GIURISDIZIONE:
le sanzioni, principali od accessorie,
pecuniarie o ripristinatorie,
comminate dalla P.A. per violazione
di norme del Codice della Strada
sono SEMPRE attribuite al G.O.
(Cons. St. Sez. V, sentenza 31 ottobre 2012 n. 5556)
Massima
1. E' pacifico in giurisprudenza che sussiste difetto di giurisdizione
del G.A. con riguardo all’impugnazione dei provvedimenti di rimozione di
impianti pubblicitari posizionati abusivamente ai sensi dell’art. 23 del D. Lgs. n. 285/1992, in quanto tale ordine deriva direttamente, quale misura
consequenziale, dall’accertamento della violazione e dall’irrogazione della
prescritta sanzione pecuniaria, con riferimento al codice della strada, sicché
il provvedimento del Comune che dispone la rimozione dell’impianto
pubblicitario abusivo ai sensi di detto articolo 23 costituisce un accessorio
della sanzione amministrativa pecuniaria (e non un mezzo accordato all’Ente
pubblico proprietario della strada per assicurare il rispetto delle
disposizioni di cui a detto art. 23), con la conseguenza che l’atto deve essere
conosciuto dal G.O., competente ai sensi del combinato disposto degli articoli
22 e 23 della legge n. 689/81.
2. La tutela risarcitoria dinanzi al G.A. può infatti essere esercitata
esclusivamente nell'ambito della sua giurisdizione e va rilevato che l’art. 30
del C.p.A. precisa che l’azione di condanna può essere proposta contestualmente
ad altra azione, e, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi
previsti dall’articolo stesso, anche in via autonoma.
3. Nel caso di specie, relativo all'impugnazione di provvedimenti
rimozione degli impianti pubblicitari abusivi ex art. 23 del Codice della
Strada, l’azione di condanna non è stata proposta autonomamente innanzi al
G.A., ma come diretta conseguenza della illegittimità del provvedimento
impugnato, su cui ha giurisdizione il G.O., che è quindi competente a decidere
riguardo ad entrambe le domande.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 6330 del 2012, proposto da:
S.C.I. - Societa' Concessioni Internazionali a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Gianfranco Tobia, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, v.le G. Mazzini n. 11;
sul ricorso numero di registro generale 6330 del 2012, proposto da:
S.C.I. - Societa' Concessioni Internazionali a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Gianfranco Tobia, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, v.le G. Mazzini n. 11;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore,
rappresentato e difeso dall'avv. Sergio Siracusa, domiciliata in Roma, presso
l’Avvocatura capitolina, in via del Tempio di Giove, n. 21;
Roma Capitale-Dipartimento Regolazione e Gestioni Affissioni e Pubblicità, in persona del Direttore pro tempore, non costituito in giudizio;
Roma Capitale-Dipartimento Regolazione e Gestioni Affissioni e Pubblicità, in persona del Direttore pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. Lazio – Roma, Sezione
II Ter, n. 06202/2012, resa tra le parti, di declaratoria di inammissibilità
per difetto di giurisdizione del ricorso proposto per l’annullamento, con
contestuale domanda di risarcimento danni ai sensi degli artt. 30 e 34, comma
1, del c.p.a., di sette determinazioni del Direttore pro tempore del
Dipartimento Regolazione e Gestione affissioni e Pubblicità di Roma Capitale,
con le quali è stata intimata la rimozione forzata di impianti pubblicitari;
nonché per la condanna al risarcimento degli eventuali
danni subiti, da liquidarsi nella somma complessiva di € 242.124,00, o nella
diversa somma ritenuta di giustizia, oltre ad interessi e rivalutazione; nonché
per l’adozione di provvedimenti ex art. 34, comma 1, del c.p.a.;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma
Capitale;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle
rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, nella camera di consiglio del giorno 25
settembre 2012, il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per le parti gli avvocati G.
Tobia e S. Siracusa;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc.
amm.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto
segue:
FATTO e DIRITTO
1.- Con la sentenza del T.A.R. in esame, in
accoglimento della eccezione della difesa di Roma Capitale, secondo la quale la
sanzione della rimozione degli impianti pubblicitari contenuta nei
provvedimenti impugnati si configura come sanzione accessoria rispetto a quella
amministrativa-pecuniaria comminata ai sensi dell’art. 23 del codice della
strada ed è quindi impugnabile innanzi al Giudice Ordinario competente per la sanzione
principale, è stato dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione il
ricorso proposto dalla S.C.I., Società Concessioni Internazionali a r.l., per
l’annullamento dei provvedimenti e per la condanna al risarcimento dei danni in
epigrafe indicati.
2.- Con il ricorso in appello in esame la succitata
società ha chiesto l’annullamento o la riforma di detta sentenza deducendo
violazione di legge ed eccesso di potere.
