venerdì 26 luglio 2013

URBANISTICA: il P.I.P. (Piano per gli Insediamenti Produttivi) non può essere prorogato (Cons. St., Sez. IV, sentenza 13 luglio 2013 n. 3275).


URBANISTICA: 
il P.I.P. (Piano per gli Insediamenti Produttivi) 
non può essere prorogato 
(Cons. St., Sez. IV, sentenza 13  luglio 2013 n. 3275)


Massima

1.  Occorre ricordare che il piano per gli insediamenti produttivi (P.I.P.), previsto dall’art. 27 L. n. 865 del 1971, è uno strumento urbanistico di natura attuativa, dotato di efficacia decennale dalla data di approvazione ed avente valore di piano particolareggiato di esecuzione, la cui funzione è quella di incentivare le imprese, offrendo ad un prezzo politico le aree occorrenti per il loro impianto ed espansione.
Per le sue caratteristiche, trascorsi i dieci anni, l’amministrazione non può quindi disporne alcuna proroga, ma può al limite e invece unicamente valutare l’opportunità di predisporre un nuovo strumento con conseguente rinnovazione della scelta pianificatoria attuativa rimasta inattuata (Cons. St., Sez. V, 2.12.2011, n. 6363).
2.  Se così è, prescindendo in questa sede dalla legittimità della proroga disposta dal Comune nel 1991, non par dubbio che si versi in ipotesi di retrocessione totale, poiché al Comune espropriante non restava, dopo la scadenza del P.I.P. nel 1996, alcun potere discrezionale di servirsi dell’area per il fine originariamente previsto dal piano particolareggiato se non nelle forme e nei limiti che pertengono allo stesso piano.


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8065 del 2009, proposto da:
Comune di Venezia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Nicolò Paoletti, dall’Avv. Giulio Gidoni, dall’Avv. M.M. Morino, dall’Avv. Antonio Iannotta, dall’Avv. Maurizio Ballarini, dall’Avv. Nicoletta Ongaro e dall’Avv. Giuseppe Venezian, con domicilio eletto presso l’Avv. Nicolò Paoletti in Roma, via B. Tortolini, n. 34; 
contro
Marilena Semenzato, rappresentata e difesa dall’Avv. Andrea Manzi, con domicilio eletto presso lo stesso Avv. Luigi Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5;
nei confronti di
La Immobiliare Veneziana s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Fabio Lorenzoni e dall’Avv. Maddalena Patrizia Cappelletto, con domicilio eletto presso lo stesso Avv. Fabio Lorenzoni in Roma, via del Viminale, n. 43;
Sbs Leasing s.p.a., Icm s.r.l. non costituite in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA: SEZIONE I n. 01849/2009, resa tra le parti, concernente la retrocessione del bene espropriato e il risarcimento del danno

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Marilena Semenzato e di La Immobiliare Veneziana s.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 aprile 2013 il Cons. Massimiliano Noccelli e uditi per le parti gli avvocati l’Avv. Giulio Gidoni, l’Avv. Nicolò Paoletti, l’Avv. Fabio Lorenzoni e l’Avv. Gabriele Bicego (su delega dell’Avv. Andrea Manzi);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. Il Comune di Venezia, in attuazione del P.R.G. vigente, con delibera consiliare n. 1011 del 19.11.1979 adottava, ai sensi dell’art. 27 della l. 865/71, il Piano per gli Insediamenti Produttivi di Cà Emiliani, che veniva approvato dalla Regione Veneto con DGRV n. 6392 del 9.12.1980.
Per dare attuazione a tale piano, in data 10.12.1981, il Comune stipulava con la Società Cooperativa fra Imprese Artigiane di via F.lli Bandiera una convenzione con la quale concedeva alla predetta società il diritto di superficie su tutte le aree comprese nel P.I.P., sia quelle già di proprietà comunale sia quelle ancora da acquisire mediante espropriazione.
