PROCESSO:
"dies" e presupposti del ricorso per motivi aggiunti
(Cons. St., Sez. V,
sentenza 05 novembre 2012 n. 5588)
Massima
Nel processo amministrativo, la decorrenza del termine per impugnare si verifica con la c.d. "piena conoscenza" dell'esistenza dell'atto o dell'attività lesiva nei suoi elementi essenziali (Autorità emanante, oggetto, contenuto dispositivo e lesività del provvedimento) mentre l'eventuale e successiva acquisizione della c.d. "conoscenza integrale" degli (altri) atti e del relativo procedimento, oltre che della relativa motivazione dei provvedimenti, legittima solo la proposizione del ricorso per motivi aggiunti.
Sentenza per esteso
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1121 del 2012,
proposto da:
G.A.N.A. s.n.c. di Augusto Pes e C., rappresentata e difesa dall'avv. Pasquale Di Rienzo, presso il cui studio in Roma, viale G. Mazzini n.11, è elettivamente domiciliata;
G.A.N.A. s.n.c. di Augusto Pes e C., rappresentata e difesa dall'avv. Pasquale Di Rienzo, presso il cui studio in Roma, viale G. Mazzini n.11, è elettivamente domiciliata;
contro
Adriana Emilia Goni, Maria Claudia Picarreta, Silvana
Piccoli, Chiara Rapaccini, Gianluca Ronchi, Gianluca Rossi, Maria Grazia Serpa,
Carlo Severati, Franca Zuccalli, rappresentati e difesi dall'avv. Pierfrancesco
Della Porta, presso il cui studio in Roma, via Lorenzo Valla, n. 2, sono
elettivamente domiciliati;
nei confronti di
Roma Capitale, rappresentata e difesa dagli avvocati
Rosalda Rocchi e Alessandro Rizzo, elettivamente domiciliata in Roma, via del
Tempio di Giove 21;
Municipio Centro Storico, Municipio Roma 1 Centro Storico;
Municipio Centro Storico, Municipio Roma 1 Centro Storico;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE
SECONDA TER n. 09464/2011, resa tra le parti, concernente concessione demaniale
di suolo pubblico a servizio dell'attività di somministrazione di alimenti e
bevande - mcp
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Adriana
Emilia Goni, Maria Claudia Picarreta, Silvana Piccoli, Chiara Rapaccini,
Gianluca Ronchi, Gianluca Rossi, Maria Grazia Serpa, Carlo Severati e Franca
Zuccalli, nonché di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 luglio
2012 il Consigliere di Stato Doris Durante;
Uditi per le parti gli avvocati Di Rienzo, Della Porta
e D'Ottavi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO e DIRITTO
1.- La società G.A.N.A. s.n.c. di Augusto Pes e C.,
gestore del ristorante “Il Tettarello” sito in Roma, in via dei Capocci 4/5, ad
angolo con via dei Ciancaleoni, ottenne dal Comune di Roma, con determinazione
del 17 febbraio 2010, la concessione permanente di una limitata porzione di
suolo pubblico a servizio dell’attività di ristorazione.
La concessione, con prima scadenza al 31 dicembre
2012, aveva ad oggetto, precisamente, come leggesi nell’atto, l’occupazione
della superficie di metri quadrati 11,90 (m. 7,00 x 1,70) di via dé Ciancaleoni
per l’uso esclusivo di tavoli, sedie, pedana, pannellature e 2 ombrelloni di m.
1,70 x 3,30, strumentale all’attività di somministrazione.
Nella determinazione si precisava altresì, che “Nel
caso in cui, nella località di cui trattasi, venga approvato un Piano di
Massima Occupabilità, la presente concessione sarà soggetta a procedimento di
adeguamento alle specifiche in esso indicate”.
La società G.A.N.A., ottenuto il provvedimento di
concessione, lo esponeva all’interno dell’esercizio commerciale unitamente alla
planimetria della porzione di suolo pubblico concesso e, già dal mese di giugno
2010, allestiva lo spazio esterno corredandolo dei tavolini e degli ombrelloni,
conformemente al titolo.
