venerdì 10 gennaio 2014

CORTE DI GIUSTIZIA: è lecito il gioco d'azzardo (C.G.U.E., Sez. II, sentenza 12 settembre 2013 n. 660).


CORTE DI GIUSTIZIA: 
è lecito il gioco d'azzardo 
(C.G.U.E., Sez. II, 
sentenza 12 settembre 2013 n. 660).


Massima

1. Gli articoli 43 CE e 49 CE, nonché i principi di parità di trattamento e di effettività, devono essere interpretati nel senso che ostano a che uno Stato membro che abbia escluso, in violazione del diritto dell'Unione, una categoria di operatori dall'attribuzione di concessioni per l'esercizio di un'attività economica e che cerchi di rimediare a tale violazione mettendo a concorso un numero rilevante di nuove concessioni, protegga le posizioni commerciali acquisite dagli operatori esistenti prevedendo, in particolare, determinate distanze minime tra gli esercizi dei nuovi concessionari e quelli di tali operatori esistenti. 
2. Risulta dagli articoli 43 CE e 49 CE, dal principio di parità di trattamento, dall'obbligo di trasparenza, nonché dal principio di certezza del diritto che le condizioni e le modalità di una gara, quale quella in questione nei procedimenti principali, in particolare le norme contemplanti la decadenza di concessioni rilasciate al termine di una tale gara, come quelle dettate dall'articolo 23, comma 3, dello schema di convenzione tra l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e l'aggiudicatario della concessione relativa ai giochi d'azzardo riguardanti gli eventi diversi dalle corse dei cavalli, devono essere formulate in modo chiaro, preciso e univoco, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. 
3. Gli articoli 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che impedisca di fatto qualsiasi attività transfrontaliera nel settore del gioco indipendentemente dalla forma di svolgimento della suddetta attività e, in particolare, nei casi in cui avviene un contatto diretto fra il consumatore e l'operatore ed è possibile un controllo fisico, per finalità di pubblica sicurezza, degli intermediari dell'impresa presenti sul territorio. 
4. Spetta al giudice del rinvio verificare se ciò avvenga nel caso dell'articolo 23, comma 3, di detto schema di convenzione.
5. La fattispecie concreta atteneva ad una controversia promossa da alcuni gestori italiani di centri di trasmissione dati, per conto di un bookmaker austriaco operante in tutto il mondo, che avevano adito il Tar Toscana contro il Ministero dell'Interno ed alcune questure contestando i limiti imposti alla loro attività).

giovedì 9 gennaio 2014

IMMIGRAZIONE: i "motivi familiari" di cui all'art. 29 del T.U. n. 286/1998 (come modificato dal D.Lgs. n. 5/2007) - [Cons. St., Sez. III, sentenza 3 gennaio 2014).


IMMIGRAZIONE: 
i "motivi familiari" 
di cui all'art. 29 del T.U. n. 286/1998 
(come modificato dal D.Lgs. n. 5/2007) - 
[Cons. St., Sez. III, 
sentenza 3 gennaio 2014).


Una delle prime sentenze del Consiglio di Stato del 2014 che ci è sembrata interessante.


Massima


1.  Con la sentenza 202/13 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, co. 5, come modificato per effetto del d.lgs. n. 5/2007, per contrasto con gli artt . 2,3,29,30 e 31 Cost. nella parte in cui non estende a tutti i casi in cui lo straniero abbia nello Stato legami familiari la tutela rafforzata prevista dalla norma in questioni per i casi in cui vi stato un ricongiungimento familiare. 
Il Giudice delle leggi ha precisato, inoltre, che anche la Corte di Strasburgo ha sempre affermato che, quando nel Paese dove lo straniero intende soggiornare, vivono i membri stretti della sua famiglia, occorre bilanciare in modo proporzionato il diritto alla vita familiare del ricorrente e dei suoi congiunti con il bene giuridico della sicurezza pubblica e, quindi, l’Amministrazione deve valutare tutta una serie di elementi desumibili dalla attenta osservazione in concreto di ciascun caso.
2.  Quanto ai “legami familiari”, il testo originario della disposizione, introdotta dal d.lgs. n. 5/2007, attribuiva il beneficio allo straniero che avesse effettuato il ricongiungimento familiare ovvero fosse esso stesso familiare ricongiunto. La norma si riferiva all’istituto del ricongiungimento familiare, disciplinato dall’art. 29 del t.u. n. 286/1998 come modificato dallo stesso d.lgs. n. 5/2007, in attuazione della direttiva comunitaria n. 86/2003. Com’è noto, tale procedimento ha luogo ad iniziativa di uno straniero già legalmente residente in Italia, il quale chiede di estendere il titolo di soggiorno anche ad uno o più congiunti ancora residenti all’estero. L’art. 29 del t.u., in pedissequa applicazione della direttiva comunitaria, indica in modo preciso e tassativo i familiari che possono usufruire del ricongiungimento: il coniuge, i figli minorenni, nonché, a determinate condizioni, i genitori; più qualche altra ipotesi particolare.
3. In sede applicativa, si è interpretata nel senso la norma si debba interpretare in senso estensivo (lex minus dixit quam voluit) ossia includendo nel beneficio anche i nuclei familiari la cui composizione corrisponda a quella che, ove necessario, darebbe titolo al ricongiungimento, ma che si trovino già riuniti senza aver dovuto ricorrere a tale procedura.
La questione è stata posta da altro Giudice alla Corte costituzionale, e quest’ultima, con la sentenza n. 202/2013, senza prendere in considerazione l’ipotesi di una soluzione interpretativa, ha dichiarato parzialmente incostituzionale la disposizione, nella parte in cui limita il beneficio alle fattispecie in cui vi sia stata una formale procedura di ricongiungimento, senza estenderla a tutti i casi in cui lo straniero abbia “legami familiari” nel territorio dello stato.
Peraltro, nel testo della stessa sentenza n. 202 si legge più di un riferimento esplicito da cui si desume che il vizio di costituzionalità riguarda solo quel punto della disposizione che attribuisce rilevanza determinante alla presenza, rispettivamente all’assenza, di un pregresso provvedimento di ricongiungimento, senza attribuire analogo beneficio a chi, pure “a parità di ogni altra condizione” ossia “pur avendone i presupposti” non abbia avuto necessità di utilizzare tale procedura.
4.  Interpretando dunque la sentenza n. 202 alla luce della sua motivazione e del contesto sistematico in cui si è collocata, si comprende che i “legami familiari” rilevanti ai fini di cui si discute sono quelli indicati dall’art. 29 del t.u. n. 286/1998 (e, a monte, dalla direttiva comunitaria n. 86/2003). Con la precisazione che non è necessaria la convivenza, dal momento che il dispositivo della sentenza della Corte parla di “legami familiari nel territorio dello Stato”, e non di familiari conviventi. E con l’ulteriore precisazione che nel rapporto tra genitori e figli non necessita che i figli siano attualmente minorenni; perché se è vero che sono ricongiungibili solo i figli minorenni, è anche vero che la sentenza della Corte non fa riferimento alle persone che presentino “attualmente” i requisiti del ricongiungimento, ma (anche) a quelle che a tempo opportuno avrebbero avuto titolo al ricongiungimento, ma non abbiano avuto necessità di avvalersene.



Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4347 del 2013, proposto da: 
Endri Shega, rappresentato e difeso dagli avv. Aniello Schettino, Francesco Luigi Braschi, con domicilio eletto presso Francesco Luigi Braschi in Roma, viale Parioli, 180;
 
