PROCESSO & RISARCIMENTO:
la V Sezione rimette alla Plenaria
un quesito sull'inderogabilità
della tutela demolitoria
(Cons. St., Sez. V,
ordinanza collegiale 22 gennaio, n. 284)
Massima
Il Collegio ritiene di sottoporre all’esame dell’Adunanza Plenaria
(che valuterà se definire anche il secondo grado del giudizio) il quesito se il
giudice amministrativo – in basi ai principi fondanti la giustizia
amministrativa ovvero in applicazione dell’art. 34, comma 3, del c.p.a. - possa
non disporre l’annullamento della graduatoria di un concorso, risultata
illegittima per un vizio non imputabile ad alcun candidato, e disporre che al
ricorrente spetti un risarcimento del danno (malgrado questi abbia chiesto
soltanto l’annullamento degli atti risultati illegittimi), quando la pronuncia
giurisdizionale – in materia di concorsi per l’instaurazione di rapporti di
lavoro dipendente - sopraggiunga a distanza di moltissimi anni dalla
approvazione della graduatoria e dalla nomina dei vincitori, e cioè quando
questi abbiano consolidato le scelte di vita e l’annullamento comporti un
impatto devastante sulla vita loro e delle loro famiglie.
Ordinanza collegiale per esteso
Il
Consiglio di Stato
in
sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
DI RIMESSIONE ALL'ADUNANZA PLENARIA
sul
ricorso numero di registro generale 9166 del 2002, proposto dalla signora
Giammaria Lorella, rappresentata e difesa dall’avv. Vincenzo Camerini e
dall’avv. Adriano Rossi, con domicilio eletto in Roma presso lo studio di
quest’ultimo, viale delle Milizie, 1;
contro
Comune
de L’Aquila (Aq), in persona del Sindaco pro tempore, costituitosi
in giudizio, rappresentato e difeso dall’avv. Domenico De Nardis,
dell’Avvocatura Comunale, con elezione di domicilio in Roma presso lo studio
dell’avv. Annalisa Pace, via Tremiti 10;
nei
confronti di
signori
Costanzi Paolo e Sico Elena, costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi
dall’avv. Roberto Colagrande, con domicilio eletto in Roma presso lo Studio
Scoca, via Giovanni Paisiello, 55;
la signora D’Orazi Sabrina Anna;
per
la riforma
della
sentenza del T.A.R. per l’Abruzzo, L’Aquila, n. 69 del 2002, resa tra le parti
e concernente un concorso per titoli ed esami a tre posti di funzionario
tecnico di ragioneria;
Visti
il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto
l’atto di costituzione in giudizio di Comune di L'Aquila;
Viste
le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti
tutti gli atti della causa;
Vista
la precedente ordinanza collegiale n. 1170 del 13 marzo 2014, resa nel presente
procedimento, e le conseguenti acquisizioni istruttorie;
Relatore
nell’udienza pubblica del giorno 8 luglio 2014 il Cons. Fulvio Rocco e uditi
per gli intimati Paolo Costanzi e Elena Sico l’avv. Roberto Colagrande;
Ritenuto
in fatto e diritto quanto segue.
1.1.
L’attuale appellante, dott.ssa Lorella Giammaria, ha partecipato ad un concorso
pubblico per titoli ed esami avente ad oggetto la copertura di tre posti di
funzionario tecnico di ragioneria (all’epoca VIII^ qualifica funzionale, ai
sensi del D.P.R. 25 giugno 1983, n. 347), dei quali uno riservato al personale
interno, indetto dal Comune de L’Aquila, con deliberazione della Giunta
Comunale n. 1363 del 26 agosto 1997.
Nel
bando di concorso, pubblicato in data 10 ottobre 1997, era stato previsto – tra
l’altro – all’art. 6 il programma di esami, stabilendo che sarebbero state
svolte due prove scritte, una in materia di legislazione amministrativa e
tributaria concernente gli enti locali, e la seconda in materia di diritto amministrativo
e tributario con particolare riferimento all’ordinamento degli enti locali.
Per
quanto attiene alla nomina della commissione esaminatrice, l’art. 8 del bando
medesimo rinviava alla normativa vigente, nel mentre l’art. 9 precisava che
avrebbero conseguito l’ammissione al colloquio orale i candidati che avessero
riportato in ciascuna prova scritta la votazione di almeno 7/10.
