Inutile sottolineare l'importanza della questione sollevata dalla Sez. VI, considerato il torrenziale contenzioso in materia appalti (destinato tuttavia a ridursi nel 2013 per effetto del "significativo" aumento del contributo unificato e della crisi economica).
Gli effetti della sentenza dell'Adunanza Plenaria si propagheranno di certo anche sul quadro dei concetti fondamentali del diritto amministrativo generale, oltre che su elementi cardinali del processo come le condizioni dell'azione.
D'altronde in questa branca dell'ordinamento spesso si notano evidenti i caratteri del diritto di creazione giurisprudenziale, sulla base del brocardo ex actione ius oritur (e dei modelli romanistico pretorio ed anglosassone sia di common law che di equity), e non viceversa (vedi il moderno diritto civile codicistico).
Buona lettura.
Massima
1. L’atto
amministrativo generale, o l’atto di normazione secondaria presupposto debbono
essere impugnati entro i predetti termini decadenziali – non assieme all’atto
conclusivo della procedura – solo ove immediatamente lesivi di una situazione
soggettiva protetta: situazione, quella appena indicata, ritenuta ravvisabile
quando l’atto presupposto risulti di per sé ostativo per la realizzazione
dell’interesse finale perseguito (ovvero in rapporto ad una procedura
concorsuale, il cui bando sia per talune ditte preclusivo della partecipazione
cfr. in tal senso Cons. St., Ad. Plen., 23.1.2003, n. 1 e successiva, pacifica
giurisprudenza conforme).
La sussistenza di ragioni per
pervenire ad un diverso indirizzo è stata affermata dalla sezione con ordinanze
nn. 351 del 18.1.2011 e 2633 in data 8.5.2012; in entrambi i casi, tuttavia,
l’Adunanza Plenaria non ha esaminato la questione per difetto di rilevanza
(Cons. St., Ad. Plen. 7.4.2011, n. 4 e 31.7.2012, n. 31)
Ad avviso del Collegio, la questione
merita quindi di essere nuovamente sollevata.
2. La sussistenza di giusti motivi per un indirizzo
evolutivo, rispetto alla citata pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio
di Stato n. 1/2003, risultano già esposti nelle ordinanze della sezione sopra
ricordate, nei termini di seguito sintetizzati:
- la volontà deflattiva del
contenzioso, sottostante all’indirizzo di immediata impugnabilità delle sole
clausole escludenti, non ha trovato rispondenza nei fatti, con reiterate
impugnazioni che, dopo la conclusione delle procedure di gara, postulano
l’annullamento del bando e quindi l’azzeramento delle procedure stesse, con
notevole aggravio di spese per l’amministrazione e danno per le imprese
aggiudicatarie incolpevoli, sulle cui offerte non fosse emerso o riconosciuto
alcun vizio;
- i
principi di buona fede e affidamento, di cui agli articoli 1337 e 1338 cod.
civ., dovrebbero implicare che le imprese, tenute a partecipare alla gara con
attenta disamina delle prescrizioni del bando, fossero non solo abilitate, ma
obbligate a segnalare tempestivamente, tramite impugnazione del bando stesso,
eventuali cause di invalidità della procedura di gara così come predisposta,
anche come possibile fonte di responsabilità precontrattuale; quanto sopra, in
linea con la ratio ispiratrice dell’art. 243 bis del codice degli appalti
(d.lgs. n. 163/2006), nel testo introdotto dal d.lgs. n. 53/2010 (informativa
preventiva dell’intento di proporre ricorso giurisdizionale).
Il Collegio condivide
le predette osservazioni e ritiene che le imprese partecipanti a procedure
contrattuali ad evidenza pubblica dovrebbero ritenersi tenute ad impugnare
qualsiasi clausola del bando ritenuta illegittima, entro gli ordinari termini
decadenziali.
La questione sopra indicata appare
connessa alla vera e propria svolta, impressa al contenzioso in materia di
pubblici appalti dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato
n. 4/2011, ispirata al superamento di indirizzi giurisprudenziali, che
finiscono per determinare una “litigiosità esasperata”, senza garantire il
soddisfacimento dell’interesse primario di ciascun concorrente (aggiudicazione
dell’appalto) e rendendo “estremamente difficoltosa e spesso impossibile (si
pensi alla perdita di finanziamenti comunitari) l’esecuzione dell’opera
pubblica”.
3. Fra tali indirizzi,
sembra al Collegio che possa annoverarsi quello riconducibile alla ricordata
sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1/2003, limitativa
dell’immediata impugnabilità dei bandi di gara (o di concorso) – senza
necessità di attendere i relativi atti applicativi – solo con riferimento alle
clausole impeditive dell’ammissione di soggetti interessati alla selezione,
ovvero impositive di oneri sproporzionati per la partecipazione, o di
condizioni non comprensibili; quanto sopra, nella presupposizione che in ogni
altro caso mancherebbe una lesione diretta ed attuale dell’interesse protetto.
Tale conclusione – oltre a non
condurre, come già in precedenza rilevato, ad una riduzione del contenzioso,
che viene normalmente avviato su ogni questione prospettabile (con aggravata
lesione degli interessi sia pubblici che privati, in caso di azzeramento
dell’intera procedura dopo la conclusione della stessa) – appare non più
convincente anche sul piano dei principi, regolatori dell’impugnativa di atti
amministrativi generali, destinati alla cura concreta di interessi pubblici nei
confronti di destinatari indeterminati, ma determinabili. Con la domanda di
partecipazione alla gara, infatti, le imprese concorrenti divengono titolari di
un interesse legittimo, quale situazione soggettiva protetta corrispondente
all’esercizio di un potere, soggetto al principio di legalità ed esplicato, in
primo luogo, con l’emanazione del bando. A qualsiasi vizio di quest’ultimo si
contrappone, pertanto, l’interesse protetto al corretto svolgimento della
procedura, nei termini disciplinati dalla normativa vigente in materia e dalla
lex specialis; l’inoppugnabilità della disciplina di gara contenuta nel bando,
alla scadenza degli ordinari termini decadenziali, appare dunque conforme alle
esigenze di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa.
