venerdì 8 febbraio 2013

L'attualissimo Discorso di Cromwell al Parlamento inglese (1653).



Chi può aver dimenticato il "disperato" editoriale del Financial Times (che già aveva definito B. "unfit") poco prima della caduta del penultimo Governo nel novembre 2011?
Parole, quelle di Cromwell, non "sante", ma quantomai attuali.

Dissolution of long Parliament. 

"It is high time for me to put an end to your sitting in this place, which you have dishonored by your contempt of all virtue, and defiled by your practice of every vice; ye are a factious crew, and enemies to all good government; ye are a pack of mercenary wretches, and would like Esau sell your country for a mess of pottage, and like Judas betray your God for a few pieces of money. Is there a single virtue now remaining amongst you? Is there one vice you do not possess? Ye have no more religion than my horse; gold is your God; which of you have not barter'd your conscience for bribes? Is there a man amongst you that has the least care for the good of the Commonwealth? Ye sordid prostitutes have you not defil'd this sacred place, and turn'd the Lord's temple into a den of thieves, by your immoral principles and wicked practices? Ye are grown intolerably odious to the whole nation; you were deputed here by the people to get grievances redress'd, are yourselves gone! So! Take away that shining bauble there, and lock up the doors. 

Scioglimento del Parlamento permanente.

"È tempo per me di fare qualcosa che avrei dovuto fare molto tempo fa: mettere fine alla vostra permanenza in questo posto, che avete disonorato disprezzandone tutte le virtù e profanato con ogni vizio; siete un gruppo fazioso, nemici del buon governo, banda di miserabili mercenari, scambiereste il vostro Paese con Esaù per un piatto di lenticchie; come Giuda, tradireste il vostro Dio per pochi spiccioli. Avete conservato almeno una virtù? C'è almeno un vizio che non avete preso? Il mio cavallo crede più di voi; l'oro è il vostro Dio; chi fra voi non baratterebbe la propria coscienza in cambio di soldi? È rimasto qualcuno a cui almeno interessa il bene del Commonwealth? Voi, sporche prostitute, non avete forse profanato questo sacro luogo, trasformato il tempio del Signore in una tana di lupi con immorali principi e atti malvagi? Siete diventati intollerabilmente odiosi per un'intera nazione; il popolo vi aveva scelto per riparare le ingiustizie, siete voi ora l'ingiustizia! Basta! Portate via la vostra chincaglieria luccicante e chiudete le porte a chiave".

giovedì 7 febbraio 2013

"Facit de albo nigrum, aequat quadrata rotundis?" Ancora sul rapporto tra ottemperanza e decreto decisorio del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (Consiglio di Stato, Sez. VI, Ordinanza di rimessione all'Adunanza Plenaria, 1 febbraio 2013, n. 637).



ADUNANZE PLENARIE:

"Facit de albo nigrum, aequat quadrata rotundis?" 
Ancora sul rapporto tra ottemperanza 
e decreto decisorio del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica 
(Consiglio di Stato, Sez. VI, Ordinanza di rimessione all'Adunanza Plenaria, 1 febbraio 2013, n. 637)


Massima (tratta dal sito www.ildirittoamministrativo.it)

Nell’ordinanza del [Consiglio di Stato], sez. III, n. 4666 del 4.8.2011, ... – pur ribadendosi l’esperibilità del giudizio di ottemperanza, per la piena esecuzione del “decisum” conseguente a ricorso straordinario (in conformità alla sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 2065/2011) – si esprimeva un diverso avviso ... , per quanto riguarda l’individuazione del giudice dell’esecuzione competente, a norma dell’art. 113 c.p.a., con conclusiva riconduzione della decisione sul ricorso straordinario all’art. 112, comma 1, lettera d) c.p.a. (che sancisce la proponibilità del giudizio di ottemperanza non solo per le sentenze passate in giudicato, ma anche per “gli altri provvedimenti ad esse equiparati, per i quali non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza, al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alla decisione”). 
Nella citata ordinanza si sottolineava come – pur dopo le significative novità introdotte dalla legge n. 69/2009 (natura vincolante del parere del Consiglio di Stato e possibilità di sollevare questioni di legittimità costituzionale) – l’attività consultiva del medesimo Consiglio di Stato conservasse “significativi profili” di differenza rispetto a quella giurisdizionale, organizzata “secondo i canoni più rigorosi del giusto processo (v. art. 2 c.p.a.)”, senza possibilità di integrale equiparazione del ricorso straordinario a quello giurisdizionale, tenuto conto, in particolare, della “specificità e perfettibilità del rito del ricorso straordinario….con riferimento ai nodi essenziali del contraddittorio, dell’istruzione probatoria e del doppio grado di giudizio”. Veniva altresì sottolineato come – “qualora venissero estese al procedimento straordinario tutte le garanzie e le formalità proprie del ricorso giurisdizionale, esso perderebbe le sue caratteristiche di semplicità, snellezza e concentrazione”, con sostanziale perdita di ogni relativa “ragion d’essere”. 
Per tali motivi si riteneva che l’atto conclusivo del ricorso straordinario dovesse identificarsi come provvedimento amministrativo, solo per certi aspetti equiparato ad una sentenza (fattispecie ricompresa nell’art. 112, comma 1 - lettera d - c.p.a.), e non come “provvedimento esecutivo del giudice amministrativo”, ovvero come atto propriamente giurisdizionale (art. 112, comma 1 - lettera b - c.p.a.). Secondo la tesi interpretativa sopra sintetizzata, pertanto, il giudice competente per l’esecuzione avrebbe dovuto essere individuato a norma non del primo, ma del secondo comma del successivo art. 113 c.p.a., ovvero con riferimento non al “giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta” (intendendo per tale, nel caso che qui interessa, il Consiglio di Stato in unico grado), ma al “tribunale amministrativo regionale, nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di cui è chiesta l’ottemperanza”. 
A quest’ultimo riguardo, nella citata ordinanza n. 4666/11 non si trascurava di sottolineare come il termine “giudice” dovesse ritenersi richiamato nella norma in esame “in senso ampio e necessariamente atecnico”, come dimostrato dal fatto che nella categoria sono ricompresi anche gli arbitri – ex art. 112, comma 1, lettera e) c.p.a. – con conseguente assegnazione della competenza per l’ottemperanza ai ricorsi straordinari al TAR del Lazio, nella cui circoscrizione operano il Presidente della Repubblica, il Ministro proponente ed il Consiglio di Stato in sede consultiva.
Il Collegio ritiene che le diverse linee interpretative sopra sintetizzate, per i delicati profili ordinamentali coinvolti, meritino approfondimento da parte dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, ... , tenuto conto delle argomentazioni che, in ordine alla natura giuridica del ricorso straordinario, emergono dal parere emesso dall’Adunanza delle Sezioni riunite prima e seconda del Consiglio di Stato n. 2131/2012 del 7.5.2012. Da tale pronuncia emerge – dopo un interessante excursus storico – una chiara (e, si ritiene, condivisibile) presa di posizione, circa la qualificazione del ricorso straordinario come “rimedio…tendenzialmente giurisdizionale nella sostanza, ma formalmente amministrativo”, per ragioni che nel medesimo parere si fanno risalire alla giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di effettività della tutela e, soprattutto, all’entrata in vigore della legge 18.6.2009, n. 69 ... Le decisioni rese in esito a ricorso straordinario non perderebbero il formale carattere di provvedimento amministrativo, ma risulterebbero rafforzate sul piano dell’esecutorietà (in via ordinaria – ovvero per la generalità dei provvedimenti – rimessa all’Autorità amministrativa, ma nel caso di specie affidata al Plesso giurisdizionale di riferimento, risultando già effettuata dall’Organo di vertice di quest’ultimo la richiesta valutazione di legittimità, benché senza le integrali garanzie del processo per la valutazione della fattispecie concreta).
A sostegno della tesi anzidetta si pongono considerazioni, che attengono alla natura del giudicato, ai limiti di competenza interna delle sezioni del Consiglio di Stato e al principio generale del doppio grado di giurisdizione.
Sotto il primo profilo, infatti, suscita perplessità la piena equiparazione, che si volesse ritenere introdotta fra pronuncia – emessa in esito a ricorso straordinario – e sentenza conclusiva del processo, con anomalo riconoscimento di un “doppio binario” giurisdizionale, nell’ambito del quale potrebbero acquisire la forza propria del giudicato (indiscutibile per principio risalente al diritto romano: “facit de albo nigrum, aequat quadrata rotundis….) anche pronunce non assistite dalle previe garanzie del “giusto processo”, così come oggi scolpite nell’art. 111 della Costituzione. Quanto sopra con conseguenze che – per i limiti istruttori sottolineati nel citato parere n. 2131/2012 – implicherebbero un giudizio di esecuzione vincolato non solo dai principi di diritto, espressi nel parere del Consiglio di Stato, ma anche dai presupposti di fatto, nel medesimo parere talvolta non compiutamente accertati.
Ove, inoltre, il pronunciamento emesso a seguito di ricorso straordinario avesse la medesima natura giuridica di una sentenza, non si vede perché – a livello di competenza interna – detto ricorso non potrebbe essere esaminato (anche) dalle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, così come risulta anomalo che – per l’ottemperanza al medesimo – venga chiamata a pronunciarsi una sezione giurisdizionale, anziché la sezione consultiva che abbia emesso il parere; in altri termini, la possibile configurazione del parere in questione come “ius dicere”, non distinguibile dalla pronuncia giurisdizionale, porrebbe evidenti problemi di rilevanza costituzionale e comunitaria, ove le scarne indicazioni, contenute nell’art. 112 c.p.a., fossero da considerare introduttive di una totale equiparazione fra attività consultiva di tipo giustiziale e attività giudicante in senso proprio (riconducibili, rispettivamente, agli articoli 100 e 103 della Costituzione).
Ugualmente ardua appare la riconducibilità alle medesime indicazioni codicistiche della soppressione del doppio grado di giurisdizione, pacificamente riconosciuto anche per le sentenze emesse in sede di ottemperanza quando il gravame non investa mere questioni esecutive, con effetto devolutivo pieno in relazione alla regolarità del rito instaurato, alle condizioni soggettive ed oggettive dell’azione ed alla fondatezza della pretesa azionata (cfr. in tal senso per il principio, Cons. St., sez. V, 8.7.2002, n. 3789; Cons. St., sez. VI, 27.1.2012, n. 385); quanto sopra, oltre tutto, per una decisione che non perderebbe la propria natura di provvedimento amministrativo, continuandosi a ritenere ammissibile al riguardo anche l’ordinario ricorso giurisdizionale (cfr. in tal senso il citato parere n. 2131/2012). 


