giovedì 1 agosto 2013

PROCESSO: sindacato intrinseco "debole" o "forte" sui provvedimenti delle "Authorities"? "Nihil novi sub sole" (Cons. St., Sez. III, sentenza 2 aprile 2013 n. 1856).


PROCESSO: 
 sindacato intrinseco "debole" o "forte" 
sui provvedimenti delle "Authorities"? 
"Nihil novi sub sole"
(Cons. St., Sez. III, sentenza 2 aprile 2013 n. 1856)


La sentenza amministrativa più lunga che abbia mai letto... 
Poi chiedono la sinteticità degli scritti difensivi agli avvocati ex art. 1 C.p.A.,
(massimo 20 pagine, dice proprio il Consiglio di Stato). 
Poi quanto a chiarezza...
Buona lettura!
FF


Massima

1.  Come noto, dopo un’iniziale autolimitazione del proprio scrutinio al solo profilo estrinseco dell’iter logico seguito dalla p.a. nella motivazione del provvedimento, ha riconosciuto successivamente la possibilità di un sindacato intrinseco sulla c.d. discrezionalità tecnica, al fine di vagliare la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto dall’amministrazione.
A questo approdo ermeneutico la giurisprudenza è giunta sulla base del dato obiettivo, difficilmente contestabile, che la p.a., anche nell’accertamento di fatti complessi alla stregua di “concetti giuridici indeterminati” (cd. unbestimmte Rechtsbegriffe) o di “regole tecnico-scientifiche opinabili”, debba ispirarsi ad un rigore metodologico e ad una coerenza applicativa che non possono non essere suscettibili di verifica e di controllo da parte del giudice amministrativo, nel loro intrinseco svolgimento, al fine di evitare che la discrezionalità tecnica trasmodi in arbitrio specialistico.
Anche materie o discipline connotate da un forte tecnicismo settoriale, infatti, sono rette da regole e principi che, per quanto “elastiche” o “opinabili”, sono pur sempre improntate ad una intrinseca logicità e ad un’intima coerenza, alla quale anche la p.a., al pari e, anzi, più di ogni altro soggetto dell’ordinamento in ragione dell’interesse pubblico affidato alla sua cura, non può sottrarsi senza sconfinare nell’errore e, per il vizio che ne consegue, nell’eccesso di potere.
Il giudice amministrativo, quindi, deve poter sempre verificare, anche mediante l’ausilio della C.T.U., se la p.a. abbia fatto buon governo delle regole tecniche e dei procedimenti applicativi che essa ha deciso.
2.  Fermo questo presupposto, che può dirsi ormai un dato di ius receptum, gli interpreti si sono poi interrogati e divisi sull’intensità di questo sindacato intrinseco, se, cioè, debba essere “forte”, sino al punto che il giudice pervenga a sostituire la propria all’erronea valutazione tecnica della p.a., come ha sostenuto una parte della dottrina, o sia invece “debole”, nella misura in cui impedisca un potere sostitutivo del giudice, tale da sovrapporre la propria valutazione tecnica opinabile o il proprio modello logico di attuazione del “concetto indeterminato” all’operato dell’Autorità, potendo questi solo verificare la logicità, la congruità, la ragionevolezza e l’adeguatezza del provvedimento e della sua motivazione, la regolarità del procedimento e la completezza dell’istruttoria, l’esistenza e l’esattezza dei presupposti di fatto posti a fondamento della deliberazione, secondo un orientamento che questo Consiglio ha avuto modo di esprimere in diversi arresti.
3.  Più di recente, con riferimento, ad esempio, ai provvedimenti dell’Autorità Antitrust, la giurisprudenza di questo Consiglio, nel tentativo di superare l’angusta e, per certi versi, riduttiva contrapposizione sindacato forte-debole, si è attestata su una linea ermeneutica secondo la quale ciò che rileva non è tanto la qualificazione del controllo come “forte” o “debole”, ma “l’esercizio di un sindacato comune a livello comunitario, in cui il principio di effettività della tutela giurisdizionale sia coniugato con la specificità di controversie, in cui è attribuito al giudice il compito non di esercitare un potere, ma di verificare – senza alcuna limitazione – se il potere a tal fine attribuito all’Autorità antitrust sia stato correttamente esercitato” (Cons. St., sez. VI, 20.2.2008, n. 595).
4.  La sterilità della rigida contrapposizione sindacato forte-sindacato debole, che rischia, per l’eccessiva astrattezza dei suoi schematismi, di smarrire il presupposto e il senso stesso del sindacato sulla discrezionalità tecnica, si avverte tanto più in una materia, come quella presente, che interseca la problematica, altrettanto spinosa, del potere regolatorio dell’Autorità amministrativa indipendente.
L’esigenza che questo pubblico potere, da taluni definito anche “atipico” o “acefalo”, sia ricondotto e sottostia, come ogni altro, ad un principio di legalità sostanziale, non trovando esso un’espressa copertura costituzionale e suscitando, quindi, non poche riserve in ordine al fondamento della sua legalità formale, impone al giudice amministrativo di assicurare che la legittimazione di tale potere rinvenga la sua fonte, al di là delle garanzie partecipative che agli operatori del settore sono attribuite, a livello procedimentale, nella fase della consultazione, proprio o almeno nella corretta e coerente applicazione delle regole che informano la materia sulla quale incide.
5.  Nella presente controversia  il controllo, invocato dall’appellante, sulla correttezza del modello economico in concreto applicato dal AGCOM sul piano regolatorio non mira, in alcun modo, a sostituire la valutazione del giudice a quella della competente Autorità, ma solo a verificare se tale modello, una volta adottato, sia stato coerente nei suoi sviluppi proprio alla luce delle finalità che la scelta regolatoria, nel suo complesso, mira a perseguire.
L’incoerente o incompleta applicazione di quel modello, ponendosi in contrasto con i principi che l’informano, può infatti frustare le stesse finalità che hanno giustificato la sua adozione, essendo indubbio che anche teorie o principi economici possano essere applicate ben al di là del loro margine di elasticità e opinabilità, con risultati non consentanei alle loro premesse e, dunque, erronei.


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8478 del 2012, proposto da:
Fastweb s.p.a., rappresentata e difesa dall’Avv. Andrea Guarino e dall’Avv. Cecilia Martelli, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Guarino in Roma, piazza Borghese, n. 3;
contro
Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, Ministero dello Sviluppo Economico, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
nei confronti di

Telecom Italia s.p.a., rappresentata e difesa dall’Avv. Mario Siragusa, dall’Avv. Francesco Cardarelli e dall’Avv. Filippo Lattanzi, con domicilio eletto presso l’Avv. Filippo Lattanzi in Roma, via Pierluigi da Palestrina, n. 47;
Vodafone Omnitel N.V., Fastweb Telecomunicazioni s.p.a.;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE III ter n. 06321/2012, resa tra le parti, concernente la determinazione dei prezzi dei servizi di accesso all’ingrosso alla rete fissa

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e di Ministero dello Sviluppo Economico e di Telecom Italia s.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 marzo 2013 il Cons. Massimiliano Noccelli e uditi per le parti l’Avv. Guarino, l’Avv. Martelli, l’Avv. Lattanzi e l’Avv. Siragusa e l’Avvocato dello Stato Santoro;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con atto di costituzione in giudizio in seguito ad opposizione a ricorso straordinario, proposto ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. 1199/1971, Fastweb s.p.a. (da qui in avanti, per brevità, Fastweb) impugnava in parte qua avanti al T.A.R. Lazio la delibera n. 731/09/CONS dell’Autorità Garante per le Comunicazioni (d’ora in poi, per brevità, AGCOM), recante la “Individuazione degli obblighi regolamentari cui sono soggette le imprese che detengono un significativo potere di mercato nei mercati dell’accesso alla rete fissa (mercati 1, 4 e 5 fra quelli individuati dalla raccomandazione 2007/789/CE)”.
Fastweb articolava tredici motivi di censura in relazione ai seguenti aspetti:
1) l’assenza di obblighi regolamentari d’accesso alla rete in fibra;
2) la determinazione circa la base dei costi;
3) la base di costo per la determinazione dei servizi bitstream naked e WLR;
4) i criteri applicativi del meccanismo del network cap;
5) il modello ingegneristico-contabile;
6) l’abolizione degli obblighi di controllo dei prezzi sul mercato retail;
7) la soppressione dell’obbligo di ribaltamento automatico delle offerte;
8) i criteri di verifica di predatorietà e di replicabilità delle offerte di Telecom Italia s.p.a.;
9) i meccanismi di controllo delle offerte c.d. in bundle;
10) la soppressione dell’obbligo di sottoporre a consultazione pubblica le modifiche dell’offerta di riferimento;
11) l’obbligo di assicurare la continuità elettrica;
12) la regolazione delle condizioni di accesso simmetrico a banda larga;
13) la co-locazione virtuale.
Con successivo e primo ricorso per motivi aggiunti Fastweb impugnava anche la delibera n. 121/10/CONS del 16.4.2010, recante la “Consultazione pubblica concernente la definizione di un modello di costo per la determinazione dei prezzi dei servizi di accesso all’ingrosso alla rete fissa di Telecom Italia s.p.a. ed al calcolo del valore del WACC ai sensi dell’art. 73 della delibera n. 731/09/CONS”, nella parte in cui fissava in trenta giorni il termine tassativo per la formulazione delle osservazioni da parte degli operatori alternativi, e la nota del 27.5.2010, con la quale veniva respinta l’istanza proposta da Fastweb e finalizzata ad ottenere la proroga del termine.
Fastweb deduceva, con un primo motivo, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 11 del d. lgs. 259/2003, dell’art. 9 della l. 241/90, della delibera AGCOM 23 dicembre 2003, n. 453, del Regolamento concernente la procedura di consultazione di cui all’art. 11 del d. lgs. 259/2003; la violazione degli artt. 6 e 7 della Dir. CE 21/02; la violazione delle regole che governano il giusto procedimento; la violazione delle istanze partecipative dei soggetti interessati; il difetto di istruttoria, e, con un secondo motivo, il difetto di motivazione, l’illegittimità, l’irragionevolezza e la contraddittorietà.
Con il secondo atto per motivi aggiunti Fastweb impugnava anche la delibera n. 578/10/CONS, recante la “Definizione di un modello di costo per la determinazione dei prezzi dei servizi di accesso all’ingrosso alla rete fissa di Telecom Italia s.p.a. ed al calcolo del valore del WACC ai sensi dell’art. 73 della delibera n. 731/09/CONS”, deducendo venti motivi relativi ai seguenti aspetti:
1) l’esiguo tempo lasciato a Fastweb e agli altri operatori, durante la fase di consultazione, in ordine ai costi di rete;
2) l’illegittimità dei criteri di fondo sulla base dei quali è stato costruito da AGCOM il modello BU-LRIC;
3) il riferimento ai dati di Telecom Italia s.p.a. per la costruzione del modello;
4) i costi delle infrastrutture civili;
5) la valorizzazione dei costi storici anziché di quelli correnti;
6) l’inattendibilità del campione prescelto da AGCOM;
7) la determinazione dei costi di rete;
8) i clusters utilizzati per la campionatura;
9) i dati utilizzati da AGCOM per determinare i costi delle infrastrutture civili;
10) l’erronea determinazione dei costi degli apparati;
11) il costo della manutenzione correttiva;
12) l’erronea determinazione del “tasso di guasto”;
13) la sovrastima del tasso di intervento rispetto al criterio di un operatore efficiente;
14) il calcolo del WACC;
15) la determinazione del prezzo dei servizi WLR e bitstream naked;
16) la differenziazione tra i prezzi dei servizi WLR residential e WLR business;
17) l’inserimento di canoni e contributi in un unico paniere;
18) i criteri relativi agli incrementi di prezzi;
19) il segnale “make or buy”;
20) gli eventuali vizi della delibera presupposta n. 14/09/CIR.
Nel giudizio di prime cure si costituivano sia AGCOM che Telecom Italia s.p.a. (da qui in avanti, per brevità, TI), contestando entrambe la fondatezza dei ricorsi ex adverso proposti avverso le delibere impugnate.
Il TAR Lazio, con la sentenza n. 6321 dell’11.7.2012, rigettava tutti i ricorsi proposti da Fastweb, ritenendo infondate le diverse censure mosse da questa alle citate delibere.
Avverso tale sentenza proponeva appello Fastweb, articolando i seguenti diciassette motivi:
1) l’illegittimità dei criteri di fondo sulla base dei quali è stato costruito da AGCOM il modello BU-LRIC;
2) la determinazione dei prezzi per i servizi WLR e bitstream naked;
3) i criteri applicativi del network cap con particolare riferimento all’inclusione di canoni e contributi nello stesso paniere;
4) la soppressione dell’obbligo di ribaltamento automatico, sul versante wholesale, delle offerte retail;
5) la verifica della proditorietà e della replicabilità delle offerte TI;
6) il controllo delle offerte in bundle;
7) la co-locazione virtuale;
8) l’inattendibilità del campione prescelto da AGCOM sotto due distinti profili;
9) i clusters, i parametri di determinazione dei costi dell’infrastruttura e i costi degli apparati;
10) il metodo di rilevazione dei costi di commercializzazione e di manutenzione;
11) il costo della manutenzione correttiva e il costo della manodopera;
12) il tasso di guasto;
13) la determinazione del WACC;
14) la distinzione dei prezzi per i servizi WLR residential e WLR business;
15) i parametri di qualità;
16) il segnale make or buy;
17) il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica.
Si costituivano, anche in fase di gravame, AGCOM e TI che, per parte loro, si opponevano all’accoglimento dell’appello, reiterando le proprie deduzioni in ordine alla infondatezza del ricorso originariamente proposto.
All’udienza pubblica del 15.3.2013 il Collegio, udita la discussione dei difensori, ha riservato la causa in decisione.

DIRITTO
1. L’appellante Fastweb, come accennato in premessa, ha impugnato le delibere n. 731/09/CONS e n. 578/10/CONS assumendo che AGCOM, nel determinare i prezzi da corrispondere a TI per la vendita dei servizi di accesso fisico e virtuale alla rete fissa, non avrebbe coerentemente sviluppato, per alcuni profili, il modello economico di costo dei medesimi servizi.
1.1. L’elevata complessità tecnica delle questioni da trattare preliminarmente impone, seppur con la sinteticità richiesta dall’art. 3, comma 2, c.p.a., un breve inquadramento della materia regolamentata dalla delibera oggetto di impugnativa.
1.2. Il mercato delle comunicazioni elettroniche vede, ancor oggi, la posizione dominante di Telecom Italia s.p.a., unica proprietaria della rete storica in rame.
L’AGCOM, Autorità regolatrice del settore, dopo aver accertato con delibera n. 314/09/CONS la sussistenza, in capo a TI, di una posizione dominante nei mercati dell’accesso, ha definito, con le successive delibere n. 731/09/CONS e n. 578/10/CONS, il regime applicabile ai c.d. servizi di accesso fisico (ULL) e virtuale (bitstream).
La delibera n. 578/10/CONS, impugnata avanti al T.A.R., reca la definizione di un modello di costo dei servizi di accesso all’ingrosso alla rete fissa di TI.
Affinché anche gli operatori economici alternativi a TI (di qui in avanti, per brevità, OLO, acronimo di other licensed operator) possano efficacemente competere con questa nella fornitura di servizi di comunicazioni elettroniche alla clientela finale (c.d. mercati retail), infatti, il legislatore europeo e, sulla sua scorta, l’AGCOM hanno dettato una disciplina del mercato delle comunicazioni elettroniche tesa ad evitare che il controllo dell’operatore dominante TI (c.d. incumbent) sulla infrastruttura storica, la rete in rame, sia un fattore preclusivo o, comunque, pregiudizievole per la concorrenza nei servizi di comunicazione nei mercati a valle.
Gli OLO, i quali non dispongono di tale rete di esclusiva proprietà di TI, si trovano nella necessità di ricorrere ai servizi che la stessa TI, in forza della regolamentazione europea e nazionale, è tenuta comunque ad offrire per connettere l’utente finale alla propria rete dorsale attraverso il c.d. ultimo miglio (c.d.local loop) e, cioè, quel tratto di rete costituito dal doppino in rame che corre al di sotto delle strade.
1.3. I servizi di accesso possono essere distinti nelle tre grandi categorie:
1) accesso disaggregato all’ultimo miglio, anche noto come unbundling del local loop (ULL);
2) accesso a larga banda all’ingrosso, anche noto come wholesale broadband access (WBA) o bitstream;
3) rivendita del canone all’ingrosso, conosciuto anche come wholesale line rental (WLR).
La normativa in materia persegue anche l’obiettivo di porre gli OLO nella condizione di svincolarsi dalla rete di TI e di creare una propria infrastruttura di comunicazione, pervenendo ad un modello concorrenziale che ha il suo perno nella moltiplicazione delle reti di accesso.
La storia della regolamentazione dei servizi di accesso a banda larga dal 1999 ad oggi mostra come la possibilità di disegnare un efficace quadro regolamentare dipenda da numerosi interventi necessari a promuovere gradualmente lo sviluppo del mercato caratterizzato da dinamiche sufficientemente competitive.
La strategia incentivante l’infrastrutturazione è sintetizzata dal principio “costruisci o acquista” (c.d. “make or buy”), il quale muove dall’esigenza di fornire agli OLO precisi segnali di mercato per consentire loro di muoversi con maggiore consapevolezza nelle proprie strategie aziendali o decidendo di appoggiarsi alla vecchia rete in rame di TI (strategia del buy) o preferendo invece, come l’AGCOM mostra di volere privilegiare, l’investimento nella costruzione di una propria rete in fibra (strategia del make), che costituisce il futuro dei sistemi di comunicazione elettronica.
Un simile obiettivo di lungo periodo richiede, però, che gli OLO possano ritagliarsi una “fetta” di mercato adeguata, fornendo servizi sempre più completi, moderni e convenienti alla clientela finale.
Quest’ultima deve, in tale prospettiva, formulare una domanda di tali servizi tale da indurre gli OLO ad un radicale investimento nei servizi infrastrutturati, sicché gli OLO trovino più conveniente risalire la scala degli investimenti (c.d. ladder of investment) e dotarsi di una rete autonoma da TI.
1.4. Nella scala degli investimenti i servizi WLR, WBA e ULL si pongono in un ordine crescente di infrastrutturazione.
Con il servizio WLR –wholesale rental – l’operatore alternativo che intenda offrire un servizio di fonia tradizionale ha la possibilità di acquistare all’ingrosso il servizio di rivendita del canone.
Il servizio WLR consente all’operatore economico, che non abbia ancora investito in ULL, di potersi presentare al cliente finale anche come “operatore di accesso”, così evitando che l’utente finale continui ad essere vincolato contrattualmente a TI.
I servizi WBA o bitstream consistono, a loro volta, nella fornitura di una capacità trasmissiva tra la postazione di un utente finale e il punto di presenza di un operatore alternativo interessato ad offrire il servizio a banda larga (come, ad esempio, quello xDSL) all’utente finale.
Il servizio in questione può essere offerto in due modalità:
- condivisa, allorché sulla stessa linea coesistono i servizi dell’operatore dominante, nel caso di specie TI, che fornisce il servizio voce sulla porzione di doppino dove viaggiano le basse frequenze, e quelli dell’operatore alternativo, che fornisce il servizio dati a banda larga sulla porzione di doppino ad alta frequenza, sicché si parla di “bitstream asimmetrico su linea condivisa”, essendo la linea attiva in quanto già utilizzata dall’utente finale di TI per il servizio voce;
naked (o su linea “dedicata”), quando l’operatore alternativo fornisca il solo servizio dati a banda larga, sicché si parla anche di “bitstream asimmetrico su linea dedicata”, su una linea, per il resto, non attiva in quanto non utilizzata già dall’utente per il servizio voce.
In cima alla scala degli investimenti si situa, infine, il servizio ULL, vero perno di un modello concorrenziale fondato sulla moltiplicazione delle reti di accesso.
Nel sistema di unbundling, dunque, l’elevata infrastrutturazione del servizio pone gli OLO in condizione di gestire l’utente finale, grazie all’accesso fisico all’ultimo tratto della rete di comunicazioni dell’operatore dominante, in uno stato di autonomia pressoché totale.
In particolare, per quanto concerne l’obbligo di controllo dei prezzi dei servizi di accesso all’ingrosso di unbundlingbitstream e WLR, l’AGCOM ha deciso di applicare un meccanismo di programmazione pluriennale del tipo network cap, che costituisce un sistema di controllo dei prezzi pluriennale nel quale, anno per anno, viene fissato il limite massimo del prezzo di determinati beni/servizi.