contro
Questura di Parma, Ministero dell'Interno, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA –PARMA, SEZIONE I n. 00149/2013, resa tra le parti, concernente diniego rinnovo permesso di soggiorno emesso dal Questore di Parma con decreto 5 luglio 2012.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Questura di Parma e di Ministero dell'Interno;
Vista l’ordinanza 21 giugno 2013 n. 2345 con cui è stata disposta l’acquisizione di documentazione;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 12 settembre 2013 il Cons. Lydia Ada Orsola Spiezia e uditi per le parti l’Avv. Sanino su delega di Braschi e l’Avvocato dello Stato Caselli;
Avvisate le parti che la causa può essere decisa nel merito con sentenza semplificata ai sensi dell’art. 60 c p a;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1.Con decreto 5 luglio 2012( notificato il 24 gennaio 2013 all’interessato convocato a tal fine nei propri uffici) la Questura di Parma negava al cittadino albanese appellante il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro dipendente, avendo rilevato a suo carico una condanna a 2 anni di reclusione per violenza sessuale, emessa dal Tribunale penale di Parma il 26 gennaio 2011; a motivazione del diniego la Questura aggiungeva che tale reato rientrava tra quelli indicati dall’art.380 c.p.p. e che l’interessato non aveva dimostrato di aver ottenuto la riabilitazione.
Avverso il provvedimento il ricorrente proponeva ricorso al TAR Emilia Romagna ( notificato il 8 marzo 2013) , chiedendone l’annullamento , previa sospensione, per carenza di motivazione circa la pericolosità sociale dell’immigrato e violazione di legge ed eccesso di potere per mancata valutazione della situazione familiare e dell’inserimento sociale del medesimo, unitamente all’accertamento del diritto al rinnovo del permesso di soggiorno.
1.1.Con sentenza semplificata, pronunciata in occasione della trattazione della domanda cautelare, il TAR adito, esaminata la domanda di annullamento, ha respinto il ricorso (spese di lite a carico del ricorrente per euro 2.000,00), affermando che la condanna per un reato in materia di libertà sessuale, ai sensi dell’art.4 , comma 3, e dell’art. 5, comma 5, del D. LGS n. 286/1998 impedisce il rilascio del permesso di soggiorno e che la pericolosità sociale del condannato per tale reato è stata definita dallo stesso legislatore; pertanto – ad avviso del TAR- il provvedimento sfavorevole rappresenta un atto dovuto, mentre, per il profilo dell’inserimento sociale del ricorrente, in giudizio non erano emersi “ elementi idonei a controbilanciare il giudizio di pericolosità connesso alla tipologia del reato; in ogni caso, la situazione familiare prospettata (convivenza con la sorella Shega Brunilda) risulta smentita dalla documentazione in atti”.
1.2.Avverso la sentenza TAR l’immigrato ha proposto l’appello in epigrafe, chiedendone la riforma, previa sospensione, con il conseguente annullamento del diniego di rinnovo del permesso per violazione degli artt . 4, 5 e 9 D. LGS n. 286/1998 e difetto di motivazione ed omessa valutazione della documentazione agli atti di causa (dedotti in unico articolato motivo), nonché l’accertamento del diritto dell’appellante al rinnovo del permesso di soggiorno.
La Questura di Parma ed il Ministero dell’Interno si sono costituiti con mero atto formale, chiedendo il rigetto dell’appello.
In adempimento di ordinanza istruttoria di questa Sezione 21 giugno 2013 n. 2345 l’appellante ha depositato la documentazione relativa allo svolgimento del giudizio penale conclusosi con la sua condanna.
Alla camera di consiglio del 12 settembre 2013, uditi i difensori presenti, i quali sono stati avvisati della possibilità che definire la controversia nel merito con sentenza semplificata ai sensi dell’art. 60 c p a, la causa è passata in decisione.
2. Premesso quanto sopra in fatto, in diritto la controversia concerne la contestata legittimità del provvedimento, che ha negato all’appellante il rinnovo del permesso di soggiorno in quanto l’immigrato , cittadino albanese, classe 1991, titolare di permesso di soggiorno dal luglio 2009, con sentenza 26 gennaio 2011 era stato condannato dal Tribunale penale di Parma alla pena di anni 2 di reclusione (con patteggiamento) ed, inoltre, non aveva dimostrato di aver ottenuto la riabilitazione.
L’appello va accolto quanto alla domanda di annullamento e, pertanto, la sentenza TAR va riformata per difetto di motivazione e violazione degli artt. 4 e 5 D. LGS n. 286/1999, in quanto la Questura di Parma non si è espressa sulla concreta pericolosità sociale dell’appellante e non ha fatto il bilanciamento tra la tutela dei legami familiari dell’interessato e quella della sicurezza pubblica .
3. A sostegno di tale conclusione occorre richiamare la sentenza 18 luglio 2013 n. 202 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 5, come modificato per effetto del d.lgs. n. 5/2007, per contrasto con gli artt . 2,3,29,30 e 31 Cost. nella parte in cui non estende a tutti i casi in cui lo straniero abbia nello Stato legami familiari la tutela rafforzata prevista dalla norma in questioni per i casi in cui vi stato un ricongiungimento familiare. Il Giudice delle leggi ha precisato, inoltre, che anche la Corte di Strasburgo ha sempre affermato che, quando nel Paese dove lo straniero intende soggiornare, vivono i membri stretti della sua famiglia, occorre bilanciare in modo proporzionato il diritto alla vita familiare del ricorrente e dei suoi congiunti con il bene giuridico della sicurezza pubblica e, quindi, l’Amministrazione deve valutare tutta una serie di elementi desumibili dalla attenta osservazione in concreto di ciascun caso.
4. E’ necessario ora chiarire che cosa si intenda in questo contesto per “legami familiari”.
In proposito, conviene ricordare che il testo originario della disposizione, introdotta dal d.lgs. n. 5/2007, attribuiva il beneficio allo straniero che avesse effettuato il ricongiungimento familiare ovvero fosse esso stesso familiare ricongiunto. La norma si riferiva all’istituto del ricongiungimento familiare, disciplinato dall’art. 29 del t.u. n. 286/1998 come modificato dallo stesso d.lgs. n. 5/2007, in attuazione della direttiva comunitaria n. 86/2003. Com’è noto, tale procedimento ha luogo ad iniziativa di uno straniero già legalmente residente in Italia, il quale chiede di estendere il titolo di soggiorno anche ad uno o più congiunti ancora residenti all’estero. L’art. 29 del t.u., in pedissequa applicazione della direttiva comunitaria, indica in modo preciso e tassativo i familiari che possono usufruire del ricongiungimento: il coniuge, i figli minorenni, nonché, a determinate condizioni, i genitori; più qualche altra ipotesi particolare.
5. In sede applicativa, si è posto il problema se la disposizione in esame fosse razionalmente accettabile, nella parte in cui limitava (nella sua formulazione letterale) il beneficio alle fattispecie nelle quali vi fosse stato un formale procedimento di ricongiungimento familiare.
Questa Sezione si è ripetutamente pronunciata nel senso che la norma si debba interpretare in senso estensivo (lex minus dixit quam voluit) ossia includendo nel beneficio anche i nuclei familiari la cui composizione corrisponda a quella che, ove necessario, darebbe titolo al ricongiungimento, ma che si trovino già riuniti senza aver dovuto ricorrere a tale procedura.
La questione è stata posta da altro Giudice alla Corte costituzionale, e quest’ultima, con la sentenza n. 202/2013, senza prendere in considerazione l’ipotesi di una soluzione interpretativa, ha dichiarato parzialmente incostituzionale la disposizione, nella parte in cui limita il beneficio alle fattispecie in cui vi sia stata una formale procedura di ricongiungimento, senza estenderla a tutti i casi in cui lo straniero abbia “legami familiari” nel territorio dello stato.
Peraltro, nel testo della stessa sentenza n. 202 si legge più di un riferimento esplicito da cui si desume che il vizio di costituzionalità riguarda solo quel punto della disposizione che attribuisce rilevanza determinante alla presenza, rispettivamente all’assenza, di un pregresso provvedimento di ricongiungimento, senza attribuire analogo beneficio a chi, pure “a parità di ogni altra condizione” ossia “pur avendone i presupposti” non abbia avuto necessità di utilizzare tale procedura.
Interpretando dunque la sentenza n. 202 alla luce della sua motivazione e del contesto sistematico in cui si è collocata, si comprende che i “legami familiari” rilevanti ai fini di cui si discute sono quelli indicati dall’art. 29 del t.u. n. 286/1998 (e, a monte, dalla direttiva comunitaria n. 86/2003). Con la precisazione che non è necessaria la convivenza, dal momento che il dispositivo della sentenza della Corte parla di “legami familiari nel territorio dello Stato”, e non di familiari conviventi. E con l’ulteriore precisazione che nel rapporto tra genitori e figli non necessita che i figli siano attualmente minorenni; perché se è vero che sono ricongiungibili solo i figli minorenni, è anche vero che la sentenza della Corte non fa riferimento alle persone che presentino “attualmente” i requisiti del ricongiungimento, ma (anche) a quelle che a tempo opportuno avrebbero avuto titolo al ricongiungimento, ma non abbiano avuto necessità di avvalersene.
6. Passando dunque alla situazione dell’attuale appellante, si osserva che questi (che è maggiorenne) ha regolarmente soggiornanti in Italia tanto i genitori, quanto due fratelli (ugualmente maggiorenni); alla luce delle considerazioni sopra esposte, la presenza dei genitori è sufficiente a rendere applicabile in suo favore il miglior trattamento di cui al d.lgs. n. 5/2007.
7. Nel caso all’esame la Questura non ha compiuto tale accurata ponderazione della specifica situazione familiare dell’immigrato e del suo inserimento nel contesto socio economico locale, mentre non risulta corrispondente ai fatti la circostanza –affermata nella sentenza appellata- che “ dal ricorso non emergono elementi idonei a controbilanciare il giudizio di pericolosità sociale commesso alla tipologia del reato”.
Della situazione familiare si è detto; quanto alla gravità dell’episodio penale, va precisato che il Tribunale di Parma, tenuto conto del fatto che l’imputato all’epoca del reato aveva anni 19 e del suo ravvedimento operoso ( risarcimento monetario alla parte lesa che nel gennaio 2011 ha rilasciato dichiarazione di non avere alcuna altra pretesa a qualsiasi titolo), nonché delle particolari circostanze in cui si era consumato il delitto (come riportate nel rapporto di Polizia), ha concesso la riduzione di pena prevista dal comma 3 dell’art 609 bis c. p. per i casi di minore gravità, nonché la sospensione condizionale della pena inflitta.
Quanto- poi- all’inserimento nel contesto socio lavorativo locale, come risulta dagli atti, il ricorrente ha sempre lavorato in Italia come muratore e, da ultimo, come operaio montatore, fino al dicembre 2012, presso una ditta di Parma, il cui titolare ha rilasciato una dichiarazione di piena soddisfazione del lavoro svolto dall’appellante.
8. Nella omessa considerazione degli elementi e dei legami familiari dell’appellante, come sopra descritti ( risultanti dai documenti già esibiti in primo grado) e dell’intrinseco valore da attribuirsi ai medesimi alla luce delle argomentazioni della sentenza della Corte Costituzionale n. 202/2013, consiste il vizio di difetto di motivazione che inficia il provvedimento sfavorevole della Questura di Parma, comportandone l’annullamento.
9. Per questi motivi, in parziale accoglimento dell’appello, la sentenza in epigrafe va riformata e, per l’effetto, va annullato il decreto della Questura di Parma 5 luglio 2012 impugnato, mentre va respinta la domanda di accertamento del diritto dell’appellante al rinnovo del permesso di soggiorno, in quanto in capo all’immigrato sussiste una posizione di interesse legittimo al rilascio del permesso di soggiorno, e non di diritto soggettivo perfetto.
Va infatti chiarito che la presente sentenza si basa solo sul difetto di motivazione dell’atto impugnato in primo grado; pertanto il suo effetto è solo quello del ripristino del potere-dovere dell’amministrazione di valutare la fattispecie con riguardo a tutti i profili sopra ricordati.
Le spese di lite possono essere, comunque, compensate tra le parti per entrambi i gradi di giudizio per la peculiarità del caso e per la reciproca soccombenza .

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) accoglie in parte l’appello in epigrafe e, per l’effetto, in riforma parziale della sentenza appellata, annulla il decreto della Questura di Parma 5 luglio 2012, notificato il 24 gennaio 2013, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.
Spese compensate tra le parti per entrambi i gradi di giudizio .
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio del 12 settembre 2013 e del 30 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Roberto Capuzzi, Consigliere
Hadrian Simonetti, Consigliere
Dante D'Alessio, Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/01/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


mercoledì 8 gennaio 2014

PROCESSO & ELEZIONI: il principio di concentrazione e la deroga a riparto di giurisdizione (T.A.R. Lazio, Sez. II-"bis", sentenza 8 ottobre 2013 n. 8697).


PROCESSO & ELEZIONI: 
il principio di concentrazione 
e la deroga a riparto di giurisdizione 
(T.A.R. Lazio, Sez. II-"bis", 
sentenza 8 ottobre 2013 n. 8697).

