ADUNANZE PLENARIE:
il risarcimento dei danni
da lesione di interessi legittimi
non "soffre" il termine di decadenza di 120
solo per gli illeciti anteriori
all'entrata in vigore del codice
(Ad. Plen., sentenza 6 luglio 2015, n. 6)
Finalmente...!
L'estensore è Caringella comunque.
Bisognerebbe
confrontare questa Plenaria con l'ordinanza della Corte Costituzionale n.
57/2015 (clicca QUI) e la presupposta, ed davvero interessante, ordinanza di rimessione del TAR Liguria n. 105/2014.
Non
appena (e se soprattutto) avrò tempo, vorrei scriver qualcosa al riguardo.
A
presto!
Principio di diritto
Il
termine decadenziale di centoventi giorni previsto, per la domanda di
risarcimento per lesione di interessi legittimi, dall’articolo 30, comma 3, del codice del processo amministrativo, non è applicabile ai fatti illeciti
anteriori all’entrata in vigore del codice (ossia al 16 settembre 2010, ndr).
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il
Consiglio di Stato
in
sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha
pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso numero di registro generale 3 di A.P. del 2015, proposto da: Comune di
Pian Camuno, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giampaolo Cassio e Giorgio
Allocca, con domicilio eletto presso Giorgio Allocca in Roma, Via G. Nicotera,
29;
contro
Carbofer
Srl e Carbofer Tecnologie Spa, rappresentati e difesi dagli avv. Giancarlo
Tanzarella, Paolo Panariti, con domicilio eletto presso Paolo Panariti, in
Roma, Via Celimontana, 38;
per
la riforma
della
sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - SEZ. STACCATA DI BRESCIA: SEZIONE I n.
00598/2014, resa tra le parti, con la quale è stato parzialmente accolto il
ricorso di primo grado, con condanna del Comune di Pian Camuno a “corrispondere
alla ricorrente Carbofer S.r.l. l’importo di euro 263.830,90 e alla ricorrente Carbofer
Tecnologie S.p.a. l’importo di euro 43.901,70, in entrambi i casi con interessi
legali dal 26 settembre 2007 al saldo”.
Visti
il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti
gli atti di costituzione in giudizio di Carbofer Srl e di Carbofer Tecnologie
Spa;
Viste
le memorie difensive;
Visti
tutti gli atti della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 27 maggio 2015 il Cons. Francesco Caringella e
uditi per le parti gli avvocati Allocca, e Tanzarella.;
Ritenuto
e considerato in fatto e diritto quanto segue
FATTO
1.
La società Carbofer Tecnologie S.p.a., sulla base di un contratto di affitto di
azienda stipulato l’11 aprile 1997 con la società Carbofer S.r.l., gestisce uno
stabilimento per la lavorazione del carbone e della vergella nel Comune di Pian
Camuno. Con atti successivi, il contratto è stato prorogato fino al 31 dicembre
2015. Le aree che compongono lo stabilimento e le sue pertinenze sono di
proprietà delle ricorrenti a eguito di una pluralità di atti negoziali
succedutisi nel tempo fra il 2004 e il 2005.
2.
Le aree interessate dal giudizio, individuate dal mappale nr. 3786,
inedificate, erano classificate dal P.R.G. del 1989 in zona D3
(“industriale/artigianale di ampliamento”), mentre le altre aree ospitanti le
strutture dello stabilimento produttivo erano classificate in zona D1
(“industriale esistente di completamento”). Mentre in zona D1 era ammessa
l’edificazione diretta, in zona D3 l’edificazione era consentita con la previa
predisposizione di piano attuativo.
3.
Il Comune, con deliberazioni consiliari nr. 24 del 5 agosto 1997 e nr. 34 del 6
novembre 1997, ha rispettivamente adottato e approvato una variante urbanistica
semplificata che assoggettava a piano di lottizzazione d’ufficio tutto il
comparto produttivo in questione (comprese le aree originariamente comprese in
zona D1), per conseguire l’obiettivo di una rinnovata zona artigianale con
esclusione delle industrie inquinanti.
