venerdì 8 novembre 2013

GIURISDIZIONE: riparto in materia societaria (Cass., Sez. Un., sentenza 20 settembre 2013 n. 21588).


GIURISDIZIONE: 
riparto in materia societaria 
(Cass., Sez. Un., 
sentenza 20 settembre 2013 n. 21588).



Niente di nuovo sotto il solo.
Però le Sezioni Unite rafforzano un orientamento che già si profilava come maggioritario.
Ne guadagna la certezza giuridica.
FF



Massima

1.  In tema di riparto di giurisdizione, spettano alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto l'attività unilaterale prodromica alla vicenda societaria, considerata dal legislatore di natura pubblicistica, con la quale un ente pubblico delibera di costituire una società o di parteciparvi o di procedere ad un atto modificativo o estintivo della società medesima o di interferire, nei casi previsti dalla legge, nella vita della stessa. 
2.  Sono, invece, attribuite alla giurisdizione ordinaria le controversie aventi ad oggetto gli atti societari a valle della scelta di fondo di utilizzo del modello societario, i quali restano interamente soggetti alle regole del diritto commerciale proprie del modello recepito. 
3.  Ne consegue che appartengono alla giurisdizione ordinaria le domande relative alla validità ed efficacia della costituzione della società mista pubblico-privata, nonché all'acquisizione, da parte del socio privato minoritario, del quarantanove per cento delle azioni della società stessa, mentre appartengono al giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto la procedura di selezione del socio privato, la conseguente aggiudicazione, nonché quella relativa all'affidamento della gestione del servizio (nella specie, idrico, con realizzazione anche delle opere infrastrutturali di acquedotto, fognatura e depurazione).



Sentenza per esteso


INTESTAZIONE
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
[…]

FATTO
Con ricorso del 10 luglio 2012, la s.p.a. Hydro Catania ha proposto istanza di regolamento di giurisdizione - nei confronti del Consorzio d'Ambito Territoriale Ottimale 2 Catania Acque (di seguito:
Consorzio), della Provincia regionale di Catania, dell'Assemblea e del Consiglio di amministrazione del Consorzio, della Regione Siciliana e della s.p.a. Servizi Idrici Etnei-S.I.E. (di seguito:
S.I.E.) -, in riferimento al giudizio promosso dalla stessa Società ricorrente Hydro Catania dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania (r.g. n. 3598/2010);
che resistono, con distinti controricorsi, il Consorzio e la Provincia regionale di Catania, mentre la Regione Siciliana e la s.p.a. Servizi Idrici Etnei-S.I.E., benchè ritualmente intimati, non si sono costituiti nè hanno svolto attività difensiva;
che, in punto di fatto, risulta che:
a) con decisione 27 ottobre 2006, n. 589, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, in riforma della sentenza del T.a.r. Catania 18 aprile 2005, n. 670, su ricorso dei Comuni di Caltagirone, Mazzarone, Mineo, San Michele di Ganzaria, Scordia e Vizzini, annullò la procedura indetta dal Consorzio per l'affidamento in via diretta del servizio idrico integrato alla società mista pubblico-privata S.I.E., costituita secondo il modello prefigurato dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 113, comma 5, lett. b), (T.U. leggi sull'ordinamento degli enti locali); in particolare, il Consiglio di giustizia amministrativa annullò: al) la Delib. Consiliare Provincia regionale Catania 17 agosto 2004, n. 37, con la quale era stata approvata la costituzione della Società S.I.E., nonchè l'atto costitutivo e lo statuto di tale Società; a2) le Delib. assemblea del Consorzio 13 settembre 2004, n. 7, 13 settembre 2004, n. 8 e 13 settembre 2004, n. 9, recanti la conferma della società mista quale modello gestionale del servizio e l'avvio delle procedure di indizione della gara per la scelta del socio privato di minoranza; a3) le Delib. 13 gennaio 2005, n. 1 del consiglio di amministrazione del Consorzio e 13 gennaio 2005, n. 2 dell'Assemblea dello stesso Consorzio, recanti rispettivamente la proposta e la decisione di rinnovare la gara per la scelta del socio privato di minoranza e l'individuazione delle competenze in ordine agli adempimenti esecutivi; a4) la Delib. 13 gennaio 2005, n. 2, con la quale il c.d.a. del Consorzio aveva approvato la nuova gara ed approvato le determinazioni propedeutiche;
b) nelle more di tale giudizio, il socio di minoranza della S.I.E. fu individuato nel raggruppamento temporaneo di imprese facente capo alla s.p.a. ACOSET, alla quale succedette, secondo le previsioni del bando, la s.p.a. Hydro Catania;
c) a seguito di detto annullamento disposto con la menzionata decisione n. 589 del 2006, in data 30 dicembre 2006, fu stipulato - tra i Comuni di Caltagirone, Mazzarone, Mineo, San Michele di Ganzaria, Scordia e Vizzini, il Consorzio, la S.I.E. e l'ACOSET - un accordo, definito transattivo, con il quale le parti, riconosciuta la specificità del comprensorio con le connesse esigenze di rappresentanza e di tutela degli interessi della collettività di riferimento, si impegnarono a modificare la composizione degli organi amministrativi del Consorzio ed a rinnovare gli organi della S.I.E. nonchè alcune norme statutarie, convenendo altresì che, con l'adempimento degli obblighi assunti, sarebbero cessate le ragioni del contendere, con conseguente rinuncia agli effetti della più volte citata decisione del Consiglio di giustizia amministrativa n. 589 del 2006;
d) il Comune di Acireale, socio del Consorzio, impugnò tale accordo - e gli atti successivi ad esso strettamente collegati - dinanzi al T.a.r. di Catania che, con sentenza 11 dicembre 2009, n. 2093, ritenuto l'accordo medesimo riconducibile agli accordi di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 11, annullò l'accordo medesimo ai sensi della stessa L. n. 241 del 1990, art. 21-septies;
e) avverso tale sentenza proposero appello la ACOSET, la s.p.a. Hydro Catania - costituita dai componenti del raggruppamento ACOSET ai fini della partecipazione come socio privato della S.I.E. - e la S.I.E. dinanzi al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana che, con sentenza 28 luglio 2011, n. 526, respinse gli appelli;
f) la S.I.E. e l'ACOSET, deducendo il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo a conoscere la validità e l'efficacia dell'accordo del 30 dicembre 2006, impugnarono tale sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa dinanzi alle sezioni unite della Corte di cassazione che, con la sentenza n. 12607/2012 del 20 luglio 2012, dichiararono la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a conoscere dette validità ed efficacia;
g) pendenti gli appelli avverso la predetta sentenza del Ta.r. di Catania n. 2093 del 2009, l'assemblea del Consorzio, con Delib. 22 novembre 2010, n. 8 - nel condividere e fare propria la proposta del c.d.a. n. 21 del 9 agosto 2010, e nel prendere atto: 1) della nullità dell'accordo del 30 dicembre 2006, dichiarata dal T.a.r. di Catania con la sentenza n. 2093 del 2009; 2) della intervenuta caducazione automatica, per effetto della sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa n. 589 del 2006, degli atti amministrativi e negoziali adottati o conclusi "a valle" dei provvedimenti annullati da tale sentenza; 3) dell'invalidità della convenzione di gestione stipulata con la S.I.E. in data 24 dicembre 2005 e, conseguentemente, dello scioglimento del rapporto in essere con tale Società, non avente più titolo per l'esecuzione dei lavori e per la gestione del servizio idrico integrato per conto del Consorzio; 4) della caducazione degli atti di acquisizione delle singole gestioni mediante le quali la S.I.E. aveva acquisito il servizio relativamente ai singoli Comuni interessati -, diede mandato al c.d.a. di concordare con tali Comuni tutti gli opportuni provvedimenti per assicurare la continuità del servizio e di formulare una proposta sulla scelta della forma di gestione e delle relative procedure di affidamento;
h) tali deliberazioni consortili furono impugnate dinanzi al T.a.r.
di Catania dalla s.p.a. S.I.E. (r.g. n. 3538/10) e dalla s.p.a. Hydro Catania - r.g. n. 3598/10: giudizio a quo -, la quale ultima inoltre, con motivi aggiunti, impugnò anche le deliberazioni del c.d.a. del Consorzio n. 21 del 31 ottobre 2011 e nn. 7 e 8 in pari data dell'assemblea del Consorzio, recanti ulteriori decisioni finalizzate a dar corso a nuove forme di gestione del servizio idrico integrato;
i) che nell'atto introduttivo di tale giudizio promosso dinanzi al Giudice amministrativo - r.g. n. 3598/10: giudizio a quo - l'odierna Società ricorrente Hydro Catania - "sul presupposto della piena e completa permanenza di tutti gli effetti della procedura di selezione del socio privato della S.I.E., della conseguente aggiudicazione ed infine della convenzione di affidamento del servizio idrico integrato, con i correlati negozi di cessione delle azioni, di prestazioni accessorie alla partecipazione azionaria e di intese parasociali", atti questi che "non sono stati mai annullati, nè sono stati mai neppure impugnati" - ha chiesto: in via principale, affermarsi l'obbligo del Consorzio di provvedere: 1) alla consegna alla S.I.E. delle gestioni comunali oggetto della concessione di gestione del servizio idrico integrato; 2) alla rideterminazione del periodo concessorio e del piano economico-finanziario, nonchè al suo conseguente riequilibrio; 3) "all'osservanza, infine e comunque, di tutti gli ulteriori obblighi derivanti dalla procedura di gara, dalla conseguente aggiudicazione, dalla cessione delle azioni con le connesse obbligazioni accessorie e dalla convenzione di affidamento del servizio idrico"; d) al risarcimento del "danno da ritardo" patito dalla Società; in via subordinata, dichiararsi la risoluzione dei negozi e contratti intervenuti tra le parti per i gravi inadempimenti posti in essere dal Consorzio, con conseguente risarcimento del "danno integrale";
che la ricorrente chiede che le sezioni unite della Corte di cassazione dichiarino il difetto di giurisdizione del Tribunale amministrativo regionale per la Regione Siciliana, sezione staccata di Catania a conoscere le n predette domande, e che cognizione delle stesse è riservata invece al Giudice ordinario;
che la sola ricorrente s.p.a. Hydro Catania ha depositato memoria;
che il Procuratore generale ha concluso, chiedendo l'affermazione della giurisdizione del Giudice ordinario.