Massima

1. La giurisdizione è ripartita tra il giudice amministrativo e quello ordinario in relazione al criterio di riparto del doppio binario, in rapporto, cioè, alla consistenza della situazione giuridica di diritto soggettivo o di interesse legittimo della quale si chiede la tutela; e così sono devolute al g.o. le controversie afferenti questioni di ineleggibilità, decadenza e incompatibilità dei candidati (concernenti diritti soggettivi di elettorato passivo), mentre appartengono alla giurisdizione del g.a. le questioni afferenti la regolarità delle operazioni elettorali, in quanto relative a posizioni di interesse legittimo (cfr. Cons.Stato, sez. V, n.1708 del 2011; idem, da ultimo, sent. n.3826 del 2013).
2. Pertanto la giurisdizione del g.a sussiste in materia elettorale nei casi in cui si faccia questione di interessi legittimi o allorquando le questioni di ineleggibilità attinenti a diritti soggettivi palesino un nesso di pregiudizialità necessaria rispetto alla decisione sulle altre questioni (cfr. CdS n. 3826/13).
3.  La condizione di incandidabilità riguarda l'elettorato passivo e, mirando ad impedire interferenze nella competizione elettorale, assume rilievo fin dal momento della presentazione della candidatura, impedendo l'elezione e viziandola, a meno che non venga rimossa, con le modalità ed entro i termini espressamente stabiliti, anteriormente alla stessa procedura elettorale; al contrario, la causa d'incompatibilità investe la posizione dell'eletto e, impedendo il contemporaneo esercizio di due funzioni, non incide sull'elezione, ma vieta di ricoprire la carica 
Infatti, l'unico effetto della candidatura di un soggetto ineleggibile è la decadenza del medesimo, senza ulteriori conseguenze sugli altri esiti del voto: l'ineleggibilità (da distinguersi dall'incandidabilità) non invalida l'ammissione della lista. 


Sentenza per esteso 

INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso RG n. 6828 del 2013, proposto dal signor Pierfrancesco MARCHESI, rappresentato e difeso dall’avv. Franco Muratori, con lo stesso elettivamente domiciliato in Roma, via Gino Funaioli, 54/56; 
contro
- COMUNE di ROMA (ora ROMA CAPITALE), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv.Fiammetta Lorenzetti, con la stessa elettivamente domiciliata in Roma, presso gli Uffici dell’Avvocatura Capitolina, in via Tempio di Giove, 21;
- MUNICIPIO ROMA X (ex XIII), in persona del legale rappresentante p.t., n.c.; 
nei confronti di
- del sig. Pietro MALARA, n.c.;
- del sig.Tommaso D'ANNIBALE, rappresentato e difeso dall'avv. Massimiliano Giandotti, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso in Ostia, via Paolo Orlando, 111;
- del sig. Paolo FERRARA, rappresentato e difeso dall'avv. Anna Maria Pitzolu, con domicilio eletto presso lo studio della stessa in Roma, corso Regina Maria Pia, 18a; 
per l'annullamento
del verbale delle operazioni dell'Ufficio centrale elettorale relativo alle operazioni per l'elezione diretta del Presidente e del Consiglio del Municipio X (ex XIII) di Roma Capitale.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e dei signori Tommaso D'Annibale e Paolo Ferrara;
Viste le memorie difensive;
Visto il dispositivo di sentenza n. 8603/2013;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 ottobre 2013 il Cons. Mariangela Caminiti e uditi per le parti i difensori presenti, come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. Riferisce il signor Pierfrancesco Marchesi - candidato al Consiglio municipale X (ex XIII) di Roma Capitale nelle elezioni amministrative per il rinnovo del Consiglio comunale e dell’elezione del Sindaco in data 26 e 27 maggio 2013 - che all’esito delle operazioni elettorali, anche di ballottaggio, sono stati proclamati eletti alla carica di Consigliere municipale per il suddetto Municipio, per la Lista 3 PdL nell’ordine Masi Mariacristina, D’Annibale Tommaso e Malara Pietro, mentre lo stesso istante risultava 6º, con la differenza con l’ultimo degli eletti per meno di 50 preferenze.
Il signor Marchesi lamenta numerose irregolarità durante le operazioni di spoglio dei voti e di redazione dei verbali tali da pregiudicare il risultato della consultazione nonché la sussistenza di condizioni di ineleggibilità e di incandidabilità dei candidati eletti signori D’Annibale e Malara.
Nelle sezioni nn.2028, 1988, 1848, 1853, 1857 mancherebbero i dati preferenze; nella sezione n.1847 mancherebbe il verbale; nella sezione n.2035 il verbale sarebbe in bianco e nella sezione n.1830 al candidato signor Malara sarebbero attribuite 67 preferenze anziché 6/7 preferenze, come risultante dal verbale finale. Infine il seggio n.2034 risulterebbe essere stato sequestrato.
Rappresenta il signor Marchesi di avere un interesse attuale e concreto ad ottenere la correzione del risultato elettorale e la rimozione dei vizi del procedimento e a tal fine impugna gli atti indicati in epigrafe denunciando:
1) Violazione e falsa applicazione dell’articolo 73 d.lgs. n. 267/2000, in quanto come sopra descritto l’assegnazione di voti e preferenze ai candidati sarebbe avvenuta arbitrariamente da parte degli scrutatori non garantendo la libertà di voto degli elettori.
2)Violazione e falsa applicazione dell’articolo 60 del d.lgs. n. 267/2000, sarebbero rilevanti i profili di ineleggibilità del candidato Malara, risultando lo stesso ancora in servizio presso la Guardia di Finanza al momento della presentazione della candidatura, tenuto conto della successiva richiesta di trasferimento. Analoga situazione sarebbe riscontrabile nei confronti del candidato eletto della lista M5S signor Paolo Ferrara, appuntato scelto presso il reparto tecnico logistico amministrativo degli istituti di istruzione di Ostia.
3) Violazione articolo 74, comma 4, del dPR n.570/1960, attesa l’omessa indicazione nel verbale dell’Ufficio centrale elettorale di tutti gli incidenti occorsi come indicati nel ricorso;
4)Violazione e falsa applicazione dell’articolo 10 del dlgs n. 235/2012, in quanto anche il candidato eletto Tommaso D’Annibale risulterebbe incandidabile perché condannato per delitti.
5) Eccesso di potere per l’incongruenza, falsa rappresentazione della realtà, difetto di istruttoria e dei presupposti, disparità di trattamento, illogicità, ingiustizia manifesta, sviamento, irragionevolezza. Violazione degli art. 48 e 53 della Cost., i voti mancanti, attribuiti erroneamente, i verbali in bianco, i verbali inesistenti attesterebbero lo sviamento di potere e l’errore in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione intimata procedendo alla proclamazione degli eletti in assenza del risultato delle sezioni sopra indicate, in cui i verbali risulterebbero lacunosi, in bianco o mancanti ab origine. Conclude, previa istruttoria, con la richiesta di annullamento degli atti impugnati e la conseguente correzione del risultato elettorale, con pregiudiziale dichiarazione di decadenza del signor Paolo Ferrara nonché sostituzione del ricorrente stesso al signor Tommaso D’Annibale ovvero al signor Pietro Malara alla carica di Consigliere per il Municipio X.
Si è costituita in giudizio Roma Capitale per resistere al ricorso e ha depositato articolata documentazione relativa al procedimento elettorale.
Anche il signor Tommaso D’Annibale si è costituito in giudizio opponendosi alle contestazioni di parte ricorrente, attesa la loro genericità e i profili di inammissibilità per mancanza di interesse della domanda, tenuto conto che anche della mancanza di vantaggio concreto in caso di ipotetico accoglimento della richiesta di sostituzione dei candidati eletti Malara e D’Annibale, risultando rilevante la posizione di altro subentrante con preferenze superiori a quelle del ricorrente.
Il signor Paolo Ferrara ha prodotto in giudizio atto di costituzione nonché articolate controdeduzioni, eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione riguardo i profili di ineleggibilità e incompatibilità denunciati da parte ricorrente nonché la inammissibilità del gravame in quanto le asserite irregolarità del procedimento risulterebbero formali e non provate, risultando altresì carente l’interesse ad agire del ricorrente tenuto conto della posizione ottenuta (sesto della Lista). Infine le censure riguardo la ineleggibilità del signor Ferrara sarebbero infondate tenuto conto che le liste del M5S sarebbero state presentate il 26. 4. 2013 e lo stesso avrebbe comunicato al proprio reparto l’accettazione della candidatura sin dal 15 aprile 2013.
In prossimità dell’udienza pubblica parte ricorrente ha presentato memoria conclusiva insistendo su quanto contestato con ulteriori argomentazioni anche in tema di giurisdizione.
Alla udienza pubblica del 2 ottobre 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
2. Preliminarmente il Collegio, pronunciando sull’eccepito difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nella controversia in esame, afferma l’infondatezza dello stesso.
Secondo il sig. Ferrara trattandosi di causa concernente la decadenza e l’ineleggibilità di candidato ossia di questione inerente l’elettorato passivo e, dunque, di diritto soggettivo, la cognizione della stessa spetterebbe al giudice ordinario.
Al riguardo, in linea con la pacifica giurisprudenza in materia di elezioni amministrative, osserva il Collegio che la giurisdizione è ripartita tra il giudice amministrativo e quello ordinario in relazione al criterio di riparto del doppio binario, in rapporto, cioè, alla consistenza della situazione giuridica di diritto soggettivo o di interesse legittimo della quale si chiede la tutela; e così sono devolute al g.o. le controversie afferenti questioni di ineleggibilità, decadenza e incompatibilità dei candidati (concernenti diritti soggettivi di elettorato passivo), mentre appartengono alla giurisdizione del g.a. le questioni afferenti la regolarità delle operazioni elettorali, in quanto relative a posizioni di interesse legittimo (cfr. Cons.Stato, sez. V, n.1708 del 2011; idem, da ultimo, sent. n.3826 del 2013).
Pertanto la giurisdizione del g.a sussiste in materia elettorale nei casi in cui si faccia questione di interessi legittimi o allorquando le questioni di ineleggibilità attinenti a diritti soggettivi palesino un nesso di pregiudizialità necessaria rispetto alla decisione sulle altre questioni (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 giugno 2012, n. 3673; idem, sent. cit. n. 3826 del 2013).
In particolare, si osserva che il ricorso in esame è affidato a più rubriche di gravame con le quali si assume sostanzialmente sia la erroneità dell’operato dell’Amministrazione intimata nello svolgimento dello spoglio e assegnazione dei voti e preferenze dei candidati alla consultazione elettorale in questione sia i profili di decadenza e ineleggibilità di candidati risultati vincitori, profili quest’ultimi che se accolti modificano la posizione degli eletti in favore della posizione dell’interessato.
Nel caso di specie il petitum sostanziale e i generali principi di economia ed effettività giustificano tale concentrazione della tutela in tema di ineleggibilità dei candidati di fronte a questo giudice dell’annullamento.
3. Nel merito, il ricorso è infondato alla luce delle seguenti considerazioni, in disparte i profili di rito in relazione alla dimostrazione dell’interesse qualificato – riguardo le violazioni di legge per le irregolarità delle operazioni elettorali (primo motivo) – in mancanza sia di indizi di prova a sostegno di quanto asserito sia della specifica enunciazione del numero dei voti da riconoscere al ricorrente, tenuto conto altresì della posizione ottenuta dal medesimo e del vantaggio concreto eventualmente attribuibile, risultando comunque preceduto nella lista da altri candidati.
Profilo quest’ultimo che appare rilevante anche in relazione alle contestazioni di parte ricorrente riguardo le ipotesi di ineleggibilità in capo agli individuati candidati eletti (secondo e quarto motivo); a tal proposito non appaiono convincenti le considerazioni del sig. Marchesi atteso che le ipotesi di ineleggibilità o di incompatibilità (ex art. 60 e 61 TUEL) comportano la decadenza del candidato all’esito della procedura di contestazione di cui al successivo art. 69 del medesimo TUEL.
Al riguardo va rilevato che la condizione di incandidabilità riguarda l'elettorato passivo e, mirando ad impedire interferenze nella competizione elettorale, assume rilievo fin dal momento della presentazione della candidatura, impedendo l'elezione e viziandola, a meno che non venga rimossa, con le modalità ed entro i termini espressamente stabiliti, anteriormente alla stessa procedura elettorale; al contrario, la causa d'incompatibilità investe la posizione dell'eletto e, impedendo il contemporaneo esercizio di due funzioni, non incide sull'elezione, ma vieta di ricoprire la carica (cfr. Tar Piemonte, sez. I, 5 dicembre 2012, n. 1286). Infatti, l'unico effetto della candidatura di un soggetto ineleggibile è la decadenza del medesimo, senza ulteriori conseguenze sugli altri esiti del voto: l' ineleggibilità (da distinguersi dall'incandidabilità) non invalida l'ammissione della lista (cfr. T.A.R.Sicilia, Catania, sez. IV,19 marzo 2009, n. 522; T.A.R.Molise,19 febbraio 2010, n. 134).
Tanto premesso, le contestazioni di parte ricorrente riguardo la candidatura del sig. Ferrara e i profili di ineleggibilità dello stesso appaiono infondate alla luce di quanto documentato in atti: risulta che il predetto candidato ha comunicato al proprio Reparto l’accettazione della candidatura in data 15 aprile 2013, mentre la lista M5S di appartenenza è stata presentata in data 26 aprile 2013, termine di presentazione delle liste fissato anche per il collocamento in aspettativa, come di fatto avvenuto ai sensi della normativa applicabile nella specie e della prassi vigente. Analoghe considerazioni valgono per gli asseriti profili di ineleggibilità del sig. Malara, tra l’altro, non documentati e in tal caso irrilevanti per la mancanza di interesse, anche in ipotesi di subentro risultando comunque precedente nella lista altro candidato.
Tali considerazioni assumono rilievo anche con riferimento al quarto motivo relativo alla violazione art. 10 d.Lgs. n. 235 del 2012, in relazione alla incandidabilità del sig. D’Annibale, per l’asserita “condanna per delitti” (in disparte la genericità e l’eventuale seguito di cui all’esposto allegato); al riguardo, va richiamata la giurisprudenza costante secondo cui nelle elezioni amministrative, l'eventuale incandidabilità per condanna penale determina solo la nullità dell'elezione del candidato interessato, con la sua surroga con chi ne dovesse avere diritto (nella specie, senza un concreto vantaggio per il ricorrente), ma non la contestuale nullità dell'espressione dei voti attribuiti alla relativa lista, con conseguenze invalidanti delle operazioni elettorali (cfr.Cons.Stato, sez. V, 21 giugno 2012, n. 3673).
Infine, non appaiono convincenti i censurati profili di illegittimità dell’operato dell’Amministrazione resistente nel corso delle attività di scrutinio dei voti e proclamazione degli eletti (quinto motivo), atteso che parte ricorrente si è limitata a rilevare genericamente voti mancanti, attribuiti erroneamente, verbali in bianco o inesistenti, ritenendo tali elementi determinanti per attestare lo sviamento di potere e l’errore dell’Amministrazione stessa.
Nella specie, va rilevato che non risultano allegati adeguati indizi di prova a sostegno di quanto asserito da parte ricorrente: anche le più specifiche contestazioni indicate nella memoria conclusionale, volte a verificare l’intera operazione di scrutinio, non presentano concreti principi di prova, mancando altresì dati precisi in relazione ai voti mancanti per il raggiungimento della posizione di candidato eletto.
E’ pacifico, infatti, che nel ricorso elettorale le censure sfornite di riscontro attendibile non consentono di supportare una richiesta di verifica dell’intera operazione di scrutinio, senza che sia offerto un concreto principio di prova. Diversamente argomentando al giudice verrebbe attribuita la funzione di scrutinatore di secondo livello, con mandato di ripetere le operazioni di spoglio (cfr. Cons.Stato, Sez. V, 18 gennaio 2013, n. 278). Sulla base di ciò non può essere accolta l’istanza istruttoria formulata da parte ricorrente alla luce del pacifico orientamento della giurisprudenza, secondo cui - in materia elettorale - al g.a. è consentito esercitare i poteri istruttori per verificare la sussistenza dei vizi denunciati con sufficiente grado di precisione e ragionevole presunzione di attendibilità, mentre non può trovare ingresso la prospettazione di vizi ipotetici.
In definitiva, il ricorso, in quanto infondato, va respinto.
La materia del contendere e la natura dei profili trattati giustificano la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Dispone la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Eduardo Pugliese, Presidente
Antonio Vinciguerra, Consigliere
Mariangela Caminiti, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/10/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