Contestualmente
è stato adottato e approvato il vero e proprio Piano di lottizzazione (P.L.U.)
con le relative norme tecniche, l’individuazione dei lotti e delle aree a
standard, l’elenco delle urbanizzazioni e lo schema della convenzione
urbanistica.
Oltre
ad aree di terzi, il perimetro della lottizzazione ha compreso la superficie
dello stabilimento produttivo delle società sopra menzionate e le aree
pertinenziali in edificate. La motivazione di questa scelta urbanistica è stata
identificata nell’esigenza di rimediare allo stato di abbandono in cui si
trovavano tanto le strutture produttive già insediate quanto le aree libere
utilizzate in precedenza come deposito industriale.
4.
Contro la nuova disciplina urbanistica hanno presentato separati ricorsi Carbofer
S.r.l. e altri proprietari.
Il
T.A.R. della Lombardia, sezione di Brescia, con sentenze nr. 1592 e 1593 del 19
dicembre 2001, e poi ancora con sentenza nr. 132 del 10 febbraio 2003
(quest’ultima su ricorso di Carbofer S.r.l.), ha annullato l’intero Piano di
lottizzazione.
Nelle
citate pronunce si è affermato, da un lato, che non sussistevano i presupposti
della procedura di variante semplificata, e, dall’altro, che lo strumento del
Piano di lottizzazione d’ufficio era stato arbitrariamente applicato ad aree
già urbanizzate al fine di riconvertire le attività produttive site sul
territorio comunale.
5.
La presenza del Piano di lottizzazione d’ufficio ha condizionato anche lo
sviluppo dell’attività dello stabilimento produttivo.
Più
precisamente, il Comune con provvedimento del responsabile dell’Ufficio Tecnico
nr. 978 del 1 marzo 2000, ha negato a Carbofer Tecnolgie S.p.a. la concessione
edilizia per la ristrutturazione di un capannone finalizzata allo svolgimento
di nuove lavorazioni, motivando tale decisione con il fatto che la nuova
disciplina urbanistica consentiva soltanto l’artigianato e l’industria leggera,
e dunque non ammetteva più la lavorazione e lo stoccaggio di rifiuti
siderurgici.
6.
Carbofer Tecnologie S.p.a. ha impugnato il diniego. Il T.A.R. della Lombardia,
con sentenza nr. 133 del 10 febbraio 2003, ne ha disposto l’annullamento
richiamando l’annullamento della lottizzazione sancito dalle pronunce sopra
indicate.
7.
In esecuzione del vincolo espropriativo derivante dal P.L.U., il Comune, con
decreto dirigenziale del 31 agosto 2000, ha disposto l’occupazione d’urgenza di
una piccola porzione (6 % circa) della superficie di proprietà della società
Leasimpresa S.p.a., utilizzata da Carbofer S.r.l.
Quest’ultima
società ha proposto impugnazione, e il T.A.R. adito, con la già citata sentenza
nr. 132 del 2003, in conseguenza dell’annullamento della lottizzazione, ha
disposto l’annullamento anche del decreto di occupazione d’urgenza.
8.
Il Comune ha comunque effettuato l’occupazione d’urgenza e realizzato
integralmente le opere di urbanizzazione previste per il nuovo comparto, tra
cui le fognature, le strade e i marciapiedi. 9. Mentre erano pendenti, in primo
grado o in appello, i giudizi sulla lottizzazione d’ufficio e sugli atti
consequenziali, il Comune, dapprima con deliberazioni consiliari nn. 12, 14 e
15 del 14 maggio 2002, poi con deliberazioni consiliari nn. 34 e 35 del 15
luglio 2002, e infine con deliberazioni consiliari nn. 48 e 49 del 25 settembre
2002, preso atto dell’annullamento in primo grado del P.L.U. e dell’intervenuta
realizzazione delle opere di urbanizzazione, ha modificato la zonizzazione
ampliando la zona D3 e riducendo la zona D1, dove (una volta caduto il P.L.U.)
era tornata possibile l’edificazione diretta; nella zona D1 sono state,
inoltre, localizzate alcune aree a standard destinate a verde pubblico e
parcheggio, corrispondenti in parte alle porzioni di superficie che erano state
occupate sulla base del P.L.U.
