sindacato intrinseco "debole" o "forte"
sui provvedimenti delle "Authorities"?
"Nihil novi sub sole"
sui provvedimenti delle "Authorities"?
"Nihil novi sub sole"
(Cons. St., Sez. III, sentenza 2 aprile 2013 n. 1856)
La sentenza amministrativa più lunga che abbia mai letto...
Poi chiedono la sinteticità degli scritti difensivi agli avvocati ex art. 1 C.p.A.,
(massimo 20 pagine, dice proprio il Consiglio di Stato).
Poi quanto a chiarezza...
Buona lettura!
FF
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FF
Massima
1. Come noto, dopo un’iniziale autolimitazione del proprio scrutinio al solo profilo estrinseco dell’iter logico seguito dalla p.a. nella motivazione del provvedimento, ha riconosciuto successivamente la possibilità di un sindacato intrinseco sulla c.d. discrezionalità tecnica, al fine di vagliare la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto dall’amministrazione.
A questo approdo ermeneutico la giurisprudenza è giunta sulla base del dato obiettivo, difficilmente contestabile, che la p.a., anche nell’accertamento di fatti complessi alla stregua di “concetti giuridici indeterminati” (cd. unbestimmte Rechtsbegriffe) o di “regole tecnico-scientifiche opinabili”, debba ispirarsi ad un rigore metodologico e ad una coerenza applicativa che non possono non essere suscettibili di verifica e di controllo da parte del giudice amministrativo, nel loro intrinseco svolgimento, al fine di evitare che la discrezionalità tecnica trasmodi in arbitrio specialistico.
Anche materie o discipline connotate da un forte tecnicismo settoriale, infatti, sono rette da regole e principi che, per quanto “elastiche” o “opinabili”, sono pur sempre improntate ad una intrinseca logicità e ad un’intima coerenza, alla quale anche la p.a., al pari e, anzi, più di ogni altro soggetto dell’ordinamento in ragione dell’interesse pubblico affidato alla sua cura, non può sottrarsi senza sconfinare nell’errore e, per il vizio che ne consegue, nell’eccesso di potere.
Il giudice amministrativo, quindi, deve poter sempre verificare, anche mediante l’ausilio della C.T.U., se la p.a. abbia fatto buon governo delle regole tecniche e dei procedimenti applicativi che essa ha deciso.
2. Fermo questo presupposto, che può dirsi ormai un dato di ius receptum, gli interpreti si sono poi interrogati e divisi sull’intensità di questo sindacato intrinseco, se, cioè, debba essere “forte”, sino al punto che il giudice pervenga a sostituire la propria all’erronea valutazione tecnica della p.a., come ha sostenuto una parte della dottrina, o sia invece “debole”, nella misura in cui impedisca un potere sostitutivo del giudice, tale da sovrapporre la propria valutazione tecnica opinabile o il proprio modello logico di attuazione del “concetto indeterminato” all’operato dell’Autorità, potendo questi solo verificare la logicità, la congruità, la ragionevolezza e l’adeguatezza del provvedimento e della sua motivazione, la regolarità del procedimento e la completezza dell’istruttoria, l’esistenza e l’esattezza dei presupposti di fatto posti a fondamento della deliberazione, secondo un orientamento che questo Consiglio ha avuto modo di esprimere in diversi arresti.
3. Più di recente, con riferimento, ad esempio, ai provvedimenti dell’Autorità Antitrust, la giurisprudenza di questo Consiglio, nel tentativo di superare l’angusta e, per certi versi, riduttiva contrapposizione sindacato forte-debole, si è attestata su una linea ermeneutica secondo la quale ciò che rileva non è tanto la qualificazione del controllo come “forte” o “debole”, ma “l’esercizio di un sindacato comune a livello comunitario, in cui il principio di effettività della tutela giurisdizionale sia coniugato con la specificità di controversie, in cui è attribuito al giudice il compito non di esercitare un potere, ma di verificare – senza alcuna limitazione – se il potere a tal fine attribuito all’Autorità antitrust sia stato correttamente esercitato” (Cons. St., sez. VI, 20.2.2008, n. 595).
4. La sterilità della rigida contrapposizione sindacato forte-sindacato debole, che rischia, per l’eccessiva astrattezza dei suoi schematismi, di smarrire il presupposto e il senso stesso del sindacato sulla discrezionalità tecnica, si avverte tanto più in una materia, come quella presente, che interseca la problematica, altrettanto spinosa, del potere regolatorio dell’Autorità amministrativa indipendente.
L’esigenza che questo pubblico potere, da taluni definito anche “atipico” o “acefalo”, sia ricondotto e sottostia, come ogni altro, ad un principio di legalità sostanziale, non trovando esso un’espressa copertura costituzionale e suscitando, quindi, non poche riserve in ordine al fondamento della sua legalità formale, impone al giudice amministrativo di assicurare che la legittimazione di tale potere rinvenga la sua fonte, al di là delle garanzie partecipative che agli operatori del settore sono attribuite, a livello procedimentale, nella fase della consultazione, proprio o almeno nella corretta e coerente applicazione delle regole che informano la materia sulla quale incide.
