e lo ha dimostrato prevedendo un'aliquota alta, pur giustificandola come un'imposta di scopo, ossia finalizzata ad abbattere l'inquinamento acustico ... 
Lo Stato, per incentivare il traffico aereo in occasione dell'Expo S.p.A., è intervenuto posteriormente con l'art. 13, co. 15-bis, del d.l. n. 145/2013 (conv. l. n. 9/2014, art. 1, co. 1), introducendo un'aliquota "generale", quanto ai presupposti applicativi, e, soprattutto, sensibilmente più bassa dell'l'aliquota massima della Regione Lazio.
E' insorta quest'ultima davanti alla Consulta e, per una volta, il favor erarii, nella sostanza, è risultato recessivo rispetto agli obiettivi di sviluppo connessi all'Expo S.p.A. - sviluppi che ben possono comunque compensare le perdite tributarie regionali, sebbene solo a livello statale -.


Sentenza per esteso


SENTENZA N. 13
ANNO 2015

INTESTAZIONE

LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Alessandro CRISCUOLO; Giudici : Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON,

ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 15-bis, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 (Interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia”, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2014, n. 9, promosso dalla Regione Lazio, con ricorso notificato il 18-24 aprile 2014, depositato in cancelleria il 23 aprile 2014 ed iscritto al n. 32 del registro ricorsi 2014.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 27 gennaio 2015 il Giudice relatore Giuliano Amato;
uditi l’avvocato Francesco Saverio Marini per la Regione Lazio e l’avvocato dello Stato Paolo Marchini per il Presidente del Consiglio dei ministri.

                                                 Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso spedito per la notifica in data 18 aprile 2014, ricevuto dalla resistente il 24 aprile 2014 e depositato nella cancelleria della Corte il 23 aprile 2014, la Regione Lazio ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 15-bis, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 (Interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia”, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2014, n. 9.
Il comma 15-bis dell’art. 13 viene censurato nella parte in cui stabilisce il valore massimo dell’aliquota dell’imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili civili (d’ora in avanti, «IRESA»), di cui agli artt. 90 e seguenti della legge 21 novembre 2000, n. 342 (Misure in materia fiscale).
I parametri invocati nel ricorso sono l’art. 77, secondo comma, della Costituzione; l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in combinato disposto con l’art. 3 Cost.; gli artt. 117, secondo e terzo comma, e 119, primo e secondo comma, Cost., in relazione all’art. 11 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario), e all’art. 19 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica); nonché l’art. 120 Cost., in combinato disposto con gli artt. 117 e 119 Cost.
2.− La Regione Lazio premette che, con la legge n. 342 del 2000, è stata istituita l’imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili, dovuta alle Regioni o alle Province autonome da parte dell’esercente dell’aeromobile, ed è stato previsto un parziale vincolo di gettito per opere di disinquinamento acustico nonché per il risarcimento dei soggetti danneggiati dalle emissioni sonore.
Evidenzia la parte ricorrente che, in attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), è stato emanato il d.lgs. n. 68 del 2011, il cui art. 8 ha stabilito che «Ferma la facoltà per le regioni di sopprimerli, a decorrere dal 1° gennaio 2013 sono trasformati in tributi propri regionali [...] l’imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili di cui [...] agli articoli da 90 a 95 della legge 21 novembre 2000, n. 342».
2.1.− La ricorrente riferisce quindi che, ai sensi del menzionato art. 8 del d.lgs. n. 68 del 2011, la legge della Regione Lazio 29 aprile 2013, n. 2, recante «Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2013 (art. 11, legge regionale 20 novembre 2001, n. 25)», ha disciplinato l’IRESA quale tributo regionale proprio, stabilendone il presupposto, le esenzioni nonché la misura.
In particolare, l’art. 5 della legge regionale n. 2 del 2013 stabilisce, al sesto comma, la misura dell’IRESA, prevedendo aliquote differenziate, variabili da un minimo di 1,60 euro per tonnellata, sino ad un massimo di 2,5 euro per tonnellata, da applicare agli aeromobili sprovvisti di certificazione acustica o non rispondenti ai parametri fissati dall’International civil aviation organization (ICAO).
