ADUNANZE PLENARIE:
"Facit de albo nigrum, aequat quadrata rotundis?"
Ancora sul rapporto tra ottemperanza
e decreto decisorio del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica
(Consiglio di Stato, Sez. VI, Ordinanza di rimessione all'Adunanza Plenaria, 1 febbraio 2013, n. 637)
Massima (tratta dal sito www.ildirittoamministrativo.it)
Nell’ordinanza
del [Consiglio di Stato], sez. III, n. 4666 del 4.8.2011, ... – pur ribadendosi
l’esperibilità del giudizio di ottemperanza, per la piena esecuzione del
“decisum” conseguente a ricorso straordinario (in conformità alla sentenza
della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 2065/2011) – si esprimeva un
diverso avviso ... , per quanto riguarda l’individuazione del giudice
dell’esecuzione competente, a norma dell’art. 113 c.p.a., con conclusiva
riconduzione della decisione sul ricorso straordinario all’art. 112, comma 1,
lettera d) c.p.a. (che sancisce la proponibilità del giudizio di ottemperanza
non solo per le sentenze passate in giudicato, ma anche per “gli altri
provvedimenti ad esse equiparati, per i quali non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza,
al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione
di conformarsi alla decisione”).
Nella citata ordinanza si sottolineava come –
pur dopo le significative novità introdotte dalla legge n. 69/2009 (natura
vincolante del parere del Consiglio di Stato e possibilità di sollevare
questioni di legittimità costituzionale) – l’attività consultiva del medesimo
Consiglio di Stato conservasse “significativi profili” di differenza rispetto a
quella giurisdizionale, organizzata “secondo i canoni più rigorosi del giusto
processo (v. art. 2 c.p.a.)”, senza possibilità di integrale equiparazione del
ricorso straordinario a quello giurisdizionale, tenuto conto, in particolare,
della “specificità e perfettibilità del rito del ricorso straordinario….con
riferimento ai nodi essenziali del contraddittorio, dell’istruzione probatoria
e del doppio grado di giudizio”. Veniva altresì sottolineato come – “qualora
venissero estese al procedimento straordinario tutte le garanzie e le formalità
proprie del ricorso giurisdizionale, esso perderebbe le sue caratteristiche di
semplicità, snellezza e concentrazione”, con sostanziale perdita di ogni
relativa “ragion d’essere”.
Per tali motivi si riteneva che l’atto conclusivo
del ricorso straordinario dovesse identificarsi come provvedimento
amministrativo, solo per certi aspetti equiparato ad una sentenza (fattispecie
ricompresa nell’art. 112, comma 1 - lettera d - c.p.a.), e non come
“provvedimento esecutivo del giudice amministrativo”, ovvero come atto propriamente
giurisdizionale (art. 112, comma 1 - lettera b - c.p.a.). Secondo la tesi
interpretativa sopra sintetizzata, pertanto, il giudice competente per
l’esecuzione avrebbe dovuto essere individuato a norma non del primo, ma del
secondo comma del successivo art. 113 c.p.a., ovvero con riferimento non al
“giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta”
(intendendo per tale, nel caso che qui interessa, il Consiglio di Stato in
unico grado), ma al “tribunale amministrativo regionale, nella cui
circoscrizione ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di cui è chiesta
l’ottemperanza”.
A quest’ultimo riguardo, nella citata ordinanza n. 4666/11 non
si trascurava di sottolineare come il termine “giudice” dovesse ritenersi
richiamato nella norma in esame “in senso ampio e necessariamente atecnico”,
come dimostrato dal fatto che nella categoria sono ricompresi anche gli arbitri
– ex art. 112, comma 1, lettera e) c.p.a. – con conseguente assegnazione della
competenza per l’ottemperanza ai ricorsi straordinari al TAR del Lazio, nella
cui circoscrizione operano il Presidente della Repubblica, il Ministro
proponente ed il Consiglio di Stato in sede consultiva.