Non essendo state ancora completate le procedure di esproprio volte all’acquisizione delle aree, all’avvicinarsi della scadenza del termine decennale del P.I.P. prevista per il 23.3.1991, il Comune, con delibera n. 453 del 19-20.3.1990, ne prorogava la validità per la durata di 5 anni, posticipandone la scadenza al 23.3.1996.
2. Tra i terreni espropriandi rientrava anche quello di Marilena Semenzato, sicché il Comune procedeva dapprima il 31.7.1992 all’occupazione d’urgenza dello stesso, terminando poi l’intera procedura espropriativa in data 23.3.1995 con decreto del Presidente della Provincia di Venezia n. 39.
Accettata l’indennità provvisoria proposta dall’amministrazione provinciale con decreto n. 52 del 30.11.1993, accettazione che corrispondeva alla dichiarazione di cessione volontaria da parte del soggetto espropriato, il Comune di Venezia, con delibera consiliare n. 194 del 25.10.1994, corrispondeva alla Semenzato, a titolo di indennità di espropriazione, una somma parti a £ 167.800.000, alla quale si aggiungeva, a titolo di indennità di occupazione, una somma pari a £ 23.385.222.
3. Successivamente, a seguito della scadenza del P.I.P. nel 1996, il Comune di Venezia, con delibera n. 50 del 1.3.2000, decideva di vendere l’area in questione alla I.V.E. s.r.l., società in house del Comune stesso.
Il contratto di compravendita con I.V.E s.r.l. veniva, quindi, concluso il 30.6.2000 con atto rep. 13076, al quale faceva seguito l’atto di vendita, di pari data, con il quale I.V.E. s.r.l. alienava il medesimo terreno alla S.B.S. Leasing s.p.a., incaricata dalla futura utilizzatrice dell’area, I.C.M. s.r.l.
4. Con ricorso notificato il 21.7.2005 Marilena Semenzato domandava al T.A.R. Veneto l’annullamento di tutti i provvedimenti per mezzo dei quali era stata autorizzata l’alienazione del suo terreno alla I.V.E. s.r.l. mediante trattativa privata; la dichiarazione di nullità dei due contratti con i quali detto terreno era stato ceduto prima alla I.V.E. s.r.l. e poi da questa alla SBS Leasing s.p.a., l’annullamento di ogni atto connesso, presupposto o conseguente, la condanna del Comune stesso al risarcimento del danno.
5. Resistevano sia il Comune di Venezia che le società I.V.E. s.r.l. e SBS Leasing s.p.a., eccependo, preliminarmente, l’irricevibilità del ricorso per tardività e la sua inammissibilità per difetto di interesse e, comunque, l’inefficacia di una eventuale decisione favorevole alla ricorrente per quanto attiene al contratto di compravendita concluso con ICM s.r.l.
6. Il T.A.R. Veneto, con sentenza n. 1849 del 19.6.2009, accoglieva il ricorso e, per l’effetto, dichiarava la giurisdizione del giudice ordinario, rimettendo le parti avanti al competente Tribunale civile.
Il giudice di prime cure riteneva, infatti, che la domanda della ricorrente dovesse essere qualificata come avente ad oggetto la retrocessione parziale del bene non utilizzato alla scadenza della data fissata per l’ultimazione dell’opera e, in quanto tale, spettante alla cognizione del giudice ordinario.
7. Avverso tale sentenza ha proposto appello il Comune, deducendone l’erroneità, l’illogicità e la contraddittorietà per aver essa violato il principio dell’art. 112 c.p.a., avendo trascurato che la ricorrente aveva chiesto l’annullamento di atti amministrativi, e per aver comunque, pur in presenza di una domanda di retrocessione parziale, ritenuto che la giurisdizione spettasse al g.o. e non al g.a.
L’appellante ha dedotto, altresì, l’erroneità del dispositivo, laddove il T.A.R. aveva accolto il ricorso, pur declinando poi la sua giurisdizione.