La variazione percentuale da un anno all’altro è determinata in base ad una formula matematica del tipo IPC – X, ove IPC è l’Indice della variazione dei Prezzi al Consumo ed X è il parametro scelto per determinare la variazione annua consentita dal prezzo di servizi considerati nel paniere oggetto di regolazione.
In tal modo, se si fissano opportunamente il valore iniziale del sistema di cap ed il parametro X di riduzione dei costi di produzione, è possibile garantire l’orientamento al costo del prezzo di servizio.
Tale meccanismo di orientamento al costo, che è centrale all’interno di tale modello prescelto dall’Autorità regolatrice, consente agli OLO di conoscere i anticipo i prezzi di partenza degli input dei servizi intermedi e di avere una previsione di lungo periodo sulla loro evoluzione media nei successivi tre anni.
È stato efficacemente osservato, in dottrina, come l’approccio regolamentare rispetto al mercato abbia subito una “rivoluzione copernicana” passando, per un periodo di transizione correlato alle necessarie tempistiche di attuazione del nuovo modello, da un approccio retail minus ad una metodologia di analisi orientata ai costi (c.d. cost based).
1.5. La delibera n. 731/09/CONS espressamente prevede che “rispetto all’orientamento al costo, il Network cap può, da un lato, costituire un incentivo per Telecom Italia all’incremento della propria efficienza produttiva e, dall’altro lato, assicurare maggiore certezza regolamentare agli operatori alternativi”.
Nelle linee fondamentali di tali previsioni, peraltro, l’AGCOM:
a) ha confermato l’adozione di un meccanismo di programmazione pluriennale per i servizi ULL;
b) ha introdotto un meccanismo di network cap, in sostituzione di quello di orientamento al costo previsto dalla precedente delibera n. 34/06/CONS, per i servizibitstream;
c) ha introdotto un meccanismo di network cap, in sostituzione del meccanismo del retail minus,previsto precedentemente dalla delibera n. 33/06/CONS per il servizio WLR e per il servizio bitstream naked.
1.6. L’AGCOM, perseguendo, come detto, la strategia di favorire l’infrastrutturazione degli OLO lungo la scala degli investimenti, ha ritenuto di dover definire i valori dei vincoli di variazione percentuale annuale dei prezzi dei servizi (e, cioè, i valori delle X da sottrarre all’indice dei prezzi al consumo) sulla base di un modello di costo a costi incrementali di lungo periodo (LRIC) di tipo bottom up (BU) relativo alla rete di accesso.
È questo il c.d. modello BU-LRIC.
Il modello BU-LRIC (bottom up – long run incremental cost) prescelto da AGCOM si caratterizza per la definizione dei prezzi di accesso sulla base non già dei costi storici, effettivamente sostenuti dall’impresa dominante, ma in funzione dei costi teorici riconducibili ad una sorta di rete ipotetica, una rete che, anche quando configurata con l’approccio di tipo scorched node (che tiene conto di alcuni dati dell’attuale configurazione di rete, come si legge nel § 18 della delibera n. 578/§/CONS), è concepita sempre come nuova ed efficiente e, dunque, connotata per una struttura di costi pienamente ottimizzata.
La delibera n. 578/10/CONS contiene il modello con il quale sono determinati i costi prospettici relativi alla fornitura dei servizi di accesso a TI per il triennio 2010-2012, valori dai quali vengono definiti, altresì, i valori delle variazioni percentuali dei panieri (vincoli di cap) necessari per l’applicazione del meccanismo dinetwork cap.
1.7. AGCOM ha ipotizzato la costruzione di una nuova ed efficiente rete di accesso in rame, tecnologia di riferimento in via quasi esclusiva nel triennio di riferimento, ed ha analizzato i principali elementi di costo per il modello LRIC costituiti dai costi unitari di rete, dai costi di manutenzione e dai costi commerciali, atteso che il modello bottom up non è puro, ma tiene conto della realtà sulla quale va ad incidere.
Un modello economico di tal genere conduce alla determinazione di un costo di rete automaticamente ottimizzato e, pertanto, alla definizione di prezzi per i terzi depurati dagli oneri impropri riconducibili alle inefficienze e alle rendite di posizione della rete storica dell’operatore dominante (c.d. incumbent).
Deve precisarsi che, per verificare se il valore di un dato servizio all’ingrosso sia o meno orientato ai costi, è necessario definire in modo corretto il perimetro di attività necessarie alla produzione di tale servizio.
1.8. Con specifico riferimento ai servizi ULL il costo è riconducibile alle seguenti tre voci.
1) costi di rete, che rappresentano la parte preponderante dei costi del servizio ULL: si tratta essenzialmente dei costi connessi allo scavo e alla posa nonché alla manutenzione straordinaria degli elementi infrastrutturali (come, ad esempio, il doppino) necessari per fornire i servizi di comunicazione elettronica – sia a voce che dati – nell’ultimo miglio, della rete di comunicazioni elettroniche;
2) costi di manutenzione correttiva, che rappresentano una parte significativa – seconda, per importanza, ai costi di rete – dei costi sottostanti alla fornitura del servizio ULL: si tratta dei costi connessi agli interventi tecnici effettuati sull’ultimo miglio a seguito della segnalazione del guasto ed essi vengono determinati, come stabilisce la direttiva n. 578/10/CONS, sulla base del costo orario della manodopera, del tempo impiegato per la risoluzione del guasto e del tasso di intervento, stimato dall’AGCOM nel 20,5%;
3) costi commerciali, che incidono per la parte residuale e che afferiscono alle attività svolte dalla divisione wholesale dell’operatore dominante per la commercializzazione dei servizi all’ingrosso.
In applicazione di tale metodologia, così sintetizzata, l’Autorità ha definito i seguenti valori del canone mensile ULL: 8,70 per il 2010, 9,02 per il 2011 e 9,28 per il 2012.
1.9. Con riferimento ai prezzi dei servizi WLR e bitstream naked, invece, l’Autorità regolatrice, nell’impugnata delibera n. 578/10/CONS, ha ritenuto di prendere le mosse dal precedente meccanismo del retail minus, ponendo quale punto di partenza, nel meccanismo sopra menzionato dei vincoli di cap, i prezzi richiesti da TI nel 2009 ai clienti finali.
Tale ibrida soluzione, pur adottata da AGCOM nella precisa consapevolezza che il sistema del retail minus, in prosieguo di tempo, debba essere gradualmente superato per lasciar posto all’integrale applicazione, anche a tali servizi, del meccanismo del network cap, è apparsa necessaria, secondo la delibera n. 578/10/CONS, per mantenere invariata la proporzione tra i prezzi dei servizi di accesso WLR e bitstream naked rispetto al canone del servizio ULL, sicché gli operatori alternativi dovrebbero essere incentivati, proprio da tale differenza di prezzo, ad investire in un servizio maggiormente infrastrutturato quale è, appunto, quello ULL.
Tali sono, in sintesi, le scelte operate dall’Autorità regolatrice per favorire la concorrenza ed incentivare l’infrastrutturazione nel settore delle comunicazioni elettroniche.
2. Dopo il breve inquadramento della materia trattata, necessaria premessa per una corretta disamina delle questioni portate all’attenzione di questo Consiglio, ritiene il Collegio doveroso precisare, pur sempre nella sinteticità prescritta dal codice di rito (art. 3, comma 2, c.p.a.), il fondamento e il limite del sindacato giurisdizionale sulla c.d. discrezionalità tecnica, soprattutto in un settore dell’ordinamento, come quello in esame, soggetto al potere regolatorio dell’Autorità indipendente.
Tale riflessione si impone ancor più, nel caso di specie, considerando che il ruolo e il confine di tale sindacato costituiscono lo sfondo e, insieme, il costante riferimento dell’apparato motivazionale della sentenza impugnata, riferimento, tuttavia, che rappresenta anch’esso ragione di accesa controversia tra le parti, quasi a voler proporre un’actio finium regundorum del complesso tema, e costituisce anzi specifico oggetto, come meglio si dirà nell’esame delle singole censure, del diciassettesimo motivo di appello proposto da Fastweb.
2.1. Sono sin troppo noti e, comunque, sin troppo articolati i termini del dibattito dottrinario e giurisprudenziale che si tramanda su tale vexata quaestio, ormai da anni, perché se ne possa, pur in una compendiosa esposizione, dar efficacemente ragguaglio in questa sede.
Qui basti solo rammentare che questo Consiglio, dopo un’iniziale autolimitazione del proprio scrutinio al solo profilo estrinseco dell’iter logico seguito dalla p.a. nella motivazione del provvedimento, ha riconosciuto successivamente la possibilità di un sindacato intrinseco sulla c.d. discrezionalità tecnica, al fine di vagliare la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto dall’amministrazione (Cons. St., sez. IV, 9.4.1999, n. 601).
A questo approdo ermeneutico la giurisprudenza è giunta sulla base del dato obiettivo, difficilmente contestabile, che la p.a., anche nell’accertamento di fatti complessi alla stregua di “concetti giuridici indeterminati” (cd. unbestimmte Rechtsbegriffe) o di “regole tecnico-scientifiche opinabili”, debba ispirarsi ad un rigore metodologico e ad una coerenza applicativa che non possono non essere suscettibili di verifica e di controllo da parte del giudice amministrativo, nel loro intrinseco svolgimento, al fine di evitare che la discrezionalità tecnica trasmodi in arbitrio specialistico.
Anche materie o discipline connotate da un forte tecnicismo settoriale, infatti, sono rette da regole e principi che, per quanto “elastiche” o “opinabili”, sono pur sempre improntate ad una intrinseca logicità e ad un’intima coerenza, alla quale anche la p.a., al pari e, anzi, più di ogni altro soggetto dell’ordinamento in ragione dell’interesse pubblico affidato alla sua cura, non può sottrarsi senza sconfinare nell’errore e, per il vizio che ne consegue, nell’eccesso di potere.
2.2. Il giudice amministrativo, quindi, deve poter sempre verificare, anche mediante l’ausilio della c.t.u., se la p.a. abbia fatto buon governo delle regole tecniche e dei procedimenti applicativi che essa ha deciso, nell’ambito della propria discrezionalità, di adottare per l’accertamento o la disciplina di fatti complessi e se la concreta applicazione di quelle regole a quei fatti, una volta che esse siano prescelte dalla p.a., avvenga iuxta propria principia.
2.3. Fermo questo presupposto, che può dirsi ormai un dato di ius receptum, gli interpreti si sono poi interrogati e divisi sull’intensità di questo sindacato intrinseco, se, cioè, debba essere “forte”, sino al punto che il giudice pervenga a sostituire la propria all’erronea valutazione tecnica della p.a., come ha sostenuto una parte della dottrina, o sia invece “debole”, nella misura in cui impedisca un potere sostitutivo del giudice, tale da sovrapporre la propria valutazione tecnica opinabile o il proprio modello logico di attuazione del “concetto indeterminato” all’operato dell’Autorità, potendo questi solo verificare la logicità, la congruità, la ragionevolezza e l’adeguatezza del provvedimento e della sua motivazione, la regolarità del procedimento e la completezza dell’istruttoria, l’esistenza e l’esattezza dei presupposti di fatto posti a fondamento della deliberazione, secondo un orientamento che questo Consiglio ha avuto modo di esprimere in diversi arresti (v., ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 21.3.2011, n. 1712).
2.4. Più di recente, con riferimento, ad esempio, ai provvedimenti dell’Autorità Antitrust, la giurisprudenza di questo Consiglio, nel tentativo di superare l’angusta e, per certi versi, riduttiva contrapposizione sindacato forte-debole, si è attestata su una linea ermeneutica secondo la quale ciò che rileva non è tanto la qualificazione del controllo come “forte” o “debole”, ma “l’esercizio di un sindacato comune a livello comunitario, in cui il principio di effettività della tutela giurisdizionale sia coniugato con la specificità di controversie, in cui è attribuito al giudice il compito non di esercitare un potere, ma di verificare – senza alcuna limitazione – se il potere a tal fine attribuito all’Autorità antitrust sia stato correttamente esercitato” (Cons. St., sez. VI, 20.2.2008, n. 595).
Questa giurisprudenza ha messo in rilievo come il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica, ben al di là di viete e stereotipe formule definitorie, sia effetto e, insieme, garanzia, a livello nazionale ed europeo, della legalità dell’azione amministrativa, sulla quale il giudice amministrativo, come ha chiarito anche la Corte Costituzionale nella sentenza n. 204/2004 e nella sentenza n. 191/2006, è chiamato ad esercitare il suo controllo quale “giudice naturale”.
2.5. La sterilità della rigida contrapposizione sindacato forte-sindacato debole, che rischia, per l’eccessiva astrattezza dei suoi schematismi, di smarrire il presupposto e il senso stesso del sindacato sulla discrezionalità tecnica, si avverte tanto più in una materia, come quella presente, che interseca la problematica, altrettanto spinosa, del potere regolatorio dell’Autorità amministrativa indipendente.
L’esigenza che questo pubblico potere, da taluni definito anche “atipico” o “acefalo”, sia ricondotto e sottostia, come ogni altro, ad un principio di legalità sostanziale, non trovando esso un’espressa copertura costituzionale e suscitando, quindi, non poche riserve in ordine al fondamento della sua legalità formale, impone al giudice amministrativo di assicurare che la legittimazione di tale potere rinvenga la sua fonte, al di là delle garanzie partecipative che agli operatori del settore sono attribuite, a livello procedimentale, nella fase della consultazione, proprio o almeno nella corretta e coerente applicazione delle regole che informano la materia sulla quale incide.
La correttezza, la coerenza, l’armonia delle regole in concreto utilizzate, il loro impiego da parte dell’Autorità iuxta propria principia, secondo, quindi, un’intrinseca razionalità, pur sul presupposto e nel contesto di scelte ampiamente discrezionali, garantiscono e, insieme, comprovano che quel settore dell’ordinamento non sia sottoposto all’esercizio di un potere “errante” e sconfinante nell’abuso o nell’arbitrio, con conseguenti squilibri, disparità di trattamento, ingiustizie sostanziali, anche e soprattutto nell’applicazione di principi o concetti che, proprio in quanto indeterminati ed elastici, in gran parte reggono, per la loro duttilità, ma condizionano fortemente, per la loro complessità, vasti e rilevanti settori sociali.
2.6. Il limite del sindacato giurisdizionale, al di là dell’ormai sclerotizzata antinomia forte/debole, deve attestarsi sulla linea di un controllo che, senza ingerirsi nelle scelte discrezionali della pubblica autorità, assicuri la legalità sostanziale del suo agire, per la sua intrinseca coerenza, anche e, vien fatto di dire, soprattutto in materie connotate da un elevato tecnicismo, per le quali vengano in rilievo poteri regolatori con i quali l’autorità detta, appunto, “le regole del gioco”.
Sono proprio queste brevi considerazioni, che riconducono direttamente al centro della problematica qui esaminata, a lumeggiare il senso e il limite del sindacato giurisdizionale sulla c.d. discrezionalità tecnica anche nella presente controversia, dove il controllo, invocato dall’appellante, sulla correttezza del modello economico in concreto applicato dal AGCOM sul piano regolatorio non mira, in alcun modo, a sostituire la valutazione del giudice a quella della competente Autorità, ma solo a verificare se tale modello, una volta adottato, sia stato coerente nei suoi sviluppi proprio alla luce delle finalità che la scelta regolatoria, nel suo complesso, mira a perseguire.
L’incoerente o incompleta applicazione di quel modello, ponendosi in contrasto con i principi che l’informano, può infatti frustare le stesse finalità che hanno giustificato la sua adozione, essendo indubbio che anche teorie o principi economici possano essere applicate ben al di là del loro margine di elasticità e opinabilità, con risultati non consentanei alle loro premesse e, dunque, erronei.
3. Venendo quindi all’esame, nel merito, delle censure sollevate da Fastweb, dopo aver doverosamente chiarito il senso e il limite del proprio sindacato giurisdizionale in subiecta materia, il Collegio deve ora soffermarsi sull’analisi dei singoli motivi dedotti dall’appellante e volti a dimostrare, appunto, che AGCOM non abbia applicato coerentemente, nelle impugnate delibere, il modello economico adottato per la regolamentazione del settore.
3.1. Con il primo motivo Fastweb censura la scelta dell’AGCOM di utilizzare i costi correnti per valorizzare l’onere delle opere civili dell’infrastruttura in rame, ritenendo che un modello a costi correnti e non a costi storici per le opere civili si allontani dalle condizioni di efficienza che AGCOM si propone di perseguire.
L’AGCOM muoverebbe, secondo la tesi dell’appellante, da un’ipotesi irrealistica, perché proprio l’impossibilità, per gli OLO, di replicare la rete in rame, stante l’inefficienza economica di tale scelta, avrebbe dovuto indurre l’Autorità a privilegiare il modello dei costi storici, essendo assurdo e paradossale che gli operatori siano chiamati a pagare i servizi di rete sulla scorta proprio di quei costi reputati insostenibili.
Il modello di rete preso in considerazione da AGCOM, peraltro, ricalcherebbe esattamente l’architettura di rete di TI, trascurando la possibilità di tecnologie alternative e prescindendo da qualsivoglia indagine circa l’efficienza dell’attuale configurazione della rete.
Tale parametrazione si porrebbe in netto contrasto con la metodologia BU-LRIC, che impone di calcolare i costi partendo dai dati relativi alla domanda e prescindendo completamente dalla situazione attuale.
L’utilizzo della rete reale di TI come dato di input fermo ed immutabile, in altri termini, snaturerebbe la logica bottom up alla quale si vorrebbe dare attuazione, anche perché la rete è stata costruita in condizioni di monopolio senza che dell’efficienza fosse necessario in alcun modo preoccuparsi.
Gli OLO si troverebbero, quindi, a pagare un prezzo di accesso alla rete in rame significativamente superiore ai costi effettivi di TI, dato che il modello ipotizza la costruzione di una rete ex novo, ma allo stesso tempo si troverebbero a pagare i canoni di accesso sulla base dei costi propri di una rete nuova, ma inefficiente al pari di quella realizzata molti anni orsono.
Il modello sarebbe stato inoltre inadeguato, secondo la tesi sostenuta da Fastweb, facendo esclusivo riferimento alle informazioni fornite da TI (§ 35 della delibera AGCOM n. 578/10/CONS).
Il modus procedendi dell’Autorità si porrebbe in conflitto, inoltre, con le indicazioni fornite dalla Commissione Europea, che aveva invitato l’Autorità ad utilizzare le informazioni provenienti dall’operatore dominante con particolare cautela, valutando i dati della TI solo a posteriori, come elemento di validazione dei risultati del modello.
Anche se si volesse condividere la decisione di utilizzare i costi correnti, osserva infine l’appellante, AGCOM avrebbe errato nel determinarli, omettendo di considerare i risparmi di spesa realizzabili attraverso la condivisione delle infrastrutture, espressamente contemplata dall’art. 12 della direttiva 21/02/CE.
Tale condivisione avrebbe condotto ad un risparmio che si aggira ad una cifra pari a 20 miliardi di euro.
3.2. L’AGCOM, nella propria memoria difensiva, ha osservato che l’approccio regolamentare seguito dall’Autorità, sin dalla delibera n. 731/09/CONS, è stato quello di fornire i corretti segnali make or buy, incentivando gli operatori ad investire nella realizzazione di reti di nuova generazione e, pertanto, in perfetta coerenza con tale approccio, è necessario che i prezzi dei servizi di accesso vengano definiti ipotizzando quanto costerebbe oggi, applicando la tecnologia attualmente disponibile, costruire ex novo una rete di accesso in rame.
L’Autorità ha quindi adottato come base di costo il CCA (current cost accounting), in quanto questa è l’unica scelta coerente con l’utilizzo di un modello di tipo BU-LRIC per la determinazione dei prezzi.
L’uso di costi storici HCA (hystorical cost accounting) in luogo di quelli correnti, adombrato dalla tesi dell’appellante, non avrebbe senso, in tale ottica, dato che si ricorre ad un modello prospettico di tipo bottom up: tale scelta è stata la più adottata dalle autorità regolatorie degli Stati aderenti all’Unione (circa il 64%).
Nemmeno è fondato, seconda l’appellata AGCOM, il timore che nel modello finiscano per confluire i costi comuni e non solo quelli specificamente riferibili al servizio che si intende regolamentare.