Il
Collegio ritiene che le diverse linee interpretative sopra sintetizzate, per i
delicati profili ordinamentali coinvolti, meritino approfondimento da parte
dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, ... , tenuto conto delle
argomentazioni che, in ordine alla natura giuridica del ricorso straordinario,
emergono dal parere emesso dall’Adunanza delle Sezioni riunite prima e seconda
del Consiglio di Stato n. 2131/2012 del 7.5.2012. Da tale pronuncia emerge –
dopo un interessante excursus storico – una chiara (e, si ritiene,
condivisibile) presa di posizione, circa la qualificazione del ricorso
straordinario come “rimedio…tendenzialmente giurisdizionale nella sostanza, ma
formalmente amministrativo”, per ragioni che nel medesimo parere si fanno
risalire alla giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di effettività
della tutela e, soprattutto, all’entrata in vigore della legge 18.6.2009, n. 69
... Le decisioni rese in esito a ricorso straordinario non perderebbero il
formale carattere di provvedimento amministrativo, ma risulterebbero rafforzate
sul piano dell’esecutorietà (in via ordinaria – ovvero per la generalità dei
provvedimenti – rimessa all’Autorità amministrativa, ma nel caso di specie
affidata al Plesso giurisdizionale di riferimento, risultando già effettuata
dall’Organo di vertice di quest’ultimo la richiesta valutazione di legittimità,
benché senza le integrali garanzie del processo per la valutazione della
fattispecie concreta).
A
sostegno della tesi anzidetta si pongono considerazioni, che attengono alla
natura del giudicato, ai limiti di competenza interna delle sezioni del
Consiglio di Stato e al principio generale del doppio grado di giurisdizione.
Sotto il
primo profilo, infatti, suscita perplessità la piena equiparazione, che si
volesse ritenere introdotta fra pronuncia – emessa in esito a ricorso
straordinario – e sentenza conclusiva del processo, con anomalo riconoscimento
di un “doppio binario” giurisdizionale, nell’ambito del quale potrebbero
acquisire la forza propria del giudicato (indiscutibile per principio risalente
al diritto romano: “facit de albo nigrum, aequat quadrata rotundis….”) anche
pronunce non assistite dalle previe garanzie del “giusto processo”, così come
oggi scolpite nell’art. 111 della Costituzione. Quanto sopra con conseguenze
che – per i limiti istruttori sottolineati nel citato parere n. 2131/2012 –
implicherebbero un giudizio di esecuzione vincolato non solo dai principi di
diritto, espressi nel parere del Consiglio di Stato, ma anche dai presupposti
di fatto, nel medesimo parere talvolta non compiutamente accertati.
Ove,
inoltre, il pronunciamento emesso a seguito di ricorso straordinario avesse la
medesima natura giuridica di una sentenza, non si vede perché – a livello di
competenza interna – detto ricorso non potrebbe essere esaminato (anche) dalle
sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, così come risulta anomalo che –
per l’ottemperanza al medesimo – venga chiamata a pronunciarsi una sezione
giurisdizionale, anziché la sezione consultiva che abbia emesso il parere; in
altri termini, la possibile configurazione del parere in questione come “ius
dicere”, non distinguibile dalla pronuncia giurisdizionale, porrebbe evidenti
problemi di rilevanza costituzionale e comunitaria, ove le scarne indicazioni,
contenute nell’art. 112 c.p.a., fossero da considerare introduttive di una totale
equiparazione fra attività consultiva di tipo giustiziale e attività giudicante
in senso proprio (riconducibili, rispettivamente, agli articoli 100 e 103 della
Costituzione).
Ugualmente
ardua appare la riconducibilità alle medesime indicazioni codicistiche della
soppressione del doppio grado di giurisdizione, pacificamente riconosciuto
anche per le sentenze emesse in sede di ottemperanza quando il gravame non
investa mere questioni esecutive, con effetto devolutivo pieno in relazione
alla regolarità del rito instaurato, alle condizioni soggettive ed oggettive
dell’azione ed alla fondatezza della pretesa azionata (cfr. in tal senso per il
principio, Cons. St., sez. V, 8.7.2002, n. 3789; Cons. St., sez. VI, 27.1.2012,
n. 385); quanto sopra, oltre tutto, per una decisione che non perderebbe la
propria natura di provvedimento amministrativo, continuandosi a ritenere
ammissibile al riguardo anche l’ordinario ricorso giurisdizionale (cfr. in tal
senso il citato parere n. 2131/2012).