Si è costituita Marilena Semenzato, resistendo all’appello proposto dal Comune e proponendo appello incidentale condizionato volto, in via principale, ad ottenere il rinvio della controversia al primo giudice o, in via gradata, l’accoglimento della domanda di prime cure da parte del giudice d’appello.
Si è costituita anche La Immobiliare Veneziana s.r.l., domandando di accogliere l’appello proposto dal Comune e di rigettare, invece, l’appello incidentale condizionato formulato dalla Semenzato.
All’udienza pubblica del 9.4.2013 il Collegio, uditi i difensori, ha assunto la causa in decisione.
8. L’appello va respinto, seppur per le ragioni che qui si vengono ad esporre.
9. In via preliminare deve affermarsi la piena legittimazione del Comune, contestata invece dalla difesa dell’appellata Semenzato, ad impugnare la sentenza che ha declinato la giurisdizione, in quanto tutte le parti del giudizio hanno interesse ad ottenere, in primo luogo, una pronuncia emessa da un giudice che sia correttamente munito di potestas iudicandi e quindi, in secondo luogo e mercé la proposizione dell’appello, a chiedere il riesame della pronuncia che tale potestasnon abbia correttamente declinato.
10. Ciò premesso, venendo all’esame dei motivi dell’appello, erra anzitutto il primo giudice quando afferma di essere al cospetto, nel caso di specie, di una fattispecie di retrocessione parziale.
L’alienazione dell’area, oggetto di espropriazione in danno di Marilena Semenzato nel 1994, è avvenuta da parte del Comune di Venezia in favore dell’I.V.E. nell’anno 2000, in forza della delibera consiliare n. 50, allorché il P.I.P. era già scaduto da ben quattro anni.
Occorre ricordare che il piano per gli insediamenti produttivi (P.I.P.), previsto dall’art. 27 l. n. 865 del 1971, è uno strumento urbanistico di natura attuativa, dotato di efficacia decennale dalla data di approvazione ed avente valore di piano particolareggiato di esecuzione, la cui funzione è quella di incentivare le imprese, offrendo ad un prezzo politico le aree occorrenti per il loro impianto ed espansione.
Per le sue caratteristiche, trascorsi i dieci anni, l’amministrazione non può quindi disporne alcuna proroga, ma può al limite e invece unicamente valutare l’opportunità di predisporre un nuovo strumento con conseguente rinnovazione della scelta pianificatoria attuativa rimasta inattuata (Cons. St., sez. V, 2.12.2011, n. 6363).
Se così è, prescindendo in questa sede dalla legittimità della proroga disposta dal Comune nel 1991, non par dubbio che si versi in ipotesi di retrocessione totale, poiché al Comune espropriante non restava, dopo la scadenza del P.I.P. nel 1996, alcun potere discrezionale di servirsi dell’area per il fine originariamente previsto dal piano particolareggiato se non nelle forme e nei limiti che pertengono allo stesso piano.
11. A differenza della retrocessione parziale prevista dagli artt. 60 e 61 della legge 25 giugno 1865 n. 2359 applicabile ratione temporis – che, nell’ipotesi di inutilizzabilità del bene espropriato e al fine di contenere il sacrificio dei proprietari espropriati nei limiti richiesti dall’interesse generale, qualora la inutilizzabilità consegue all’avvenuta realizzazione dell’opera pubblica e riguardi un singolo bene o una sua parte, richiede un apprezzamento discrezionale autoritativo della pubblica amministrazione circa la utilità del relitto, a fronte del quale l’espropriato può vantare solo una posizione di interesse legittimo – nel caso in cui la inutilizzabilità dipenda da un evento sopravvenuto che, escludendo con certezza la possibilità di destinare il bene espropriato alla realizzazione dell’opera in vista della quale fu emessa la dichiarazione di pubblica utilità, renda giuridicamente ineseguibile l’opera programmata sui beni espropriati, viene meno il presupposto del provvedimento ablatorio ed il privato diventa per ciò stesso titolare di un diritto soggettivo alla restituzione.
