URBANISTICA:
il P.I.P. (Piano per gli Insediamenti Produttivi)
non può essere prorogato
(Cons. St., Sez. IV, sentenza 13 luglio 2013 n. 3275)
Massima
1. Occorre ricordare che il piano per gli insediamenti produttivi (P.I.P.), previsto dall’art. 27 L. n. 865 del 1971, è uno strumento urbanistico di natura attuativa, dotato di efficacia decennale dalla data di approvazione ed avente valore di piano particolareggiato di esecuzione, la cui funzione è quella di incentivare le imprese, offrendo ad un prezzo politico le aree occorrenti per il loro impianto ed espansione.
Per le sue caratteristiche, trascorsi i dieci anni, l’amministrazione non può quindi disporne alcuna proroga, ma può al limite e invece unicamente valutare l’opportunità di predisporre un nuovo strumento con conseguente rinnovazione della scelta pianificatoria attuativa rimasta inattuata (Cons. St., Sez. V, 2.12.2011, n. 6363).
2. Se così è, prescindendo in questa sede dalla legittimità della proroga disposta dal Comune nel 1991, non par dubbio che si versi in ipotesi di retrocessione totale, poiché al Comune espropriante non restava, dopo la scadenza del P.I.P. nel 1996, alcun potere discrezionale di servirsi dell’area per il fine originariamente previsto dal piano particolareggiato se non nelle forme e nei limiti che pertengono allo stesso piano.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8065 del 2009,
proposto da:
Comune di Venezia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Nicolò Paoletti, dall’Avv. Giulio Gidoni, dall’Avv. M.M. Morino, dall’Avv. Antonio Iannotta, dall’Avv. Maurizio Ballarini, dall’Avv. Nicoletta Ongaro e dall’Avv. Giuseppe Venezian, con domicilio eletto presso l’Avv. Nicolò Paoletti in Roma, via B. Tortolini, n. 34;
Comune di Venezia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Nicolò Paoletti, dall’Avv. Giulio Gidoni, dall’Avv. M.M. Morino, dall’Avv. Antonio Iannotta, dall’Avv. Maurizio Ballarini, dall’Avv. Nicoletta Ongaro e dall’Avv. Giuseppe Venezian, con domicilio eletto presso l’Avv. Nicolò Paoletti in Roma, via B. Tortolini, n. 34;
contro
Marilena Semenzato, rappresentata e difesa dall’Avv.
Andrea Manzi, con domicilio eletto presso lo stesso Avv. Luigi Manzi in Roma,
via Federico Confalonieri, n. 5;
nei confronti di
La Immobiliare Veneziana s.r.l., in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Fabio
Lorenzoni e dall’Avv. Maddalena Patrizia Cappelletto, con domicilio eletto
presso lo stesso Avv. Fabio Lorenzoni in Roma, via del Viminale, n. 43;
Sbs Leasing s.p.a., Icm s.r.l. non costituite in giudizio;
Sbs Leasing s.p.a., Icm s.r.l. non costituite in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA: SEZIONE I
n. 01849/2009, resa tra le parti, concernente la retrocessione del bene
espropriato e il risarcimento del danno
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Marilena
Semenzato e di La Immobiliare Veneziana s.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 aprile
2013 il Cons. Massimiliano Noccelli e uditi per le parti gli avvocati l’Avv.
Giulio Gidoni, l’Avv. Nicolò Paoletti, l’Avv. Fabio Lorenzoni e l’Avv. Gabriele
Bicego (su delega dell’Avv. Andrea Manzi);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il Comune di Venezia, in attuazione del P.R.G.
vigente, con delibera consiliare n. 1011 del 19.11.1979 adottava, ai sensi
dell’art. 27 della l. 865/71, il Piano per gli Insediamenti Produttivi di Cà
Emiliani, che veniva approvato dalla Regione Veneto con DGRV n. 6392 del
9.12.1980.
