giovedì 9 gennaio 2014

IMMIGRAZIONE: i "motivi familiari" di cui all'art. 29 del T.U. n. 286/1998 (come modificato dal D.Lgs. n. 5/2007) - [Cons. St., Sez. III, sentenza 3 gennaio 2014).


IMMIGRAZIONE: 
i "motivi familiari" 
di cui all'art. 29 del T.U. n. 286/1998 
(come modificato dal D.Lgs. n. 5/2007) - 
[Cons. St., Sez. III, 
sentenza 3 gennaio 2014).


Una delle prime sentenze del Consiglio di Stato del 2014 che ci è sembrata interessante.


Massima


1.  Con la sentenza 202/13 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, co. 5, come modificato per effetto del d.lgs. n. 5/2007, per contrasto con gli artt . 2,3,29,30 e 31 Cost. nella parte in cui non estende a tutti i casi in cui lo straniero abbia nello Stato legami familiari la tutela rafforzata prevista dalla norma in questioni per i casi in cui vi stato un ricongiungimento familiare. 
Il Giudice delle leggi ha precisato, inoltre, che anche la Corte di Strasburgo ha sempre affermato che, quando nel Paese dove lo straniero intende soggiornare, vivono i membri stretti della sua famiglia, occorre bilanciare in modo proporzionato il diritto alla vita familiare del ricorrente e dei suoi congiunti con il bene giuridico della sicurezza pubblica e, quindi, l’Amministrazione deve valutare tutta una serie di elementi desumibili dalla attenta osservazione in concreto di ciascun caso.
2.  Quanto ai “legami familiari”, il testo originario della disposizione, introdotta dal d.lgs. n. 5/2007, attribuiva il beneficio allo straniero che avesse effettuato il ricongiungimento familiare ovvero fosse esso stesso familiare ricongiunto. La norma si riferiva all’istituto del ricongiungimento familiare, disciplinato dall’art. 29 del t.u. n. 286/1998 come modificato dallo stesso d.lgs. n. 5/2007, in attuazione della direttiva comunitaria n. 86/2003. Com’è noto, tale procedimento ha luogo ad iniziativa di uno straniero già legalmente residente in Italia, il quale chiede di estendere il titolo di soggiorno anche ad uno o più congiunti ancora residenti all’estero. L’art. 29 del t.u., in pedissequa applicazione della direttiva comunitaria, indica in modo preciso e tassativo i familiari che possono usufruire del ricongiungimento: il coniuge, i figli minorenni, nonché, a determinate condizioni, i genitori; più qualche altra ipotesi particolare.
3. In sede applicativa, si è interpretata nel senso la norma si debba interpretare in senso estensivo (lex minus dixit quam voluit) ossia includendo nel beneficio anche i nuclei familiari la cui composizione corrisponda a quella che, ove necessario, darebbe titolo al ricongiungimento, ma che si trovino già riuniti senza aver dovuto ricorrere a tale procedura.
La questione è stata posta da altro Giudice alla Corte costituzionale, e quest’ultima, con la sentenza n. 202/2013, senza prendere in considerazione l’ipotesi di una soluzione interpretativa, ha dichiarato parzialmente incostituzionale la disposizione, nella parte in cui limita il beneficio alle fattispecie in cui vi sia stata una formale procedura di ricongiungimento, senza estenderla a tutti i casi in cui lo straniero abbia “legami familiari” nel territorio dello stato.
Peraltro, nel testo della stessa sentenza n. 202 si legge più di un riferimento esplicito da cui si desume che il vizio di costituzionalità riguarda solo quel punto della disposizione che attribuisce rilevanza determinante alla presenza, rispettivamente all’assenza, di un pregresso provvedimento di ricongiungimento, senza attribuire analogo beneficio a chi, pure “a parità di ogni altra condizione” ossia “pur avendone i presupposti” non abbia avuto necessità di utilizzare tale procedura.
4.  Interpretando dunque la sentenza n. 202 alla luce della sua motivazione e del contesto sistematico in cui si è collocata, si comprende che i “legami familiari” rilevanti ai fini di cui si discute sono quelli indicati dall’art. 29 del t.u. n. 286/1998 (e, a monte, dalla direttiva comunitaria n. 86/2003). Con la precisazione che non è necessaria la convivenza, dal momento che il dispositivo della sentenza della Corte parla di “legami familiari nel territorio dello Stato”, e non di familiari conviventi. E con l’ulteriore precisazione che nel rapporto tra genitori e figli non necessita che i figli siano attualmente minorenni; perché se è vero che sono ricongiungibili solo i figli minorenni, è anche vero che la sentenza della Corte non fa riferimento alle persone che presentino “attualmente” i requisiti del ricongiungimento, ma (anche) a quelle che a tempo opportuno avrebbero avuto titolo al ricongiungimento, ma non abbiano avuto necessità di avvalersene.



Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4347 del 2013, proposto da: 
Endri Shega, rappresentato e difeso dagli avv. Aniello Schettino, Francesco Luigi Braschi, con domicilio eletto presso Francesco Luigi Braschi in Roma, viale Parioli, 180;
 
contro
Questura di Parma, Ministero dell'Interno, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA –PARMA, SEZIONE I n. 00149/2013, resa tra le parti, concernente diniego rinnovo permesso di soggiorno emesso dal Questore di Parma con decreto 5 luglio 2012.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Questura di Parma e di Ministero dell'Interno;
Vista l’ordinanza 21 giugno 2013 n. 2345 con cui è stata disposta l’acquisizione di documentazione;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 12 settembre 2013 il Cons. Lydia Ada Orsola Spiezia e uditi per le parti l’Avv. Sanino su delega di Braschi e l’Avvocato dello Stato Caselli;
Avvisate le parti che la causa può essere decisa nel merito con sentenza semplificata ai sensi dell’art. 60 c p a;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1.Con decreto 5 luglio 2012( notificato il 24 gennaio 2013 all’interessato convocato a tal fine nei propri uffici) la Questura di Parma negava al cittadino albanese appellante il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro dipendente, avendo rilevato a suo carico una condanna a 2 anni di reclusione per violenza sessuale, emessa dal Tribunale penale di Parma il 26 gennaio 2011; a motivazione del diniego la Questura aggiungeva che tale reato rientrava tra quelli indicati dall’art.380 c.p.p. e che l’interessato non aveva dimostrato di aver ottenuto la riabilitazione.
Avverso il provvedimento il ricorrente proponeva ricorso al TAR Emilia Romagna ( notificato il 8 marzo 2013) , chiedendone l’annullamento , previa sospensione, per carenza di motivazione circa la pericolosità sociale dell’immigrato e violazione di legge ed eccesso di potere per mancata valutazione della situazione familiare e dell’inserimento sociale del medesimo, unitamente all’accertamento del diritto al rinnovo del permesso di soggiorno.
1.1.Con sentenza semplificata, pronunciata in occasione della trattazione della domanda cautelare, il TAR adito, esaminata la domanda di annullamento, ha respinto il ricorso (spese di lite a carico del ricorrente per euro 2.000,00), affermando che la condanna per un reato in materia di libertà sessuale, ai sensi dell’art.4 , comma 3, e dell’art. 5, comma 5, del D. LGS n. 286/1998 impedisce il rilascio del permesso di soggiorno e che la pericolosità sociale del condannato per tale reato è stata definita dallo stesso legislatore; pertanto – ad avviso del TAR- il provvedimento sfavorevole rappresenta un atto dovuto, mentre, per il profilo dell’inserimento sociale del ricorrente, in giudizio non erano emersi “ elementi idonei a controbilanciare il giudizio di pericolosità connesso alla tipologia del reato; in ogni caso, la situazione familiare prospettata (convivenza con la sorella Shega Brunilda) risulta smentita dalla documentazione in atti”.
1.2.Avverso la sentenza TAR l’immigrato ha proposto l’appello in epigrafe, chiedendone la riforma, previa sospensione, con il conseguente annullamento del diniego di rinnovo del permesso per violazione degli artt . 4, 5 e 9 D. LGS n. 286/1998 e difetto di motivazione ed omessa valutazione della documentazione agli atti di causa (dedotti in unico articolato motivo), nonché l’accertamento del diritto dell’appellante al rinnovo del permesso di soggiorno.
La Questura di Parma ed il Ministero dell’Interno si sono costituiti con mero atto formale, chiedendo il rigetto dell’appello.
In adempimento di ordinanza istruttoria di questa Sezione 21 giugno 2013 n. 2345 l’appellante ha depositato la documentazione relativa allo svolgimento del giudizio penale conclusosi con la sua condanna.
Alla camera di consiglio del 12 settembre 2013, uditi i difensori presenti, i quali sono stati avvisati della possibilità che definire la controversia nel merito con sentenza semplificata ai sensi dell’art. 60 c p a, la causa è passata in decisione.
2. Premesso quanto sopra in fatto, in diritto la controversia concerne la contestata legittimità del provvedimento, che ha negato all’appellante il rinnovo del permesso di soggiorno in quanto l’immigrato , cittadino albanese, classe 1991, titolare di permesso di soggiorno dal luglio 2009, con sentenza 26 gennaio 2011 era stato condannato dal Tribunale penale di Parma alla pena di anni 2 di reclusione (con patteggiamento) ed, inoltre, non aveva dimostrato di aver ottenuto la riabilitazione.