2.- Con ricorso notificato in data 2 marzo 2011,
integrato da motivi aggiunti notificati il 1°giugno 2011, i signori Adriana
Emilia Goni, Maria Claudia Picarreta, Silvana Piccoli, Chiara Rapaccini,
Gianluca Ronchi, Gianluca Rossi, Maria Grazia Serpa, Carlo Severati e Franca
Zuccalli, nell’asserita qualità di residenti o proprietari di immobili siti
nella zona, impugnavano davanti al TAR Lazio, il suddetto provvedimento di
concessione di suolo pubblico, deducendo violazione del regolamento in materia
di occupazione di suolo pubblico e del canone; violazione del nuovo codice
della strada, in relazione alle norme in materia di sicurezza antincendi per
gli edifici di civili abitazioni; eccesso di potere sotto diversi profili,
contraddittorietà ed illogicità perché lo spazio di strada residuata
dall’occupazione pregiudicherebbe la percorrenza dei mezzi di pronto soccorso e
pronto intervento e non valuterebbe gli interessi pubblici relativi alla
circolazione, igiene, sicurezza, estetica, ambiente e tutela del patrimonio
culturale; violazione di legge perché la Soprintendenza avrebbe sospeso l’esame
della pratica in relazione alla necessità di procedere ad una elaborazione
condivisa con l’amministrazione comunale dei “piani di massima occupabilità”.
3.- Il TAR del Lazio con la sentenza appellata,
respinte le eccezioni sollevate dalle parti resistenti di irricevibilità del
ricorso per tardività della notifica e di inammissibilità per carenza di
legittimazione attiva e di interesse dei ricorrenti, accoglieva il ricorso sul
primo motivo aggiunto, con cui era dedotta la violazione dall’art. 4 bis, comma
2, del Regolamento comunale in materia di OSP e COSAP, sulla considerazione che
il provvedimento di concessione sarebbe stato assunto in mancanza del parere
preventivo dell’Ufficio per la Città Storica e della Soprintendenza ai beni
culturali del Comune di Roma,e annullava la determinazione impugnata, con
condanna del Comune di Roma e della G.A.N.A. al pagamento delle spese di
giudizio.
4.- Con l’atto di appello in esame G.A.N.A. s.n.c. ha
chiesto l’annullamento o la riforma della suddetta sentenza per error in
iudicando, alla stregua dei seguenti motivi:
1) erroneità con riferimento alla reiezione
dell’eccezione di irricevibilità del ricorso di primo grado e dei motivi
aggiunti;
2) erroneità con riferimento alla reiezione
dell’eccezione di inammissibilità per carenza di legittimazione attiva dei
ricorrenti, i quali non avrebbero fornito alcuna prova sullo stabile
collegamento con il bene e sul danno loro causato dal provvedimento;
3) erroneità nella valutazione della censura di
merito, poiché il parere sarebbe stato reso e le esigenze rappresentate dalla
Soprintendenza sarebbero state valutate e trasfuse nella prescrizione apposta
all’atto in base alla quale “Nel caso in cui, nella località di cui trattasi,
venga approvato un Piano di Massima Occupabilità, la presente concessione sarà
soggetta a procedimento di adeguamento alle specifiche in esso indicate”.
Si sono costituiti in giudizio il Comune di Roma ed i
ricorrenti in primo grado che hanno depositato gli atti utili per provare la
propria legittimazione al ricorso ed hanno riproposto tutte le censure dedotte
in primo grado ed assorbite dal TAR.
Le parti hanno depositato memorie difensive e alla
pubblica udienza del 31 luglio 2012, il giudizio è stato assunto in decisione.
5.- L’appello è fondato e va accolto.
6.- La società G.A.N.A. assume l’erroneità della
sentenza nella parte in cui è stata respinta l’eccezione di irricevibilità del
ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti per tardività.
I ricorrenti, afferma la società ricorrente, malgrado
la visibilità dell’occupazione e delle opere relative, hanno impugnato il
provvedimento a distanza di 9 mesi dalla installazione della pedana e dei
tavoli, dopo aver esercitato, in data 7 febbraio 2011, accesso agli atti e,
quindi, allorché era inesorabilmente decorso il termine per impugnare.
L’assunto di parte appellante è fondato.