Con
la nota del 28 aprile 1999 del presidente della commissione esaminatrice, la
signora Giammaria è stata informata di avere ottenuto il punteggio di 4/10 per
il suo elaborato relativo alla prima prova scritta e di 6/10 per l’elaborato
relativo alla seconda prova scritta, e di non essere stata pertanto ammessa a
sostenere la prova orale.
La
signora Giammaria riferisce di aver chiesto in data 15 maggio 1999 l’accesso,
ai sensi dell’art. 22 e ss. della L. 7 agosto 1990, n. 241, alla documentazione
relativa al concorso e di aver constatato che la votazione insufficiente le era
stata attribuita da una commissione d’esame da lei ritenuta non costituita
secondo la disciplina al riguardo prevista dall’art. 37 del Regolamento
organico del personale del Comune, e che in violazione dell’art. 46 del
Regolamento medesimo organico la commissione esaminatrice non aveva previamente
stabilito i criteri e le modalità di valutazione delle prove orali sostenute.
1.2.
In dipendenza di ciò, con ricorso proposto sub R.G. 469 del 1999 innanzi al
T.A.R. per l’Abruzzo, Sede de L’Aquila, la signora Giammaria ha chiesto – tra
l’altro - l’annullamento del provvedimento recante la sua mancata ammissione
alle prove orali, nonché delle deliberazioni della Giunta Comunale n. 565 del
21 maggio 1998 e n. 979 del 14 luglio 1998, n. 979, recanti la nomina della
commissione esaminatrice, nonché degli atti della procedura concorsuale e,
segnatamente, dei verbali della commissione esaminatrice n. 1 del 30 settembre
1998, n. 2 del 7 ottobre 1998 e n. 8 del 28 aprile 1999.
L’interessata
ha dedotto al riguardo le seguenti censure.
I)
violazione dell’art. 37 del regolamento organico del Personale in vigore presso
il Comune di L’Aquila e degli artt. 1 ed 8 del bando concorsuale, nonché
eccesso di potere per difetto di presupposti e travisamento dei fatti in
dipendenza dell’illegittima composizione della Commissione esaminatrice; e ciò
poiché il funzionario “esperto” componente della Commissione,
prescelto tra i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, non apparteneva
alla qualifica funzionale superiore rispetto a quella relativa al posto messo a
concorso; non essendo – per l’appunto – un dirigente;
II)
violazione dell’art. 46 del Regolamento organico del personale e degli artt. 1
e 6 del bando concorsuale, nonché eccesso di potere per irragionevolezza
dell’azione amministrativa, non avendo la commissione esaminatrice previamente
stabilito, nella prima riunione, i criteri di valutazione delle prove scritte;
III)
eccesso di potere per illogicità manifesta e per contraddittorietà.
La
ricorrente ha concluso per l’accoglimento del ricorso, con ogni consequenziale
statuizione in ordine alle spese ed onorari di giudizio.
1.2.
Si sono costituiti in tale primo grado di giudizio i controinteressati Elena
Sico, Sabrina Anna D’Orazi e Paolo Costanzi, eccependo preliminarmente
l’inammissibilità del ricorso e concludendo comunque per la sua reiezione.
1.3.
Non si è costituito in tale primo grado di giudizio il Comune.
1.4.
Con la sentenza n. 69 del 5 marzo 2002, l’adito T.A.R. ha respinto il ricorso
nel senso che “può prescindersi dall’eccezione di inammissibilità
sollevata dai controinteressati, stante la infondatezza del ricorso.
E’
infondato il primo motivo di ricorso, con cui la ricorrente denuncia la
illegittima composizione della Commissione esaminatrice per la presenza di un
componente, nominato quale esperto, prescelto tra di dipendenti del Comune, che
non sarebbe in possesso della qualifica superiore a quella relativa al posto
messo in concorso.
L’assunto
non può essere condiviso. Dal certificato rilasciato dal Dirigente
amministrativo del Comune di Roseto degli Abruzzi, amministrazione di
appartenenza dell’esperto di cui si discute, depositato in data 3 novembre
2001, si evince che la stessa, dott. Rosaria Ciancaione, con atti sindacali in
data 25 giugno 1998 , 11.dicembre 1998 e 9 febbraio 1999 è stata nominata
Dirigente Direttore di Ragioneria ed è tuttora in servizio in qualità di
Dirigente Direttore di Ragioneria. Orbene, gli atti formali di incarico,
ancorché non costituenti formali atti di nomina, tuttavia sono idonei a
supportare la qualità di “esperta” di
una Commissione per l’esperienza e la capacità professionale acquisite e
riconosciute.