5. Nella presente controversia il controllo, invocato dall’appellante, sulla correttezza del modello economico in concreto applicato dal AGCOM sul piano regolatorio non mira, in alcun modo, a sostituire la valutazione del giudice a quella della competente Autorità, ma solo a verificare se tale modello, una volta adottato, sia stato coerente nei suoi sviluppi proprio alla luce delle finalità che la scelta regolatoria, nel suo complesso, mira a perseguire.
L’incoerente o incompleta applicazione di quel modello, ponendosi in contrasto con i principi che l’informano, può infatti frustare le stesse finalità che hanno giustificato la sua adozione, essendo indubbio che anche teorie o principi economici possano essere applicate ben al di là del loro margine di elasticità e opinabilità, con risultati non consentanei alle loro premesse e, dunque, erronei.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8478 del 2012,
proposto da:
Fastweb s.p.a., rappresentata e difesa dall’Avv. Andrea Guarino e dall’Avv.
Cecilia Martelli, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Guarino in Roma,
piazza Borghese, n. 3;
contro
Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni,
Ministero dello Sviluppo Economico, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura
Generale Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
nei confronti di
Telecom Italia s.p.a., rappresentata e difesa
dall’Avv. Mario Siragusa, dall’Avv. Francesco Cardarelli e dall’Avv. Filippo
Lattanzi, con domicilio eletto presso l’Avv. Filippo Lattanzi in Roma, via
Pierluigi da Palestrina, n. 47;
Vodafone Omnitel N.V., Fastweb Telecomunicazioni s.p.a.;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE III ter n.
06321/2012, resa tra le parti, concernente la determinazione dei prezzi dei
servizi di accesso all’ingrosso alla rete fissa
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Autorità
per le Garanzie nelle Comunicazioni e di Ministero dello Sviluppo Economico e
di Telecom Italia s.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 marzo
2013 il Cons. Massimiliano Noccelli e uditi per le parti l’Avv. Guarino, l’Avv.
Martelli, l’Avv. Lattanzi e l’Avv. Siragusa e l’Avvocato dello Stato Santoro;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO
Con atto di costituzione in giudizio in seguito ad
opposizione a ricorso straordinario, proposto ai sensi dell’art. 10 del d.P.R.
1199/1971, Fastweb s.p.a. (da qui in avanti, per brevità, Fastweb) impugnava in
parte qua avanti al T.A.R. Lazio la delibera n. 731/09/CONS
dell’Autorità Garante per le Comunicazioni (d’ora in poi, per brevità, AGCOM),
recante la “Individuazione degli obblighi regolamentari cui sono soggette le
imprese che detengono un significativo potere di mercato nei mercati
dell’accesso alla rete fissa (mercati 1, 4 e 5 fra quelli individuati dalla
raccomandazione 2007/789/CE)”.
Fastweb articolava tredici motivi di censura in
relazione ai seguenti aspetti:
1) l’assenza di obblighi regolamentari d’accesso alla
rete in fibra;
2) la determinazione circa la base dei costi;
3) la base di costo per la determinazione dei servizi bitstream
naked e WLR;
4) i criteri applicativi del meccanismo del network
cap;
5) il modello ingegneristico-contabile;
6) l’abolizione degli obblighi di controllo dei prezzi
sul mercato retail;
7) la soppressione dell’obbligo di ribaltamento
automatico delle offerte;
8) i criteri di verifica di predatorietà e di
replicabilità delle offerte di Telecom Italia s.p.a.;
9) i meccanismi di controllo delle offerte c.d. in
bundle;
10) la soppressione dell’obbligo di sottoporre a
consultazione pubblica le modifiche dell’offerta di riferimento;
11) l’obbligo di assicurare la continuità elettrica;
12) la regolazione delle condizioni di accesso
simmetrico a banda larga;
13) la co-locazione virtuale.
Con successivo e primo ricorso per motivi aggiunti
Fastweb impugnava anche la delibera n. 121/10/CONS del 16.4.2010, recante la “Consultazione
pubblica concernente la definizione di un modello di costo per la
determinazione dei prezzi dei servizi di accesso all’ingrosso alla rete fissa
di Telecom Italia s.p.a. ed al calcolo del valore del WACC ai sensi dell’art.
73 della delibera n. 731/09/CONS”, nella parte in cui fissava in trenta
giorni il termine tassativo per la formulazione delle osservazioni da parte
degli operatori alternativi, e la nota del 27.5.2010, con la quale veniva
respinta l’istanza proposta da Fastweb e finalizzata ad ottenere la proroga del
termine.
Fastweb deduceva, con un primo motivo, la violazione e
la falsa applicazione dell’art. 11 del d. lgs. 259/2003, dell’art. 9 della l.
241/90, della delibera AGCOM 23 dicembre 2003, n. 453, del Regolamento
concernente la procedura di consultazione di cui all’art. 11 del d. lgs.
259/2003; la violazione degli artt. 6 e 7 della Dir. CE 21/02; la violazione
delle regole che governano il giusto procedimento; la violazione delle istanze
partecipative dei soggetti interessati; il difetto di istruttoria, e, con un
secondo motivo, il difetto di motivazione, l’illegittimità, l’irragionevolezza
e la contraddittorietà.