2.2.− La parte ricorrente riferisce, inoltre, che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (d’ora in avanti, «AGCM»), nell’atto di segnalazione n. 1071 del 27 agosto 2013, ha ritenuto che la difformità fra le normative delle sei Regioni che hanno istituito l’IRESA determini un’alterazione della redditività per i vettori che fanno scalo solo in alcuni aeroporti rispetto ad altri, con conseguenze distorsive sul piano concorrenziale per le compagnie aeree, i consumatori e le società di gestione degli aeroporti. L’Autorità ha, inoltre, osservato che «Le problematiche concorrenziali evidenziate possono essere superate attraverso la definizione con legge dello Stato di criteri uniformi per il calcolo dell’imposta, il cui gettito dovrà ovviamente essere devoluto alle regioni di pertinenza».
2.3.− Con il successivo d.l. n. 145 del 2013, il Governo ha adottato «Interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia”, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015». In particolare, la legge di conversione n. 9 del 2014 ha inserito all’art. 13, recante «Disposizioni urgenti per EXPO 2015, per i lavori pubblici ed in materia di trasporto aereo», il comma 15−bis, oggetto dell’odierno giudizio.
2.4.− Così ricostruito il quadro normativo, la Regione Lazio denuncia, in primo luogo, l’illegittimità costituzionale del comma 15-bis dell’art. 13, per violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost.
Ritiene infatti la Regione che sia stato eluso il principio di omogeneità della decretazione d’urgenza, sia con riferimento alla disciplina del decreto-legge nella sua complessità, sia con specifico riguardo all’oggetto della norma impugnata, inserita dalla legge di conversione, rispetto al contenuto del decreto-legge.
2.4.1.− In via preliminare, la ricorrente richiama la giurisprudenza della Corte che condiziona l’ammissibilità delle questioni prospettate da una Regione, nell’ambito di un giudizio in via principale, in riferimento a parametri costituzionali diversi da quelli riguardanti il riparto delle competenze tra lo Stato e le Regioni, alla ridondanza delle asserite violazioni su tale riparto e alla specifica indicazione delle competenze ritenute lese e delle ragioni della lamentata lesione. La Regione sottolinea, in particolare, che − proprio con riferimento all’art. 77 Cost. − la Corte ha riconosciuto che le Regioni possono impugnare un decreto-legge per motivi attinenti alla pretesa violazione del medesimo art. 77, «ove adducano che da tale violazione derivi una compressione delle loro competenze costituzionali» (sentenza n. 6 del 2004), così come sarebbe accaduto nel caso di specie.
Le ragioni della ridondanza vengono quindi ricondotte alla violazione dell’autonomia finanziaria regionale, di cui all’art. 119, primo e secondo comma, Cost., poiché l’IRESA costituisce un tributo regionale proprio, ossia un tributo «istituito dalle regioni con proprie leggi in relazione ai presupposti non già assoggettati ad imposizione erariale», ai sensi dell’art. 7, comma 1, lettera b), numero 3), della legge n. 42 del 2009.
2.4.2.− Quanto al merito della censura relativa all’art. 77, secondo comma, Cost., la ricorrente evidenzia che nel d.l. n. 145 del 2013, come convertito, sarebbero state introdotte discipline del tutto eterogenee, incidenti su una pluralità di materie; viene quindi richiamata la giurisprudenza della Corte, la quale collega il riconoscimento dell’esistenza dei presupposti fattuali, di cui all’art. 77, secondo comma, Cost., ad un’intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico (sentenze n. 121 del 2008 e n. 171 del 2007).
Viceversa, nel caso in esame le fattispecie disciplinate dal d.l. n. 145 del 2013, come convertito, non sarebbero accomunate da una natura unitaria, né l’eterogeneità degli interventi potrebbe ritenersi giustificata dalla necessità di approntare rimedi urgenti rispetto a situazioni straordinarie sopravvenute.