Ordinanza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL'ADUNANZA
PLENARIA
sul ricorso numero di registro generale 4814 del 2012,
proposto dal signor Urbano Ciotti, rappresentato e difeso dall'avv. Anna Rita
Moscioni, con domicilio eletto presso l’avv. Biagio Marinelli in Roma, via
dell'Acquedotto Paolo, 22/B;
contro
Inps Direzione Generale, rappresentato e
difeso dall'avv. Maria Morrone dell’Avvocatura Centrale dell’Ente e presso la
medesima domiciliata in Roma, via Cesare Beccaria 29;
per l’ottemperanza al decreto del presidente della
repubblica in data 6.5.2010, concernente rimborso del contributo, versato ai
sensi dell’art. 11 della legge 8.4.1952, n. 212;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Inps,
Direzione Generale;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle
rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 16
novembre 2012 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti gli avvocati
Moscioni, e Morrone;
Considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO
Con ricorso per ottemperanza n. 4814 – notificato il
15.6.2012 e depositato il 27.6.2012 – il Col. Urbano Ciotti chiedeva
“l’esecuzione del giudicato formatosi sul decreto presidenziale in data
18.5.2010, emesso in conformità al parere emesso dal Consiglio di Stato in sede
consultiva, sez. III, n. 660 in data 1.12.2009, a seguito di ricorso
straordinario al Presidente della Repubblica avverso il mancato rimborso da
parte dell’INPDAP (Istituto Nazionale di Previdenza per i dipendenti
dell’amministrazione pubblica) del contributo dello 0,50%, di cui all’art. 11
della legge 8.4.1952, n. 212: rimborso previsto per gli ufficiali delle FF.AA.
all’atto della cessazione del periodo di ausiliaria, in caso di mancata
richiesta di erogazione del prestito, di cui all’art. 1 della legge 21.2.1963,
n. 252.
Nel citato parere si confermava il precedente
indirizzo della seconda sezione consultiva, circa l’illegittimità del diniego
di rimborso del contributo versato, non potendosi ritenere intervenuta, per gli
ufficiali in ausiliaria, l’abrogazione tacita della normativa da ultimo citata
dopo l’entrata in vigore dell’art. 141 del T.U. n. 1092/1973 in materia di
rimborsi; quanto sopra, per coloro che fossero stati collocati nella riserva
prima dell’emanazione del D.M. n. 463/1978, abrogativo ex nunc del beneficio
del rimborso e con ulteriore, analitica confutazione dell’opposto indirizzo
espresso dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con sentenza n.
1725/2006.
L’accoglimento del ricorso straordinario di cui
trattasi era attestato con decreto a firma del Capo dello Stato del 6 maggio
2010, ma il provvedimento di liquidazione non veniva emesso, con conseguente
attivazione del giudizio per ottemperanza in esame.
Si costituiva nell’ambito di tale giudizio, chiedendo
il rigetto del ricorso, l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS),
quale successore ex lege dell’INPDAP, ai sensi dell’art. 21, comma 1, del d.l.
6.12.2011, n. 201, convertito in legge 22.12.2011, n. 214.
L’Ente previdenziale sottolineava in particolare come,
nei più recenti pareri, il Consiglio di Stato si fosse adeguato al diverso
indirizzo interpretativo della Corte di Cassazione.
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che la
questione sottoposta a giudizio presupponga una valutazione di ammissibilità,
rilevabile d’ufficio, con riferimento alla natura dell’atto da eseguire, ai
fini della proponibilità del giudizio stesso e dell’individuazione dell’Organo
giurisdizionale competente.
Detta valutazione, in effetti, risulta già affrontata
dal giudice amministrativo, ma con soluzioni non univoche.