Con il secondo atto per motivi aggiunti Fastweb
impugnava anche la delibera n. 578/10/CONS, recante la “Definizione di un
modello di costo per la determinazione dei prezzi dei servizi di accesso
all’ingrosso alla rete fissa di Telecom Italia s.p.a. ed al calcolo del valore
del WACC ai sensi dell’art. 73 della delibera n. 731/09/CONS”, deducendo
venti motivi relativi ai seguenti aspetti:
1) l’esiguo tempo lasciato a Fastweb e agli altri
operatori, durante la fase di consultazione, in ordine ai costi di rete;
2) l’illegittimità dei criteri di fondo sulla base dei
quali è stato costruito da AGCOM il modello BU-LRIC;
3) il riferimento ai dati di Telecom Italia s.p.a. per
la costruzione del modello;
4) i costi delle infrastrutture civili;
5) la valorizzazione dei costi storici anziché di
quelli correnti;
6) l’inattendibilità del campione prescelto da AGCOM;
7) la determinazione dei costi di rete;
8) i clusters utilizzati per la
campionatura;
9) i dati utilizzati da AGCOM per determinare i costi
delle infrastrutture civili;
10) l’erronea determinazione dei costi degli apparati;
11) il costo della manutenzione correttiva;
12) l’erronea determinazione del “tasso di guasto”;
13) la sovrastima del tasso di intervento rispetto al
criterio di un operatore efficiente;
14) il calcolo del WACC;
15) la determinazione del prezzo dei servizi WLR e bitstream
naked;
16) la differenziazione tra i prezzi dei servizi WLR residential e
WLR business;
17) l’inserimento di canoni e contributi in un unico
paniere;
18) i criteri relativi agli incrementi di prezzi;
19) il segnale “make or buy”;
20) gli eventuali vizi della delibera presupposta n.
14/09/CIR.
Nel giudizio di prime cure si costituivano sia AGCOM
che Telecom Italia s.p.a. (da qui in avanti, per brevità, TI), contestando
entrambe la fondatezza dei ricorsi ex adverso proposti avverso
le delibere impugnate.
Il TAR Lazio, con la sentenza n. 6321 dell’11.7.2012,
rigettava tutti i ricorsi proposti da Fastweb, ritenendo infondate le diverse
censure mosse da questa alle citate delibere.
Avverso tale sentenza proponeva appello Fastweb,
articolando i seguenti diciassette motivi:
1) l’illegittimità dei criteri di fondo sulla base dei
quali è stato costruito da AGCOM il modello BU-LRIC;
2) la determinazione dei prezzi per i servizi WLR e bitstream
naked;
3) i criteri applicativi del network cap con
particolare riferimento all’inclusione di canoni e contributi nello stesso
paniere;
4) la soppressione dell’obbligo di ribaltamento
automatico, sul versante wholesale, delle offerte retail;
5) la verifica della proditorietà e della
replicabilità delle offerte TI;
6) il controllo delle offerte in bundle;
7) la co-locazione virtuale;
8) l’inattendibilità del campione prescelto da AGCOM
sotto due distinti profili;
9) i clusters, i parametri di
determinazione dei costi dell’infrastruttura e i costi degli apparati;
10) il metodo di rilevazione dei costi di
commercializzazione e di manutenzione;
11) il costo della manutenzione correttiva e il costo
della manodopera;
12) il tasso di guasto;
13) la determinazione del WACC;
14) la distinzione dei prezzi per i servizi WLR residential e
WLR business;
15) i parametri di qualità;
16) il segnale make or buy;
17) il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità
tecnica.
Si costituivano, anche in fase di gravame, AGCOM e TI
che, per parte loro, si opponevano all’accoglimento dell’appello, reiterando le
proprie deduzioni in ordine alla infondatezza del ricorso originariamente
proposto.
All’udienza pubblica del 15.3.2013 il Collegio, udita
la discussione dei difensori, ha riservato la causa in decisione.
DIRITTO
1. L’appellante Fastweb, come accennato in premessa,
ha impugnato le delibere n. 731/09/CONS e n. 578/10/CONS assumendo che AGCOM,
nel determinare i prezzi da corrispondere a TI per la vendita dei servizi di
accesso fisico e virtuale alla rete fissa, non avrebbe coerentemente
sviluppato, per alcuni profili, il modello economico di costo dei medesimi
servizi.
1.1. L’elevata complessità tecnica delle questioni da
trattare preliminarmente impone, seppur con la sinteticità richiesta dall’art.
3, comma 2, c.p.a., un breve inquadramento della materia regolamentata dalla
delibera oggetto di impugnativa.
1.2. Il mercato delle comunicazioni elettroniche vede,
ancor oggi, la posizione dominante di Telecom Italia s.p.a., unica proprietaria
della rete storica in rame.
L’AGCOM, Autorità regolatrice del settore, dopo aver
accertato con delibera n. 314/09/CONS la sussistenza, in capo a TI, di una
posizione dominante nei mercati dell’accesso, ha definito, con le successive
delibere n. 731/09/CONS e n. 578/10/CONS, il regime applicabile ai c.d. servizi
di accesso fisico (ULL) e virtuale (bitstream).
La delibera n. 578/10/CONS, impugnata avanti al
T.A.R., reca la definizione di un modello di costo dei servizi di accesso
all’ingrosso alla rete fissa di TI.