Con atto depositato il 22.8.2012 si è costituita in
giudizio Roma Capitale, che, con memoria depositata il 21.9.2012, si è
riportata alle difese svolte in primo grado, di cui ha prodotto copia.
Con memoria depositata il 22.9.2012 la parte
appellante ha ribadito tesi e richieste.
Nel corso della camera di consiglio del 25.9.2012,
fissata per la trattazione della istanza cautelare, la causa è stata introitata
in decisione in forma semplificata, con avvertimento alle parti ai sensi
dell’art. 60 del c.p.a..
3.- Sostiene in primo luogo l’appellante che il
Giudice di prime cure si sarebbe limitato ad esaminare la domanda annullatoria,
senza tenere conto né della contestuale domanda, formulata ai sensi dell’art.
30 del c.p.a., di risarcimento del danno ingiusto per illegittimo esercizio da
parte del Comune della attività amministrativa e per mancato esercizio di
quella obbligatoria, né della domanda, proposta, ai sensi dell’art. 34, comma
1, lettera c., del c.p.a., per la condanna alla adozione di misure idonee a tutelare
la situazione soggettiva dedotta in giudizio.
Essendo ora consentito l’esperimento di azioni tese al
conseguimento di pronunce dichiarative, costitutive e di condanna idonee a
tutelare la situazione soggettiva dedotta in giudizio, non sussisterebbe più la
pregiudiziale amministrativa, sicché non poteva essere dichiarato il difetto di
giurisdizione perché la eventuale sentenza di accoglimento, a prescindere dal
suo contenuto volto alla caducazione dei provvedimenti impugnati, avrebbe,
stante la relativa autonomia delle azioni proposte, comportato effetti sotto il
profilo risarcitorio; pertanto, in base al tenore degli artt. 30 e 34, comma 1,
lett. c), del c.p.a., in combinazione con l’art. 7, comma 4, dello stesso
codice, la cognizione della controversia sarebbe attratta nella giurisdizione
del G.A., anche con riferimento alla azione di annullamento.
3.1.- La censura è, ad avviso del Collegio,
incondivisibile.
Va premesso che con l’A.Pl. del Consiglio di Stato, 23
marzo 2011, n. 3, è stato puntualizzato che dagli artt. 30 e ss. c.p.a emerge
che il legislatore delegato non ha condiviso né la tesi della pregiudizialità
amministrativa, né peraltro, al contrario, quella della totale autonomia dei
due rimedi, impugnatorio e risarcitorio, bensì ha optato per una soluzione
intermedia, che valuta l'omessa tempestiva proposizione del ricorso per
l'annullamento del provvedimento lesivo non come fatto preclusivo dell'istanza
risarcitoria, ma solo come condotta che, nell'ambito di una valutazione
complessiva del comportamento delle parti in causa, può autorizzare il giudice
ad escludere il risarcimento, o a ridurne l'importo, ove accerti che la
tempestiva proposizione del ricorso per l'annullamento dell'atto lesivo avrebbe
evitato o limitato i danni da quest'ultimo derivanti.
Con riguardo al problema della pregiudiziale, che
ovviamente si pone unicamente in ipotesi di danno derivante dal provvedimento
illegittimo, deve, quindi, ritenersi ormai ammessa la domanda di risarcimento
del danno, conformemente ai principi espressi dall'Adunanza Plenaria, anche in
via autonoma rispetto all'impugnazione del provvedimento (reputato)
illegittimamente lesivo.
Nel caso che occupa la domanda di risarcimento del
danno e di adozione di misure idonee a tutelare la situazione soggettiva, è
stata tuttavia formulata in primo grado quale diretta “conseguenza
dell’illegittimo comportamento tenuto dall’Amministrazione Capitolina nella
vicenda in esame”.
Tanto premesso deve escludersi che non potesse essere
dichiarato il difetto di giurisdizione perché la eventuale sentenza “de qua”, a
prescindere dal suo contenuto volto alla caducazione dei provvedimenti
impugnati, avrebbe comunque dovuto comportare, stante la relativa autonomia
delle azioni proposte, effetti sotto il profilo risarcitorio.
La tutela risarcitoria dinanzi al G.A. può infatti
essere esercitata esclusivamente nell'ambito della sua giurisdizione e va
rilevato che l’art. 30 del c.p.a. precisa che l’azione di condanna può essere
proposta contestualmente ad altra azione, e, nei soli casi di giurisdizione
esclusiva e nei casi previsti dall’articolo stesso, anche in via autonoma.
Nel caso di specie l’azione di condanna non è stata
proposta autonomamente innanzi al G.A., ma come diretta conseguenza della
illegittimità del provvedimento impugnato, su cui ha giurisdizione il G.O., che
è quindi competente a decidere riguardo ad entrambe le domande.