DIRITTO
La ricorrente sostiene che la invocata giurisdizione del Giudice ordinario si giustifica sui decisivi rilievi della piena e completa permanenza di tutti gli effetti della procedura di selezione del socio privato della S.I.E., della conseguente aggiudicazione ed infine della convenzione di affidamento del servizio idrico integrato, con i correlati negozi di cessione delle azioni, di prestazioni accessorie alla partecipazione azionaria e di intese parasociali, atti che non sono stati mai annullati, nè sono stati mai neppure impugnati, nonchè del petitum sostanziale azionato dinanzi al Giudice amministrativo, consistente nella affermata, perdurante validità ed efficacia, in mancanza di una pronuncia giurisdizionale che l'abbia invece negata, di tutti gli atti "a valle" degli atti amministrativi investiti dalla decisione di annullamento del Consiglio di giustizia amministrativa n. 589 del 2006;
che entrambi i controricorrenti eccepiscono l'inammissibilità del ricorso per regolamento di giurisdizione, in quanto sulla giurisdizione del Giudice amministrativo a conoscere la controversia si è formato il giudicato in forza delle menzionate sentenze del Consiglio di giustizia amministrativa n. 526 del 2011 e delle sezioni unite di questa Corte n. 12607 del 2012;
che il ricorso merita accoglimento, nei sensi e nei limiti di cui alle considerazioni che seguono, distinguendo tra questioni attribuite alla giurisdizione del Giudice ordinario e quelle attribuite alla giurisdizione del Giudice amministrativo;
che, innanzitutto, deve rilevarsi che la menzionata sentenza di annullamento del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana n. 589 del 2006 ha riguardato la scelta della società "mista pubblico-privata", di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 113, comma 5, lett. b), quale modello di gestione del servizio idrico integrato nella provincia di Catania e l'indizione della procedura di gara per l'individuazione del socio di minoranza della s.p.a. S.I.E., società questa medio tempore costituita secondo detto modello in base alla annullata Delib. consiliare Provincia regionale di Catania17 agosto 2004, n. 37, con la quale era stata appunto approvata la costituzione della Società S.I.E., nonchè l'atto costitutivo e lo statuto della stessa (cfr., supra, Ritenuto in fatto, lettera a);
che deve altresì rilevarsi che la menzionata sentenza di queste sezioni unite n. 12607 del 2012 è del tutto irrilevante rispetto alla risoluzione del proposto regolamento di giurisdizione: infatti - mentre con tale sentenza, queste sezioni unite hanno affermato la giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere la validità e l'efficacia dell'accordo in data 30 dicembre 2006, stipulato tra i Comuni di Caltagirone, Mazzarone, Mineo, San Michele di Ganzaria, Scordia e Vizzini, il Consorzio, la S.I.E. e l'ACOSET, annullato dalla citata sentenza del T.a.r. di Catania n. 2093 dell'11 dicembre 2009, confermata dal Consiglio di Stato con la menzionata sentenza n. 526 del 2011 (cfr., supra, Ritenuto in fatto, lettere da e ad f) -, il regolamento di giurisdizione in esame ha ad oggetto le su riportate domande dalla s.p.a. Hydro Catania, proposte in sede di impugnazione dinanzi al T.a.r. di Catania della deliberazione n. 8 del 22 novembre 2010 del Consorzio (cfr., supra, Ritenuto in fatto, lettere da g ad i), domande formulate - come già rilevato -, "sul presupposto della piena e completa permanenza di tutti gli effetti della procedura di selezione del socio privato della S.I.E., della conseguente aggiudicazione ed infine della convenzione di affidamento del servizio idrico integrato, con i correlati negozi di cessione delle azioni, di prestazioni accessorie alla partecipazione azionaria e di intese parasociali", atti questi che "non sono stati mai annullati, nè sono stati mai neppure impugnati";
che dal tenore di dette domande della s.p.a. Hydro Catania si evince inequivocabilmente, secondo il criterio del petitum sostanziale, che esse comprendono anche la questione della perdurante validità ed efficacia - in mancanza di una pronuncia che ne abbia accertato la "caducazione" - degli atti cosiddetti "a valle" della annullata procedura e che tale questione costituisce un antecedente logico- giuridico indispensabile per affermare che il Consorzio resta tenuto all'osservanza di tutti gli obblighi derivanti dalla procedura di gara;
che la Società ricorrente, con l'atto introduttivo del giudizio a quo, fa riferimento, in particolare: 1) agli atti concernenti la procedura di selezione del socio privato della S.I.E. nonchè alla conseguente aggiudicazione, avvenute nelle more dell'annullamento di cui alla sentenza del C.G.A. n. 589 del 2006 (cfr., supra, Ritenuto in fatto, lettere da al ad a4); 2) agli atti - di carattere societario - concernenti l'acquisizione, da parte del socio minoritario, del quarantanove per cento delle azioni della S.I.E (cfr., supra, Ritenuto in fatto, lettera b); 3) alla convenzione in data 24 dicembre 2005, stipulata dal Consorzio e dalla S.I.E., concernente l'affidamento della gestione del servizio idrico integrato e comprensiva della realizzazione delle opere infra struttura li di acquedotto, fognatura e depurazione;
che le questioni concernenti la validità e l'efficacia degli atti di cui sub 2) sono attribuite alla giurisdizione del Giudice ordinario, quelle concernenti gli atti di cui sub 1) e suo 3) sono attribuite alla giurisdizione del Giudice amministrativo;
che deve essere sottolineato, in particolare, che l'accertamento circa la mancata caducazione degli atti cosiddetti "a valle" della annullata procedura - che individuò nella società "mista pubblico- privato" il modulo gestionale del servizio idrico integrato - presuppone, a sua volta - trattandosi appunto di presupposto che sorregge e giustifica l'intera "catena" degli atti negoziali e procedimentali "a valle" - la verifica della stessa validità ed efficacia della costituzione della Società S.I.E. e degli atti negoziali conseguenti;
che il giudizio avente ad oggetto una verifica siffatta è indubbiamente attribuito alla cognizione del Giudice ordinario;
che, infatti, queste sezioni unite hanno affermato che, in tema di riparto di giurisdizione, spettano alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto l'attività unilaterale prodromica alla vicenda societaria, considerata dal legislatore di natura pubblicistica, con cui un ente pubblico delibera di costituire una società (provvedendo anche alla scelta del socio) o di parteciparvi o di procedere ad un atto modificativo o estintivo della società medesima o di interferire, nei casi previsti dalla legge, nella vita della stessa, mentre sono attribuite alla giurisdizione ordinaria le controversie aventi ad oggetto gli atti societari a valle della scelta di fondo di utilizzo del modello societario, le quali restano interamente soggette alle regole del diritto commerciale proprie del modello recepito, dal contratto di costituzione della società, alla successiva attività della compagine societaria partecipata con cui l'ente esercita, dal punto di vista soggettivo e oggettivo, le facoltà proprie del socio (azionista), fino al suo scioglimento, con la conseguenza che, nell'ambito di quest'ultima categoria rientrano le controversie volte ad accertare l'intero spettro delle patologie e inefficacie negoziali, siano esse inerenti alla struttura del contratto sociale, siano estranee e/o alla stessa sopravvenute e derivanti da irregolarità-illegittimità della procedura amministrativa a monte, perciò comprendenti le fattispecie sia di radicale mancanza del procedimento di evidenza pubblica (o di vizi che ne affliggono singoli atti), sia di successiva mancanza legale provocata dall'annullamento del provvedimento di aggiudicazione, ivi compresi i profili di illegittimità degli atti consequenziali compiuti dalla società già istituita, i quali costituiscono espressione non di potestà amministrativa, bensì del sistema dell'invalidità- inefficacia del contratto sociale che postula una verifica, da parte del giudice ordinario, di conformità alla normativa positiva delle regole in base alle quali l'atto negoziale è sorto ovvero è destinato a produrre i suoi effetti tipici (cfr. la sentenza n. 30167 del 2011; cfr. anche le ordinanze nn. 5446 del 2012, 12110, 12901 e 15121 del 2013);
che, in base a tale principio, la verifica della stessa validità ed efficacia della costituzione della Società S.I.E. e degli atti negoziali conseguenti - di carattere societario - concernenti, tra l'altro, l'acquisizione, da parte del socio minoritario, del quarantanove per cento delle azioni della S.I.E. è attribuita alla giurisdizione del Giudice ordinario;
che, invece, la controversia avente ad oggetto la procedura di selezione del socio privato della S.I.E. nonchè alla conseguente aggiudicazione (cfr., supra, sub 1), avvenute nelle more dell'annullamento di cui alla sentenza del C.G.A. n. 589 del 2006, è attribuita alla giurisdizione del Giudice amministrativo;
che, al riguardo, può richiamarsi l'orientamento di queste sezioni unite, espresso in analoga fattispecie, secondo cui la controversia riguardante l'impugnazione del verbale di aggiudicazione di una gara indetta da una società a capitale interamente pubblico per la sottoscrizione di un aumento di capitale finalizzato ad individuare un socio di minoranza di una società controllata, già divenuta affidataria di servizio pubblico di trasporto locale a seguito di procedura di evidenza pubblica, appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 244 (nel testo sostituito dal codice del processo amministrativo, di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010), mentre le controversie attinenti alla successiva attività della compagine sociale, interamente soggetta alle regole del diritto commerciale, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario (cfr. la sentenza n. 16856 del 2011; cfr. anche l'ordinanza n. 29107 del 2011);
che, infine, relativamente alla convenzione in data 24 dicembre 2005, stipulata dal Consorzio e dalla S.I.E., concernente l'affidamento della gestione del servizio idrico integrato e comprensiva della realizzazione delle opere infrastrutturali di acquedotto, fognatura e depurazione si pone la questione dell'eventuale inquadramento di tale convenzione tra gli accordi fra pubbliche amministrazioni per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune, di cui alla citata L. n. 241 del 1990, art. 15, commi 1 e 2 ("1. Anche al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 14, le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune. 2. Per detti accordi si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste dall'art. 11, commi 2 e 3"), con conseguente applicabilità dell'art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, del codice del processo amministrativo, secondo cui "1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge: a) le controversie in materia di: ... 2) formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni";
che, conclusivamente, deve essere dichiarata la giurisdizione del Giudice ordinario - quanto alle questioni della validità ed efficacia della costituzione della Società S.I.E. (questione pregiudiziale) e degli atti negoziali conseguenti, di carattere societario, concernenti, tra l'altro, l'acquisizione, da parte del socio minoritario, del quarantanove per cento delle azioni della S.I.E - e del Giudice amministrativo - quanto alla controversia avente ad oggetto la procedura di selezione del socio privato della S.I.E. nonchè la conseguente aggiudicazione, avvenute nelle more dell'annullamento di cui alla sentenza del C.G.A. n. 589 del 2006, nonchè alla controversia avente ad oggetto la convenzione in data 24 dicembre 2005, stipulata dal Consorzio e dalla S.I.E., concernente l'affidamento della gestione del servizio idrico integrato e comprensiva della realizzazione delle opere infrastrutturali di acquedotto, fognatura e depurazione;
che la indubbia, notevole complessità del thema decidendum giustifica pienamente la compensazione per intero tra le parti della presente fase del giudizio.