Ordinanza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL'ADUNANZA
PLENARIA
sul ricorso numero di registro generale 3945 del 2012,
proposto dalla società Cores Srl in proprio e quale Capogruppo Mandataria Ati,
Ati - Taletti Costruzioni S.r.l., rappresentate e difese dagli avvocati Angelo
Clarizia e Francesco Migliarotti, con domicilio eletto presso il primo in Roma,
via Principessa Clotilde N.2;
contro
Gpl Costruzioni Generali S.r.l., Torelli Dottori
S.p.A., rappresentate e difese dall'avv. Marco Bertinelli Terzi, con domicilio
eletto presso l’avv. Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
nei confronti di
Ente Regionale Per il Diritto Allo Studio
Universitario di Ancona – Ersu – rappresentato e difeso dall'avv. Alessandro
Lucchetti, con domicilio eletto presso l’avv. Angelo Clarizia in Roma, via
Principessa Clotilde n.2; Intercantieri Vittadello S.p.A.;
sul ricorso numero di registro generale 4247 del 2012,
proposto dall’Ente Regionale per il Diritto allo Studio Universitario di Ancona
– Ersu – rappresentato e difeso dall'avv. Alessandro Lucchetti, con domicilio
eletto presso l’avv. Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde n.2;
contro
Gpl Costruzioni Generali Srl, Torelli Dottori Spa,
rappresentate e difese dall'avv. Marco Bertinelli Terzi, con domicilio eletto
presso l’avv. Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
nei confronti di
Cores Costruzioni e Restauri Srl in proprio e nella
qualita' di Capogruppo Mandataria Ati, Talletti Costruzioni Srl in proprio e
nella qualita' di Mandante Ati, Intercantieri Vittadello Spa;
per la riforma
quanto al ricorso n. 3945 del 2012:
della sentenza del T.a.r. Marche – Ancona, Sezione I,
n. 00280/2012, resa tra le parti, concernente aggiudicazione definitiva
dell’affidamento di opere di recupero e risanamento conservativo di un
immobile, da adibire a residenza universitaria;
quanto al ricorso n. 4247 del 2012:
della sentenza del T.a.r. Marche – Ancona, Sezione I,
n. 00280/2012, resa tra le parti, concernente aggiudicazione definitiva
dell’affidamento di opere di recupero e risanamento conservativo di un
immobile, da adibire a residenza universitaria;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Gpl
Costruzioni Generali S.r.l., Torelli Dottori S.p.A., dell’Ente Regionale per il
Diritto allo Studio Universitario di Ancona – Ersu – di Gpl Costruzioni
Generali Srl e di Torelli Dottori Spa;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle
rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 novembre
2012 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti gli avvocati Saporito per
delega dell’avv. Clarizia, Bertinelli Terzi e Lucchetti;
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con distinti atti di appello (n. 3945/12, proposto
dalla società Cores s.r.l. e n. 4247/12, proposto dall’Ente Regionale per il
Diritto allo Studio Universitario di Ancona – ERSU) – notificati,
rispettivamente, il 21.5.2012 e il 25.5.2012 – è stata impugnata la sentenza
del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche, Ancona, sez. I, n. 280
del 12.4.2012, con la quale veniva respinto il ricorso incidentale proposto da
Cores s.r.l. ed accolto il ricorso principale, proposto dalla società G.P.L.
Costruzioni Cenerali s.r.l. avverso gli atti di gara e l’aggiudicazione alla
controinteressata Cores s.r.l. dei lavori di recupero e risanamento conservativo
di un immobile, da adibire a residenza universitaria e servizi. Per quanto
riguarda il ricorso incidentale (da esaminare preliminarmente, in quanto il
relativo accoglimento sarebbe stato da considerare preclusivo della
legittimazione al ricorso principale: cfr. Cons. St., Ad. Plen., n. 4/2011),
nella citata sentenza si escludeva che un procuratore della società Cores
(geom. Giovanni Resta) fosse da assimilare ad un amministratore, tenuto a
rendere la dichiarazione, di cui all’art. 38, lettera c) del d.lgs. n.
163/2006, in considerazione delle non chiare indicazioni, contenute al riguardo
dalla lex specialis di gara, nella quale non si esprimeva chiaramente la
volontà di acquisire la dichiarazione di cui trattasi da qualsiasi soggetto
munito di potere di rappresentanza, benché non investito della carica di
amministratore, né si stabiliva in modo esplicito l’esclusione del concorrente,
che tale dichiarazione non avesse reso.
Per quanto riguarda il ricorso principale, nella
medesima sentenza si sottolineava come la ricorrente – terza classificata nella
gara in questione – mirasse all’esclusione delle imprese classificate al primo
e secondo posto. Tale effetto era ritenuto non riconducibile alla
presentazione, da parte delle medesime, di offerte migliorative non
ammissibili, perché comportanti nuovo permesso di costruire o parere della
Soprintendenza, con specifica violazione di una norma del disciplinare di gara;
tale inammissibilità, in effetti, non avrebbe comportato esclusione dell’intera
offerta, ma solo l’azzeramento del punteggio per la voce valutativa
corrispondente, con conseguente collocazione della ricorrente al primo posto in
graduatoria. A seguito di verificazione disposta in via istruttoria, in ogni
caso, la censura era ritenuta infondata, non essendo risultato necessario, per
le varianti proposte, alcun formale parere della Soprintendenza. Il criterio di
valutazione seguito (punteggio numerico, previo confronto a coppie) era
ritenuto inoltre chiaramente espressivo delle ragioni della scelta, senza che
si dovessero ritenere necessarie ulteriori motivazioni. Era ritenuta fondata,
invece, la terza censura, riferita all’apertura in seduta non pubblica del
plico, contenente l’offerta tecnica, in difformità dall’orientamento espresso
dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 13/2011. Non
avrebbe potuto eccepirsi, al riguardo, l’irrilevanza dell’interesse strumentale
all’azzeramento dell’intera procedura, essendo diretta (e non meramente
strumentale) la lesione degli interessi partecipativi dell’impresa concorrente.
L’apertura delle buste in seduta non pubblica avrebbe, infatti, impedito alla
ricorrente la verifica del contenuto delle stesse, al fine di scongiurare il
pericolo di manipolazioni successive. Era dichiarato assorbito, infine, il
motivo di gravame riguardante la composizione della Commissione aggiudicatrice.