Ordinanza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL'ADUNANZA PLENARIA

sul ricorso numero di registro generale 4814 del 2012, proposto dal signor Urbano Ciotti, rappresentato e difeso dall'avv. Anna Rita Moscioni, con domicilio eletto presso l’avv. Biagio Marinelli in Roma, via dell'Acquedotto Paolo, 22/B;

contro
Inps Direzione Generale, rappresentato e difeso dall'avv. Maria Morrone dell’Avvocatura Centrale dell’Ente e presso la medesima domiciliata in Roma, via Cesare Beccaria 29;
per l’ottemperanza al decreto del presidente della repubblica in data 6.5.2010, concernente rimborso del contributo, versato ai sensi dell’art. 11 della legge 8.4.1952, n. 212;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Inps, Direzione Generale;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2012 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti gli avvocati Moscioni, e Morrone;
Considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO E DIRITTO
Con ricorso per ottemperanza n. 4814 – notificato il 15.6.2012 e depositato il 27.6.2012 – il Col. Urbano Ciotti chiedeva “l’esecuzione del giudicato formatosi sul decreto presidenziale in data 18.5.2010, emesso in conformità al parere emesso dal Consiglio di Stato in sede consultiva, sez. III, n. 660 in data 1.12.2009, a seguito di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso il mancato rimborso da parte dell’INPDAP (Istituto Nazionale di Previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica) del contributo dello 0,50%, di cui all’art. 11 della legge 8.4.1952, n. 212: rimborso previsto per gli ufficiali delle FF.AA. all’atto della cessazione del periodo di ausiliaria, in caso di mancata richiesta di erogazione del prestito, di cui all’art. 1 della legge 21.2.1963, n. 252.
Nel citato parere si confermava il precedente indirizzo della seconda sezione consultiva, circa l’illegittimità del diniego di rimborso del contributo versato, non potendosi ritenere intervenuta, per gli ufficiali in ausiliaria, l’abrogazione tacita della normativa da ultimo citata dopo l’entrata in vigore dell’art. 141 del T.U. n. 1092/1973 in materia di rimborsi; quanto sopra, per coloro che fossero stati collocati nella riserva prima dell’emanazione del D.M. n. 463/1978, abrogativo ex nunc del beneficio del rimborso e con ulteriore, analitica confutazione dell’opposto indirizzo espresso dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con sentenza n. 1725/2006.
L’accoglimento del ricorso straordinario di cui trattasi era attestato con decreto a firma del Capo dello Stato del 6 maggio 2010, ma il provvedimento di liquidazione non veniva emesso, con conseguente attivazione del giudizio per ottemperanza in esame.
Si costituiva nell’ambito di tale giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso, l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), quale successore ex lege dell’INPDAP, ai sensi dell’art. 21, comma 1, del d.l. 6.12.2011, n. 201, convertito in legge 22.12.2011, n. 214.
L’Ente previdenziale sottolineava in particolare come, nei più recenti pareri, il Consiglio di Stato si fosse adeguato al diverso indirizzo interpretativo della Corte di Cassazione.
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che la questione sottoposta a giudizio presupponga una valutazione di ammissibilità, rilevabile d’ufficio, con riferimento alla natura dell’atto da eseguire, ai fini della proponibilità del giudizio stesso e dell’individuazione dell’Organo giurisdizionale competente.
Detta valutazione, in effetti, risulta già affrontata dal giudice amministrativo, ma con soluzioni non univoche.
Con sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3513 del 10.6.2011, infatti, è stata sostanzialmente affermata la piena giurisdizionalizzazione, anche ai fini dell’ottemperanza, del ricorso straordinario alla Presidenza della Repubblica, tenuto conto dell’evoluzione di tale rimedio giustiziale e della disciplina legislativa al riguardo intervenuta, al fine di assicurare “un grado di tutela non inferiore a quello conseguibile agendo giudizialmente”; nella citata sentenza veniva, quindi, ritenuto ammissibile ed accolto il ricorso per ottemperanza, proposto in unico grado innanzi al Consiglio di Stato, con nomina di un commissario ad acta in caso di perdurante inadempienza dell’Amministrazione. Nell’ordinanza del medesimo Consiglio, sez. III, n. 4666 del 4.8.2011, invece – pur ribadendosi l’esperibilità del giudizio di ottemperanza, per la piena esecuzione del “decisum” conseguente a ricorso straordinario (in conformità alla sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 2065/2011) – si esprimeva un diverso avviso, anche rispetto al citato pronunciamento della Suprema Corte, per quanto riguarda l’individuazione del giudice dell’esecuzione competente, a norma dell’art. 113 c.p.a., con conclusiva riconduzione della decisione sul ricorso straordinario all’art. 112, comma 1, lettera d) c.p.a. (che sancisce la proponibilità del giudizio di ottemperanza non solo per le sentenze passate in giudicato, ma anche per “gli altri provvedimenti ad esse equiparati, per i quali non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza, al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alla decisione”). Nella citata ordinanza si sottolineava come – pur dopo le significative novità introdotte dalla legge n. 69/2009 (natura vincolante del parere del Consiglio di Stato e possibilità di sollevare questioni di legittimità costituzionale) – l’attività consultiva del medesimo Consiglio di Stato conservasse “significativi profili” di differenza rispetto a quella giurisdizionale, organizzata “secondo i canoni più rigorosi del giusto processo (v. art. 2 c.p.a.)”, senza possibilità di integrale equiparazione del ricorso straordinario a quello giurisdizionale, tenuto conto, in particolare, della “specificità e perfettibilità del rito del ricorso straordinario….con riferimento ai nodi essenziali del contraddittorio, dell’istruzione probatoria e del doppio grado di giudizio”.
Veniva altresì sottolineato come – “qualora venissero estese al procedimento straordinario tutte le garanzie e le formalità proprie del ricorso giurisdizionale, esso perderebbe le sue caratteristiche di semplicità, snellezza e concentrazione”, con sostanziale perdita di ogni relativa “ragion d’essere”.
Per tali motivi si riteneva che l’atto conclusivo del ricorso straordinario dovesse identificarsi come provvedimento amministrativo, solo per certi aspetti equiparato ad una sentenza (fattispecie ricompresa nell’art. 112, comma 1 - lettera d - c.p.a.), e non come “provvedimento esecutivo del giudice amministrativo”, ovvero come atto propriamente giurisdizionale (art. 112, comma 1 - lettera b - c.p.a.). Secondo la tesi interpretativa sopra sintetizzata, pertanto, il giudice competente per l’esecuzione avrebbe dovuto essere individuato a norma non del primo, ma del secondo comma del successivo art. 113 c.p.a., ovvero con riferimento non al “giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta” (intendendo per tale, nel caso che qui interessa, il Consiglio di Stato in unico grado), ma al “tribunale amministrativo regionale, nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di cui è chiesta l’ottemperanza”. A quest’ultimo riguardo, nella citata ordinanza n. 4666/11 non si trascurava di sottolineare come il termine “giudice” dovesse ritenersi richiamato nella norma in esame “in senso ampio e necessariamente atecnico”, come dimostrato dal fatto che nella categoria sono ricompresi anche gli arbitri – ex art. 112, comma 1, lettera e) c.p.a. – con conseguente assegnazione della competenza per l’ottemperanza ai ricorsi straordinari al TAR del Lazio, nella cui circoscrizione operano il Presidente della Repubblica, il Ministro proponente ed il Consiglio di Stato in sede consultiva. Nella medesima ordinanza, in conclusione, si dichiarava ex art. 16 c.p.a. il “difetto di competenza in primo grado del Consiglio di Stato in favore del TAR Lazio”, innanzi al quale la causa avrebbe dovuto essere riassunta entro un termine perentorio dato. Il Collegio ritiene che le diverse linee interpretative sopra sintetizzate, per i delicati profili ordinamentali coinvolti, meritino approfondimento da parte dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, tenuto conto del fatto che, nella pronuncia della medesima Adunanza n. 18/2012 del 5.6.2012, la questione qui esaminata risulta non propriamente affrontata, ma assorbita in una valutazione di ammissibilità, riferita in senso lato all’ottemperanza delle decisioni rese in sede di ricorso straordinario, ai sensi dell’art. 112, comma 2, c.p.a., senza individuazione della riconducibilità della fattispecie alle lettere b) o d) della citata norma, con le conseguenze sopra esplicitate per l’individuazione del giudice competente.
E’ quest’ultima questione, dunque, che il Collegio intende rimettere alla valutazione dell’Adunanza Plenaria, sulla base di considerazioni che – ad avviso del Collegio stesso – possono ritenersi confermative del secondo indirizzo in precedenza sintetizzato, tenuto conto delle argomentazioni che, in ordine alla natura giuridica del ricorso straordinario, emergono dal parere emesso dall’Adunanza delle Sezioni riunite prima e seconda del Consiglio di Stato n. 2131/2012 del 7.5.2012.
Da tale pronuncia emerge – dopo un interessante excursus storico – una chiara (e, si ritiene, condivisibile) presa di posizione, circa la qualificazione del ricorso straordinario come “rimedio…tendenzialmente giurisdizionale nella sostanza, ma formalmente amministrativo”, per ragioni che nel medesimo parere si fanno risalire alla giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di effettività della tutela e, soprattutto, all’entrata in vigore della legge 18.6.2009, n. 69.