Il
vincolo a verde pubblico è stato, inoltre, posto su un’area di Carbofer
Tecnologie S.p.a. che risultava già edificata e occupata da capannoni dello
stabilimento produttivo.
La
Regione Lombardia ha approvato la variante con delibera di Giunta del 14 luglio
2003.
10.
Contro la predetta variante le società citate e altri proprietari, hanno
proposto separati atti di impugnazione.
Il
T.A.R. della Lombardia, riuniti i ricorsi, con sentenza nr. 404 del 6 aprile
2004, ha ritenuto complessivamente legittime le scelte urbanistiche del Comune,
ma ha annullato la variante nella parte in cui aveva previsto il vincolo di
verde pubblico su un’area già edificata.
11.
In relazione agli appelli proposti avverso tutte le sentenze fin qui citate
questa Sezione, preso atto del Piano di Governo Territoriale (P.G.T.) medio
tempore approvato, ha dichiarato i giudizi improcedibili per sopravvenuta
carenza di interesse, annullando senza rinvio le pronunce del T.A.R. Brescia
(cfr. le sentt. nn. 3534, 3533, 3538 e 3537 del 3 giugno 2010).
12.
Ha osservato la Sezione che la medesima previsione urbanistica oggetto della
variante è stata inserita nel P.G.T. adottato con deliberazione consiliare nr.
49 del 26 settembre 2007 e approvato con deliberazione consiliare nr. 13 del 15
marzo 2008.
Avverso
la reiterazione dei vincoli così disposta la Carbofer S.r.l. ha proposto
dinanzi al T.A.R. della Lombardia un ulteriore ricorso, allo stato non ancora
definito.
13.
Con ricorso notificato nel 2011, Carbofer S.r.l. e Carbofer Tecnologie S.p.a.
hanno chiesto la condanna del Comune di Pian Camuno al risarcimento dei danni
che hanno assunto essere stati causati dalla pianificazione urbanistica
relativa agli anni 1997-2007, ossia a partire dall’adozione del P.L.U. e fino
all’adozione del nuovo P.G.T. (per il periodo successivo una domanda di
risarcimento è stata formulata nell’ultimo ricorso proposto, unitamente a
quella di annullamento).
14.
Con la sentenza qui gravata, in parziale accoglimento del ricorso, il Comune di
Pian Camuno è stato condannato a “corrispondere alla ricorrente Carbofer S.r.l.
l’importo di euro 263.830,90 e alla ricorrente Carbofer Tecnologie S.p.a.
l’importo di euro 43.901,70, in entrambi i casi con interessi legali dal 26
settembre 2007 al saldo”.
In
particolare, il Primo Giudice non ha accolto la richiesta di risarcimento del
danno per mancato guadagno, in considerazione della mancanza della prova che
con la precedente destinazione urbanistica lo stabilimento produttivo si
sarebbe potenziato nella progressione descritta dalle parti istanti; detta
considerazione, tuttavia, non ha condotto a respingere l’istanza delle
originarie ricorrenti, in quanto per altra via il giudice di prime cure ha
ritenuto di accogliere in via parziale la domanda risarcitoria sul presupposto
che il controverso P.L.U. ha creato “una situazione di incertezza pregiudizievole
per le ricorrenti”.
15.