A contestazione della pronuncia, sopra sommariamente
sintetizzata, la società Cores s.r.l. illustrava gli ampi poteri
rappresentativi del geom. Giovanni Resta, che doveva pertanto ritenersi tenuto
a prestare la dichiarazione, di cui al citato art. 38 d.lgs. n. 163/2006, a
pena di esclusione, come previsto nel bando di gara. Quanto all’esame
dell’offerta tecnica in seduta non pubblica, invece, la questione avrebbe
dovuto essere tempestivamente contestata con impugnazione del bando, che tale
modalità prevedeva (cfr. al riguardo Cons. Stato, sez. VI, ordinanza n.
2633/2012).
L’Ente Regionale per il Diritto allo Studio
Universitario di Ancona, a sua volta, sottolineava come il ricorso
giurisdizionale dovesse ritenersi inammissibile, ogni qual volta l’interesse del
ricorrente principale fosse rivolto alla mera eventualità di rinnovazione della
gara, per ragioni che avrebbero imposto la tempestiva impugnazione del bando;
in seduta pubblica, inoltre, sarebbe stata sufficiente la verifica
dell’integrità dei plichi, risultando l’obbligo di apertura degli stessi in
seduta pubblica solo successivamente disciplinato, con d.l. 7.5.2012, n. 52
(art. 12).
La società G.P.L. Costruzioni Generali s.r.l.,
costituitasi in giudizio con proposizione di appello incidentale, ribadiva la
tradizionale tesi dell’impugnabilità del bando solo unitamente alla lesione
diretta ed attuale dell’interesse protetto del concorrente; veniva inoltre
sottolineato come la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.
13/11 del 28.7.2011 fosse successiva non solo alla pubblicazione del bando
(gennaio 2011), ma anche all’aggiudicazione (30.6.2011): una decisione che, a
seguito della citata ordinanza n. 2633/2012, avesse sancito l’obbligo di
tempestiva impugnazione, non avrebbe escluso pertanto il riconoscimento
dell’errore scusabile, ex art. 37 c.p.a. (non potendo le imprese interessate
essere consapevoli della illegittimità del bando stesso, sotto il profilo di
cui si discute, prima della pubblicazione della citata pronuncia dell’Adunanza
Plenaria).
Il denegato riconoscimento della legittimazione, in
caso di azzeramento della procedura, si sarebbe posto inoltre in contrasto con
i principi di uguaglianza, giusto processo, diritto di difesa, trasparenza e
imparzialità dell’Amministrazione. Qualsiasi partecipante ad una gara dovrebbe
ritenersi legittimato a far valere, infatti, sia l’interesse al conseguimento
dell’appalto affidato al controinteressato, sia l’interesse strumentale alla
caducazione dell’intera procedura, purchè il ricorrente fosse stato ritualmente
ammesso alla selezione. In via incidentale, inoltre, la medesima società G.P.L.
contestava la sentenza n. 280/12, nella parte in cui risultavano respinti il
primo ed il secondo motivo di gravame, contenuti nel ricorso di primo grado (errata
interpretazione ed applicazione delle prescrizioni del disciplinare di gara,
relative alla valutazione delle offerte tecniche e delle varianti al progetto
poste a base di gara, nonché incongruità, illogicità, irrazionalità e difetto
di motivazione, essendo state proposte – dalle due imprese prime classificate –
varianti richiedenti nuovo parere della Soprintendenza; illegittimità per
difetto assoluto di motivazione, violazione o erronea applicazione dell’art. 83
d.lgs. n. 163/2006, nonché dei principi di trasparenza e par condicio, con
riferimento alla mera attribuzione di punteggi numerici, in assenza di
“specifici, oggettivi e puntuali criteri di valutazione definiti nel bando”;
violazione dell’art. 84 del d.lgs. n. 163/2006, illegittima composizione della
Commissione giudicatrice per mancanza di adeguata qualificazione tecnica dei
relativi componenti tranne uno, violazione dei principi di correttezza,
trasparenza imparzialità e buon andamento della P.A.).
Analitiche controdeduzioni alle tesi avverse, infine,
venivano proposte da tutte le parti in causa e su tali basi la causa è passata
in decisione
DIRITTO
Il Collegio è chiamato a valutare, preliminarmente, le
ragioni prospettate col ricorso incidentale, presentato dall’aggiudicataria
Cores s.r.l. in primo grado di giudizio e riproposte in appello, al fine di
escludere la legittimazione attiva della società G.P.L. Costruzioni Generali
s.r.l., terza classificata nella gara indetta dall’Ente Regionale per il
Diritto allo Studio Universitario di Ancona (ERSU), per opere di recupero e
risanamento conservativo dell’immobile denominato “Buon Pastore”, da adibire a
residenza universitaria e servizi. Quanto sopra, in base ai principi affermati
nella sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4 del 7.4.2011,
secondo cui perde legittimazione attiva il ricorrente che – in accoglimento di
ricorso incidentale – sia dichiarato privo dei requisiti per partecipare alla
gara, o comunque da escludere dalla stessa per inadempienze, anche formali, in
sede di offerta, non ritenendosi più tutelabile l’interesse alla mera (e solo
eventuale) ripetizione della procedura concorsuale, quale unico interesse che
residuerebbe per il ricorrente, che non possa più ritenersi potenziale
aggiudicatario, in caso di accoglimento della propria impugnativa.
Nella situazione in esame il Collegio – ravvisata in
primo luogo l’opportunità di riunire gli appelli specificati in epigrafe, per
evidente connessione soggettiva ed oggettiva – ritiene non condivisibili le
argomentazioni, portate a sostegno della carenza di legittimazione
dell’appellata G.P.L. Costruzioni.
Tali argomentazioni si riferiscono alla prospettata
violazione dell’obbligo formale di rendere le dichiarazioni, prescritte
dall’art. 38, comma 2, del d.lgs. 12.4.2006, n. 163 (codice dei contratti
pubblici), con riferimento alle cause di esclusione di cui al precedente comma
1 della medesima norma, anche per soggetti che, pur non qualificati come
amministratori, risultino comunque procuratori speciali di una società, con
ampi poteri di rappresentanza.