In passato sulla natura amministrativa del provvedimento, emesso in esito a ricorso straordinario, si era espressa la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, cassando per difetto di giurisdizione una decisione del Consiglio di Stato, affermativa al riguardo dell’ammissibilità del giudizio di ottemperanza (Cass. SS.UU. n. 15978/2001); alle medesime conclusioni era giunta la Corte Costituzionale circa la possibilità di sollevare, in sede di ricorso straordinario, questioni di costituzionalità (Corte Cost. n. 254/2004). La Corte di Giustizia invece, con decisione in data 16.10.1997 (cause riunite C-69/96 e 79/96) qualificava il Consiglio di Stato in sede consultiva - nei procedimenti decisori di ricorsi straordinari – come “giudice nazionale”, in quanto tale abilitato a sollevare questioni interpretative pregiudiziali innanzi al giudice comunitario.
Quest’ultimo pronunciamento, tuttavia, risultava funzionale all’individuazione delle autorità, legittimate a proporre questioni relative all’interpretazione del Trattato a norma dell’art. 177 del medesimo; quanto sopra, al mero fine di assicurare la più ampia possibile effettività del diritto comunitario sul piano sostanziale, senza che entrassero necessariamente in discussione le norme nazionali, da cui continuava ad emergere la natura provvedimentale del decreto, emesso dal Capo dello Stato in esito a ricorso straordinario. Sotto quest’ultimo profilo restavano fermi, infatti, la natura non giurisdizionale dell’Organo, cui formalmente era affidata l’emanazione dell’atto conclusivo del procedimento, nonché il carattere non strettamente vincolante del presupposto parere del Consiglio di Stato, con conseguente riconduzione dell’atto stesso ad un pronunciamento volitivo dell’Amministrazione; anche il principio di alternatività, di cui all’art. 10, comma 1, del d.P.R. n. 1199/1971 – nel prevedere che i controinteressati potessero imporre la trasposizione del giudizio in sede giurisdizionale – sottolineava la diversità di ogni forma di ricorso amministrativo rispetto al processo, svolto innanzi agli Organi indicati nel titolo IV della Costituzione, con priorità del secondo per una piena attuazione del principio, di cui all’art. 24 della medesima carta costituzionale.
In tale contesto sono intervenute, innovativamente, le disposizioni dettate nella citata legge n. 69/2009 (il cui articolo 69 consente eccezioni di incostituzionalità sollevate in sede di ricorso straordinario e rende vincolante il parere conclusivo del Consiglio di Stato), nonché nel d.lgs. 2.7.2010, n. 104 (codice del processo amministrativo, nel cui art. 112 si ammette l’azione di ottemperanza, oltre che per le sentenze passate in giudicato, anche per “provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo” ed “altri provvedimenti”, da ritenere equiparati a dette sentenze).
Si deve quindi ammettere che, dalla data di entrata in vigore della legge n. 69/2009, sia stata compiuta una svolta ordinamentale, per l’esigenza – che emerge dagli atti parlamentari, nell’ambito dell’iter approvativo del ricordato c.p.a. – di dare attuazione agli articoli 6 e 13 CEDU, che richiedono effettività della tutela “per le decisioni la cui cogenza è equiparata a quella delle sentenze del Consiglio di Stato irrevocabili”.
Nel parere n. 2131/2012 qui sintetizzato, tuttavia, si sottolinea come l’art. 6 della CEDU non sia ritenuto dalla Corte di Strasburgo applicabile al ricorso straordinario (Corte CEDU, caso Nardella), essendo il decreto decisorio del ricorso di cui trattasi impugnabile innanzi al tribunale Amministrativo Regionale; detto ricorso, inoltre, continua a presentare significative differenze rispetto al processo amministrativo, cui non appare pienamente equiparabile: quanto sopra, per l’improponibilità di azioni di mero accertamento, accesso ai documenti, contestazione del silenzio-inadempimento dell’Amministrazione, nonché per la presenza di una fase istruttoria effettuata dalle strutture ministeriali, senza contraddittorio orale delle parti, senza possibilità di consulenze tecniche d’ufficio e senza pubblicità del dibattimento. Lo stesso, attuale carattere vincolante del parere del Consiglio di Stato dovrebbe ritenersi non assoluto, ma soggetto a possibili richieste di riesame dell’atto conclusivo, per vizi di legittimità o in presenza di ragioni revocatorie.
Le considerazioni in precedenza illustrate aprono scenari meritevoli di approfondimento, in merito all’ottemperanza delle decisioni assunte in esito ai ricorsi straordinari al Capo dello Stato.
Ad avviso del Collegio, debbono infatti considerarsi le seguenti circostanze, confermative dell’esperibilità del giudizio di esecuzione per detta tipologia di ricorsi, ma preclusive di un’acritica equiparazione di questi ultimi ai ricorsi, proposti in sede giurisdizionale e conclusi con sentenza:
a) appare innegabile che – per i pareri emessi dal Consiglio di Stato in sede di ricorso straordinario, dopo l’emanazione della legge n. 69/2009 – sia configurabile un’accezione nuova e non meramente provvedimentale dell’atto, conformemente emesso in forma di decreto presidenziale;
b) la piena assimilazione di tale atto ad una sentenza risulta, d’altra parte, da escludere, per i delicati interrogativi che dovrebbero porsi, in caso contrario, in rapporto all’art. 111 della Costituzione e all’art. 6 CEDU;
c) appare ragionevole ritenere che – in considerazione della natura giustiziale del predetto ricorso straordinario e dell’autorevolezza del parere, emesso in posizione neutra e a garanzia oggettiva dell’ordinamento dal Consiglio di Stato – la presa d’atto, ormai vincolata, proveniente dall’Amministrazione e formalmente espressa dal Capo dello Stato sia da considerare non “provvedimento esecutivo del giudice amministrativo”, ma provvedimento equiparato a sentenza ai fini dell’esecuzione (nei limiti delle statuizioni nel parere stesso contenute), con conseguente riconducibilità della fattispecie all’art. 112, comma 2, lettera d) c.p.a..
Nell’ottica di cui al precedente punto c), le decisioni rese in esito a ricorso straordinario non perderebbero il formale carattere di provvedimento amministrativo, ma risulterebbero rafforzate sul piano dell’esecutorietà (in via ordinaria – ovvero per la generalità dei provvedimenti – rimessa all’Autorità amministrativa, ma nel caso di specie affidata al Plesso giurisdizionale di riferimento, risultando già effettuata dall’Organo di vertice di quest’ultimo la richiesta valutazione di legittimità, benchè senza le integrali garanzie del processo per la valutazione della fattispecie concreta).
A sostegno della tesi anzidetta si pongono considerazioni, che attengono alla natura del giudicato, ai limiti di competenza interna delle sezioni del Consiglio di Stato e al principio generale del doppio grado di giurisdizione.
Sotto il primo profilo, infatti, suscita perplessità la piena equiparazione, che si volesse ritenere introdotta fra pronuncia – emessa in esito a ricorso straordinario – e sentenza conclusiva del processo, con anomalo riconoscimento di un “doppio binario” giurisdizionale, nell’ambito del quale potrebbero acquisire la forza propria del giudicato (indiscutibile per principio risalente al diritto romano: facit de albo nigrum, aequat quadrata rotundis….”) anche pronunce non assistite dalle previe garanzie del “giusto processo”, così come oggi scolpite nell’art. 111 della Costituzione.
Quanto sopra con conseguenze che – per i limiti istruttori sottolineati nel citato parere n. 2131/2012 – implicherebbero un giudizio di esecuzione vincolato non solo dai principi di diritto, espressi nel parere del Consiglio di Stato, ma anche dai presupposti di fatto, nel medesimo parere talvolta non compiutamente accertati.
Ove, inoltre, il pronunciamento emesso a seguito di ricorso straordinario avesse la medesima natura giuridica di una sentenza, non si vede perché – a livello di competenza interna – detto ricorso non potrebbe essere esaminato (anche) dalle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, così come risulta anomalo che – per l’ottemperanza al medesimo – venga chiamata a pronunciarsi una sezione giurisdizionale, anziché la sezione consultiva che abbia emesso il parere; in altri termini, la possibile configurazione del parere in questione come “ius dicere”, non distinguibile dalla pronuncia giurisdizionale, porrebbe evidenti problemi di rilevanza costituzionale e comunitaria, ove le scarne indicazioni, contenute nell’art. 112 c.p.a., fossero da considerare introduttive di una totale equiparazione fra attività consultiva di tipo giustiziale e attività giudicante in senso proprio (riconducibili, rispettivamente, agli articoli 100 e 103 della Costituzione).
Ugualmente ardua appare la riconducibilità alle medesime indicazioni codicistiche della soppressione del doppio grado di giurisdizione, pacificamente riconosciuto anche per le sentenze emesse in sede di ottemperanza quando il gravame non investa mere questioni esecutive, con effetto devolutivo pieno in relazione alla regolarità del rito instaurato, alle condizioni soggettive ed oggettive dell’azione ed alla fondatezza della pretesa azionata (cfr. in tal senso per il principio, Cons. St., sez. V, 8.7.2002, n. 3789; Cons. St., sez. VI, 27.1.2012, n. 385); quanto sopra, oltre tutto, per una decisione che non perderebbe la propria natura di provvedimento amministrativo, continuandosi a ritenere ammissibile al riguardo anche l’ordinario ricorso giurisdizionale (cfr. in tal senso il citato parere n. 2131/2012).
Per tutte le ragioni enunciate, il Collegio ritiene opportuno rimettere all’Adunanza Plenaria la questione della natura giuridica della pronuncia emessa in esito a ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e del giudice competente a pronunciarsi al riguardo, a norma dell’art. 113 c.p.a..
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, ne dispone il deferimento all'adunanza plenaria del Consiglio di Stato.
Manda alla segreteria della sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all'adunanza plenaria.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore
Bernhard Lageder, Consigliere






L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE




DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 01/02/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)



mercoledì 6 febbraio 2013

Ammissibilità e presupposti dell'Impugnabilità immediata dei bandi di gara (Cons. St., Sez. VI, ord. di rimessione all'Ad. Plen. 1 febbraio 2013 n. 634).