Nel modello sono stati considerati solo i costi efficienti riconducibili alla fornitura dei servizi di accesso.
Per quanto poi concerne l’adozione della rete TI come punto di riferimento per la costruzione del modello, oggetto di doglianza da parte di Fastweb, rileva l’appellata Autorità che essa ha utilizzato un approccio di tipo scorched node, in base al quale il numero e la posizione delle centrali locali “stadio di linea” sono assunti come dati e non modificabili.
Tale approccio è seguito da molti altri Stati in seno all’Unione e anche a livello internazionale.
La stessa Autorità avrebbe anche spiegato, nella delibera n. 578/10/CONS, che tale approccio, nel tenere conto della specificità della rete sulla quale sono erogati i servizi oggetto di regolamentazione, sarebbe quello che meglio si presta ad una riconciliazione con i dati dell’operatore qualificato.
3.3. Anche l’appellata TI ricorda per parte sua che, secondo l’organismo comune delle autorità nazionali di regolamentazione del settore dell’UE (“ANR”), “normalmente i modelli LRIC sono popolati con i dati CCA” e nel 2012 “la combinazione preferita è CCA e LR(A)IC”.
L’orientamento ai prezzi di accesso a tale rete ai valori di costo corrente CCA (o valori di rimpiazzo) espresso dal mercato renderebbe più omogenee le basi di costo rispetto alle nuove infrastrutture; consentirebbe così una più agevole comparazione dei costi di queste ultime e incentiverebbe gli operatori a investire nelle reti di nuova generazione, limitando il rischi di spiazzamento di tali investimenti dovuto alla ritrosia di potenziali clienti, attirati dai prezzi più bassi dell’accesso alla rete in rame.
Anche in relazione ai costi comuni, poi, TI osserva che l’art. 67 della delibera n. 731/09/CONS stabilisce che “l’attribuzione dei costi pertinenti ai diversi servizi avviene nel rispetto del principio di causalità, in base al quale ad ogni servizio sono allocati i costi sostenuti, direttamente o indirettamente, per la sua produzione”, precisando che “successivamente sono allocati a ciascun servizio i costi di commercializzazione ed i costi comuni” e che “i prospetti di dettaglio forniscono evidenza del criterio utilizzato per il recupero dei costi comuni e dell’incidenza di tali costi sul costo totale di ciascun servizio”.
Contrariamente a quanto sostiene l’appellante, inoltre, non sarebbe rispondente al vero che la rete di TI sia stata utilizzata come dato di input fermo e immodificabile, perché AGCOM, adottando un approccio scorched node, ha fatto sì riferimento alla rete in rame di TI, per evitare di determinare una configurazione di rete del tutto teorica, ma ha applicato numerose correzioni per renderla efficiente.
Il modello adottato da AGCOM, conformemente a quello più utilizzato dalle altre autorità regolatorie nazionali, non astrae del tutto dall’esistente realtà infrastrutturale, nell’intendo di garantire, come si legge nell’impugnata sentenza, “la costruzione di una rete che abbia un certo livello di aderenza alla realtà modellata”.
Anche la censura mossa all’esclusivo utilizzo, da parte di AGCOM, delle informazioni fornite da TI, sarebbe infondata, secondo l’appellata TI, perché AGCOM ha effettuato un’analisi accurata dei dati provenienti da TI e dagli altri operatori di servizi di accesso, discostandosi anche significativamente dai dati di TI in ordine, ad esempio, ai costi per le operazioni di disfacimento, di scavo e reinterro, che sono risultati essere superiori a quelli di un operatore efficiente.
L’Autorità, così facendo, non si sarebbe discostata dalle osservazioni della Commissione, la quale aveva raccomandato di introdurre nel modello BU-LRIC i dati derivati direttamente dalla contabilità dell’operatore storico con grande cautela.
Infine, sostiene ancora l’appellata TI, non avrebbe senso ipotizzare la condivisione delle infrastrutture esistenti, poiché ciò contraddice il presupposto del modello adottato, che mira ad individuare i valori di costo attuali di una rete di accesso in rame teorica, gestita da un operatore dominante e con caratteristiche di capillarità analoghe a quella di TI, benché più efficiente.
3.4. Il motivo di appello è infondato.
Bene ha rilevato la sentenza impugnata, sul punto, che la logica del modello prescelto è quella di incentivare gli operatori a procedere con investimenti infrastrutturali, sicché “è coerente con l’approccio prospettico proprio del modello BU-LRIC la valorizzazione degli elementi di costo correnti, ossia, quanto costerebbe oggi realizzare la rete in rame” (p. 18).
È proprio la logica di tale modello, adottato dall’Autorità, ad imporre infatti l’utilizzo dei costi correnti, posto che il modello muove dalla individuazione di una rete di accesso in rame teorica, gestita da un operatore dominante.
Il modello ipotizza, infatti, la costruzione di una rete in rame, a costi attuali, che sia nuova ed efficiente.
Se si muovesse, come pretende l’appellante, da un diverso approccio, privilegiando l’utilizzo dei costi storici, gli OLO non sarebbero incentivati all’infrastrutturazione, dato che sarebbe certamente più difficile costruire reti in fibra che competano con reti parallele di rame più economiche.
In altri termini gli OLO non sarebbero incoraggiati a risalire i gradini della scala e a investire nelle reti di nuova generazione, sapendo di fare affidamento su costi più bassi, perché determinati sulla rete storica, tanto che la stessa Commissione, come già sottolineato dal giudice di prime cure, ha chiarito che “il mero calcolo delle attività a costo storico, pur se adeguato all’inflazione, può generare segnali di investimento erronei sia per i fornitori d’accesso sia per operatori alternativi richiedenti servizi di accesso” (lettera della Commissione in data 21.10.2010, SG-Greffe (2010) D/16578, sez. III, p. 7).
Inoltre anche la base di costo CCA utilizzata per il contestato modello BU-LRIC tiene conto dei costi storici di TI con riguardo alle infrastrutture civili, al fine di verificare la robustezza delle stime del modello stesso (§§ 33-34 della delibera n. 578/10/CONS).
Come ha osservato la difesa di TI in merito ai costi comuni, inoltre, l’art. 67 della delibera n. 731/09/CONS stabilisce che “l’attribuzione dei costi pertinenti ai diversi servizi avviene nel rispetto del principio di causalità, in base al quale ad ogni servizio sono allocati i costi sostenuti, direttamente o indirettamente, per la sua produzione”, precisando che “successivamente sono allocati a ciascun servizio i costi di commercializzazione ed i costi comuni” e che “i prospetti di dettaglio forniscono evidenza del criterio utilizzato per il recupero dei costi comuni e dell’incidenza di tali costi sul costo totale di ciascun servizio”.
AGCOM non si è poi appiattita, come sostiene l’appellante, sulle informazioni fornite da TI, ma ha sottoposto a verifica i dati provenienti da TI e da altri operatori del settore (listini, prezziari), discostandosene quando ha ritenuto che essi non fossero conformi ai costi sostenibili da un operatore efficiente.
La Commissione, nell’osservare che i modelli LRIC sono perlopiù basati su dati derivanti dalla contabilità dei gestori dominanti, ha fatto rilevare che “i regolatori possono conciliare i risultati di un modello bottom up con quelli dell’approccio top-down, a condizione che tale esercizio sia destinato a verificare e a migliorare la solidità dei risultati del modello bottom up”.
3.5. È del tutto illogica e contraddittoria, poi, la censura dell’appellante relativa alla condivisione della rete, posto che il modello economico si fonda proprio sui costi attuali di una rete in rame teorica, costruita da un operatore dominante, sicché la condivisione delle infrastrutture è un’ipotesi che contraddice e mina alle fondamenta del modello, non potendo negarsi che l’esclusività della rete e la validità del modello si compenetrino a tal punto che simul stabunt, simul cadent.
Più in generale il motivo di appello rivela un’intima contraddittorietà laddove, pur non contestando in linea di principio l’adozione del modello teorico BU-LRIC, mira a censurarne poi le logiche conseguenze e necessarie applicazioni date dall’AGCOM, volendo introdurre dati storici che ne snaturano completamente la funzione.
In tale prospettiva merita, comunque, solo parziale condivisione, quanto meno nella conclusione alla quale perviene, anche il rilievo del giudice di prime cure che, pur alludendo, certo in senso atecnico e improprio, alla natura di atto “complesso” della delibera n. 731/09/CONS (p. 19 della sentenza) e volendo significare,rectius et stricto sensu, il carattere “composito” di tale delibera, recante disposizioni generali e, insieme, puntuali, ha osservato che la valenza programmatica di tale scelta rende la censura, per altro profilo, anche inammissibile per la ritenuta assenza di una concreta ed immediata lesione nella sfera giuridica dei destinatari.
Se è indubbia la natura programmatica di tale scelta, per il modo generale e astratto con il quale è concepita dalla delibera n. 731/09/CONS, è altrettanto certo, per converso, che essa abbia trovato inveramento ed attuazione nella delibera n. 578/10/CONS, che è stata comunque impugnata da Fastweb, la quale nel secondo ricorso per motivi aggiunti, nel XX motivo, ha dedotto tutti i profili di illegittimità di questa seconda delibera derivata da eventuali vizi della prima delibera, sicché non può negarsi che una diretta e concreta lesione della sfera giuridica dell’appellante, sul piano dell’interesse ad agire, possa configurarsi nella misura in cui l’Autorità vi abbia dato attuazione.
Il motivo si rivela semmai inammissibile, con ciò dovendosi condividere la sola conclusione al quale è giunto il T.A.R., nella parte in cui intende sostituire una propria unilaterale visione del modello economico a quello adottato dall’Autorità, con ciò proponendo e invocando un sindacato sulle scelte, queste sì, ampiamente discrezionali dell’Autorità nella regolazione del settore.
3.6. Erra infine l’appellante quando, travisando il senso delle argomentazioni contenute nella sentenza del T.A.R., afferma che i corretti segnali make or buydovrebbero consistere solo nell’individuazione di un livello di prezzo tale da spingere gli operatori ad acquistare quei servizi di accesso che consentono loro un maggior grado di autonomia dall’operatore dominante.
Questo è, infatti, solo il penultimo gradino della scala negli investimenti, salendo il quale gli operatori dovrebbero essere messi in grado, come meglio si dirà, di poter creare una propria rete in fibra.
L’adozione del modello BU-LRIC, che presuppone la non replicabilità della rete in rame, si fonda dunque sui costi correnti perché, come detto, vuole incentivare gli OLO a risalire la scala sino ad investire nelle reti in fibra, ciò che non potrebbe accadere facilmente se si facesse riferimento ai costi storici.
4. Con il secondo motivo di censura Fastweb lamenta che AGCOM, pur avendo premesso di voler applicare un metodo omogeneo di determinazione dei prezzi, ha stabilito poi contraddittoriamente la base di partenza del network cap, sia per i servizi bitstream naked che per quelli WLR, secondo il criterio del retail minus, non orientato al costo, e consistente nell’abbattimento del prezzo praticato al pubblico da parte di TI di una percentuale forfetaria.
AGCOM ha insomma applicato i valori di aumento del servizio ULL, derivanti dal modello BU-LRIC, ai prezzi iniziali, non orientati al costo, di entrambi i servizi, comportando, quindi, un ulteriore aumento senza alcun nesso con i costi sottostanti.
4.1. Deduce l’appellante che, nelle more del giudizio, è intervenuta la delibera AGCOM n. 248/12/CONS, con la quale appunto l’Autorità ha appurato e riconosciuto che il canone WLR è stato calcolato con modalità che lo rendono eccessivamente oneroso, come comproverebbe l’andamento del mercato wholesale, che ha registrato un tasso assai elevato di abbandono in ordine a tali servizi WLR, riconnesso all’ingiustificato aumento del canone (§ D24, del. n. 248/12/CONS).
La situazione dei canoni WLR si atteggerebbe in un modo tale da pregiudicare le condizioni di mercato favorevoli alla risalita degli OLO nella scala degli investimenti c.d. infrastrutturati.
4.2. L’AGCOM, nella sua memoria difensiva, ha contestato i motivi di censura sollevati da Fastweb s.p.a., osservando che la tesi secondo cui la metodologia di calcolo del retail minus possa risultare foriera di inefficienze, per quanto condivisibile sul piano teorico, non può essere validamente applicata al caso di specie.
L’appellante, secondo AGCOM, se ha da un lato evidenziato che la regolamentazione previgente alla delibera n. 731/09/CONS prevedeva un controllo dei prezzi dei servizi naked basato sul retail minus, avrebbe però colpevolmente trascurato che la medesima delibera aveva nel contempo previsto, per TI, un obbligo dei controllo dei prezzi al dettaglio, che impediva di fatto all’operatore dominante di attuare i comportamenti anticompetitivi prospettati nel ricorso.
Occorrerebbe evidenziare, in quest’ottica, che il valore del minus è stato fissato per la prima volta nella delibera 249/07/CONS tenendo conto anche dei costi e nel rispetto della scala degli investimenti, come peraltro precisato al punto 218 della delibera n. 578/10/CONS.
Il prezzo naked è stato quindi costruito partendo dal prezzo dell’accesso al dettaglio di TI, al quale sono stati poi sottratti determinati costi “evitabili”, non riferibili al servizio naked.
Secondo l’appellata AGCOM, quindi, il prezzo sarebbe risultato del tutto disgiunto dai costi, con evidenti rischi di comportamenti anticompetitivi di TI, solo nel caso in cui non fosse stato imposto alcun obbligo di controllo dei propri prezzi del canone retail e se l’operatore dominante avesse potuto liberamente fissare tale canone.
In realtà, per gli anni 2006 e 2007, TI non ha potuto fissare in maniera arbitraria il prezzo del canone retail, perché vigeva un controllo dei prezzi basato sul price cap.
Il valore del price cap era stato fissato dall’Autorità nella delibera n. 33/06/CONS tenendo conto dei costi sottostanti e tutti gli OLO si erano mostrati concordi con tale valutazione.
Per gli anni 2008 e 2009, invece, pur in assenza di uno specifico price cap, vigeva l’obbligo di TI di sottoporre al vaglio dell’AGCOM qualsiasi propria determinazione di variazione del canone di accesso retail.
La regolamentazione precedente, pur avendo quindi stabilito un meccanismo di tipo retail minus per il servizio naked, aveva comunque introdotto alcuni significativi accorgimenti, che impedivano di fatto all’operatore dominante di porre in essere i comportamenti anticompetitivi paventati dalla ricorrente.
Con la delibera n. 731/09/CONS l’Autorità, allorquando ha deciso di non imporre più a TI un obbligo di controllo dei prezzi nel mercato al dettaglio dei servizi di accesso telefonico e di consentirle una maggiore libertà di variazione del canone di accesso telefonico per la sua clientela finale, ha anche opportunamente deciso di abbandonare il meccanismo del retail minus per i servizi naked a favore di un price cap, allineando di fatto la metodologia di controllo dei prezzi per tutti i servizi all’ingrosso di TI.
Sostiene AGCOM che quand’anche il prezzo pagato dall’utente finale, a causa della suddetta rimozione dell’obbligo di controllo dei prezzi, dovesse cambiare per effetto delle scelte finali dell’operatore dominante, il prezzo del servizio bitstream naked non muterebbe, in quanto fissato a priori nell’ambito del meccanismo del network cap.
4.3. L’appellata osserva, altresì, che la scelta nella metodologia da utilizzare per la determinazione dei prezzi dei servizi di accesso all’ingrosso per gli anni 2010-2012 costituirebbe il risultato di una ponderazione molto complessa, frutto di discrezionalità tecnica, e mirante a fornire corretti incentivi agli OLO per risalire la scala degli investimenti.
L’Autorità ha ritenuto opportuno che i prezzi dei servizi di accesso dovessero mutare gradualmente nel corso del tempo in modo da distribuire nel tempo gli effetti della variazione della metodologia di pricing adottata dall’Autorità.
Si sarebbe in questo modo definito un percorso di avvicinamento graduale al prezzo del canone di unbundling determinato dal modello di network cap per l’anno 2012, partendo dai prezzi in vigore per l’anno 2009 e mantenendo invariata la proporzione tra i prezzi dei servizi WLR e bitstream naked rispetto al servizio ULL.
È evidente infatti, secondo l’appellata, che in questo modo sarebbe possibile continuare a promuovere in primis la diffusione dei servizi di unbundling che, come anche riconosciuto dalla Commissione Europea in diverse occasioni, sono gli unici a poter garantire una vera competizione basata sulle infrastrutture per i servizi su rete in rame.
In una metodologia di tipo prospettico, così modellata, non rileverebbero i prezzi di partenza per l’applicazione del network cap, quanto piuttosto i valori dei prezzi al 2012 e la giusta proporzione tra gli stessi.
4.4. AGCOM avrebbe poi riscontrato anche il rilievo della Commissione in merito al paventato rischio che un aumento dei prezzi del servizio WLR “potrebbe tuttavia ostacolare gli investimenti degli operatori alternativi o addirittura scoraggiare questi ultimi dal concorrete con TI proprio nelle zone in cui i servizi ULL non sono ancora disponibili”.
Nel § 299 della delibera, infatti, AGCOM ha sottolineato che TI ha l’obbligo di fornire il servizio WLR presso le centrali non aperte all’ULL e i servizi ULL, a loro volta, presso qualsiasi centrale per la quale venga fatta richiesta da parte di un OLO.
Alla luce di ciò l’AGCOM avrebbe chiarito che, nell’ipotesi in cui i prezzi dei servizi WLR non fossero opportunamente proporzionati rispetto a quelli dei servizi ULL, si rischierebbe di disincentivare gli OLO dal richiedere l’estensione della copertura delle aree aperte ai servizi di ULL, che sono gli unici in grado di permettere una effettiva competizione infrastrutturale.
Nel § 300 della impugnata n. 578/10/CONS si legge che “su un piano più generale l’eventuale adozione (paventata) degli incentivi per gli operatori alternativi ad investire nel mercato, conseguente al mancato orientamento al costo dei servizi WLR e bitstream naked, sarebbe comunque più che bilanciata dalle riduzioni di prezzo dei servizi inclusi nei panieribitstream”, sicché le riduzioni, secondo l’Autorità, avrebbero incentivato gli OLO ad acquisire, attraverso i servizi bitstream, quella massa critica di utenti che giustifichi successivi investimenti in servizi all’ingrosso che richiedono una maggior infrastrutturazione (ULL).
4.5. Anche l’appellata TI assume che il motivo sia infondato, rilevando come AGCOM abbia precisato che, nonostante la diversità delle modalità di determinazione del valore di partenza (orientato al costo per l’ULL e stabilito mediante un altro meccanismo per i due servizi di accesso in questione), la delibera n. 578/10/CONS avrebbe raggiunto l’obiettivo di mantenere costante la differenza tra i prezzi in questione.
Secondo TI, peraltro, non vi sarebbe alcun contrasto tra il modus procedendi di AGCOM e i principi di orientamento al costo, perché questi principi non sono fissati in modo preciso e vincolante, trattandosi appunto di un orientamento, che lasci ampi margini di discrezionalità all’AGCOM.
A riprova di ciò starebbe la considerazione che il modello contabile utilizzato dalla delibera impugnata è, in realtà, un’astrazione ingegneristico-contabile, che simula i costi di un operatore efficiente, sicché si esprimerebbe, con esso, un giudizio di valore, se non addirittura politico, con margini di opinabilità, come sarebbe stato sostenuto anche in una sentenza di questo stesso Consiglio, sez. VI, 10.2.2006, n. 1271.
4.6. L’appellata TI, facendo peraltro proprie le argomentazioni sviluppate dalla sentenza del T.A.R., deduce peraltro che il valore di partenza, per i servizi WLR ebitstream naked, è stato stabilito dall’Autorità con la delibera n. 249/07/CONS tenendo conto del livello dei costi.
La delibera 643/12/CONS, diversamente da quanto sostiene l’appellante, non dimostrerebbe, inoltre, l’incongruenza del modello seguito dall’AGCOM, poiché essa non ha modificato retroattivamente il network cap o il modello BU-LRIC, bensì li ha completamente rimpiazzati, sia pure limitatamente al solo semestre giugno-settembre 2012 e unicamente per i servizi WLR, rideterminando ex novo le tariffe applicabili secondo una declinazione sui generis del principio di orientamento del costo.
Infine, sottolinea l’appellata TI, la scelta dell’AGCOM, frutto di ampia discrezionalità tecnica, sarebbe insindacabile dal giudice amministrativo laddove essa ha adottato il sistema retail minus per i servizi WLR e bitstream naked, ponendo a base del network cap i prezzi praticati da TI agli utenti nel 2009.