Con sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3513
del 10.6.2011, infatti, è stata sostanzialmente affermata la piena
giurisdizionalizzazione, anche ai fini dell’ottemperanza, del ricorso
straordinario alla Presidenza della Repubblica, tenuto conto dell’evoluzione di
tale rimedio giustiziale e della disciplina legislativa al riguardo
intervenuta, al fine di assicurare “un grado di tutela non inferiore a quello
conseguibile agendo giudizialmente”; nella citata sentenza veniva, quindi,
ritenuto ammissibile ed accolto il ricorso per ottemperanza, proposto in unico
grado innanzi al Consiglio di Stato, con nomina di un commissario ad acta in
caso di perdurante inadempienza dell’Amministrazione. Nell’ordinanza del
medesimo Consiglio, sez. III, n. 4666 del 4.8.2011, invece – pur ribadendosi
l’esperibilità del giudizio di ottemperanza, per la piena esecuzione del
“decisum” conseguente a ricorso straordinario (in conformità alla sentenza
della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 2065/2011) – si esprimeva un
diverso avviso, anche rispetto al citato pronunciamento della Suprema Corte,
per quanto riguarda l’individuazione del giudice dell’esecuzione competente, a
norma dell’art. 113 c.p.a., con conclusiva riconduzione della decisione sul
ricorso straordinario all’art. 112, comma 1, lettera d) c.p.a. (che sancisce la
proponibilità del giudizio di ottemperanza non solo per le sentenze passate in
giudicato, ma anche per “gli altri provvedimenti ad esse equiparati, per i
quali non sia previsto il rimedio dell’ottemperanza, al fine di ottenere
l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alla
decisione”). Nella citata ordinanza si sottolineava come – pur dopo le
significative novità introdotte dalla legge n. 69/2009 (natura vincolante del
parere del Consiglio di Stato e possibilità di sollevare questioni di
legittimità costituzionale) – l’attività consultiva del medesimo Consiglio di
Stato conservasse “significativi profili” di differenza rispetto a quella
giurisdizionale, organizzata “secondo i canoni più rigorosi del giusto processo
(v. art. 2 c.p.a.)”, senza possibilità di integrale equiparazione del ricorso
straordinario a quello giurisdizionale, tenuto conto, in particolare, della
“specificità e perfettibilità del rito del ricorso straordinario….con
riferimento ai nodi essenziali del contraddittorio, dell’istruzione probatoria
e del doppio grado di giudizio”.
Veniva altresì sottolineato come – “qualora venissero
estese al procedimento straordinario tutte le garanzie e le formalità proprie
del ricorso giurisdizionale, esso perderebbe le sue caratteristiche di
semplicità, snellezza e concentrazione”, con sostanziale perdita di ogni
relativa “ragion d’essere”.
Per tali motivi si riteneva che l’atto conclusivo del
ricorso straordinario dovesse identificarsi come provvedimento amministrativo,
solo per certi aspetti equiparato ad una sentenza (fattispecie ricompresa
nell’art. 112, comma 1 - lettera d - c.p.a.), e non come “provvedimento
esecutivo del giudice amministrativo”, ovvero come atto propriamente
giurisdizionale (art. 112, comma 1 - lettera b - c.p.a.). Secondo la tesi
interpretativa sopra sintetizzata, pertanto, il giudice competente per l’esecuzione
avrebbe dovuto essere individuato a norma non del primo, ma del secondo comma
del successivo art. 113 c.p.a., ovvero con riferimento non al “giudice che ha
emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta” (intendendo per tale,
nel caso che qui interessa, il Consiglio di Stato in unico grado), ma al
“tribunale amministrativo regionale, nella cui circoscrizione ha sede il
giudice che ha emesso la sentenza di cui è chiesta l’ottemperanza”. A
quest’ultimo riguardo, nella citata ordinanza n. 4666/11 non si trascurava di
sottolineare come il termine “giudice” dovesse ritenersi richiamato nella norma
in esame “in senso ampio e necessariamente atecnico”, come dimostrato dal fatto
che nella categoria sono ricompresi anche gli arbitri – ex art. 112, comma 1,
lettera e) c.p.a. – con conseguente assegnazione della competenza per
l’ottemperanza ai ricorsi straordinari al TAR del Lazio, nella cui
circoscrizione operano il Presidente della Repubblica, il Ministro proponente
ed il Consiglio di Stato in sede consultiva. Nella medesima ordinanza, in
conclusione, si dichiarava ex art. 16 c.p.a. il “difetto di competenza in primo
grado del Consiglio di Stato in favore del TAR Lazio”, innanzi al quale la
causa avrebbe dovuto essere riassunta entro un termine perentorio dato. Il
Collegio ritiene che le diverse linee interpretative sopra sintetizzate, per i
delicati profili ordinamentali coinvolti, meritino approfondimento da parte
dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, tenuto conto del fatto che,
nella pronuncia della medesima Adunanza n. 18/2012 del 5.6.2012, la questione
qui esaminata risulta non propriamente affrontata, ma assorbita in una
valutazione di ammissibilità, riferita in senso lato all’ottemperanza delle
decisioni rese in sede di ricorso straordinario, ai sensi dell’art. 112, comma
2, c.p.a., senza individuazione della riconducibilità della fattispecie alle
lettere b) o d) della citata norma, con le conseguenze sopra esplicitate per
l’individuazione del giudice competente.