Non è sollevata questione, invece, sul piano della
materiale sussistenza di una delle cause preclusive indicate dalla norma: nella
fattispecie non si discute, pertanto, della tassativa esigenza che
l’Amministrazione escluda dall’affidamento di lavori, servizi e forniture,
dalla medesima richiesti tramite pubblica gara, soggetti non in possesso di
adeguata affidabilità morale e professionale, ma della ulteriore esigenza che –
tramite formale dichiarazione al riguardo – siano rispettate le regole imposte
dalla lex specialis della gara stessa, a tutela della par condicio dei
concorrenti.
In tale contesto va osservato che la gara di cui
trattasi risulta avviata prima dell’integrazione – con d.l. 13.5.2011, n. 70 –
dell’art. 46 del codice degli appalti, che in ogni caso, anche nella nuova
formulazione, ribadisce principi già affermati in via interpretativa, circa il
potere-dovere della stazione appaltante di richiedere integrazioni e
chiarimenti al concorrente, in ordine a quanto dichiarato sul possesso dei
requisiti richiesti, sempre che si tratti di carenze meramente formali della
documentazione, comprovante tale possesso (cfr., fra le tante, Cons. St., sez.
V, 23.10.2012, n. 5408, 21.10.2011, n. 5639, 24.3.2011, n. 1778, 10.11.2011, n.
5939, 28.12.2011, n. 6965, 9.11.2010, n. 7963, 2.8.2010, n. 5084; Cons. St.,
sez. III, 8.6.2012, n. 3393; Cons. St., sez. VI, 6.6.2011, n. 3365). Più
precisamente, per quanto riguarda i requisiti, previsti dall’art. 38, comma 1,
del d.lgs n. 163/2006, deve ritenersi pacifico che la mancanza di uno di essi
determini inidoneità del concorrente a partecipare alla gara, e che l’eventuale
assenza, o incompletezza, della dichiarazione concernente i medesimi requisiti,
da rendere a norma del secondo comma del medesimo articolo, comporti analoghe
conseguenze, solo se espressamente previsto dal bando a pena di esclusione
(cfr. in tal senso Cons. St., Ad. Plen. 4.5.2012, n. 10).
E’ vero che, a norma dell’art. 1 bis del citato art.
46 del d.lgs. n. 163/2006, nel testo introdotto dal d.l. n. 70/2011, detta
esclusione appare comunque connessa all’inosservanza di disposizioni, che
impongano adempimenti doverosi o contengano divieti, pur senza espressa
sanzione di esclusione: quanto sopra, tuttavia, in un quadro che escluda ogni
incertezza interpretativa e sia riconducibile ad espressioni non equivoche del
bando (Cons. St. Ad. Plen. 7.6.2012, n. 21).
Nella situazione in esame la lex specialis disponeva a
pena di esclusione, nell’art. 1, la presentazione di una serie di documenti,
fra cui (punto n. 1 art. cit.) “istanza di ammissione (allegato A al
disciplinare) compilata e sottoscritta secondo le modalità nella stessa
indicate”. Detta istanza corrispondeva ad un modulo prestampato – per la
società GPL sottoscritto dall’amministratore unico – nel quale, per quanto qui
interessa, si chiedeva che in rappresentanza della società fosse effettuata una
serie di dichiarazioni, “anche per conto di eventuali altri soggetti muniti di
potere di rappresentanza, nonché di direttori tecnici…” su “stati, qualità
personali e fatti”, di cui il sottoscrittore avesse diretta conoscenza; fra le
dichiarazioni richieste c’era quella “di non essere incorso in una delle cause
di esclusione….previste dall’art. 38 del d.lgs. 12.4.2006, n. 163, né in condanne
che comportino l’incapacità di contrattare con la p.a., di cui all’art. 32
quater c.p. o al d.lgs. 8.6.2001, n. 231”. Appare dunque ragionevole ritenere
che solo la presentazione dell’istanza, predisposta nei termini voluti
dall’Amministrazione, costituisse adempimento richiesto a pena di esclusione,
mentre la sottoscrizione della stessa da parte di altri soggetti, che
risultassero investiti di poteri di rappresentanza – pur corrispondendo ad un
indirizzo giurisprudenziale (peraltro non univoco) di stampo “sostanzialista”,
circa l’obbligo di rendere la dichiarazione stessa da parte di chiunque fosse
in grado di impegnare la società – poteva giustificare una richiesta di
integrazione documentale da parte della stazione appaltante, ma non anche
l’esclusione di una società che avesse, come nella fattispecie avvenuto,
diligentemente compilato il modulo in questione.
Le ragioni prospettate in via incidentale non possono
pertanto che essere respinte, con assorbimento della delicata problematica,
riferita all’obbligo di ogni procuratore munito di poteri di rappresentanza di
rendere la dichiarazione di cui all’art. 38, lettera c), del d.lgs. n.
163/2006, in quanto da assimilare ad un amministratore, investito degli stessi
poteri: su tale questione, infatti, sussistono indirizzi giurisprudenziali non
univoci, in considerazione dei quali la parte appellata ha presentato istanza
ex art. 99 d.lgs. n. 104/2010, affichè il Collegio chiedesse una pronuncia
dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (cfr., fra le tante, per gli
opposti indirizzi, Cons. St., sez. VI, 28.9.2012, n. 5150, 8.2.2007, n. 523,
12.10.2006, n. 6089, 18.1.2012, n. 178, 24.11.2009, n. 7380; Cons. St., sez. V,
6.6.2011, n. 3340, 24.11,2011, n. 6240, 16.11.2010, n. 8059; Cons. St., sez.
III, 21.12.2011, n. 6777); ad avviso del medesimo Collegio, tuttavia, per la
questione che qui interessa il predetto deferimento all’Adunanza Plenaria
risulterebbe ultroneo, essendo già stato chiarito che l’esclusione di un
partecipante alla gara, per omessa dichiarazione ex art. 38 d.lgs. n. 163/2006,
deve essere effettuata solo quando, in base al bando, sia esplicito tale onere
e non ardua l’individuazione dei relativi destinatari, ovvero quando vi sia
positiva prova che gli amministratori, per i quali è stata omessa detta
dichiarazione, abbiano pregiudizi penali (Cons. St., Ad. Plen., n. 21/2012
cit.): circostanze, quelle sopra indicate, che non risultano sussistenti nel
caso di specie.