Con l’odierno appello, il Comune di Pian Camuno insorge avverso tale decisione,
ritenendola erronea, ingiusta, lesiva degli interessi e delle prerogative del
Comune stesso e meritevole di riforma per una pluralità di motivi; del pari, la
medesima sentenza forma oggetto di impugnazione incidentale da parte delle
originarie ricorrenti, che ne evidenziano la erroneità per altre e diverse
ragioni, lamentando in particolare la erronea quantificazione del risarcimento
del danno emergente, del lucro cessante e del danno non patrimoniale,
effettuata dal T.A.R., nella parte in cui non ha dato pieno ristoro al danno
asseritamente subito dalle società istanti.
16.
Con separata sentenza parziale, il Consiglio ha respinto il primo motivo di appello,
col quale era stata riproposta l’eccezione – respinta dal primo giudice – di
inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di legittimazione
attiva, in ragione dell’assenza (almeno in origine) di un titolo proprietario
in capo alle società istanti e/o dell’asserita assenza di attività produttiva
in atto.
17.
Quanto al secondo motivo di appello, si è preso atto che esso si articola in
due distinte subcensure con le quali si reiterano, rispettivamente, l’eccezione
di irricevibilità dell’azione per inosservanza del termine decadenziale di cui
all’art. 30, comma 3, cod. proc. amm., e l’eccezione di prescrizione del
diritto al risarcimento.
18
La Sezione rimettente, preso atto della priorità logica della prima sub-censura
e della sussistenza in merito di divergenze ermeneutiche, ha rimesso al vaglio
di quest’Adunanza Plenaria la soluzione del quesito relativo all’applicabilità
del citato termine decadenziale alle controversie relative a illeciti consumati
in epoca anteriore all’entrata in vigore del codice del processo
amministrativo.
All’udienza
del 27 maggio 2015 la causa è stata trattenuta per la decisione
DIRITTO
1.
L’ Adunanza Plenaria è chiamata a risolvere il problema interpretativo relativo
all’applicabilità del termine decadenziale previsto dall’articolo 30, comma 3,
del codice del processo amministrativo, agli illeciti consumati in epoca
anteriore a detto jus superveniens.
2.
Sul punto si è registrata una contrapposizione tra una tesi maggioritaria che,
facendo leva sul principio dell’inapplicabilità retroattiva di una disciplina
limitativa del diritto di azione, conclude per la risposta negativa (Cons.
Stato, sez. VI, 4 febbraio 2014, n. 524; id., sez. III, 22 gennaio 2014, n.
297; id., sez. V, 29 novembre 2011, n. 6296), e un’opzione ermeneutica che
approda a soluzione antitetica in applicazione del principio processuale tempus
regit actum (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22 maggio 2014, n. 2635).
3.
Questo Collegio reputa che molteplici argomenti conducano ad avallare la
soluzione abbracciata dalla giurisprudenza maggioritaria.
3.1.
Si deve muovere dalla considerazione che l’introduzione di un termine di
decadenza di centoventi giorni – decorrente, a seconda dei casi, dalla
verificazione del fato lesivo o dalla conoscenza del provvedimento dannoso –
costituisce un’innovazione legislativa rispetto al regime prescrizionale
quinquennale, ex art. 2947 c.c., operante in epoca precedente a parere di un
pacifico indirizzo interpretativo.
Detta
innovazione si risolve in una compressione del potere di azione giudiziale in
quanto dà la stura a una significativa e singolare restrizione della cornice
temporale entro la quale è dato agire in giudizio nei confronti dei soggetti
titolari di un potere pubblico, con la creazione di una causa di estinzione
anticipata della pretesa risarcitoria.
Tali
essendo le caratteristiche della novità normativa, si deve convenire con
l’assunto del Primo giudice secondo cui i principi generali stabiliti dalle
preleggi, in materia di efficacia delle leggi nel tempo (art. 11) e di portata
applicativa di norme eccezionali (articolo 14), impediscono, in assenza di una
prescrizione esplicita in tal senso, l’applicazione retroattiva di una reformatio
in peius a fattispecie sostanziali anteriori, senza che assuma rilievo
l’epoca della proposizione del ricorso.