P.Q.M.
Dichiara la giurisdizione del Giudice ordinario e del Giudice amministrativo, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.
Compensa le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 26 marzo 2013.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2013




TRIBUTARIO: impugnabilità dell'invito di pagamento in materia doganale (Cass. Civ., Sez. Trib., sentenza 13 settembre 2013 n. 20951).


TRIBUTARIO: 
impugnabilità dell'invito di pagamento 
in materia doganale 
(Cass. Civ., Sez. Trib.,
sentenza 13 settembre 2013 n. 20951).




Interessante sentenza, che prende l'abbrivio dell'invito di pagamento in materia doganale per svolgere un excursus sulla struttura del processo tributario, degli atti impugnabili, dell'interesse a ricorrere, delle azioni esperibili.
FF


Massima


1.  In materia di tributi doganali, la mancata impugnazione degli "inviti di pagamento" non preclude la proposizione del ricorso dei contribuenti avverso le successive cartelle di pagamento.
2., L'"invito al pagamento", emesso ai sensi dell'art. 93 del R.D. n. 65/1865, che - secondo l'originaria previsione - precede l'atto di ingiunzione, anche dopo il venir meno in quest'ultima, in forza del D.P.R. n.43/1988, art. 130, della funzione di precetto e di titolo esecutivo azionabile in forme diverse dalla procedura di riscossione a mezzo ruolo tramite il concessionario, rappresenta l'atto attraverso il quale l'Amministrazione mette in mora il contribuente, rendendolo edotto della maggior pretesa avanzata nei suoi confronti ed invitandolo ad assolvere il proprio debito, pena l'avvio della procedura esecutiva.
Ed infatti, il medesimo D.P.R. n. 43, art. 67, comma 2, prevede che, scaduti infruttuosamente i termini di pagamento delle somme indicate in tale avviso, si procede alla formazione del ruolo, il quale costituisce titolo esecutivo, sostituendosi in tale natura alla precedente ingiunzione, in armonia con quanto stabilito dal D.P.R. n. 602/73, art. 49, che lo indica quale strumento di legittimazione del concessionario per procedere all'esecuzione forzata ai fini della riscossione delle somme insolute.
3.  Tale "invito di pagamento" non è, tuttavia, ricompreso nell'elenco tassativo degli atti tributari autonomamente impugnabili previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, e pertanto, se, da un lato, in quanto idoneo a portare a conoscenza i presupposti di fatto e le ragioni in diritto della pretesa impositiva, è astrattamente suscettibile, "ex se", a fondare l'interesse alla impugnazione ex art. 100 c.p.c. del contribuente (nella specie: cartella di pagamento attraverso la quale soltanto è possibile impugnare anche la iscrizione a ruolo:  espressamente considerato dalla indicata norma processuale tributaria come suscettibile di autonoma impugnazione 
4. In proposito appare opportuno ribadire che la struttura impugnatoria estesa anche al rapporto obbligatorio che caratterizza il giudizio tributario, non sembra potersi conciliare con l'azione di accertamento negativo puro della pretesa impositiva (cfr. Corte cass. SU 23.12.2009 n. 27209 che qualifica come "improponibile" la domanda di accertamento negativo), laddove si consideri che la sentenza emessa in "via anticipata" sul rapporto - se e nella misura in cui venga ad essere definito nei suoi tratti salienti nell'atto tributario atipico - non esonererebbe l'Amministrazione finanziaria (ove vittoriosa) a dare ulteriore seguito alla procedura amministrativa emettendo l'atto impositivo tipico, in ipotesi fondando la pretesa anche su ragioni nuove o diverse da quelle oggetto del giudizio di accertamento (e non pare dubbio che anche tale atto sia impugnabile dal contribuente, di certo per vizi propri dell'atto impositivo), ovvero non impedirebbe alla Amministrazione finanziaria (ove soccombente) di esercitare successivamente la potestà impositiva (integrando le lacune - eventualmente rilevate nel giudizio di accertamento negativo - relative alla indicazione dei presupposti di fatto od emendando le eventuali insufficienze delle ragioni di diritto).
Ne segue che l'ipotizzata tutela "anticipata" nei confronti di atti "strido sensu" non impositivi non sembra funzionale ad assolvere ad effettive esigenze di difesa e di efficienza amministrativa indicate (che potrebbero ricevere adeguata e piena soddisfazione mediante un serio contraddittorio nella sede amministrativa stragiudiziale), venendo piuttosto ad innescare ulteriori, e non necessarie, occasioni di conflitto che non esiteranno a riproporsi nella successiva - pertinente - sede della impugnazione del provvedimento impositivo tipico notificato al contribuente. Ne consegue che l'"invito di pagamento" in questione (in materia doganale), in quanto atto di mera partecipazione volto a portare a conoscenza del contribuente gli esiti del controllo deve qualificarsi come mero atto rappresentativo, "in via anticipata", della volontà impositiva della Amministrazione - che dovrà, quindi, successivamente, essere manifestata in forma tipizzata mediante adozione di uno dei provvedimenti impositivi indicati nell'elenco tassativo del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 -, e dunque non soltanto deve escludersi che la omessa impugnazione di tale atto partecipativo determini la intangibilità della pretesa tributaria, ma deve escludersi "a priori" la stessa impugnabilità dell'invito di pagamento che verrebbe altrimenti a risolversi in un'azione di accertamento negativo improponibile nel giudizio tributario.


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
[...]