Consegue al rigetto della domanda, formulata in via
incidentale dall’aggiudicataria (ed attuale appellante) CO.RES. Costruzioni e
Restauri s.r.l., in base ad ordine di priorità logica, la disamina delle
censure che l’appellata G.P.L. Costruzioni Generali s.r.l. (unitamente alla
società Torelli Dottori s.r.l.) ha riproposto in appello, anche con
impugnazione in via incidentale della citata sentenza del TAR per le Marche n.
280/2012.
Di tali censure, infatti, debbono considerarsi
proposte in via subordinata quelle indirizzate all’azzeramento della procedura
di gara (per illegittima composizione della Commissione aggiudicatrice e per
violazione del principio di disamina della regolarità dell’offerta tecnica in
seduta pubblica: profilo, quest’ultimo, posto a base dell’accoglimento del
ricorso in primo grado di giudizio), con conseguente esigenza di prioritario
esame delle argomentazioni, riferite alle modalità di valutazione delle offerte
delle due società prime classificate (ATI CO.RES s.r.l. e Intercantieri
Vittadello s.p.a.).
Dette argomentazioni – riferite all’attribuzione di
punteggio per varianti migliorative e al giudizio formulato col metodo del
“confronto a coppie” – non appaiono condivisibili.
Per quanto riguarda, in primo luogo, l’inammissibilità
– o comunque la non valutabilità, come precisato a pagina 5 del disciplinare –
di offerte migliorative, che comportassero varianti al progetto posto a base di
gara, tali da richiedere nuovo parere della Soprintendenza o nuovo permesso di
costruire, le argomentazioni dell’appellata non appaiono idonee a superare lo
scrupoloso accertamento condotto al riguardo, in via istruttoria, in primo
grado di giudizio, con conclusivo accertamento della non assoggettabilità delle
varianti proposte dalle predette società a nuovo permesso di costruire, previo
rinnovato parere della Soprintendenza, pur restando ferma l’esigenza di
autorizzazione ex art. 21, comma 4, del d.lgs. n. 42/2004 per ogni modifica
apportata al progetto già approvato. Correttamente a tale riguardo, nella
sentenza appellata si rileva l’esigenza di un’interpretazione del disciplinare
di gara, compatibile con la dichiarata volontà dell’Amministrazione di
ammettere la proposizione di varianti, che comportassero modifiche di ordine
estetico, distributivo e funzionale al progetto posto a base di gara. Quanto
sopra, in presenza di un parere solo preliminare della competente
Soprintendenza, che aveva tuttavia fornito, in tale ambito, specifiche linee
guida per la tutela del bene architettonico, con avvertenza che
l’autorizzazione dovesse intendersi a titolo provvisorio, “poiché durante
l’esecuzione delle opere potranno venire dettate tutte le prescrizioni ed
indicazioni che si rendessero necessarie (anche a seguito di scoperte e
rinvenimenti in cantiere)”. In tale contesto il parere, cui fa riferimento il
disciplinare di gara, potrebbe essere identificato con quello di cui all’art.
146, comma 5 del d.lgs. n. 42/2004, ma anche con l’autorizzazione, richiesta
dall’art. 21, comma 4 del d.lgs. n. 42/2004, fermo restando che l’assenso della
Soprintendenza per mere richieste di varianti, riconducibili ad un progetto già
favorevolmente valutato e compatibili con le prime prescrizioni fornite,
sarebbe qualificabile non come nuova autorizzazione, ma come nulla osta
rientrante nei compiti di vigilanza, immanenti all’effettuazione di interventi
edilizi su immobili vincolati. Nel caso di specie, le varianti migliorative in
questione risultano analiticamente valutate, sotto il profilo della ridotta
superficie interessata (per quanto riguarda l’installazione di pannelli
fotovoltaici, da collocare peraltro in parti del corpo di fabbrica privi di
valore monumentale), nonché in relazione all’uso di materiali moderni – come
per la pavimentazione in caucciù – in altre parti già interessate da nuove
tecnologie, ovvero, per quanto riguarda gradonate e rampe di accesso per disabili,
senza alterazione delle quote di inizio e fine della rampa, con copertura
temporanea e completamente rimovibile: il complesso degli interventi, suggeriti
come varianti migliorative – ivi comprese le modalità di illuminazione del
complesso – appaiono quindi, conclusivamente, rientranti nel contesto
progettuale già assentito, senza necessità di nuovo permesso di costruire o di
nuovo autonomo parere della Soprintendenza, pur essendo quest’ultima chiamata
ad avallare detti interventi o a dettare nuove prescrizioni, in base a verifica
di compatibilità delle varianti con i valori protetti (scenario da ritenersi
previsto dall’Amministrazione, che dette varianti aveva ritenuto possibili in
via migliorativa, nel corso di lavori da svolgere, comunque, sotto la vigilanza
dell’Autorità preposta; sulla nozione di variante in corso d’opera, coincidente
con interventi edilizi in lieve difformità dal progetto cfr. Cass. pen., sez.
III, 18.2.1997, n. 2574).
Per quanto sopra esposto, le offerte delle società
prime qualificate non potevano ritenersi inammissibili, o non positivamente
valutabili, per effetto di varianti progettuali previste dal disciplinare di
gara e non eccedenti, per quanto risulta dagli atti, i limiti previsti.
Ugualmente infondata appare l’ulteriore censura
riferita a difetto di motivazione, in esito a confronto a coppie fra le imprese
concorrenti. A tale riguardo fondatamente, nella sentenza appellata, si rileva
come il disciplinare di gara prevedesse la valutazione dell’offerta tecnica con
riferimento a sette elementi qualitativi, alcuni dei quali (efficienza
energetica, sostenibilità ambientale, usabilità e durabilità dell’edificio,
caratteri di socializzazione e psico-ambientali) articolati in due
sotto-elementi; tutti i parametri sopra indicati erano soggetti a valutazione,
tramite confronto a coppie delle imprese concorrenti, con risultati riportati
in apposite tabelle, allegate ai verbali di gara. Tale procedura appare
corretta e non censurabile per difetto di motivazione, in aderenza al pacifico
indirizzo giurisprudenziale, secondo cui – nell’ambito della procedura in
questione – la motivazione dell’apprezzamento, espresso sugli elementi
qualitativi di ciascuna offerta, è individuabile nelle stesse preferenze,
accordate ai vari elementi in base ai quali è avvenuto il raffronto;
l’indicazione preferenziale nella fattispecie espressa non richiedeva,
pertanto, ulteriori specificazioni logico-argomentative delle scelte
effettuate, essendo il giudizio insito nell’assegnazione delle preferenze e nel
consequenziale punteggio sulla base di criteri predeterminati, che nella
fattispecie appaiono sussistenti (cfr. per il principio, fra le tante, Cons.