Per dare attuazione a tale piano, in data 10.12.1981,
il Comune stipulava con la Società Cooperativa fra Imprese Artigiane di via
F.lli Bandiera una convenzione con la quale concedeva alla predetta società il
diritto di superficie su tutte le aree comprese nel P.I.P., sia quelle già di
proprietà comunale sia quelle ancora da acquisire mediante espropriazione.
Non essendo state ancora completate le procedure di
esproprio volte all’acquisizione delle aree, all’avvicinarsi della scadenza del
termine decennale del P.I.P. prevista per il 23.3.1991, il Comune, con delibera
n. 453 del 19-20.3.1990, ne prorogava la validità per la durata di 5 anni,
posticipandone la scadenza al 23.3.1996.
2. Tra i terreni espropriandi rientrava anche quello
di Marilena Semenzato, sicché il Comune procedeva dapprima il 31.7.1992
all’occupazione d’urgenza dello stesso, terminando poi l’intera procedura
espropriativa in data 23.3.1995 con decreto del Presidente della Provincia di
Venezia n. 39.
Accettata l’indennità provvisoria proposta
dall’amministrazione provinciale con decreto n. 52 del 30.11.1993, accettazione
che corrispondeva alla dichiarazione di cessione volontaria da parte del
soggetto espropriato, il Comune di Venezia, con delibera consiliare n. 194 del
25.10.1994, corrispondeva alla Semenzato, a titolo di indennità di
espropriazione, una somma parti a £ 167.800.000, alla quale si aggiungeva, a
titolo di indennità di occupazione, una somma pari a £ 23.385.222.
3. Successivamente, a seguito della scadenza del
P.I.P. nel 1996, il Comune di Venezia, con delibera n. 50 del 1.3.2000,
decideva di vendere l’area in questione alla I.V.E. s.r.l., società in
house del Comune stesso.
Il contratto di compravendita con I.V.E s.r.l. veniva,
quindi, concluso il 30.6.2000 con atto rep. 13076, al quale faceva seguito
l’atto di vendita, di pari data, con il quale I.V.E. s.r.l. alienava il
medesimo terreno alla S.B.S. Leasing s.p.a., incaricata dalla futura
utilizzatrice dell’area, I.C.M. s.r.l.
4. Con ricorso notificato il 21.7.2005 Marilena
Semenzato domandava al T.A.R. Veneto l’annullamento di tutti i provvedimenti
per mezzo dei quali era stata autorizzata l’alienazione del suo terreno alla
I.V.E. s.r.l. mediante trattativa privata; la dichiarazione di nullità dei due
contratti con i quali detto terreno era stato ceduto prima alla I.V.E. s.r.l. e
poi da questa alla SBS Leasing s.p.a., l’annullamento di ogni atto connesso,
presupposto o conseguente, la condanna del Comune stesso al risarcimento del
danno.
5. Resistevano sia il Comune di Venezia che le società
I.V.E. s.r.l. e SBS Leasing s.p.a., eccependo, preliminarmente,
l’irricevibilità del ricorso per tardività e la sua inammissibilità per difetto
di interesse e, comunque, l’inefficacia di una eventuale decisione favorevole
alla ricorrente per quanto attiene al contratto di compravendita concluso con
ICM s.r.l.
6. Il T.A.R. Veneto, con sentenza n. 1849 del
19.6.2009, accoglieva il ricorso e, per l’effetto, dichiarava la giurisdizione
del giudice ordinario, rimettendo le parti avanti al competente Tribunale
civile.
Il giudice di prime cure riteneva, infatti, che la
domanda della ricorrente dovesse essere qualificata come avente ad oggetto la
retrocessione parziale del bene non utilizzato alla scadenza della data fissata
per l’ultimazione dell’opera e, in quanto tale, spettante alla cognizione del
giudice ordinario.
7. Avverso tale sentenza ha proposto appello il
Comune, deducendone l’erroneità, l’illogicità e la contraddittorietà per aver
essa violato il principio dell’art. 112 c.p.a., avendo trascurato che la
ricorrente aveva chiesto l’annullamento di atti amministrativi, e per aver
comunque, pur in presenza di una domanda di retrocessione parziale, ritenuto
che la giurisdizione spettasse al g.o. e non al g.a.