4.- In secondo luogo la parte appellante, premesso
che, in base all’art. 23, comma 4, del d. lgs. n. 285/1992, la collocazione dei
cartelli e mezzi pubblicitari sulla strada è soggetta ad autorizzazione da
parte dell’Ente proprietario e che l’art. 3 del d. lgs. n. 507/1993 sancisce
l’obbligo per i Comuni di adottare un regolamento per l’applicazione
dell’imposta sulla pubblicità e l’effettuazione del servizio di pubbliche
affissioni, ha affermato che, per radicare la giurisdizione del G.O. in materia
de qua, non sarebbe sufficiente la circostanza che detti decreti fanno
riferimento agli artt. 22 e segg. della l. n. 689/1981. Ciò atteso che, oltre
ai poteri dell’Ente proprietario della strada ai fini della sua gestione e
sicurezza, coesistono poteri dei Comuni in materia urbanistica ed edilizia,
occorrendo per l’installazione non solo una autorizzazione ex art. 23 del d.
lgs. n. 285/1992, ma anche un provvedimento di concessione dell'uso del suolo
su cui insiste l’impianto. Poiché, inoltre, l’attività pubblicitaria si
riflette inevitabilmente sulle scelte di governo del territorio da parte del
Comune non potrebbe disconoscersi la giurisdizione del G.A. in materia di
legittimità di provvedimenti di sanzioni amministrative di tipo
ripristinatorio, come la rimozione forzata dell’impianto ex art. 23, comma 4,
del d. lgs. n. 285/1992, che non costituirebbe quindi una sanzione accessoria,
ma un mezzo accordato all’Ente pubblico proprietario della strada per
assicurare il rispetto delle disposizioni di cui a detto art. 23 (che non
sarebbe congegnata secondo un modello sanzionatorio, ma attribuisce
direttamente ed esclusivamente a detto Ente – nel caso che occupa il
Dipartimento Regolazione e Gestione Affissioni e Pubblicità di Roma Capitale -
il potere di disporre la rimozione forzata dell’impianto pubblicitario a
seguito del verbale di contestazione delle infrazioni).
4.1.- Neppure dette argomentazioni sono, ad avviso del
Collegio, convincenti.
Si conviene, infatti, con il primo Giudice che non
sussistono ragioni per discostarsi dalla costante giurisprudenza, secondo la
quale sussiste difetto di giurisdizione del G.A. con riguardo all’impugnazione
dei provvedimenti di rimozione di impianti pubblicitari posizionati
abusivamente ai sensi dell’art. 23 del d. lgs. n. 285/1992, in quanto tale
ordine deriva direttamente, quale misura consequenziale, dall’accertamento
della violazione e dall’irrogazione della prescritta sanzione pecuniaria, con
riferimento al codice della strada, sicché il provvedimento del Comune che
dispone la rimozione dell’impianto pubblicitario abusivo ai sensi di detto
articolo 23 costituisce un accessorio della sanzione amministrativa pecuniaria
(e non un mezzo accordato all’Ente pubblico proprietario della strada per
assicurare il rispetto delle disposizioni di cui a detto art. 23), con la
conseguenza che l’atto deve essere conosciuto dal G.O., competente ai sensi del
combinato disposto degli articoli 22 e 23 della legge n. 689/81 (cfr.: Cass.
Civ., SS. UU., 23 giugno 2010 n .15170; 14 gennaio 2009, n. 563; 18 novembre
2008 n. 27334; 6 giugno 2007 n. 13230; 17 luglio 2006 n. 16129; 19 novembre
1998 n. 11721);
La mera circostanza che coesistono riguardo alla
installazione delle insegne pubblicitarie di cui trattasi anche poteri dei
Comuni in materia urbanistica ed edilizia, occorrendo per l’installazione non
solo una autorizzazione ex art. 23 del d. lgs. n. 285/1992, ma anche un
provvedimento di concessione dell'uso del suolo su cui insiste l’impianto, deve
ritenersi, considerato che nella fattispecie non viene posto in discussione
alcuno di detti poteri, inidonea ad attrarre nella giurisdizione del G.A.. il
provvedimento del Comune che dispone la rimozione dell’impianto pubblicitario
abusivo ex articolo 23 del codice della strada, soggetto alla giurisdizione del
G.O. in quanto costituente un accessorio della sanzione amministrativa
pecuniaria.
5.- Comunque, secondo l’appellante, sulla base degli
artt. 203 (che consente di ricorrere al Prefetto contro le contestazioni di
infrazioni comminanti sanzioni amministrative pecuniarie), 204 bis e 211 (per
il quale detto ricorso si estende alla sanzione accessoria) del d. lgs. n.