2.5.− Sotto un diverso profilo, la ricorrente denuncia l’illegittimità della norma impugnata per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in combinato disposto con l’art. 3 Cost., evidenziando che la disposizione in esame, quand’anche sia ricondotta alla materia − di competenza esclusiva statale – ha superato i limiti di ragionevolezza e proporzionalità che fungono da parametro di legittimità dell’intervento statale sulle attribuzioni regionali.
La disposizione sarebbe intrinsecamente contraddittoria ed elusiva dello stesso scopo dichiarato dalla norma. Anziché individuare «criteri uniformi per il calcolo dell’imposta» (come auspicato dall’AGCM), la norma censurata ha fissato il limite massimo dei parametri dell’IRESA, così eccedendo le indicazioni contenute nella segnalazione, ed anzi sostanzialmente eludendole.
Ad avviso della ricorrente, infatti, la fissazione di un tetto di imposta molto basso svuoterebbe di contenuto l’imposta, tanto da azzerarne l’incidenza. Il risultato che ne consegue sarebbe antitetico rispetto all’obiettivo di incentivare la concorrenza, nel senso di premiare le imprese più efficienti, le quali si dotino, ad esempio, di apparecchi meno rumorosi e inquinanti. In tal modo, invece, i mezzi più obsoleti e rumorosi sarebbero soggetti ad un regime sostanzialmente analogo a quello riservato ai velivoli più efficienti − posto che un limite di imposta così basso sarebbe inidoneo a determinare significative differenze quantitative, a fronte di evidenti disparità qualitative fra i mezzi − con conseguente elusione del principio di concorrenza.
L’irragionevolezza della disposizione impugnata emergerebbe anche dal fatto che il limite massimo fissato dal comma 15-bis sarebbe – asserisce la Regione – largamente inferiore non solo alle soglie minime stabilite dalla legge della Regione Lazio n. 2 del 2013, ma anche a tutte le soglie massime applicate dalle altre Regioni che hanno istituito l’IRESA quale tributo regionale proprio.
A riprova dell’irragionevolezza della norma in esame, sotto il profilo del difetto di proporzionalità, viene, altresì, addotta la decurtazione degli introiti relativi alla riscossione dell’imposta, i quali subirebbero una riduzione superiore al 70 per cento, con perdite di circa 40.000.000 di euro l’anno.
Inoltre, la riduzione dell’aliquota massima potrebbe determinare il legislatore regionale ad applicare, indifferentemente per tutti i velivoli, la soglia massima stabilita dal censurato comma 15-bis, posto che altrimenti l’istituzione dell’imposta risulterebbe del tutto inutile, in quanto il gettito resterebbe in gran parte assorbito dai costi amministrativi per la riscossione dell’imposta.
2.6.− Viene, inoltre, denunciata l’illegittimità costituzionale del medesimo comma 15-bis per violazione degli artt. 3, 117, secondo e terzo comma, e 119, primo e secondo comma, Cost., in relazione all’art. 11 del d.lgs. n. 68 del 2011, e all’art. 19 della legge n. 196 del 2009.
2.6.1.− Si osserva in proposito che, a seguito della trasformazione dell’IRESA in tributo regionale proprio, la relativa disciplina sarebbe ascrivibile alla materia, di competenza legislativa concorrente, «coordinamento del sistema tributario», di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost. Infatti, soltanto per i tributi regionali cosiddetti «derivati» (cioè istituiti e regolati con legge dello Stato), la competenza legislativa rimane esclusivamente statale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., mentre nel caso di tributi «degli altri enti» e di quelli istituiti e regolati da leggi regionali, la competenza legislativa è concorrente (sentenza n. 121 del 2013).
Tuttavia l’intervento in questione non sarebbe volto a stabilire un principio fondamentale di coordinamento del sistema tributario, bensì una statuizione di dettaglio, di immediata applicazione nei confronti delle Regioni.