Il
Collegio ritiene di interpretare sostanzialmente il dettato dell’art. 37 del
Regolamento organico del Comune, nel senso che la disposizione esige garanzie
in ordine alle capacità sostanziali del soggetto, alla sua idoneità a svolgere
la funzione di “esperto” in
seno alla Commissione.
Ne
consegue che è indubbio che il dott. Ciancaione, che effettivamente espleta funzioni
dirigenziali, abbia l’esperienza sostanziale richiesta dalla norma di
regolamento.
Anche
il secondo motivo è infondato. Va precisato che la predeterminazione dei
criteri di valutazione delle prove (non dei titoli, che nella specie, risultano
determinati nel verbale n. 1 del 30 settembre 1998) di un concorso non può
essere considerato elemento imprescindibile ai fini della legittimità
concorsuale, poiché trattasi di attività riservata alla discrezionalità
amministrativa, quando la valutazione avviene mediante l’attribuzione di un
punteggio numerico; configurandosi,questo, come formula sintetica di
esternazione della valutazione tecnica compiuta dalla Commissione.
Inammissibile,
infine, il terzo motivo di ricorso, atteso che viene richiesto al Collegio una
valutazione di merito degli elaborati, riservato alla valutazione
tecnico-discrezionale della Commissione esaminatrice, sottratto al sindacato di
legittimità, se non nei limiti della manifesta irrazionalità ed ingiustizia”.
Il
giudice di primo grado ha integralmente compensato tra le parti
2.1.
Con l’appello in epigrafe, la signora Giammaria chiede ora la riforma della
sentenza surriportata, riproponendo anche nel presente grado le prime due
censure sopradescritte, ma riferendo le relative illegittimità anche alle
considerazioni contenute nella sentenza impugnata.
2.2.
Si sono costituiti nel presente grado di giudizio gli appellati signori Paolo
Costanzi e Elena Sico, replicando ai motivi avversari e concludendo per la
reiezione dell’appello.
2.3.
Con l’ordinanza collegiale n. 1170 del 13 marzo 2014, la Sezione ha “rilevato
che nel primo grado di giudizio l’attuale appellante risulta aver formalmente
esteso la propria impugnativa a tutti gli atti del procedimento concorsuale di
cui trattasi, ivi segnatamente compresa la deliberazione di pprovazione della
graduatoria del concorso medesimo” e “rilevato che tale
provvedimento non risulta agli atti di causa”, ha ritenuto, pertanto, “la
necessità di acquisirne copia mediante ordine al Sindaco de L’Aquila, il quale
provvederà al riguardo entro il termine di giorni 60 (sessanta), decorrenti
dalla comunicazione della presente ordinanza, ovvero dalla sua notificazione se
anteriormente avvenuta, al conseguente deposito presso la Segreteria della
Sezione”.
2.4.
Il Comune de L’Aquila ha provveduto a tale incombente in data 23 aprile 2014 e
si è quindi costituito anch’esso nel presente grado di giudizio, concludendo
per la reiezione dell’appello.
3.
Alla pubblica udienza dell’8 luglio 2014, l’appello è stato trattenuto in
decisione.
4.
Tutto ciò premesso, il Collegio respinge il primo motivo d’appello che – come
sopra rilevato – ricalca nel suo contenuto la corrispondente prima censura
dedotta nel ricorso proposto in primo grado.
L’art.
37 del Regolamento organico del personale comunale, laddove segnatamente si
riferisce alla “qualifica funzionale superiore rispetto a quella
relativa messa a concorso”, di per sé non preclude di far espletare
l’incarico previsto dalla disciplina regolamentare in esame a coloro che non
sono inquadrati in tale qualifica, ma ne svolgono interinalmente le funzioni su
formale incarico ricevuto dall’amministrazione di appartenenza (nel caso di
specie il Comune di Roseto degli Abruzzi).
A
ragione il giudice di primo grado ha in tal senso fatto riferimento
all’esperienza maturata nello svolgimento della funzione – comunque assegnata
mediante un formale provvedimento dell’amministrazione di appartenenza – quale
elemento sostanziale e in sé esaustivo al fine di legittimare la relativa
nomina per l’espletamento della procedura concorsuale.