E’ quest’ultima questione, dunque, che il Collegio
intende rimettere alla valutazione dell’Adunanza Plenaria, sulla base di
considerazioni che – ad avviso del Collegio stesso – possono ritenersi
confermative del secondo indirizzo in precedenza sintetizzato, tenuto conto delle
argomentazioni che, in ordine alla natura giuridica del ricorso straordinario,
emergono dal parere emesso dall’Adunanza delle Sezioni riunite prima e seconda
del Consiglio di Stato n. 2131/2012 del 7.5.2012.
Da tale pronuncia emerge – dopo un interessante excursus storico
– una chiara (e, si ritiene, condivisibile) presa di posizione, circa la
qualificazione del ricorso straordinario come “rimedio…tendenzialmente
giurisdizionale nella sostanza, ma formalmente amministrativo”, per ragioni che
nel medesimo parere si fanno risalire alla giurisprudenza della Corte di
Giustizia in materia di effettività della tutela e, soprattutto, all’entrata in
vigore della legge 18.6.2009, n. 69.
In passato sulla natura amministrativa del
provvedimento, emesso in esito a ricorso straordinario, si era espressa la
Corte di Cassazione a Sezioni Unite, cassando per difetto di giurisdizione una
decisione del Consiglio di Stato, affermativa al riguardo dell’ammissibilità
del giudizio di ottemperanza (Cass. SS.UU. n. 15978/2001); alle medesime
conclusioni era giunta la Corte Costituzionale circa la possibilità di
sollevare, in sede di ricorso straordinario, questioni di costituzionalità
(Corte Cost. n. 254/2004). La Corte di Giustizia invece, con decisione in data
16.10.1997 (cause riunite C-69/96 e 79/96) qualificava il Consiglio di Stato in
sede consultiva - nei procedimenti decisori di ricorsi straordinari – come
“giudice nazionale”, in quanto tale abilitato a sollevare questioni
interpretative pregiudiziali innanzi al giudice comunitario.
Quest’ultimo pronunciamento, tuttavia, risultava
funzionale all’individuazione delle autorità, legittimate a proporre questioni
relative all’interpretazione del Trattato a norma dell’art. 177 del medesimo;
quanto sopra, al mero fine di assicurare la più ampia possibile effettività del
diritto comunitario sul piano sostanziale, senza che entrassero necessariamente
in discussione le norme nazionali, da cui continuava ad emergere la natura
provvedimentale del decreto, emesso dal Capo dello Stato in esito a ricorso
straordinario. Sotto quest’ultimo profilo restavano fermi, infatti, la natura
non giurisdizionale dell’Organo, cui formalmente era affidata l’emanazione
dell’atto conclusivo del procedimento, nonché il carattere non strettamente
vincolante del presupposto parere del Consiglio di Stato, con conseguente
riconduzione dell’atto stesso ad un pronunciamento volitivo
dell’Amministrazione; anche il principio di alternatività, di cui all’art. 10,
comma 1, del d.P.R. n. 1199/1971 – nel prevedere che i controinteressati
potessero imporre la trasposizione del giudizio in sede giurisdizionale –
sottolineava la diversità di ogni forma di ricorso amministrativo rispetto al
processo, svolto innanzi agli Organi indicati nel titolo IV della Costituzione,
con priorità del secondo per una piena attuazione del principio, di cui
all’art. 24 della medesima carta costituzionale.