2.6.2.– Si osserva, inoltre, che la norma impugnata, incidendo in modo significativo sulle entrate della Regione Lazio, sarebbe lesiva dell’autonomia regionale anche per la mancanza di copertura finanziaria, nel senso che l’intervento statale eliminerebbe un’imposta regionale senza specificare le misure compensative. Ciò costituirebbe violazione dell’art. 11 del d.lgs. n. 68 del 2011, il quale prevede, al primo comma, che «Gli interventi statali sulle basi imponibili e sulle aliquote dei tributi regionali di cui all’articolo 7, comma 1, lettera b), numeri 1) e 2), della citata legge n. 42 del 2009 sono possibili, a parità di funzioni amministrative conferite, solo se prevedono la contestuale adozione di misure per la completa compensazione tramite modifica di aliquota o attribuzione di altri tributi».
La parte ricorrente evidenzia che l’art. 15-bis, oggetto di censura, non contiene alcuna previsione relativa all’onere − inteso come minore entrata − a carico dei bilanci regionali, né l’indicazione della copertura dell’onere stesso riferita a tali bilanci. A questo riguardo, viene, altresì, richiamato l’art. 19 della legge n. 196 del 2009, il quale prevede, in attuazione dell’art. 81, quarto comma, Cost., che «Le leggi e i provvedimenti che comportano oneri, anche sotto forma di minori entrate, a carico dei bilanci delle amministrazioni pubbliche devono contenere la previsione dell’onere stesso e l’indicazione della copertura finanziaria riferita ai relativi bilanci, annuali e pluriennali».
2.7.− Viene, infine, denunciata la violazione dell’art. 120 Cost., in combinato disposto con gli artt. 117 e 119 Cost., sotto il profilo del principio della leale collaborazione.
L’intervento in esame, benché dichiaratamente ricollegato all’esercizio della potestà legislativa statale in materia di «tutela della concorrenza», detta una disciplina che incide su ulteriori ambiti materiali di competenza regionale concorrente, il «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., nonché sull’autonomia finanziaria della Regione Lazio, riconosciuta dall’art. 119, primo e secondo comma, Cost. Ad avviso della Regione Lazio, ciò avrebbe reso necessario il coinvolgimento delle Regioni nella formulazione dell’emendamento di cui al comma 15-bis, inserito in sede di conversione. Viceversa, l’introduzione della norma impugnata non è stata preceduta da alcuna forma di cooperazione tra il legislatore statale e le singole Regioni.
3.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio con memoria depositata il 29 maggio 2014, nella quale ha chiesto che le questioni promosse dalla Regione Lazio siano dichiarate infondate.
3.1.− In primo luogo, l’Avvocatura generale dello Stato ha dedotto che la prima censura, relativa alla violazione degli artt. 77, secondo comma, 117, terzo comma, e 119, primo e secondo comma, Cost., sarebbe infondata, in quanto − ai fini del rispetto del requisito dell’omogeneità tra legge di conversione e decreto-legge − è sufficiente che sussista una coerenza finalistica. È richiesto, infatti, che tutte le norme si prefiggano di conseguire il medesimo obiettivo e che a questo scopo siano funzionali. E sebbene la diversità dei campi di intervento renda inevitabile che le varie disposizioni utilizzino strumenti diversificati, tutti devono mirare a realizzare la medesima finalità politica.
In particolare, la norma impugnata si prefigge il fine di «evitare effetti distorsivi della concorrenza tra gli scali aeroportuali e di promuovere l’attrattività del sistema aeroportuale italiano». Si è ritenuto realizzabile tale obiettivo con la determinazione di un limite massimo ai parametri delle misure IRESA nonché con una rimodulazione del tributo che tenga conto della distinzione tra voli diurni e notturni e delle peculiarità urbanistiche delle aree geografiche prospicienti i singoli aeroporti.
Nelle premesse del provvedimento si indica l’obiettivo del rilancio della competitività delle imprese; ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, sarebbe quindi ravvisabile un’intima coerenza del comma 15-bis con le finalità perseguite dal Governo con il d.l. n. 145 del 2013, come convertito. Si tratterebbe, infatti, di un tributo che non si limita a considerare il solo elemento acustico del rumore prodotto, ma tiene conto anche di altri fattori (quali gli orari nei quali i voli vengono effettuati e la densità abitativa delle aree geografiche prospicienti le zone aeroportuali); pertanto, esso sarebbe idoneo a stimolare la competizione tra i vettori, incentivati a diversificare gli orari e gli scali delle tratte aeree.