4.7. Il motivo è fondato.
Occorre sin da ora chiarire che il modello regolamentare retail minus, rispetto allo schema di orientamento al costo, presenta indubbiamente alcune caratteristiche peculiari che ne hanno evidenziato l’importanza nel breve periodo, ma che ne hanno anche messo in luce, per altro verso, le criticità nel lungo periodo.
Non vi è dubbio che rispetto al modello BU-LRIC, per la sua applicazione, l’approccio del retail minus non richieda di conoscere analiticamente tutti i costi connessi nella modalità bottom up, con le conseguenti asimmetrie informative rispetto all’operatore dominante.
Il modello retail minus, infatti, si applica esaminando le offerte dell’operatore dominante all’utente finale e definendo analiticamente le modalità per individuare e sottrarne, in sintesi, i costi afferenti alla commercializzazione e ai costi operativi non sopportati dall’operatore dominante per proporre la propria offerta ai concorrenti o, specularmente, gli ulteriori oneri economici che gli OLO devono sostenere per poter disporre di un’offerta all’utente finale competitiva (costi dimarketing, di pubblicità, di vendita, di assistenza post-vendita e di fatturazione al cliente finale).
4.8. La definizione di una offerta regolamentare retail minus, partendo da un dato sconosciuto e sottraendo soltanto alcuni fattori di costo a livello di infrastrutture e di rete di distribuzione più facilmente individuabili, risulta perciò di più semplice e rapida implementazione, anche laddove non sia stato sviluppato un modello di contabilità regolatoria.
Ma, proprio perché rappresenta un prodotto intermedio ottenuto sottraendo, come si è detto con una icastica espressione, dei “mattoni” ad un’offerta commerciale costruita dall’operatore dominante, questo modello regolamentare mostra il suo deficit strutturale, essendo il prezzo del servizio venduto all’OLO vincolato alle scelte di prezzo e di velocità trasmissiva, alle tempistiche di entrata nel mercato differenziate sul territorio, alle politiche di marketing e di distribuzione, alle modalità tecnologiche e alle caratteristiche infrastrutturali decise unilateralmente dall’operatore stesso, e limita perciò in modo significativo la capacità di innovazione, sia sotto il profilo tecnologico che di qualità del servizio, degli OLO che acquistano il prodotto.
Inoltre, quando – come nel caso di specie – l’Autorità definisca un differenziale tra l’offerta wholesale e l’offerta retail che garantisca nel medio periodo un ragionevole margine commerciale, il permanere dell’offerta basata sul modello retail minus consente l’ingresso e la permanenza nel mercato di operatori inefficienti sotto il profilo competitivo, in quanto scarsamente incentivati all’innovazione nelle infrastrutture e nei servizi.
4.9. Orbene, tutto ciò premesso, l’Autorità ha ritenuto di dover mantenere il sistema del retail minus per i servizi WLR e WBA.
AGCOM, nel § 218 e nel § 226 dell’impugnata delibera, ha giustificato questa scelta con la ragione che “nell’adottare il network cap ha inteso fornire certezza regolamentare al mercato e mantenere inalterati i livelli “relativi” ai prezzi dei servizi wholesale di Telecom Italia stabiliti negli ultimi anni, nel rispetto del principio della ladder of investment”.
L’Autorità ha altresì precisato che, sebbene il prezzo del canone naked sia stato fissato applicando un meccanismo di tipo retail minus, il valore del minus è stato stabilito dall’Autorità con la delibera n. 249/07/CONS tenendo conto del livello dei costi e nel rispetto del principio della scala degli investimenti, ossia considerando le differenze di prezzo tra i vari servizi forniti da TI.
Anche il T.A.R. ha condiviso tale motivazione, recependone i principali argomenti.
4.10. Questa motivazione, ad una più attenta analisi, non sfugge tuttavia ad una censura di insufficienza, illogicità e contraddittorietà.
Essa appare incoerente, infatti, rispetto al modello economico adottato.
Non merita anzitutto condivisione l’argomento, usato dal T.A.R. (p. 22 della sentenza), secondo il quale il valore dei prezzi del 2009 non era completamente sganciato dal controllo dei controllo e, in quanto tale, era “avvicinabile ad un sistema di orientamento ai costi”, in quanto “anche nel sistema retail formava già oggetto di valutazione la ragionevolezza dei prezzi, atteso che l’offerta di riferimento era sottoposta ad approvazione da parte dell’Autorità, che, a tali fini, teneva conto, in base alla delibera 33/06/CONS, come anche affermato dalla difesa dell’Autorità senza specifica smentita sul punto, del price cap, cioè dei costi sottostanti”.
È la stessa AGCOM, nella propria memoria difensiva, ad affermare infatti che per gli anni 2008 e 2009, pur in assenza di uno specifico price cap, vigeva l’obbligo di TI di sottoporre al vaglio dell’AGCOM qualsiasi propria determinazione di variazione del canone di accesso retail.
I prezzi del 2009, dunque, non erano sottoposti ad un regime di orientamento ai costi, diversamente da quelli del 2006 e del 2007, sicché non può affermarsi, come invece il giudice di prime cure sembra ritenere, che anche essi fossero orientati ai costi, dato che l’obbligo di TI di sottoporre al vaglio dell’AGCOM qualsiasi propria determinazione di variazione del canone di accesso retail precedentemente determinato non è in sé prova né garanzia di un sicuro orientamento al costo, in assenza, come riconosce la stessa Autorità nel § 278 della delibera n. 578/10/CONS, di un price cap per il 2008 e per il 2009.
La stessa AGCOM, nel revocare, con la delibera n 731/09/CONS, l’obbligo di controllo dei prezzi massimi praticati da TI alla clientela finale dal 2009 in poi, aveva del resto confermato tale scelta, anche di fronte ai rilievi critici formulati dagli OLO in sede di consultazione preventiva, osservando, nel § D7.15 della citata delibera, che “la regolamentazione vigente a livello wholesale appare idonea a tutelare il consumatore finale dal rischio di prezzi eccessivi da parte dell’incumbent”.
È quindi evidente che l’argomento del T.A.R. appare viziato da circolarità logica perché, secondo la stessa Autorità, l’orientamento al costo dei prezzi richiesti da TI agli utenti finali, con conseguente revoca dell’obbligo di controllo da parte di AGCOM, dovrebbe essere garantito, a monte, da una idonea regolamentazione dei prezzi pagati dagli OLO, mentre il giudice di prime cure afferma che questi ultimi sarebbe orientati al costo perché rapportabili ai prezzi pretesi, a valle, degli utenti finali, prezzi sui quali non sarebbe stato necessario più alcun controllo, a giudizio dell’Autorità, perché superfluo proprio in ragione dell’(affermato) orientamento al costo dei servizi wholesale previsto dall’Autorità stessa.
4.11. Ma la più grave criticità della contestata decisione adottata dall’Autorità si sostanzia e si evidenzia nel rilievo che AGCOM, nella delibera impugnata, non ha illustrato esaurientemente le ragioni per le quali, per i servizi WLR e WBA, si sia discostata dal modello di orientamento al costo adottato, invece, per i servizi ULL.
Non appare sufficiente a giustificare tale scelta, infatti, la considerazione – recepita anche dal T.A.R. nella sentenza impugnata – che, in un’ottica di risalita nella scala degli investimenti e con un approccio graduale, si sia privilegiata la finalità di mantenere invariate le differenze tra i vari servizi, sì da conservare lo stesso spazio economico tra tali prodotti di accesso.
Tale finalità, mai contestata – nemmeno nel presente giudizio – da Fastweb come dagli altri operatori, non appariva certo un ostacolo all’applicazione integrale del modello di orientamento al costo, in coerenza con il BU-LRIC, a tutti i servizi.
Anzi di recente, con la decisione del 30.11.2012, prot. C(2012)9112, caso IT/2012/1384, la Commissione Europea ha espressamente rilevato che “un metodo orientato ai costi, applicato coerentemente ai prodotti nelle varie stratificazioni della rete, serve già di per sé a proteggere il giusto spazio economico tra i diversi prodotti di accesso”.
L’AGCOM non ha cioè motivato le ragioni per le quali, anche adottando per i servizi WLR e WBA lo stesso metodo di orientamento al costo seguito per i servizi ULL, non sarebbe stato possibile mantenere egualmente – o anzi addirittura rafforzare – lo spazio economico tra i diversi prodotti di accesso, assicurando quella necessaria differenza di prezzo che, proprio nell’ottica di gradualità tipica di un sistema network cap, avrebbe indotto gli OLO a risalire progressivamente la scala degli investimenti e a trovare maggior convenienza nell’investire risorse in servizi via via più infrastrutturati.
Questo approccio, che sarebbe stato il più coerente con il modello BU-LRIC, come ha anche rilevato a più riprese la Commissione, non è stato adeguatamente considerato dall’AGCOM, anche solo per escluderne l’opportunità in raffronto al modello del retail minus prescelto, che è stato assunto, invece e acriticamente, senza una valutazione comparativa della sua preferibilità rispetto al modello dell’orientamento al costo.
L’AGCOM ha espresso, al riguardo, una motivazione insufficiente e inconferente, dato che gli OLO non hanno contestato la finalità di risalire la scala degli investimenti, ma hanno sostenuto che proprio tale finalità avrebbero potuto essere garantita, coerentemente, con l’applicazione di un modello di prezzo orientato al costo per tutti i servizi, senza distinguere l’ULL dal WLR e dal WBA.
La motivazione di AGCOM, dunque, è insufficiente e illogica, apparendo in contrasto con la finalità che pur dichiara di voler perseguire.
L’Autorità, nel rispondere alle osservazioni degli OLO in sede di consultazione, non ha offerto alcuna spiegazione che consenta di capire perché l’integrale applicazione del modello BU-LRIC ad ogni servizio sarebbe stata, a suo avviso, di ostacolo alla scala degli investimenti, mentre la stessa Commissione l’ha invitata, sul punto, a riesaminare il suo approccio regolatore in relazione ai servizi WLR e WBA, segnalando il rischio che tale approccio non avrebbe consentito ad AGCOM di valutare se lo spazio economico fra questi prodotti di accesso fosse realmente sufficiente, poiché nella fattispecie tale valutazione, come osservava l’Istituzione europea, sarebbe stata possibile “solo utilizzando un modello di prezzi orientati al costo per ciascun servizio di accesso”.
Nel discostarsi da tale rilievo, come pur le era consentito fare per il carattere non vincolante delle osservazioni formulate dalla Commissione, avrebbe dovuto comunque AGCOM osservare un onere di motivazione rafforzata, proprio in ragione delle conseguenze, segnalate dall’Istituzione europea, che tale approccio differenziato avrebbe potuto avere sulla scala degli investimenti e sul mercato dei servizi di accesso all’ingrosso, verificando almeno, con un’analisi di tipo comparato e mediante un adeguato approfondimento istruttorio, se la strada indicata dalla Commissione, coerente in toto con il modello BU-LRIC, sarebbe stata preferibile rispetto all’adozione del retail minus per i servizi WLR e WBA, non soltanto per consentire una miglior concorrenza tra gli operatori, ma proprio per favorire una maggior infrastrutturazione.
Di tale necessaria analisi, che avrebbe richiesto un esame istruttorio ben più penetrante, non vi è traccia motivazionale nell’impugnata delibera, la quale si sofferma, come anche la sentenza oggetto di gravame, sulla gradualità dell’approccio e sulla rilevanza dei prezzi finali, che non sono certo in discussione, senza tuttavia considerare se tale gradualità e tale rilevanza non avrebbero potuto essere ancor meglio valorizzate da un modello di orientamento al costo per tutti i servizi di accesso, capace di garantire fin dall’inizio, e ancor più efficientemente di quello “misto” o ibrido prescelto, la differenza di costo tra i servizi, nel corso del triennio contemplato dal price cap, e la conseguente risalita nella scala degli investimenti da parte degli OLO, incoraggiati ad ascenderne “i gradini” da un contesto concorrenziale ispirato ad un criterio di integrale efficienza sin dalle condizioni di partenza.
4.12. Nei §§ 297-301 della delibera n. 578/10/CONS l’Autorità si è limitata a confermare, in modo pressoché apodittico, di ritenere adeguata al contesto di mercato e concorrenziale la metodologia applicata, basata fondamentalmente sull’esistenza di uno spazio economico tra i prezzi dei servizi di accesso, nel rispetto della scala degli investimenti, in quanto in grado di garantire – al pari dell’orientamento al costo – il principio di non discriminazione, come peraltro riconosciuto dalla stessa Raccomandazione della Commissione sulle reti di nuova generazione.
È evidente, per le ragioni appena chiarite, la tautologia di simile argomentazione, che finisce per giustificare se stessa.
In ogni caso– ha poi concluso AGCOM (§ 301 della delibera n. 578/10/CONS) –l’Autorità si impegna ad una costante verifica che tale approccio consenta anche in prospettiva una effettiva ed efficace competizione nel mercato, con l’impegno ad adottare il criterio dell’orientamento al costo qualora le verifiche fornissero riscontro negativo”.
Anche quest’ultima precisazione, tuttavia, costituisce riprova ulteriore di una illogicità motivazionale, laddove l’Autorità si mostra consapevole che la conferma della propria scelta, di fronte al rilievo della Commissione che la invitava a riesaminare il proprio approccio relativamente ai servizi WLR e bitstream, potrebbe generare segnali di mercato non coerenti con la finalità perseguita, mentre sarebbe stata necessaria una più accurata ponderazione di tale rischio di fronte alla più ragionevole adozione del modello bottom up anche per tali servizi sin dal principio, per poi evitare di dover correggere, in itinere, tale scelta con l’adozione del criterio di orientamento al costo.
L’esperienza anche più recente del mercato in questione mostra, infatti, come l’applicazione di un meccanismo incentivante del tipo price cap ad un prezzo di partenza non orientato ai costi sia destinato a perdere parte della sua efficacia, in quanto le inefficienze economiche che la metodologia del retail minus non è in grado di eliminare vengono conservate e trasposte nel triennio nonostante l’applicazione del cap, finendo anche per disincentivare gli OLO dall’investimento nell’infrastrutturazione.
4.13. Ne segue che la delibera n. 731/097CONS e la delibera n. 578/10/CONS, nell’adottare il sistema del retail minus e, conseguentemente, nello scegliere i prezzi praticati da TI nel 2009 ai clienti finali come base per il calcolo dei prezzi dei servizi WLR e WBA sul versante wholesale, risultano viziate da eccesso di potereper l’insufficienza, la illogicità, la contraddittorietà della motivazione, in ordine a tale fondamentale aspetto, come anche per il difetto di relativa adeguata istruttoria.
L’impugnata sentenza deve essere dunque riformata, laddove ha fatto proprie (pp. 23-29) le censurate argomentazioni dell’Autorità, e le delibere n. 731/09/CONS e n. 578/10/CONS devono essere in parte qua annullate, nei limiti e per i motivi appena precisati, affinché AGCOM, nell’ambito della discrezionalità tecnica che le compete, rivaluti e spieghi compiutamente se, nel triennio di riferimento, la scelta operata sia più coerente e, comunque, più efficiente, rispetto al modello di un integrale orientamento di tutti i servizi di accesso al costo, per il perseguimento delle finalità alle quali la stessa AGCOM dichiara di ispirarsi nel quadro della normativa europea e nazionale.
5. L’appellante, con il terzo motivo, si duole del fatto che l’all. n. 14 della delibera n. 731/09/CONS includa, indifferentemente, canoni e contributi di attivazione nello stesso paniere per i servizi full ULL e sub loop.
Tali componenti avrebbero, però, una logica differente che non ne consente l’assimilazione.
I contributi sottendono costi di manodopera che dovrebbero essere costanti e, anzi, decrescenti nel tempo e non variano come variano i canoni ULL, in quanto non hanno alcun nesso di causalità con l’andamento dei costi di rete.
In sintesi i contributi dovrebbero essere inseriti in un altro paniere perché il costo della manodopera non può avere lo stesso andamento di costo degli apparati e delle strutture oggetto di manutenzione.
5.1. L’appellata AGCOM sostiene, al contrario, che tale inclusione è coerente con l’approccio regolamentare, prescelto dall’Autorità, di controllare l’andamento complessivo dei servizi di accesso e, dunque, della spesa che gli OLO devono sostenere per il loro acquisto, al fine di incentivare l’acquisto di un servizio piuttosto che di un altro.
5.2. L’appellata TI sostiene, per conto suo, che la delibera n. 578/10/CONS ha esaurientemente motivato in ordine all’inclusione di canoni e contributi nello stesso paniere, osservando che, in applicazione di quanto stabilito nella delibera n. 731/09/CONS, ciò che rileva maggiormente è la variazione complessiva imposta ai prezzi dei prodotti di uno specifico mercato nel suo insieme, facendo presente che i contributi relativi al mercato n. 4 subiscono un aumento per effetto dell’aumento del canone ULL, mentre al contrario i contributi riferibili al mercato n. 5 subiscono una diminuzione.
5.3. Il motivo di appello è fondato.
L’impugnata sentenza ha ritenuto che non appare illegittima la scelta di inserire in un medesimo paniere sia il canone che il contributo una tantum, in quanto AGCOM “ha evidenziato che in tal modo può controllare l’andamento complessivo dei prezzi dei servizi di accesso e della relativa spesa a carico degli OLO , con ogni effetto in ordine alla scelta sugli acquisti da effettuare in rapporto alla maggiore o minore convenienza degli stessi” (p. 30) e ha ribadito, nei §§ 227-228 della delibera n. 578/10/CONS, che rilevano “le variazioni complessive imposte ai prezzi di prodotti di uno specifico mercato nel suo insieme” (p. 52).
La delibera n. 578/10/CONS, come anche e sulla sua scorta l’impugnata sentenza del T.A.R., non ha sufficientemente motivato le ragioni per le quali ha scelto di assoggettare alla stessa variazione percentuale canoni e contributi indipendentemente dall’andamento dei costi sottostanti.
Non è dato cioè comprendere, sulla base dei motivi espressi nella delibera e recepiti dalla sentenza, perché, in un’ottica di orientamento al costo come quella del modello BU-LRIC, canoni e contributi siano stati inclusi nello stesso paniere, nonostante la diversità dei costi sottostanti agli uni e agli altri.
La motivazione della delibera è, sul punto, insufficiente, perché non consente di apprezzare adeguatamente se tale scelta, nonostante la diversità dei costi sottostanti ai canoni e ai contributi, sia la più rispondente al modello economico adottato, non potendo escludersi che la distinzione delle due voci consenta una diversificazione dei prodotti tale da favorire la risalita nella scala degli investimenti.
L’AGCOM non ha esplicitato, in altri termini, le ragioni per le quali la sua scelta apparirebbe effettivamente più razionale, sul piano economico, rispetto alla diversificazione di contributi e canoni, stante la fondamentale divergenza dei costi sottostanti agli uni e agli altri, limitandosi ad una motivazione apodittica, poiché l’acquisto di un servizio anziché un altro, nell’ottica della scala degli investimenti, non può certo dirsi impedita, in linea di principio e senza motivazione, dall’orientamento al costo, ma anzi agevolata ed incentivata dall’adozione di tale criterio, conforme al modello BU-LRIC.
5.4. I contributi una tantum, infatti, sono riferibili ad attività operative, quali l’attivazione di linea, e sono quindi sostanzialmente il prodotto di costo della manodopera per il tempo impiegato allo svolgimento di tale attività.
I costi di queste componenti non solo hanno effetto decrescente, per effetto della curva di apprendimento, ma soprattutto di certo non possono avere un andamento crescente.
L’inclusione nello stesso paniere, in difetto di una specifica motivazione che ne giustifichi l’inclusione, sembra porsi, in difetto di una penetrante e analitica motivazione, in contrasto con il modello ispirato ad un criterio di efficienza e di orientamento al costo adottato dall’AGCOM, in difetto di adeguata ed esauriente motivazione sul punto che giustifichi tale deroga rispetto ai principi che stanno a fondamento del modello.
5.5. Ne segue che l’impugnata delibera n. 578/10/CONS, in quanto affetta in parte qua da eccesso di potere per difetto di motivazione, illogicità e contraddittorietà, deve essere annullata, con conseguente necessità, da parte di AGCOM, di rivalutare motivatamente tale scelta e di verificare se la suddetta inclusione del canone e del contributo una tantum nello stesso paniere sia da preferirsi alla loro diversificazione sulla base dell’orientamento al costo, proprio in funzione della dichiarata finalità di controllare l’andamento complessivo dei prezzi di servizi di accesso e della relativa spesa a carico degli OLO e rispetto all’obiettivo di agevolarne la risalita nella scala degli investimenti.