SERVIZI PUBBLICI LOCALI: la mancanza di una definizione normativa in materia (Cons. St., Sez. V, sentenza 2 maggio 2013 n. 2396).


SERVIZI PUBBLICI LOCALI: 
la mancanza di una definizione normativa in materia 
(Cons. St., Sez. V, 
sentenza 2 maggio 2013 n. 2396).

La dimostrazione plastica di come il diritto amministrativo sia un diritto pretorio, (quasi) del tutto privo del c.d. "formante legislativo".


Massima

1. Nel nostro ordinamento manca un'espressa definizione di "servizio pubblico locale". 
2. La qualifica di servizio pubblico locale (in contrapposizione a quella si appalto di servizi) è stata riconosciuta a quelle attività destinate a rendere una utilità immediatamente percepibile ai singoli o all’utenza complessivamente considerata, che ne sopporta i costi direttamente, mediante il pagamento di un’apposita tariffa, così che requisito essenziale della nozione di servizio pubblico locale è la circostanza che il singolo o la collettività ricevano un vantaggio diretto, e non mediato, da un certo servizio; non configurano un servizio pubblico locale le prestazioni strumentali attraverso cui l’amministrazione direttamente o indirettamente provvede ad erogare una determinata attività in favore della collettività (C.d.S., sez. V, 1° aprile 2011, n. 2012, 22 dicembre 2005, n. 7345; 16 dicembre 2004, n. 8090).
3. E' stato inoltre precisato che “la subordinazione al pagamento di un corrispettivo, rilevante nella prospettiva abbracciata dal codice dei contratti pubblici in sede di distinzione tra la figura dell’appalto e quella della concessione (art. 2, comma 12) dipende dalle caratteristiche tecniche del servizio e dalla volontà “politica” dell’ente, ma non incide sulla qualifica del servizio pubblico locale ai fini dell’applicazione della disciplina di cui al T.U.E.L.” e che “relativamente ai servizi pubblici locali, l’art. 117 T.U.E.L. n. 267/2000 precisa che la tariffa ne costituisce il corrispettivo ma non ne definisce il contenuto, determinato dalla possibilità concreta di dividere sui singoli l’onere della gestione ed erogazione della prestazione” (C.d.S., sez. V, 25 novembre 2010, n. 8231).
4.  Quanto al caso di specie, solo recentemente è stata introdotta nell’ordinamento quella di teleriscaldamento o teleraffrescamento, intesa come “distribuzione di energia termica in forma di vapore o acqua o liquido refrigerante da una o più fonti di produzione verso una pluralità di edifici o siti tramite una rete, per il riscaldamento o il raffreddamento di spazi, per processi di lavorazione e per la fornitura di acqua calda sanitaria”, ex art. 2, comma 1, del D. Lgs. 3 marzo 2011, n. 28, recante “Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/CE/”), la giurisprudenza ha univocamente riconosciuto la qualifica di servizio pubblico locale a quelle attività caratterizzate sul piano oggettivo dal perseguimento di scopi sociali e di sviluppo della società civile, selezionati in base a scelte di carattere eminentemente politico, quanto alla destinazione delle risorse economiche disponibili ed all’ambito di intervento, e, su quello soggettivo, dalla riconduzione diretta o indiretta (per effetto di rapporti concessori o di partecipazione all’assetto organizzativo dell’ente) ad una figura soggettiva di rilievo pubblico: è stato sottolineato che la apparente genericità della disposizione contenuta nell’art. 112 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, trova giustificazione nella circostanza che gli enti locali, ed il comune in particolare, sono enti a fini generali dotati di autonomia organizzativa, amministrativa e finanziaria, così che essi hanno la facoltà di determinare autonomamente i propri scopi e di decidere quali attività di produzione di beni e di attività assumere come doverose, purché le stesse siano rivolte a realizzare fini sociali ed a promuovere lo sviluppo economico e sociale della comunità locale di riferimento (C.d.S., sez. V, 13 dicembre 2006, n. 7369).


