TRIBUTARIO:
impugnabilità dell'invito di pagamento
in materia doganale
(Cass. Civ., Sez. Trib.,
sentenza 13 settembre 2013 n. 20951).
Interessante sentenza, che prende l'abbrivio dell'invito di pagamento in
materia doganale per svolgere un excursus sulla struttura del
processo tributario, degli atti impugnabili, dell'interesse a ricorrere,
delle azioni esperibili.
FF
Massima
1. In materia di tributi doganali, la mancata
impugnazione degli "inviti di pagamento" non preclude la proposizione
del ricorso dei contribuenti avverso le successive cartelle di pagamento.
2., L'"invito al pagamento",
emesso ai sensi dell'art. 93 del R.D. n. 65/1865, che - secondo l'originaria
previsione - precede l'atto di ingiunzione, anche dopo il venir meno in
quest'ultima, in forza del D.P.R. n.43/1988, art. 130, della funzione di
precetto e di titolo esecutivo azionabile in forme diverse dalla procedura di
riscossione a mezzo ruolo tramite il concessionario, rappresenta l'atto
attraverso il quale l'Amministrazione mette in mora il contribuente, rendendolo
edotto della maggior pretesa avanzata nei suoi confronti ed invitandolo ad
assolvere il proprio debito, pena l'avvio della procedura esecutiva.
Ed infatti, il medesimo D.P.R. n. 43, art. 67, comma
2, prevede che, scaduti infruttuosamente i termini di pagamento delle somme
indicate in tale avviso, si procede alla formazione
del ruolo, il quale costituisce titolo esecutivo, sostituendosi in tale
natura alla precedente ingiunzione, in armonia con quanto stabilito dal D.P.R. n.
602/73, art. 49, che lo indica quale strumento di legittimazione del
concessionario per procedere all'esecuzione forzata ai fini della riscossione
delle somme insolute.
3. Tale
"invito di pagamento" non è, tuttavia, ricompreso nell'elenco
tassativo degli atti tributari autonomamente impugnabili previsto dal D.Lgs. n.
546 del 1992, art. 19, e pertanto, se, da un lato, in quanto idoneo a portare a
conoscenza i presupposti di fatto e le ragioni in diritto della pretesa
impositiva, è astrattamente suscettibile, "ex se",
a fondare l'interesse alla impugnazione ex art. 100 c.p.c. del contribuente (nella
specie: cartella di pagamento attraverso la quale soltanto è possibile
impugnare anche la iscrizione a ruolo: espressamente considerato dalla
indicata norma processuale tributaria come suscettibile di autonoma
impugnazione
4. In proposito appare opportuno ribadire
che la struttura impugnatoria estesa anche al rapporto obbligatorio che
caratterizza il giudizio tributario, non sembra potersi conciliare con l'azione
di accertamento negativo puro della pretesa impositiva (cfr. Corte cass. SU
23.12.2009 n. 27209 che qualifica come "improponibile" la domanda di
accertamento negativo), laddove si consideri che la sentenza emessa in
"via anticipata" sul rapporto - se e nella misura in cui venga ad
essere definito nei suoi tratti salienti nell'atto tributario atipico - non
esonererebbe l'Amministrazione finanziaria (ove vittoriosa) a dare ulteriore
seguito alla procedura amministrativa emettendo l'atto impositivo tipico, in
ipotesi fondando la pretesa anche su ragioni nuove o diverse da quelle oggetto
del giudizio di accertamento (e non pare dubbio che anche tale atto sia
impugnabile dal contribuente, di certo per vizi propri dell'atto impositivo),
ovvero non impedirebbe alla Amministrazione finanziaria (ove soccombente) di
esercitare successivamente la potestà impositiva (integrando le lacune -
eventualmente rilevate nel giudizio di accertamento negativo - relative alla
indicazione dei presupposti di fatto od emendando le eventuali insufficienze
delle ragioni di diritto).
Ne segue che l'ipotizzata tutela
"anticipata" nei confronti di atti "strido sensu" non
impositivi non sembra funzionale ad assolvere ad effettive esigenze di difesa e
di efficienza amministrativa indicate (che potrebbero ricevere adeguata e piena
soddisfazione mediante un serio contraddittorio nella sede amministrativa
stragiudiziale), venendo piuttosto ad innescare ulteriori, e non necessarie,
occasioni di conflitto che non esiteranno a riproporsi nella successiva -
pertinente - sede della impugnazione del provvedimento impositivo tipico
notificato al contribuente. Ne consegue che l'"invito di pagamento"
in questione (in materia doganale), in quanto atto di mera partecipazione volto
a portare a conoscenza del contribuente gli esiti del controllo deve
qualificarsi come mero atto rappresentativo, "in via anticipata",
della volontà impositiva della Amministrazione - che dovrà, quindi,
successivamente, essere manifestata in forma tipizzata mediante adozione di uno
dei provvedimenti impositivi indicati nell'elenco tassativo del D.Lgs. n. 546
del 1992, art. 19 -, e dunque non soltanto deve escludersi che la omessa
impugnazione di tale atto partecipativo determini la intangibilità della
pretesa tributaria, ma deve escludersi "a priori" la stessa
impugnabilità dell'invito di pagamento che verrebbe altrimenti a risolversi in
un'azione di accertamento negativo improponibile nel giudizio tributario.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
[...]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La opposizione proposta da Autotrasporti F.lli Modesto
s.n.c. e da M.E. e M.M. avverso la iscrizione a ruolo e le cartelle di
pagamento - emessi a seguito di notifica, in data 31.5.1999, di "inviti di
pagamento" ed aventi ad oggetto la liquidazione del dazio dovuto per la
importazione nel periodo giugno- ottobre 1992 di bovini vivi di origine
slovacca anzichè, come dichiarato nelle bollette di origine croata per i quali
era previsto un regine tariffario agevolato -, veniva rigettata con sentenza n.
173/2006 della Commissione tributaria della provincia di Trieste, confermata in
grado di appello con sentenza della Commissione tributaria della regione Friuli
Venezia Giulia in data 10.7.2008 n. 34.
I Giudici territoriali, rigettata la eccezione di
prescrizione della pretesa tributaria in quanto formulata genericamente in
difetto di individuazione del termine iniziale di decorrenza, ritenevano: 1-
legittima la cartella in quanto corredata dei requisiti di forma prescritti; 2-
non credibile la ignoranza incolpevole del conducente dell'automezzo sulla
falsità dei documenti di trasporto, trattandosi del titolare della ditta di
autotrasporto e soggetto esperto del settore dei servizi di trasporto
internazionale; 3-rilevanti e pienamente utilizzabili nel giudizio tributario i
fatti accertati nel corso del procedimento penale svoltosi nei confronti del
titolare della ditta e definito con sentenza di patteggiamento; 4-
inammissibile la richiesta di espletamento della c.t.u. per verificare il peso
degli animali, sia in quanto i bovini non erano più reperibili, sia in quanto
tale perizia non poteva comunque inficiare le risultanze dei PVC redatti
all'esito delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza.
Avverso tale sentenza notificata in data 2.9.2008
hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo dodici motivi, la società di
autotrasporto, in persona dei legali rapp.ti M.E. e M.M., nonchè M.M. in
proprio, con atto spedito in data 14.11.2008 per la - notifica a mezzo posta,
ai sensi della L. n. 53 del 1994, all'Ufficio di Trieste della Agenzia delle
Dogane, ad UNIRISCOSSIONE s.p.a. n.q. di Concessionario del servizio di
riscossione della provincia di Treviso, e al Ministero della Economie e delle
Finanze.