L’appellante ha dedotto, altresì, l’erroneità del
dispositivo, laddove il T.A.R. aveva accolto il ricorso, pur declinando poi la
sua giurisdizione.
Si è costituita Marilena Semenzato, resistendo
all’appello proposto dal Comune e proponendo appello incidentale condizionato
volto, in via principale, ad ottenere il rinvio della controversia al primo
giudice o, in via gradata, l’accoglimento della domanda di prime cure da parte
del giudice d’appello.
Si è costituita anche La Immobiliare Veneziana s.r.l.,
domandando di accogliere l’appello proposto dal Comune e di rigettare, invece,
l’appello incidentale condizionato formulato dalla Semenzato.
All’udienza pubblica del 9.4.2013 il Collegio, uditi i
difensori, ha assunto la causa in decisione.
8. L’appello va respinto, seppur per le ragioni che
qui si vengono ad esporre.
9. In via preliminare deve affermarsi la piena
legittimazione del Comune, contestata invece dalla difesa dell’appellata
Semenzato, ad impugnare la sentenza che ha declinato la giurisdizione, in
quanto tutte le parti del giudizio hanno interesse ad ottenere, in primo luogo,
una pronuncia emessa da un giudice che sia correttamente munito di potestas
iudicandi e quindi, in secondo luogo e mercé la proposizione
dell’appello, a chiedere il riesame della pronuncia che tale potestasnon
abbia correttamente declinato.
10. Ciò premesso, venendo all’esame dei motivi
dell’appello, erra anzitutto il primo giudice quando afferma di essere al
cospetto, nel caso di specie, di una fattispecie di retrocessione parziale.
L’alienazione dell’area, oggetto di espropriazione in
danno di Marilena Semenzato nel 1994, è avvenuta da parte del Comune di Venezia
in favore dell’I.V.E. nell’anno 2000, in forza della delibera consiliare n. 50,
allorché il P.I.P. era già scaduto da ben quattro anni.
Occorre ricordare che il piano per gli insediamenti
produttivi (P.I.P.), previsto dall’art. 27 l. n. 865 del 1971, è uno strumento
urbanistico di natura attuativa, dotato di efficacia decennale dalla data di
approvazione ed avente valore di piano particolareggiato di esecuzione,
la cui funzione è quella di incentivare le imprese, offrendo ad un prezzo
politico le aree occorrenti per il loro impianto ed espansione.
Per le sue caratteristiche, trascorsi i dieci anni,
l’amministrazione non può quindi disporne alcuna proroga, ma può al limite e
invece unicamente valutare l’opportunità di predisporre un nuovo strumento con
conseguente rinnovazione della scelta pianificatoria attuativa rimasta
inattuata (Cons. St., sez. V, 2.12.2011, n. 6363).
Se così è, prescindendo in questa sede dalla
legittimità della proroga disposta dal Comune nel 1991, non par dubbio che si
versi in ipotesi di retrocessione totale, poiché al Comune espropriante non
restava, dopo la scadenza del P.I.P. nel 1996, alcun potere discrezionale di
servirsi dell’area per il fine originariamente previsto dal piano
particolareggiato se non nelle forme e nei limiti che pertengono allo stesso
piano.
11. A differenza della retrocessione parziale prevista
dagli artt. 60 e 61 della legge 25 giugno 1865 n. 2359 applicabile ratione
temporis – che, nell’ipotesi di inutilizzabilità del bene espropriato
e al fine di contenere il sacrificio dei proprietari espropriati nei limiti
richiesti dall’interesse generale, qualora la inutilizzabilità consegue
all’avvenuta realizzazione dell’opera pubblica e riguardi un singolo bene o una
sua parte, richiede un apprezzamento discrezionale autoritativo della pubblica
amministrazione circa la utilità del relitto, a fronte del quale l’espropriato
può vantare solo una posizione di interesse legittimo – nel caso in cui la
inutilizzabilità dipenda da un evento sopravvenuto che, escludendo con certezza
la possibilità di destinare il bene espropriato alla realizzazione dell’opera
in vista della quale fu emessa la dichiarazione di pubblica utilità, renda
giuridicamente ineseguibile l’opera programmata sui beni espropriati, viene
meno il presupposto del provvedimento ablatorio ed il privato diventa per ciò
stesso titolare di un diritto soggettivo alla restituzione.