Inutile sottolineare l'importanza della questione sollevata dalla Sez. VI, considerato il torrenziale contenzioso in materia appalti (destinato tuttavia a ridursi nel 2013 per effetto del "significativo" aumento del contributo unificato e della crisi economica).
Gli effetti della sentenza dell'Adunanza Plenaria si propagheranno di certo anche sul quadro dei concetti fondamentali del diritto amministrativo generale, oltre che su elementi cardinali del processo come le condizioni dell'azione.
D'altronde in questa branca dell'ordinamento spesso si notano evidenti i caratteri del diritto di creazione giurisprudenziale, sulla base del brocardo ex actione ius oritur (e dei modelli romanistico pretorio ed anglosassone sia di common law che di equity), e non viceversa (vedi il moderno diritto civile codicistico).
Buona lettura.

Massima


1. L’atto amministrativo generale, o l’atto di normazione secondaria presupposto debbono essere impugnati entro i predetti termini decadenziali – non assieme all’atto conclusivo della procedura – solo ove immediatamente lesivi di una situazione soggettiva protetta: situazione, quella appena indicata, ritenuta ravvisabile quando l’atto presupposto risulti di per sé ostativo per la realizzazione dell’interesse finale perseguito (ovvero in rapporto ad una procedura concorsuale, il cui bando sia per talune ditte preclusivo della partecipazione cfr. in tal senso Cons. St., Ad. Plen., 23.1.2003, n. 1 e successiva, pacifica giurisprudenza conforme).
La sussistenza di ragioni per pervenire ad un diverso indirizzo è stata affermata dalla sezione con ordinanze nn. 351 del 18.1.2011 e 2633 in data 8.5.2012; in entrambi i casi, tuttavia, l’Adunanza Plenaria non ha esaminato la questione per difetto di rilevanza (Cons. St., Ad. Plen. 7.4.2011, n. 4 e 31.7.2012, n. 31)
Ad avviso del Collegio, la questione merita quindi di essere nuovamente sollevata.
2.  La sussistenza di giusti motivi per un indirizzo evolutivo, rispetto alla citata pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1/2003, risultano già esposti nelle ordinanze della sezione sopra ricordate, nei termini di seguito sintetizzati:
- la volontà deflattiva del contenzioso, sottostante all’indirizzo di immediata impugnabilità delle sole clausole escludenti, non ha trovato rispondenza nei fatti, con reiterate impugnazioni che, dopo la conclusione delle procedure di gara, postulano l’annullamento del bando e quindi l’azzeramento delle procedure stesse, con notevole aggravio di spese per l’amministrazione e danno per le imprese aggiudicatarie incolpevoli, sulle cui offerte non fosse emerso o riconosciuto alcun vizio;
- i principi di buona fede e affidamento, di cui agli articoli 1337 e 1338 cod. civ., dovrebbero implicare che le imprese, tenute a partecipare alla gara con attenta disamina delle prescrizioni del bando, fossero non solo abilitate, ma obbligate a segnalare tempestivamente, tramite impugnazione del bando stesso, eventuali cause di invalidità della procedura di gara così come predisposta, anche come possibile fonte di responsabilità precontrattuale; quanto sopra, in linea con la ratio ispiratrice dell’art. 243 bis del codice degli appalti (d.lgs. n. 163/2006), nel testo introdotto dal d.lgs. n. 53/2010 (informativa preventiva dell’intento di proporre ricorso giurisdizionale).
Il Collegio condivide le predette osservazioni e ritiene che le imprese partecipanti a procedure contrattuali ad evidenza pubblica dovrebbero ritenersi tenute ad impugnare qualsiasi clausola del bando ritenuta illegittima, entro gli ordinari termini decadenziali.
La questione sopra indicata appare connessa alla vera e propria svolta, impressa al contenzioso in materia di pubblici appalti dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4/2011, ispirata al superamento di indirizzi giurisprudenziali, che finiscono per determinare una “litigiosità esasperata”, senza garantire il soddisfacimento dell’interesse primario di ciascun concorrente (aggiudicazione dell’appalto) e rendendo “estremamente difficoltosa e spesso impossibile (si pensi alla perdita di finanziamenti comunitari) l’esecuzione dell’opera pubblica”.
3.  Fra tali indirizzi, sembra al Collegio che possa annoverarsi quello riconducibile alla ricordata sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1/2003, limitativa dell’immediata impugnabilità dei bandi di gara (o di concorso) – senza necessità di attendere i relativi atti applicativi – solo con riferimento alle clausole impeditive dell’ammissione di soggetti interessati alla selezione, ovvero impositive di oneri sproporzionati per la partecipazione, o di condizioni non comprensibili; quanto sopra, nella presupposizione che in ogni altro caso mancherebbe una lesione diretta ed attuale dell’interesse protetto.
Tale conclusione – oltre a non condurre, come già in precedenza rilevato, ad una riduzione del contenzioso, che viene normalmente avviato su ogni questione prospettabile (con aggravata lesione degli interessi sia pubblici che privati, in caso di azzeramento dell’intera procedura dopo la conclusione della stessa) – appare non più convincente anche sul piano dei principi, regolatori dell’impugnativa di atti amministrativi generali, destinati alla cura concreta di interessi pubblici nei confronti di destinatari indeterminati, ma determinabili. Con la domanda di partecipazione alla gara, infatti, le imprese concorrenti divengono titolari di un interesse legittimo, quale situazione soggettiva protetta corrispondente all’esercizio di un potere, soggetto al principio di legalità ed esplicato, in primo luogo, con l’emanazione del bando. A qualsiasi vizio di quest’ultimo si contrappone, pertanto, l’interesse protetto al corretto svolgimento della procedura, nei termini disciplinati dalla normativa vigente in materia e dalla lex specialis; l’inoppugnabilità della disciplina di gara contenuta nel bando, alla scadenza degli ordinari termini decadenziali, appare dunque conforme alle esigenze di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa.





Ordinanza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL'ADUNANZA PLENARIA
CON SENTENZA PARZIALE


sul ricorso numero di registro generale 3945 del 2012, proposto dalla società Cores Srl in proprio e quale Capogruppo Mandataria Ati, Ati - Taletti Costruzioni S.r.l., rappresentate e difese dagli avvocati Angelo Clarizia e Francesco Migliarotti, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Principessa Clotilde N.2;


contro
Gpl Costruzioni Generali S.r.l., Torelli Dottori S.p.A., rappresentate e difese dall'avv. Marco Bertinelli Terzi, con domicilio eletto presso l’avv. Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18; 
nei confronti di
Ente Regionale Per il Diritto Allo Studio Universitario di Ancona – Ersu – rappresentato e difeso dall'avv. Alessandro Lucchetti, con domicilio eletto presso l’avv. Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde n.2; Intercantieri Vittadello S.p.A.; 


sul ricorso numero di registro generale 4247 del 2012, proposto dall’Ente Regionale per il Diritto allo Studio Universitario di Ancona – Ersu – rappresentato e difeso dall'avv. Alessandro Lucchetti, con domicilio eletto presso l’avv. Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde n.2; 
contro
Gpl Costruzioni Generali Srl, Torelli Dottori Spa, rappresentate e difese dall'avv. Marco Bertinelli Terzi, con domicilio eletto presso l’avv. Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18; 
nei confronti di
Cores Costruzioni e Restauri Srl in proprio e nella qualita' di Capogruppo Mandataria Ati, Talletti Costruzioni Srl in proprio e nella qualita' di Mandante Ati, Intercantieri Vittadello Spa; 
per la riforma
quanto al ricorso n. 3945 del 2012:
della sentenza del T.a.r. Marche – Ancona, Sezione I, n. 00280/2012, resa tra le parti, concernente aggiudicazione definitiva dell’affidamento di opere di recupero e risanamento conservativo di un immobile, da adibire a residenza universitaria;
quanto al ricorso n. 4247 del 2012:
della sentenza del T.a.r. Marche – Ancona, Sezione I, n. 00280/2012, resa tra le parti, concernente aggiudicazione definitiva dell’affidamento di opere di recupero e risanamento conservativo di un immobile, da adibire a residenza universitaria;