La
relativa censura va pertanto respinta dal Collegio, con la valenza propria di
sentenza parziale, a’ sensi dell’art. 36, comma 2, cod. proc. amm.
5.1.
Più complessa è la questione riguardante il secondo motivo d’appello, anch’esso
ricalcante la corrispondente seconda censura proposta in primo grado.
5.2.
Come si è rilevato, il T.A.R. ha respinto la censura stessa, affermando che la
predeterminazione dei criteri di valutazione delle prove - ossia, l’adempimento
segnatamente non posto in essere dalla commissione esaminatrice - non
costituirebbe un “elemento imprescindibile” ai fini della legittimità del
procedimento concorsuale, trattandosi di “attività riservata alla
discrezionalità amministrativa, quando la valutazione avviene mediante
l’attribuzione di un punteggio numerico”, il quale costituirebbe in
tal senso una “formula sintetica di esternazione della valutazione
tecnica compiuta dalla Commissione”.
In
effetti, risulta del tutto consolidato nella giurisprudenza di questo Consiglio
il principio per cui nella fissazione dei criteri di valutazione delle prove di
concorso la commissione è titolare di un’ampia discrezionalità, la quale, pur
non precludendo in linea di principio il sindacato giurisdizionale, non
consente, comunque, che nell’esercizio di questo il giudice possa sostituirsi
alla commissione medesima compiendo valutazioni di merito o di opportunità
(così, ex plurimis,e tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. VI, 17
giugno 2014, n. 3049), potendo i criteri medesimi essere censurati soltanto nei
casi di manifesta illogicità e irrazionalità (cfr., ex plurimis e
sempre tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 2013, n. 5760).
Peraltro,
il principio della previa fissazione dei criteri di valutazione delle prove
concorsuali che devono essere stabiliti dalla commissione esaminatrice, nella
sua prima riunione - o tutt’al più prima della correzione delle prove scritte -
deve essere inquadrato nell’ottica della trasparenza dell’attività
amministrativa perseguita dal legislatore, che pone l’accento sulla necessità
della determinazione e della verbalizzazione dei criteri stessi in un momento
nel quale non possa sorgere il sospetto che questi ultimi siano volti a
favorire o sfavorire alcuni concorrenti (così Cons. Stato, Sez. V, 4 marzo
2011, n. 1398); e tra la necessaria fissazione dei criteri anzidetti e la
legittimità dell’attribuzione del voto numerico che legittimamente sintetizza la
valutazione della commissione sussiste un nesso indissolubile, poiché - se
mancano criteri di massima e precisi parametri di riferimento cui raccordare il
punteggio assegnato- risulta illegittima la valutazione dei titoli in forma
numerica (cfr. in tal senso, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 11 febbraio 2011, n.
913).
Del
resto, anche a prescindere dalla stessa fonte regolamentare vigente nel Comune
de L’Aquila, in applicazione dell’art. 12 del D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487,
devono essere sempre predeterminati i criteri di valutazione delle prove
d’esame; e la violazione di tale adempimento rende conseguentemente illegittimo
il procedimento concorsuale (cfr. ad es. Cons. Stato, Sez.IV, 30 novembre 2007,
n. 6096).
L’illegittimità
degli atti risulta effettivamente sussistente, non essendo stati fissati i
criteri di valutazione da parte della commissione d’esame.
2.
Posto ciò, il Collegio ritiene di sottoporre all’esame dell’Adunanza Plenaria
la questione riguardante la sorte che in sede giurisdizionale debbano avere le
risultanze di un concorso caratterizzato da atti risultati illegittimi, quando
il suo espletamento risulti avvenuto da tempo ormai risalente e sia stato
seguito dalla assunzione in servizio dei suoi vincitori (nella specie, avvenuta
circa 15 anni prima della rilevazione dei vizi del procedimento, con la
presente pronuncia).
Risulta
innegabile che in tale consistente lasso di tempo coloro che hanno partecipato
al concorso ed hanno poi preso servizio (ed ai quali non sono riferibili i vizi
del procedimento) hanno fatto le loro scelte di vita, di ordine familiare,
lavorativo, anche di cessazione degli studi a seguito del conseguimento di
posti di lavoro a tempo indeterminato.
In
una tale situazione, il Collegio ritiene che – ove la parte che abbia fondatamente
impugnato gli atti del procedimento concorsuale ne faccia espressa richiesta –
la pronuncia del giudice amministrativo, basandosi su una valutazione di tutte
le circostanze, possa disporre unicamente il risarcimento del danno, senza il
previo annullamento degli atti risultati illegittimi.