Sentenza per esteso


INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5489 del 2012, proposto da:
T.C.V.V.V. S.P.A. - TELERISCALDAMENTO - COOGENERAZIONE - VALTELLINA - VALCHIAVENNA - VALCAMONICA, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Giorgio Tarabini e Riccardo Villata, con domicilio eletto presso Riccardo Villata in Roma, via L. Bissolati, n. 76; 
contro
MORETTI MASSIMO, TRECARICHI ROBERTO, VIGGIANI GIOVANNI, FRASSON MAURIZIO ANTONIO WALTER, GARBELLINI GUIDO, rappresentati e difesi dagli avv. Veronica Dini e Antonio J. Manca Graziadei, con domicilio eletto presso Antonio Jacopo Manca Graziadei in Roma, via Cardinal De Luca, n. 1;
COMUNE DI SONDALO, in persona del sindaco in carica; COMUNE DI TIRANO, in persona del sindaco in carica; CONFERENZA DEI SINDACI DI SONDALO E TIRANO; MENEGHELLO PIERGIORGIO; BRENNA CINZIA; SCHIROSI MARIA CRISTINA; CASTELLETTI EDOARDO; PREMI LAURA; CORETTI CARMINE; MARCANTONI GIOVANNA; OTTONI FRANCO; FRANZINI CORRADO; SETTE PANTALEO; PARTESANA NORIS; ARIGHI MANUELA; CAPPELLETTI DAVIDE; CAZZANIGA ANNALISA; MORANDUZZO BRUNO; MORANDUZZO ERIKA; MORANDUZZO CHIARA, non costituiti in giudizio; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO, Sez. III, n. 1457 del 28 maggio 2012, resa tra le parti, concernente aumento tariffe teleriscaldamento;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori Massimo Moretti, Maurizio Antonio Walter Frasson, Roberto Trecarichi, Guido Garbellini e Giovanni Viggiani;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2013 il Cons. Carlo Saltelli e uditi per le parti gli avvocati Villata, Gianni, per delega dell'avv. Manca Graziadei, e Dini;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO
1. Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sez. III, con la sentenza n. 1457 del 28 maggio 2012, definitivamente pronunciando, nella resistenza del Comune di Tirano, del Comune di Sondalo e della società Teleriscaldamento Cogenerazione Valcamonica, Valtellina, Valchiavenna S.p.A. (d’ora in avanti T.C.V.V.V. S.p.A.) e con l’intervento ad adiuvandum dei signori Piergiorgio Meneghello, Cinzia Brenna, Maria Cristina Schirosi, Edoardo Castelletti, Laura Premi, Carmine Coretti, Giovanna Marcantoni, Franco Ottoni, Corrado Franzini, Pantaleo Sette, Noris Partesana, Manuela Arighi, Davide Cappelletti, Annalisa Cazzaniga, Bruno Moranduzzo, Erika Moranduzzo e Chiara Moranduzzo, sul ricorso principale, integrato da motivi aggiunti, proposto dai signori Massimo Moretti, Maurizio Antonio Walter Frasson, Roberto Tecarichi, Fabio Davide Gobbi Frattini, Guido Garbellini e Giovanni Vingiani, per l’annullamento: a) con il ricorso principale: a1) della delibera della Conferenza dei Sindaci di Sondalo e Tirano n. 4 del 5 novembre 2008, avente ad oggetto “Verbale n. 4 della Conferenza dei Sindaci di cui all’art. 2 del disciplinare di convenzione per l’impianto di teleriscaldamento sottoscritta in data 24 maggio 1999 tra i sindaci dei Comuni di Tirano e Sondalo e la s.p.a. Teleriscaldamento Cogenerazione Valcamonica Valtellina Valchiavenna (T.C.V.V.V.)”; a2) della delibera del Consiglio Comunale di Sondalo n. 44 del 3 dicembre 2008 avente ad oggetto “Presunte incompatibilità alla carica di sindaco del sig. Togni Valentino. Provvedimenti definitivi”; b) con i (primi) motivi aggiunti depositati il 10 dicembre 2009: b1) della delibera della Conferenza dei Sindaci di Sondalo e Tirano del 30 ottobre 2009, non pubblicata, avente ad oggetto l’annullamento in via di autotutela del verbale n. 4 del 5 novembre 2008 della Conferenza dei Sindaco (art. 10 del disciplinare di convenzione tra Comune e TCVVV) e adozione di un nuovo provvedimento di determinazione della tariffa; b2) del provvedimento tacito di approvazione delle tariffe previste per il periodo 2009 - 2010, nonché di tutti gli atti connessi; c) con i (secondi) motivi aggiunti depositati l’11 novembre 2010: c1) della delibera della Giunta comunale di Tirano n. 132 del 27 agosto 2010 avente ad oggetto “Tariffe riferite al teleriscaldamento erogato dalla TCVVV, in esecuzione dell’ordinanza n. 820/2010 del 27.07.2010, Tar Lombardia sez. III, riferita all’ordinanza cautelare n. 9 del 13.01.2010. Atto di indirizzo”, pubblicata il 30 agosto 2010; c2) della delibera della Giunta comunale di Sondalo n. 104 del 19 agosto 2010 avente ad oggetto “Tariffe riferite al teleriscaldamento erogato dalla TCVVV, in esecuzione dell’ordinanza n. 820/2010 del 27.07.2010, Tar Lombardia sez. III, riferita all’ordinanza cautelare n. 9 del 13.01.2010. Atto di indirizzo”, pubblicata il 26 agosto 2010; c3) del verbale n. 7 della Conferenza dei Sindaci di cui all’art. 2 del disciplinare di convenzione per l’impianto di teleriscaldamento sottoscritta in data 24 maggio 1999 tra i Sindaci dei Comuni di Tirano e di Sondalo e la s.p.a. Teleriscaldamento Cogenerazione Valcamonica, Valtellina, Valchiavenna (TCVVV), pubblicata il 30 agosto 2010; d) con i (terzi) motivi aggiunti depositati il 18 novembre 2010: d1) del provvedimento tacito di approvazione delle tariffe previste per il periodo 2010/11; ha: 1) dichiarato in parte inammissibile ed in parte improcedibile il ricorso principale; 2) dichiarato improcedibili i (primi) motivi aggiunti depositati il 10 dicembre 2009 ed il ricorso emergente dalla conversione dalla conversione dell’atto di intervento ad adiuvandum; 3) accolto il ricorso proposto con i (secondi) motivi aggiunti, depositato l’11 novembre 2010 e per l’effetto ha annullato: a) la delibera della Giunta comunale di Tirano n. 132 del 27 agosto 2010; b) la delibera della Giunta comunale di Sondalo n. 104 del 19 agosto 2010; c) il verbale n. 7 del 27 agosto 2010 della Conferenza dei Sindaci di cui all’art. 2 del disciplinare di convenzione per l’impianto di teleriscaldamento sottoscritta in data 24 maggio 1999 tra i Sindaci dei Comuni di Tirano e Sondalo e la s.p.a. Teleriscaldamento Cogenerazioni Valcamonica, Valtellina, Valchiavenna; 4) respinto il ricorso proposto con i (terzi) motivi aggiunti depositato il 18 novembre 2010, compensando le spese tra gli interventori ad adiuvandum e le amministrazioni resistenti e la società contro interessata, ma condannando queste ultime al pagamento delle spese di giudizio in favore dei ricorrenti.
2. Esposta sinteticamente la vicenda contenziosa che aveva dato origine alla controversia, il predetto tribunale ha innanzitutto respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevato dalle amministrazioni resistenti, osservando che la controversia apparteneva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. c), c.p.a., vertendo in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi ovvero ad provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo (non concernendo questioni meramente patrimoniali afferenti a canoni, indennità ed altri corrispettivi). Infatti, a suo avviso, nel servizio di teleriscaldamento in questione erano ravvisabili i tratti distintivi del servizio pubblico, venendo in rilievo un’attività oggettivamente correlata alla realizzazione di interessi pubblici (volta, per un verso, a consentire a qualunque interessato di approvvigionarsi di energia termica, a fini di riscaldamento e di usi civili per abitazioni, uffici pubblici, etc., e quindi connessa ad essenziali esigenze delle persone, cui si correla la qualità della vita e la salvaguardia della salute, ex art. 32 Cost., e, per altro verso, a tutelare anche l’ambiente per le dichiarate finalità di recupero del patrimonio boschivo e forestale perseguite), avviata su autonoma determinazione delle amministrazioni comunali interessate, che avevano scelto di realizzare sul proprio territorio un impianto di teleriscaldamento, affidandone direttamente, al di fuori di qualunque procedura concorsuale, la costruzione e la gestione ad un unico soggetto (la ricordata T.C.V.V.V. S.p.A.), cui le amministrazioni stesse partecipavano; d’altra parte. la natura di servizio pubblico del servizio di gestione del teleriscaldamento trovava conferma anche nelle peculiari clausole della relativa convenzione, con specifico riferimento agli obblighi della società di omogeneità di trattamento, continuità e regolarità nell’erogazione del servizio, oltre che tariffari; sotto altro profilo, poi, l’obbligo della società di versare un canone alle amministrazioni (determinato annualmente nella misura del 5% degli introiti lordi), nonché la circostanza che la remunerazione del gestore derivasse dalla percezione delle tariffe versate direttamente dagli utenti del servizio e che l’attività dalla società fosse indirizzata direttamente in favore degli utenti, evidenziava, al di là di ogni ragionevole dubbio, che T.C.V.V.V. S.p.A. si sostituiva all’amministrazione nel servizio di erogazione del calore prodotto dall’impianto di teleriscaldamento affidatole in gestione, assumendo pertanto il rischio dell’attività svolta, così configurandosi una concessione di servizio pubblico.
Il predetto tribunale ha poi: a) respinto l’eccezione di inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum fondata sul presupposto che gli interventori, in quanto cointeressati, avrebbero dovuto a loro volta tempestivamente impugnare gli atti per loro pregiudizievoli, qualificando invece il predetto atto di intervento quale ricorso autonomo, essendo stato ritualmente e tempestivamente notificato ed essendo volto ad ottenere l’annullamento dello stesso atto impugnato dai ricorrenti principali con i primi motivi aggiunti (deliberazione della Conferenza dei Sindaci del 30 ottobre 2009); b) dichiarato inammissibile il ricorso principale, nella parte in cui era diretto a contestare la legittimità della delibera del Consiglio comunale di Sondalo n. 44 del 3 dicembre 2008, avente ad oggetto “Presunte incompatibilità alla carica di sindaco del Sig Valentino Togni. Provvedimenti definiti”, per difetto di interesse dei ricorrenti che avevano agito esclusivamente quali utenti pregiudicati dagli asseriti illegittimi aumenti tariffari del servizio di teleriscaldamento e per contestare la legittimità di questi ultimi; c) dichiarato altresì improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso principale, i (primi) motivi aggiunti depositati il 10 dicembre 2009 ed l’atto di intervento ad adiuvandum, qualificato come ricorso autonomo, in quanto gli atti con essi impugnati (delibere della Conferenza dei Sindaci di Sondalo e Titano n. 4 del 5 novembre 2008 e del 30 ottobre 2009, nonché il nuovo atto di determinazione tariffaria) erano stati annullati in autotutela e sostituiti da una nuova determinazione tariffaria approvata dalla Conferenza dei Sindaci col verbale n. 7 del 27 agosto 2010, a sua volta impugnata, in uno con altri atti, con i (secondi) motivi aggiunti, depositati l’11 novembre 2010.
Nel merito il tribunale ha ritenuto fondate ed assorbenti, all’esito di un’apposita verificazione, le censure di difetto di motivazione e di carenza di istruttoria, con cui era stata contestata la legittimità dell’aumento della tariffa di riscaldamento, fissato nella misura del 12,53%, stante la non corrispondenza del predetto incremento a specifici costi documentati, con riguardo ai criteri indicati dall’art. 117 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267.
3. Con rituale e tempestivo atto di appello notificato a mezzo del servizio postale il 9 luglio 2012 T.C.V.V.V. S.p.A. ha chiesto la riforma della ricordata sentenza, lamentando l’erroneità e l’ingiustizia alla stregua di due motivi di gravame.