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Gpl Costruzioni Generali S.r.l., Torelli Dottori S.p.A., dell’Ente Regionale per il Diritto allo Studio Universitario di Ancona – Ersu – di Gpl Costruzioni Generali Srl e di Torelli Dottori Spa;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 novembre 2012 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti gli avvocati Saporito per delega dell’avv. Clarizia, Bertinelli Terzi e Lucchetti;
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO
Con distinti atti di appello (n. 3945/12, proposto dalla società Cores s.r.l. e n. 4247/12, proposto dall’Ente Regionale per il Diritto allo Studio Universitario di Ancona – ERSU) – notificati, rispettivamente, il 21.5.2012 e il 25.5.2012 – è stata impugnata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche, Ancona, sez. I, n. 280 del 12.4.2012, con la quale veniva respinto il ricorso incidentale proposto da Cores s.r.l. ed accolto il ricorso principale, proposto dalla società G.P.L. Costruzioni Cenerali s.r.l. avverso gli atti di gara e l’aggiudicazione alla controinteressata Cores s.r.l. dei lavori di recupero e risanamento conservativo di un immobile, da adibire a residenza universitaria e servizi. Per quanto riguarda il ricorso incidentale (da esaminare preliminarmente, in quanto il relativo accoglimento sarebbe stato da considerare preclusivo della legittimazione al ricorso principale: cfr. Cons. St., Ad. Plen., n. 4/2011), nella citata sentenza si escludeva che un procuratore della società Cores (geom. Giovanni Resta) fosse da assimilare ad un amministratore, tenuto a rendere la dichiarazione, di cui all’art. 38, lettera c) del d.lgs. n. 163/2006, in considerazione delle non chiare indicazioni, contenute al riguardo dalla lex specialis di gara, nella quale non si esprimeva chiaramente la volontà di acquisire la dichiarazione di cui trattasi da qualsiasi soggetto munito di potere di rappresentanza, benché non investito della carica di amministratore, né si stabiliva in modo esplicito l’esclusione del concorrente, che tale dichiarazione non avesse reso.
Per quanto riguarda il ricorso principale, nella medesima sentenza si sottolineava come la ricorrente – terza classificata nella gara in questione – mirasse all’esclusione delle imprese classificate al primo e secondo posto. Tale effetto era ritenuto non riconducibile alla presentazione, da parte delle medesime, di offerte migliorative non ammissibili, perché comportanti nuovo permesso di costruire o parere della Soprintendenza, con specifica violazione di una norma del disciplinare di gara; tale inammissibilità, in effetti, non avrebbe comportato esclusione dell’intera offerta, ma solo l’azzeramento del punteggio per la voce valutativa corrispondente, con conseguente collocazione della ricorrente al primo posto in graduatoria. A seguito di verificazione disposta in via istruttoria, in ogni caso, la censura era ritenuta infondata, non essendo risultato necessario, per le varianti proposte, alcun formale parere della Soprintendenza. Il criterio di valutazione seguito (punteggio numerico, previo confronto a coppie) era ritenuto inoltre chiaramente espressivo delle ragioni della scelta, senza che si dovessero ritenere necessarie ulteriori motivazioni. Era ritenuta fondata, invece, la terza censura, riferita all’apertura in seduta non pubblica del plico, contenente l’offerta tecnica, in difformità dall’orientamento espresso dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 13/2011. Non avrebbe potuto eccepirsi, al riguardo, l’irrilevanza dell’interesse strumentale all’azzeramento dell’intera procedura, essendo diretta (e non meramente strumentale) la lesione degli interessi partecipativi dell’impresa concorrente. L’apertura delle buste in seduta non pubblica avrebbe, infatti, impedito alla ricorrente la verifica del contenuto delle stesse, al fine di scongiurare il pericolo di manipolazioni successive. Era dichiarato assorbito, infine, il motivo di gravame riguardante la composizione della Commissione aggiudicatrice.
A contestazione della pronuncia, sopra sommariamente sintetizzata, la società Cores s.r.l. illustrava gli ampi poteri rappresentativi del geom. Giovanni Resta, che doveva pertanto ritenersi tenuto a prestare la dichiarazione, di cui al citato art. 38 d.lgs. n. 163/2006, a pena di esclusione, come previsto nel bando di gara. Quanto all’esame dell’offerta tecnica in seduta non pubblica, invece, la questione avrebbe dovuto essere tempestivamente contestata con impugnazione del bando, che tale modalità prevedeva (cfr. al riguardo Cons. Stato, sez. VI, ordinanza n. 2633/2012).
L’Ente Regionale per il Diritto allo Studio Universitario di Ancona, a sua volta, sottolineava come il ricorso giurisdizionale dovesse ritenersi inammissibile, ogni qual volta l’interesse del ricorrente principale fosse rivolto alla mera eventualità di rinnovazione della gara, per ragioni che avrebbero imposto la tempestiva impugnazione del bando; in seduta pubblica, inoltre, sarebbe stata sufficiente la verifica dell’integrità dei plichi, risultando l’obbligo di apertura degli stessi in seduta pubblica solo successivamente disciplinato, con d.l. 7.5.2012, n. 52 (art. 12).
La società G.P.L. Costruzioni Generali s.r.l., costituitasi in giudizio con proposizione di appello incidentale, ribadiva la tradizionale tesi dell’impugnabilità del bando solo unitamente alla lesione diretta ed attuale dell’interesse protetto del concorrente; veniva inoltre sottolineato come la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 13/11 del 28.7.2011 fosse successiva non solo alla pubblicazione del bando (gennaio 2011), ma anche all’aggiudicazione (30.6.2011): una decisione che, a seguito della citata ordinanza n. 2633/2012, avesse sancito l’obbligo di tempestiva impugnazione, non avrebbe escluso pertanto il riconoscimento dell’errore scusabile, ex art. 37 c.p.a. (non potendo le imprese interessate essere consapevoli della illegittimità del bando stesso, sotto il profilo di cui si discute, prima della pubblicazione della citata pronuncia dell’Adunanza Plenaria).
Il denegato riconoscimento della legittimazione, in caso di azzeramento della procedura, si sarebbe posto inoltre in contrasto con i principi di uguaglianza, giusto processo, diritto di difesa, trasparenza e imparzialità dell’Amministrazione. Qualsiasi partecipante ad una gara dovrebbe ritenersi legittimato a far valere, infatti, sia l’interesse al conseguimento dell’appalto affidato al controinteressato, sia l’interesse strumentale alla caducazione dell’intera procedura, purchè il ricorrente fosse stato ritualmente ammesso alla selezione. In via incidentale, inoltre, la medesima società G.P.L. contestava la sentenza n. 280/12, nella parte in cui risultavano respinti il primo ed il secondo motivo di gravame, contenuti nel ricorso di primo grado (errata interpretazione ed applicazione delle prescrizioni del disciplinare di gara, relative alla valutazione delle offerte tecniche e delle varianti al progetto poste a base di gara, nonché incongruità, illogicità, irrazionalità e difetto di motivazione, essendo state proposte – dalle due imprese prime classificate – varianti richiedenti nuovo parere della Soprintendenza; illegittimità per difetto assoluto di motivazione, violazione o erronea applicazione dell’art. 83 d.lgs. n. 163/2006, nonché dei principi di trasparenza e par condicio, con riferimento alla mera attribuzione di punteggi numerici, in assenza di “specifici, oggettivi e puntuali criteri di valutazione definiti nel bando”; violazione dell’art. 84 del d.lgs. n. 163/2006, illegittima composizione della Commissione giudicatrice per mancanza di adeguata qualificazione tecnica dei relativi componenti tranne uno, violazione dei principi di correttezza, trasparenza imparzialità e buon andamento della P.A.).
Analitiche controdeduzioni alle tesi avverse, infine, venivano proposte da tutte le parti in causa e su tali basi la causa è passata in decisione