In
tal senso, possono essere richiamati:
- i
principi di giustizia già enunciati da questo Consiglio a partire dalla
sentenza della Sez. VI n. 2755 del 2011, la quale ha evidenziato – sia pure in
una controversia riguardante la tutela dell’ambiente e dunque caratterizzata
dalla applicazione dei principi del diritto europeo – come il giudice
amministrativo possa non disporre l’annullamento dell’atto risultato
illegittimo (ma, se del caso, disporne la sostituzione con l’eliminazione del
vizio riscontrato), quando un tale annullamento non comporti alcun beneficio
per gli interessi pubblici coinvolti, né arrechi giovamento al ricorrente che
ha proposto il ricorso d’annullamento, risultato fondato;
-
il principio di proporzionalità, da intendere nella sua accezione etimologica e
dunque da riferire al senso di equità e di giustizia, che deve sempre
caratterizzare la soluzione del caso concreto, non solo in sede amministrativa,
ma anche in sede giurisdizionale.
3. A
questo punto, il Collegio evidenzia che – se l’interessata avesse formulato una
espressa domanda risarcitoria, basata sulla illegittimità degli atti del
concorso conclusosi nel 1999 – il presente giudizio si sarebbe potuto
senz’altro concludere con l’accoglimento di tale domanda, senza l’annullamento
dei medesimi atti.
Infatti,
ragioni di equità e giustizia inducono a ritenere che – sulla base di una
complessiva valutazione del caso di specie - il giudice amministrativo possa in
linea di principio modulare la tutela spettante a chi abbia fondatamente
impugnato gli atti di un procedimento concorsuale (ad es., perché è risultato
illegittimamente escluso, ovvero perché sussistono altri vizi, che non siano
imputabili ai vincitori del concorso), decidendo di non annullare la
graduatoria finale e di disporre la condanna al risarcimento del danno.
Il
danno sociale derivante da un tale annullamento - disposto ‘automaticamente’ -
risulta evidente: la perdita dell’attività lavorativa da parte dei candidati a
suo tempo risultati vincitori comporta il radicale e gravissimo sconvolgimento
delle loro vite e delle loro famiglie.
Certo,
il decorso del tempo (specie quando si tratti di dare tutela ai valori primari,
come la tutela del territorio, dell’ambiente, e del paesaggio) non può essere
considerato di per sé un elemento ostativo all’annullamento dell’atto
illegittimo e all’affermazione del principio per cui chi ha proposto un ricorso
fondato ha titolo alla pronuncia favorevole: le insufficienze organizzative
degli uffici giudiziari non possono incidere negativamente sulla effettività
della tutela di chi abbia ragione.
Tuttavia,
il giudice amministrativo – quando si tratti di questioni che riguardino
persone fisiche e le loro attività lavorative - non può che farsi carico delle
conseguenze delle proprie pronunce, verificando se esse risultino, appunto,
conformi ai principi di proporzionalità, di equità e di giustizia.
Mentre
l’annullamento dell’atto autoritativo illegittimo risulta (e deve risultare) la
misura tipica di giustizia quando la sua rimozione attribuisca il ‘bene della
vita’ a chi abbia ragione (o intenda salvaguardare valori primari
dell’ordinamento), l’accoglimento del ricorso in concreto – in materia di
concorsi (o, ad es., di selezione per l’accesso all’università) può risultare
in contrasto con tali principi se – disponendo l’annullamento dell’atto -
sottrae il ‘bene della vita’ ad uno o più controinteressati, senza poterlo
attribuire al ricorrente (e dunque quando per soddisfare una chance – per di
più ben difficilmente soddisfabile - si facciano cessare rapporti di lavoro da
tempo in corso).
4.
In questo contesto, va dunque esaminato il contenuto dell’art. 34, comma 3,
cod. proc. amm., il quale dispone che “quando, nel corso del giudizio,
l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il
ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste
l’interesse ai fini risarcitori”.
La
giurisprudenza di questo Consiglio ha sin qui prevalentemente interpretato tale
disposizione nel senso che debba esservi anche un'espressa richiesta
dell’interessato (così, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 14 dicembre 2011n. 6539 e
6 dicembre 2010 n. 8550), incombendo sulla parte medesima l’onere di allegare
compiutamente i presupposti per la successiva proposizione dell’azione
risarcitoria (così Cons. Stato, Sez. IV, 28 dicembre 2012, n. 6703).