Ha resistito la Agenzia delle Dogane con
controricorso, eccependo la inammissibilità del ricorso principale e la
improponibilità del ricorso originario proposto dai contribuenti per omessa
impugnazione dell'atto presupposto (invito di pagamento) e chiedendo il rigetto
del ricorso.
Non ha resistito UNIRISCOSSIONE s.p.a. n.q. di
Concessionario del servizio di riscossione.
MOTIVI DELLA
DECISIONE
1. Questioni pregiudiziali e
preliminari.
1.1 Va preliminarmente dichiarata
"ex officio" l'inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del
Ministero dell'Economia e delle Finanze, per difetto di legittimazione passiva
della parte resistente, non avendo assunto l'Amministrazione statale la posizione
di parte processuale nel giudizio nel giudizio svoltosi avanti la Commissione
tributaria della regione FVG, introdotto dai contribuenti- appellanti
successivamente alla data 1.1.2001 (subentro delle Agenzie fiscali a titolo di
successione particolare ex lege nella gestione dei rapporti giuridici tributari
pendenti in cui era parte l'Amministrazione statale), e nel quale risulta
costituito come parte appellata soltanto l'Ufficio delle dogane di Trieste e la
società Riscossione Uno n.q. di concessionari del servizio di riscossione.
1.2 La eccezione di inammissibilità per
asserita nullità del ricorso per cassazione - in quanto proposto nei confronti
dell'Ufficio periferico anzichè della Agenzia delle Dogane - e della notifica
dello stesso - eseguita presso la sede dell'Ufficio periferico anzichè presso
l'Avvocature erariale - è manifestamente infondata.
La irregolarità attinente alla
indicazione del soggetto resistente (dovendo, invece, ritenersi correttamente
eseguita la notifica presso la sede dell'Ufficio periferico, non essendo stato
rappresentato e difeso l'Ufficio doganale nel precedente grado di giudizio
dalla Avvocatura erariale) non determina la inammissibilità del ricorso in
quanto la irregolarità risulta sanata dalla costituzione della Agenzia delle
Dogane, e comunque dovendo ribadirsi il principio affermato da questa Corte
secondo cui "la nuova realtà ordinamentale ndr. introdotta dal D.Lgs. 30
luglio 1999, n. 300 istitutivo delle Agenzie fiscali caratterizzata dal
conferimento della capacità di stare in giudizio agli uffici periferici della
Agenzia in via concorrente ed alternativa rispetto al direttore, consente di
ritenere che la notifica della sentenza di merito......e quella del ricorso
possano essere effettuate, alternativamente, preso la sede centrale della
Agenzia o presso i suoi uffici periferici, in tal senso orientando la
interpretazione sia il principio di effettività della tutela giurisdizionale,
che impone di ridurre al massimo le ipotesi di inammissibilità, sia il
carattere impugnatorio del processo tributario,
che attribuisce la qualità di parte necessaria all'organo che ha emesso l'atto
o il provvedimento impugnato" (cfr.
Corte cass. SU 14.2.2006 n. 3116 e n.
3118 e le altre successive).
1.3 Manifestamente infondata è anche la
eccezione di improponibilità del ricorso introduttivo del giudizio di merito
proposto dai contribuenti con il quale sono state impugnate le cartelle di
pagamento.
La questione pregiudiziale, sollevata
dalla Agenzia fiscale per la prima volta avanti questa Corte (e contraddicendo,
peraltro, a quanto è dato rilevare dalla lettura della sentenza della CTR, le
difese svolte in primo grado dall'Ufficio doganale secondo cui "l'invito
al pagamento" doveva ritenersi atto non impugnabile in quanto "preordinato
al decreto ingiuntivo, poi non emesso..."), non incontra il "divieto
del "jus novorum", trattandosi di eccezione rilevabile di ufficio
anche in sede di legittimità - come ogni altra il cui oggetto non è disponibile
dalle parti - non essendo stata decisa in primo grado e non essendo stata
rilevata in appello nemmeno dal Giudice, e non implicando un nuovo accertamento
od apprezzamento di fatto (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 8558 del
05/08/1991; id.
Sez. L, Sentenza n. 4553 del 06/05/1999;
id. Sez. L, Sentenza n. 6901 del 13/05/2002; id. Sez. 1, Sentenza n. 20005 del
14/10/2005; id.
Sez. 3, Sentenza n. 13656 del
13/06/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 9297 del 18/04/2007).
La Agenzia delle Dogane sostiene che in
difetto di previa impugnazione degli "inviti di pagamento",
notificati ai contribuenti in data 31.5.1999, la pretesa tributaria è divenuta
definitiva, rimanendo in conseguenza preclusa la possibilità di far valere vizi
dell'atto presupposto attraverso la impugnazione della cartella di pagamento.
La eccezione di improponibilità del
ricorso introduttivo è infondata.
In materia di tributi doganali,
l'"invito al pagamento", emesso ai sensi dell'art. 93 del regolamento
doganale approvato con il R.D. 13 febbraio 1865, n. 65, che - secondo
l'originaria previsione - precede l'atto di ingiunzione, anche dopo il venir
meno in quest'ultima, in forza del D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, art. 130,
della funzione di precetto e di titolo esecutivo azionabile in forme diverse
dalla procedura di riscossione a mezzo ruolo tramite il concessionario,
rappresenta l'atto attraverso il quale l'Amministrazione mette in mora il
contribuente, rendendolo edotto della maggior pretesa avanzata nei suoi
confronti ed invitandolo ad assolvere il proprio debito, pena l'avvio della
procedura esecutiva.
Ed infatti, il medesimo D.P.R. n. 43,
art. 67, comma 2, prevede che, scaduti infruttuosamente i termini di pagamento
delle somme indicate in tale avviso, si procede alla formazione del ruolo, il
quale costituisce titolo esecutivo, sostituendosi in tale natura alla
precedente ingiunzione, in armonia con quanto stabilito dal D.P.R. 29 settembre
1973, n. 602, art. 49, che lo indica quale strumento di legittimazione del
concessionario per procedere all'esecuzione forzata ai fini della riscossione
delle somme insolute (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 3918 del 15/02/2008;
id. Sez. 5, Sentenza n. 13889 del 28/05/2008; id Sez. 5, Sentenza n. 15548 del
30/06/2010).
Tale "invito di pagamento" non
è, tuttavia, ricompreso nell'elenco tassativo degli atti tributari
autonomamente impugnabili previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, e
pertanto, se, da un lato, in quanto idoneo a portare a conoscenza i presupposti
di fatto e le ragioni in diritto della pretesa impositiva, è astrattamente
suscettibile, "ex se", a fondare l'interesse alla impugnazione ex
art. 100 c.p.c. del contribuente (tanto in considerazione, secondo alcune
pronunce di questa Corte, delle esigenze di certezza dei rapporti tributari che
rinvengono il loro fondamento nei principi costituzionali di buon andamento
della PA ex art. 97 Cost. e di effettività del diritto di difesa del cittadino
ex art. 24 Cost.:
cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n.