Ciò comporta che nelle espropriazioni disposte in attuazione di un piano particolareggiato o di una variante, l’approvazione di una successiva variante che incida sulla destinazione dei beni espropriati, ma non utilizzati, liberandoli da ogni vincolo espropriativo o destinandoli a un’opera affatto diversa, ovvero la sopravvenuta scadenza del termine di efficacia dello stesso piano particolareggiato o della variante, in base a cui fu decretata la espropriazione, e la conseguente impossibilità di dare ai beni espropriati la prevista destinazione, fanno venire meno rispetto a tali beni la specifica causa di interesse pubblico per la quale sono stati appresi.
La sopravvenuta inefficacia del piano originario, in base a cui fu disposta la espropriazione, “comporta infatti la revoca della precedente dichiarazione di pubblica utilità in ordine alle previsioni del piano sostituite o caducate, con la conseguenza che, non essendo più possibile dare agli immobili la destinazione prevista nel decreto di espropriazione e non attuata, si determina una situazione di giuridica inutilizzabilità degli stessi che attribuisce al privato il diritto di pretenderne la retrocessione, ai sensi dell’art. 63 della citata legge n. 2359 del 1865, salva la facoltà della pubblica amministrazione di promuovere una nuova e diversa espropriazione in base al mutato assetto urbanistico della zona in cui ricadono i beni espropriati (V. Sent. 6 febbraio 1984 n. 870; 7 maggio 1965 n. 836)” (Cass., Sez. Un., 16.1.1986, n. 209).
12. È incontestabile che, nel caso di specie, il Comune di Venezia alienò nel 2000 l’area alla I.V.E., per aver esso stesso preso atto, nella stessa delibera n. 50, della scadenza del P.I.P., e peraltro, come riconosce il Comune nell’atto di appello (pp. 4-5), dopo che nel 1998 esso aveva espressamente escluso dalla Convenzione stipulata con la Cooperativa di via F.lli Bandiera, beneficiaria degli espropri, il terreno de quo e, addirittura, nel ben diverso contesto di una vendita avente ben altri fini, perché collocata “all’interno di un’operazione finalizzata all’acquisizione di un’ulteriore area sita nel territorio di Mestre e indispensabile alla realizzazione del Parco di San Giuliano”.
13. In altri termini, scaduto il P.I.P. e venuto meno il fondamento del potere ablatorio, il Comune non avrebbe potuto più servirsi dell’area per la realizzazione del fine perseguito con l’espropriazione se non adottando un nuovo piano particolareggiato o imprimendo all’area una destinazione urbanistica compatibile con la primitiva finalità, non certo vendendolo a terzi – dopo averlo peraltro escluso già nel 1998 dalla convenzione stipulata con la cooperativa beneficiaria degli espropri – per scopi non rientranti nell’originaria previsione del P.I.P.
14. Non può pertanto trovare applicazione, nel caso di specie, il principio di diritto invocato dal T.A.R. e relativo alla retrocessione parziale dei relitti, di fronte ad un atto, come quello in questione, con il quale il Comune stesso, escluso il terreno dalla convenzione stipulata con la Cooperativa e scaduto da ben quattro anni il P.I.P., ha deciso di alienare il bene espropriato a terzi, con ciò ammettendo e, anzi, ponendo a fondamento della contestata alienazione proprio il venir meno del potere giustificativo del provvedimento ablatorio per l’intervenuta scadenza del P.I.P.
15. In una situazione come quella descritta, secondo quanto afferma la giurisprudenza della Suprema Corte, si determina una situazione di giuridica inutilizzabilità del bene che attribuisce al privato il diritto soggettivo di pretenderne la retrocessione totale, ai sensi dell’art. 63 della citata legge n. 2359 del 1865.