6. Con il quarto motivo di appello Fastweb lamenta che, sempre incoerentemente rispetto al modello adottato, sarebbe stato soppresso dalla delibera n. 731/09/CONS l’obbligo di ribaltamento automatico delle offerte da parte di TI.
Deduce l’appellante, sul punto, che le delibere 83/06/CIR e 249/07/CIR stabilivano l’obbligo, per TI, di riversare le promozioni applicate a livello retail ai corrispondenti servizi intermedi a livello wholesale.
Tali previsioni erano conformi alla logica ispirata al favor per la concorrenza.
AGCOM con la contestata delibera n. 731/09/CONS ha eliminato l’obbligo di ribaltamento automatico delle offerte.
6.1. Il T.A.R. ha respinto la censura, osservando che nel § 7.20 dell’impugnata delibera l’obbligo di ribaltamento non è stato eliminato, ma semplicemente posticipato, secondo quanto prevede la successiva delibera n. 499/10/CONS, in quanto sarà operato esclusivamente qualora, all’esito dell’indagine di replicabilità, l’offerta non risulti eguagliabile dagli OLO.
Tale previsione, secondo il T.A.R., sarebbe ragionevole in quanto solo all’esito dell’indagine si potrebbe comprendere se l’offerta sia stata il frutto dell’abuso della posizione dominante e, dunque, se essa debba essere riversata in favore degli OLO.
6.2. L’appellante si duole che, però, venga così del tutto negletto il fattore tempo, dato che l’offerta retail viene riversata sul lato wholesale solo in caso di esito negativo della verifica, mentre nel previgente regime la presentazione delle offerte era simultanea tanto sul versante retail quanto su quello wholesale.
La previsione di AGCOM sarebbe così irragionevole perché non idonea a porre gli OLO effettivamente al riparo da condotte anticompetitive.
6.3. L’appellata AGCOM ha dedotto che la delibera 731/09/CONS ha inteso, per un verso, confermare il ribaltamento a livello wholesale delle offerte retail di TI effettivamente non replicabili e, per un altro verso, preannunciare l’opportunità di una rivisitazione del carattere sistematico di questo ribaltamento, limitandone l’applicazione alle sole ipotesi in cui la replicabilità, per le particolari caratteristiche dell’offerta commercializzata dall’operatore storico, sia effettivamente posta in discussione.
Osserva l’appellata che il meccanismo del ribaltamento automatico si è rivelato in alcuni casi eccessivamente gravoso, oltre che superfluo, specie nelle ipotesi, non infrequenti nella pratica commerciale, di offerte rimodulate solo in base ai costi commerciali e non anche di quelli all’ingrosso.
Per tali offerte la delibera 499/10/CONS ha stabilito che “saranno gli Uffici dell’Autorità, in sede di verifica della replicabilità delle offerte di Telecom Italia, a valutare la necessità del ribaltamento a livello wholesale delle condizioni economiche proposte a livello retail”.
In sostanza, conclude l’appellata richiamando anche alcuni arresti di questo Consiglio (sentt. 6527/2008 e 6529/2008), qualora si dovesse accertare che la promozione agli utenti finali deriva da una mera rimodulazione dei costi commerciali, non potrà operare automaticamente l’obbligo di replicare l’offerta; se, viceversa, la promozione deriva da una rimodulazione dei costi all’ingrosso, diventerà attuale l’obbligo di riversare l’offerta anche a favore degli altri operatori sul versante wholesale, per garantire appunto la replicabilità dell’offerta.
6.4. Analoghe argomentazioni sviluppa anche l’altra appellata TI, deducendo, anzitutto, l’inammissibilità del motivo, come già ritenuto da questa Sezione con la sent. 3246/2012, e comunque la sua infondatezza, in quanto osserva che, se l’offerta al dettaglio di TI inclusiva delle promozioni è replicabile, non sussiste alcuna esigenza di sconto sui prezzi regolamentati dei corrispondenti servizi all’ingrosso, avendo già AGCOM verificato che gli OLO sono in grado di competere con TI.
6.5. Il motivo di appello è infondato.
La motivazione della sentenza impugnata appare logica, coerente e completa, oltre che in linea con quanto affermato, seppur incidenter tantum, da questo Consiglio di Stato con la sentenza della sez. VI, n. 6529 del 23.12.2008, laddove si è condivisibilmente escluso, anche per il regime previgente, la automatica replicabilità dell’offerta.
Non appare corretto, infatti, l’assunto sul quale si fonda la prospettata censura e, cioè, che in base alle previgenti disposizioni la replicabilità delle offerte, sul versante wholesale, fosse automatica.
Dall’insieme delle previgenti disposizioni e, in particolare, dell’art. 23 della delibera n. 249/07/CONS si ricava, al contrario, che le offerte promozionali retailfossero oggetto di una “verifica” da parte dell’Autorità in funzione della garanzia, caso per caso, della loro replicabilità e che, prima di essere introdotte sul mercato, tali offerte fossero “potenzialmente” accompagnate dall’offerta di corrispondenti promozioni sul mercato bitstream, cioè dei servizi intermedi di accesso alla banda larga, da prospettare nei confronti degli altri operatori concorrenti su tale mercato, “a monte” del retail.
L’effettivo riversamento, sul mercato dei servizi intermedi, delle promozione, in base all’inequivocabile tenore di tali disposizioni, era quindi “subordinato all’esito della verifica di replicabilità da parte dell’Autorità”, con la conseguenza implicita, ma logicamente necessitata, che non sussisteva “un meccanismo automatico di riversamento delle offerte promozionali retail sul mercato wholesale bitstream” (Cons. St., sez. VI, 23.12.2008, n. 6529).
La delibera n. 578/10/CONS non sembra avere, quindi, sostanzialmente innovato il regime previgente.
In ogni caso la verifica eseguita da AGCOM consente di escludere comportamenti anticompetitivi da parte di TI.
La circostanza che l’accertamento della replicabilità avvenga ex post, seppur può in astratto – come deduce l’appellante – provocare uno sfasamento temporale sul piano della concorrenza, è poi compensato dall’obbligo in capo a TI, dopo l’esito positivo della verifica, di riversare l’offerta sul lato wholesale.
La scelta dell’Autorità, nel delicato bilanciamento degli opposti interessi, non appare né illogica né incoerente alla luce del modello economico adottato.
Un indiscriminato meccanismo di ribaltamento automatico ex ante, come quello ipotizzato dall’appellante, si rivelerebbe, d’altronde e per converso, discriminatorio tutte le volte in cui la promozione agli utenti finali derivi da una mera rimodulazione dei costi commerciali di TI, poiché istituirebbe un ingiustificato sussidio indiretto in favore degli OLO.
7. Con il quinto motivo Fastweb ha contestato la verifica di predatorietà e di replicabilità delle offerte, per il modo in cui è configurato e prefigurato dalla delibera n. 731/09/CONS, sotto diversi profili.
Viene anzitutto censurata dall’appellante la decisione di utilizzare come base dei costi da porre a fondamento della verifica non più i prezzi dei servizi, ma una combinazione di soluzioni di accesso fisico e virtuale, stabilita in base alla disponibilità territoriale delle offerte.
La delibera n. 499/10/CONS ha definito, poi, questa combinazione individuando un valore percentuale.
La previsione è stata impugnata con il III motivo del ricorso n. 12037/10, proposto da Fastweb avverso tale ultima delibera in un separato giudizio, ma rimarrebbe ferma, ad avviso dell’appellante, anche la contestazione del principio di massima contenuto nella delibera oggetto del presente giudizio, assumendo Fastweb che sia illogico utilizzare come base di costo il c.d. mix produttivo enunciato appunto dalla delibera n. 731/09/CONS.
Non è infatti certo che anche nelle aree aperte all’ULL gli operatori utilizzino effettivamente tale servizio, poiché spesso l’acquisto dell’ULL non è possibile anche in ragione di impedimenti tecnici (KO di rete, saturazione delle centrali).
Modulare la base costo, nelle aree geografiche dove il servizio è astrattamente disponibile, sui prezzi dell’ULL significherebbe alzare la soglia di replicabilità, giudicando replicabili anche offerte molto aggressive, non eguagliabili da chi in area ULL acquista servizi bitstream, o rendere comunque replicabili le offerte solo per operatori che utilizzano un determinato mix di servizi wholesale a scapito di altri.
7.1. Un’ulteriore censura articolata dall’appellante concerne la decisione, da parte di AGCOM, di considerare come modello di architettura per la definizione della soglia dei costi di replicabilità un’infrastruttura che utilizzi combinazioni di servizi di accesso fisico e di accesso virtuale.
Tale indicazione si porrebbe in contrasto con le risultanze dell’analisi di mercato.
La conseguenza di questa scelta farebbe sì che non possa verificarsi il c.d. “vincolo indiretto” sui prezzi del bitstream che aveva giustificato l’inclusione di tale servizio nel mercato n. 5 (§§ 144-145 delibera n. 314/09/CONS).
Fastweb ha infine contestato la possibilità, introdotta dalla delibera impugnata, di indagare circa la replicabilità dell’offerta facendo ricorso a benchmark con le indicazioni di offerta praticate da altri operatori.
Ciò contraddirebbe il principio enunciato all’art. 1.3 della delibera n. 667/09/CONS, secondo il quale l’indagine deve essere condotta esclusivamente sulla base dei costi e delle tariffe di TI.
7.2. L’appellata AGCOM deduce, sul punto, che i rilievi relativi all’art. 64, comma 2, inerente alla metodologia per i test di replicabilità, sono da un lato prematuri, perché tale metodologia ha formato oggetto di un diverso e separato procedimento, avviato in fase di consultazione pubblica dalla delibera n. 499/10/CONS, e comunque superati dai provvedimenti successivi, a partire dalla già citata delibera 499/10/CONS, che ha definito i nuovi test di prezzo ai fini della replicabilità, e dalla successiva circolare attuativa.
Nel merito l’idea di ricorrere al mix produttivo dei servizi intermedi disponibili in Italia, piuttosto che solo a quelli disponibili in una determinata area del Paese, vale proprio a superare la caratterizzazione tecnica della singola area geografica.
7.3. Anche l’appellata TI ribadisce in primo luogo l’eccezione di inammissibilità, già accolta dal T.A.R. in prime cure, facendo osservare che l’art. 64, comma 2, e i §§ D 7.18 e D 7.19 della delibera n. 731/09/CONS indicano inequivocabilmente che i nuovi test di prezzo definiranno una metodologia “per l’individuazione dell’architettura di riferimento dell’operatore alternativo efficiente”, la quale “può” prevedere servizi di accesso fisico e virtuale, anche in funzione delle caratteristiche di disponibilità su base territoriale dell’offerta da replicare nonché di altre offerte di altri operatori già presenti nel mercato.
Secondo TI la successiva delibera del 2010 costituisce autonomo esercizio della potestà regolatoria in un diverso provvedimento, già impugnato avanti al T.A.R., come accennato, da parte della stessa Fastweb.
Nel merito la scelta dell’AGCOM sarebbe inoltre immune da censure, perché, proprio per tenere conto delle scelte di efficienza dei concorrenti dell’operatore notificato, è stato introdotto il mix produttivo (tra ULL e altri servizi wholesale), da calcolare con cadenza annuale, quale riferimento da assumere ai fini della verifica del test, quindi exante e non “caso per caso” (delibera n. 499/10/CONS, All. 1, § 1.3).
La circostanza che l’AGCOM ponga poi l’enfasi sul servizio ULL non è contestabile, perché la soluzione produttiva scelta dagli OLO nelle centrali realmente aperte all’ULL è, nel 90% dei casi, proprio l’ULL.
Il motivo è infondato, secondo l’appellata TI, anche nella parte in cui censura la scelta dell’AGCOM di avvalersi, nell’analisi di replicabilità, dei parametri di riferimento fondati anche sulle condizioni di offerta effettivamente praticate dagli OLO, perché i valori direttamente osservati sul mercato assumono una capacità euristica superiore rispetto alle proxy, che si ottengono mediante l’applicazione di test che si riferiscono ad operatori ipotetici.
Il riferimento ai costi di un OLO efficiente, nella delibera n. 499/10/CONS, è stato approvato anche dalla Commissione Europea.
A ciò si aggiunga che pure la giurisprudenza comunitaria in materia antitrust ammette, in maniera sostanzialmente ampia, l’uso dei dati di costo dei concorrenti al fine di reprimere gli abusi di posizione dominante c.d. di margin squeeze.
7.4. Il motivo di appello è inammissibile.
Come correttamente ritenuto dal giudice di prime cure, la cui statuizione sul punto va esente da censura, il motivo, rivolto avverso una norma che detta solo indicazioni di principio, che sono state poi compiutamente disciplinate dalla delibera n. 499/10/CONS, non può essere considerato ammissibile, in assenza di una contestuale impugnazione della delibera che ha dato attuazione ai criteri delineati in merito, né può essere censurato, sia pure indirettamente, un provvedimento, non contestualmente impugnato alla delibera n. 731/09/CONS e ancora sub alio iudice, con indebita interferenza nell’attività giurisdizionale di altro competente organo chiamato a deciderne.
In ogni caso, deve qui aggiungersi incidenter tantum, la censura è infondata perché, proprio per tenere conto delle scelte di efficienza dei concorrenti dell’operatore notificato, è stato introdotto il mix produttivo (tra ULL e altri servizi wholesale), da calcolare con cadenza annuale, quale riferimento da assumere ai fini della verifica del test, quindi ex ante e non “caso per caso” (delibera n. 499/10/CONS, All. 1, § 1.3).
8. Con il sesto motivo l’appellante lamenta, quanto alle offerte in bundle le quali prevedono la vendita associata di beni e di servizi, che il T.A.R. avrebbe riprodotto le identiche considerazioni di AGCOM circa l’improcedibilità dell’impugnativa per mancata impugnativa della delibera attuativa.
Tale motivazione, secondo Fastweb, sarebbe erronea, per le stesse ragioni espresse con il quinto motivo di appello (cfr., supra, § 6), in quanto l’appellante deduce di aver contestato l’illegittimità della previsione di limitare la verifica delle offerte in bundle al solo bundle di servizi, non includendo il bundle dei beni, come, ad esempio, nel caso di vendite promozionali dove con la sottoscrizione dell’abbinamento vengono regalati oggetti come telefoni, supporti e apparati di vario genere.
Fastweb censura, sul punto, il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice di prime cure.
8.1. Anche per questa censura AGCOM ha replicato la medesima eccezione di inammissibilità per le ragioni esposte in ordine al quinto motivo di appello, poiché il tema è stato affrontato dalla delibera 499/10/CONS.
Anzi proprio la necessità, emersa nella pratica applicativa, di adeguare la metodologia del test di prezzo alle nuove tipologie di offerte presenti nel mercato, sempre più frequentemente basate su “pacchetti” di servizi di accesso e traffico (appunto, i bundle), ha indotto AGCOM a rivisitare i precedenti test con la citata delibera n. 499/10/CONS.
8.2. Anche TI ribadisce l’eccezione di inammissibilità, osservando come in quest’ultima delibera AGCOM abbia ragionevolmente distinto tra i servizi di mixed bundling e pure bundling, occupandosi anche del bundle di beni e servizi e indicando i criteri che ne presiedono la verifica.
8.3. Il motivo di appello è inammissibile.
Come correttamente ritenuto dal giudice di prime cure, infatti, anche tale censura, mossa ad una norma che detta solo indicazioni di principio, che sono state poi compiutamente disciplinate dalla delibera n. 499/10/CONS, non può essere considerata ammissibile, in assenza di una contestuale impugnazione della delibera che ha dato attuazione ai criteri delineati in merito, né può essere censurato, sia pure indirettamente, un provvedimento, non contestualmente impugnato alla delibera n. 731/09/CONS e ancora sub alio iudice, con indebita interferenza nell’attività giurisdizionale di altro competente organo chiamato a deciderne.
In ogni caso, deve qui aggiungersi incidenter tantum, la censura è infondata perché la più volte citata delibera n. 499/10/CONS ha espressamente disciplinato la verifica di replicabilità in ipotesi di bundle misto.
9. Altro profilo di censura, dedotto dall’appellante con il settimo motivo di appello, concerne l’art. 24 della delibera n. 731/09/CONS, con il quale viene stabilito che la colocazione virtuale sarà consentita solo laddove non siano ancora resi disponibili servizi di colocazione fisica.
Al riguardo premette l’appellante che la colocazione è il servizio tramite il quale TI fornisce agli OLO spazi tecnologicamente attrezzati presso le proprie centrali per l’attestazione di collegamenti fisici e per l’installazione di supporti idonei ad alloggiare apparati e cavi.
Essa può essere fisica e virtuale.
Nella colocazione fisica TI permette agli OLO di collocare i propri apparati in spazi attrezzati di TI.
Nella colocazione virtuale TI offre spazi, tecnologia, energia ed apparati.
L’art. 24 della delibera n. 731/09/CONS, come si è già accennato, stabilisce che la colocazione virtuale sarà consentita solo laddove non si siano resi disponibili servizi di colocazione fisica.
La scelta, secondo AGCOM, sarebbe collegata all’obiettivo di favorire l’infrastrutturazione.
Secondo l’appellante la scelta dell’Autorità sfavorisce e disincentiva, al contrario, l’infrastrutturazione, precludendo o, comunque, impedendo proprio la soluzione tecnica che consente l’interconnessione in condizioni in cui può non essere tecnicamente possibile o profittevole che gli operatori si dotino di apparati propri.
Si tratterebbe di una ingiustificata limitazione ai servizi di accesso in affermata violazione del principio di neutralità tecnologica.
La delibera sarebbe stata impugnata, sul punto, anche da Vodafone s.p.a. e il Consiglio di Stato, con la sentenza della sez. III, 30.5.2012, n. 3246, avrebbe accolto la censura, rilevando il difetto di motivazione, da parte dell’Autorità, circa questo punto.
9.1. L’appellata AGCOM fa rilevare che, nel merito, la sua scelta si giustifica con l’intento di favore l’infrastrutturazione degli operatori alternativi, che non sarebbero incentivati a risalire la scala degli investimenti se avessero sempre a loro disposizione la colocazione virtuale.
Non si lederebbe, inoltre, il principio della neutralità tecnologica, perché non si imporrebbe una scelta tra diverse tecnologie.
9.2. L’altra appellata TI deduce, invece, che il motivo di gravame è divenuto improcedibile o inammissibile.
La sentenza n. 3246 del 30.5.2012 di questa Sezione ha annullato, infatti, la delibera impugnata per difetto di motivazione e l’AGOM, con successiva delibera n. 429/12/CONS, ha confermato la sua scelta, integrandola con un adeguato apparato motivazionale.
La nuova delibera non è stata impugnata.
9.3. L’appello, per quanto attiene al motivo in esame, è improcedibile.
La censura ha ad oggetto, infatti, una statuizione che è stata già annullata e sostituita, in ottemperanza del dictum giudiziale, da una nuova delibera che non è stata impugnata.
La stessa appellante dà atto, nella sua memoria di replica, che tale motivo di appello è divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse sulla specifica doglianza.
10. Fastweb ha articolato, con l’ottavo motivo di appello, anche due censure contro i meccanismi seguiti da AGCOM per definire i costi della rete di accesso.
L’appellante deduce l’inattendibilità del campione, formato da 50 centrali su 10.000 e ritenuto non affidabile, perché poco significativo.
Le centrali sarebbero state poi suddivise in dieci classi, denominate geotipi, secondo il parametro della densità di linea.
Ma tale parametro viene ritenuto, in sé solo, scarsamente rappresentativo, non potendo essere assunto come unico e corretto indicatore di una fascia di costi.
Per i costi di infrastrutturazione il campione di 50 centrali è stato poi ulteriormente suddiviso in 32 categorie (i c.d. clusters).
La rappresentatività di ogni singolo cluster, dunque, è costituita da meno di due centrali e sarebbe, quindi, inaffidabile.
Fastweb lamenta, poi, che AGCOM avrebbe omesso di considerare, ai fini del campione, tutti gli elementi che essa stessa aveva considerato come decisivi ai fini dell’indagine e, in particolare:
1) la lunghezza complessiva dei cavi;
2) il numero delle linee uscenti dalla centrale;
3) il numero totale di armadi di distribuzione;
4) il numero di punti di distribuzione.