                                                                                                              SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La opposizione proposta da Autotrasporti F.lli Modesto s.n.c. e da M.E. e M.M. avverso la iscrizione a ruolo e le cartelle di pagamento - emessi a seguito di notifica, in data 31.5.1999, di "inviti di pagamento" ed aventi ad oggetto la liquidazione del dazio dovuto per la importazione nel periodo giugno- ottobre 1992 di bovini vivi di origine slovacca anzichè, come dichiarato nelle bollette di origine croata per i quali era previsto un regine tariffario agevolato -, veniva rigettata con sentenza n. 173/2006 della Commissione tributaria della provincia di Trieste, confermata in grado di appello con sentenza della Commissione tributaria della regione Friuli Venezia Giulia in data 10.7.2008 n. 34.
I Giudici territoriali, rigettata la eccezione di prescrizione della pretesa tributaria in quanto formulata genericamente in difetto di individuazione del termine iniziale di decorrenza, ritenevano: 1- legittima la cartella in quanto corredata dei requisiti di forma prescritti; 2- non credibile la ignoranza incolpevole del conducente dell'automezzo sulla falsità dei documenti di trasporto, trattandosi del titolare della ditta di autotrasporto e soggetto esperto del settore dei servizi di trasporto internazionale; 3-rilevanti e pienamente utilizzabili nel giudizio tributario i fatti accertati nel corso del procedimento penale svoltosi nei confronti del titolare della ditta e definito con sentenza di patteggiamento; 4- inammissibile la richiesta di espletamento della c.t.u. per verificare il peso degli animali, sia in quanto i bovini non erano più reperibili, sia in quanto tale perizia non poteva comunque inficiare le risultanze dei PVC redatti all'esito delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza.
Avverso tale sentenza notificata in data 2.9.2008 hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo dodici motivi, la società di autotrasporto, in persona dei legali rapp.ti M.E. e M.M., nonchè M.M. in proprio, con atto spedito in data 14.11.2008 per la - notifica a mezzo posta, ai sensi della L. n. 53 del 1994, all'Ufficio di Trieste della Agenzia delle Dogane, ad UNIRISCOSSIONE s.p.a. n.q. di Concessionario del servizio di riscossione della provincia di Treviso, e al Ministero della Economie e delle Finanze.
Ha resistito la Agenzia delle Dogane con controricorso, eccependo la inammissibilità del ricorso principale e la improponibilità del ricorso originario proposto dai contribuenti per omessa impugnazione dell'atto presupposto (invito di pagamento) e chiedendo il rigetto del ricorso.
Non ha resistito UNIRISCOSSIONE s.p.a. n.q. di Concessionario del servizio di riscossione.
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MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Questioni pregiudiziali e preliminari.
1.1 Va preliminarmente dichiarata "ex officio" l'inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze, per difetto di legittimazione passiva della parte resistente, non avendo assunto l'Amministrazione statale la posizione di parte processuale nel giudizio nel giudizio svoltosi avanti la Commissione tributaria della regione FVG, introdotto dai contribuenti- appellanti successivamente alla data 1.1.2001 (subentro delle Agenzie fiscali a titolo di successione particolare ex lege nella gestione dei rapporti giuridici tributari pendenti in cui era parte l'Amministrazione statale), e nel quale risulta costituito come parte appellata soltanto l'Ufficio delle dogane di Trieste e la società Riscossione Uno n.q. di concessionari del servizio di riscossione.
1.2 La eccezione di inammissibilità per asserita nullità del ricorso per cassazione - in quanto proposto nei confronti dell'Ufficio periferico anzichè della Agenzia delle Dogane - e della notifica dello stesso - eseguita presso la sede dell'Ufficio periferico anzichè presso l'Avvocature erariale - è manifestamente infondata.
La irregolarità attinente alla indicazione del soggetto resistente (dovendo, invece, ritenersi correttamente eseguita la notifica presso la sede dell'Ufficio periferico, non essendo stato rappresentato e difeso l'Ufficio doganale nel precedente grado di giudizio dalla Avvocatura erariale) non determina la inammissibilità del ricorso in quanto la irregolarità risulta sanata dalla costituzione della Agenzia delle Dogane, e comunque dovendo ribadirsi il principio affermato da questa Corte secondo cui "la nuova realtà ordinamentale ndr. introdotta dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300 istitutivo delle Agenzie fiscali caratterizzata dal conferimento della capacità di stare in giudizio agli uffici periferici della Agenzia in via concorrente ed alternativa rispetto al direttore, consente di ritenere che la notifica della sentenza di merito......e quella del ricorso possano essere effettuate, alternativamente, preso la sede centrale della Agenzia o presso i suoi uffici periferici, in tal senso orientando la interpretazione sia il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che impone di ridurre al massimo le ipotesi di inammissibilità, sia il carattere impugnatorio del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte necessaria all'organo che ha emesso l'atto o il provvedimento impugnato" (cfr.
Corte cass. SU 14.2.2006 n. 3116 e n. 3118 e le altre successive).
1.3 Manifestamente infondata è anche la eccezione di improponibilità del ricorso introduttivo del giudizio di merito proposto dai contribuenti con il quale sono state impugnate le cartelle di pagamento.
La questione pregiudiziale, sollevata dalla Agenzia fiscale per la prima volta avanti questa Corte (e contraddicendo, peraltro, a quanto è dato rilevare dalla lettura della sentenza della CTR, le difese svolte in primo grado dall'Ufficio doganale secondo cui "l'invito al pagamento" doveva ritenersi atto non impugnabile in quanto "preordinato al decreto ingiuntivo, poi non emesso..."), non incontra il "divieto del "jus novorum", trattandosi di eccezione rilevabile di ufficio anche in sede di legittimità - come ogni altra il cui oggetto non è disponibile dalle parti - non essendo stata decisa in primo grado e non essendo stata rilevata in appello nemmeno dal Giudice, e non implicando un nuovo accertamento od apprezzamento di fatto (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 8558 del 05/08/1991; id.
Sez. L, Sentenza n. 4553 del 06/05/1999; id. Sez. L, Sentenza n. 6901 del 13/05/2002; id. Sez. 1, Sentenza n. 20005 del 14/10/2005; id.
Sez. 3, Sentenza n. 13656 del 13/06/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 9297 del 18/04/2007).
La Agenzia delle Dogane sostiene che in difetto di previa impugnazione degli "inviti di pagamento", notificati ai contribuenti in data 31.5.1999, la pretesa tributaria è divenuta definitiva, rimanendo in conseguenza preclusa la possibilità di far valere vizi dell'atto presupposto attraverso la impugnazione della cartella di pagamento.
La eccezione di improponibilità del ricorso introduttivo è infondata.
In materia di tributi doganali, l'"invito al pagamento", emesso ai sensi dell'art. 93 del regolamento doganale approvato con il R.D. 13 febbraio 1865, n. 65, che - secondo l'originaria previsione - precede l'atto di ingiunzione, anche dopo il venir meno in quest'ultima, in forza del D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, art. 130, della funzione di precetto e di titolo esecutivo azionabile in forme diverse dalla procedura di riscossione a mezzo ruolo tramite il concessionario, rappresenta l'atto attraverso il quale l'Amministrazione mette in mora il contribuente, rendendolo edotto della maggior pretesa avanzata nei suoi confronti ed invitandolo ad assolvere il proprio debito, pena l'avvio della procedura esecutiva.
Ed infatti, il medesimo D.P.R. n. 43, art. 67, comma 2, prevede che, scaduti infruttuosamente i termini di pagamento delle somme indicate in tale avviso, si procede alla formazione del ruolo, il quale costituisce titolo esecutivo, sostituendosi in tale natura alla precedente ingiunzione, in armonia con quanto stabilito dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 49, che lo indica quale strumento di legittimazione del concessionario per procedere all'esecuzione forzata ai fini della riscossione delle somme insolute (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 3918 del 15/02/2008; id. Sez. 5, Sentenza n. 13889 del 28/05/2008; id Sez. 5, Sentenza n. 15548 del 30/06/2010).
Tale "invito di pagamento" non è, tuttavia, ricompreso nell'elenco tassativo degli atti tributari autonomamente impugnabili previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, e pertanto, se, da un lato, in quanto idoneo a portare a conoscenza i presupposti di fatto e le ragioni in diritto della pretesa impositiva, è astrattamente suscettibile, "ex se", a fondare l'interesse alla impugnazione ex art. 100 c.p.c. del contribuente (tanto in considerazione, secondo alcune pronunce di questa Corte, delle esigenze di certezza dei rapporti tributari che rinvengono il loro fondamento nei principi costituzionali di buon andamento della PA ex art. 97 Cost. e di effettività del diritto di difesa del cittadino ex art. 24 Cost.:
cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 21045 del 08/10/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 4513 del 25/02/2009; id. Sez. 5, Sentenza n. 16100 del 22/07/2011; id. Sez. 5, Sentenza n. 7344 del 11/05/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 17010 del 05/10/2012), dall'altro non fa insorgere in quest'ultimo "alcun obbligo alla impugnazione immediata", ben potendo il contribuente esperire i mezzi di tutela, contestando la pretesa impositiva, soltanto all'esito della notifica dell'"atto tributario tipico" (nella specie: cartella di pagamento attraverso la quale soltanto è possibile impugnare anche la iscrizione a ruolo: Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 1630 del 25/01/2008) espressamente considerato dalla indicata norma processuale tributaria come suscettibile di autonoma impugnazione (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 21045 del 08/10/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 4513 del 25/02/2009; id. Sez. 5, Sentenza n. 17010 del 05/10/2012).