In tale contesto sono intervenute, innovativamente, le
disposizioni dettate nella citata legge n. 69/2009 (il cui articolo 69 consente
eccezioni di incostituzionalità sollevate in sede di ricorso straordinario e
rende vincolante il parere conclusivo del Consiglio di Stato), nonché nel
d.lgs. 2.7.2010, n. 104 (codice del processo amministrativo, nel cui art. 112
si ammette l’azione di ottemperanza, oltre che per le sentenze passate in
giudicato, anche per “provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo” ed
“altri provvedimenti”, da ritenere equiparati a dette sentenze).
Si deve quindi ammettere che, dalla data di entrata in
vigore della legge n. 69/2009, sia stata compiuta una svolta ordinamentale, per
l’esigenza – che emerge dagli atti parlamentari, nell’ambito dell’iter
approvativo del ricordato c.p.a. – di dare attuazione agli articoli 6 e 13
CEDU, che richiedono effettività della tutela “per le decisioni la cui cogenza
è equiparata a quella delle sentenze del Consiglio di Stato irrevocabili”.
Nel parere n. 2131/2012 qui sintetizzato, tuttavia, si
sottolinea come l’art. 6 della CEDU non sia ritenuto dalla Corte di Strasburgo
applicabile al ricorso straordinario (Corte CEDU, caso Nardella), essendo il
decreto decisorio del ricorso di cui trattasi impugnabile innanzi al tribunale
Amministrativo Regionale; detto ricorso, inoltre, continua a presentare
significative differenze rispetto al processo amministrativo, cui non appare
pienamente equiparabile: quanto sopra, per l’improponibilità di azioni di mero
accertamento, accesso ai documenti, contestazione del silenzio-inadempimento
dell’Amministrazione, nonché per la presenza di una fase istruttoria effettuata
dalle strutture ministeriali, senza contraddittorio orale delle parti, senza
possibilità di consulenze tecniche d’ufficio e senza pubblicità del
dibattimento. Lo stesso, attuale carattere vincolante del parere del Consiglio
di Stato dovrebbe ritenersi non assoluto, ma soggetto a possibili richieste di
riesame dell’atto conclusivo, per vizi di legittimità o in presenza di ragioni
revocatorie.
Le considerazioni in precedenza illustrate aprono
scenari meritevoli di approfondimento, in merito all’ottemperanza delle
decisioni assunte in esito ai ricorsi straordinari al Capo dello Stato.
Ad avviso del Collegio, debbono infatti considerarsi
le seguenti circostanze, confermative dell’esperibilità del giudizio di
esecuzione per detta tipologia di ricorsi, ma preclusive di un’acritica
equiparazione di questi ultimi ai ricorsi, proposti in sede giurisdizionale e
conclusi con sentenza:
a) appare innegabile che – per i pareri emessi dal
Consiglio di Stato in sede di ricorso straordinario, dopo l’emanazione della
legge n. 69/2009 – sia configurabile un’accezione nuova e non meramente
provvedimentale dell’atto, conformemente emesso in forma di decreto
presidenziale;
b) la piena assimilazione di tale atto ad una sentenza
risulta, d’altra parte, da escludere, per i delicati interrogativi che
dovrebbero porsi, in caso contrario, in rapporto all’art. 111 della
Costituzione e all’art. 6 CEDU;
c) appare ragionevole ritenere che – in considerazione
della natura giustiziale del predetto ricorso straordinario e
dell’autorevolezza del parere, emesso in posizione neutra e a garanzia
oggettiva dell’ordinamento dal Consiglio di Stato – la presa d’atto, ormai
vincolata, proveniente dall’Amministrazione e formalmente espressa dal Capo
dello Stato sia da considerare non “provvedimento esecutivo del giudice
amministrativo”, ma provvedimento equiparato a sentenza ai fini dell’esecuzione
(nei limiti delle statuizioni nel parere stesso contenute), con conseguente
riconducibilità della fattispecie all’art. 112, comma 2, lettera d) c.p.a..