Nel ricostruire il campione sarebbe stato preso in considerazione da AGCOM solo il parametro della densità di linea, senza nulla dire circa gli altri criteri.
10.1. Il T.A.R. ha respinto la censura, osservando che nei §§ 136-143 della delibera n. 578/10/CONS AGCOM spiegherebbe le ragioni per le quali un modello fondato su cinque campioni per geotipo sarebbe adeguatamente rappresentativo, senza che tali considerazioni siano state apprezzabilmente smentite.
Dal § 29 della delibera testé citata, poi, emergerebbe che siano stati debitamente considerati ai fini del modello tutti gli elementi individuati al § 23 della delibera.
L’appellante lamenta che, al contrario, nei §§ 136-143 spiegherebbe alcune verifiche effettuate per controllare l’affidabilità del campione, mentre non sarebbero state esaminate le critiche rivolte da Fastweb alla costruzione stessa del campione.
Inoltre nel § 29, diversamente da quanto sostiene il T.A.R. nell’impugnata sentenza, non risulterebbe affatto che AGCOM abbia preso in considerazione gli elementi di cui al precedente § 23, ma si legge solo che, appunto, per l’individuazione dei geotipi è stata utilizzata la sola densità di linea.
10.2. L’appellata AGCOM deduce, anzitutto e in senso contrario all’avversaria doglianza, di essere ricorsa ad un approccio di tipo scorched node, il quale implica che il numero e la posizione delle centrali locali “stadio di linea” di TI (oltre 10.000) vengano considerati come dati e non modificabili per la costruzione della rete di accesso dell’operatore efficiente.
Le oltre 10.000 aree di centrale sono state suddivise in 10 gruppi sulla base di caratteristiche omogenee.
Il campione utilizzato da AGCOM è costituito da 50 aree di centrale e, cioè, 5 aree per ogni geotipo.
Per ciascuna di queste aree di centrale AGCOM ha sviluppato un’analisi di costi ottenuta a partire dall’analisi delle mappe stradali, necessaria al fine di ottenere il corretto dimensionamento della rete di accesso.
Osserva l’appellata AGCOM che l’approccio statistico da essa prescelto per stimare i costi di accesso è uno di quelli più frequentemente utilizzati per lo sviluppo dei modelli di bottom up dagli altri Stati.
Già in sede di consultazione AGCOM ha esaminato, in modo approfondito, i rilievi di Fastweb, che anche nell’appello si è limitata a censure generiche e indimostrate.
L’Autorità, al punto 29 della delibera n. 578/10/CONS, ha chiarito che “gli Uffici hanno utilizzato tutte le variabili indicate al punto 23 al fine di garantire la rappresentatività dei campioni casuali generati, applicando una procedura di “accettazione” degli stessi”.
10.3. Anche TI sostiene che alla luce delle puntuale motivazione dell’Autorità, che ha dedicato al tema ben quasi trenta paragrafi, rispondendo anche alle osservazioni degli OLO, le censure dell’appellante siano destituite di qualsiasi fondamento, avendo AGCOM dimostrato convincentemente l’idoneità rappresentativa del modello campionario prescelto, anche se circoscritto ad un numero esiguo di aree di centrale, in quanto integrato nella sua applicazione da una seria di elementi corretti (le effettive consistenze dei rete di TI, il coefficiente di accettazione) funzionali al raggiungimento di risultati aderenti alla realtà sostanziale.
Il modello di AGCOM ha utilizzato quindi solo parzialmente le informazioni sulla distribuzione della domanda reale sulla rete di TI, avendo applicato una modellizzazione delle aree di centrale determinata sulla base della densità di linea, ottenuta come rapporto tra i metri lineari di scavo e di palificazione e il numero di linee uscenti dal permutatore.
10.4. Il motivo di appello è infondato.
AGCOM ha dato esauriente e convincente spiegazione dell’attendibilità del metodo campionario usato, applicando ai geotipi le variabili descritte nel § 23 (lunghezza degli scavi, numero di coppie uscenti, numero totale degli armadi, numero dei punti di distribuzione) per rendere accettabili le relative risultanze, confrontando il valore medio calcolato sul campione causale di ciascuna variabile con la statistica calcolata sull’intera popolazione appartenente al geotipo.
L’Autorità ha dato dunque puntuale applicazione al criterio al quale si era autovincolata, introducendo, accanto al parametro della densità di linea, discriminante più significativa fra un’area di centrale e un’altra, quattro variabili determinanti per l’individuazione dei costi di rete.
In questa prospettiva deve osservarsi che l’Autorità, dopo aver descritto ai §§ 20 e ss. i criteri di scelta delle aree di centrale e quelli di composizione dei geotipi, all’interno di ciascuno dei quei ricadono tutte le aree di centrale aventi caratteristiche omogenee, ha illustrato, nei §§ 26 e ss., le modalità attraverso le quali le centrali sono state inserite nell’ambito di ciascuno dei dieci geotipi, esplicitando, in modo chiaro ed esauriente, le motivazioni di ordine logico poste a fondamento di tale scelta.
I geotipi sono stati definiti utilizzando come variabile di classificazione la densità di linea, ottenuta come il rapporto tra i metri lineari di scavo e di palificazione e il numero di linee uscenti dal main distribution frame della rete di accesso dell’operatore notificato.
La variabile densità di linea costituisce, nella definizione dei geotipi, senza dubbio la discriminante più significativa fra un’area di centrale ed un’altra, in termini di costo, dato che prende in considerazione anche la dispersione geografica della popolazione intorno all’area di centrale.
Il primo geotipo comprende le aree di centrale più densamente popolate e maggiormente concentrate rispetto alla posizione della corrispondente centrale (densità di linea minima).
L’ultimo geotipo, a sua volta, comprende le aree meno densamente popolate e meno concentrate rispetto alla posizione della centrale.
Applicando il parametro della densità di linea, quale criterio discretivo di maggiore rappresentatività, AGCOM ha individuato circa 1000 aree di centrale per ciascun geotipo.
Infine, allo scopo di assicurare proprio la rappresentatività dei campioni generati casualmente, l’Autorità ha applicato le variabili indicate nel § 23 (lunghezza degli scavi, numero di coppie uscenti, numero totale degli armadi, numero dei punti di distribuzione) per rendere accettabili le relative risultanze, confrontando il valore medio calcolato sul campione casuale di ciascuna variabile con la statistica calcolata sull’intera popolazione appartenente al geotipo.
10.5. Erra dunque l’appellante quando afferma, a fondamento della sua censura, che AGCOM avrebbe fatto riferimento al solo criterio della densità di lineapoiché, contrariamente a tale assunto, l’Autorità ha applicato tutte le variabili indicate nel § 23 della delibera n. 578/10/CONS, pur privilegiando, per la sua indubbia e (incontestata) maggior rappresentatività, la densità di linea.
Nel § 150 della delibera AGCOM, proprio rispondendo ad una osservazione di Fastweb in sede di consultazione, ha spiegato, in modo del tutto logico ed esaustivo, che la maggior rilevanza attribuita alla densità di linea si giustifica in ragione del fatto che tale parametro, nel tenere in conto la densità abitativa e la dispersione degli utenti intorno alle centrali, è quello che meglio caratterizza i driver di costo di una rete di accesso.
Infine, quanto all’ulteriore rilievo di Fastweb secondo il quale l’approccio campionario comporterebbe una sovrastima dei costi, l’Autorità ha ben sottolineato che l’analisi della rappresentatività statistica, da essa prescelta, dimostra che dall’insieme dei campioni adottati sono sicuramente escluse, per tutti i geotipi, le aree aventi un parametro di densità lontano dalla media del geotipo di appartenenza.
AGCOM ha inoltre provveduto ad analizzare le mappe stradali, al fine di verificare la posizione della centrale stadio di linea rispetto a quella di tutti gli edifici ad essa connessi.
Tali informazioni sono state utilizzate per definire i confini (la c.d. “copertura”) di ciascuna centrale e, quindi, per individuare i percorsi ottimali di scavo e di posa dei cavi e per valutarne i relativi costi.
10.6. L’approfondita e meticolosa analisi svolta dall’Autorità, dunque, consente di affermare che il metodo da essa seguito, peraltro di frequente utilizzo per lo sviluppo del modello bottom up, sia dotato di una rappresentatività statistica completa e persuasiva, come ha anche correttamente ritenuto il T.A.R. nell’impugnata sentenza (pp. 44-45).
Le censure di Fastweb, pertanto, non colgono nel segno, essendo la motivazione di AGCOM logica, completa, coerente con il modello bottom up e del tutto rispondente a criteri di corretta campionatura.
11. Con il nono motivo di appello Fastweb sviluppa le proprie censure relative ai parametri di individuazione dei clusters, cioè le 32 categorie in cui sono stati suddivisi i geotipi al fine di individuare i costi unitari, e dei dati input utilizzati per determinare i costi delle infrastrutture e degli apparati.
clusters sono individuati secondo due criteri: la fascia dimensionale e le aree di lavoro, che considerano l’orografia del terreno, la viabilità, il clima, la difficoltà di realizzazione delle opere civili.
Fastweb ha dedotto, al riguardo, l’assoluta mancanza di trasparenza circa i presupposti e i criteri sulla scorta dei quali le aree di lavoro e le fasce dimensionali erano stati individuati.
L’appellante ha lamentato, anzitutto, che la determinazione dei costi, secondo quanto si evincerebbe dal § 35 della delibera n. 578/10/CONS, si fonderebbe esclusivamente sui dati forniti da TI, senza tenere in debito conto profili di efficienza.
Alcune delle variabili considerate, come ad esempio le difficoltà di realizzazione, avrebbero inoltre una connotazione fortemente discrezionale.
Sul metodo di determinazione dei costi dell’infrastruttura e degli apparati risulterebbe che AGCOM si sia fondata sui listini Telecom, sui prezziari di enti pubblici quali il Ministero delle Infrastrutture, la Regione Abruzzo e il Comune di Roma, operando un abbattimento del 20% in considerazione del ribasso medio sulla base d’asta.
Fastweb lamenta l’inadeguatezza dei parametri individuati da AGCOM per misurare il prezzo efficiente e, in particolare, la scarsa rappresentatività degli specifici enti pubblici prescelti e delle basi d’asta, per le quali occorreva far riferimento ai dati dell’Osservatorio dei contratti pubblici.
Il T.A.R. si sarebbe limitato ad affermare la natura discrezionale dei criteri adottati da AGCOM, ritenendo che, sul punto, il suo sarebbe un sindacato debole.
11.1. L’AGCOM oppone che il motivo di appello è infondato, in quanto i costi unitari delle infrastrutture e degli apparati sono stati determinati utilizzando non solo le informazioni risultanti dai listini di TI, ma anche quelle contenute nei listini degli altri operatori di accesso.
La stessa appellante, su invito dell’Autorità, ha fornito informazioni sui costi unitari.
Tali informazioni sono state acquisite dall’Autorità, che le ha considerate insieme a quelle fornite dagli altri operatori.
Tutte le informazioni raccolte sono state poi validate operando dei confronti con i listini delle imprese fornitrici dei servizi necessari per realizzare le infrastrutture (scavi, cablatura) o con i costi unitari utilizzati dai modelli BU-LRIC in altre nazioni.
Con specifico riferimento ai costi delle infrastrutture, inoltre, il suddetto confronto è stato operato anche con i prezziari di vari enti pubblici.
Solo a seguito di tali operazioni l’AGCOM ha individuato i costi unitari di un operatore efficiente da utilizzare nel modello, di cui alcuni sono risultati in linea con quelli riportati da TI, mentre altri sono risultati di gran lunga inferiori a quelli riportati da TI, sicché sono stati efficientati, cioè ridotti, anche del 40%, da AGCOM.
I prezziari presi a parametro dall’Autorità, inoltre, sono stati redatti proprio allo scopo di favorire l’attuazione delle previsioni del d. lgs. 163/2006 e, pertanto, sono totalmente attendibili.
11.2. Anche l’appellata TI ritiene la censura infondata.
Quanto ai clusters, infatti, osserva TI che le centrali oggetto di campionatura sono di proprietà di TI, con la conseguenza che appare logico e ragionevole che AGCOM, per suddividerle all’interno dei 32 clusters, abbia assunto indici dimensionali e tipologici forniti da TI.
Inoltre, osserva l’appellata, tanto il complessivo criterio della fascia dimensionale quanto i tre sottocriteri per l’individuazione delle aree di lavoro si fondano su dati oggettivi, quali per la fascia il numero delle coppie uscenti dalla centrale stadio di linea, per le “aree di lavoro” l’orografia del terreno, la viabilità, il clima.
Nei §§ 33-40 della delibera n. 578/10/CONS viene poi descritta analiticamente la procedura seguita da AGCOM per la determinazione dei costi unitari delle infrastrutture e degli apparati.
La procedura utilizzata per la stima dei prezzi delle opere civili, che prevede la riconciliazione delle informazioni fornite da TI e da alcuni operatori alternativi con i prezziari adottati da alcun enti pubblici, fornisce sufficiente garanzia di trasparenza ed affidabilità dei prezzi delle opere civili.
11.3. Il motivo di appello è infondato.
Deve anzitutto rilevarsi, quanto alla determinazione dei clusters, che il complessivo criterio della fascia dimensionale e i tre sottocriteri per l’individuazione delle aree di lavoro di fondano su dati oggettivi, quali il numero delle coppie uscenti dalla centrale stadio di linea, per la “fascia”, e l’orografia del terreno, la viabilità e il clima per le aree di lavoro.
Dall’analisi della ampia e motivata ricostruzione dell’iter istruttorio percorso da AGCOM, infatti, si evince che l’Autorità ha fatto riferimento ai dati di TI e degli altri operatori di accesso, tra i quali quelli della stessa appellante, e li ha poi confrontati con i prezziari di alcuni enti pubblici, con un’analitica ed attenta verifica dei singoli costi dalla quale è scaturita una pesantissima riduzione, anche oltre il 40%, delle condizioni economiche dei capitolati di TI.
I costi unitari delle infrastrutture e degli apparati, diversamente da quanto sostiene l’appellante, sono stati dunque determinati utilizzando non solo le informazioni provenienti dai listini da TI, ma anche quelle contenute nei listini di altri operatori di accesso.
La disamina dell’Autorità, ad esempio, ha evidenziato che i costi di palificazione, di trincea e di canalizzazione riportati da TI sono in linea con quelli di un operatore efficiente, fatta salva l’applicazione di un coefficiente riduttivo del 20% su quelli di palificazione per tenere conto del ribasso d’asta medio riscontrato in gare d’appalto per questa tipologia di opere.
Come correttamente sostenuto dalla difesa di TI, infatti, proprio l’assunzione dei prezziari dei principali operatori telefonici di rete fissa costituisce la migliore riprova della piena rispondenza del modello a rappresentare effettivamente i costi necessari per approntare una rete di accesso.
Tra i prezziari utilizzati dall’Autorità vi sono, peraltro, anche quelli elaborati a cura del Ministero delle Infrastrutture con la collaborazione della Regione Lazio e del Comune di Roma ed un altro elaborato dalla Regione Abruzzo.
Tali prezziari vengono utilizzati come riferimento dai Comuni per la realizzazione dei lavori edili, tra i quali vi sono anche quelli stradali, che l’appellante lamenta non sarebbero stati presi in considerazione dall’Autorità.
Occorre peraltro considerare che, come viene evidenziato nel § 38 della delibera n. 578/10/CONS, ai prezzi risultanti dai prezziari sono state applicate dall’Autorità, nei casi in cui ciò risultasse giustificato, le dovute riduzioni, anche del 20%, per tener conto del ribasso d’asta medio riscontrato in gare di appalto previste per questo tipo di servizio.
La motivazione della delibera appare logica, sorretta da adeguata ed approfondita istruttoria, e coerente con i costi di un operatore efficiente.
La sentenza impugnata, pertanto, ha correttamente rilevato che non possa essere revocata in dubbio l’affidabilità dei dati utilizzati dall’Autorità per la determinazione dei clusters, sicché essa resiste alla critica sul punto mossale dall’appellante.
12. Oggetto del decimo motivo di censura, da parte di Fastweb, è anche il metodo di determinazione del canone ULL.
Il canone del servizio ULL, come sopra si è già avuto modo di chiarire, è stato determinato sulla base di tre componenti di costo:
1) i costi di rete;
2) i costi di commercializzazione;
3) i costi di manutenzione correttiva.
La delibera n. 731/09/CONS aveva stabilito che tutti i costi riferibili al canone ULL si sarebbero dovuti determinare attraverso l’applicazione del modello BU-LRIC.
Deduce tuttavia l’appellante che la delibera n. 578/10/CONS, in realtà, si sarebbe discostata da tale paradigma in quanto per i costi di commercializzazione e di manutenzione non è stato costruito alcun modello.
I costi, quanto a importi e struttura, sono stati ricavati dai dati forniti da TI.
Le operazioni, i tempi e i costi della manutenzione correttiva ricalcano la struttura di TI, addirittura nel modo in cui essa risulta fotografata dalla vecchia delibera n. 14/09/CIR.
Lo stesso varrebbe per i costi di commercializzazione, determinati mediante l’applicazione dello stesso mark up del 7% definito con la delibera n. 14/09/CIR.
L’errore metodologico commesso dall’AGCOM sarebbe stato stigmatizzato anche dalla Commissione Europea, che aveva avvertito che utilizzare i costi storici effettivamente sostenuti da TI poteva comportare il rischio di introdurre nel modello le inefficienze dell’operatore dominante, sì da impedire di raggiungere condizioni di effettiva efficienza.
12.1. Secondo il T.A.R. ai dati di TI sarebbero stati apportati i dovuti efficientamenti, applicando così un metodo che si pone in linea con il modello bottom up, senza che possano rilevarsi contraddizioni di sorta.
Il ragionamento del giudice di prime cure, secondo l’appellante, sconterebbe un errore di fondo, in quanto reputerebbe corretto l’approccio dell’AGCOM rispetto al modello BU-LRIC solo perché il costo contabile sarebbe stato oggetto di efficientamenti, mentre l’Autorità, in coerenza col modello, avrebbe dovuto prima ricostruire i costi di manutenzione e di commercializzazione di un ipotetico operatore e poi, eventualmente, confrontarli con i dati contabili.
A sostegno di tale assunto l’appellante precisa che dalla stessa contabilità regolatoria certificata del 2010, resa pubblica dopo l’adozione della delibera, risulta che i costi commercializzazione OLO per la linea ULL sono pari a 0,39 cent/euro/mese per linea ULL, importo di gran lunga inferiore a quello di 0,60 cent/euro/mese considerato da AGCOM, sicché il costo “efficiente” dei costi di commercializzazione calcolato da AGCOM è addirittura superiore ai costi effettivi non efficientati dichiarati dalla stessa TI.
12.2. L’appellata AGCOM ha rilevato, in senso contrario all’avversaria censura, che la Commissione non avrebbe contestato l’approccio adottato dall’Autorità, basato sull’efficientamento dei costi di rete, di manutenzione e commerciali dell’operatore dominante, ma si sarebbe limitata a sottolineare che i costi dell’operatore storico verticalmente integrato devono essere introdotti in un modello BU-LRIC “con cautela”.
In risposta a tale osservazione l’Autorità ha chiarito di non avere inteso far ricorso ad informazioni di costo riportate nella contabilità regolatoria di TI se non quale valore di partenza, rideterminato successivamente in ragione di un livello di efficienza ritenuto adeguato alla rete modellata.
AGCOM, nel riconfermare la metodologia adottata, ha condotto un ulteriore esercizio di riconciliazione, dettagliatamente descritto nei §§ 278-282 della delibera n. 578/10/CONS, dalla quale si evince che i costi di manutenzione stimati sono nel loro complesso allineati a quelli derivanti da modelli economici sviluppati da altre Autorità, spesso assunte quali best practices in campo internazionale.
12.3. Anche l’appellata TI ha opposto le medesime argomentazioni, contestando il rilievo che la delibera n. 578/10/CONS abbia pedissequamente assunto, quale base del modo di rilevazione dei costi in questione, i dati contabili di TI, in quanto ha sottolineato che TI ha costruito i costi di manutenzione secondo un autonomo modello.
12.4. Il motivo di appello è infondato.
Ancora una volta l’appellante contesta, infondatamente, la metodologia BU-LRIC con approccio scorched node utilizzato da AGCOM, che invece appare il più idoneo alla ricostruzione di un modello orientato ai costi, come si è già avuto modo di osservare.