21045 del 08/10/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 4513 del 25/02/2009; id. Sez. 5,
Sentenza n. 16100 del 22/07/2011; id. Sez. 5, Sentenza n. 7344 del 11/05/2012;
id. Sez. 5, Sentenza n. 17010 del 05/10/2012), dall'altro non fa insorgere in
quest'ultimo "alcun obbligo alla impugnazione immediata", ben potendo
il contribuente esperire i mezzi di tutela, contestando la pretesa impositiva,
soltanto all'esito della notifica dell'"atto tributario tipico"
(nella specie: cartella di pagamento attraverso la quale soltanto è possibile
impugnare anche la iscrizione a ruolo: Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 1630 del
25/01/2008) espressamente considerato dalla indicata norma processuale
tributaria come suscettibile di autonoma impugnazione (cfr. Corte cass. Sez. 5,
Sentenza n. 21045 del 08/10/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 4513 del 25/02/2009;
id. Sez. 5, Sentenza n. 17010 del 05/10/2012).
In proposito appare opportuno ribadire
che la struttura impugnatoria estesa anche al rapporto obbligatorio che
caratterizza il giudizio tributario, non sembra potersi conciliare con l'azione
di accertamento negativo puro della pretesa impositiva (cfr. Corte cass. SU
23.12.2009 n. 27209 che qualifica come "improponibile" la domanda di
accertamento negativo), laddove si consideri che la sentenza emessa in
"via anticipata" sul rapporto - se e nella misura in cui venga ad essere
definito nei suoi tratti salienti nell'atto tributario atipico - non
esonererebbe l'Amministrazione finanziaria (ove vittoriosa) a dare ulteriore
seguito alla procedura amministrativa emettendo l'atto impositivo tipico, in
ipotesi fondando la pretesa anche su ragioni nuove o diverse da quelle oggetto
del giudizio di accertamento (e non pare dubbio che anche tale atto sia
impugnabile dal contribuente, di certo per vizi propri dell'atto impositivo),
ovvero non impedirebbe alla Amministrazione finanziaria (ove soccombente) di esercitare
successivamente la potestà impositiva (integrando le lacune - eventualmente
rilevate nel giudizio di accertamento negativo - relative alla indicazione dei
presupposti di fatto od emendando le eventuali insufficienze delle ragioni di
diritto). Ne segue che l'ipotizzata tutela "anticipata" nei confronti
di atti "strido sensu" non impositivi non sembra funzionale ad
assolvere ad effettive esigenze di difesa e di efficienza amministrativa
indicate (che potrebbero ricevere adeguata e piena soddisfazione mediante un
serio contraddittorio nella sede amministrativa stragiudiziale), venendo
piuttosto ad innescare ulteriori, e non necessarie, occasioni di conflitto che
non esiteranno a riproporsi nella successiva - pertinente - sede della
impugnazione del provvedimento impositivo tipico notificato al contribuente. Ne
consegue che l'"invito di pagamento" in questione (in materia
doganale), in quanto atto di mera partecipazione volto a portare a conoscenza
del contribuente gli esiti del controllo (non essendo più, dopo la riforma del
D.P.R. n. 43 del 1988, direttamente collegato all'immediato esercizio
dell'attività di riscossione coattiva: Corte cass. 5^ sez. 15.2.2008 n. 3918),
deve qualificarsi - come riconosciuto anche da una parte della dottrina - come
mero atto rappresentativo, "in via anticipata", della volontà
impositiva della Amministrazione - che dovrà, quindi, successivamente, essere
manifestata in forma tipizzata mediante adozione di uno dei provvedimenti
impositivi indicati nell'elenco tassativo del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19
-, e dunque non soltanto deve escludersi che la omessa impugnazione di tale
atto partecipativo determini la intangibilità della pretesa tributaria, ma deve
escludersi "a priori" la stessa impugnabilità dell'invito di pagamento
che verrebbe altrimenti a risolversi in un'azione di accertamento negativo
improponibile nel giudizio tributario.
Ne consegue che la mancata impugnazione
degli "inviti di pagamento" non precludeva la proposizione del
ricorso dei contribuenti avverso le successive cartelle di pagamento oggetto
del presente giudizio.
1.4 La Agenzia ha inoltre eccepito la
inammissibilità dei motivi di ricorso contrassegnati dalle lett. D, E, F, G, I
ed L in quanto sforniti della indicazione delle norme di legge violate e privi
di adeguato quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., ed ancora dei motivi
indicati sub lett. G, H, I, L ed M in quanto introducono questioni di fatto
volte ad un mero riesame del giudizio di merito.
L'esame della eccezione va rinviata in
sede di valutazione di ciascun motivo del ricorso principale.
2. Esame dei motivi del ricorso
principale.
2.1.1 Con il primo motivo-A i ricorrenti
denunciano la violazione del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 84 TULD come
modificato dalla L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 29, essendo ampiamente
decorso il termine prescrizionale per fare valere il diritto doganale, in
quanto le operazioni di importazione si erano concluse ad ottobre 1992 ed
essendo stati notificati gli inviti di pagamento soltanto il 31.5.1999.
2.1.2 Il secondo-B e terzo-C motivo -
formulati in via gradatamente subordinata - completano la censura formulata con
il primo motivo relativa alla violazione dell'art. 84 TULD in relazione alla
prescrizione del diritto doganale: i ricorrenti assumono che, nel caso in cui
il termine prescrizionale fosse fatto decorrere dalla sentenza penale n. 47 in
data 9.6.2000 (depositata in data 6.9.2000 come riferito dalla Agenzia
resistente), divenuta irrevocabile, se ne dovrebbe trarre allora la conseguenza
della inesigibilità temporanea del credito tributario e della inesistenza o
nullità di tutti gli atti del procedimento tributario compiuti in pendenza del
giudizio penale e prima del passaggio in giudicato della sentenza (ed in
particolare degli inviti a pagamento emessi dalla Direzione Circoscrizionale
delle Dogane di Trieste in data 31.5.1999), con conseguente invalidità derivata
delle cartelle di pagamento inidonee ad interrompere il termine prescrizionale.
In ogni caso, secondo i ricorrenti, la
pretesa tributaria della Agenzia delle Dogane sarebbe da ritenersi comunque
estinta, atteso che la norma di diritto internazionale di cui all'art. 6
paragr. 8 della Convenzione di Ginevra conchiusa il 15.1.1959 e ratificata con
L. 12 agosto 1962, n. 1517 - relativa al trasporto internazionale di merci su
strada - dispone il termine di prescrizione annuale e si impone quale norma
speciale sulla disciplina dell'art. 84 TULD, con la conseguenza che la
prescrizione, decorrente dal giudicato penale, alla data 5.5.2003 di notifica
delle cartelle di pagamento doveva intendersi compiuta.
2.1.3 Complementare ai precedenti motivi
di ricorso è la questione sollevata con il quarto motivo-D. I ricorrenti
censurano la sentenza di appello sostenendo che in conseguenza della
inesigibilità del credito doganale durante la pendenza del procedimento penale
"non può esservi dubbio che ogni atto notificato in data precedente è
assolutamente inesistente e comune affetto da nullità insanabile", con la
conseguenza che la inesistenza dell'atto presupposto (invito al pagamento)
determina la invalidità derivata con effetto caducante della successiva
iscrizione a ruolo e della notifica delle cartelle di pagamento.
2.1.4 I motivi, che possono essere
esaminati congiuntamente, inerendo alla medesima questione preliminare di
merito, superano il vaglio di ammissibilità in quanto corredati del quesito di
diritto ex art. 366 bis c.p.c. ed in quanto - sebbene in assenza di specifica
indicazione in rubrica delle norme violate e del vizio di legittimità censurato
- non comportano assoluta incertezza in ordine alla individuazione delle norme
di diritto asseritamente violate - riportate nella esposizione dei singoli
motivi - ed in ordine alla individuazione al parametro del sindacato di
legittimità richiesto alla Corte (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
Non può infatti ritenersi preclusa alla
Corte la corretta qualificazione ed individuazione del motivo di ricorso, nel
caso in cui, la esatta individuazione del parametro di legittimità violato
possa essere agevolmente compiuta - come nel caso di specie - alla stregua del
complessiva lettura del ricorso e precipuamente degli argomenti svolti a
sostegno della censura (cfr. Corte cass. 3941/2002; Corte cass. 1 sez. 5.4.2006 n. 7882; id. 1 sez. 13.9.2006 n.