In proposito appare opportuno ribadire che la struttura impugnatoria estesa anche al rapporto obbligatorio che caratterizza il giudizio tributario, non sembra potersi conciliare con l'azione di accertamento negativo puro della pretesa impositiva (cfr. Corte cass. SU 23.12.2009 n. 27209 che qualifica come "improponibile" la domanda di accertamento negativo), laddove si consideri che la sentenza emessa in "via anticipata" sul rapporto - se e nella misura in cui venga ad essere definito nei suoi tratti salienti nell'atto tributario atipico - non esonererebbe l'Amministrazione finanziaria (ove vittoriosa) a dare ulteriore seguito alla procedura amministrativa emettendo l'atto impositivo tipico, in ipotesi fondando la pretesa anche su ragioni nuove o diverse da quelle oggetto del giudizio di accertamento (e non pare dubbio che anche tale atto sia impugnabile dal contribuente, di certo per vizi propri dell'atto impositivo), ovvero non impedirebbe alla Amministrazione finanziaria (ove soccombente) di esercitare successivamente la potestà impositiva (integrando le lacune - eventualmente rilevate nel giudizio di accertamento negativo - relative alla indicazione dei presupposti di fatto od emendando le eventuali insufficienze delle ragioni di diritto). Ne segue che l'ipotizzata tutela "anticipata" nei confronti di atti "strido sensu" non impositivi non sembra funzionale ad assolvere ad effettive esigenze di difesa e di efficienza amministrativa indicate (che potrebbero ricevere adeguata e piena soddisfazione mediante un serio contraddittorio nella sede amministrativa stragiudiziale), venendo piuttosto ad innescare ulteriori, e non necessarie, occasioni di conflitto che non esiteranno a riproporsi nella successiva - pertinente - sede della impugnazione del provvedimento impositivo tipico notificato al contribuente. Ne consegue che l'"invito di pagamento" in questione (in materia doganale), in quanto atto di mera partecipazione volto a portare a conoscenza del contribuente gli esiti del controllo (non essendo più, dopo la riforma del D.P.R. n. 43 del 1988, direttamente collegato all'immediato esercizio dell'attività di riscossione coattiva: Corte cass. 5^ sez. 15.2.2008 n. 3918), deve qualificarsi - come riconosciuto anche da una parte della dottrina - come mero atto rappresentativo, "in via anticipata", della volontà impositiva della Amministrazione - che dovrà, quindi, successivamente, essere manifestata in forma tipizzata mediante adozione di uno dei provvedimenti impositivi indicati nell'elenco tassativo del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 -, e dunque non soltanto deve escludersi che la omessa impugnazione di tale atto partecipativo determini la intangibilità della pretesa tributaria, ma deve escludersi "a priori" la stessa impugnabilità dell'invito di pagamento che verrebbe altrimenti a risolversi in un'azione di accertamento negativo improponibile nel giudizio tributario.
Ne consegue che la mancata impugnazione degli "inviti di pagamento" non precludeva la proposizione del ricorso dei contribuenti avverso le successive cartelle di pagamento oggetto del presente giudizio.
1.4 La Agenzia ha inoltre eccepito la inammissibilità dei motivi di ricorso contrassegnati dalle lett. D, E, F, G, I ed L in quanto sforniti della indicazione delle norme di legge violate e privi di adeguato quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., ed ancora dei motivi indicati sub lett. G, H, I, L ed M in quanto introducono questioni di fatto volte ad un mero riesame del giudizio di merito.
L'esame della eccezione va rinviata in sede di valutazione di ciascun motivo del ricorso principale.
2. Esame dei motivi del ricorso principale.
2.1.1 Con il primo motivo-A i ricorrenti denunciano la violazione del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 84 TULD come modificato dalla L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 29, essendo ampiamente decorso il termine prescrizionale per fare valere il diritto doganale, in quanto le operazioni di importazione si erano concluse ad ottobre 1992 ed essendo stati notificati gli inviti di pagamento soltanto il 31.5.1999.
2.1.2 Il secondo-B e terzo-C motivo - formulati in via gradatamente subordinata - completano la censura formulata con il primo motivo relativa alla violazione dell'art. 84 TULD in relazione alla prescrizione del diritto doganale: i ricorrenti assumono che, nel caso in cui il termine prescrizionale fosse fatto decorrere dalla sentenza penale n. 47 in data 9.6.2000 (depositata in data 6.9.2000 come riferito dalla Agenzia resistente), divenuta irrevocabile, se ne dovrebbe trarre allora la conseguenza della inesigibilità temporanea del credito tributario e della inesistenza o nullità di tutti gli atti del procedimento tributario compiuti in pendenza del giudizio penale e prima del passaggio in giudicato della sentenza (ed in particolare degli inviti a pagamento emessi dalla Direzione Circoscrizionale delle Dogane di Trieste in data 31.5.1999), con conseguente invalidità derivata delle cartelle di pagamento inidonee ad interrompere il termine prescrizionale.
In ogni caso, secondo i ricorrenti, la pretesa tributaria della Agenzia delle Dogane sarebbe da ritenersi comunque estinta, atteso che la norma di diritto internazionale di cui all'art. 6 paragr. 8 della Convenzione di Ginevra conchiusa il 15.1.1959 e ratificata con L. 12 agosto 1962, n. 1517 - relativa al trasporto internazionale di merci su strada - dispone il termine di prescrizione annuale e si impone quale norma speciale sulla disciplina dell'art. 84 TULD, con la conseguenza che la prescrizione, decorrente dal giudicato penale, alla data 5.5.2003 di notifica delle cartelle di pagamento doveva intendersi compiuta.
2.1.3 Complementare ai precedenti motivi di ricorso è la questione sollevata con il quarto motivo-D. I ricorrenti censurano la sentenza di appello sostenendo che in conseguenza della inesigibilità del credito doganale durante la pendenza del procedimento penale "non può esservi dubbio che ogni atto notificato in data precedente è assolutamente inesistente e comune affetto da nullità insanabile", con la conseguenza che la inesistenza dell'atto presupposto (invito al pagamento) determina la invalidità derivata con effetto caducante della successiva iscrizione a ruolo e della notifica delle cartelle di pagamento.
2.1.4 I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, inerendo alla medesima questione preliminare di merito, superano il vaglio di ammissibilità in quanto corredati del quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c. ed in quanto - sebbene in assenza di specifica indicazione in rubrica delle norme violate e del vizio di legittimità censurato - non comportano assoluta incertezza in ordine alla individuazione delle norme di diritto asseritamente violate - riportate nella esposizione dei singoli motivi - ed in ordine alla individuazione al parametro del sindacato di legittimità richiesto alla Corte (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
Non può infatti ritenersi preclusa alla Corte la corretta qualificazione ed individuazione del motivo di ricorso, nel caso in cui, la esatta individuazione del parametro di legittimità violato possa essere agevolmente compiuta - come nel caso di specie - alla stregua del complessiva lettura del ricorso e precipuamente degli argomenti svolti a sostegno della censura (cfr. Corte cass. 3941/2002; Corte cass. 1 sez. 5.4.2006 n. 7882; id. 1 sez. 13.9.2006 n. 19661; id. 1 sez. 3.3.2007 n. 7981).
2.1.5 I motivi sono tutti infondati e, la statuizione della Commissione tributaria friulana di rigetto del motivo di gravame con il quale veniva dedotta la eccezione di prescrizione - previa correzione della motivazione ai sensi dell'art. 384 c.p.c. - risulta conforme a diritto.
2.1.6 Questa Corte ha enunciato il principio secondo cui l'azione dello Stato per l'accertamento e la riscossione dei diritti doganali, ove il loro mancato pagamento abbia causa da un reato, si prescrive, ai sensi del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 84, comma 3, nel termine di tre anni (cinque anni anteriormente alle modifiche introdotte dalla L. n. 428 del 1990, art. 29, comma 1) decorrente dalla data in cui il decreto o la sentenza pronunciati nel procedimento penale siano divenuti irrevocabili, e cioè da quando sia definitivamente preclusa l'ulteriore perseguibilità del fatto come reato in forza di una qualsiasi pronuncia del giudice penale, ivi compresa quella di estinzione del reato per prescrizione (cfr.
Corte cass. 1 sez. 10.8.1990 n. 8139; id. 5 sez. 22.9.2006 n. 20513;
id. 5 sez. 20.3.2009 n. 6820), con la conseguenza che, trovando titolo la obbligazione doganale (artt. 201-203 CDC), nel caso di specie, in un fatto reato (reato di contrabbando) ed essendo intervenuto il giudicato penale in data 9.6.2000 (circostanza incontroversa), la prescrizione del credito doganale iscritto a ruolo e portato dalle cartelle di pagamento non poteva iniziare a correre prima di tale data.
2.1.7 Occorre considerare al riguardo che l'art. 221 paragr. 3 del CDC (nel testo modificato dal reg. CEE n. 2700 del 2000) stabilisce il termine di tre anni dalla insorgenza della obbligazione doganale per la comunicazione al debitore della "contabilizzazione" del dazio.
Lo stesso art. 221 CDC, al paragrafo 4, consente il differimento- superamento di tale termine se "l'obbligazione doganale sorge a seguito di un atto perseguibile penalmente": in tal caso la comunicazione può essere effettuata alle condizioni previste dalle disposizioni comunitarie (o in difetto nazionali) vigenti.
L'art. 84, comma 3 TULD (nel testo modificato dalla L. n. 428 del 1990, art. 29, comma 1), nel caso in cui "il mancato pagamento totale o parziale dei diritti abbia causa da un reato", posterga il "dies a quo" di decorrenza del termine di "prescrizione" triennale, stabilito in via generale "dalla data in cui i diritti sono divenuti esigibili (comma 2, lett. d), alla data in cui la sentenza pronunciata nel procedimento penale è divenuta irrevocabile (mentre il comma 4 del medesimo articolo del TULD dispone che se il mancato pagamento è dipeso da "erroneo o inesatto accertamento"" della "quantità, qualità, valore, origine" della mercè, l'Ufficio deve seguire il procedimento ed. di revisione già previsto dall'art. 74 TULD ed ora dall'art. 78 CDC - c.d. controllo a posteriori - e dal D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11 che è soggetto a termine di decadenza di tre anni dalla data in cui l'accertamento è divenuto "definitivo" - id est da quando la bolletta è stata registrata: D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 9, comma 2).
Il descritto sistema normativo è stato interpretato da questa Corte nel senso che il termine (triennale) entro il quale deve effettuarsi la contabilizzazione ed il recupero dei dazi "a posteriori" (idest successivamente alla intervenuta definitività dell'accertamento doganale od allo svincolo delle merci) deve intendersi collegato in ogni caso (art. 221 paragr. 3 CDC, con applicazione generale sostitutiva di eventuali termini diversi previsti dalle normative degli Stati membri) al momento in cui nasce la obbligazione doganale con l'effettuazione delle operazioni di importazione richieste per il perfezionamento degli elementi costitutivi della pretesa tributaria (immissione al consumo nel Paese di destinazione della merce importata, mediante presentazione della dichiarazione doganale).