L’appello va accolto quanto alla domanda di annullamento e, pertanto, la sentenza TAR va riformata per difetto di motivazione e violazione degli artt. 4 e 5 D. LGS n. 286/1999, in quanto la Questura di Parma non si è espressa sulla concreta pericolosità sociale dell’appellante e non ha fatto il bilanciamento tra la tutela dei legami familiari dell’interessato e quella della sicurezza pubblica .
3. A sostegno di tale conclusione occorre richiamare la sentenza 18 luglio 2013 n. 202 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 5, come modificato per effetto del d.lgs. n. 5/2007, per contrasto con gli artt . 2,3,29,30 e 31 Cost. nella parte in cui non estende a tutti i casi in cui lo straniero abbia nello Stato legami familiari la tutela rafforzata prevista dalla norma in questioni per i casi in cui vi stato un ricongiungimento familiare. Il Giudice delle leggi ha precisato, inoltre, che anche la Corte di Strasburgo ha sempre affermato che, quando nel Paese dove lo straniero intende soggiornare, vivono i membri stretti della sua famiglia, occorre bilanciare in modo proporzionato il diritto alla vita familiare del ricorrente e dei suoi congiunti con il bene giuridico della sicurezza pubblica e, quindi, l’Amministrazione deve valutare tutta una serie di elementi desumibili dalla attenta osservazione in concreto di ciascun caso.
4. E’ necessario ora chiarire che cosa si intenda in questo contesto per “legami familiari”.
In proposito, conviene ricordare che il testo originario della disposizione, introdotta dal d.lgs. n. 5/2007, attribuiva il beneficio allo straniero che avesse effettuato il ricongiungimento familiare ovvero fosse esso stesso familiare ricongiunto. La norma si riferiva all’istituto del ricongiungimento familiare, disciplinato dall’art. 29 del t.u. n. 286/1998 come modificato dallo stesso d.lgs. n. 5/2007, in attuazione della direttiva comunitaria n. 86/2003. Com’è noto, tale procedimento ha luogo ad iniziativa di uno straniero già legalmente residente in Italia, il quale chiede di estendere il titolo di soggiorno anche ad uno o più congiunti ancora residenti all’estero. L’art. 29 del t.u., in pedissequa applicazione della direttiva comunitaria, indica in modo preciso e tassativo i familiari che possono usufruire del ricongiungimento: il coniuge, i figli minorenni, nonché, a determinate condizioni, i genitori; più qualche altra ipotesi particolare.
5. In sede applicativa, si è posto il problema se la disposizione in esame fosse razionalmente accettabile, nella parte in cui limitava (nella sua formulazione letterale) il beneficio alle fattispecie nelle quali vi fosse stato un formale procedimento di ricongiungimento familiare.
Questa Sezione si è ripetutamente pronunciata nel senso che la norma si debba interpretare in senso estensivo (lex minus dixit quam voluit) ossia includendo nel beneficio anche i nuclei familiari la cui composizione corrisponda a quella che, ove necessario, darebbe titolo al ricongiungimento, ma che si trovino già riuniti senza aver dovuto ricorrere a tale procedura.
La questione è stata posta da altro Giudice alla Corte costituzionale, e quest’ultima, con la sentenza n. 202/2013, senza prendere in considerazione l’ipotesi di una soluzione interpretativa, ha dichiarato parzialmente incostituzionale la disposizione, nella parte in cui limita il beneficio alle fattispecie in cui vi sia stata una formale procedura di ricongiungimento, senza estenderla a tutti i casi in cui lo straniero abbia “legami familiari” nel territorio dello stato.
Peraltro, nel testo della stessa sentenza n. 202 si legge più di un riferimento esplicito da cui si desume che il vizio di costituzionalità riguarda solo quel punto della disposizione che attribuisce rilevanza determinante alla presenza, rispettivamente all’assenza, di un pregresso provvedimento di ricongiungimento, senza attribuire analogo beneficio a chi, pure “a parità di ogni altra condizione” ossia “pur avendone i presupposti” non abbia avuto necessità di utilizzare tale procedura.