19661; id. 1 sez. 3.3.2007 n. 7981).
2.1.5 I motivi sono tutti infondati e,
la statuizione della Commissione tributaria friulana di rigetto del motivo di
gravame con il quale veniva dedotta la eccezione di prescrizione - previa
correzione della motivazione ai sensi dell'art. 384 c.p.c. - risulta conforme a
diritto.
2.1.6 Questa Corte ha enunciato il
principio secondo cui l'azione dello Stato per l'accertamento e la riscossione
dei diritti doganali, ove il loro mancato pagamento abbia causa da un reato, si
prescrive, ai sensi del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 84, comma 3, nel
termine di tre anni (cinque anni anteriormente alle modifiche introdotte dalla
L. n. 428 del 1990, art. 29, comma 1) decorrente dalla data in cui il decreto o
la sentenza pronunciati nel procedimento penale siano divenuti irrevocabili, e
cioè da quando sia definitivamente preclusa l'ulteriore perseguibilità del
fatto come reato in forza di una qualsiasi pronuncia del giudice penale, ivi
compresa quella di estinzione del reato per prescrizione (cfr.
Corte cass. 1 sez. 10.8.1990 n. 8139;
id. 5 sez. 22.9.2006 n. 20513;
id. 5 sez. 20.3.2009 n. 6820), con la
conseguenza che, trovando titolo la obbligazione doganale (artt. 201-203 CDC),
nel caso di specie, in un fatto reato (reato di contrabbando) ed essendo
intervenuto il giudicato penale in data 9.6.2000 (circostanza incontroversa),
la prescrizione del credito doganale iscritto a ruolo e portato dalle cartelle
di pagamento non poteva iniziare a correre prima di tale data.
2.1.7 Occorre considerare al riguardo
che l'art. 221 paragr. 3 del CDC (nel testo modificato dal reg. CEE n. 2700 del
2000) stabilisce il termine di tre anni dalla insorgenza della obbligazione
doganale per la comunicazione al debitore della "contabilizzazione"
del dazio.
Lo stesso art. 221 CDC, al paragrafo 4,
consente il differimento- superamento di tale termine se "l'obbligazione
doganale sorge a seguito di un atto perseguibile penalmente": in tal caso
la comunicazione può essere effettuata alle condizioni previste dalle disposizioni
comunitarie (o in difetto nazionali) vigenti.
L'art. 84, comma 3 TULD (nel testo
modificato dalla L. n. 428 del 1990, art. 29, comma 1), nel caso in cui
"il mancato pagamento totale o parziale dei diritti abbia causa da un
reato", posterga il "dies a quo" di decorrenza del termine di
"prescrizione" triennale, stabilito in via generale "dalla data
in cui i diritti sono divenuti esigibili (comma 2, lett. d), alla data in cui
la sentenza pronunciata nel procedimento penale è divenuta irrevocabile (mentre
il comma 4 del medesimo articolo del TULD dispone che se il mancato pagamento è
dipeso da "erroneo o inesatto accertamento"" della
"quantità, qualità, valore, origine" della mercè, l'Ufficio deve
seguire il procedimento ed. di revisione già previsto dall'art. 74 TULD ed ora
dall'art. 78 CDC - c.d. controllo a posteriori - e dal D.Lgs. n. 374 del 1990,
art. 11 che è soggetto a termine di decadenza di tre anni dalla data in cui
l'accertamento è divenuto "definitivo" - id est da quando la bolletta
è stata registrata: D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 9, comma 2).
Il descritto sistema normativo è stato
interpretato da questa Corte nel senso che il termine (triennale) entro il
quale deve effettuarsi la contabilizzazione ed il recupero dei dazi "a
posteriori" (idest successivamente alla intervenuta definitività
dell'accertamento doganale od allo svincolo delle merci) deve intendersi
collegato in ogni caso (art. 221 paragr. 3 CDC, con applicazione generale
sostitutiva di eventuali termini diversi previsti dalle normative degli Stati
membri) al momento in cui nasce la obbligazione doganale con l'effettuazione
delle operazioni di importazione richieste per il perfezionamento degli
elementi costitutivi della pretesa tributaria (immissione al consumo nel Paese
di destinazione della merce importata, mediante presentazione della
dichiarazione doganale).
La comunicazione della contabilizzazione
a posteriori del dazio, può, tuttavia, essere effettuata anche oltre il termine
triennale - in tal caso da ritenersi prorogato - qualora non sia stato
possibile procedere alla liquidazione dell'importo dovuto dal contribuente
"a causa di un atto perseguibile penalmente": in tal caso la
comunicazione al debitore può essere effettuata dopo il triennio, nel senso che
la prescrizione inizia a decorrere dalla data in cui l'accertamento del reato è
divenuto irrevocabile (art. 84, comma 3 TULD).
La norma non consente, peraltro, di
ritenere indefinitamente interrotto il termine prescrizionale (o
indefinitamente sospeso quello decadenziale D.Lgs. n. 374 del 1990, ex art. 11,
comma 5) a far data dal "tempus commissi delicti" ovvero dalla
formale conoscenza del reato e fino alla pronuncia di condanna irrevocabile, in
quanto in tal modo si "finirebbe per prorogare sine die il termine per la
contabilizzazione a posteriori, sul quale non possono influire eventuali
disfunzioni amministrative nell'espletamento dei controlli ad un imperfetto
coordinamento tra le autorità doganali nazionali e comunitarie
imputabili". Diversamente opinando si verrebbe, infatti, ad arrecare un
vulnus al principio di certezza dei rapporti giuridici in quanto il
prolungamento del termine in questione sarebbe arbitrariamente demandato ai
tempi burocratici od alle inefficienze della PA, che caratterizzano l'esercizio
dei poteri di verifica e di accertamento, o peggio ai ritardi attribuibili agli
organi amministrativi nel trasmettere la notizia di fatti penalmente rilevanti
appresi nel corso delle indagini svolte in attuazione dei compiti istituzionali
(cfr. Corte cass. 5 sez. n. 22014/2006 cit; id.
5 sez. 6.9.2006 n. 19193).
L'evento al quale deve essere
ricollegato l'effetto normativo della proroga del termine prescrizionale è
stato, pertanto, individuato dalla giurisprudenza di legittimità nel primo atto
della PA con il quale venga formulata una ipotesi suscettibile di configurare
anche astrattamente un fatto illecito penalmente rilevante ("notitia
criminis"), idoneo ad incidere sul presupposto d'imposta.
Se tale atto (notitia criminis)
interviene nel triennio decorrente dalla insorgenza della obbligazione
doganale, allora opera la "proroga" predetta fino al definitivo
accertamento del reato;
diversamente debbono ritenersi
irrilevanti sul decorso del termine triennale - conformemente al disposto
dell'art. 2935 c.c. - eventuali impedimenti di mero fatto all'esercizio del
diritto da parte della Amministrazione doganale, quale ad esempio la mancata
tempestiva scoperta dell'illecito da cui origina la pretesa di maggiori dazi
(con l'unica eccezione dell'occultamento doloso del debito: cfr.