Nell’ottica di cui al precedente punto c), le
decisioni rese in esito a ricorso straordinario non perderebbero il formale
carattere di provvedimento amministrativo, ma risulterebbero rafforzate sul
piano dell’esecutorietà (in via ordinaria – ovvero per la generalità dei
provvedimenti – rimessa all’Autorità amministrativa, ma nel caso di specie
affidata al Plesso giurisdizionale di riferimento, risultando già effettuata
dall’Organo di vertice di quest’ultimo la richiesta valutazione di legittimità,
benchè senza le integrali garanzie del processo per la valutazione della
fattispecie concreta).
A sostegno della tesi anzidetta si pongono
considerazioni, che attengono alla natura del giudicato, ai limiti di
competenza interna delle sezioni del Consiglio di Stato e al principio generale
del doppio grado di giurisdizione.
Sotto il primo profilo, infatti, suscita perplessità
la piena equiparazione, che si volesse ritenere introdotta fra pronuncia –
emessa in esito a ricorso straordinario – e sentenza conclusiva del processo,
con anomalo riconoscimento di un “doppio binario” giurisdizionale, nell’ambito
del quale potrebbero acquisire la forza propria del giudicato (indiscutibile
per principio risalente al diritto romano: “facit de albo nigrum, aequat
quadrata rotundis….”) anche pronunce non assistite dalle previe garanzie del
“giusto processo”, così come oggi scolpite nell’art. 111 della Costituzione.
Quanto sopra con conseguenze che – per i limiti
istruttori sottolineati nel citato parere n. 2131/2012 – implicherebbero un
giudizio di esecuzione vincolato non solo dai principi di diritto, espressi nel
parere del Consiglio di Stato, ma anche dai presupposti di fatto, nel medesimo
parere talvolta non compiutamente accertati.
Ove, inoltre, il pronunciamento emesso a seguito di
ricorso straordinario avesse la medesima natura giuridica di una sentenza, non
si vede perché – a livello di competenza interna – detto ricorso non potrebbe
essere esaminato (anche) dalle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato,
così come risulta anomalo che – per l’ottemperanza al medesimo – venga chiamata
a pronunciarsi una sezione giurisdizionale, anziché la sezione consultiva che
abbia emesso il parere; in altri termini, la possibile configurazione del
parere in questione come “ius dicere”, non distinguibile dalla pronuncia
giurisdizionale, porrebbe evidenti problemi di rilevanza costituzionale e comunitaria,
ove le scarne indicazioni, contenute nell’art. 112 c.p.a., fossero da
considerare introduttive di una totale equiparazione fra attività consultiva di
tipo giustiziale e attività giudicante in senso proprio (riconducibili,
rispettivamente, agli articoli 100 e 103 della Costituzione).
Ugualmente ardua appare la riconducibilità alle
medesime indicazioni codicistiche della soppressione del doppio grado di
giurisdizione, pacificamente riconosciuto anche per le sentenze emesse in sede
di ottemperanza quando il gravame non investa mere questioni esecutive, con
effetto devolutivo pieno in relazione alla regolarità del rito instaurato, alle
condizioni soggettive ed oggettive dell’azione ed alla fondatezza della pretesa
azionata (cfr. in tal senso per il principio, Cons. St., sez. V, 8.7.2002, n.
3789; Cons. St., sez. VI, 27.1.2012, n. 385); quanto sopra, oltre tutto, per
una decisione che non perderebbe la propria natura di provvedimento
amministrativo, continuandosi a ritenere ammissibile al riguardo anche l’ordinario
ricorso giurisdizionale (cfr. in tal senso il citato parere n. 2131/2012).
Per tutte le ragioni enunciate, il Collegio ritiene
opportuno rimettere all’Adunanza Plenaria la questione della natura giuridica
della pronuncia emessa in esito a ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica e del giudice competente a pronunciarsi al riguardo, a norma
dell’art. 113 c.p.a..
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Sesta)
non definitivamente pronunciando sul ricorso in
epigrafe, ne dispone il deferimento all'adunanza plenaria del Consiglio di
Stato.
Manda alla segreteria della sezione per gli
adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo
di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere
all'adunanza plenaria.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 16 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere,
Estensore
Bernhard Lageder, Consigliere
L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 01/02/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.)
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