6.1- Il TAR del Lazio ha respinto la suddetta
eccezione affermando, che “ai fini dell’individuazione della decorrenza del
termine di decadenza per l’impugnazione, occorre che sussistano i due elementi
della lesività e dell’illegittimità del provvedimento, con la conseguenza che
la piena conoscenza dell’atto amministrativo, idonea a far decorrere il detto
termine, esige anche la consapevolezza della portata lesiva dell’atto stesso e
cioè dei vizi del provvedimento stesso che lo rendono non solo incidente nella
sua sfera giuridica ma anche lesivo della stessa: peraltro, il ricorrente, se
propone il ricorso oltre i sessanta giorni, deve soltanto provare che entro
tali termini i vizi dedotti non erano conoscibili, incombendo
all’amministrazione convenuta di dimostrare il contrario…E’ soltanto con il
ritiro della nota dell’amministrazione del 4 febbraio 2011 che gli interessati
hanno avuto piena contezza dell’esistenza del provvedimento impugnato”.
6.2- Tale prospettazione non è applicabile al caso in
esame, in cui sussistono profili materiali esteriormente percettibili, tali da
offrire immediata contezza del fatto asseritamente illegittimo e della sua
lesività per gli interessi azionati dai ricorrenti.
Invero, è incontestato che:
a) la concessione di suolo pubblico è stata rilasciata
in data 17 febbraio 2010;
b) il provvedimento è stato affisso all’interno del
locale;
b) la società ha allestito lo spazio pubblico
concesso, mediante installazione di apposita pedana, tavolini e ombrelloni sin
dall’inizio del mese di luglio 2010, periodo in cui l’attività di ristorazione
è stata esercitata anche all’aperto, nello spazio delimitato dalla pedana.
Esistevano, dunque, manifestazioni di fatto
dall’indubbio significato, sicché gli abitanti della zona circostante erano
pienamente a conoscenza della disposta occupazione di suolo pubblico.
Peraltro, sono gli stessi ricorrenti ad affermare
negli atti di giudizio, di aver avuto tempestiva, diretta e immediata
conoscenza dell’occupazione del suolo pubblico da parte dell’esercizio
commerciale.
Essi hanno dichiarato, infatti, di essere proprietari
o residenti nel Rione Monti, in via Ciancaleoni o in via Capocci o in
prossimità delle medesime e di aver constatato che in via Ciancaleoni, di
fronte alla celebre scalinata, “la società che gestisce il ristorante “Il
Tettarello” aveva collocato in adiacenza al muro perimetrale del fabbricato una
pedana, destinata ad ovviare alla pendenza della stradina, corredata di tavoli
ed ombrelloni per fornire pranzi e cene all’aperto, la cui somministrazione è
stata di fatto avviata nel medesimo mese”.
Hanno dichiarato, altresì, di aver riscontrato
l’alterazione di uno degli scorci più suggestivi del Rione Monti, compreso,
nella zona urbanistica classificata dall’Unesco come patrimonio dell’umanità,
nonché lo stato pregiudizievole per il decoro urbano determinato da bottiglie
vuote, cicche di sigarette e quant’altro lasciati a ridosso della pedana e sul
manto stradale dagli avventori del punto di ristoro gestito dall’appellante.
I ricorrenti, dunque, erano perfettamente a conoscenza
della occupazione di suolo pubblico da parte del gestore del “Tettarello” e ben
potevano prendere visione anche del provvedimento di concessione di suolo
pubblico esposto nel locale ai sensi del regolamento comunale Cosap, come forma
di pubblicità.
Ne consegue che era loro onere impugnare l’atto nel
rispetto dell’usuale termine di sessanta giorni dalla conoscenza, che non v’è
motivo di traslare alla data di rilascio degli atti da parte dell’amministrazione
comunale in esecuzione dell’istanza di accesso.
Il ricorso notificato nove mesi dopo il suddetto
termine è incontestabilmente tardivo: ne consegue l’irricevibilità.
Va rammentato che nel processo amministrativo, la
decorrenza del termine per impugnare si verifica con la piena conoscenza
dell’esistenza dell’atto o dell’attività lesiva, mentre l’eventuale e
successiva acquisizione del contenuto integrale degli atti e del relativo
procedimento legittima solo la proposizione di motivi aggiunti (cfr. per tutte,
Cons. Stato, sez. VI, 20 gennaio 2009, n. 262).