St., sez. V, 28.6.2002, n. 3566 e 28.2.2012, n. 1150; Cons. St., sez. VI,
4.6.2007, n. 2943).
Restano da valutare, a questo punto, i motivi di
gravame che debbono ritenersi proposti in via subordinata, in quanto
finalizzati non all’aggiudicazione della gara alla terza classificata (per
inadeguatezza dell’offerta o illegittimità del giudizio, espresso sulle imprese
o i raggruppamenti collocati nelle due prime posizioni in graduatoria), ma
all’annullamento dell’intera procedura, a partire dalla nomina della
commissione aggiudicatrice, ovvero dall’apertura dei plichi contenenti le
offerte tecniche in seduta non pubblica, in contrasto con l’indirizzo
interpretativo, contenuto nella sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio
di Stato 28.7.2011, n. 13.
Per entrambe tali censure la parte appellante
eccepisce il difetto di interesse dell’originaria ricorrente, in base ai
principi – già in precedenza accennati – contenuti nella sentenza dell’Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato n. 4/2011, come anche successivamente ribaditi
dalla giurisprudenza (Cons. St., sez. VI, 15.6.2011, n. 3655 e 14.11.2012, n.
5749).
Tale eccezione non è condivisa dal Collegio.
A seguito della ricordata pronuncia dell’Adunanza
Plenaria si impone infatti una rigorosa applicazione del principio di
legittimazione alla proposizione della domanda, ai sensi dell’art. 100 cod.
proc. civ., con riconoscimento di tale posizione legittimante solo per chi
abbia partecipato legittimamente alla gara.
In assenza della predetta posizione legittimante, la
domanda giudiziale deve essere dichiarata nel suo insieme inammissibile, mentre
il soggetto legittimato può, invece, sicuramente contestare ogni aspetto della
procedura, anche ove ciò comporti azzeramento della stessa (ad esempio, per
illegittima scelta dell’Amministrazione di indire la gara o, all’opposto, di
procedere ad affidamento diretto, ovvero per censurabile clausola del bando
“escludente”). Una volta, quindi, che sia stata verificata la sussistenza di
una situazione soggettiva tutelabile (sia essa di diritto soggettivo che di
interesse legittimo), quest’ultima non può che implicare svolgimento del processo
fino alla pronuncia di merito, con riferimento a tutte le censure prospettate,
anche ove corrispondenti ad un interesse solo residuale al risarcimento del
danno per perdita di “chance”, ovvero all’interesse strumentale, finalizzato
alla rinnovazione della gara (benchè quest’ultimo interesse – tenuto conto
delle osservazioni formulate nella più volte citata sentenza n. 4/2011
dell’Adunanza Plenaria – possa talvolta avere carattere meramente eventuale).
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che, nel caso
di specie, anche le censure invalidanti dell’intera procedura di gara debbano
ritenersi ammissibili.
La prima di tali censure riguarda, come in precedenza
specificato, la prospettata violazione dell’art. 84 del d.lgs. n. 163/2006, per
scelta dei componenti della Commissione aggiudicatrice non conforme ai criteri
prescritti dalla norma, che richiede per la nomina competenza dei prescelti
nello specifico settore interessato dalla procedura di gara. Secondo la parte
appellata (ed appellante in via incidentale) nella situazione in esame uno solo
dei tre componenti della Commissione sarebbe stato in possesso di adeguata
competenza tecnica.
Il Collegio non condivide tale prospettazione,
risultando, viceversa, ragionevoli le controdeduzioni dell’ERSU, secondo cui la
valutazione dell’intervento posto a base di gara (realizzazione di residenze ad
uso abitativo, sulla base di un progetto già predisposto ed approvato nelle
linee generali) non richiedeva competenze tecniche di tipo specialistico, con
conseguente sufficienza del possesso, da parte dei commissari, di un bagaglio
di conoscenze e di esperienze, tali da consentire l’espressione di un giudizio
accurato e consapevole, nonché rispondente ai fini perseguiti dall’Ente, anche
attraverso l’integrazione di professionalità diversificate. Tale apporto
risulta assicurato, nella fattispecie, per la presenza di un Dirigente
dell’Amministrazione appaltante, con funzioni di Presidente, nonché di un
avvocato, funzionario responsabile del servizio legale dell’Università Politecnica
delle Marche, esperto in materia di contrattualistica pubblica e di un
ingegnere, direttore di E.R.A.P. (Ente Regionale Abitazione Pubblica),
specificamente competente per le residenze ad uso abitativo. La delibera di
nomina di tale Commissione, effettuata dal Consiglio di Amministrazione
dell’ERSU in data 22.3.2011 dà atto esplicitamente – nel documento istruttorio
allegato alla stessa – dei criteri adottati per la scelta, con riferimento alla
prassi corrente (che consente di avvalersi di funzionari anche di altre
amministrazioni aggiudicatrici) ed alla dichiarata esigenza di individuare
commissari “di elevata professionalità e comprovata esperienza” .
Ad avviso del collegio, la Commissione aggiudicatrice
poteva, in conclusione, ritenersi composta da personalità di adeguato profilo,
in un settore non altamente specialistico o scientifico come quello in esame.