Con il primo, rubricato “Sulla carenza di giurisdizione del GA stante l’erronea qualificazione, come “servizio pubblico” dell’attività svolta da T.C.V.V.V.”, la società appellante ha contestato che l’attività di teleriscaldamento svolta potesse essere configurata quale servizio pubblico, non potendosi condividere, a suo avviso, le affrettate e superficiali conclusioni che i primi giudici avevano fatto discendere dai (pur corretti) principi enucleati in materia dalla giurisprudenza, nazionale e comunitaria.
E’ stato sottolineato che l’attività svolta in questione non sarebbe oggettivamente correlata alla realizzazione di interessi pubblici e non sarebbe neppure funzionale a consentire a qualsiasi cittadino interessato di approvvigionarsi di energia termica ai fini di teleriscaldamento e di usi per civili abitazioni, uffici pubblici, etc, difettando quindi dei requisiti di universalità ed essenzialità: il predetto servizio, infatti, non sostituirebbe il sistema tradizionale di produzione ed erogazione del calore (atteggiandosi come mero metodo a quello alternativo, integrativo e complementare) e l’adesione degli utenti sarebbe facoltativa e non obbligatoria, tanto più che nei territori in questione altri operatori fornirebbero lo stesso servizio che non sarebbe oggetto quindi di alcun diritto di esclusiva.
Sotto altro profilo è stato rilevato che la stessa società T.C.V.V.V. S.p.A. non sarebbe stata costituita per scelta o iniziativa autonoma degli enti locali, bensì su esclusivo impulso di alcuni imprenditori e privati, con una finalità prettamente commerciali, senza alcuna investitura da parte dei Comuni di Tirano e di Sondalo, i quali avrebbero acquisito una modesta partecipazione azionaria solo nella fase di conclusione della progettazione delle opere, sottoscrivendo peraltro una convenzione finalizzata alla sola disciplina dell’uso delle strade e delle aree pubbliche all’installazione della rete, oltre alla determinazione della misura del corrispettivo dovuto a tale titolo.
Ancora, secondo l’appellante, non solo si sarebbe in presenza, a tutto voler concedere, di un servizio pubblico locale c.d. facoltativo, ai sensi della legge regionale della Lombardia 26 giugno 2009, n. 10, per quanto sarebbe mancato qualsiasi atto o provvedimento amministrativo dei ricordati enti locali cui ricollegare la scelta politico – amministrativa di istituire o organizzare il servizio pubblico di teleriscaldamento; quanto alla convenzione intervenuta tra T.C.V.V.V. S.p.A. e i Comuni di Tirano e Sondalo, essa non avrebbe determinato la nascita in capo alla prima di alcun obbligo di servizio pubblico o di omogeneità di trattamento tariffario e neppure la previsione di un canone o di un diritto di riscatto in favore delle amministrazioni comunali alla cessazione del servizio (profilo su cui per altro i primi giudici avrebbero erroneamente indugiato, prendendo in considerazione uno schema di convenzione, approvato dal Comune di Sondalo con delibera consiliare n. 16 del 19 aprile 1999, mai sottoscritto), laddove la Conferenza dei sindaci, prevista nella predetta convenzione, costituirebbe un mero strumento operativo per evitare discriminazioni territoriali tra gli utenti residenti nei due comuni.
Ad avviso dell’appellante, in definitiva il servizio di teleriscaldamento in questione, per la natura giuridica del soggetto, per le peculiari modalità della sua stessa costituzione e di concreta gestione, darebbe luogo ad un’attività imprenditoriale del tutto privata con conseguente difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sulla controversia in questione.
Con il secondo motivo di gravame, rubricato “Sull’erroneità della sentenza gravata, nella parte in cui accoglie il ricorso per motivi aggiunti depositato in data 11.11.2010”, la società appellante ha lamentato l’assoluta inconferenza del richiamo operato dai primi giudici all’art. 117 del D. Lgs. 17 agosto 2000, n. 267 per la pretesa carenza di motivazione e difetto di istruttoria da cui sarebbe stata inficiata la determinazione delle nuove tariffe del servizio, rilevando che, non essendo configurabile un servizio pubblico locale, la determinazione del corrispettivo del servizio (tariffa) sarebbe frutto di una libera ed autonoma determinazione priva di qualsiasi connotazione pubblicistica; anche la prevista approvazione della tariffa (e dei relativi adeguamenti annuali) da parte della Conferenza dei sindaci, a termini dell’art. 10 della convenzione, costituirebbe una mera attività discrezionale, priva di valore provvedimentale, volta alla sola acquisizione ed alla eventuale valutazione di dati tecnici, senza dar luogo ad un giudizio di congruità, tanto più che, sempre secondo le previsioni della convenzione, la tariffa proposta si intende tacitamente approvato trascorsi inutilmente sessanta giorni dalla comunicazione.
In via ulteriormente subordinata è stata in ogni caso contestata la correttezza e la esaustività della verificazione disposta in primo grado, le cui conclusioni sarebbero state acriticamente accolte dai primi giudici senza neppure tener conto dei rilievi critici appuntati, relativamente in particolare all’analisi di singole voci di costi (cippato, personale, interessi ed oneri finanziari ed altri costi).
4. Si sono costituiti in giudizio i sigg. Massimo Moretti, Maurizio Antonio Walter Frasson, Roberto Trecarichi, Guido Garbellini e Giovanni Viggiani, in proprio e quali componenti del Comitato per la difesa dei consumatori di teleriscaldamento TCVVV e di altri consumi e/o servizi del Comuni di Tirano e di Sondalo, deducendo l’irricevibilità, inammissibilità e infondatezza dell’avverso gravame di cui hanno chiesto il rigetto.
5. Con ordinanza n. 3687 del 12 settembre 2012 la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, decidendo sull’istanza cautelare di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata, l’ha accolta ai soli fini della sollecita trattazione del merito, fissando a tal fine l’udienza pubblica dell’11 gennaio 2013.
6. Le parti hanno ritualmente illustrato le proprie tesi difensive, replicando a quelle avverse e depositando anche documentazione.
Alla pubblica udienza dell’11 gennaio 2013, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO
7. L’appello è infondato.
7.1. Con il primo motivo di gravame, la società appellante ha sostenuto che la controversia de qua, concernente l’approvazione della determinazione (rectius, dell’aumento annuale) della tariffa del servizio di teleriscaldamento, non appartiene alla potestas iudicandi del giudice amministrativo, non essendosi in presenza di un servizio pubblico locale, bensì di una attività imprenditoriale privata, cui sarebbe estraneo sia dal punto di vista oggettivo, sia dal punto di vista soggettivo, qualsiasi elemento pubblicistico.
La pur articolata tesi non è meritevole di favorevole considerazione.
7.1.1. Difettando, com’è noto, una espressa definizione del servizio pubblico locale (è appena il caso di aggiungere che solo recentemente è stata introdotta nell’ordinamento quella di teleriscaldamento o teleraffrescamento, intesa come “distribuzione di energia termica in forma di vapore o acqua o liquido refrigerante da una o più fonti di produzione verso una pluralità di edifici o siti tramite una rete, per il riscaldamento o il raffreddamento di spazi, per processi di lavorazione e per la fornitura di acqua calda sanitaria”, ex art. 2, comma 1, del D. Lgs. 3 marzo 2011, n. 28, recante “Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/CE/”), la giurisprudenza ha univocamente riconosciuto la qualifica di servizio pubblico locale a quelle attività caratterizzate sul piano oggettivo dal perseguimento di scopi sociali e di sviluppo della società civile, selezionati in base a scelte di carattere eminentemente politico, quanto alla destinazione delle risorse economiche disponibili ed all’ambito di intervento, e, su quello soggettivo, dalla riconduzione diretta o indiretta (per effetto di rapporti concessori o di partecipazione all’assetto organizzativo dell’ente) ad una figura soggettiva di rilievo pubblico: è stato sottolineato che la apparente genericità della disposizione contenuta nell’art. 112 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, trova giustificazione nella circostanza che gli enti locali, ed il comune in particolare, sono enti a fini generali dotati di autonomia organizzativa, amministrativa e finanziaria, così che essi hanno la facoltà di determinare autonomamente i propri scopi e di decidere quali attività di produzione di beni e di attività assumere come doverose, purché le stesse siano rivolte a realizzare fini sociali ed a promuovere lo sviluppo economico e sociale della comunità locale di riferimento (C.d.S., sez. V, 13 dicembre 2006, n. 7369).
La qualifica di servizio pubblico locale (in contrapposizione a quella si appalto di servizi) è stata pertanto riconosciuta a quelle attività destinate a rendere una utilità immediatamente percepibile ai singoli o all’utenza complessivamente considerata, che ne sopporta i costi direttamente, mediante il pagamento di un’apposita tariffa, così che requisito essenziale della nozione di servizio pubblico locale è la circostanza che il singolo o la collettività ricevano un vantaggio diretto, e non mediato, da un certo servizio; non configurano un servizio pubblico locale le prestazioni strumentali attraverso cui l’amministrazione direttamente o indirettamente provvede ad erogare una determinata attività in favore della collettività (C.d.S., sez. V, 1° aprile 2011, n. 2012, 22 dicembre 2005, n. 7345; 16 dicembre 2004, n. 8090); è stato anche precisato che “la subordinazione al pagamento di un corrispettivo, rilevante nella prospettiva abbracciata dal codice dei contratti pubblici in sede di distinzione tra la figura dell’appalto e quella della concessione (art. 2, comma 12) dipende dalle caratteristiche tecniche del servizio e dalla volontà “politica” dell’ente, ma non incide sulla qualifica del servizio pubblico locale ai fini dell’applicazione della disciplina di cui al T.U.E.L.” e che “relativamente ai servizi pubblici locali, l’art. 117 T.U.E.L. n. 267/2000 precisa che la tariffa ne costituisce il corrispettivo ma non ne definisce il contenuto, determinato dalla possibilità concreta di dividere sui singoli l’onere della gestione ed erogazione della prestazione” (C.d.S., sez. V, 25 novembre 2010, n. 8231).
7.1.2. Sulla scorta di tali consolidati e convincenti principi (su cui peraltro la stessa parte appellante ha espressamente dichiarato di convenire), la Sezione è dell’avviso che le conclusioni cui sono pervenuti i primi giudici, qualificando come pubblico servizio locale l’attività di teleriscaldamento svolta dall’appellante T.C.V.V.V. S.p.A., non meritino critiche.