Non
vale al riguardo invocare l’applicabilità alle norme processuali innovative del
principio processuale tempus regit actum, in quanto nella specie
non viene in rilievo un termine schiettamente processuale ma una fattispecie
mista, qualificabile, al pari delle decadenze regolate dal codice civile (art.
2964), come istituto sostanziale a rilievo processuale, naturaliter operante
solo per i fatti posteriori alla novità normativa.
Va
soggiunto che, in ogni caso, l’individuazione, per i fatti anteriori, di un exordium del
termine decadenziale coincidente con l’entrata in vigore del codice si
tradurrebbe, in assenza di una qualsiasi base normativa, non già
nell’estensione del termine decadenziale di legge, ancorato alla verificazione
del fatto lesivo, ma nella creazione di un termine decadenziale di matrice
pretoria, caratterizzato da un diverso dies a quo. Risulta
pertanto confermato che il perfezionamento della fattispecie sostanziale, in un
torno di tempo anteriore all’entrata in vigore della normativa processuale,
impedisce in modo irrimediabile l’applicazione del termine decadenziale.
Rinviandosi
al prosieguo per ulteriori considerazioni al riguardo, si deve osservare che
l’introduzione di una preclusione, fondata sulla manipolazione esegetica della
struttura e della portata della norma, finirebbe per frustrare in modo
irragionevole e imprevedibile le aspettative di tutela e il legittimo
affidamento in merito all’operatività della disciplina ratione temporis vigente,
così arrecando un significativo vulnus ai principi
costituzionali, comunitari ed europei in tema di pienezza ed effettività della
tutela giurisdizionale.
Si
deve a questa stregua escludere che detta soluzione dell’inapplicabilità
retroattiva dello ius superveniens produca un’irragionevole
disparità di trattamento, in quanto è consustanziale al sistema della
successione delle leggi nel tempo la differenziazione di regime derivante da
ogni novità normativa, in una con la non estensione retroattiva delle
disposizioni che producano una modifica peggiorativa dell’assetto regolatorio
precedente.
3.2.
La soluzione proposta è confermata dal disposto dell’articolo 2 dell’Allegato 3
al Codice, secondo cui “per i termini che sono in corso alla data di entrata
in vigore del codice continuano a trovare applicazione le norme previgenti”.
La
tesi dell’applicabilità di detta norma di salvaguardia anche alla fattispecie
in esame- caratterizzata non dalla successione di leggi processuali ma dalla
sostituzione di un termine sostanziale di prescrizione con un regime
decadenziale di matrice sostanziale ma a rilievo processuale – è confortata
dalle seguenti, concomitanti considerazioni:
-l’onnicomprensività
del riferimento letterale a ogni tipo di termine non consente una
differenzazione di regime a seconda della natura processuale, sostanziale o
mista dei termini in rilievo;
-l’adesione
a un’opzione diversa, importando l’applicazione retroattiva del nuovo regime
più sfavorevole, colliderebbe con i canoni costituzionali, comunitari ed
europei richiamati dall’articolo 1 del codice del processo amministrativo;
-la
relazione di accompagnamento al codice pone a fondamento della normativa
transitoria le esigenze, con chiarezza operanti anche per il rapporto tra
normativa prescrizionale e disciplina decadenziale, di evitare incertezza nella
regolazione dei rapporti giuridici anteriori e di garantire l’ultrattività
delle norme precedenti già in corso di attuazione.
E’
quindi condivisibile l’indirizzo ermeneutico maggioritario a tenore del quale
la soluzione che estende la decadenza ai fatti storici anteriori, ancorandone
la decorrenza dalla data di entrata in vigore del codice, porterebbe a una
conseguenza illogica e distonica rispetto alla ratio che anima
l’articolo 2 cit., facendo sì che una precedente situazione giuridica
soggettiva soggiaccia a un termine di decadenza, ex post introdotto,
con conseguente indebita applicazione retroattiva, anche sul piano sostanziale,
dell’ innovativa disciplina processuale del codice.