La comunicazione della contabilizzazione a posteriori del dazio, può, tuttavia, essere effettuata anche oltre il termine triennale - in tal caso da ritenersi prorogato - qualora non sia stato possibile procedere alla liquidazione dell'importo dovuto dal contribuente "a causa di un atto perseguibile penalmente": in tal caso la comunicazione al debitore può essere effettuata dopo il triennio, nel senso che la prescrizione inizia a decorrere dalla data in cui l'accertamento del reato è divenuto irrevocabile (art. 84, comma 3 TULD).
La norma non consente, peraltro, di ritenere indefinitamente interrotto il termine prescrizionale (o indefinitamente sospeso quello decadenziale D.Lgs. n. 374 del 1990, ex art. 11, comma 5) a far data dal "tempus commissi delicti" ovvero dalla formale conoscenza del reato e fino alla pronuncia di condanna irrevocabile, in quanto in tal modo si "finirebbe per prorogare sine die il termine per la contabilizzazione a posteriori, sul quale non possono influire eventuali disfunzioni amministrative nell'espletamento dei controlli ad un imperfetto coordinamento tra le autorità doganali nazionali e comunitarie imputabili". Diversamente opinando si verrebbe, infatti, ad arrecare un vulnus al principio di certezza dei rapporti giuridici in quanto il prolungamento del termine in questione sarebbe arbitrariamente demandato ai tempi burocratici od alle inefficienze della PA, che caratterizzano l'esercizio dei poteri di verifica e di accertamento, o peggio ai ritardi attribuibili agli organi amministrativi nel trasmettere la notizia di fatti penalmente rilevanti appresi nel corso delle indagini svolte in attuazione dei compiti istituzionali (cfr. Corte cass. 5 sez. n. 22014/2006 cit; id.
5 sez. 6.9.2006 n. 19193).
L'evento al quale deve essere ricollegato l'effetto normativo della proroga del termine prescrizionale è stato, pertanto, individuato dalla giurisprudenza di legittimità nel primo atto della PA con il quale venga formulata una ipotesi suscettibile di configurare anche astrattamente un fatto illecito penalmente rilevante ("notitia criminis"), idoneo ad incidere sul presupposto d'imposta.
Se tale atto (notitia criminis) interviene nel triennio decorrente dalla insorgenza della obbligazione doganale, allora opera la "proroga" predetta fino al definitivo accertamento del reato;
diversamente debbono ritenersi irrilevanti sul decorso del termine triennale - conformemente al disposto dell'art. 2935 c.c. - eventuali impedimenti di mero fatto all'esercizio del diritto da parte della Amministrazione doganale, quale ad esempio la mancata tempestiva scoperta dell'illecito da cui origina la pretesa di maggiori dazi (con l'unica eccezione dell'occultamento doloso del debito: cfr.
Corte cass. 5 sez. 13.10.2006 n. 22014, in motivazione).
2.1.8 Alla stregua della indicata interpretazione delle norme disciplinanti la materia del recupero a posteriori dei dazi (condivisa anche dalle successive sentenze della Corte: cfr. Corte cass. 5 sez. 14.5.2008 n. 12037; id. 5 sez. ord. 2.3.2009 n. 4999;
id. 5 sez. 7.5.2010 n. 11181), la questione di diritto sottoposta alla Corte deve essere risolta a favore della Agenzia delle Dogane, essendo stata azionata la pretesa, mediante iscrizione a ruolo e conseguente notifica della cartelle di pagamento, entro il termine triennale decorrente dalla irrevocabilità della sentenza penale, e non essendo stato, peraltro, neppure allegato dai ricorrenti che la prescrizione sia maturata (o la decadenza si sia verificata) in dipendenza di un ipotetica tardiva scoperta dell'illecito ovvero in un ingiustificabile ritardo della PA nella trasmissione della "notitia criminis".
2.1.9 Priva di fondamento giuridico, inoltre, è la tesi difensiva secondo cui il differimento ex lege (art. 84, comma 3 TULD) del "dies a quo" del termine prescrizionale precluderebbe alla Amministrazione l'esercizio dei poteri impositivi: tale effetto preclusivo, infatti, non è espressamente contemplato dalla norma doganale, nè e dato in essa rinvenire, neppure implicitamente, una giustificazione razionale dell'effetto sospensivo della potestà tributaria.
Lo spostamento legale del termine non trova, infatti, fondamento nella impossibilità legale di esercizio del diritto, ma in una situazione di mero fatto - scoperta di una condotta penalmente illecita rilevante sul presupposto impositivo - che rende opportuno il differimento del termine ad esclusivo vantaggio della Amministrazione finanziaria (in considerazione della prevedibile complessità delle indagini volte alla ricostruzione della fattispecie concreta), e che, in difetto di espressa considerazione nella norma doganale, sarebbe altrimenti rimasta indubitabilmente sottratta al campo di applicazione dell'art. 2935 c.c. (impedimento giuridico).
L'Agenzia delle Dogane è dunque legittimata, anche in pendenza di procedimento penale, ad esercitare il potere impositivo (come è dato indirettamente argomentare anche dalla autonomia dei giudizi penale e tributario D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 20), essendo facoltizzata, in ogni caso, ad avvalersi del più lungo termine di prescrizione fissato dalla norma del TULD per la riscossione dei diritti doganali.
In ogni caso la censura non è pertinente alla fattispecie in quanto, come precedentemente rilevato, l'"invito al pagamento" (cfr. art. 93 reg. n. 65/1865; D.P.R. n. 43 del 1988, art. 67) non costituisce atto formale tipico attraverso il quale l'Amministrazione doganale esercita la potestà impositiva (svolgendo soltanto la funzione di una comunicazione anticipata degli elementi costitutivi della pretesa che verrà azionata successivamente), dovendo questo piuttosto identificarsi, in seguito alla abrogazione del sistema di riscossione di cui al R.D. n. 639 del 1910 disposta dal D.P.R. n. 43 del 1988, nell'atto di iscrizione a ruolo e nella emissione della cartella di pagamento, atti che, nella specie, sono stati entrambi adottati dalla Agenzia delle Dogane successivamente alla irrevocabilità della sentenza penale, venendo quindi meno lo stesso presupposto di fatto su cui viene fondata la censura proposta dai ricorrenti.
2.1.10 Scarsamente intelligibile risulta il terzo motivo con il quale i ricorrenti eccepiscono la prescrizione del diritto ai sensi dell'art. 6 paragr. 8 della Convenzione doganale di Ginevra in data 15.1.1959 concernente il trasporto internazionale di merci con libretti TIR e ratificata con legge n. 1517/1962 (tale convenzione è stata infatti abrogata, con effetto dalla entrata in vigore della nuova Convenzione concernente il trasporto internazionale di merci con libretti TIR, conchiusa a Ginevra il 14.11.1975 - cfr art. 56, comma 1 - approvata dalla CE in data il 25.7.1978 e ratificata con L. 7 ottobre 1982, n. 706, e non può dunque trovare applicazione alla fattispecie in esame).
La norma invocata si riferisce, peraltro, alla obbligazione avente ad oggetto il pagamento dei diritto doganali, degli interessi e delle pene pecuniarie assunta - non dal vettore ma - dalla "associazione" - riconosciuta dal Paese contraente ai sensi dell'art. 5 Conv. - chiamata a garantire il trasporto mediante rilascio del libretto TIR e prestazione di apposita fidejussione doganale. Nel caso in cui lo scarico del libretto TIR sia avvenuto con abuso o con frode, le autorità doganali devono darne comunicazione alla associazione nel termine di due anni (art. 6 paragr. 7), e debbono quindi notificare alla associazione - a pena di decadenza, entro tre anni da detta comunicazione - la domanda di pagamento dei diritti doganali:
nondimeno, come prescritto dall'art. 6 paragr. 8, "se durante tale termine il caso sia stato deferito alla autorità giudiziaria, la domanda di pagamento è notificata entro un anno dal giorno in cui la decisione giudiziaria sia passata in giudicato".
La Convenzione internazionale si limitava a disciplinare, pertanto, soltanto la obbligazione solidale dell'associazione garante (art. 6 paragr. 1), senza incidere in alcun modo sulle modalità di insorgenza della obbligazione doganale nei confronti dei "soggetti- debitori", risultando dunque inconferente il richiamo al termine di decadenza annuale ivi previsto che non sostituisce, quindi, quello triennale previsto dall'art. 84, comma 3 TULD. 2.2.1 Con il quinto-E e sesto-F motivo viene dedotta, sotto diversi profili, la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 7 avendo i Giudici territoriali erroneamente ritenuto legittimi gli "inviti al pagamento" che invece erano privi della indicazione del responsabile amministrativo, dell'autorità amministrativa alla quale era possibile proporre ricorso per attivare i poteri di autotutela, della indicazione del termine di impugnazione e dell'autorità giudiziaria avanti la quale era opponibile l'atto.
2.2.2 Entrambi i motivi, corredati del quesito di diritto, sono ammissibili ma infondati.
2.2.3 Premesso che le indicazioni in questione sono prescritte, in via generale, per i soli atti impositivi (L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2, lett. a, b, c) e non anche per i meri atti di partecipazione che "anticipano" la esternazione delle ragioni della pretesa fiscale, quali appunto gli "inviti al pagamento", vale osservare che la omessa indicazione della autorità amministrativa "presso la quale è possibile promuovere un riesame anche del merito dell'atto in sede di autotutela", non determina ex se la invalidità dell'atto, alla stregua del principio enunciato da questa Corte, e dal quale il Collegio non ha ragione di discostarsi, secondo cui "la mancata indicazione negli atti impositivi degli enti contro i quali può proporsi ricorso...... non determina alcun pregiudizio per la difesa del contribuente, in quanto si tratta di indicazioni che, ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 2, non sono previste a pena di nullità e potrebbero assumere rilevanza solo se ne derivi una giustificata incertezza sui mezzi di tutela" (cfr. Corte cass. 5 sez. ord. 30.9.2011 n. 20024). Del pari la mancata indicazione nell'"avviso di pagamento" dell'organo giudiziario avanti alla quale è consentito proporre la opposizione e del relativo termine di impugnazione (L. n. 241 del 1990, art. 7, comma 3 e L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2, lett. c)) non inficia la validità dell'atto impositivo, ma "comporta, sul piano processuale, il riconoscimento della scusabilità dell'errore in cui sia eventualmente incorso il ricorrente, con conseguente riammissione in termini per l'impugnativa, ove questa sia stata tardivamente proposta" (cfr.