Resta da valutare la censura, in accoglimento della
quale la procedura di gara di cui trattasi è stata annullata in primo grado di
giudizio: censura riferita all’apertura dei plichi, contenenti le offerte
tecniche, in seduta non pubblica. Tale modalità procedurale, come è noto,
risulta oggi non consentita dall’art. 12 del d.l. 7.5.2012, n. 52, convertito
in legge 6.7.2012, n. 94 , che – di per sé non applicabile alla procedura di
cui trattasi, poiché successivamente emanato – recepisce tuttavia un principio
interpretativo, affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con
sentenza n. 13 del 28.7.2011. In tale sentenza si rileva come le normative
vigenti prevedano esplicitamente, in effetti, un preciso obbligo di svolgimento
in seduta pubblica delle operazioni, concernenti l’apertura delle buste
contenenti la documentazione amministrativa e l’offerta economica; i principi
che reggono l’affidamento degli appalti pubblici e segnatamente il principio di
pubblicità delle operazioni di gara, anche alla luce della disciplina
comunitaria (cfr, direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE in materia di trasparenza)
hanno indotto tuttavia a ritenere che possano essere effettuate in seduta
riservata solo le operazioni, implicanti valutazioni di natura
tecnico-discrezionale, esclusa quindi la mera verifica di integrità dei plichi
e di controllo preliminare degli atti inviati, che deve appunto riguardare
anche le offerte tecniche. Riguardo a queste ultime, in particolare, la
garanzia di trasparenza richiesta deve considerarsi assicurata “quando la
commissione, aperta la busta del singolo concorrente, abbia proceduto ad un
esame della documentazione, leggendo il solo titolo degli atti rinvenuti e
dandone atto nel verbale della seduta” (Ad. Plen. n. 13/2011 cit.).
Di tali puntuali adempimenti, in effetti, non si ha
riscontro nella situazione in esame, senza però che sia ravvisabile violazione
del disciplinare di gara, imponendo l’art. 4 di tale disciplinare quanto segue:
“La Commissione di gara procede quindi, in una o più sedute successive non
pubbliche, all’apertura dei plichi denominati B-OFFERTA TECNICA, valutando gli
aspetti tecnici proposti ed assegnando i relativi punteggi”.
Appare dunque evidente che la censura di violazione
del principio di trasparenza, sottostante all’apertura di tutta la
documentazione di gara in seduta pubblica non poteva prescindere, per quanto
riguarda le offerte tecniche, dall’impugnazione del bando: impugnazione
effettuata, nella fattispecie, unitamente a quella dell’aggiudicazione non
favorevole all’originaria ricorrente, GPL Costruzioni s.r.l.. A tale riguardo,
tuttavia, sia l’aggiudicataria CORES sia l’ERSU eccepiscono la tardività del
gravame, in rapporto ad un atto, in ipotesi, immediatamente lesivo e da
contestare entro gli ordinari termini di decadenza.
La prospettazione sopra indicata appare innovativa
rispetto al tradizionale indirizzo giurisprudenziale, secondo cui l’atto
amministrativo generale, o l’atto di normazione secondaria presupposto debbono
essere impugnati entro i predetti termini decadenziali – non assieme all’atto
conclusivo della procedura – solo ove immediatamente lesivi di una situazione
soggettiva protetta: situazione, quella appena indicata, ritenuta ravvisabile
quando l’atto presupposto risulti di per sé ostativo per la realizzazione
dell’interesse finale perseguito (ovvero in rapporto ad una procedura
concorsuale, il cui bando sia per talune ditte preclusivo della partecipazione
cfr. in tal senso Cons. St., Ad. Plen., 23.1.2003, n. 1 e successiva, pacifica
giurisprudenza conforme).
La sussistenza di ragioni per pervenire ad un diverso
indirizzo è stata affermata dalla sezione con ordinanze nn. 351 del 18.1.2011 e
2633 in data 8.5.2012; in entrambi i casi, tuttavia, l’Adunanza Plenaria non ha
esaminato la questione per difetto di rilevanza (Cons. St., Ad. Plen. 7.4.2011,
n. 4 e 31.7.2012, n. 31)
Ad avviso del Collegio, la questione merita di essere
nuovamente sollevata, in corrispondenza ad una formale eccezione preliminare,
riferita all’unica censura non ancora esaminata e respinta nell’ambito del
presente giudizio, con conseguente rilevanza di una problematica, la cui
soluzione deve precedere, ad avviso del Collegio, ogni ulteriore argomentazione
difensiva (come la richiesta applicazione dell’istituto dell’errore scusabile,
ex art. 37 c.p.a., o la sufficienza, in via di fatto, degli adempimenti
effettuati dalla Commissione aggiudicatrice; sull’ineludibile, prioritario
esame delle questioni preliminari cfr. anche Cons. St., Ad. Plen., n. 4/2011
cit.).
La sussistenza di giusti motivi per un indirizzo
evolutivo, rispetto alla citata pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio
di Stato n. 1/2003, risultano già esposti nelle ordinanze della sezione sopra
ricordate, nei termini di seguito sintetizzati:
- la volontà deflattiva del contenzioso, sottostante
all’indirizzo di immediata impugnabilità delle sole clausole escludenti, non ha
trovato rispondenza nei fatti, con reiterate impugnazioni che, dopo la
conclusione delle procedure di gara, postulano l’annullamento del bando e
quindi l’azzeramento delle procedure stesse, con notevole aggravio di spese per
l’amministrazione e danno per le imprese aggiudicatarie incolpevoli, sulle cui
offerte non fosse emerso o riconosciuto alcun vizio;
- i principi di buona fede e affidamento, di cui agli
articoli 1337 e 1338 cod. civ., dovrebbero implicare che le imprese, tenute a
partecipare alla gara con attenta disamina delle prescrizioni del bando,
fossero non solo abilitate, ma obbligate a segnalare tempestivamente, tramite
impugnazione del bando stesso, eventuali cause di invalidità della procedura di
gara così come predisposta, anche come possibile fonte di responsabilità
precontrattuale; quanto sopra, in linea con la ratio ispiratrice dell’art. 243
bis del codice degli appalti (d.lgs. n. 163/2006), nel testo introdotto dal
d.lgs. n. 53/2010 (informativa preventiva dell’intento di proporre ricorso
giurisdizionale).
Il Collegio condivide le predette osservazioni e
ritiene che le imprese partecipanti a procedure contrattuali ad evidenza
pubblica dovrebbero ritenersi tenute ad impugnare qualsiasi clausola del bando
ritenuta illegittima, entro gli ordinari termini decadenziali.