D’altra parte i ricorrenti miravano a contestare in
radice che potesse essere legittimamente rilasciato un provvedimento di
occupazione di suolo pubblico nella zona, come appare chiaro anche dai vizi
dedotti con il ricorso introduttivo, sicché la conoscenza degli atti non era
necessaria al fine di proporre il ricorso.
6.2- Non può condividersi, in conseguenza, quanto affermato
dal giudice di primo grado, secondo il quale, il termine di impugnazione
decorre dal giorno della consegna degli atti richiesti con domanda di accesso.
Trattasi, invero, di impostazione, in via di
principio, non coerente con le norme processuali in materia, che fissano
termini perentori per l’impugnazione degli atti amministrativi.
D’altra parte, seguendo tale impostazione, i termini
sarebbero rimessi al mero arbitrio dell’interessato, non sempre solerte
nell’esercitare l’accesso agli atti, con la conseguenza di una dilatazione dei
termini in contrasto con i principi di certezza del diritto e di affidamento.
Se è vero, infatti, che ai fini della decorrenza del
termine di impugnazione occorre la conoscenza piena del provvedimento causativo
della lesione, è anche vero che la tutela dell’amministrato non può ritenersi
operante ogni oltre limite temporale ed in base ad elementi puramente
esteriori, formali o estemporanei, quali atti di iniziativa di parte (richieste
di accesso, istanze, segnalazioni, ecc.) di modo che l’attività
dell’amministrazione e le iniziative dei controinteressati siano soggette
indefinitivamente o per tempi dilatati alla possibilità di impugnazione, anche
quando l’interessato non si renda parte diligente nel far valere la pretesa entro
i limiti temporali assicuratigli dalla legge (Cons. Stato, sez. VI, 12 giugno
2009, n. 3730; IV, 5 marzo 2010, n. 1298).
6.3- La irricevibilità del ricorso introduttivo
travolge anche il ricorso per motivi aggiunti, in disparte l’autonoma tardività
anche delle censure con esso dedotte ed in particolare, di quella relativa alla
presunta carenza del parere della Soprintendenza su cui si fonda la decisione
di accoglimento del TAR.
Il parere della Soprintendenza, infatti, è riportato
per esteso nella determina dirigenziale n. 261 del 2010 di concessione di suolo
pubblico rilasciata alla società G.A.N.A., con l’ulteriore prescrizione circa
l’assoggettamento a procedimento di adeguamento alle specifiche indicate nel
Piano di Massima Occupabilità, ove approvato.
Ne consegue la conoscenza di tale parere sin dal 4
febbraio 2011, data di ritiro da parte dei ricorrenti della determinazione
dirigenziale n. 261 del 2010, laddove la relativa censura è stata dedotta solo
con motivi aggiunti notificati il 1° giugno 2011.
Invero, dalla determina dirigenziale n. 261 del 2010
apparivano chiarissimi i termini della questione, cioè la posizione della
S.B.A.P. e quella in concreto assunta dal Comune.
6.4- Quanto al merito, è veramente discutibile che
possa assimilarsi alla mancata acquisizione di parere il parere soprassessorio
rilasciato dalla Soprintendenza, in disparte che, trattandosi di parere
obbligatorio e non già vincolante, l’amministrazione attiva poteva da esso
discostarsi.
Nel caso, l’amministrazione a fronte della soprassessoria
della Soprintendenza, si è in un certo senso adeguata, rinviando a momento
successivo all’approvazione del c.d. “piano di massima occupabilità” la
rivisitazione della concessione di suolo pubblico, non ritenendo allo stato che
la mancanza di tale piano fosse di per sé ostativa all’occupazione temporanea
di suolo pubblico e che vi fossero motivi ostativi di altra natura non essendo
stati evidenziati dalla Soprintendenza.
6.5- Strettamente correlata al profilo esaminato
relativo alla tardiva proposizione del ricorso è l’eccezione di difetto di
legittimazione attiva dei ricorrenti e di carenza di interesse dei ricorrenti.