Corte cass. 5 sez. ord. 27.9.2011 n. 19675; id. Sez. 1, Sentenza n. 3840 del 26/02/2004; id. Sez. 5, Sentenza n. 19189 del 06/09/2006;
id. Sez. 5, Sentenza n. 20532 del 22/09/2006 secondo cui "In tema di accertamento della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, la mancata indicazione, nell'avviso di accertamento, dell'autorità amministrativa dinanzi alla quale il contribuente può presentare ricorso non comporta la nullità dell'atto: tale sanzione, infatti, non è prevista nè dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, il quale prescrive unicamente l'indicazione del termine e dell'autorità giurisdizionale alla quale è possibile ricorrere, essendo quella giurisdizionale la via ordinaria d'impugnazione, nè dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, il quale richiede l'indicazione dell'autorità amministrativa soltanto in alternativa a quella dell'organo giurisdizionale, essendo tale indicazione sufficiente ai fini della tutela del diritto di difesa del contribuente"; id. Sez. 3, Sentenza n. 1766 del 08/02/2012).
I contribuenti, nella specie, non hanno peraltro allegato, nè dimostrato, se e quale pregiudizio abbiano in concreto subito in ordine all'esercizio dei rimedi a tutela ed al proprio diritto di difesa, atteso che, come emerge dalla sentenza impugnata, risulta al contrario che sono stati in grado di svolgere compiutamente tutte le difese mediante impugnazione dei ruoli e delle cartelle di pagamento.
2.4.1 Con il settimo-G motivo i ricorrenti hanno censurato la sentenza appello nella parte in cui era stata riconosciuta la responsabilità solidale dei conducenti degli automezzi e della società di trasporto per la obbligazione doganale derivante dalla immissione al consumo di merce (animali vivi) non corrispondente per requisito di origine a quella indicata nelle bollette doganali e nei documenti di trasporto.
2.4.2 Con i motivi nono-I e decimo-L si censura ancora la sentenza di appello per erronea valutazione della efficacia probatoria della sentenza penale del Tribunale di Trieste n. 487 in data 9.6.2000, di applicazione della pena su richiesta delle parti, e per non avere "dato rilievo alla possibilità di erroneità della indagine e quindi della esistenza dell'attività di presunto contrabbando".
2.4.3 I tre motivi, che devono intendersi diretti a far valere un vizio logico della motivazione, e che, stante la connessione logica, possono essere esaminati congiuntamente, debbono ritenersi inammissibili.
2.4.4 Ed infatti se, da un lato, difetta del tutto il requisito di ammissibilità richiesto dall'art. 366 bis c.p.c. - espressamente richiesto anche nel caso in cui venga denunciato il vizio di legittimità di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) - attesa la assoluta genericità e tautologia della formulazione sintetica del fatto controverso e la omessa individuazione della parte argomentativa della sentenza affetta dal vizio logico impugnata ("la Corte dovrà ritenere inesistente una prova dell'esistenza del consilum fraudis con la complicità degli autisti..."; "La Corte ritenuta la natura dell'istituto del patteggiamento quale libera scelta processuale .....dovrà valutare la mancanza di una certa responsabilità penale..."; "La Corte dovrà valutare la possibilità della erroneità della indagine"), dall'altro nessuno dei motivi assolve al requisito di "specificità" di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4) (che se pure non espressamente previsto da tale norma processuale deve, tuttavia, egualmente desumersi dalla tassativa indicazione dei paradigmi normativi del vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1-5, alla stregua dei quali soltanto può essere condotto il sindacato di legittimità, che presuppongono inequivocamente e necessariamente la precisa individuazione dell'errore di fatto o di diritto cui deve rivolgersi "specificamente" la critica del ricorrente).
Al ricorrente è, infatti, richiesto di fornire "la precisa indicazione di carenze o lacune nelle argomentazioni sulle quali si basa la decisione od il capo di essa censurato, ovvero la specificazione di illogicità o ancora la mancanza di coerenza fra le varie ragioni esposte e quindi l'assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e l'insanabile contrasto degli stessi" (Corte cass. 3 sez. 5.3.2007 n. 5066; id sez. lav. 23.5.2007 n. 12052), non essendo invece consentito, in considerazione dei limiti imposti dalla funzione nomofilattica affidata alla Corte, procedere nel giudizio di legittimità, non solo al riesame delle provela cui valutazione sia stata fatta in modo difforme da quella prospettata dal ricorrente, ma altresì all'accertamento di un eventuale travisamento delle prove stesse, essendo il controllo possibile solo se tale vizio logico si traduca in una insufficiente motivazione. Infatti, la valutazione delle prove da parte del giudice di merito sfugge al sindacato della suprema Corte se, dalla motivazione della sentenza, risulti che detto giudice abbia desunto il proprio convincimento dall'esame di tutte le risultanze istruttorie ed abbia ottemperato al dovere di spiegare le ragioni che lo hanno indotto a preferire l'uria anzichè l'altra delle versioni prospettate dalle parti (massima consolidata: Corte cass. 3 sez. 11.2.1969 n 478; id. 5 sez. 12.8.2004 n. 15675; id. sez. lav. 11.7.2007 n. 15489; id. sez. lav. 2.2.2007 n. 2272; id. sez. lav. 23.12.2009 n. 27162).
Ne consegue che, per assolvere all'indicato requisito di specificità, il motivo con il quale viene dedotto il vizio motivazionale deve evidenziare in modo chiaro e preciso il carattere "decisivo" della prova omessa od inesattamente apprezzata dal giudice di merito, come peraltro richiesto espressamente dall'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
La nozione di "punto decisivo" della controversia ("fatto controverso e decisivo" nel testo dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) sostituito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, comma 1), di cui all'art. 360 cod. proc. civ., n. 5, sotto un primo aspetto si correla al "fatto" sulla cui ricostruzione il vizio di motivazione avrebbe inciso, ed implica che il vizio deve avere inciso sulla ricostruzione di un fatto che ha determinato il giudice all'individuazione della disciplina giuridica applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio di merito e, quindi, di un "fatto costitutivo, modificativo, impeditivo od estintivo del diritto".
Sotto un secondo aspetto, la nozione di decisività concerne non il fatto sulla cui ricostruzione il vizio stesso ha inciso, bensì la stessa idoneità del vizio denunciato a determinarne una diversa ricostruzione e, dunque, afferisce al "nesso di casualità fra il vizio della motivazione e la decisione", essendo, pertanto, necessario che il vizio, una volta riconosciuto esistente, sia tale che, se non fosse stato compiuto, si sarebbe avuta una ricostruzione del fatto diversa da quella accolta dal giudice del merito e non già la sola possibilità o probabilità di essa. Infatti, se il vizio di motivazione per omessa considerazione di punto decisivo fosse configurabile solo per il fatto che la circostanza di cui il giudice del merito ha omesso la considerazione, ove esaminata, avrebbe reso "soltanto possibile o probabile" una ricostruzione del fatto diversa da quella adottata dal giudice del merito, oppure se il vizio di motivazione per insufficienza o contraddittorietà fosse configurabile solo perchè su uno specifico fatto appaia esistente una motivazione logicamente insufficiente o contraddittoria, senza che rilevi se la decisione possa reggersi, in base al suo residuo argomentare, il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360, n. 5 si risolverebbe nell'investire la Corte di Cassazione del controllo "sic et simpliciter" dell'iter logico della motivazione, del tutto svincolato dalla funzionalità rispetto ad un esito della ricostruzione del fatto idoneo a dare luogo ad una soluzione della controversia diversa da quella avutasi nella fase di merito (cfr.
Corte cass. 3 sez. 7/12/2004 n. 22979; id. 3 sez. 5/08/2005 n. 16582;
id. 3 sez. 22/09/2006 n. 20636).
Ne consegue che deve essere data conferma al principio di diritto enunciato dalla Corte secondo cui "per poter configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base" (cfr. Corte cass. Sez. Lav. 26.5.2004 n. 10156; id. 3 sez. 21/04/2006 n. 9368; id 3 sez. 26/06/2007 n. 14752).
2.4.5 Tanto premesso il Giudice friulano ha individuato gli elementi determinanti ai fini della decisione, nelle indagini eseguite dalla Guardia di Finanza e nelle informazioni fornite dalle autorità Slovacche e Slovene dalle quali era emersa la falsità dei documenti di trasporto, ritenendo coinvolto nell'illecito anche il conducente degli automezzi, non soltanto in quanto ha inteso desumere elementi di colpevolezza dalla "mera scelta processuale" dell'imputato di definire il procedimento penale con la richiesta di applicazione della pena ex art. 444 c.p.c., ma soprattutto in considerazione di puntuali elementi di fatto emersi da quel procedimento penale (pienamente utilizzabili come indizi, da sottoporre al vaglio critico, anche nel giudizio tributario: cfr. Corte cass. 5 sez. 2.12.2002 n. 17037; id. 3 sez. 4.3.2004 n. 4394 secondo cui il Giudice tributario "può legittimamente porre a base del proprio convincimento, in ordine alla sussistenza dei fatti costitutivi dell'obbligazione tributaria in lite, le prove assunte in un diversoprocesso e anche in sede penale, quali prove atipiche idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non dal raffronto critico - riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato - con le altre risultanze del processo"; id. 5 sez. 21.2.2007 n. 4054) ed in particolare dalle dichiarazioni rese dallo stesso conducente dell'automezzo che aveva riferito di aver caricato gli animali in Cecoslovacchia ma di essere entrato in possesso della documentazione doganale - rivelatasi falsa - soltanto in territorio sloveno e poco prima di transitare in Italia, anomalia che avrebbe dovuto, quanto meno, indurre in sospetto - sulla effettiva regolarità della operazione doganale - il conducente in quanto soggetto esperto del settore, svolgendo egli trasporti sulle tratte internazionali e trattandosi "non di un semplice conducente di automezzi...ma del titolare della ditta di autotrasporto coinvolta"" (la possibilità per il Giudice di trarre elementi confermativi della responsabilità dalla sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen., è stata ripetutamente affermata dalla giurisprudenza di questa Corte e deriva dalla considerazione secondo cui tale sentenza "pur non determinando un accertamento insuperabile di responsabilità nei giudizi civili e amministrativi, costituisce pur sempre un indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito e, sebbene priva di efficacia automatica in ordine ai fatti accertati, implica tuttavia l'insussistenza di elementi atti a legittimare l'assoluzione dell'imputato e, quindi, può essere valutata dal giudice contabile al pari degli altri elementi di giudizio": Corte cass. SU 12.4.2012 n. 5756; id. Sez. 2, Sentenza n. 26250 del 06/12/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 15889 del 20/07/2011 - con riferimento al giudizio disciplinare -; id. 6-3 sez. ord. 6.12.2011. Cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 24587 del 03/12/2010, id. Sez. 5, Sentenza n. 10280 del 21/04/2008, id. Sez. U, Sentenza n. 17289 del 31/07/2006 - tutte con specifico riferimento al giudizio tributario - ).