Corte cass. 5 sez. 13.10.2006 n. 22014,
in motivazione).
2.1.8 Alla stregua della indicata
interpretazione delle norme disciplinanti la materia del recupero a posteriori
dei dazi (condivisa anche dalle successive sentenze della Corte: cfr. Corte
cass. 5 sez. 14.5.2008 n. 12037; id. 5 sez. ord. 2.3.2009 n. 4999;
id. 5 sez. 7.5.2010 n. 11181), la
questione di diritto sottoposta alla Corte deve essere risolta a favore della
Agenzia delle Dogane, essendo stata azionata la pretesa, mediante iscrizione a
ruolo e conseguente notifica della cartelle di pagamento, entro il termine
triennale decorrente dalla irrevocabilità della sentenza penale, e non essendo
stato, peraltro, neppure allegato dai ricorrenti che la prescrizione sia
maturata (o la decadenza si sia verificata) in dipendenza di un ipotetica
tardiva scoperta dell'illecito ovvero in un ingiustificabile ritardo della PA
nella trasmissione della "notitia criminis".
2.1.9 Priva di fondamento giuridico,
inoltre, è la tesi difensiva secondo cui il differimento ex lege (art. 84,
comma 3 TULD) del "dies a quo" del termine prescrizionale
precluderebbe alla Amministrazione l'esercizio dei poteri impositivi: tale
effetto preclusivo, infatti, non è espressamente contemplato dalla norma
doganale, nè e dato in essa rinvenire, neppure implicitamente, una
giustificazione razionale dell'effetto sospensivo della potestà tributaria.
Lo spostamento legale del termine non
trova, infatti, fondamento nella impossibilità legale di esercizio del diritto,
ma in una situazione di mero fatto - scoperta di una condotta penalmente
illecita rilevante sul presupposto impositivo - che rende opportuno il
differimento del termine ad esclusivo vantaggio della Amministrazione
finanziaria (in considerazione della prevedibile complessità delle indagini
volte alla ricostruzione della fattispecie concreta), e che, in difetto di
espressa considerazione nella norma doganale, sarebbe altrimenti rimasta
indubitabilmente sottratta al campo di applicazione dell'art. 2935 c.c.
(impedimento giuridico).
L'Agenzia delle Dogane è dunque
legittimata, anche in pendenza di procedimento penale, ad esercitare il potere
impositivo (come è dato indirettamente argomentare anche dalla autonomia dei
giudizi penale e tributario D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 20), essendo
facoltizzata, in ogni caso, ad avvalersi del più lungo termine di prescrizione
fissato dalla norma del TULD per la riscossione dei diritti doganali.
In ogni caso la censura non è pertinente
alla fattispecie in quanto, come precedentemente rilevato, l'"invito al
pagamento" (cfr. art. 93 reg. n. 65/1865; D.P.R. n. 43 del 1988, art. 67)
non costituisce atto formale tipico attraverso il quale l'Amministrazione
doganale esercita la potestà impositiva (svolgendo soltanto la funzione di una
comunicazione anticipata degli elementi costitutivi della pretesa che verrà
azionata successivamente), dovendo questo piuttosto identificarsi, in seguito
alla abrogazione del sistema di riscossione di cui al R.D. n. 639 del 1910
disposta dal D.P.R. n. 43 del 1988, nell'atto di iscrizione a ruolo e nella
emissione della cartella di pagamento, atti che, nella specie, sono stati
entrambi adottati dalla Agenzia delle Dogane successivamente alla
irrevocabilità della sentenza penale, venendo quindi meno lo stesso presupposto
di fatto su cui viene fondata la censura proposta dai ricorrenti.
2.1.10 Scarsamente intelligibile risulta
il terzo motivo con il quale i ricorrenti eccepiscono la prescrizione del
diritto ai sensi dell'art. 6 paragr. 8 della Convenzione doganale di Ginevra in
data 15.1.1959 concernente il trasporto internazionale di merci con libretti
TIR e ratificata con legge n. 1517/1962 (tale convenzione è stata infatti
abrogata, con effetto dalla entrata in vigore della nuova Convenzione
concernente il trasporto internazionale di merci con libretti TIR, conchiusa a
Ginevra il 14.11.1975 - cfr art. 56, comma 1 - approvata dalla CE in data il
25.7.1978 e ratificata con L. 7 ottobre 1982, n. 706, e non può dunque trovare
applicazione alla fattispecie in esame).
La norma invocata si riferisce,
peraltro, alla obbligazione avente ad oggetto il pagamento dei diritto
doganali, degli interessi e delle pene pecuniarie assunta - non dal vettore ma
- dalla "associazione" - riconosciuta dal Paese contraente ai sensi
dell'art. 5 Conv. - chiamata a garantire il trasporto mediante rilascio del
libretto TIR e prestazione di apposita fidejussione doganale. Nel caso in cui
lo scarico del libretto TIR sia avvenuto con abuso o con frode, le autorità
doganali devono darne comunicazione alla associazione nel termine di due anni
(art. 6 paragr. 7), e debbono quindi notificare alla associazione - a pena di
decadenza, entro tre anni da detta comunicazione - la domanda di pagamento dei
diritti doganali:
nondimeno, come prescritto dall'art. 6
paragr. 8, "se durante tale termine il caso sia stato deferito alla autorità
giudiziaria, la domanda di pagamento è notificata entro un anno dal giorno in
cui la decisione giudiziaria sia passata in giudicato".
La Convenzione internazionale si
limitava a disciplinare, pertanto, soltanto la obbligazione solidale
dell'associazione garante (art. 6 paragr. 1), senza incidere in alcun modo
sulle modalità di insorgenza della obbligazione doganale nei confronti dei
"soggetti- debitori", risultando dunque inconferente il richiamo al
termine di decadenza annuale ivi previsto che non sostituisce, quindi, quello
triennale previsto dall'art. 84, comma 3 TULD. 2.2.1 Con il quinto-E e sesto-F
motivo viene dedotta, sotto diversi profili, la violazione della L. n. 241 del
1990, art. 7 avendo i Giudici territoriali erroneamente ritenuto legittimi gli
"inviti al pagamento" che invece erano privi della indicazione del
responsabile amministrativo,
dell'autorità amministrativa alla quale era possibile proporre ricorso per
attivare i poteri di autotutela, della indicazione del termine di impugnazione e
dell'autorità giudiziaria avanti la quale era opponibile l'atto.
2.2.2 Entrambi i motivi, corredati del
quesito di diritto, sono ammissibili ma infondati.
2.2.3 Premesso che le indicazioni in
questione sono prescritte, in via generale, per i soli atti impositivi (L. n.
212 del 2000, art. 7, comma 2, lett. a, b, c) e non anche per i meri atti di
partecipazione che "anticipano" la esternazione delle ragioni della
pretesa fiscale, quali appunto gli "inviti al pagamento", vale
osservare che la omessa indicazione della autorità amministrativa "presso
la quale è possibile promuovere un riesame anche del merito dell'atto in sede
di autotutela", non determina ex se la invalidità dell'atto, alla stregua
del principio enunciato da questa Corte, e dal quale il Collegio non ha ragione
di discostarsi, secondo cui "la mancata indicazione negli atti impositivi
degli enti contro i quali può proporsi ricorso...... non determina alcun
pregiudizio per la difesa del contribuente, in quanto si tratta di indicazioni
che, ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 2, non sono
previste a pena di nullità e potrebbero assumere rilevanza solo se ne derivi
una giustificata incertezza sui mezzi di tutela" (cfr. Corte cass. 5 sez.
ord. 30.9.2011 n. 20024). Del pari la mancata indicazione nell'"avviso di
pagamento" dell'organo giudiziario avanti alla quale è consentito proporre
la opposizione e del relativo termine di impugnazione (L. n. 241 del 1990, art.