7.1.2.1. Sotto il profilo oggettivo, deve innanzitutto rilevarsi che, come si ricava dalla lettura dello statuto della società appellante (allegato A al verbale di assemblea del 19 dicembre 1998, in cui la originaria società a responsabilità limitato ha deliberato la propria trasformazione in società per azioni), la sua attività, allo scopo di “valorizzare le risorse locali e diminuire la dipendenza energetica dall’esterno mediante utilizzo di fonti rinnovabili di energia e conseguente risparmio energetico, con diminuzione dell’inquinamento dell’aria e incentivazione alla cura e manutenzione dei boschi”, concerne la produzione e/o distribuzione di energia di massa biologica, ecologica e vantaggiosa nonché di altri portatori di energia per scopi di riscaldamento e generazione di corrente; la costruzione e manutenzione di centrali di produzione, di conduttori principali e secondari per l’energia termica e per ogni altro tipo di energia, di cabine di trasformazione di altri impianti e macchinari necessari; lo studio, progettazione, realizzazione e gestione di centrali di teleriscaldamento e/o produzione di energia elettrica, oltre che la organizzazione di corsi di formazione di personale specializzato nell’ambito della produzione e distribuzione di energia.
Tali attività ben si collocano nell’ampia previsione di attività rientranti nei servizi pubblici locali secondo la previsione generale di cui all’art. 112, comma 1, del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (“produzione di beni e attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”), in ragione proprio della dichiarata finalità cui tende la produzione e la distribuzione di energia di massa biologica (con correlativa costruzione e manutenzione delle strutture ed infrastrutture necessari, quali centrali di produzione, conduttori principali e secondarie, cabine di trasformazione, etc.): non può infatti ragionevolmente dubitarsi che la valorizzazione delle risorse locali, il risparmio energetico, la diminuzione dell’inquinamento dell’aria ed anche la cura e la manutenzione dei boschi costituiscono tutti altrettanti indiscutibili strumenti ed elementi (del tutto peculiari per le comunità locali ed il territorio in cui si svolge l’attività della società appellante) per la realizzazione di fini sociali e per la promozione dello sviluppo economico e civile della comunità stesse.
7.1.2.2. Quanto al profilo soggettivo, non può condividersi la pur suggestiva ricostruzione della società appellante, ad avviso della quale sarebbe mancata una effettiva ed inequivoca manifestazione di volontà delle amministrazioni locali interessate (Comune di Tirano e di Sondalo) di assumere (e/o quanto meno di considerare) il servizio di teleriscaldamento quale servizio pubblico locale.
Sebbene possa convenirsi sulla circostanza che la società, originariamente costituita con atto repertorio n. 57474, raccolta n. 18682, del 20 ottobre 1997, nella forma di società a responsabilità limitata, sia stata effettivamente frutto di un’iniziativa esclusivamente privata e ancorché la trasformazione di una società in altro dei tipi previsti dalla legge non dia luogo all’estinzione di un soggetto ed alla correlativa creazione di un nuovo e diverso soggetto, configurandosi soltanto una vicenda meramente evolutiva – modificativa dello stesso soggetto, deve purtuttavia osservarsi che il Comune di Sondalo, come si evince dalla lettura della delibera consiliare n. 16 del 12 aprile 1999 (avente ad oggetto “Progetto di teleriscaldamento con biomasse. Approvazione schema di Disciplinare di convenzione per impianti di teleriscaldamento”), con propria delibera consiliare n. 12 del 9 febbraio 1998 (con cui aveva espressamente riconosciuto l’importanza e la validità degli impianti di riscaldamento con utilizzo di biomasse in termini di fattibilità, convenienza economica e valorizzazione delle risorse locali facendone proprio obiettivo), ha effettivamente deliberato anche la partecipazione a tale società mediante acquisto di azioni per L. 300.000; quanto al Comune di Tirano, dall’esame degli interventi sottesi alla delibera consiliare n. 25 del 3 maggio 1999 (recate “Approvazione dello schema di convenzione per la disciplina dei rapporti tra il Comune di Tirano e la S.p.A. Teleriscaldamento, Coogenerazione Valcamonica, Valtellina e Valchiavenna, relativa alla costruzione ed esercizio dell’impianto di teleriscaldamento di Tirano”) emerge, al di là di ogni ragionevole dubbio, che “…nei confronti dell’iniziativa il Comune di pone per lo meno in tre vesti: 1) la prima è la veste dell’ente convenzionante: cioè il Comune stipula con la società questo schema di convenzione; 2) il secondo ruolo che svolge il Comune è quello di diventare socio della società, attraverso l’investimento dei proventi che derivano al Comune stesso per la concessione in diritto di superficie del terreno necessario per la costruzione dell’impianto. Il Comune svolgerà il terzo ruolo come utente…la discussione all’ordine del giorno riguardo solo il primo punto…” (primo intervento del sindaco).
Non può quindi dubitarsi dell’esistenza di una precisa, coerente e consapevole volontà degli enti locali interessati di assumere effettivamente il servizio di teleriscaldamento nell’ambito dei servizi pubblici locali, volontà espressa in modo certo, sicuro ed inconfutabile dal Comune di Sondalo ed in modo altrettanto inequivoco anche dal Comune di Tirano.
D’altra parte non può sottacersi che, come si ricava dalla documentazione prodotta dalla stessa società appellante, la Giunta regionale della Lombardia con delibera n. 34829 del 27 febbraio 1998 aveva aderito al protocollo d’intesa tra la Regione stessa, il Comune di Tirano, il Comune di Sondalo, il Consorzio Forestale Alta Valtellina, il Consorzio Forestale Alta Val Camonica, la Società Teleriscaldamento Cogenerazione Valcamonica, Valtellina, Valchiavenna s.r.l. interessati alla realizzazione di centrali energetiche alimentate a biomassa, ricavata dagli scarti di prima lavorazione del legname e delle utilizzazioni boschive e relative reti di teleriscaldamento, con cui era stato convenuto tra l’altro che: (punto 3) i Sindaci dei Comuni di Tirano e Sondali si impegnavano “a dare rapida esecuzione agli adempimenti amministrativi sottesi alla realizzazione dei progetti, ivi compresi quelli riguardanti gli impegni finanziari destinati alla realizzazione ed alla gestione delle strutture impiantistiche di cui in premessa” ; (punto 4) la società Teleriscaldamento Cogenerazione Valcamonica, Valtellina Valchiavenna “costituitasi all’uopo, in qualità di soggetto attuatore dell’intervento”, si impegnava per gli aspetti finanziari ed attuativi correlati alla realizzazione ed alla gestione delle surrichiamate strutture, onde conseguire, in via prioritaria, tutti gli obiettivi energetici, sociali, ambientali ed economici, sopracitati ed accedere ai finanziamenti ex l.r. n. 31 del 1996; (punto 8) tutte le parti si impegnavano “…reciprocamente ad attivare e concludere, nel rispetto delle specifiche competenze e con spirito di fattiva, solerte e leale cooperazione, i procedimenti, le iniziative e le attività necessarie, nonché quant’altro riconducibile ai successivi patti ed obbligazioni, ispirando la propria azione ai principi della trasparenza, dell’economicità correlata all’efficacia dei risultati ed all’efficienza gestionale – operativa, nonché al contenimento degli impatti ambientali diretti ed indiretti, secondo i criteri dello sviluppo sostenibile”.
Nell’atto denominato “Progetti Impianti di Tirano e Sondalo alimentati a biomasse legnose”, che costituisce parte integrante della ricordata delibera della giunta regionale e del protocollo d’intesa, nel paragrafo relativo ai “soggetti attuatori”, si legge quanto segue: “La realizzazione degli interventi è posta in capo alla Società, quale concessionaria delle amministrazioni comunali coinvolte. I Comuni, assumendo contestualmente la veste di soci, utenti e concedenti, conservano ampia facoltà di garanti, anche in quanto rappresentati nel Consiglio di amministrazione”.
7.1.2.3. Altri elementi, gravi, precisi e concordanti, ricavabili esclusivamente dalla documentazione versata in atti, confortano la tesi della natura di servizio pubblico locale della attività di teleriscaldamento in questione, sia sotto il profilo soggettivo che sotto quello oggettivo.
Infatti, alla lettera in data 1 agosto 2012, ritualmente prodotta dagli appellati (sull’ammissibilità della cui allegazione agli atti di causa non vi è motivo di dubitare, trattandosi di atto successivo al deposito della sentenza impugnata), con cui T.C.V.V.V. S.p.A. ha comunicato a tutti i propri utenti l’esito del contenzioso in questione, preannunciando l’esperimento dell’appello al Consiglio di Stato e trasmettendo le fatture relative ai consumi dei mesi di giugno e luglio 2012, è stata allegata una nota, intitolata “Una critica miope alle scelte strategiche della T.C.V.V.V. S.p.A.”, in cui si legge testualmente, tra l’altro: “La realizzazione iniziale delle reti di riscaldamento a biomasse aveva carattere di assoluta novità e comportava rischi finanziari e tecnologici tali da giustificare il contributo della Regione che mirava soprattutto al riavvio della filiera bosco – legno da molti decenni ormai abbandonata. Una volta superata la fase iniziale e constatata la soddisfazione dei clienti, la TCVVV ha ritenuto opportuno e doveroso estendere il servizio al maggior numero di cittadini, invece di rimanere nella protetta nicchia iniziale che poteva privilegiare solo pochi e fortunati utilizzatori. Questo seguendo anche le indicazioni, che riteniamo anche oggi comunque corrette, delle Amministrazioni Comunali e operando nello spirito collaborativo che aveva visto partire questa iniziativa non certamente facile (Si ricorda che sin dall’inizio del Consiglio di Amministrazione della Società hanno sempre partecipato, quali membri del Consiglio stesso, Sindaci o Assessori dei Comuni di Tirano e Sondalo”. Continuando la nota aggiunge: “Avere esteso i benefici del teleriscaldamento alla maggior parte della popolazione, mantenendo comunque prezzi convenienti, avere valorizzato al massimo il contributo pubblico inizialmente ricevuto e avere raggiunto una dimensione adeguata per promuovere la gestione dei boschi locali, significa semplicemente avere perseguito la propria missione aziendale e avere assolto al mandato affidato dai propri soci ed alla fiducia accordata dalla Regione Lombardia”.
Tale nota, ad avviso della Sezione, ha un indiscutibile valore “confessorio” proprio sulla natura di servizio pubblico del servizio di teleriscaldamento, in ragione degli enunciati gli scopi sociali e di sviluppo della società civile perseguiti e della affermata riferibilità delle scelte aziendali anche alla volontà agli enti locali (di cui si sottolinea la partecipazione dei rappresentanti alle riunioni del Consiglio di Amministrazione); dalla stessa poi emerge che i cittadini fruiscono del servizio di teleriscaldamento uti singuli, corrispondendo una tariffa direttamente alla predetta società, essendo al riguardo, per un verso del tutto irrilevante che non tutti i cittadini vi abbiano aderito, e decisiva, per converso, la astratta possibilità che tutti i cittadini ne possono beneficiare (finalità del resto che corrisponde puntualmente all’intento degli enti locali interessati perseguito con la partecipazione alla predetta società).