Ciò comporta che nelle espropriazioni disposte in
attuazione di un piano particolareggiato o di una variante, l’approvazione di
una successiva variante che incida sulla destinazione dei beni espropriati, ma
non utilizzati, liberandoli da ogni vincolo espropriativo o destinandoli a
un’opera affatto diversa, ovvero la sopravvenuta scadenza del termine
di efficacia dello stesso piano particolareggiato o della variante, in
base a cui fu decretata la espropriazione, e la conseguente
impossibilità di dare ai beni espropriati la prevista destinazione, fanno
venire meno rispetto a tali beni la specifica causa di interesse pubblico per
la quale sono stati appresi.
La sopravvenuta inefficacia del piano originario, in
base a cui fu disposta la espropriazione, “comporta infatti la revoca della
precedente dichiarazione di pubblica utilità in ordine alle previsioni del
piano sostituite o caducate, con la conseguenza che, non essendo più possibile
dare agli immobili la destinazione prevista nel decreto di espropriazione e non
attuata, si determina una situazione di giuridica inutilizzabilità degli stessi
che attribuisce al privato il diritto di pretenderne la retrocessione, ai sensi
dell’art. 63 della citata legge n. 2359 del 1865, salva la facoltà della
pubblica amministrazione di promuovere una nuova e diversa espropriazione in
base al mutato assetto urbanistico della zona in cui ricadono i beni
espropriati (V. Sent. 6 febbraio 1984 n. 870; 7 maggio 1965 n. 836)”
(Cass., Sez. Un., 16.1.1986, n. 209).
12. È incontestabile che, nel caso di specie, il
Comune di Venezia alienò nel 2000 l’area alla I.V.E., per aver esso stesso
preso atto, nella stessa delibera n. 50, della scadenza del P.I.P., e peraltro,
come riconosce il Comune nell’atto di appello (pp. 4-5), dopo che nel 1998 esso
aveva espressamente escluso dalla Convenzione stipulata con la Cooperativa di
via F.lli Bandiera, beneficiaria degli espropri, il terreno de quo e,
addirittura, nel ben diverso contesto di una vendita avente ben altri fini,
perché collocata “all’interno di un’operazione finalizzata all’acquisizione
di un’ulteriore area sita nel territorio di Mestre e indispensabile alla
realizzazione del Parco di San Giuliano”.
13. In altri termini, scaduto il P.I.P. e venuto meno
il fondamento del potere ablatorio, il Comune non avrebbe potuto più servirsi
dell’area per la realizzazione del fine perseguito con l’espropriazione se non
adottando un nuovo piano particolareggiato o imprimendo all’area una
destinazione urbanistica compatibile con la primitiva finalità, non certo
vendendolo a terzi – dopo averlo peraltro escluso già nel 1998 dalla
convenzione stipulata con la cooperativa beneficiaria degli espropri – per scopi
non rientranti nell’originaria previsione del P.I.P.
14. Non può pertanto trovare applicazione, nel caso di
specie, il principio di diritto invocato dal T.A.R. e relativo alla
retrocessione parziale dei relitti, di fronte ad un atto, come quello in questione,
con il quale il Comune stesso, escluso il terreno dalla convenzione stipulata
con la Cooperativa e scaduto da ben quattro anni il P.I.P., ha deciso di
alienare il bene espropriato a terzi, con ciò ammettendo e, anzi, ponendo a
fondamento della contestata alienazione proprio il venir meno del potere
giustificativo del provvedimento ablatorio per l’intervenuta scadenza del
P.I.P.
15. In una situazione come quella descritta, secondo
quanto afferma la giurisprudenza della Suprema Corte, si determina una
situazione di giuridica inutilizzabilità del bene che attribuisce al privato il
diritto soggettivo di pretenderne la retrocessione totale, ai sensi dell’art.