In
definitiva, se la volontà dell’ordinamento è chiara nella regolazione
dell’assetto dei rapporti tra vecchi e nuovi termini processuali, ancor di più
deve esserlo nella successione tra un termine sostanziale precedente e un nuovo
termine sostanziale a rilievo processuale, precedentemente non previsto, poiché
altrimenti si perverrebbe all’iniqua conclusione che una disciplina
processuale, nell’introdurre un limite temporale all’esercizio di una
situazione giuridica soggettiva, possa modificare in peius e
retroattivamente la meno restrittiva disciplina sostanziale applicabile a
situazioni già esauritesi, in spregio agli artt. 3, 24 e 111 Cost.
Se
il legislatore ha inteso evitare tale conseguenza sul piano della successione
tra diversi termini processuali, nella disciplina transitoria prevista
dall’art. 2, eguale conclusione si impone, e a fortiori, anche nel
trapasso da un regime, che prevedeva la sola prescrizione dell’azione
risarcitoria, a uno in cui questa è soggetta a un termine di decadenza che
finisce per incidere sostanzialmente non solo sulla tutela, ma sull’esistenza
stessa della situazione giuridica soggettiva.
3.2.1
La tesi qui sostenuta ha da ultimo trovato decisivo avallo nella giurisprudenza
della Corte Costituzionale.
Con
la sentenza 31 maggio 2015, n. 57, il Giudice delle Leggi ha infatti ritenuto
che l’art. 2 del Titolo II dell’Allegato 3 (Norme transitorie) al codice del
processo amministrativo, “non è altrimenti interpretabile che nel senso della
sua riferibilità anche (e a maggior ragione) all’ipotesi di successione tra un
termine sostanziale, qual è quello di prescrizione, ed un termine processuale precedentemente
non previsto, quale appunto il termine di decadenza sub art. 30 citato, essendo
una diversa lettura della predetta disposizione (nel senso, restrittivo, della
sua riferibilità solo a termini processuali «in corso») innegabilmente contra
Constitutionem, per la compromissione, che ne deriverebbe, non solo
della tutela ma della esistenza stessa della situazione soggettiva (così, da
ultimo, anche Consiglio di Stato, sezione terza, 22 gennaio 2014, n. 297)”.
4.
L’Adunanza Plenaria esprime quindi il seguente principio di diritto:
Il
termine decadenziale di centoventi giorni previsto, per la domanda di
risarcimento per lesione di interessi legittimi, dall’articolo 30, comma 3, del
codice del processo amministrativo, non è applicabile ai fatti illeciti
anteriori all’entrata in vigore del codice.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
definitivamente
pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, esprime il seguente
principio di diritto:
Il
termine decadenziale di centoventi giorni previsto, per la domanda di
risarcimento per lesione di interessi legittimi, dall’articolo 30, comma 3, del
codice del processo amministrativo, non è applicabile ai fatti illeciti
anteriori all’entrata in vigore del codice.
Dispone
la restituzione del fascicolo alla Sezione rimettente per ogni ulteriore
statuizione, in rito, nel merito nonché sulle spese del giudizio.
Ordina
che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 maggio 2015 con
l'intervento dei magistrati:
Giorgio
Giovannini, Presidente
Riccardo
Virgilio, Presidente
Stefano
Baccarini, Presidente
Alessandro
Pajno, Presidente
Gianpiero
Paolo Cirillo, Presidente
Vito
Poli, Consigliere
Francesco
Caringella, Consigliere, Estensore
Maurizio
Meschino, Consigliere
Carlo
Deodato, Consigliere
Nicola
Russo, Consigliere
Salvatore
Cacace, Consigliere
Sergio
De Felice, Consigliere
Raffaele
Greco, Consigliere
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IL PRESIDENTE
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L'ESTENSORE
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IL SEGRETARIO
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DEPOSITATA
IN SEGRETERIA
Il
06/07/2015
(Art.
89, co. 3, cod. proc. amm.)
Il
Dirigente della Sezione