2.4.6 Orbene la parte ricorrente nella esposizione dei motivi si è diffusa ampiamente nella rappresentazione di diverse ipotesi ricostruttive della vicenda in fatto, meramente alternative a quella effettuata dai Giudici territoriali, limitandosi, peraltro, a censurare soltanto taluni passaggi motivazionali non decisivi, omettendo del tutto di rivolgere la critica alle prove dei fatti specifici posti a base della decisione (evidenziati nella motivazione della decisione di prime cure - della quale la CTR friulana ha condiviso integralmente l'impianto argomentativi - e riportati, riassuntivamente, nella parte relativa allo "svolgimento del processo" della sentenza di appello), nonchè a contrapporre mere congetture alle risultanze probatorie emerse nel procedimento penale, poste dal Giudice di appello a fondamento della propria decisione, ipotizzando meri dubbi ricostruttivi della fattispecie ma senza indicare le prove decisive, e senza spiegare le ragioni per cui l'impianto probatorio sul quale il Giudice di merito ha fondato il proprio convincimento dovrebbe venire ad essere "con certezza" sostituito da elementi e valutazioni ipotetiche che risultano contrastanti e dovrebbero ritenersi prevalenti rispetto agli elementi fattuali assunti a base della decisione impugnata.
2.5.1 Con l'ottavo-H motivo i ricorrenti impugnano la sentenza di appello in quanto ritenuta affetta dal vizio di "error juris" avendo i Giudici di merito, in violazione del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 38 TULD, ritenuto gli autotrasportatori e la ditta di autotrasporto solidalmente responsabili quali soggetti passivi della obbligazione doganale, mentre tali dovevano considerarsi soltanto il "proprietario della merce" e "solidalmente tutti coloro per conto dei quali la merce è importata od esportata".
2.5.2 Il motivo è infondato.
La norma doganale asseritamente violata è infatti richiamata a sproposito riferendosi alla individuazione dei soggetti passivi della obbligazione doganale "legalmente" insorta a seguito di regolare "destinazione al consumo entro il territorio doganale" delle merci "dichiarate per la importazione definitiva" (D.P.R. n. 43 del 1973, art. 36, commi 1 e 2).
Diversamente, nel caso di specie, le norme di riferimento volte ad individuare il soggetto passivo della obbligazione doganale vanno rinvenute nell'art. 36, commi 5 e 6 TULD secondo cui la obbligazione doganale insorge ("si presume immessa definitivamente al consumo") quando la merce "sia stata indebitamente sottratta ai vincoli doganali, ovvero "non sia stata presentata alle verifiche ed ai controlli doganali nei termini presentir o ancora "non sia stata rinvenuta all'atto delle operazioni di verifica o controllo": in tali casi la responsabilità per la obbligazione doganale grava su tutti i soggetti che sono a qualsiasi titolo intervenuti a realizzare il presupposto d'imposta (con riferimento alla posizione del soggetto che provvede al trasporto delle merci: artt. 36 ter paragr. 38 paragr. 2, 40 e 64 paragr. 1 CDC; art. 181 ter reg. n. 2454/1993), come è dato desumere dal D.P.R. n. 43 del 1973 TULD, art. 282 ("chiunque" introduce illegalmente nel territorio doganale merce), art. 292 ("chiunque, fuori dei casi previsti dagli articoli precedenti, sottrae merci al pagamento dei diritti di confine dovuti.... ") e art. 329, comma 2 ("quando il delitto di contrabbando sia commesso....sui veicoli di qualsiasi genere, ...il vettore...l'Ente o la persona da cui dipende il servizio, ...l'esercente o il proprietario...sono...solidalmente responsabili con i condannati per il pagamento dei dritti dovuti"), rimanendo integrato l'elemento oggettivo della fattispecie tributaria con la "introduzione" della merce nel territorio doganale come emerge inequivocamente in tutte le ipotesi contemplate dal reg. CEE n. 2913/1992 CDC in cui è previsto che la obbligazione doganale insorge:
- con la accettazione della dichiarazione doganale (art. 201);
- al momento della "irregolare" introduzione della merce (art. 202);
- all'atto della "sottrazione delle merce al controllo" doganale (art. 203);
- con l'inadempimento agli obblighi che derivano dalla permanenza in custodia temporanea ovvero dall'utilizzazione di uno speciale regime doganale, ovvero con l'inosservanza di una delle condizioni richieste dal regime vincolato o per la fruizione di un dazio agevolato dipendente dall'utilizzazione della merce (art. 204) - al momento del consumo od utilizzazione della merce, in zona franca o in deposito franco, in condizioni diverse da quelle previste dalla normativa in vigore (art. 205).
In tutte le indicate ipotesi, oltre al debitore principale, vengono espressamente indicate come solidalmente responsabili (art. 214 CDC) tutte le altre persone che hanno partecipato in qualsiasi modo alle operazioni di introduzione della merce o ancora che hanno "acquisito o detenuto" la merce, "sapendo o dovendo, secondo ragione, sapere" che la merce era stata irregolarmente od illecitamente introdotta nel territorio doganale.
2.5.3 Orbene il soggetto incaricato del trasporto della merce, oltre ad eseguire materialmente il trasporto ed adempiere agli obblighi connessi alla presentazione della merce all'Ufficio doganale del Pese di importazione, sottoscrive il documento di trasporto (nel quale viene anche identificata la merce caricata sull'automezzo) che deve essere prodotto, su richiesta delle autorità, al momento della presentazione della dichiarazione doganale (art. 218 paragr. 2 reg.
CEE n. 2454/1993), e dunque pone in essere condotte materiali che si inseriscono causalmente nella sequenza delle diverse attività ed operazioni dirette alla "introduzione" (nella specie "irregolare") delle merci trasportate nel territorio doganale dello Stato membro destinatario finale della importazione.
Tanto è sufficiente a configurare l'elemento obiettivo, cui è ricollegata la insorgenza della obbligazione doganale, anche nei confronti del soggetto-trasportatore, laddove difetti - come nel caso di specie - la prova che lo stesso, pur avendo materialmente trasportato merce diversa da quella dichiarata dall'esportatore ed indicata nel documento di transito (Carnet TIR), ignorasse incolpevolmente del tutto o, comunque, non potesse in alcun modo sospettare della irregolarità della operazione di importazione.
Conforme a diritto deve, pertanto, ritenersi la decisione impugnata laddove ha qualificato il conducente dell'automezzo e la società di autotrasporto - quale ente proprietario del mezzo ed alle dipendenze del quale lavorava il conducente - come soggetti passivi dell'obbligazione doganale.
2.6.1 Con l'undicesimo-M motivo i ricorrenti si dolgono del mancato accoglimento da parte dei Giudici di merito della istanza istruttoria diretta all'espletamento di c.t.u. sul peso dei bovini. Sostengono i ricorrenti che i bovini di origine croata pesano mediamente Kg. 400 mentre quelli di origine ungherese o slovacca pesano circa Kg. 600, sicchè la perizia avrebbe certamente potuto dimostrare che gli animali trasportati ed introdotti in Italia erano croati e dunque conformi al regime doganale preferenziale dichiarato.
2.6.2 Il motivo che, in difetto di alcuna specificazione in rubrica, sembra rivolto a censurare la sentenza di appello in relazione al vizio di insufficienza motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), deve ritenersi inammissibile, tanto alla stregua della carente sintesi del fatto controverso richiesta a pena di inammissibilità dall'art. 366 bis c.p.c., quanto in considerazione della carente indicazione dell'elemento probatorio "decisivo" idoneo a sovvertire le conclusioni cui sono pervenuti i Giudici di merito:
- l'affermazione dei ricorrenti secondo cui "la circostanza del diverso peso del bestiame è un dato assolutamente scontato" è, infatti, del tutto indimostrata, non assurgendo tale dato al "notorio" (secondo la nozione riconosciuta dall'art. 115 c.p.c., comma 2) con la conseguenza che correttamente i Giudici di merito hanno ritenuto ininfluente ai fini della concludenza probatoria la indagine peritale - i ricorrenti non hanno rappresentato come le risultanze della c.t.u. avrebbero comunque potuto incidere - smentendole - sull'accertamento compiuto dalla Guardia di Finanza della falsità per contraffazione della documentazione di origine - apparentemente - emessa dalle Autorità croate;
- neppure è stata fornita adeguata risposta al rilievo della CTR friulana secondo cui la indagine tecnica si palesava comunque ineseguibile, in quanto, dato il tempo trascorso, non era possibile più identificare e rintracciare i capi bovini effettivamente trasportati.
In conseguenza il motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2.7.1 Infondato è il dodicesimo-N motivo con il quale i ricorrenti impugnano il capo della sentenza di appello che li condanna alla rifusione delle spese del grado (liquidate in Euro 1.424,50 di cui Euro 129,50 per spese) a favore dell'Ufficio doganale, assistito in grado di appello da un proprio funzionario, sostenendo che la liquidazione doveva essere circoscritta alle sole spese vive (con esclusione delle spese generali) e non anche ai compensi.
Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 2 bis dispone infatti che, nel caso in cui la parte pubblica, risultata vittoriosa, sia stata assistita da un proprio funzionario o da un proprio dipendente, "si applica la tariffa vigente per gli avvocati ed i procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato ivi previste, prevedendo espressamente, pertanto, la norma processuale, anche la liquidazione dei compensi per l'attività difensiva svolta in giudizio.
3. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e le parti ricorrenti vanno condannate alla rifusione delle spese del presente giudizio come liquidate in dispositivo.