Esiste
tuttavia anche una giurisprudenza di segno diverso, secondo la quale al quesito
se l’applicazione della disciplina in esame presupponga una specifica istanza
dell'interessato “va data risposta negativa”, posto che “in
tal senso milita, anzitutto, l'argomento testuale. Infatti, la norma dispone
che in presenza dei presupposti dalla stessa predefiniti “il giudice
accerta l'illegittimità dell'atto”, impiegando una locuzione vincolante In
secondo luogo, l'accertamento dell' illegittimità dell'atto impugnato è
contenutonel petitum di annullamento come un presupposto
necessario. Siccome il più contiene il meno, il giudice limita la sua pronuncia
ad un contenuto di accertamento in seguito ad una valutazione dell'interesse a
ricorrere, quindi da compiere d'ufficio: in quanto manca l'interesse
all'annullamento ma sussiste l'interesse all'accertamento ai fini risarcitori” (così
Cons. Stato, Sez. V, 12 maggio 2011, n. 2817).
5.
Il Collegio ritiene che tali questioni interpretative dell’art. 34, comma 3,
non riguardino specificamente la problematica che si intende porre all’esame
dell’Adunanza Plenaria.
Il
medesimo comma 3 non sembra ostacolare una pronuncia del giudice amministrativo
che – quando si tratti della tutela di posizioni di lavoro - si limiti ad
affermare l’illegittimità dell’atto impugnato, senza disporne l’annullamento,
anche se il ricorrente non abbia esplicitato una domanda risarcitoria, quando –
dall’esame della complessiva situazione venutasi a verificare – il giudice
ritenga che l’annullamento medesimo – lungi dal dare una vera e piena tutela al
ricorrente – in realtà non sia altro che una fonte di danno sproporzionato per
controinteressati che non abbiano determinato l’illegittimità degli atti.
In
tal caso, per i principi sopra richiamati, la vera giustizia del caso concreto
e la effettiva tutela per il ricorrente possono consistere nell’accertare –
così come richiesto – l’illegittimità degli atti impugnati, affinché – se del
caso in un separato giudizio, in ipotesi anche d’ottemperanza – sia
quantificato il danno patrimoniale risarcibile.
6.
Stando così le cose, il Collegio ritiene di sottoporre all’esame dell’Adunanza
Plenaria (che valuterà se definire anche il secondo grado del giudizio) il
quesito se il giudice amministrativo – in basi ai principi fondanti la
giustizia amministrativa ovvero in applicazione dell’art. 34, comma 3, del
c.p.a. - possa non disporre l’annullamento della graduatoria di un concorso,
risultata illegittima per un vizio non imputabile ad alcun candidato, e
disporre che al ricorrente spetti un risarcimento del danno (malgrado questi
abbia chiesto soltanto l’annullamento degli atti risultati illegittimi), quando
la pronuncia giurisdizionale – in materia di concorsi per l’instaurazione di
rapporti di lavoro dipendente - sopraggiunga a distanza di moltissimi anni
dalla approvazione della graduatoria e dalla nomina dei vincitori, e cioè
quando questi abbiano consolidato le scelte di vita e l’annullamento comporti
un impatto devastante sulla vita loro e delle loro famiglie.
7.
Per le ragioni che precedono, il primo motivo d’appello va respinto, mentre si
deferisce all’esame dell’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99 del c.p.a.,
il secondo motivo in relazione alle conseguenze del suo accoglimento.
Le
spese e gli onorari del presente grado di giudizio sono riservate al
definitivo.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), non
definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, respinge il primo motivo
di appello a’ sensi dell’art. 36, comma 2, cod. proc. amm. e, per il resto, ne
dispone il deferimento all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
Manda
alla segreteria della Sezione per gli adempimenti di competenza, e, in
particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente
ordinanza al segretario incaricato di assistere all'adunanza plenaria.
Riserva
al definitivo la pronuncia sulle spese e gli onorari del presente grado di
giudizio.
Così
deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 luglio 2014 con
l’'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere
Manfredo Atzeni, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
|
IL PRESIDENTE
|
|
DEPOSITATA
IN SEGRETERIA
Il
22/01/2015
IL
SEGRETARIO
(Art.
89, co. 3, cod. proc. amm.)
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