Diversamente da quanto ritiene l’appellante, poi, l’AGCOM non ha fatto ricorso ad informazioni di costo riportate nella contabilità regolatoria di TI, ma ha stimato i costi di manutenzione secondo i costi di manutenzione di un autonomo modello (§ 275 della delibera n. 578/10/CONS), ribadendo di non aver utilizzato i costi sostenuti dalla divisione wholesale di TI né di averli stimati sulla base dell’offerta di riferimento della medesima società.
All’invito, rivoltole dalla Commissione Europea, di adoperare i dati contabili di TI “con cautela”, infatti, l’Autorità non ha mancato di rispondere, con motivazione logica, coerente e sorretta da adeguata istruttoria, che il suo approccio ha preso le mosse dai dati di TI solo come punto di partenza per poi sviluppare un modello di costi del tutto autonomo, improntato all’ipotesi di un operatore efficiente.
I risultati sono stati ulteriormente validati da un esercizio di riconciliazione, condotto dall’Autorità, confrontando il proprio modello con quello danese e svedese, e verificandone, con esito positivo, la conformità agli standards internazionali.
Come ha correttamente ritenuto l’impugnata sentenza, dunque, l’AGCOM ha proceduto mediante il medesimo approccio integrato evincibile anche ad altri fini, onde connotare di coerenza tutto l’impianto metodologico.
Non è nemmeno esatto affermare, come fa l’appellante, che la delibera n. 578/10/CONS abbia copiato le risultanze della precedente delibera n. 14/09/CONS, poiché essa ha ridotto gli oneri di manutenzione del 18% e il mark up dei costi commerciali di circa il 7% rispetto a quanto stabilito nella delibera del 2009, secondo il criterio, ritenuto coerente da questo Consiglio (sent. 2439/2011), del “parametro dell’efficientamento”.
13. L’appellante censura, con l’undicesimo motivo, la determinazione del costo di manutenzione correttiva e del costo della manodopera.
Il costo della manutenzione correttiva, per determinare il canone ULL, è stato calcolato da AGCOM, nella delibera n. 578/10/CONS, come prodotto tra il costo orario della manodopera dichiarato da TI, il tasso di guasto delle linee ULL dichiarato da TI e del tempo stimato per l’intervento di riparazione del guasto.
Fastweb deduce che, in sede di consultazione, gli OLO hanno fornito riscontri oggettivi della circostanza che il costo orario della manodopera preso come riferimento da AGCOM era del tutto fuori mercato ed era, comunque, molto più elevato del costo reale sopportato da TI.
Gli operatori hanno spiegato, in quella sede, che è invalsa la prassi di esternalizzare a ditte terze l’effettuazione di ogni intervento di manutenzione.
I contratti con questi soggetti, denominati system unici, prevedono tariffe flat, onnicomprensive, che remunerano tutti gli interventi necessari alla manutenzione e prescindono, pertanto, dal numero di ore, dal numero effettivo di interventi, dal costo orario della manodopera.
Il costo calcolato da AGCOM, insomma, sarebbe sbagliato, in quanto non in linea con quello di mercato e addirittura superiore al costo reale pagato da TI, giacché i contratti di system dovevano essere almeno considerati come parametro di individuazione del costo efficiente.
13.1. L’appellata Autorità, nella propria memoria difensiva, ha ribadito le argomentazioni svolte nei § 275 della delibera n. 578/10/CONS, osservando, in risposta ai rilievi della Commissione, di avere esaminato le informazioni ricevute già in fase di consultazione nazionale circa i contratti stipulati dagli OLO con i fornitori di servizi di system unico, quali proxy dei costi sostenuti dall’operatore dominante, e di averli ritenuti parziali rispetto al complesso dei dati sui quali si basa il modello adottato e, inoltre, contrastanti con la logica dell’approccio prescelto e con le raccomandazioni della Commissione, che induce a tener conto dei dati relativi ad un soggetto diverso dall’operatore dominante.
13.2. Analoghe argomentazioni ha svolto anche l’altra appellata TI, rilevando come Fastweb non abbia confutato seriamente le argomentazioni addotte dall’Autorità.
13.3. Il motivo è fondato.
Il T.A.R. è anzitutto incorso, sul punto, in un evidente vizio di omessa motivazione, nonostante Fastweb avesse espressamente sollevato, in prime cure, la relativa questione.
La delibera n. 578/10/CONS mostra una motivazione insufficiente e illogica, nella parte in cui, pur mostrandosi consapevole dell’esistenza delle tariffe flat, non le prende in considerazione ai fini di una riduzione dei costi di manutentivi e ciò proprio al fine di porre in essere un ulteriore esercizio di riconciliazione che le consenta di adeguare e ricondurre i costi, calcolati sulla base di ipotesi economiche, alla realtà effettuale, proprio per evitare il rischio che il modello, finendo per peccare di astrattezza, giunga a conclusioni aberranti e persino contrarie alla finalità che si propone, quella, cioè, di simulare una rete efficiente e costi ad essa ragionevolmente parametrati.
L’esistenza di tali tariffe, pur nota all’Autorità, è da essa considerata scarsamente rilevante perché, come si evince dalla lettura della delibera n. 578/10/CONS, i dati forniti dagli OLO sarebbero parziali, ma sul punto l’Autorità ha omesso qualsivoglia accertamento istruttorio e, conseguentemente, qualsiasi approfondimento motivazionale capace di spiegare se e in che misura simili contratti, impiegati da TI, avrebbero potuto condurre ad una incisiva riduzione dei costi di manutenzione, proprio in un’ottica di efficienza, mediante l’applicazione di tariffe forfetarie per gli interventi sulla rete.
13.4. La motivazione dell’AGCOM, sul punto, appare dunque carente e illogica, sicché la delibera impugnata deve essere annullata, laddove non ha adeguatamente valutato, anche all’esito di puntuale istruttoria, l’incidenza effettiva di tali contratti sui costi di manutenzione, in un esercizio di “riconciliazione” con la realtà mirante quanto meno a scongiurare il rischio che i costi ipotizzati dal modello addirittura superino i costi “efficientati” con simili contratti dagli operatori reali e, in particolare, da TI.
La delibera impugnata e il giudice di prime cure non hanno tenuto in debito conto, nella prospettiva del modello ispirato al c.d. bottom up, il dato del reale tasso di guasto risultante dai contratti stipulati dai gestori a condizioni forfetarie con terze imprese, tasso che ammonterebbe al 12%.
Il contestato provvedimento non dà conto delle ragioni per le quali tali contratti non siano stati presi adeguatamente in considerazione per valutare un efficientamento dei costi ipotizzati, che sembrerebbero essere superiori a quelli reali e, dunque, contrastanti con il criterio di efficienza che dovrebbe ispirare il modello adottato dall’Autorità.
Il motivo di appello, articolato da Fastweb, deve quindi essere accolto in riferimento alla insufficiente ed illogica motivazione in ordine alla mancanza di qualsivoglia approfondita istruttoria e di convincente motivazione sull’effettiva incidenza dei contratti flat sui costi di manutenzione presi in considerazione dal modello, sicché AGCOM sarà chiamata a valutare analiticamente tali contratti per verificare se essi, quand’anche coprano solo in parte i costi di manutenzione della rete nel suo complesso, incidano su tali costi, abbattendoli comunque in misura significativa.
14. Con il dodicesimo motivo di appello Fastweb ha censurato il valore eccessivamente elevato del tasso di guastabilità individuato da AGCOM.
Il valore – addirittura efficientato – è pari al 20,5% (§ 186 della delibera n. 578/10/CONS).
Il metodo di AGCOM è sottoposto a critica dall’appellante in quanto contraddittorio perché prende per base non la realizzazione di una rete efficiente a costi correnti, con un tasso di guasto assai basso, ma il tasso di guasto della vecchia rete di TI, peraltro adottando un tasso assai superiore al tasso reale della rete TI, dato che questa si avvale dei già menzionati contratti con system unici, con tariffa flat calcolata sul tasso di guasto di rete pari al 12%.
L’AGCOM e il T.A.R., sulla sua scorta, avrebbero del tutto trascurato tale rilievo.
Il tasso di guasto, dichiarato da TI ai fini delle verifiche di qualità per i 2012, è pari al 12,964%, come risulta dalla delibera n. 679/11/CNS.
Si tratta, dunque, di valori sensibilmente più bassi rispetto al tasso di intervento utilizzato per valorizzare il prezzo del canone ULL secondo la delibera 578/10/CONS.
14.1. L’AGCOM, nella propria memoria difensiva, fa osservare che il riferimento ad una rete efficiente non significa l’assenza di guasti e di interventi manutentivi, ma comporta al contrario l’esigenza di investimenti adeguati e di interventi pronti ed immediati, che si tradurrebbero in costi corrispondenti.
Il dato utilizzato dall’AGCOM non è costituito dal tasso di guasto, ma dal tasso di intervento.
Tale distinzione, che non sarebbe stata correttamente colta dall’appellante, è assai rilevante perché concerne parametri difficilmente comparabili, riguardando il tasso di guasto la frequenza di guasti che compromettono il funzionamento della rete fisica, determinando un disservizio per il cliente finale, e il tasso di intervento la frequenza degli interventi dei tecnici per ripristinare la funzionalità della rete in relazione ad un determinato servizio erogato su quella linea (fonia e/o ADSL) ed è quindi invariabilmente superiore al tasso di guasto.
L’AGCOM, pur confermando la necessità di tener conto anche degli interventi ripetuti ai fini della soluzione di un singolo guasto, in quanto parte del complesso delle operazioni che sono necessarie a mantenere un adeguato livello di funzionamento della rete di accesso, ha approfondito l’entità della ridondanza dovuta agli interventi ripetuti e, al fine di incentivare TI a rendere ulteriormente più efficiente la propria rete, ha ritenuto opportuno, in fase di consultazione pubblica nazionale, ridurre di due punti percentuali il tasso di intervento originariamente proposto per il 2012, portandolo da un valore di 22,5% ad un valore di 20,5%, con una conseguente riduzione dei costi di manutenzione correttiva.
Tale ulteriore efficientamento, ad avviso dell’appellata AGCOM, sarebbe infatti dovuto proprio alla necessità di ridurre l’impatto degli interventi ripetuti a fronte dei guasti sulla stessa linea.
14.2. Analoghe considerazioni ha sviluppato anche TI nella propria memoria.
L’appellata TI contesta, anzitutto, che alcuni provvedimenti successivi della stessa AGCOM, come le delibere n. 71/11/CONS e n. 679/11/CONS, e i contratti stipulati con ditte terze proverebbero l’erroneità del tasso di interventi stabilito dalla delibera n. 578/10/CONS, dimostrando che il tasso reale di guasto di TI sarebbe pari a circa il 12-13%.
TI contesta, infatti, l’assimilazione che l’appellante istituisce tra tasso di guasto e tasso di intervento, ribadendo, come aveva già fatto AGCOM nelle proprie difese, che si tratta di grandezze che misurano dati differenti e che non sono, quindi, comparabili.
La delibera n. 578/10/CONS ha correttamente ritenuto, quindi, che il tasso di intervento calcolato dall’Autorità sia difficilmente confrontabile con i tassi di guasto riportati dagli OLO (§ 183) e, per rispondere compiutamente ai rilievi della Commissione Europea, ha effettuato un supplemento di istruttoria mediante le “metodologie applicate in due modelli di pubblico dominio”, ossia quello svedese e danese.
Sottolinea TI come non sia corretto affermare, come pretende l’appellante, che il tasso di guastabilità, in una rete nuova ed efficiente, dovrebbe tendere allo zero, quando sono stati gli stessi OLO, in sede di consultazione, a far riferimento alla “best practice” europea, che registra tassi di guasto tra il 10% e il 16%.
Nemmeno la delibera n. 71/11/CONS e la delibera n. 679/11/CONS, invocate da Fastweb, dimostrerebbero l’incoerenza della delibera impugnata, in quanto si tratterebbe di provvedimenti aventi finalità diversa, riguardando i disservizi che pregiudicano completamente l’uso della rete e che, come tali, impattano sulla qualità del servizio percepita dall’utente finale, mentre la delibera n. 578/10/CONS remunererebbe gli interventi resi da TI per risolvere tutti i disservizi sulle linee di accesso, anche quelli che non sono percepiti dall’utente, come, ad esempio, un rallentamento della velocità di internet.
Il provvedimento del 2011 indica un tasso di guasto pari al 15,1 % e considera, quindi, solo gli interventi on field e, cioè, quelli eseguiti in loco dai tecnici, interventi che, come detto, non esauriscono la gamma degli interventi.
Non sarebbe poi nemmeno vero, infine, che la delibera impugnata abbia ignorato i contratti di manutenzione con tariffe flat prodotti dagli OLO.
AGCOM, al contrario, afferma di aver esaminato le informazioni circa i contratti stipulati dagli operatori alternativi quale proxi dei costi sostenuti dall’incumbent(§ 275 della delibera n. 578/10/CONS), ma ritiene che essi siano di limitata utilità, in quanto parziali, poiché si riferiscono ad attività di manutenzione che possono rendersi necessarie in sede di attivazione dei servizi (c.d. provisioning), mentre il tasso in questione non è limitato a tale specifica fase e include, invece, gli interventi realizzati da TI durante l’intera fase di vita della linea.
14.3. Il motivo di appello – se si eccettua quanto rilevato, supra, al § 13 in ordine ai contratti di system unico – deve essere respinto.
Come bene ha rilevato il giudice di prime cure, infatti, il tasso di guasto e il tasso di intervento sono due misure differenti e non assimilabili.
Il tasso di intervento, anche se rapportato all’ipotetica rete di un operatore efficiente, rappresenta un valore sempre superiore al tasso di guasto, in quanto tiene conto del malfunzionamento relativo ai singoli servizi che sono forniti sulla linea.
Il tasso di guasto non costituisce, dunque, un valore rilevante per il modello, il cui fine è quello di quantificare i costi complessivi di manutenzione della rete e non di misurare la qualità del servizio reso al cliente finale.
Non è del resto nemmeno esatto affermare, come fa l’appellante Fastweb, che una rete efficiente non sia soggetta a guasti e, conseguentemente, ad interventi manutentivi, poiché anche una rete efficiente può essere soggetta a guasti determinati dalle cause più varie, anche indipendenti dalla novità o dall’obsolescenza di rete.
L’efficienza ipotizzata dal modello non equivale, del resto, a perfezione della rete per la semplice ragione che un modello economico, come quello in questione, non può comunque fondarsi su considerazioni del tutto astratte e irrealistiche, che rischiano di perdere qualsivoglia legame di verificabilità rispetto al dato empirico, che non conosce in rerum natura una rete del tutto esente da interventi manutentivi.
Certamente una rete efficiente, come sostiene l’appellante, vede ridurre quanto più è possibile gli interventi di manutenzione, ma non al punto tale da rendere tale dato scarsamente significativo, considerando che gli stessi OLO, in sede di consultazione, hanno fatto riferimento alla best practice europea, che registra anche tassi di guasto pari al 10% e al 16%, secondo quanto si evince proprio dalla lettura della contestata delibera n. 578/10/CONS (§ 172), ma in nessun caso, ovviamente, è pari a 0.
14.4. Non è condivisibile nemmeno l’altro argomento dell’appellante, secondo la quale il tasso di guasto e il tasso di intervento tendono a coincidere, quanto meno per gli interventi in loco (c.d. on field), poiché un sistema efficiente, quale quello ipotizzato dal modello AGCOM, dovrebbe consentire di riparare un guasto con un intervento, né risponde al vero che l’equazione tasso di guasto = tasso di intervento sarebbe stata recepita, peraltro, anche dalla delibera n. 71/11/CONS.
Correttamente la sentenza impugnata ha fatto rilevare che i due tassi non sono equivalenti né comparabili, perché misurano grandezze diverse.
Bene ha rilevato il primo giudice, infatti, che il tasso di guasto, individuato dalla Delibera n. 71/11/CONS, concerne i soli disservizi che pregiudicano completamente l’uso della rete e che, come tali, impattano sulla qualità del servizio percepita dall’utente finale.
La delibera n. 578/10/CONS, al contrario, deve remunerare gli interventi resi da TI per risolvere tutti i disservizi sulle linee di accesso, anche quelli che non sono percepiti dagli utenti finali, come, ad esempio, un rallentamento della velocità di connessione ad internet.
Inoltre, come fanno correttamente rilevare le difese delle parti appellate, il provvedimento del 2011, che indica un tasso di guasto pari al 15,1%, considera soltanto gli interventi on field e, cioè, quelli eseguiti in loco dai tecnici, i quali non esauriscono certamente la gamma degli interventi possibili e preventivabili, ove si consideri il pur non esiguo numero di interventi effettuati da remoto.
Il tasso di guasto, riguardando la problematica dal lato della clientela finale (retail), non è dunque un indice che possa essere posto a base del calcolo per i costi da considerarsi sul versante wholesale, che devono essere ancorati al tasso di intervento, come ha legittimamente ritenuto la delibera n. 578/10/CONS e, in primo grado, il T.A.R.
Il riferimento dell’impugnata sentenza al tasso di intervento appare corretto, pertanto, dato che un guasto può richiedere anche più interventi e che vi sono interventi che non nascono da una segnalazione di un guasto, da parte degli utenti, e che quindi non sono inclusi nel tasso di guasto.
15. Con il tredicesimo motivo di appello Fastweb contesta la delibera n. 578/10/CONS nella parte in cui ha modificato la formula del tasso di rendimento del capitale (WACC), includendovi alcuni oneri finanziari ai fini della deducibilità IRES, con l’effetto di provocarne l’aumento.
L’appellante ha censurato sotto diversi profili tale decisione.
In particolare ha lamentato che, nella logica BU-LRIC, AGCOM avrebbe dovuto stimare il WACC non con riferimento ad una situazione concreta, bensì con riguardo alle circostanze, anche finanziarie, ragionevolmente riferibili ad un operatore efficiente.
Fastweb ha altresì denunciato, al di là della formula e del metodo utilizzato per ricavarla, la sovrastima di altri parametri, posti a fondamento del WACC: il coefficiente di rischio, c.d. valore beta, sovrastimato prendendo a riferimento il (più elevato) rischio riconducibile all’azienda TI complessivamente considerata e non quello, più basso, della sola divisione rete di accesso, che costituisce l’azienda di riferimento per i fini in questione; il valore del debito, sovrastimato in quanto influenzato dalla specifica struttura finanziaria dell’operatore dominante, chiaramente sbilanciata verso il debito; l’equity risk premium, sovrastimato impiegando metodiche che condurrebbero ad una sovrastima dello stesso senza apportare alcun correttivo al valore così ottenuto.
15.1. Il T.A.R. si sarebbe limitato a far riferimento alla delibera n. 731/08/CONS, dove era annunciata una revisione del metodo di calcolo del WACC, per adeguarlo alle modifiche normative in tema di reddito di impresa, e al § 243 della delibera n. 578/10/CONS, dove verrebbe data un’ampia spiegazione della scelta operata al riguardo.
La sentenza sulla specifica questione paleserebbe, secondo l’appellante, un vizio di motivazione, censurata come perplessa ed insufficiente.
15.2. L’appellata AGCOM evidenzia, sul punto, di aver dovuto necessariamente modificare la formula per il calcolo del WACC rispetto a quella utilizzata nei precedenti periodi di regolazione.
Tale decisione, lungi dal basarsi su presunti mutamenti del quadro di riferimento, terrebbe conto di oggettivi e tangibili modifiche in materia di reddito di impresa apportate dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) che impedirebbero di utilizzare la formula classica per il calcolo del WACC.
15.3. A sua volta l’appellata TI, nel difendere la motivazione del giudice di prime cure dalla censura di essere “insufficiente” e “perplessa”, sottolinea come AGCOM abbia correttamente rideterminato il WACC sulla base del dato normativo sopravvenuto e che, nel farlo, ha fatto riferimento ad una struttura finanziaria riferibile ad un operatore efficiente che, di fatto, “non” era “sostanzialmente” diversa da quella di TI (§ 241 della delibera n. 578/10/CONS).
Ha evidenziato inoltre TI che la definizione di un WACC unico parametrato sull’intero perimetro aziendale di TI rientra nella prassi regolatoria comune a diverse Autorità europee, confutando peraltro la critica, mossa dall’appellante alla delibera, di aver sovrastimato il valore del debito per via del riferimento alla situazione finanziaria di TI in luogo di quella del gestore efficiente, poiché la struttura finanziaria di TI (c.d. gearing ratio) è coerente con il dato europeo, risultando quindi allineata alla struttura finanziaria di un operatore efficiente.