3.2.− Con riferimento alla violazione del principio di ragionevolezza e di quello di proporzionalità, nonché alla invasione dell’autonomia finanziaria regionale, la difesa della parte resistente evidenzia che il legislatore statale può stabilire aliquote massime al fine di assicurare l’uniformità di trattamento di tutti i cittadini soggetti a tributi regionali propri (e non derivati), in virtù del potere attribuitogli dall’art. 119, secondo comma, Cost., il quale impone a tutte le Regioni di attenersi ai «principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario».
Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, la determinazione dell’aliquota massima in misura notevolmente inferiore a quella sinora prevista dalla Regione Lazio non sarebbe, di per sé, indice di irragionevolezza della norma censurata. Rientra, infatti, nella discrezionalità politica del legislatore la valutazione del tributo massimo che ogni Regione può stabilire, tenuto conto del rilievo strategico del settore di intervento, connesso alla manifestazione Expo 2015.
3.3.− Sarebbe, inoltre, erroneo ritenere che la natura di tributo proprio regionale dell’IRESA precluda qualsiasi intervento da parte del legislatore statale. Infatti, i tributi regionalizzati previsti dall’art . 8, primo comma, del d.lgs. n. 68 del 2011, non sarebbero completamente assimilabili ai cosiddetti «tributi propri istituiti», previsti solo dalla legge delega sul federalismo fiscale e mai attuati.
Mentre, infatti, questi ultimi sono tributi che le Regioni istituiscono direttamente con proprie leggi in relazione a presupposti non assoggettati ad imposizione erariale (art. 7, primo comma, lettera b), numero 3), della legge n. 42 del 2009), i tributi ai quali fa riferimento l’art. 8, sebbene disciplinati dalla normativa regionale, per effetto di una sorta di rinuncia da parte del legislatore statale, sarebbero comunque forme di imposizione introdotte dalla legislazione statale.
Pertanto, la facoltà delle Regioni di ridisegnare i tributi previsti dall’art. 8 con proprie leggi, non sarebbe sottratta ad un obbligo di sostanziale coerenza con la normativa statale istitutiva, quanto meno con gli elementi essenziali della stessa e, comunque, al rispetto del principio di ragionevolezza. Ne discende, ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, la legittimità costituzionale della disposizione legislativa statale impugnata, in quanto finalizzata a condurre a razionalità l’imposta sotto il profilo della misura delle aliquote.
3.4.− Con riferimento alla dedotta violazione del principio di leale collaborazione, l’Avvocatura generale dello Stato riferisce che presso il Dipartimento Affari regionali della Presidenza del Consiglio erano state attivate procedure di confronto con la Regione; in tali occasioni, quest’ultima, nel prendere atto dei rilievi espressi, si era impegnata «nel contesto della leale cooperazione» ad una rivalutazione delle norme critiche; tale rivalutazione, non solo non sarebbe mai stata effettuata, ma sarebbe stata sostanzialmente elusa dalla Regione con l’impugnativa in esame. Pertanto, sarebbe la condotta della stessa Regione ad essere censurabile sotto il profilo della leale cooperazione.
3.5.− Infine, riguardo alla violazione dell’art. 11 del d.lgs. n. 68 del 2011, la difesa erariale ritiene che la disciplina che prevede compensazioni per ripianare i mancati introiti, trovi la sua ratio esclusivamente nell’esigenza di garantire, nell’ambito dell’assetto federalista delineato dal richiamato decreto legislativo, i necessari equilibri finanziari ai bilanci delle Regioni a seguito delle rimodulazioni, tra i diversi livelli di governo, dei flussi di gettito collegati ai vari tributi (regionalizzati o compartecipati).