DIRITTO
Il Collegio è chiamato a valutare, preliminarmente, le ragioni prospettate col ricorso incidentale, presentato dall’aggiudicataria Cores s.r.l. in primo grado di giudizio e riproposte in appello, al fine di escludere la legittimazione attiva della società G.P.L. Costruzioni Generali s.r.l., terza classificata nella gara indetta dall’Ente Regionale per il Diritto allo Studio Universitario di Ancona (ERSU), per opere di recupero e risanamento conservativo dell’immobile denominato “Buon Pastore”, da adibire a residenza universitaria e servizi. Quanto sopra, in base ai principi affermati nella sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4 del 7.4.2011, secondo cui perde legittimazione attiva il ricorrente che – in accoglimento di ricorso incidentale – sia dichiarato privo dei requisiti per partecipare alla gara, o comunque da escludere dalla stessa per inadempienze, anche formali, in sede di offerta, non ritenendosi più tutelabile l’interesse alla mera (e solo eventuale) ripetizione della procedura concorsuale, quale unico interesse che residuerebbe per il ricorrente, che non possa più ritenersi potenziale aggiudicatario, in caso di accoglimento della propria impugnativa.
Nella situazione in esame il Collegio – ravvisata in primo luogo l’opportunità di riunire gli appelli specificati in epigrafe, per evidente connessione soggettiva ed oggettiva – ritiene non condivisibili le argomentazioni, portate a sostegno della carenza di legittimazione dell’appellata G.P.L. Costruzioni.
Tali argomentazioni si riferiscono alla prospettata violazione dell’obbligo formale di rendere le dichiarazioni, prescritte dall’art. 38, comma 2, del d.lgs. 12.4.2006, n. 163 (codice dei contratti pubblici), con riferimento alle cause di esclusione di cui al precedente comma 1 della medesima norma, anche per soggetti che, pur non qualificati come amministratori, risultino comunque procuratori speciali di una società, con ampi poteri di rappresentanza.
Non è sollevata questione, invece, sul piano della materiale sussistenza di una delle cause preclusive indicate dalla norma: nella fattispecie non si discute, pertanto, della tassativa esigenza che l’Amministrazione escluda dall’affidamento di lavori, servizi e forniture, dalla medesima richiesti tramite pubblica gara, soggetti non in possesso di adeguata affidabilità morale e professionale, ma della ulteriore esigenza che – tramite formale dichiarazione al riguardo – siano rispettate le regole imposte dalla lex specialis della gara stessa, a tutela della par condicio dei concorrenti.
In tale contesto va osservato che la gara di cui trattasi risulta avviata prima dell’integrazione – con d.l. 13.5.2011, n. 70 – dell’art. 46 del codice degli appalti, che in ogni caso, anche nella nuova formulazione, ribadisce principi già affermati in via interpretativa, circa il potere-dovere della stazione appaltante di richiedere integrazioni e chiarimenti al concorrente, in ordine a quanto dichiarato sul possesso dei requisiti richiesti, sempre che si tratti di carenze meramente formali della documentazione, comprovante tale possesso (cfr., fra le tante, Cons. St., sez. V, 23.10.2012, n. 5408, 21.10.2011, n. 5639, 24.3.2011, n. 1778, 10.11.2011, n. 5939, 28.12.2011, n. 6965, 9.11.2010, n. 7963, 2.8.2010, n. 5084; Cons. St., sez. III, 8.6.2012, n. 3393; Cons. St., sez. VI, 6.6.2011, n. 3365). Più precisamente, per quanto riguarda i requisiti, previsti dall’art. 38, comma 1, del d.lgs n. 163/2006, deve ritenersi pacifico che la mancanza di uno di essi determini inidoneità del concorrente a partecipare alla gara, e che l’eventuale assenza, o incompletezza, della dichiarazione concernente i medesimi requisiti, da rendere a norma del secondo comma del medesimo articolo, comporti analoghe conseguenze, solo se espressamente previsto dal bando a pena di esclusione (cfr. in tal senso Cons. St., Ad. Plen. 4.5.2012, n. 10).
E’ vero che, a norma dell’art. 1 bis del citato art. 46 del d.lgs. n. 163/2006, nel testo introdotto dal d.l. n. 70/2011, detta esclusione appare comunque connessa all’inosservanza di disposizioni, che impongano adempimenti doverosi o contengano divieti, pur senza espressa sanzione di esclusione: quanto sopra, tuttavia, in un quadro che escluda ogni incertezza interpretativa e sia riconducibile ad espressioni non equivoche del bando (Cons. St. Ad. Plen. 7.6.2012, n. 21).
Nella situazione in esame la lex specialis disponeva a pena di esclusione, nell’art. 1, la presentazione di una serie di documenti, fra cui (punto n. 1 art. cit.) “istanza di ammissione (allegato A al disciplinare) compilata e sottoscritta secondo le modalità nella stessa indicate”. Detta istanza corrispondeva ad un modulo prestampato – per la società GPL sottoscritto dall’amministratore unico – nel quale, per quanto qui interessa, si chiedeva che in rappresentanza della società fosse effettuata una serie di dichiarazioni, “anche per conto di eventuali altri soggetti muniti di potere di rappresentanza, nonché di direttori tecnici…” su “stati, qualità personali e fatti”, di cui il sottoscrittore avesse diretta conoscenza; fra le dichiarazioni richieste c’era quella “di non essere incorso in una delle cause di esclusione….previste dall’art. 38 del d.lgs. 12.4.2006, n. 163, né in condanne che comportino l’incapacità di contrattare con la p.a., di cui all’art. 32 quater c.p. o al d.lgs. 8.6.2001, n. 231”. Appare dunque ragionevole ritenere che solo la presentazione dell’istanza, predisposta nei termini voluti dall’Amministrazione, costituisse adempimento richiesto a pena di esclusione, mentre la sottoscrizione della stessa da parte di altri soggetti, che risultassero investiti di poteri di rappresentanza – pur corrispondendo ad un indirizzo giurisprudenziale (peraltro non univoco) di stampo “sostanzialista”, circa l’obbligo di rendere la dichiarazione stessa da parte di chiunque fosse in grado di impegnare la società – poteva giustificare una richiesta di integrazione documentale da parte della stazione appaltante, ma non anche l’esclusione di una società che avesse, come nella fattispecie avvenuto, diligentemente compilato il modulo in questione.
Le ragioni prospettate in via incidentale non possono pertanto che essere respinte, con assorbimento della delicata problematica, riferita all’obbligo di ogni procuratore munito di poteri di rappresentanza di rendere la dichiarazione di cui all’art. 38, lettera c), del d.lgs. n. 163/2006, in quanto da assimilare ad un amministratore, investito degli stessi poteri: su tale questione, infatti, sussistono indirizzi giurisprudenziali non univoci, in considerazione dei quali la parte appellata ha presentato istanza ex art. 99 d.lgs. n. 104/2010, affichè il Collegio chiedesse una pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (cfr., fra le tante, per gli opposti indirizzi, Cons. St., sez. VI, 28.9.2012, n. 5150, 8.2.2007, n. 523, 12.10.2006, n. 6089, 18.1.2012, n. 178, 24.11.2009, n. 7380; Cons. St., sez. V, 6.6.2011, n. 3340, 24.11,2011, n. 6240, 16.11.2010, n. 8059; Cons. St., sez. III, 21.12.2011, n. 6777); ad avviso del medesimo Collegio, tuttavia, per la questione che qui interessa il predetto deferimento all’Adunanza Plenaria risulterebbe ultroneo, essendo già stato chiarito che l’esclusione di un partecipante alla gara, per omessa dichiarazione ex art. 38 d.lgs. n. 163/2006, deve essere effettuata solo quando, in base al bando, sia esplicito tale onere e non ardua l’individuazione dei relativi destinatari, ovvero quando vi sia positiva prova che gli amministratori, per i quali è stata omessa detta dichiarazione, abbiano pregiudizi penali (Cons. St., Ad. Plen., n. 21/2012 cit.): circostanze, quelle sopra indicate, che non risultano sussistenti nel caso di specie.
Consegue al rigetto della domanda, formulata in via incidentale dall’aggiudicataria (ed attuale appellante) CO.RES. Costruzioni e Restauri s.r.l., in base ad ordine di priorità logica, la disamina delle censure che l’appellata G.P.L. Costruzioni Generali s.r.l. (unitamente alla società Torelli Dottori s.r.l.) ha riproposto in appello, anche con impugnazione in via incidentale della citata sentenza del TAR per le Marche n. 280/2012.
Di tali censure, infatti, debbono considerarsi proposte in via subordinata quelle indirizzate all’azzeramento della procedura di gara (per illegittima composizione della Commissione aggiudicatrice e per violazione del principio di disamina della regolarità dell’offerta tecnica in seduta pubblica: profilo, quest’ultimo, posto a base dell’accoglimento del ricorso in primo grado di giudizio), con conseguente esigenza di prioritario esame delle argomentazioni, riferite alle modalità di valutazione delle offerte delle due società prime classificate (ATI CO.RES s.r.l. e Intercantieri Vittadello s.p.a.).
Dette argomentazioni – riferite all’attribuzione di punteggio per varianti migliorative e al giudizio formulato col metodo del “confronto a coppie” – non appaiono condivisibili.
Per quanto riguarda, in primo luogo, l’inammissibilità – o comunque la non valutabilità, come precisato a pagina 5 del disciplinare – di offerte migliorative, che comportassero varianti al progetto posto a base di gara, tali da richiedere nuovo parere della Soprintendenza o nuovo permesso di costruire, le argomentazioni dell’appellata non appaiono idonee a superare lo scrupoloso accertamento condotto al riguardo, in via istruttoria, in primo grado di giudizio, con conclusivo accertamento della non assoggettabilità delle varianti proposte dalle predette società a nuovo permesso di costruire, previo rinnovato parere della Soprintendenza, pur restando ferma l’esigenza di autorizzazione ex art. 21, comma 4, del d.lgs. n. 42/2004 per ogni modifica apportata al progetto già approvato. Correttamente a tale riguardo, nella sentenza appellata si rileva l’esigenza di un’interpretazione del disciplinare di gara, compatibile con la dichiarata volontà dell’Amministrazione di ammettere la proposizione di varianti, che comportassero modifiche di ordine estetico, distributivo e funzionale al progetto posto a base di gara. Quanto sopra, in presenza di un parere solo preliminare della competente Soprintendenza, che aveva tuttavia fornito, in tale ambito, specifiche linee guida per la tutela del bene architettonico, con avvertenza che l’autorizzazione dovesse intendersi a titolo provvisorio, “poiché durante l’esecuzione delle opere potranno venire dettate tutte le prescrizioni ed indicazioni che si rendessero necessarie (anche a seguito di scoperte e rinvenimenti in cantiere)”. In tale contesto il parere, cui fa riferimento il disciplinare di gara, potrebbe essere identificato con quello di cui all’art. 146, comma 5 del d.lgs. n. 42/2004, ma