7, comma 3 e L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2, lett. c)) non inficia la
validità dell'atto impositivo, ma "comporta, sul piano processuale, il
riconoscimento della scusabilità dell'errore in cui sia eventualmente incorso
il ricorrente, con conseguente riammissione in termini per l'impugnativa, ove
questa sia stata tardivamente proposta" (cfr.
Corte cass. 5 sez. ord. 27.9.2011 n.
19675; id. Sez. 1, Sentenza n. 3840 del 26/02/2004; id. Sez. 5, Sentenza n.
19189 del 06/09/2006;
id. Sez. 5, Sentenza n. 20532 del
22/09/2006 secondo cui "In tema di accertamento della tassa per lo
smaltimento dei rifiuti solidi urbani, la mancata indicazione, nell'avviso di
accertamento, dell'autorità amministrativa dinanzi alla quale il contribuente
può presentare ricorso non comporta la nullità dell'atto: tale sanzione,
infatti, non è prevista nè dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, il quale
prescrive unicamente l'indicazione del termine e dell'autorità giurisdizionale
alla quale è possibile ricorrere, essendo quella giurisdizionale la via
ordinaria d'impugnazione, nè dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, il quale
richiede l'indicazione dell'autorità amministrativa soltanto in alternativa a
quella dell'organo giurisdizionale, essendo tale indicazione sufficiente ai
fini della tutela del diritto di difesa del contribuente"; id. Sez. 3, Sentenza
n. 1766 del 08/02/2012).
I contribuenti, nella specie, non hanno
peraltro allegato, nè dimostrato, se e quale pregiudizio abbiano in concreto
subito in ordine all'esercizio dei rimedi a tutela ed al proprio diritto di
difesa, atteso che, come emerge dalla sentenza impugnata, risulta al contrario
che sono stati in grado di svolgere compiutamente tutte le difese mediante
impugnazione dei ruoli e delle cartelle di pagamento.
2.4.1 Con il settimo-G motivo i
ricorrenti hanno censurato la sentenza appello nella parte in cui era stata
riconosciuta la responsabilità solidale dei conducenti degli automezzi e della
società di trasporto per la obbligazione doganale derivante dalla immissione al
consumo di merce (animali vivi) non corrispondente per requisito di origine a
quella indicata nelle bollette doganali e nei documenti di trasporto.
2.4.2 Con i motivi nono-I e decimo-L si
censura ancora la sentenza di appello per erronea valutazione della efficacia
probatoria della sentenza penale del Tribunale di Trieste n. 487 in data
9.6.2000, di applicazione della pena su richiesta delle parti, e per non avere
"dato rilievo alla possibilità di erroneità della indagine e quindi della
esistenza dell'attività di presunto contrabbando".
2.4.3 I tre motivi, che devono
intendersi diretti a far valere un vizio logico della motivazione, e che,
stante la connessione logica, possono essere esaminati congiuntamente, debbono
ritenersi inammissibili.
2.4.4 Ed infatti se, da un lato, difetta
del tutto il requisito di ammissibilità richiesto dall'art. 366 bis c.p.c. -
espressamente richiesto anche nel caso in cui venga denunciato il vizio di
legittimità di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) - attesa la assoluta
genericità e tautologia della formulazione sintetica del fatto controverso e la
omessa individuazione della parte argomentativa della sentenza affetta dal
vizio logico impugnata ("la Corte dovrà ritenere inesistente una prova
dell'esistenza del consilum fraudis con la complicità degli autisti...";
"La Corte ritenuta la natura dell'istituto del patteggiamento quale libera
scelta processuale .....dovrà valutare la mancanza di una certa responsabilità
penale..."; "La Corte dovrà valutare la possibilità della erroneità
della indagine"), dall'altro nessuno dei motivi assolve al requisito di
"specificità" di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4) (che se pure
non espressamente previsto da tale norma processuale deve, tuttavia, egualmente
desumersi dalla tassativa indicazione dei paradigmi normativi del vizio di
legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1-5, alla stregua dei quali
soltanto può essere condotto il sindacato di legittimità, che presuppongono
inequivocamente e necessariamente la precisa individuazione dell'errore di
fatto o di diritto cui deve rivolgersi "specificamente" la critica
del ricorrente).
Al ricorrente è, infatti, richiesto di
fornire "la precisa indicazione di carenze o lacune nelle argomentazioni
sulle quali si basa la decisione od il capo di essa censurato, ovvero la
specificazione di illogicità o ancora la mancanza di coerenza fra le varie
ragioni esposte e quindi l'assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e
l'insanabile contrasto degli stessi" (Corte cass. 3 sez. 5.3.2007 n. 5066;
id sez. lav. 23.5.2007 n. 12052), non essendo invece consentito, in considerazione
dei limiti imposti dalla funzione nomofilattica affidata alla Corte, procedere
nel giudizio di legittimità, non solo al riesame delle provela cui
valutazione sia stata fatta in modo difforme da quella prospettata dal
ricorrente, ma altresì all'accertamento di un eventuale travisamento delle prove stesse,
essendo il controllo possibile solo se tale vizio logico si traduca in una
insufficiente motivazione. Infatti, la valutazione delle prove da
parte del giudice di merito sfugge al sindacato della suprema Corte se, dalla
motivazione della sentenza, risulti che detto giudice abbia desunto il proprio
convincimento dall'esame di tutte le risultanze istruttorie ed abbia
ottemperato al dovere di spiegare le ragioni che lo hanno indotto a preferire
l'uria anzichè l'altra delle versioni prospettate dalle parti (massima
consolidata: Corte cass. 3 sez. 11.2.1969 n 478; id. 5 sez. 12.8.2004 n. 15675;
id. sez. lav. 11.7.2007 n. 15489; id. sez. lav. 2.2.2007 n. 2272; id. sez. lav.
23.12.2009 n. 27162).
Ne consegue che, per assolvere
all'indicato requisito di specificità, il motivo con il quale viene dedotto il
vizio motivazionale deve evidenziare in modo chiaro e preciso il carattere
"decisivo" della prova omessa od inesattamente apprezzata dal giudice
di merito, come peraltro richiesto espressamente dall'art. 360 c.p.c., comma 1,
n. 5).
La nozione di "punto decisivo"
della controversia ("fatto controverso e decisivo" nel testo
dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) sostituito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n.
40, art. 2, comma 1), di cui all'art. 360 cod. proc. civ., n. 5, sotto un primo
aspetto si correla al "fatto" sulla cui ricostruzione il vizio di
motivazione avrebbe inciso, ed implica che il vizio deve avere inciso sulla
ricostruzione di un fatto che ha determinato il giudice all'individuazione
della disciplina giuridica applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio di
merito e, quindi, di un "fatto costitutivo, modificativo, impeditivo od
estintivo del diritto".