Viceversa, la disposizione impugnata non sarebbe ispirata ad una logica federalista, quanto piuttosto all’esigenza di ripristinare, soprattutto nel contesto comunitario, la razionalità di un tributo regionalizzato.
4.− Con successive memorie entrambe le parti hanno ulteriormente argomentato le rispettive posizioni.

Considerato in diritto
1.– Con ricorso spedito per la notifica il 18 aprile 2014, ricevuto dalla resistente il 24 aprile 2014 e depositato nella cancelleria della Corte il 23 aprile 2014, la Regione Lazio ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 15-bis, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 (Interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia”, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2014, n. 9.
Il comma 15-bis dell’art. 13 viene censurato nella parte in cui stabilisce il valore massimo dell’aliquota dell’imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili civili (d’ora in avanti, «IRESA»), di cui agli artt. 90 e seguenti della legge 21 novembre 2000, n. 342 (Misure in materia fiscale).
I parametri invocati nel ricorso sono l’art. 77, secondo comma, della Costituzione; l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in combinato disposto con l’art. 3 Cost.; gli artt. 117, secondo e terzo comma, e 119, primo e secondo comma, Cost., in relazione all’art. 11 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario), e all’art. 19 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica); nonché l’art. 120 Cost., in combinato disposto con gli artt. 117 e 119 Cost.
2.− Le questioni di legittimità costituzionale formulate in riferimento agli artt. 77, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera e), Cost., in combinato disposto con l’art. 3 Cost., sono inammissibili.
2.1.− Le censure relative alla violazione degli artt. 77, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera e), Cost., in combinato disposto con l’art. 3 Cost., si riferiscono a parametri che non attengono al riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni. Questa Corte ha costantemente affermato che le questioni di legittimità costituzionale prospettate da una Regione, nell’ambito di un giudizio in via principale, in ordine a parametri diversi da quelli riguardanti il riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni, sono ammissibili soltanto se vi sia ridondanza delle asserite violazioni su tale riparto e il soggetto ricorrente abbia indicato le specifiche competenze ritenute lese e le ragioni della lamentata lesione (ex plurimis, sentenze n. 44 del 2014; n. 234, n. 220, n. 20 e n. 8 del 2013; n. 22 del 2012; n. 128 del 2011; n. 326, n. 156, n. 52 e n. 40 del 2010; n. 341 del 2009).
Secondo la prospettazione della ricorrente, i vizi denunciati sarebbero suscettibili di determinare la menomazione delle sue attribuzioni costituzionali e, specificamente, della sua autonomia finanziaria, tutelate dagli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., in considerazione della natura dell’IRESA quale tributo regionale proprio.
2.1.1.− Va, peraltro, rilevato che, nel caso in esame, dalle evidenze documentali acquisite ai fini della valutazione dell’entità della riduzione del gettito dell’imposta, emergono dati discordanti.
La ricorrente evidenzia, in particolare, che la legge della Regione Lazio 29 aprile 2013, n. 2, recante «Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2013 (art. 11, legge regionale 20 novembre 2001, n. 25)», nell’istituire l’IRESA ha stimato un gettito annuo di 55.000.000 di euro (art. 5, comma 10). Essa, inoltre, afferma che − con l’applicazione dell’aliquota massima introdotta dalla norma impugnata − il gettito proveniente dall’IRESA si ridurrebbe a circa 15.000.000 di euro, con una perdita di circa il 73 per cento.
Tali dati si basano su registrazioni del traffico aereo risalenti al 2011; in ogni caso, non sono state fornite indicazioni né in ordine alla composizione qualitativa del gettito, ripartita per classi di appartenenza degli aeromobili, né in ordine all’effettiva riscossione, né infine circa l’incidenza della diversa modulazione del tributo derivante dall’applicazione degli ulteriori criteri stabiliti dalla disposizione impugnata. Neppure risulta che la Regione Lazio si sia adeguata ai nuovi parametri stabiliti dal legislatore statale con la disposizione impugnata, ancorché la stessa sia in vigore dal 22 febbraio 2014.