La Conferenza dei sindaci dei comuni, prevista dall’art. 2 delle convenzioni intercorse tra la predetta società ed i Comuni di Tirano e di Sondalo, lungi dal costituire una mera struttura operativa con finalità meramente conoscitive (per l’acquisizione di dati ed elementi tecnici utilizzati da T.C.V.V.V. S.p.A. per determinare la tariffa del servizio, come sostenuto dalla società appellante, finalità che del resto avrebbe potuto ragionevolmente, ed in modo più semplice e efficace, essere perseguite attraverso gli ordinari uffici comunali), si configura piuttosto come un organismo convenzionale finalizzato ad un vero e proprio “controllo” (politico) da parte degli enti locali sulla determinazione della tariffa da applicare al servizio in parola, del tutto coerentemente alla sua stessa ratio istitutiva (“allo scopo di assicurare agli utenti tariffe omogenee ed omogeneità di trattamento, per la fornitura del teleriscaldamento”): è decisivo in tal senso osservare che spetta proprio alla predetta Conferenza dei sindaci l’approvazione delle tariffe deliberate annualmente da T.C.V.V.V. S.p.A., previa verifica della sostanziale congruità delle stesse sulla base della documentazione e di ogni altro elemento idoneo a giustificarle (che è onere della società fornire), non avendo alcun influenza sulla natura di controllo della funzione così svolta la possibilità che le tariffe proposte possano essere approvate tacitamente (per mancanza di eccezioni o riserve formulate dalla Conferenza entro sessanta giorni dalla ricevimento della deliberazione della società).
7.1.2.4. Diversamente da quanto pure sostenuto dalla società appellante, il canone previsto dall’art. 8 delle convenzioni non solo è correlato alla “…installazione di ogni e qualsiasi componente dell’impianto di teleriscaldamento e/o cogenerazione su terreni di proprietà o di uso comunale (tubazione, impianti tecnologici, ecc.)”, ma prescinde dalla tassa di occupazione di spazio ed aree pubbliche, oggetto di separato ed autonomo obbligo, ed ha una specifica destinazione, pure indicata nell’ultimo comma dello stesso articolo 8, dovendo essere utilizzata “…dal Comune per interventi di carattere ambientale e/o forestale nell’ambito del Comune stesso”.
Inoltre la convenzione intercorsa tra T.C.V.V.V. S.p.A. ed i Comuni di Tirano e di Sondalo, come emerge dalla copia prodotta in atti, concerne i rapporti tra tali soggetti “…derivanti dalla costruzione e dall’esercizio dell’impianto di riscaldamento e/o cogenerazione…”, ivi compreso l’utilizzo degli impianti indispensabili per il predetto servizio alla fine della convenzione (la cui durata è fissata in trentacinque anni dalla data di inizio dei lavori e si estende anche agli eventuali futuri ampliamenti della rete in ambito comunale, decisi e realizzati dalla società, come stabilito dall’art. 3, comma 1), essendo stato espressamente previsto all’art. 11 la possibilità del rinnovo ed il diniego di rinnovo per giustificati motivi, con conseguente possibilità di opzione di acquisto da parte del comune stesso.
A fronte di tale puntuali previsioni è del tutto strumentale, fuorviante ed in ogni caso non pertinente la deduzione della società appellante che ha inteso negare nel caso di specie il carattere di pubblico servizio locale dell’attività di teleriscaldamento, adducendo che nella convenzione non vi sarebbe alcuna assunzione di obbligo di servizio da parte di T.C.V.V.V. S.p.A.
Non da ultimo non può che ricordarsi come la qualifica di pubblico servizio locale all’attività di teleriscaldamento svolta dalla società appellante è stata riconosciuta anche dall’Autorità per la Vigilanza sui Contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, giusta deliberazione n. 101 del 10 novembre 2011, assunta all’esito di apposita attività e previa acquisizione di chiarimenti, giustificazioni ed informazioni documentate.
Per quanto poi non interessi direttamente la controversia in questione, è significativo che la predetta autorità di vigilanza abbia anche stigmatizzato il fatto che tale servizio sia stato affidato ad una società mista (tale è T.C.V.V.V. S.p.A.) in assenza di una procedura competitiva, invitando i Comuni di Tirano e di Sondalo ad assumere le opportune ed idonee iniziative in relazione alle modifiche legislative introdotte dall’art. 4 del D.L. n. 138 del 1011, convertito con modificazioni nella legge n. 148 del 2011 (che sostituisce l’abrogato art. 23 bis del D.L. n.112 del 2008).
7.1.2.5. In conclusione la controversia de qua, concernente la legittima determinazione della tariffa annuale di un servizio pubblico locale da parte del gestore, all’esito di un procedimento amministrativo, appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
7.2. Anche il secondo motivo di gravame non è meritevole di favorevole considerazione.
7.2.1. Come si è avuto modo di accennare in precedenza, l’attività di teleriscaldamento svolta dalla società appellante si configura quale servizio pubblico locale; ciò rende corretto e coerente il richiamo operato dai primi giudici all’art. 117 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, secondo cui la tariffa, che costituisce il corrispettivo del servizio pubblico (comma 2) e che deve essere tale da assicurare l’equilibrio economico – finanziario dell’investimento e la connesso gestione, deve essere calcolata tenendo conto della corrispondenza tra costi e ricavi (in modo da assicurare la integrale copertura dei costi, ivi compresi gli oneri di ammortamento tecnico – finanziario), dell’equilibrato rapporto tra i finanziamenti raccolti ed il capitale investito, dell’entità dei costi di gestione delle opere (compresi gli investimenti e la qualità del servizio) e dell’adeguatezza della remunerazione (comma 1).
E’ pertanto da respingere la prospettazione della società appellante secondo cui la determinazione della tariffa del servizio in esame sarebbe del tutto libera e rispondente esclusivamente a mere logiche imprenditoriali: è appena il caso di richiamare al riguardo le osservazioni svolte sulla natura pubblicistica (e provvedimentale) dell’approvazione della tariffa da parte della Conferenza dei servizi, che non può ridursi ad una mera presa d’atto di dati ed elementi a tal fine utilizzati da T.C.V.V.V. S.p.A.
La determinazione della tariffa del servizio di teleriscaldamento (e gli eventuali incrementi annuali), come lucidamente rilevato dai primi giudici, non può che essere oggetto di una puntuale e coerente motivazione, supportata da specifica attività istruttoria, idonea a giustificarla e a legittimarla (in attuazione dei fondamentali principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione e dell’art. 3 della legge 7 agosto 199, n. 241), in relazione ai criteri enunciati dal ricordato art. 117 del D. Lgs. n. 267 del 2000, ed in particolare all’effettivo aumento dei costi di gestione.
7.2.2. Nel merito le censure mosse dall’appellante al capo della decisione impugnata che ha ritenuto illegittimi per difetto di motivazione e di carenza di istruttoria gli atti impugnati (delibera della Giunta comunale di Tirano n. 132 del 27 agosto 2010, quella della Giunta comunale di Sondalo n. 132 del 19 agosto 2010 e il verbale n. 7 del 27 agosto 2010 della Conferenza dei sindaci) non possono essere accolte.
I primi giudici hanno invero fondato la propria convinzione sulla base delle adeguate e convincenti risultanze di una verificazione appositamente espletata, rilevando in particolare che non era stata fornito alcun elemento certo, obiettivo ed adeguato per giustificare il contestato aumento tariffario, a tanto non potendo essere sufficiente la mera elencazione dei costi (ovvero l’intervenuta variazione degli stessi, relativamente al cippato, al personale dipendente, agli interessi sui mutui e ad altre materie prime e beni di consumo indispensabili).
Tali precise conclusioni non risultano affatto smentite dalle critiche sollevate con il motivo di censura in esame, giacchè la società appellante, piuttosto che fornire, com’era sua specifico onere, gli elementi certi ed obiettivi su cui era stato calcolato l’adeguamento tariffario, ha sostanzialmente confermato quanto emerso dalla relazione del verificatore ed in particolare che i dati e gli elementi istruttori utilizzati dalla società non erano affatto certi e definitivi, ma meramente ipotetici, non verificabili e non verificati.
Invero la parte appellante, enfatizzando il contenuto dell’art. 10 della convenzione, ha inteso sottolineare la circostanza che alla data del 31 ottobre di ogni anno, termine entro cui devono essere comunicate alla Conferenza dei sindaci le tariffe del servizio, non esisterebbero dati risultanti da atti e documenti ufficiali, definitivi e verificati (bilanci preventivi, conti consuntivi, etc.), così che gli elementi utilizzabili per il calcolo della tariffa non potrebbero essere che essere desunti da conti e scritture contabili, della cui genuinità e corretta tenuta non si sarebbe peraltro giammai dubitato.
Sennonché, anche a voler considerare lacunosa a superficiale la disposizione convenzionale in esame (che non disciplina compiutamente le modalità di determinazione e di calcolo della tariffa del servizio e delle sue variazioni annuali e fermo restando, peraltro, che proprio tale disciplina di massima conferma, per un verso, il ruolo strategico che le parti hanno inteso assegnare alla Conferenza dei Sindaci e, per altro verso, la natura provvedimentale dell’approvazione delle tariffe attribuito a detta Conferenza), non può in ogni caso negarsi che essa deve essere interpretata (ed integrata nella parte in cui è da considerarsi lacunosa) secondo buona fede, facendo quindi necessario riferimento alle disposizioni (art. 117 del D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267) che indicano i criteri cui deve essere improntata il calcolo della tariffa di un servizio pubblico locale, tra cui l’effettività dei costi asseritamente sopportati.
E’ proprio la prova dell’effettività di tali costi che i primi giudici hanno ritenuto carente nel caso di specie, rilevando in modo significativo (con specifico riferimento all’invocata disposizione dell’art. 10 della convenzione ed al termine del 31 ottobre) che “…ferma restando la espressa possibilità dell’amministrazione di differire il termine attraverso la semplice presentazione di riserve o eccezioni, ne consegue che la convenzione non frappone ostacoli a che la decisione sulle tariffe venga assunta nel termine dell’esercizio di riferimento e una volta adottati i relativi bilanci, o, quantomeno, sulla base di tutta la documentazione contabile afferente all’esercizio considerato e non solo sulla base di dati previsionali”.
Le critiche dell’appellante sono pertanto del tutto infondate, risolvendosi, per un verso, nella riproposizione di deduzioni già svolte in primo grado e disattese con motivazione puntuale, non illogica ed arbitraria, e, per altro verso, in un mero inammissibile dissenso, peraltro generico ed immotivato, alle ragionevoli e condivisibili conclusioni dei primi giudici.
8. In conclusione alla stregua delle osservazioni svolte l’appello deve essere respinto.
La novità delle questioni trattate giustifica la compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla società Teleriscaldamento Cogenerazione Valcamonica, Valtellina e Valchiavenna - T.C.V.V.V. - S.p.A. avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sez. III, n. 1457 del 28 maggio 2012, lo respinge.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Trovato, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere, Estensore
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/05/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)