63 della citata legge n. 2359 del 1865.
È dunque evidente che la ricorrente, al di là della
correttezza o meno della qualificazione data alla sua domanda nell’atto
introduttivo del giudizio avanti al T.A.R., abbia sostanzialmente richiesto la
retrocessione totale del bene o più esattamente, attesa la successiva
alienazione del bene espropriato da parte del Comune a terzi, il risarcimento
del danno corrispondente alla differenza tra il valore venale del bene e
l’indennizzo percepito al tempo dell’espropriazione.
16. Non osta, all’affermazione della giurisdizione in
capo al g.o., la circostanza che in prime cure la ricorrente abbia formalmente
richiesto l’annullamento della delibera consiliare n. 50, con la quale il
Comune di Venezia aveva deciso di alienare con trattativa privata a terzi il
bene espropriato, e di tutti gli atti a ciò finalizzati.
Tale domanda è stata infatti proposta quale mezzo al
fine di ottenere il ristoro patrimoniale per equivalente della mancata
destinazione del bene espropriato alla finalità pubblica per la quale era stato
destinato.
La Suprema Corte (v., ex plurimis, Cass.,
Sez. Un., 31 marzo 2005, n. 6743; Cass., Sez. Un., 28.6.2006, n. 14846) ha più
volte affermato che la giurisdizione del giudice ordinario o di quello
amministrativo deve essere in concreto identificata non già in base al criterio
della soggettiva prospettazione della domanda, ma alla stregua del petitum sostanziale,
ossia considerando l’intrinseca consistenza della posizione soggettiva dedotta
in giudizio ed individuata dal giudice stesso con riguardo alla sostanziale
protezione accordata a quest’ultima dal diritto positivo.
17. Né rileva – ha precisato Cass., Sez. un.,
25.3.2005, n. 6421 – che la pretesa giudiziale sia stata prospettata come
richiesta di annullamento di atto amministrativo, poiché l’individuazione della
giurisdizione è determinata dall’oggetto della domanda, il quale va
identificato, in base al criterio del petitumsostanziale, all’esito
dell’indagine sulla effettiva natura della controversia in relazione alle
caratteristiche del particolare rapporto fatto valere in giudizio.
18. Da tanto discende che la domanda dell’originaria
ricorrente, da qualificarsi correttamente come domanda di retrocessione
totale, spetta alla cognizione del giudice ordinario, sicché deve
dichiararsi il difetto di giurisdizione del g.a. a conoscerne per questi
motivi.
Per quanto sopra espresso deve considerarsi erronea,
infatti, sia la qualificazione della domanda proposta in prime cure quale
retrocessione parziale sia, soprattutto, la conseguenza che ne ha tratto il
T.A.R. in punto di giurisdizione, costituendo ormai indirizzo consolidato che
la cognizione della domanda avente ad oggetto la retrocessione parziale spetti
al g.a. (v., ex plurimis, Cass., Sez. Un., 11.11.2009, n. 23823).
L’impugnata sentenza, seppur con diversa e anzi
totalmente difforme motivazione, merita quindi conferma nella sua statuizione
conclusiva declinatoria della giurisdizione, dovendosi considerare, invece, un
mero refuso o lapsus calami la dizione contenuta nel
dispositivo “accoglie il ricorso” alla luce dell’affermata giurisdizione del
g.o. a conoscere, nel merito, della domanda proposta in prime cure.
19. Stante il rigetto dell’appello, per i motivi
esposti, va dichiarato improcedibile l’appello incidentale condizionato
proposto da Marilena Semenzato.
20. Le spese del presente giudizio, attesa la
complessità delle ragioni sin qui esposte, devono essere totalmente compensate
tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,
lo respinge, confermando l’impugnata sentenza ai sensi di cui in parte motiva.
Dichiara improcedibile l’appello incidentale proposto
da Marilena Semenzato.
Compensa interamente tra le parti le spese del
presente giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 9 aprile 2013 con l’intervento dei magistrati:
Riccardo Virgilio, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/06/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)