Può aggiungersi che la stima del gettito del tributo per gli anni successivi al 2014, risultante dal bilancio di previsione per il triennio 2015-2017 (deliberazione della Giunta regionale del 30 dicembre 2014, n. 943, recante «Bilancio di previsione finanziario della Regione Lazio 2015-2017. Approvazione del “Bilancio finanziario gestionale”, ripartito in capitoli di entrata e di spesa», pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione 30 dicembre 2014, n. 104, supplemento n. 4), oltre ad essere indifferente rispetto alle modifiche normative denunciate, si discosta notevolmente dagli importi indicati nel ricorso.
I dati forniti in ordine alla prospettata riduzione del gettito appaiono, quindi, inidonei per valutare l’incidenza della stessa riduzione sulle finanze regionali.
2.1.2.− Può ritenersi, peraltro, pacifico che dalla determinazione statale della nuova e più ridotta aliquota consegua una riduzione del gettito e della disponibilità finanziaria delle Regioni (ed, in particolare, di quelle Regioni che, con la propria autonoma disciplina del tributo, abbiano adottato aliquote superiori). Tuttavia, nel caso in esame, non è stato né dedotto, né tanto meno provato, che da tale riduzione consegua uno squilibrio incompatibile con le complessive esigenze di spesa regionale e, quindi, l’insufficienza dei mezzi finanziari dei quali la Regione dispone per l’adempimento dei propri compiti (ex plurimis, sentenze n. 155 del 2006; n. 431, n. 389, n. 29 e n. 17 del 2004).
In definitiva, la tesi della ricorrente, secondo cui la lesione degli evocati parametri costituzionali determinerebbe una lesione dell’autonomia finanziaria regionale, si rivela meramente assertiva e non individua lo specifico vulnus che la disposizione impugnata arrecherebbe alle attribuzioni regionali.
Devono, pertanto, dichiararsi inammissibili le questioni di legittimità costituzionale promosse in riferimento all’art. 77, secondo comma, Cost., nonché all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in combinato disposto con l’art. 3 Cost., posto che, in relazione ad esse, «il ricorso è generico quanto alla motivazione e carente […] quanto alla pretesa ridondanza della disposizione impugnata sulla lesione delle proprie competenze» (ex plurimis, sentenze n. 79 del 2014 e n. 246 del 2012).
3.− La censura relativa alla violazione dell’art. 119, primo e secondo comma, Cost., in relazione all’art. 11 del d.lgs. n. 68 del 2011, e all’art. 19 della legge n. 196 del 2009, è infondata.
3.1.− La Regione Lazio lamenta che la norma impugnata, incidendo in modo significativo sulle entrate regionali, sarebbe priva di copertura finanziaria, in quanto l’intervento statale non conterrebbe alcuna previsione circa l’onere − inteso come minore entrata − a carico dei bilanci regionali, né alcuna indicazione circa le necessarie misure compensative.
Ciò costituirebbe violazione dell’art. 11 del d.lgs. n. 68 del 2011, il quale – in attuazione dei principi stabiliti dall’art. 7, secondo comma, lettera t), della l. n. 42 del 2009 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione) − prevede, al primo comma, che «Gli interventi statali sulle basi imponibili e sulle aliquote dei tributi regionali di cui all’art. 7, comma 1, lettera b), numeri 1) e 2), della citata legge n. 42 del 2009 sono possibili, a parità di funzioni amministrative conferite, solo se prevedono la contestuale adozione di misure per la completa compensazione tramite modifica di aliquota o attribuzione di altri tributi».
Senza entrare nella questione se l’art. 11 sia parametro interposto, ovvero espressione di una competenza esclusiva dello Stato, ha rilievo l’attuale configurazione giuridica dell’IRESA quale «tributo proprio regionale», così definito dall’art. 8 del d.lgs. n. 68 del 2011 e riconosciuto come tale da questa Corte (sentenza n. 18 del 2013), sia pure con le peculiarità che saranno appresso indicate. Ciò esclude, ai sensi dell’art. 7, comma 1, lettera b), della legge n. 42 del 2009, la necessità di misure compensative, giacché tale disposizione le prevede soltanto per altri tributi regionali.