285/1992 (anche a non tener conto degli artt. 22 e 23 della l. n.689/1981, che
consente il ricorso al Giudice di Pace contro l’ordinanza ingiunzione di
pagamento e la sanzione accessoria), poiché nel caso di specie quattro verbali
di contestazione adottati ex 23, comma 13 quater, di detto d.lgs., non fanno
menzione dell’irrogazione della sanzione amministrativa accessoria della
rimozione forzata degli impianti pubblicitari, la pretesa di chiederne
l’annullamento non può trovare ingresso né presso il G.O. né presso il Prefetto
di Roma, né presso il Giudice di Pace, sicché non potrebbe che ritenersi
sussistente al riguardo la giurisdizione del G.A.
5.1.- Osserva in proposito la Sezione che la censura
non è suscettibile di positivo apprezzamento, atteso che la circostanza che in
verbali di contestazione non sia fatta menzione della sanzione accessoria
astrattamente comminata dalla legge non esclude che essa possa comunque
irrogata, anche successivamente, sicché la circostanza non vale di certo ad
escludere la giurisdizione del G.O. in materia de qua.
6.- Con riguardo agli impianti n. 4, 5, 6 e 7,
prosegue l’appello, le rimozioni forzate non sono state disposte con verbali
della Polizia municipale, ma del Dipartimento Regolazione e Gestione Affissioni
e Pubblicità con le impugnate deliberazioni, sicché essi sarebbero veri e
propri provvedimenti amministrativi in quanto manifestazione del potere di
autogoverno del territorio per assicurare il rispetto dell’art. 23 del d. lgs.
n. 285/1992, da impugnare innanzi al G.A.
6.1.- Il motivo in esame non può essere condiviso dal
Collegio, atteso che l’art. 13 bis del d.lgs. n. 285/1992 stabilisce
genericamente che è l'ente proprietario della strada che diffida l'autore della
violazione e il proprietario o il possessore del suolo privato, nei modi di
legge, a rimuovere il mezzo pubblicitario a loro spese entro e non oltre dieci
giorni dalla data di comunicazione dell'atto, sicché è irrilevante quale sia
l’Organo comunale che dispone la rimozione, purché competente, non potendo di
certo costituire la circostanza che la disposizione sia contenuta in un verbale
della Polizia Municipale invece che in un provvedimento di altro Ufficio
all’uopo preposto causa escludente della giurisdizione del G.O. in materia.
7.- La impugnata sentenza è stata anche impugnata per
violazione dell'art. 26 del c.p.a. e per eccesso di potere con riferimento alla
condanna al pagamento delle spese processuali, in quanto, non sussistendo
uniformità giurisprudenziale sul riparto della giurisdizione in materia de qua,
esse avrebbero dovuto essere compensate ex art. 92, u.c., del c.p.c..
7.1.- Il motivo non può essere oggetto di positiva
valutazione, atteso che in materia di condanna alle spese di lite, nei giudizi
cui sia applicabile la novella operata dalla l. n. 69/2009 (cioè ai giudizi
instaurati dopo la data della sua entrata in vigore, cioè a partire dal 4
luglio 2009), le spese del giudizio non possono essere compensate tra le parti,
se non nei casi di soccombenza reciproca (e nei limiti di tale reciproca
soccombenza), oppure, ove concorrano altre gravi ed eccezionali ragioni, solo a
condizione che esse siano esplicitamente indicate nella motivazione, a seguito
di decisione di merito latamente discrezionale, censurabile in sede di
legittimità solo quando siano illogiche o contraddittorie le ragioni poste alla
base della motivazione.
Nel caso che occupa non risulta affetta da detti vizi
il regolamento delle spese disposto dal Giudice di primo grado, non sussistendo
reciproca soccombenza tra le parti e non risultando oscillamenti
giurisprudenziali tali in materia tali da rendere illogica la decisione di non
compensare le spese tra le parti ma di porle, come di norma, a carico della
parte soccombente.
8.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e
deve essere confermata la prima decisione con la quale è stata dichiarata la
inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio per difetto di
giurisdizione del G.A., spettando la cognizione sulla vertenza al G.O.. Tanto
esime dalla disamina dei motivi di impugnazione di primo grado riproposti in appello
9.- Nella complessità e parziale novità delle
questioni trattate il Collegio ravvisa eccezionali ragioni per compensare, ai
sensi degli artt. 26, co. 1, c.p.a e 92, co. 2, c.p.c., le spese del presente
grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale,
Sezione Quinta, definitivamente decidendo respinge l’appello in esame e
conferma la sentenza di primo grado.
Compensa le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 25 settembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore
Antonio Bianchi, Consigliere
Giancarlo Luttazi, Consigliere
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 31/10/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.)
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