Affinché anche gli operatori economici alternativi a
TI (di qui in avanti, per brevità, OLO, acronimo di other licensed
operator) possano efficacemente competere con questa nella fornitura di
servizi di comunicazioni elettroniche alla clientela finale (c.d. mercati retail),
infatti, il legislatore europeo e, sulla sua scorta, l’AGCOM hanno dettato una
disciplina del mercato delle comunicazioni elettroniche tesa ad evitare che il
controllo dell’operatore dominante TI (c.d. incumbent) sulla
infrastruttura storica, la rete in rame, sia un fattore preclusivo o, comunque,
pregiudizievole per la concorrenza nei servizi di comunicazione nei mercati a
valle.
Gli OLO, i quali non dispongono di tale rete di
esclusiva proprietà di TI, si trovano nella necessità di ricorrere ai servizi
che la stessa TI, in forza della regolamentazione europea e nazionale, è tenuta
comunque ad offrire per connettere l’utente finale alla propria rete dorsale
attraverso il c.d. ultimo miglio (c.d.local loop) e, cioè, quel tratto
di rete costituito dal doppino in rame che corre al di sotto delle strade.
1.3. I servizi di accesso possono essere distinti
nelle tre grandi categorie:
1) accesso disaggregato all’ultimo miglio, anche noto
come unbundling del local loop (ULL);
2) accesso a larga banda all’ingrosso, anche noto come wholesale
broadband access (WBA) o bitstream;
3) rivendita del canone all’ingrosso, conosciuto anche
come wholesale line rental (WLR).
La normativa in materia persegue anche l’obiettivo di
porre gli OLO nella condizione di svincolarsi dalla rete di TI e di creare una
propria infrastruttura di comunicazione, pervenendo ad un modello
concorrenziale che ha il suo perno nella moltiplicazione delle reti di accesso.
La storia della regolamentazione dei servizi di
accesso a banda larga dal 1999 ad oggi mostra come la possibilità di disegnare
un efficace quadro regolamentare dipenda da numerosi interventi necessari a
promuovere gradualmente lo sviluppo del mercato caratterizzato da dinamiche
sufficientemente competitive.
La strategia incentivante l’infrastrutturazione è
sintetizzata dal principio “costruisci o acquista” (c.d. “make or buy”),
il quale muove dall’esigenza di fornire agli OLO precisi segnali di mercato per
consentire loro di muoversi con maggiore consapevolezza nelle proprie strategie
aziendali o decidendo di appoggiarsi alla vecchia rete in rame di TI (strategia
del buy) o preferendo invece, come l’AGCOM mostra di volere
privilegiare, l’investimento nella costruzione di una propria rete in fibra
(strategia del make), che costituisce il futuro dei sistemi di
comunicazione elettronica.
Un simile obiettivo di lungo periodo richiede, però,
che gli OLO possano ritagliarsi una “fetta” di mercato adeguata, fornendo
servizi sempre più completi, moderni e convenienti alla clientela finale.
Quest’ultima deve, in tale prospettiva, formulare una
domanda di tali servizi tale da indurre gli OLO ad un radicale investimento nei
servizi infrastrutturati, sicché gli OLO trovino più conveniente risalire la
scala degli investimenti (c.d. ladder of investment) e dotarsi di
una rete autonoma da TI.
1.4. Nella scala degli investimenti i servizi WLR, WBA
e ULL si pongono in un ordine crescente di infrastrutturazione.
Con il servizio WLR –wholesale rental –
l’operatore alternativo che intenda offrire un servizio di fonia tradizionale
ha la possibilità di acquistare all’ingrosso il servizio di rivendita del
canone.
Il servizio WLR consente all’operatore economico, che
non abbia ancora investito in ULL, di potersi presentare al cliente finale
anche come “operatore di accesso”, così evitando che l’utente finale continui
ad essere vincolato contrattualmente a TI.
I servizi WBA o bitstream consistono,
a loro volta, nella fornitura di una capacità trasmissiva tra la postazione di
un utente finale e il punto di presenza di un operatore alternativo interessato
ad offrire il servizio a banda larga (come, ad esempio, quello xDSL) all’utente
finale.
Il servizio in questione può essere offerto in due
modalità:
- condivisa, allorché sulla stessa linea coesistono i
servizi dell’operatore dominante, nel caso di specie TI, che fornisce il
servizio voce sulla porzione di doppino dove viaggiano le basse frequenze, e
quelli dell’operatore alternativo, che fornisce il servizio dati a banda larga
sulla porzione di doppino ad alta frequenza, sicché si parla di “bitstream
asimmetrico su linea condivisa”, essendo la linea attiva in quanto già
utilizzata dall’utente finale di TI per il servizio voce;
- naked (o su linea “dedicata”),
quando l’operatore alternativo fornisca il solo servizio dati a banda larga,
sicché si parla anche di “bitstream asimmetrico su linea dedicata”, su
una linea, per il resto, non attiva in quanto non utilizzata già dall’utente
per il servizio voce.
In cima alla scala degli investimenti si situa,
infine, il servizio ULL, vero perno di un modello concorrenziale fondato sulla
moltiplicazione delle reti di accesso.
Nel sistema di unbundling, dunque,
l’elevata infrastrutturazione del servizio pone gli OLO in condizione di
gestire l’utente finale, grazie all’accesso fisico all’ultimo tratto della rete
di comunicazioni dell’operatore dominante, in uno stato di autonomia pressoché
totale.