È dunque evidente che la ricorrente, al di là della correttezza o meno della qualificazione data alla sua domanda nell’atto introduttivo del giudizio avanti al T.A.R., abbia sostanzialmente richiesto la retrocessione totale del bene o più esattamente, attesa la successiva alienazione del bene espropriato da parte del Comune a terzi, il risarcimento del danno corrispondente alla differenza tra il valore venale del bene e l’indennizzo percepito al tempo dell’espropriazione.
16. Non osta, all’affermazione della giurisdizione in capo al g.o., la circostanza che in prime cure la ricorrente abbia formalmente richiesto l’annullamento della delibera consiliare n. 50, con la quale il Comune di Venezia aveva deciso di alienare con trattativa privata a terzi il bene espropriato, e di tutti gli atti a ciò finalizzati.
Tale domanda è stata infatti proposta quale mezzo al fine di ottenere il ristoro patrimoniale per equivalente della mancata destinazione del bene espropriato alla finalità pubblica per la quale era stato destinato.
La Suprema Corte (v., ex plurimis, Cass., Sez. Un., 31 marzo 2005, n. 6743; Cass., Sez. Un., 28.6.2006, n. 14846) ha più volte affermato che la giurisdizione del giudice ordinario o di quello amministrativo deve essere in concreto identificata non già in base al criterio della soggettiva prospettazione della domanda, ma alla stregua del petitum sostanziale, ossia considerando l’intrinseca consistenza della posizione soggettiva dedotta in giudizio ed individuata dal giudice stesso con riguardo alla sostanziale protezione accordata a quest’ultima dal diritto positivo.
17. Né rileva – ha precisato Cass., Sez. un., 25.3.2005, n. 6421 – che la pretesa giudiziale sia stata prospettata come richiesta di annullamento di atto amministrativo, poiché l’individuazione della giurisdizione è determinata dall’oggetto della domanda, il quale va identificato, in base al criterio del petitumsostanziale, all’esito dell’indagine sulla effettiva natura della controversia in relazione alle caratteristiche del particolare rapporto fatto valere in giudizio.
18. Da tanto discende che la domanda dell’originaria ricorrente, da qualificarsi correttamente come domanda di retrocessione totale, spetta alla cognizione del giudice ordinario, sicché deve dichiararsi il difetto di giurisdizione del g.a. a conoscerne per questi motivi.
Per quanto sopra espresso deve considerarsi erronea, infatti, sia la qualificazione della domanda proposta in prime cure quale retrocessione parziale sia, soprattutto, la conseguenza che ne ha tratto il T.A.R. in punto di giurisdizione, costituendo ormai indirizzo consolidato che la cognizione della domanda avente ad oggetto la retrocessione parziale spetti al g.a. (v., ex plurimis, Cass., Sez. Un., 11.11.2009, n. 23823).
L’impugnata sentenza, seppur con diversa e anzi totalmente difforme motivazione, merita quindi conferma nella sua statuizione conclusiva declinatoria della giurisdizione, dovendosi considerare, invece, un mero refuso o lapsus calami la dizione contenuta nel dispositivo “accoglie il ricorso” alla luce dell’affermata giurisdizione del g.o. a conoscere, nel merito, della domanda proposta in prime cure.
19. Stante il rigetto dell’appello, per i motivi esposti, va dichiarato improcedibile l’appello incidentale condizionato proposto da Marilena Semenzato.
20. Le spese del presente giudizio, attesa la complessità delle ragioni sin qui esposte, devono essere totalmente compensate tra le parti.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando l’impugnata sentenza ai sensi di cui in parte motiva.
Dichiara improcedibile l’appello incidentale proposto da Marilena Semenzato.
Compensa interamente tra le parti le spese del presente giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2013 con l’intervento dei magistrati:
Riccardo Virgilio, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/06/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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