La questione sopra indicata appare connessa alla vera
e propria svolta, impressa al contenzioso in materia di pubblici appalti dalla
sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4/2011, ispirata al
superamento di indirizzi giurisprudenziali, che finiscono per determinare una
“litigiosità esasperata”, senza garantire il soddisfacimento dell’interesse
primario di ciascun concorrente (aggiudicazione dell’appalto) e rendendo
“estremamente difficoltosa e spesso impossibile (si pensi alla perdita di
finanziamenti comunitari) l’esecuzione dell’opera pubblica”.
Fra tali indirizzi, sembra al Collegio che possa
annoverarsi quello riconducibile alla ricordata sentenza dell’Adunanza Plenaria
del Consiglio di Stato n. 1/2003, limitativa dell’immediata impugnabilità dei
bandi di gara (o di concorso) – senza necessità di attendere i relativi atti
applicativi – solo con riferimento alle clausole impeditive dell’ammissione di
soggetti interessati alla selezione, ovvero impositive di oneri sproporzionati
per la partecipazione, o di condizioni non comprensibili; quanto sopra, nella
presupposizione che in ogni altro caso mancherebbe una lesione diretta ed
attuale dell’interesse protetto.
Tale conclusione – oltre a non condurre, come già in
precedenza rilevato, ad una riduzione del contenzioso, che viene normalmente
avviato su ogni questione prospettabile (con aggravata lesione degli interessi
sia pubblici che privati, in caso di azzeramento dell’intera procedura dopo la
conclusione della stessa) – appare non più convincente anche sul piano dei
principi, regolatori dell’impugnativa di atti amministrativi generali,
destinati alla cura concreta di interessi pubblici nei confronti di destinatari
indeterminati, ma determinabili. Con la domanda di partecipazione alla gara,
infatti, le imprese concorrenti divengono titolari di un interesse legittimo,
quale situazione soggettiva protetta corrispondente all’esercizio di un potere,
soggetto al principio di legalità ed esplicato, in primo luogo, con
l’emanazione del bando. A qualsiasi vizio di quest’ultimo si contrappone,
pertanto, l’interesse protetto al corretto svolgimento della procedura, nei
termini disciplinati dalla normativa vigente in materia e dalla lex specialis;
l’inoppugnabilità della disciplina di gara contenuta nel bando, alla scadenza
degli ordinari termini decadenziali, appare dunque conforme alle esigenze di
efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, che detti termini presuppongono,
affinchè l’interesse pubblico sia perseguito senza perduranti margini di
incertezza, connessi ad eventuali impugnative.
In effetti la disciplina ormai consolidata sul “giusto
procedimento amministrativo”, ispirato a principi di economicità e speditezza e
la peculiare funzione del bando di gara – quale lex specialis che circoscrive
(con clausole prescrittive di adempimenti anche formali, a pena di esclusione)
il principio di strumentalità delle forme (secondo cui l’invalidità di un atto
per vizi procedurali può essere riconosciuta, solo quando gli adempimenti
formali omessi non ammettano equipollenti per il raggiungimento dello scopo
perseguito: cfr. fra le tante, per il principio; Cons. St., sez. V, 28.1.2005,
n. 187, 5.7.2005, n. 3716 e 23.3.2004, n. 1542; TAR Lazio, Roma, sez. I,
31.12.2005, n. 15180) – impongono una scrupolosa disamina del medesimo bando da
parte delle imprese partecipanti, che sono tenute ad attenersi alle relative
prescrizioni e non possono, pertanto, non ritenersi in grado di procedere ad
immediata contestazione di ogni eventuale vizio, rilevato nella disciplina in
questione. Quanto sopra, anche in ottemperanza al diritto comunitario, che
include nel principio di effettività della tutela la massima possibile
limitazione di ogni margine di incertezza giuridica, sul piano sostanziale o
procedurale (cfr. direttive 2007/66/CE e 89/665/CEE, la prima delle quali, in
particolare, richiama al punto 25 del preambolo “la necessità di garantire nel
tempo la certezza delle decisioni prese dalle commissioni aggiudicatrici e
dagli enti aggiudicatori, allo scopo di far stabilire che il contratto è privo
di effetti, al fine di fissare un termine minimo ragionevole di prescrizione o
decadenza dei ricorsi”; nel successivo art. 1, inoltre, si richiede un ricorso
“efficace” e “più rapido possibile”: situazione difficilmente compatibile con
procedure, le cui regole siano ancora contestabili “ab initio” dopo la relativa
conclusione).
Per quanto qui interessa, è dunque necessario
stabilire se l’originaria ricorrente in primo grado (G.P.L. Costruzioni s.r.l.)
dovesse impugnare immediatamente (e non dopo l’esito finale della gara, per la
medesima non favorevole) una clausola del bando che – nel prevedere in modo
esplicito l’apertura delle buste, contenenti l’offerta tecnica, in seduta non
pubblica – la esponeva immediatamente alla violazione del principio di
trasparenza procedurale, solo in un secondo tempo invocato. Una tempestiva
contestazione non avrebbe potuto non ritenersi invece preferibile, essendo pacifico
che la complessa ed onerosa partecipazione ad una gara, indetta
dall’Amministrazione per l’affidamento di lavori, servizi o forniture – benchè
conclusivamente finalizzata all’aggiudicazione – implichi per le imprese
concorrenti anche un immediato interesse al corretto espletamento della
procedura, sulla base di regole certe e non ulteriormente contestabili.
Il Collegio ritiene quindi opportuno rimettere
all’Adunanza Plenaria la questione della immediata impugnabilità del bando di
gara per ogni vizio rilevato.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Sesta) – non definitivamente pronunciando – riunisce gli appelli indicati in
epigrafe e li respinge in parte, nei termini precisati in motivazione,
disponendo per l’ultima questione dedotta in giudizio (estensione del principio
di pubblicità alle offerte tecniche, in caso di contraria prescrizione del
bando) il deferimento all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
Demanda alla segreteria della sezione gli adempimenti
di competenza e, in particolare, la trasmissione del fascicolo di causa e della
presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all’Adunanza Plenaria.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 16 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore
Bernhard Lageder, Consigliere
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 01/02/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)