In particolare, per quanto concerne l’obbligo di
controllo dei prezzi dei servizi di accesso all’ingrosso di unbundling, bitstream e
WLR, l’AGCOM ha deciso di applicare un meccanismo di programmazione pluriennale
del tipo network cap, che costituisce un sistema di controllo dei
prezzi pluriennale nel quale, anno per anno, viene fissato il limite massimo
del prezzo di determinati beni/servizi.
La variazione percentuale da un anno all’altro è
determinata in base ad una formula matematica del tipo IPC – X, ove IPC è
l’Indice della variazione dei Prezzi al Consumo ed X è il parametro scelto per
determinare la variazione annua consentita dal prezzo di servizi considerati
nel paniere oggetto di regolazione.
In tal modo, se si fissano opportunamente il valore
iniziale del sistema di cap ed il parametro X di riduzione dei
costi di produzione, è possibile garantire l’orientamento al costo del prezzo
di servizio.
Tale meccanismo di orientamento al costo,
che è centrale all’interno di tale modello prescelto dall’Autorità regolatrice,
consente agli OLO di conoscere i anticipo i prezzi di partenza degli input dei
servizi intermedi e di avere una previsione di lungo periodo sulla loro
evoluzione media nei successivi tre anni.
È stato efficacemente osservato, in dottrina, come
l’approccio regolamentare rispetto al mercato abbia subito una “rivoluzione
copernicana” passando, per un periodo di transizione correlato alle
necessarie tempistiche di attuazione del nuovo modello, da un approccio retail
minus ad una metodologia di analisi orientata ai costi (c.d. cost
based).
1.5. La delibera n. 731/09/CONS espressamente prevede
che “rispetto all’orientamento al costo, il Network cap può, da un lato,
costituire un incentivo per Telecom Italia all’incremento della propria
efficienza produttiva e, dall’altro lato, assicurare maggiore certezza
regolamentare agli operatori alternativi”.
Nelle linee fondamentali di tali previsioni, peraltro,
l’AGCOM:
a) ha confermato l’adozione di un
meccanismo di programmazione pluriennale per i servizi ULL;
b) ha introdotto un meccanismo di network
cap, in sostituzione di quello di orientamento al costo previsto dalla
precedente delibera n. 34/06/CONS, per i servizibitstream;
c) ha introdotto un meccanismo di network cap,
in sostituzione del meccanismo del retail minus,previsto
precedentemente dalla delibera n. 33/06/CONS per il servizio WLR e per il
servizio bitstream naked.
1.6. L’AGCOM, perseguendo, come detto, la strategia di
favorire l’infrastrutturazione degli OLO lungo la scala degli investimenti, ha
ritenuto di dover definire i valori dei vincoli di variazione percentuale
annuale dei prezzi dei servizi (e, cioè, i valori delle X da sottrarre
all’indice dei prezzi al consumo) sulla base di un modello di costo a costi
incrementali di lungo periodo (LRIC) di tipo bottom up (BU)
relativo alla rete di accesso.
È questo il c.d. modello BU-LRIC.
Il modello BU-LRIC (bottom up – long run
incremental cost) prescelto da AGCOM si caratterizza per la definizione dei
prezzi di accesso sulla base non già dei costi storici, effettivamente
sostenuti dall’impresa dominante, ma in funzione dei costi teorici
riconducibili ad una sorta di rete ipotetica, una rete che, anche quando
configurata con l’approccio di tipo scorched node (che tiene
conto di alcuni dati dell’attuale configurazione di rete, come si legge nel §
18 della delibera n. 578/§/CONS), è concepita sempre come nuova ed efficiente
e, dunque, connotata per una struttura di costi pienamente ottimizzata.
La delibera n. 578/10/CONS contiene il modello con il
quale sono determinati i costi prospettici relativi alla fornitura dei servizi
di accesso a TI per il triennio 2010-2012, valori dai quali vengono definiti,
altresì, i valori delle variazioni percentuali dei panieri (vincoli di cap)
necessari per l’applicazione del meccanismo dinetwork cap.
1.7. AGCOM ha ipotizzato la costruzione di una nuova
ed efficiente rete di accesso in rame, tecnologia di riferimento in via quasi
esclusiva nel triennio di riferimento, ed ha analizzato i principali elementi
di costo per il modello LRIC costituiti dai costi unitari di rete, dai costi di
manutenzione e dai costi commerciali, atteso che il modello bottom up non
è puro, ma tiene conto della realtà sulla quale va ad incidere.
Un modello economico di tal genere conduce alla
determinazione di un costo di rete automaticamente ottimizzato e, pertanto,
alla definizione di prezzi per i terzi depurati dagli oneri impropri
riconducibili alle inefficienze e alle rendite di posizione della rete storica
dell’operatore dominante (c.d. incumbent).
Deve precisarsi che, per verificare se il valore di un
dato servizio all’ingrosso sia o meno orientato ai costi, è necessario definire
in modo corretto il perimetro di attività necessarie alla produzione di tale
servizio.
1.8. Con specifico riferimento ai servizi ULL il costo
è riconducibile alle seguenti tre voci.