anche con l’autorizzazione, richiesta dall’art. 21, comma 4 del d.lgs. n. 42/2004, fermo restando che l’assenso della Soprintendenza per mere richieste di varianti, riconducibili ad un progetto già favorevolmente valutato e compatibili con le prime prescrizioni fornite, sarebbe qualificabile non come nuova autorizzazione, ma come nulla osta rientrante nei compiti di vigilanza, immanenti all’effettuazione di interventi edilizi su immobili vincolati. Nel caso di specie, le varianti migliorative in questione risultano analiticamente valutate, sotto il profilo della ridotta superficie interessata (per quanto riguarda l’installazione di pannelli fotovoltaici, da collocare peraltro in parti del corpo di fabbrica privi di valore monumentale), nonché in relazione all’uso di materiali moderni – come per la pavimentazione in caucciù – in altre parti già interessate da nuove tecnologie, ovvero, per quanto riguarda gradonate e rampe di accesso per disabili, senza alterazione delle quote di inizio e fine della rampa, con copertura temporanea e completamente rimovibile: il complesso degli interventi, suggeriti come varianti migliorative – ivi comprese le modalità di illuminazione del complesso – appaiono quindi, conclusivamente, rientranti nel contesto progettuale già assentito, senza necessità di nuovo permesso di costruire o di nuovo autonomo parere della Soprintendenza, pur essendo quest’ultima chiamata ad avallare detti interventi o a dettare nuove prescrizioni, in base a verifica di compatibilità delle varianti con i valori protetti (scenario da ritenersi previsto dall’Amministrazione, che dette varianti aveva ritenuto possibili in via migliorativa, nel corso di lavori da svolgere, comunque, sotto la vigilanza dell’Autorità preposta; sulla nozione di variante in corso d’opera, coincidente con interventi edilizi in lieve difformità dal progetto cfr. Cass. pen., sez. III, 18.2.1997, n. 2574).
Per quanto sopra esposto, le offerte delle società prime qualificate non potevano ritenersi inammissibili, o non positivamente valutabili, per effetto di varianti progettuali previste dal disciplinare di gara e non eccedenti, per quanto risulta dagli atti, i limiti previsti.
Ugualmente infondata appare l’ulteriore censura riferita a difetto di motivazione, in esito a confronto a coppie fra le imprese concorrenti. A tale riguardo fondatamente, nella sentenza appellata, si rileva come il disciplinare di gara prevedesse la valutazione dell’offerta tecnica con riferimento a sette elementi qualitativi, alcuni dei quali (efficienza energetica, sostenibilità ambientale, usabilità e durabilità dell’edificio, caratteri di socializzazione e psico-ambientali) articolati in due sotto-elementi; tutti i parametri sopra indicati erano soggetti a valutazione, tramite confronto a coppie delle imprese concorrenti, con risultati riportati in apposite tabelle, allegate ai verbali di gara. Tale procedura appare corretta e non censurabile per difetto di motivazione, in aderenza al pacifico indirizzo giurisprudenziale, secondo cui – nell’ambito della procedura in questione – la motivazione dell’apprezzamento, espresso sugli elementi qualitativi di ciascuna offerta, è individuabile nelle stesse preferenze, accordate ai vari elementi in base ai quali è avvenuto il raffronto; l’indicazione preferenziale nella fattispecie espressa non richiedeva, pertanto, ulteriori specificazioni logico-argomentative delle scelte effettuate, essendo il giudizio insito nell’assegnazione delle preferenze e nel consequenziale punteggio sulla base di criteri predeterminati, che nella fattispecie appaiono sussistenti (cfr. per il principio, fra le tante, Cons. St., sez. V, 28.6.2002, n. 3566 e 28.2.2012, n. 1150; Cons. St., sez. VI, 4.6.2007, n. 2943).
Restano da valutare, a questo punto, i motivi di gravame che debbono ritenersi proposti in via subordinata, in quanto finalizzati non all’aggiudicazione della gara alla terza classificata (per inadeguatezza dell’offerta o illegittimità del giudizio, espresso sulle imprese o i raggruppamenti collocati nelle due prime posizioni in graduatoria), ma all’annullamento dell’intera procedura, a partire dalla nomina della commissione aggiudicatrice, ovvero dall’apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche in seduta non pubblica, in contrasto con l’indirizzo interpretativo, contenuto nella sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 28.7.2011, n. 13.
Per entrambe tali censure la parte appellante eccepisce il difetto di interesse dell’originaria ricorrente, in base ai principi – già in precedenza accennati – contenuti nella sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4/2011, come anche successivamente ribaditi dalla giurisprudenza (Cons. St., sez. VI, 15.6.2011, n. 3655 e 14.11.2012, n. 5749).
Tale eccezione non è condivisa dal Collegio.
A seguito della ricordata pronuncia dell’Adunanza Plenaria si impone infatti una rigorosa applicazione del principio di legittimazione alla proposizione della domanda, ai sensi dell’art. 100 cod. proc. civ., con riconoscimento di tale posizione legittimante solo per chi abbia partecipato legittimamente alla gara.
In assenza della predetta posizione legittimante, la domanda giudiziale deve essere dichiarata nel suo insieme inammissibile, mentre il soggetto legittimato può, invece, sicuramente contestare ogni aspetto della procedura, anche ove ciò comporti azzeramento della stessa (ad esempio, per illegittima scelta dell’Amministrazione di indire la gara o, all’opposto, di procedere ad affidamento diretto, ovvero per censurabile clausola del bando “escludente”). Una volta, quindi, che sia stata verificata la sussistenza di una situazione soggettiva tutelabile (sia essa di diritto soggettivo che di interesse legittimo), quest’ultima non può che implicare svolgimento del processo fino alla pronuncia di merito, con riferimento a tutte le censure prospettate, anche ove corrispondenti ad un interesse solo residuale al risarcimento del danno per perdita di “chance”, ovvero all’interesse strumentale, finalizzato alla rinnovazione della gara (benchè quest’ultimo interesse – tenuto conto delle osservazioni formulate nella più volte citata sentenza n. 4/2011 dell’Adunanza Plenaria – possa talvolta avere carattere meramente eventuale).
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che, nel caso di specie, anche le censure invalidanti dell’intera procedura di gara debbano ritenersi ammissibili.
La prima di tali censure riguarda, come in precedenza specificato, la prospettata violazione dell’art. 84 del d.lgs. n. 163/2006, per scelta dei componenti della Commissione aggiudicatrice non conforme ai criteri prescritti dalla norma, che richiede per la nomina competenza dei prescelti nello specifico settore interessato dalla procedura di gara. Secondo la parte appellata (ed appellante in via incidentale) nella situazione in esame uno solo dei tre componenti della Commissione sarebbe stato in possesso di adeguata competenza tecnica.
Il Collegio non condivide tale prospettazione, risultando, viceversa, ragionevoli le controdeduzioni dell’ERSU, secondo cui la valutazione dell’intervento posto a base di gara (realizzazione di residenze ad uso abitativo, sulla base di un progetto già predisposto ed approvato nelle linee generali) non richiedeva competenze tecniche di tipo specialistico, con conseguente sufficienza del possesso, da parte dei commissari, di un bagaglio di conoscenze e di esperienze, tali da consentire l’espressione di un giudizio accurato e consapevole, nonché rispondente ai fini perseguiti dall’Ente, anche attraverso l’integrazione di professionalità diversificate. Tale apporto risulta assicurato, nella fattispecie, per la presenza di un Dirigente dell’Amministrazione appaltante, con funzioni di Presidente, nonché di un avvocato, funzionario responsabile del servizio legale dell’Università Politecnica delle Marche, esperto in materia di contrattualistica pubblica e di un ingegnere, direttore di E.R.A.P. (Ente Regionale Abitazione Pubblica), specificamente competente per le residenze ad uso abitativo. La delibera di nomina di tale Commissione, effettuata dal Consiglio di Amministrazione dell’ERSU in data 22.3.2011 dà atto esplicitamente – nel documento istruttorio allegato alla stessa – dei criteri adottati per la scelta, con riferimento alla prassi corrente (che consente di avvalersi di funzionari anche di altre amministrazioni aggiudicatrici) ed alla dichiarata esigenza di individuare commissari “di elevata professionalità e comprovata esperienza” .
Ad avviso del collegio, la Commissione aggiudicatrice poteva, in conclusione, ritenersi composta da personalità di adeguato profilo, in un settore non altamente specialistico o scientifico come quello in esame.
Resta da valutare la censura, in accoglimento della quale la procedura di gara di cui trattasi è stata annullata in primo grado di giudizio: censura riferita all’apertura dei plichi, contenenti le offerte tecniche, in seduta non pubblica. Tale modalità procedurale, come è noto, risulta oggi non consentita dall’art. 12 del d.l. 7.5.2012, n. 52, convertito in legge 6.7.2012, n. 94 , che – di per sé non applicabile alla procedura di cui trattasi, poiché successivamente emanato – recepisce tuttavia un principio interpretativo, affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con sentenza n. 13 del 28.7.2011. In tale sentenza si rileva come le normative vigenti prevedano esplicitamente, in effetti, un preciso obbligo di svolgimento in seduta pubblica delle operazioni, concernenti l’apertura delle buste contenenti la documentazione amministrativa e l’offerta economica; i principi che reggono l’affidamento degli appalti pubblici e segnatamente il principio di pubblicità delle operazioni di gara, anche alla luce della disciplina comunitaria (cfr, direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE in materia di trasparenza) hanno indotto tuttavia a ritenere che possano essere effettuate in seduta riservata solo le operazioni, implicanti valutazioni di natura tecnico-discrezionale, esclusa quindi la mera verifica di integrità dei plichi e di controllo preliminare degli atti inviati, che deve appunto riguardare anche le offerte tecniche. Riguardo a queste ultime, in particolare, la garanzia di trasparenza richiesta deve considerarsi assicurata “quando la commissione, aperta la busta del singolo concorrente, abbia proceduto ad un esame della documentazione, leggendo il solo titolo degli atti rinvenuti e dandone atto nel verbale della seduta” (Ad. Plen. n. 13/2011 cit.).