Sotto un secondo aspetto, la nozione di
decisività concerne non il fatto sulla cui ricostruzione il vizio stesso ha
inciso, bensì la stessa idoneità del vizio denunciato a determinarne una
diversa ricostruzione e, dunque, afferisce al "nesso di casualità fra il
vizio della motivazione e la decisione", essendo, pertanto, necessario che
il vizio, una volta riconosciuto esistente, sia tale che, se non fosse stato
compiuto, si sarebbe avuta una ricostruzione del fatto diversa da quella
accolta dal giudice del merito e non già la sola possibilità o probabilità di
essa. Infatti, se il vizio di motivazione per omessa considerazione di punto
decisivo fosse configurabile solo per il fatto che la circostanza di cui il
giudice del merito ha omesso la considerazione, ove esaminata, avrebbe reso
"soltanto possibile o probabile" una ricostruzione del fatto diversa
da quella adottata dal giudice del merito, oppure se il vizio di motivazione
per insufficienza o contraddittorietà fosse configurabile solo perchè su uno
specifico fatto appaia esistente una motivazione logicamente insufficiente o
contraddittoria, senza che rilevi se la decisione possa reggersi, in base al
suo residuo argomentare, il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360, n. 5
si risolverebbe nell'investire la Corte di Cassazione del controllo "sic
et simpliciter" dell'iter logico della motivazione, del tutto svincolato
dalla funzionalità rispetto ad un esito della ricostruzione del fatto idoneo a
dare luogo ad una soluzione della controversia diversa da quella avutasi nella
fase di merito (cfr.
Corte cass. 3
sez. 7/12/2004 n. 22979; id. 3 sez. 5/08/2005 n. 16582;
id. 3 sez.
22/09/2006 n. 20636).
Ne consegue che deve essere data
conferma al principio di diritto enunciato dalla Corte secondo cui "per
poter configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della
controversia è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si
assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far
ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad
una diversa soluzione della vertenza. Il mancato esame di elementi probatori,
contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio
di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non
esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera
probabilità, l'efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il
convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di
base" (cfr. Corte cass. Sez. Lav. 26.5.2004 n. 10156; id. 3 sez.
21/04/2006 n. 9368; id 3 sez. 26/06/2007 n. 14752).
2.4.5 Tanto premesso il Giudice friulano
ha individuato gli elementi determinanti ai fini della decisione, nelle
indagini eseguite dalla Guardia di Finanza e nelle informazioni fornite dalle
autorità Slovacche e Slovene dalle quali era emersa la falsità dei documenti di
trasporto, ritenendo coinvolto nell'illecito anche il conducente degli
automezzi, non soltanto in quanto ha inteso desumere elementi di colpevolezza
dalla "mera scelta processuale" dell'imputato di definire il
procedimento penale con la richiesta di applicazione della pena ex art. 444
c.p.c., ma soprattutto in considerazione di puntuali elementi di fatto emersi
da quel procedimento penale (pienamente utilizzabili come indizi, da sottoporre
al vaglio critico, anche nel giudizio tributario: cfr. Corte cass. 5 sez.
2.12.2002 n. 17037; id. 3 sez. 4.3.2004 n. 4394 secondo cui il Giudice
tributario "può legittimamente porre a base del proprio convincimento, in
ordine alla sussistenza dei fatti costitutivi dell'obbligazione tributaria in
lite, le prove assunte
in un diversoprocesso e anche
in sede penale, quali prove atipiche idonee
a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non dal raffronto
critico - riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di
legittimità, se congruamente motivato - con le altre risultanze del processo"; id. 5
sez. 21.2.2007 n. 4054) ed in particolare dalle dichiarazioni rese dallo stesso
conducente dell'automezzo che aveva riferito di aver caricato gli animali in
Cecoslovacchia ma di essere entrato in possesso della documentazione doganale -
rivelatasi falsa - soltanto in territorio sloveno e poco prima di transitare in
Italia, anomalia che avrebbe dovuto, quanto meno, indurre in sospetto - sulla
effettiva regolarità della operazione doganale - il conducente in quanto
soggetto esperto del settore, svolgendo egli trasporti sulle tratte
internazionali e trattandosi "non di un semplice conducente di
automezzi...ma del titolare della ditta di autotrasporto coinvolta""
(la possibilità per il Giudice di trarre elementi confermativi della
responsabilità dalla sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444
cod. proc. pen., è stata ripetutamente affermata dalla giurisprudenza di questa
Corte e deriva dalla considerazione secondo cui tale sentenza "pur non
determinando un accertamento insuperabile di responsabilità nei giudizi civili
e amministrativi, costituisce pur sempre un indiscutibile elemento di prova per
il giudice di merito e, sebbene priva di efficacia automatica in ordine ai
fatti accertati, implica tuttavia l'insussistenza di elementi atti a
legittimare l'assoluzione dell'imputato e, quindi, può essere valutata dal
giudice contabile al pari degli altri elementi di giudizio": Corte cass.
SU 12.4.2012 n. 5756; id. Sez. 2, Sentenza n. 26250 del 06/12/2011; id. Sez. 3,
Sentenza n. 15889 del 20/07/2011 - con riferimento al giudizio disciplinare -;
id. 6-3 sez. ord. 6.12.2011. Cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 24587 del
03/12/2010, id. Sez. 5, Sentenza n. 10280 del 21/04/2008, id. Sez. U, Sentenza
n. 17289 del 31/07/2006 - tutte con specifico riferimento al giudizio
tributario - ).
2.4.6 Orbene la parte ricorrente nella
esposizione dei motivi si è diffusa ampiamente nella rappresentazione di
diverse ipotesi ricostruttive della vicenda in fatto, meramente alternative a
quella effettuata dai Giudici territoriali, limitandosi, peraltro, a censurare
soltanto taluni passaggi motivazionali non decisivi, omettendo del tutto di
rivolgere la critica alle prove dei
fatti specifici posti a base della decisione (evidenziati nella motivazione
della decisione di prime cure - della quale la CTR friulana ha condiviso
integralmente l'impianto argomentativi - e riportati, riassuntivamente, nella
parte relativa allo "svolgimento del processo" della
sentenza di appello), nonchè a contrapporre mere congetture alle risultanze
probatorie emerse nel procedimento penale, poste dal Giudice di appello a
fondamento della propria decisione, ipotizzando meri dubbi ricostruttivi della
fattispecie ma senza indicare le prove decisive,
e senza spiegare le ragioni per cui l'impianto probatorio sul quale il Giudice
di merito ha fondato il proprio convincimento dovrebbe venire ad essere
"con certezza" sostituito da elementi e valutazioni ipotetiche che
risultano contrastanti e dovrebbero ritenersi prevalenti rispetto agli elementi
fattuali assunti a base della decisione impugnata.
2.5.1 Con l'ottavo-H motivo i ricorrenti
impugnano la sentenza di appello in quanto ritenuta affetta dal vizio di
"error juris" avendo i Giudici di merito, in violazione del D.P.R. n.
43 del 1973, art. 38 TULD, ritenuto gli autotrasportatori e la ditta di
autotrasporto solidalmente responsabili quali soggetti passivi della
obbligazione doganale, mentre tali dovevano considerarsi soltanto il
"proprietario della merce" e "solidalmente tutti coloro per
conto dei quali la merce è importata od esportata".
2.5.2 Il motivo è infondato.
La norma doganale asseritamente violata
è infatti richiamata a sproposito riferendosi alla individuazione dei soggetti
passivi della obbligazione doganale "legalmente" insorta a seguito di
regolare "destinazione al consumo entro il territorio doganale" delle
merci "dichiarate per la importazione definitiva" (D.P.R. n. 43 del
1973, art. 36, commi 1 e 2).