1) costi di rete, che rappresentano la
parte preponderante dei costi del servizio ULL: si tratta essenzialmente dei
costi connessi allo scavo e alla posa nonché alla manutenzione straordinaria
degli elementi infrastrutturali (come, ad esempio, il doppino) necessari per
fornire i servizi di comunicazione elettronica – sia a voce che dati –
nell’ultimo miglio, della rete di comunicazioni elettroniche;
2) costi di manutenzione correttiva, che
rappresentano una parte significativa – seconda, per importanza, ai costi di
rete – dei costi sottostanti alla fornitura del servizio ULL: si tratta dei
costi connessi agli interventi tecnici effettuati sull’ultimo miglio a seguito
della segnalazione del guasto ed essi vengono determinati, come stabilisce la
direttiva n. 578/10/CONS, sulla base del costo orario della manodopera, del
tempo impiegato per la risoluzione del guasto e del tasso di intervento,
stimato dall’AGCOM nel 20,5%;
3) costi commerciali, che incidono per la
parte residuale e che afferiscono alle attività svolte dalla divisione wholesale dell’operatore
dominante per la commercializzazione dei servizi all’ingrosso.
In applicazione di tale metodologia, così
sintetizzata, l’Autorità ha definito i seguenti valori del canone mensile ULL:
8,70 per il 2010, 9,02 per il 2011 e 9,28 per il 2012.
1.9. Con riferimento ai prezzi dei servizi WLR e bitstream
naked, invece, l’Autorità regolatrice, nell’impugnata delibera n.
578/10/CONS, ha ritenuto di prendere le mosse dal precedente meccanismo del retail
minus, ponendo quale punto di partenza, nel meccanismo sopra menzionato dei
vincoli di cap, i prezzi richiesti da TI nel 2009 ai clienti
finali.
Tale ibrida soluzione, pur adottata da AGCOM nella
precisa consapevolezza che il sistema del retail minus, in
prosieguo di tempo, debba essere gradualmente superato per lasciar posto
all’integrale applicazione, anche a tali servizi, del meccanismo del network
cap, è apparsa necessaria, secondo la delibera n. 578/10/CONS, per
mantenere invariata la proporzione tra i prezzi dei servizi di accesso WLR e bitstream
naked rispetto al canone del servizio ULL, sicché gli operatori
alternativi dovrebbero essere incentivati, proprio da tale differenza di
prezzo, ad investire in un servizio maggiormente infrastrutturato quale è,
appunto, quello ULL.
Tali sono, in sintesi, le scelte operate dall’Autorità
regolatrice per favorire la concorrenza ed incentivare l’infrastrutturazione
nel settore delle comunicazioni elettroniche.
2. Dopo il breve inquadramento della materia trattata,
necessaria premessa per una corretta disamina delle questioni portate
all’attenzione di questo Consiglio, ritiene il Collegio doveroso precisare, pur
sempre nella sinteticità prescritta dal codice di rito (art. 3, comma 2,
c.p.a.), il fondamento e il limite del sindacato giurisdizionale sulla c.d.
discrezionalità tecnica, soprattutto in un settore dell’ordinamento, come
quello in esame, soggetto al potere regolatorio dell’Autorità indipendente.
Tale riflessione si impone ancor più, nel caso di
specie, considerando che il ruolo e il confine di tale sindacato costituiscono
lo sfondo e, insieme, il costante riferimento dell’apparato motivazionale della
sentenza impugnata, riferimento, tuttavia, che rappresenta anch’esso ragione di
accesa controversia tra le parti, quasi a voler proporre un’actio finium
regundorum del complesso tema, e costituisce anzi specifico oggetto,
come meglio si dirà nell’esame delle singole censure, del diciassettesimo
motivo di appello proposto da Fastweb.
2.1. Sono sin troppo noti e, comunque, sin troppo
articolati i termini del dibattito dottrinario e giurisprudenziale che si
tramanda su tale vexata quaestio, ormai da anni, perché se ne
possa, pur in una compendiosa esposizione, dar efficacemente ragguaglio in
questa sede.
Qui basti solo rammentare che questo Consiglio, dopo
un’iniziale autolimitazione del proprio scrutinio al solo profilo estrinseco
dell’iter logico seguito dalla p.a. nella motivazione del
provvedimento, ha riconosciuto successivamente la possibilità di un sindacato
intrinseco sulla c.d. discrezionalità tecnica, al fine di vagliare la
correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto
dall’amministrazione (Cons. St., sez. IV, 9.4.1999, n. 601).
A questo approdo ermeneutico la giurisprudenza è
giunta sulla base del dato obiettivo, difficilmente contestabile, che la p.a.,
anche nell’accertamento di fatti complessi alla stregua di “concetti giuridici
indeterminati” (cd. unbestimmte Rechtsbegriffe) o di “regole
tecnico-scientifiche opinabili”, debba ispirarsi ad un rigore metodologico e ad
una coerenza applicativa che non possono non essere suscettibili di verifica e
di controllo da parte del giudice amministrativo, nel loro intrinseco svolgimento,
al fine di evitare che la discrezionalità tecnica trasmodi in arbitrio
specialistico.