Di tali puntuali adempimenti, in effetti, non si ha riscontro nella situazione in esame, senza però che sia ravvisabile violazione del disciplinare di gara, imponendo l’art. 4 di tale disciplinare quanto segue: “La Commissione di gara procede quindi, in una o più sedute successive non pubbliche, all’apertura dei plichi denominati B-OFFERTA TECNICA, valutando gli aspetti tecnici proposti ed assegnando i relativi punteggi”.
Appare dunque evidente che la censura di violazione del principio di trasparenza, sottostante all’apertura di tutta la documentazione di gara in seduta pubblica non poteva prescindere, per quanto riguarda le offerte tecniche, dall’impugnazione del bando: impugnazione effettuata, nella fattispecie, unitamente a quella dell’aggiudicazione non favorevole all’originaria ricorrente, GPL Costruzioni s.r.l.. A tale riguardo, tuttavia, sia l’aggiudicataria CORES sia l’ERSU eccepiscono la tardività del gravame, in rapporto ad un atto, in ipotesi, immediatamente lesivo e da contestare entro gli ordinari termini di decadenza.
La prospettazione sopra indicata appare innovativa rispetto al tradizionale indirizzo giurisprudenziale, secondo cui l’atto amministrativo generale, o l’atto di normazione secondaria presupposto debbono essere impugnati entro i predetti termini decadenziali – non assieme all’atto conclusivo della procedura – solo ove immediatamente lesivi di una situazione soggettiva protetta: situazione, quella appena indicata, ritenuta ravvisabile quando l’atto presupposto risulti di per sé ostativo per la realizzazione dell’interesse finale perseguito (ovvero in rapporto ad una procedura concorsuale, il cui bando sia per talune ditte preclusivo della partecipazione cfr. in tal senso Cons. St., Ad. Plen., 23.1.2003, n. 1 e successiva, pacifica giurisprudenza conforme).
La sussistenza di ragioni per pervenire ad un diverso indirizzo è stata affermata dalla sezione con ordinanze nn. 351 del 18.1.2011 e 2633 in data 8.5.2012; in entrambi i casi, tuttavia, l’Adunanza Plenaria non ha esaminato la questione per difetto di rilevanza (Cons. St., Ad. Plen. 7.4.2011, n. 4 e 31.7.2012, n. 31)
Ad avviso del Collegio, la questione merita di essere nuovamente sollevata, in corrispondenza ad una formale eccezione preliminare, riferita all’unica censura non ancora esaminata e respinta nell’ambito del presente giudizio, con conseguente rilevanza di una problematica, la cui soluzione deve precedere, ad avviso del Collegio, ogni ulteriore argomentazione difensiva (come la richiesta applicazione dell’istituto dell’errore scusabile, ex art. 37 c.p.a., o la sufficienza, in via di fatto, degli adempimenti effettuati dalla Commissione aggiudicatrice; sull’ineludibile, prioritario esame delle questioni preliminari cfr. anche Cons. St., Ad. Plen., n. 4/2011 cit.).
La sussistenza di giusti motivi per un indirizzo evolutivo, rispetto alla citata pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1/2003, risultano già esposti nelle ordinanze della sezione sopra ricordate, nei termini di seguito sintetizzati:
- la volontà deflattiva del contenzioso, sottostante all’indirizzo di immediata impugnabilità delle sole clausole escludenti, non ha trovato rispondenza nei fatti, con reiterate impugnazioni che, dopo la conclusione delle procedure di gara, postulano l’annullamento del bando e quindi l’azzeramento delle procedure stesse, con notevole aggravio di spese per l’amministrazione e danno per le imprese aggiudicatarie incolpevoli, sulle cui offerte non fosse emerso o riconosciuto alcun vizio;
- i principi di buona fede e affidamento, di cui agli articoli 1337 e 1338 cod. civ., dovrebbero implicare che le imprese, tenute a partecipare alla gara con attenta disamina delle prescrizioni del bando, fossero non solo abilitate, ma obbligate a segnalare tempestivamente, tramite impugnazione del bando stesso, eventuali cause di invalidità della procedura di gara così come predisposta, anche come possibile fonte di responsabilità precontrattuale; quanto sopra, in linea con la ratio ispiratrice dell’art. 243 bis del codice degli appalti (d.lgs. n. 163/2006), nel testo introdotto dal d.lgs. n. 53/2010 (informativa preventiva dell’intento di proporre ricorso giurisdizionale).
Il Collegio condivide le predette osservazioni e ritiene che le imprese partecipanti a procedure contrattuali ad evidenza pubblica dovrebbero ritenersi tenute ad impugnare qualsiasi clausola del bando ritenuta illegittima, entro gli ordinari termini decadenziali.
La questione sopra indicata appare connessa alla vera e propria svolta, impressa al contenzioso in materia di pubblici appalti dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4/2011, ispirata al superamento di indirizzi giurisprudenziali, che finiscono per determinare una “litigiosità esasperata”, senza garantire il soddisfacimento dell’interesse primario di ciascun concorrente (aggiudicazione dell’appalto) e rendendo “estremamente difficoltosa e spesso impossibile (si pensi alla perdita di finanziamenti comunitari) l’esecuzione dell’opera pubblica”.
Fra tali indirizzi, sembra al Collegio che possa annoverarsi quello riconducibile alla ricordata sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1/2003, limitativa dell’immediata impugnabilità dei bandi di gara (o di concorso) – senza necessità di attendere i relativi atti applicativi – solo con riferimento alle clausole impeditive dell’ammissione di soggetti interessati alla selezione, ovvero impositive di oneri sproporzionati per la partecipazione, o di condizioni non comprensibili; quanto sopra, nella presupposizione che in ogni altro caso mancherebbe una lesione diretta ed attuale dell’interesse protetto.
Tale conclusione – oltre a non condurre, come già in precedenza rilevato, ad una riduzione del contenzioso, che viene normalmente avviato su ogni questione prospettabile (con aggravata lesione degli interessi sia pubblici che privati, in caso di azzeramento dell’intera procedura dopo la conclusione della stessa) – appare non più convincente anche sul piano dei principi, regolatori dell’impugnativa di atti amministrativi generali, destinati alla cura concreta di interessi pubblici nei confronti di destinatari indeterminati, ma determinabili. Con la domanda di partecipazione alla gara, infatti, le imprese concorrenti divengono titolari di un interesse legittimo, quale situazione soggettiva protetta corrispondente all’esercizio di un potere, soggetto al principio di legalità ed esplicato, in primo luogo, con l’emanazione del bando. A qualsiasi vizio di quest’ultimo si contrappone, pertanto, l’interesse protetto al corretto svolgimento della procedura, nei termini disciplinati dalla normativa vigente in materia e dalla lex specialis; l’inoppugnabilità della disciplina di gara contenuta nel bando, alla scadenza degli ordinari termini decadenziali, appare dunque conforme alle esigenze di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, che detti termini presuppongono, affinchè l’interesse pubblico sia perseguito senza perduranti margini di incertezza, connessi ad eventuali impugnative.
In effetti la disciplina ormai consolidata sul “giusto procedimento amministrativo”, ispirato a principi di economicità e speditezza e la peculiare funzione del bando di gara – quale lex specialis che circoscrive (con clausole prescrittive di adempimenti anche formali, a pena di esclusione) il principio di strumentalità delle forme (secondo cui l’invalidità di un atto per vizi procedurali può essere riconosciuta, solo quando gli adempimenti formali omessi non ammettano equipollenti per il raggiungimento dello scopo perseguito: cfr. fra le tante, per il principio; Cons. St., sez. V, 28.1.2005, n. 187, 5.7.2005, n. 3716 e 23.3.2004, n. 1542; TAR Lazio, Roma, sez. I, 31.12.2005, n. 15180) – impongono una scrupolosa disamina del medesimo bando da parte delle imprese partecipanti, che sono tenute ad attenersi alle relative prescrizioni e non possono, pertanto, non ritenersi in grado di procedere ad immediata contestazione di ogni eventuale vizio, rilevato nella disciplina in questione. Quanto sopra, anche in ottemperanza al diritto comunitario, che include nel principio di effettività della tutela la massima possibile limitazione di ogni margine di incertezza giuridica, sul piano sostanziale o procedurale (cfr. direttive 2007/66/CE e 89/665/CEE, la prima delle quali, in particolare, richiama al punto 25 del preambolo “la necessità di garantire nel tempo la certezza delle decisioni prese dalle commissioni aggiudicatrici e dagli enti aggiudicatori, allo scopo di far stabilire che il contratto è privo di effetti, al fine di fissare un termine minimo ragionevole di prescrizione o decadenza dei ricorsi”; nel successivo art. 1, inoltre, si richiede un ricorso “efficace” e “più rapido possibile”: situazione difficilmente compatibile con procedure, le cui regole siano ancora contestabili “ab initio” dopo la relativa conclusione).
Per quanto qui interessa, è dunque necessario stabilire se l’originaria ricorrente in primo grado (G.P.L. Costruzioni s.r.l.) dovesse impugnare immediatamente (e non dopo l’esito finale della gara, per la medesima non favorevole) una clausola del bando che – nel prevedere in modo esplicito l’apertura delle buste, contenenti l’offerta tecnica, in seduta non pubblica – la esponeva immediatamente alla violazione del principio di trasparenza procedurale, solo in un secondo tempo invocato. Una tempestiva contestazione non avrebbe potuto non ritenersi invece preferibile, essendo pacifico che la complessa ed onerosa partecipazione ad una gara, indetta dall’Amministrazione per l’affidamento di lavori, servizi o forniture – benchè conclusivamente finalizzata all’aggiudicazione – implichi per le imprese concorrenti anche un immediato interesse al corretto espletamento della procedura, sulla base di regole certe e non ulteriormente contestabili.
Il Collegio ritiene quindi opportuno rimettere all’Adunanza Plenaria la questione della immediata impugnabilità del bando di gara per ogni vizio rilevato.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) – non definitivamente pronunciando – riunisce gli appelli indicati in epigrafe e li respinge in parte, nei termini precisati in motivazione, disponendo per l’ultima questione dedotta in giudizio (estensione del principio di pubblicità alle offerte tecniche, in caso di contraria prescrizione del bando) il deferimento all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
Demanda alla segreteria della sezione gli adempimenti di competenza e, in particolare, la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all’Adunanza Plenaria.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore
Bernhard Lageder, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE






DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 01/02/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)