Tale eccezione sollevata dal Comune e dall’attuale
appellante nel giudizio di primo grado, respinta dal TAR, è stata dedotta dalla
società appellante nell’atto di appello.
Assume la società appellante che i ricorrenti di primo
grado non hanno fornito alcuna prova in ordine alla legittimazione e
all’interesse all’impugnazione della concessione di suolo pubblico in suo
favore, dando luogo ad una sorta di azione popolare, non consentita nella
materia de qua.
Orbene, la legittimazione a ricorrere avverso atti
concessori di beni pubblici va individuata applicando il criterio dello
“stabile collegamento” tra il ricorrente e la zona interessata dall’attività
assentita dal titolo assertivamente illegittimo.
Il che presuppone perlomeno la stabile frequentazione
della zona interessata dall’intervento o dall’opera, per avervi la propria
abitazione o attività.
Nel caso in esame nemmeno dagli atti depositati in
giudizio in sede di appello (produzione, peraltro, inammissibile in base
all’art. 104, comma 2, del c.p.a.) è stata fornita prova certa in ordine alla
legittimazione al ricorso dei ricorrenti, i quali risultano avere la residenza
in diverse strade del quartiere Monti e non già nella via dè Ciancaleoni o
nella via Capocci.
Quanto al sig. Gianluca Rossi, lo stabile collegamento
è stato desunto dalla mera dichiarazione di avere la propria abitazione in via
Ciancaleoni n. 48, e su questa si è focalizzata l’attenzione del TAR.
Tale sede non risulta, tuttavia, corrispondere alla
residenza. Né può ritenersi avvalorata dall’atto di compravendita depositato in
giudizio, che non prova l’attuale abitazione dello stesso e la lesione
dell’interesse da esso fatto valere, ad una maggiore fruibilità della strada,
dell’igiene e della quiete notturna che presuppongono la frequentazione della
zona e non già la titolarità di diritti reali, in disparte che tali interessi,
ove effettivamente lesi, ben possono trovare tutela in sedi diverse e con
modalità più efficaci.
Invero, i tempi dilatati per la proposizione del
ricorso e la mancanza di prova circa lo stabile collegamento con la strada
interessata dall’occupazione, seppure inteso come “stabile ubicazione delle aspirazioni
di vita dei cittadini” fanno fortemente dubitare che effettivamente esistano
nel caso i presupposti che radicano la legittimazione dei ricorrenti
all’impugnazione del provvedimento di concessione di suolo pubblico.
6.6. Quanto ai motivi del ricorso introduttivo,
assorbiti dal TAR e riproposti dagli appellati, essi non possono essere
esaminati, attesa l’irricevibilità del ricorso introduttivo, con il quale sono
stati dedotti.
7- E’ invece, infondato, il vizio di difetto di
istruttoria, dedotto con ricorso per motivi aggiunti, assorbito dal TAR e
riproposto nel giudizio di appello.
Con questo motivo, i ricorrenti di primo grado
assumevano che la decisione dell’amministrazione si sarebbe basata sull’errata
qualificazione della strada pubblica interessata (“…strada interdetta alla
circolazione veicolare da scalinata”), nel mentre mancherebbe segnaletica che
interdica la circolazione e la sosta dei veicoli.
La censura è infondata in fatto, atteso che la strada
di cui trattasi, terminando con una scalinata, è effettivamente interdetta al
traffico veicolare.
Potrebbe sostenersi l’illegittimità della segnaletica
perché inadeguata e carente, ma giammai può dedursi dalla carente segnaletica
che la strada è idonea al traffico veicolare.
6.8- Per i motivi esposti, l’appello deve essere
accolto e, per l’effetto, la sentenza di primo grado deve essere riformata, con
declaratoria di irricevibilità e infondatezza del ricorso di primo grado e dei
motivi aggiunti.
La natura della controversia consente la compensazione
tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quinta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in
epigrafe proposto, accoglie l 'appello e, per l'effetto, in riforma della
sentenza appellata, dichiara in parte irricevibile e per il resto respinge il
ricorso di primo grado.
Compensa le spese di entrambi i gradi del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 31 luglio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Marzio Branca, Presidente
Manfredo Atzeni, Consigliere
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere
Doris Durante, Consigliere, Estensore
Nicola Gaviano, Consigliere
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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