Anche materie o discipline connotate da un forte
tecnicismo settoriale, infatti, sono rette da regole e principi che, per quanto
“elastiche” o “opinabili”, sono pur sempre improntate ad una intrinseca
logicità e ad un’intima coerenza, alla quale anche la p.a., al pari e, anzi,
più di ogni altro soggetto dell’ordinamento in ragione dell’interesse pubblico
affidato alla sua cura, non può sottrarsi senza sconfinare nell’errore e, per
il vizio che ne consegue, nell’eccesso di potere.
2.2. Il giudice amministrativo, quindi, deve poter
sempre verificare, anche mediante l’ausilio della c.t.u., se la p.a. abbia
fatto buon governo delle regole tecniche e dei procedimenti applicativi che
essa ha deciso, nell’ambito della propria discrezionalità, di adottare per
l’accertamento o la disciplina di fatti complessi e se la concreta applicazione
di quelle regole a quei fatti, una volta che esse siano prescelte dalla p.a.,
avvenga iuxta propria principia.
2.3. Fermo questo presupposto, che può dirsi ormai un
dato di ius receptum, gli interpreti si sono poi interrogati e
divisi sull’intensità di questo sindacato intrinseco, se, cioè, debba essere
“forte”, sino al punto che il giudice pervenga a sostituire la propria
all’erronea valutazione tecnica della p.a., come ha sostenuto una parte della
dottrina, o sia invece “debole”, nella misura in cui impedisca un potere
sostitutivo del giudice, tale da sovrapporre la propria valutazione tecnica
opinabile o il proprio modello logico di attuazione del “concetto
indeterminato” all’operato dell’Autorità, potendo questi solo verificare la
logicità, la congruità, la ragionevolezza e l’adeguatezza del provvedimento e
della sua motivazione, la regolarità del procedimento e la completezza
dell’istruttoria, l’esistenza e l’esattezza dei presupposti di fatto posti a
fondamento della deliberazione, secondo un orientamento che questo Consiglio ha
avuto modo di esprimere in diversi arresti (v., ex plurimis, Cons.
St., sez. VI, 21.3.2011, n. 1712).
2.4. Più di recente, con riferimento, ad esempio, ai
provvedimenti dell’Autorità Antitrust, la giurisprudenza di questo Consiglio,
nel tentativo di superare l’angusta e, per certi versi, riduttiva
contrapposizione sindacato forte-debole, si è attestata su una linea
ermeneutica secondo la quale ciò che rileva non è tanto la qualificazione del
controllo come “forte” o “debole”, ma “l’esercizio di un
sindacato comune a livello comunitario, in cui il principio di effettività
della tutela giurisdizionale sia coniugato con la specificità di controversie,
in cui è attribuito al giudice il compito non di esercitare un potere, ma di
verificare – senza alcuna limitazione – se il potere a tal fine attribuito
all’Autorità antitrust sia stato correttamente esercitato” (Cons. St., sez.
VI, 20.2.2008, n. 595).
Questa giurisprudenza ha messo in rilievo come il
sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica, ben al di là di viete
e stereotipe formule definitorie, sia effetto e, insieme, garanzia, a livello
nazionale ed europeo, della legalità dell’azione amministrativa, sulla quale il
giudice amministrativo, come ha chiarito anche la Corte Costituzionale nella
sentenza n. 204/2004 e nella sentenza n. 191/2006, è chiamato ad esercitare il
suo controllo quale “giudice naturale”.
2.5. La sterilità della rigida contrapposizione
sindacato forte-sindacato debole, che rischia, per l’eccessiva astrattezza dei
suoi schematismi, di smarrire il presupposto e il senso stesso del sindacato
sulla discrezionalità tecnica, si avverte tanto più in una materia, come quella
presente, che interseca la problematica, altrettanto spinosa, del potere
regolatorio dell’Autorità amministrativa indipendente.
L’esigenza che questo pubblico potere, da taluni
definito anche “atipico” o “acefalo”, sia ricondotto e sottostia, come ogni
altro, ad un principio di legalità sostanziale, non trovando esso
un’espressa copertura costituzionale e suscitando, quindi, non poche riserve in
ordine al fondamento della sua legalità formale, impone al giudice
amministrativo di assicurare che la legittimazione di tale potere rinvenga la
sua fonte, al di là delle garanzie partecipative che agli operatori del settore
sono attribuite, a livello procedimentale, nella fase della consultazione,
proprio o almeno nella corretta e coerente applicazione delle regole che
informano la materia sulla quale incide.
La correttezza, la coerenza, l’armonia delle regole in
concreto utilizzate, il loro impiego da parte dell’Autorità iuxta
propria principia, secondo, quindi, un’intrinseca razionalità, pur sul
presupposto e nel contesto di scelte ampiamente discrezionali, garantiscono e,
insieme, comprovano che quel settore dell’ordinamento non sia sottoposto
all’esercizio di un potere “errante” e sconfinante nell’abuso o nell’arbitrio,
con conseguenti squilibri, disparità di trattamento, ingiustizie sostanziali,
anche e soprattutto nell’applicazione di principi o concetti che, proprio in
quanto indeterminati ed elastici, in gran parte reggono, per la loro duttilità,
ma condizionano fortemente, per la loro complessità, vasti e rilevanti settori
sociali.