15.4. Il motivo di appello è infondato.
L’impugnata sentenza ha ritenuto corretta la decisione e completa la motivazione della delibera n. 578/10/CONS, limitandosi ad osservare, seppur con motivazione alquanto sintetica, che nel § 243 della stessa “viene data ampia spiegazione della scelta operata al riguardo”, con conseguente reiezione del motivo proposto da Fastweb.
La valutazione espressa dal giudice di prime cure è condivisibile.
L’Autorità ha convincentemente spiegato, nel citato § 243, che la nuova formula del WACC proposta è “idonea a risolvere il problema del differente regime fiscale del reddito d’impresa ed a calcolare correttamente il pre-tax WACC di un operatore di telecomunicazioni”.
Peraltro proprio la considerazione dell’IRES, come si legge nella nota 28 della delibera n. 578/10/CONS, “riduce di fatto il costo del debito” – ossia gli oneri rispecchiati poi nelle tariffe di accesso – anziché incrementarlo, come lamentato invece dall’appellante.
Non è poi corretto quanto sostenuto da Fastweb e, cioè, che la delibera abbia ignorato il parametro del gestore efficiente.
Al contrario, avvalendosi della collaborazione del consulente esterno, AGCOM ha “fatto riferimento ad una struttura finanziaria nozionale (ossia, riferita ad un operatore efficiente)” che, di fatto, “non” era “sostanzialmente” diversa da quella di TI (§ 241 della delibera n. 578/10/CONS).
In ogni caso la metodologia utilizzata da AGCOM appare in grado di far fronte ai problemi derivanti da un eventuale scostamento tra la struttura finanziaria di TI e la struttura finanziaria nozionale.
La definizione di un WACC unico parametrato sull’interno perimetro aziendale di TI rientra nella prassi regolatoria, poiché la stima di tanti tassi di rischio quante sono le attività svolte da TI sarebbe stata di difficile implementazione.
Le numerose assunzioni che si renderebbero necessarie a tal fine, a parere dell’Autorità, potrebbero compromettere la significatività della stima stessa” (delibera n. 578/10/CONS, § 250).
Deve poi rilevarsi che la struttura finanziaria di TI (gearing ratio) è coerente con il dato europeo, come ha sottolineato l’impugnata delibera, sicché la stima del premio per il debito effettuata dall’Autorità è coerente con la struttura finanziaria di un operatore efficiente e in linea con i risultati ottenibili sulla base dell’analisi proposta da Wind (delibera n. 578/10/CONS, § 250).
Anche il valore dell’ERP determinato da AGCOM è quello “indicato nello studio di Dimson et al. del 2007 che rappresenta lo studio maggiormente utilizzato per determinare il valore dell’ERP in ambiti accademici” (delibera n. 578/10/CONS, § 253).
Ne segue che la motivazione della delibera appare, sul punto, completa, logica, coerente con il modello adottato.
16. Con il quattordicesimo motivo di appello Fastweb ha lamentato l’illegittimità dell’art. 3 della delibera n. 578/10/CONS anche nella parte in cui essa fissa prezzi sensibilmente differenti per il WLR destinato alla clientela affari e per il WLR destinato all’utenza domestica.
La differenza viene censurata come inspiegabile perché del tutto identica sarebbe la struttura di costo relativa alle attività sottostanti all’erogazione del servizio.
Tale era stato anche il rilievo effettuato, in sede europea, dalla Commissione che aveva richiesto ad AGCOM di spiegare quali servizi tecnologici implicavano, precisamente, un simile differenziale di prezzo.
Nel § 303 della delibera n. 578/10/CONS AGCOM, pur riconoscendo la sostanziale omogeneità dei costi sottostanti ad entrambi i servizi WLR destinati alle due categorie di clienti, ne ha fatto discendere un allineamento dei prezzi solo a partire dal 2012.
L’appellante deduce che il prezzo avrebbe dovuto essere corretto immediatamente, in contrasto con quanto affermato da AGCOM e ritenuto dal T.A.R. che, invece, ha ritenuto tale soluzione coerente con un approccio graduale alla logica dei prezzi efficienti.
16.1. AGCOM, nella propria memoria difensiva, assume che tale censura sia priva di fondamento, ritenendo corretto adottare un percorso graduale anche per l’allineamento dei prezzi del servizio WLR al 2012 per la clientela residenziale e non residenziale.
16.2. Anche TI sottolinea che AGCOM, con la delibera n. 578/10/CONS, recependo le osservazioni critiche della Commissione europea, ha stabilito la loro equiparazione nel 2012, ossia al termine del periodo di applicazione del meccanismo di network cap.
AGCOM avrebbe quindi stabilito un percorso di graduale avvicinamento senza stravolgere le preesistenti condizioni economiche.
16.3. Il motivo di appello è fondato.
La scelta regolatoria di AGCOM si rivela del tutto illogica e contrastante con il dato, incontestabile, della sostanziale omogeneità dei costi sottostanti ad entrambi i tipi di servizi, residenziale e business, come riconosce la stessa Autorità nel § 303 della delibera n. 578/10/CONS.
La delibera non spiega le ragioni per le quali gli OLO dovrebbero sostenere un prezzo differente per servizi che, già nello stesso triennio di riferimento (2010-2012), presuppongono lo stesso costo per TI, che vedrebbe corrispondersi un canone più elevato e non dovuto in relazione al servizio WLR business.
La gradualità nell’approccio, diversamente da quanto ha ritenuto il T.A.R. nell’impugnata sentenza (p. 51), non appare motivazione sufficiente e adeguata a giustificare tale scelta, posto che è del tutto irragionevole invocare una gradualità all’equiparazione dei due prezzi quando i costi sottostanti sono già uguali.
Tale misura si rivela distonica dal modello BU-LRIC dalla stessa AGCOM adottato, che si basa su un sistema che ha nell’efficienza dei costi il suo asse portante, sicché non è dato comprendere per quale motivo, anche negli anni 2010-2011, gli OLO dovrebbero pagare due prezzi diversi per servizi che hanno gli stessi costi già nello stesso periodo di riferimento senza una plausibile giustificazione economica, dovendo attendere il 2012 per vederli finalmente parificati.
La sentenza appellata, dunque, deve essere riformata e la delibera impugnata deve essere annullata nella parte in cui ha mantenuto, senza razionale e, comunque, comprensibile giustificazione, la differenza tra i prezzi dei due servizi.
17. Con il quindicesimo motivo di appello Fastweb ha inteso contestare il meccanismo di verifica della qualità deciso dall’Autorità nella delibera n. 578/10/CONS.
Premette l’appellante che gli ingenti aumenti dei prezzi approvati da AGCOM, a norma dell’art. 5 della delibera n. 578/10/CONS, sono subordinati al positivo superamento di una verifica diretta ad attestare la realizzazione di alcune specifiche condizioni relative alla qualità della rete TI.
La Commissione Europea, con la nota di osservazioni alla delibera prot. SG-Greffe (2010) D/165768 del 21.10.2010, ha precisato che il meccanismo prefigurato da AGCOM non può funzionare in assenza di una dettagliata specificazione e quantificazione, ex ante, degli indicatori di qualità che dovrebbero essere rispettati.
L’AGCOM, al § 284 della delibera n. 578/10/CONS, dichiara di aver dato seguito alle osservazioni della Commissione, ma in una forma che, ad avviso dell’appellante, sarebbe tanto blanda ed elastica da essere elusiva delle citate raccomandazioni.
Se nel modello BU-LRIC il costo della rete viene calcolato ipotizzando i costi di una rete efficiente costruita ex novo e, quindi, si determina un costo superiore ai costi effettivi sostenuti da TI, dovrà esserci un beneficio in termini di minore guastabilità della stessa e quindi, minori costi di riparazione dei guasti, dei quali gli operatori dovrebbero beneficiare.
Sostiene l’appellante, in sintesi, che sarebbe illogico imporre un miglioramento della qualità, negli anno 2011 e 2012, e poi non fare in modo che tale aumento della qualità influisca sui costi di manutenzione della rete, riducendoli, e quindi anche sui prezzi praticati da TI agli OLO.
Il sistema rivelerebbe insomma, secondo l’appellante, un’intima contraddittorietà.
17.1. Il T.A.R., nel confermare la validità della decisione adottata dall’Autorità, ha ritenuto legittima la scelta di ancorare i parametri per la valutazione di qualità al mantenimento dei livelli quantitativi con riferimento, per il 2010, al 2009, giustificandola con il fatto che la delibera n. 578/10/CONS è entrata in vigore sul finire del 2010 e che, quindi, non sarebbe più realizzabile per tale anno il conseguimento di obiettivi in materia.
L’appellante lamenta che, così statuendo, il giudice di primo grado non avrebbe colto il senso della propria doglianza, diretta ad evidenziare l’eccessiva genericità dei parametri di qualità, una certa “ambiguità” (p. 42 del ricorso in appello) nella formulazione degli obiettivi, la scarsa chiarezza dei fatti da prendere in considerazione per applicare le percentuali di riduzione dei KO di rete e, più in generale, l’intima contraddittorietà di tutto il meccanismo congegnato dall’Autorità.
17.2. AGCOM oppone che il motivo di appello è inammissibile, incidendo su determinazioni manifestamente discrezionali, e comunque anche nel merito privo di pregio.
Se è vero infatti, sostiene l’appellata, che riducendo i tassi di guasto TI consegue un risparmio sui propri costi di manutenzione correttiva, è altrettanto vero che tale risparmio si ottiene attraverso un investimento che TI è tenuta a fare per migliorare le prestazioni della propria rete, con la manutenzione preventiva, proprio al fine di ridurre gli eventi ex post in caso di guasto.
Quanto agli obiettivi fissati per il conseguimento di prezzo per l’anno 2012, a torto definiti “blandi” da Fastweb, AGCOM evidenzia che i valori previsti dalla delibera n. 578/10/CONS appaiono tutt’altro che esigui ed inefficaci rispetto al fine di garantire un miglioramento della qualità della rete di TI, poiché essi, in primo luogo, risultano coerenti con un processo necessariamente caratterizzato da incrementi decrescenti e, in secondo luogo, sono stati definiti all’esito di una analisi accurata degli andamenti storici dei corrispondenti indicatori di qualità.
17.3. Anche TI ha dedotto l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza della censura sollevata sul punto da Fastweb, facendo rilevare come Fastweb non abbia contestato in alcun modo, al di là di generiche e indeterminate critiche, le diffuse e molteplici argomentazioni spese dall’Autorità per giustificare la definizione puntuale degli indicatori e dei relativi valori obiettivo.
Ricorda TI che essa, in sede di consultazione, si era opposta alla determinazione di subordinare gli aumenti tariffari al rispetto di parametri qualitativi da parte sua, ma che AGCOM aveva infine accolto le istanze a tal fine avanzate dagli OLO e, proprio per questo, l’Autorità aveva individuato parametri di riferimento già disponibili come i traguardi di qualità raggiunti nel 2008-2009 o nel 2009-2010.
17.4. Il motivo di appello è infondato.
In sede di consultazione AGCOM, recependo le osservazioni degli OLO, ha ritenuto che la soluzione di condizionare gli aumenti dei prezzi previsti dal modello alla verifica delle prestazioni sia coerente con l’approccio BU-LRIC, in quanto incentiva al miglioramento della qualità e dell’efficienza della rete di accesso.
La trasparenza dei criteri da utilizzarsi per effettuare le operazioni di verifica è in grado, infatti, di apportare comunque i vantaggi in termini di certezza regolamentare associati al meccanismo di programmazione pluriennale dei prezzi.
Si sono privilegiati, in quest’ottica, quegli indicatori maggiormente coerenti con la metodologia del modello, correlati alla qualità e all’ammodernamento della rete di accesso in rame, e per i quali vi sono sia una metodologia di misurazione, sia informazioni quantitative che rendono possibile una tempestiva attività di verifica.
Con riferimento degli indicatori l’Autorità ha ragionevolmente ritenuto di individuarli nel KO di rete e nel tasso di guasto.
Le motivazioni espresse dall’Autorità nei §§ 235-237 della delibera n. 578/10/CONS appaiono logiche, complete, e del tutto coerenti rispetto al modello adottato, a fronte delle censure dell’appellante che, per il loro carattere di eccessiva astrattezza e genericità, non muovono alcuna puntuale e convincente critica alle concrete scelte adottate con riferimento al KO di rete e al tasso di guasto.
La sentenza impugnata, per quanto abbia espresso al riguardo una motivazione non del tutto pertinente ai motivi di critica sollevati da Fastweb, resiste quindi alla censura riproposta con il quindicesimo motivo di appello.
18. Con il sedicesimo motivo di appello Fastweb contesta, più radicalmente, l’idea di fondo ispiratrice della delibera n. 578/10/CONS, laddove AGCOM afferma e persegue l’obiettivo di incentivare l’infrastrutturazione degli OLO.
Il segnale make or buy, imposto dalla delibera n. 578/10/CONS, non sarebbe corretto perché si porrebbe in contrasto con le risultanze dell’analisi di mercato, compiuta dalla precedente delibera n. 314/09/CONS e dalla stessa delibera n. 731/09/CONS, che vedono nell’infrastrutturazione un comportamento espressamente riconosciuto come inattuabile perché diseconomico.
Il T.A.R. ha rilevato che la realizzanda infrastrutturazione riguarderà le reti in fibra, non quelle in rame, sicché nessun contrasto potrebbe ravvisarsi tra le previsioni delle citate delibere.
L’appellante si duole che sarebbe erronea, comunque, la valutazione del T.A.R. di ritenere incentivabile la realizzazione di reti in fibra da parte degli OLO, ove questa non sia sostenuta da una politica dei prezzi che consenta loro di conquistare un livello di mercato, marginalità e generazione di cassa tali da investire nell’infrastrutturazione.
18.1. L’appellata Autorità ha dedotto, in primo luogo, l’inammissibilità del motivo, articolato contro le scelte strategiche dell’AGCOM, e comunque la sua infondatezza per lo stridente contrasto con il fondamentale principio della scala degli investimenti.
Le proposte regolamentari per l’accesso alle reti in fibra (delibera n. 1/11/CONS e delibera n. 301/1/CONS) stanno a comprovare la necessità di stimolare gli investimenti da parte di tutti gli investitori, anche alternativi, per lo sviluppo delle reti NGA, nel momento attuale in cui la spinta verso l’adozione di servizi a banda ultralarga rappresenta un prerogativa nazionale e comunitaria.
18.2. Anche TI, sostanzialmente per le medesime ragioni, ha eccepito l’inammissibilità e l’infondatezza del motivo.
18.3. Il motivo di appello è infondato.
La censura, che per la sua genericità rasenta l’inammissibilità, contrasta in radice con le linee ispiratrici delle delibere impugnate, che muovono invece dalla finalità di incentivare la risalita degli OLO nella scala degli investimenti sino a dotarsi di una propria ed autonoma rete in fibra, non essendo realisticamente replicabile la vecchia rete in rame.
Non vi è, dunque, alcuna illogicità o contraddittorietà nelle delibere impugnate, in quanto il segnale make or buy, rettamente inteso, non può che riguardare l’infrastrutturazione degli OLO nelle reti di nuova generazione, con effetti benefici, nel lungo periodo, per l’intero mercato delle telecomunicazioni elettroniche.
19. Un’ultima critica di fondo, con l’articolazione del diciassettesimo motivo, l’appellante muove, infine, alla sentenza gravata laddove essa interpreterebbe i limiti del sindacato sulla discrezionalità tecnica in un modo tanto stringente da frustrare il diritto alla tutela giurisdizionale stessa, omettendo di esercitare un qualsivoglia controllo su una materia tanto tecnica e specialistica come quella oggetto del presente giudizio.
19.1. Il motivo di appello è infondato.
L’esame di quest’ultima censura reintroduce e riconduce, quasi con andamento circolare e, comunque, a conclusione del lungo iter motivazionale sin qui seguito, al tema primo e precipuo di questo giudizio e, cioè, al significato e al limite del sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica, dei cui caratteri generali già si è detto, seppur concisamente, in premessa, con argomenti ai quali occorre, per l’obbligo di sintesi prescritto dal codice di rito, far richiamo e rinvio, non senza tuttavia aggiungere specifiche notazioni strettamente attinenti al motivo di censura qui disaminato.
Questa Sezione, con la sentenza del 30.5.2012, n. 3246, ha già ha avuto modo di affermare in subiecta materia – recependo un orientamento che, per le ragioni sopra espresse, merita di essere condiviso e proseguito – che in assenza di una motivazione puntuale diventa assai difficile affermare la ragionevolezza o meno della scelta operata dall’Autorità, tanto più ove si tratti di “soluzione altamente tecnica nell’ambito di una materia molto complessa, a meno di non volersi affidare a petizioni di principio che, in assenza di elementi di riscontro, potrebbero essere indistintamente utilizzate nell’uno come nell’altro senso”.
In questa prospettiva la motivazione del provvedimento amministrativo assume un’importanza centrale per valutare la correttezza dell’applicazione della regola tecnica al fatto complesso.
Benché il giudice di prime cure abbia fatto insistito riferimento al limite del sindacato giurisdizionale sulla c.d. discrezionalità tecnica, ponendo forse troppo l’enfasi sul rilievo che molte delle scelte dell’Autorità nelle delibere impugnate si sottrarrebbero, per la loro portata di ampio respiro, al sindacato giurisdizionale, ciononostante non è venuto meno al dovere di vagliare i motivi di censura sollevati dalla ricorrente in prime cure, anche quando è giunto a conclusioni giustificate da ragioni non condivise da questo Collegio, in ordine alle specifiche doglianze, che sono state sopra esaminate.
Non vi è stata in concreto, dunque, alcuna lesione del diritto di Fastweb ad una tutela giurisdizionale piena ed effettiva.
19.2. Questo Consiglio, con un ormai consolidato orientamento, ha già chiarito in più occasioni che il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica si svolge non soltanto riguardo ai vizi dell’eccesso di potere (logicità e ragionevolezza delle decisioni amministrative), ma anche con la verifica dell’attendibilità delle operazioni tecniche compiute dalla p.a. quanto a correttezza dei criteri utilizzati e applicati; ha però anche precisato che resta comunque fermo il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, potendo quindi il giudice amministrativo censurare la sola valutazione che si pone al di fuori dell’ambito di opinabilità, cosicché il suo sindacato non resti estrinseco, ma non divenga sostitutivo con l’introduzione di una valutazione parimenti opinabile (cfr., ex multis, Cons. St., sez. V, 5.3.2010, n. 1274; Cons. St., sez. VI, 6.2.2009, n. 694; Cons. St., sez. VI, 4.9.2007, n. 4635; Cons. St., sez. IV, 13.10.2003, n. 6201; Cons. St., sez. VI, 14.7.2011, n. 4283).
Laddove residuino margini di opinabilità in relazione a concetti indeterminati, quindi, il giudice amministrativo non può sostituirsi alla valutazione che spetta all’Autorità, se questa sia attendibile, secondo la scienza economica, immune da vizi di travisamento dei fatti, da vizi logici, o da violazioni di legge (Cons. St., sez. VI, 9.2.2011, n. 896).
19.3. Una simile affermazione, lungi dal reintrodurre l’ormai vieta contrapposizione tra sindacato forte/sindacato debole, mira invece a valorizzare una più matura e moderna visione del sindacato giurisdizionale che, da un lato, deve garantire il rispetto della discrezionalità amministrativa e, dall’altro, l’effettività della tutela giurisdizionale.
Nel delicato bilanciamento tra questi due intangibili valori, secondo i rigorosi dettami del diritto nazionale ed europeo, sta la centralità e, insieme, la difficoltà del ruolo che, oggi più che mai, spetta al giudice amministrativo quale naturale garante della legalità nell’esercizio del pubblico potere, anche in ambiti così specialistici.
20. La particolare complessità della materia e il solo parziale accoglimento dei motivi proposti da Fastweb induce il Collegio a ritenere sussistenti le ragioni sufficienti e necessarie a giustificare l’integrale compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio tra le parti.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e, in riforma dell’impugnata sentenza, annulla la delibera n. 731/09/CONS e la delibera n. 578/10/CONS ai sensi e nei limiti di cui in motivazione.
Compensa interamente tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 marzo 2013 con l’intervento dei magistrati:
Pier Luigi Lodi, Presidente
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/04/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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