Interpretando dunque la sentenza n. 202 alla luce della sua motivazione e del contesto sistematico in cui si è collocata, si comprende che i “legami familiari” rilevanti ai fini di cui si discute sono quelli indicati dall’art. 29 del t.u. n. 286/1998 (e, a monte, dalla direttiva comunitaria n. 86/2003). Con la precisazione che non è necessaria la convivenza, dal momento che il dispositivo della sentenza della Corte parla di “legami familiari nel territorio dello Stato”, e non di familiari conviventi. E con l’ulteriore precisazione che nel rapporto tra genitori e figli non necessita che i figli siano attualmente minorenni; perché se è vero che sono ricongiungibili solo i figli minorenni, è anche vero che la sentenza della Corte non fa riferimento alle persone che presentino “attualmente” i requisiti del ricongiungimento, ma (anche) a quelle che a tempo opportuno avrebbero avuto titolo al ricongiungimento, ma non abbiano avuto necessità di avvalersene.
6. Passando dunque alla situazione dell’attuale appellante, si osserva che questi (che è maggiorenne) ha regolarmente soggiornanti in Italia tanto i genitori, quanto due fratelli (ugualmente maggiorenni); alla luce delle considerazioni sopra esposte, la presenza dei genitori è sufficiente a rendere applicabile in suo favore il miglior trattamento di cui al d.lgs. n. 5/2007.
7. Nel caso all’esame la Questura non ha compiuto tale accurata ponderazione della specifica situazione familiare dell’immigrato e del suo inserimento nel contesto socio economico locale, mentre non risulta corrispondente ai fatti la circostanza –affermata nella sentenza appellata- che “ dal ricorso non emergono elementi idonei a controbilanciare il giudizio di pericolosità sociale commesso alla tipologia del reato”.
Della situazione familiare si è detto; quanto alla gravità dell’episodio penale, va precisato che il Tribunale di Parma, tenuto conto del fatto che l’imputato all’epoca del reato aveva anni 19 e del suo ravvedimento operoso ( risarcimento monetario alla parte lesa che nel gennaio 2011 ha rilasciato dichiarazione di non avere alcuna altra pretesa a qualsiasi titolo), nonché delle particolari circostanze in cui si era consumato il delitto (come riportate nel rapporto di Polizia), ha concesso la riduzione di pena prevista dal comma 3 dell’art 609 bis c. p. per i casi di minore gravità, nonché la sospensione condizionale della pena inflitta.
Quanto- poi- all’inserimento nel contesto socio lavorativo locale, come risulta dagli atti, il ricorrente ha sempre lavorato in Italia come muratore e, da ultimo, come operaio montatore, fino al dicembre 2012, presso una ditta di Parma, il cui titolare ha rilasciato una dichiarazione di piena soddisfazione del lavoro svolto dall’appellante.
8. Nella omessa considerazione degli elementi e dei legami familiari dell’appellante, come sopra descritti ( risultanti dai documenti già esibiti in primo grado) e dell’intrinseco valore da attribuirsi ai medesimi alla luce delle argomentazioni della sentenza della Corte Costituzionale n. 202/2013, consiste il vizio di difetto di motivazione che inficia il provvedimento sfavorevole della Questura di Parma, comportandone l’annullamento.
9. Per questi motivi, in parziale accoglimento dell’appello, la sentenza in epigrafe va riformata e, per l’effetto, va annullato il decreto della Questura di Parma 5 luglio 2012 impugnato, mentre va respinta la domanda di accertamento del diritto dell’appellante al rinnovo del permesso di soggiorno, in quanto in capo all’immigrato sussiste una posizione di interesse legittimo al rilascio del permesso di soggiorno, e non di diritto soggettivo perfetto.
Va infatti chiarito che la presente sentenza si basa solo sul difetto di motivazione dell’atto impugnato in primo grado; pertanto il suo effetto è solo quello del ripristino del potere-dovere dell’amministrazione di valutare la fattispecie con riguardo a tutti i profili sopra ricordati.
Le spese di lite possono essere, comunque, compensate tra le parti per entrambi i gradi di giudizio per la peculiarità del caso e per la reciproca soccombenza .

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) accoglie in parte l’appello in epigrafe e, per l’effetto, in riforma parziale della sentenza appellata, annulla il decreto della Questura di Parma 5 luglio 2012, notificato il 24 gennaio 2013, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.
Spese compensate tra le parti per entrambi i gradi di giudizio .
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio del 12 settembre 2013 e del 30 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Roberto Capuzzi, Consigliere
Hadrian Simonetti, Consigliere
Dante D'Alessio, Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/01/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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