Da ciò discende l’infondatezza della denunciata violazione dell’art. 119, primo e secondo comma, Cost., in relazione all’art. 11 del d.lgs. 6 maggio 2011, n. 68, e all’art. 19 della legge 31 dicembre 2009, n. 196.
4.– La questione relativa alla violazione dell’art. 119, secondo comma, Cost. è infondata.
4.1.− La ricorrente lamenta, in particolare, che la disposizione legislativa censurata, intervenendo nella materia del coordinamento del sistema tributario, affidata, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., alla competenza legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni, non sarebbe volta a stabilire un principio fondamentale di coordinamento, ma detterebbe una statuizione di dettaglio di immediata applicazione nei confronti delle Regioni.
4.2.− Va, in primo luogo, rilevato che la disposizione impugnata non stabilisce un’aliquota unica, ma un’aliquota massima modulabile da tutte le Regioni, sulla base dei criteri legislativamente indicati. Si tratta perciò non di una statuizione di dettaglio, ma, appunto, di una norma di coordinamento, resa necessaria dalle finalità concorrenziali espressamente enunciate e concretamente perseguite dalla stessa disposizione.
Tali finalità corroborano la legittimità dell’intervento, che si prefigge il fine di «evitare effetti distorsivi della concorrenza tra gli scali aeroportuali e di promuovere l’attrattività del sistema aeroportuale italiano». L’obiettivo del rilancio della competitività del settore è destinato a realizzarsi, sia attraverso la determinazione di un limite massimo dell’imposta, sia con la sua modulazione che tenga conto della distinzione tra voli diurni e notturni e delle peculiarità urbanistiche delle aree geografiche prospicienti i singoli aeroporti.
Tali modalità di realizzazione delle funzioni pro-concorrenziali della disposizione rispondono alle indicazioni formulate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato nell’atto di segnalazione n. 1071 del 27 agosto 2013. In questa sede, infatti, «la definizione con legge dello Stato di criteri uniformi per il calcolo dell’imposta» era stata indicata come necessaria al superamento delle problematiche concorrenziali derivanti dalle difformità tra le discipline regionali dell’imposta.
4.2.1.− Va, inoltre, evidenziato che l’imposta in esame, originariamente finalizzata a promuovere il disinquinamento acustico in relazione al traffico aereo, ha mantenuto uno scopo specifico, il quale tuttora comprende finalità attinenti alla tutela dell’ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.). Lo dimostra la previsione della destinazione «prioritaria» del gettito «al completamento dei sistemi di monitoraggio acustico e al disinquinamento acustico e all’eventuale indennizzo delle popolazioni residenti […] dell’intorno aeroportuale» (art. 90, comma 1, della legge n. 342 del 2000).
4.2.2.− L’intersezione delle molteplici finalità della disposizione impugnata, tutte rientranti nella competenza legislativa statale, sorregge la legittimità dell’intervento normativo in esame e conduce alla declaratoria di infondatezza delle censure.
5.− Anche la questione relativa alla violazione dell’art. 120 Cost. è infondata.
5.1.− Al riguardo, questa Corte ha costantemente escluso che le procedure collaborative fra Stato e Regioni (salvo che l’osservanza delle stesse sia imposta direttamente o indirettamente da norme costituzionali) trovino applicazione nell’attività legislativa dello Stato (sentenze n. 273 del 2013; n. 297 del 2012; n. 196 del 2004).
Pertanto, la questione formulata in riferimento alla violazione dell’art. 120 Cost. risulta infondata.

Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 15-bis, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 (Interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia”, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2014, n. 9, promosse, in riferimento agli artt. 77, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, in combinato disposto con l’art. 3 Cost., dalla Regione Lazio, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 15-bis, del d.l. n. 145 del 2013, come convertito, promosse, in riferimento agli artt. 117, secondo e terzo comma, 119, primo e secondo comma, e 120 Cost., dalla Regione Lazio con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 febbraio 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2015.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella Paola MELATTI