Diversamente, nel caso di specie, le
norme di riferimento volte ad individuare il soggetto passivo della
obbligazione doganale vanno rinvenute nell'art. 36, commi 5 e 6 TULD secondo
cui la obbligazione doganale insorge ("si presume immessa definitivamente
al consumo") quando la merce "sia stata indebitamente sottratta ai
vincoli doganali, ovvero "non sia stata presentata alle verifiche ed ai
controlli doganali nei termini presentir o ancora "non sia stata rinvenuta
all'atto delle operazioni di verifica o controllo": in tali casi la
responsabilità per la obbligazione doganale grava su tutti i soggetti che sono
a qualsiasi titolo intervenuti a realizzare il presupposto d'imposta (con
riferimento alla posizione del soggetto che provvede al trasporto delle merci:
artt. 36 ter paragr. 38 paragr. 2, 40 e 64 paragr. 1 CDC; art. 181 ter reg. n.
2454/1993), come è dato desumere dal D.P.R. n. 43 del 1973 TULD, art. 282
("chiunque" introduce illegalmente nel territorio doganale merce),
art. 292 ("chiunque, fuori dei casi previsti dagli articoli precedenti,
sottrae merci al pagamento dei diritti di confine dovuti.... ") e art.
329, comma 2 ("quando il delitto di contrabbando sia commesso....sui
veicoli di qualsiasi genere, ...il vettore...l'Ente o la persona da cui dipende
il servizio, ...l'esercente o il proprietario...sono...solidalmente
responsabili con i condannati per il pagamento dei dritti dovuti"),
rimanendo integrato l'elemento oggettivo della fattispecie tributaria con la
"introduzione" della merce nel territorio doganale come emerge
inequivocamente in tutte le ipotesi contemplate dal reg. CEE n. 2913/1992 CDC
in cui è previsto che la obbligazione doganale insorge:
- con la accettazione della
dichiarazione doganale (art. 201);
- al momento della
"irregolare" introduzione della merce (art. 202);
- all'atto della "sottrazione delle
merce al controllo" doganale (art. 203);
- con l'inadempimento agli obblighi che
derivano dalla permanenza in custodia temporanea ovvero dall'utilizzazione di
uno speciale regime doganale, ovvero con l'inosservanza di una delle condizioni
richieste dal regime vincolato o per la fruizione di un dazio agevolato
dipendente dall'utilizzazione della merce (art. 204) - al momento del consumo
od utilizzazione della merce, in zona franca o in deposito franco, in
condizioni diverse da quelle previste dalla normativa in vigore (art. 205).
In tutte le indicate ipotesi, oltre al
debitore principale, vengono espressamente indicate come solidalmente
responsabili (art. 214 CDC) tutte le altre persone che hanno partecipato in
qualsiasi modo alle operazioni di introduzione della merce o ancora che hanno
"acquisito o detenuto" la merce, "sapendo o dovendo, secondo
ragione, sapere" che la merce era stata irregolarmente od illecitamente
introdotta nel territorio doganale.
2.5.3 Orbene il soggetto incaricato del
trasporto della merce, oltre ad eseguire materialmente il trasporto ed
adempiere agli obblighi connessi alla presentazione della merce all'Ufficio
doganale del Pese di importazione, sottoscrive il documento di trasporto (nel
quale viene anche identificata la merce caricata sull'automezzo) che deve
essere prodotto, su richiesta delle autorità, al momento della presentazione
della dichiarazione doganale (art. 218 paragr. 2 reg.
CEE n. 2454/1993), e dunque pone in
essere condotte materiali che si inseriscono causalmente nella sequenza delle
diverse attività ed operazioni dirette alla "introduzione" (nella
specie "irregolare") delle merci trasportate nel territorio doganale
dello Stato membro destinatario finale della importazione.
Tanto è sufficiente a configurare
l'elemento obiettivo, cui è ricollegata la insorgenza della obbligazione
doganale, anche nei confronti del soggetto-trasportatore, laddove difetti -
come nel caso di specie - la prova che lo stesso, pur avendo materialmente
trasportato merce diversa da quella dichiarata dall'esportatore ed indicata nel
documento di transito (Carnet TIR), ignorasse incolpevolmente del tutto o,
comunque, non potesse in alcun modo sospettare della irregolarità della
operazione di importazione.
Conforme a diritto deve, pertanto,
ritenersi la decisione impugnata laddove ha qualificato il conducente
dell'automezzo e la società di autotrasporto - quale ente proprietario del
mezzo ed alle dipendenze del quale lavorava il conducente - come soggetti
passivi dell'obbligazione doganale.
2.6.1 Con l'undicesimo-M motivo i
ricorrenti si dolgono del mancato accoglimento da parte dei Giudici di merito
della istanza istruttoria diretta all'espletamento di c.t.u. sul peso dei
bovini. Sostengono i ricorrenti che i bovini di origine croata pesano
mediamente Kg. 400 mentre quelli di origine ungherese o slovacca pesano circa
Kg. 600, sicchè la perizia avrebbe certamente potuto dimostrare che gli animali
trasportati ed introdotti in Italia erano croati e dunque conformi al regime
doganale preferenziale dichiarato.
2.6.2 Il motivo che, in difetto di
alcuna specificazione in rubrica, sembra rivolto a censurare la sentenza di
appello in relazione al vizio di insufficienza motivazionale ex art. 360
c.p.c., comma 1, n. 5), deve ritenersi inammissibile, tanto alla stregua della
carente sintesi del fatto controverso richiesta a pena di inammissibilità
dall'art. 366 bis c.p.c., quanto in considerazione della carente indicazione
dell'elemento probatorio "decisivo" idoneo a sovvertire le
conclusioni cui sono pervenuti i Giudici di merito:
- l'affermazione dei ricorrenti secondo
cui "la circostanza del diverso peso del bestiame è un dato assolutamente
scontato" è, infatti, del tutto indimostrata, non assurgendo tale dato al
"notorio" (secondo la nozione riconosciuta dall'art. 115 c.p.c.,
comma 2) con la conseguenza che correttamente i Giudici di merito hanno
ritenuto ininfluente ai fini della concludenza probatoria la indagine peritale
- i ricorrenti non hanno rappresentato come le risultanze della c.t.u.
avrebbero comunque potuto incidere - smentendole - sull'accertamento compiuto
dalla Guardia di Finanza della falsità per contraffazione della documentazione
di origine - apparentemente - emessa dalle Autorità croate;
- neppure è stata fornita adeguata
risposta al rilievo della CTR friulana secondo cui la indagine tecnica si
palesava comunque ineseguibile, in quanto, dato il tempo trascorso, non era
possibile più identificare e rintracciare i capi bovini effettivamente
trasportati.
In conseguenza il motivo di ricorso deve
essere dichiarato inammissibile.
2.7.1 Infondato è il dodicesimo-N motivo
con il quale i ricorrenti impugnano il capo della sentenza di appello che li
condanna alla rifusione delle spese del grado (liquidate in Euro 1.424,50 di
cui Euro 129,50 per spese) a favore dell'Ufficio doganale, assistito in grado
di appello da un proprio funzionario, sostenendo che la liquidazione doveva
essere circoscritta alle sole spese vive (con esclusione delle spese generali)
e non anche ai compensi.
Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15,
comma 2 bis dispone infatti che, nel caso in cui la parte pubblica, risultata
vittoriosa, sia stata assistita da un proprio funzionario o da un proprio
dipendente, "si applica la tariffa vigente per gli avvocati ed i
procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato ivi
previste, prevedendo espressamente, pertanto, la norma processuale, anche la
liquidazione dei compensi per l'attività difensiva svolta in giudizio.
3. In conclusione il ricorso deve essere
rigettato e le parti ricorrenti vanno condannate alla rifusione delle spese del
presente giudizio come liquidate in dispositivo.