2.6. Il limite del sindacato giurisdizionale, al di là
dell’ormai sclerotizzata antinomia forte/debole, deve attestarsi sulla linea di
un controllo che, senza ingerirsi nelle scelte discrezionali della pubblica
autorità, assicuri la legalità sostanziale del suo agire, per la sua intrinseca
coerenza, anche e, vien fatto di dire, soprattutto in materie connotate da un
elevato tecnicismo, per le quali vengano in rilievo poteri regolatori con i
quali l’autorità detta, appunto, “le regole del gioco”.
Sono proprio queste brevi considerazioni, che
riconducono direttamente al centro della problematica qui esaminata, a
lumeggiare il senso e il limite del sindacato giurisdizionale sulla c.d.
discrezionalità tecnica anche nella presente controversia, dove il controllo,
invocato dall’appellante, sulla correttezza del modello economico in concreto
applicato dal AGCOM sul piano regolatorio non mira, in alcun modo, a sostituire
la valutazione del giudice a quella della competente Autorità, ma solo a
verificare se tale modello, una volta adottato, sia stato coerente nei suoi
sviluppi proprio alla luce delle finalità che la scelta regolatoria, nel suo
complesso, mira a perseguire.
L’incoerente o incompleta applicazione di quel
modello, ponendosi in contrasto con i principi che l’informano, può infatti
frustare le stesse finalità che hanno giustificato la sua adozione, essendo
indubbio che anche teorie o principi economici possano essere applicate ben al
di là del loro margine di elasticità e opinabilità, con risultati non
consentanei alle loro premesse e, dunque, erronei.
3. Venendo quindi all’esame, nel merito, delle censure
sollevate da Fastweb, dopo aver doverosamente chiarito il senso e il limite del
proprio sindacato giurisdizionale in subiecta materia, il Collegio
deve ora soffermarsi sull’analisi dei singoli motivi dedotti dall’appellante e
volti a dimostrare, appunto, che AGCOM non abbia applicato coerentemente, nelle
impugnate delibere, il modello economico adottato per la regolamentazione del
settore.
3.1. Con il primo motivo Fastweb censura la scelta
dell’AGCOM di utilizzare i costi correnti per valorizzare l’onere delle opere
civili dell’infrastruttura in rame, ritenendo che un modello a costi correnti e
non a costi storici per le opere civili si allontani dalle condizioni di
efficienza che AGCOM si propone di perseguire.
L’AGCOM muoverebbe, secondo la tesi dell’appellante,
da un’ipotesi irrealistica, perché proprio l’impossibilità, per gli OLO, di
replicare la rete in rame, stante l’inefficienza economica di tale scelta,
avrebbe dovuto indurre l’Autorità a privilegiare il modello dei costi storici,
essendo assurdo e paradossale che gli operatori siano chiamati a pagare i
servizi di rete sulla scorta proprio di quei costi reputati insostenibili.
Il modello di rete preso in considerazione da AGCOM,
peraltro, ricalcherebbe esattamente l’architettura di rete di TI, trascurando
la possibilità di tecnologie alternative e prescindendo da qualsivoglia
indagine circa l’efficienza dell’attuale configurazione della rete.
Tale parametrazione si porrebbe in netto contrasto con
la metodologia BU-LRIC, che impone di calcolare i costi partendo dai dati
relativi alla domanda e prescindendo completamente dalla situazione attuale.
L’utilizzo della rete reale di TI come dato di input fermo
ed immutabile, in altri termini, snaturerebbe la logica bottom up alla
quale si vorrebbe dare attuazione, anche perché la rete è stata costruita in
condizioni di monopolio senza che dell’efficienza fosse necessario in alcun
modo preoccuparsi.
Gli OLO si troverebbero, quindi, a pagare un prezzo di
accesso alla rete in rame significativamente superiore ai costi effettivi di
TI, dato che il modello ipotizza la costruzione di una rete ex novo,
ma allo stesso tempo si troverebbero a pagare i canoni di accesso sulla base
dei costi propri di una rete nuova, ma inefficiente al pari di quella
realizzata molti anni orsono.
Il modello sarebbe stato inoltre inadeguato, secondo
la tesi sostenuta da Fastweb, facendo esclusivo riferimento alle informazioni
fornite da TI (§ 35 della delibera AGCOM n. 578/10/CONS).
Il modus procedendi dell’Autorità si
porrebbe in conflitto, inoltre, con le indicazioni fornite dalla Commissione
Europea, che aveva invitato l’Autorità ad utilizzare le informazioni
provenienti dall’operatore dominante con particolare cautela, valutando i dati
della TI solo a posteriori, come elemento di validazione dei
risultati del modello.
Anche se si volesse condividere la decisione di
utilizzare i costi correnti, osserva infine l’appellante, AGCOM avrebbe errato
nel determinarli, omettendo di considerare i risparmi di spesa realizzabili
attraverso la condivisione delle infrastrutture, espressamente contemplata
dall’art. 12 della direttiva 21/02/CE.
Tale condivisione avrebbe condotto ad un risparmio che
si aggira ad una cifra pari a 20 miliardi di euro.
3.2. L’AGCOM, nella propria memoria difensiva, ha
osservato che l’approccio regolamentare seguito dall’Autorità, sin dalla
delibera n. 731/09/CONS, è stato quello di fornire i corretti segnali make
or buy, incentivando gli operatori ad investire nella realizzazione di reti
di nuova generazione e, pertanto, in perfetta coerenza con tale approccio, è
necessario che i prezzi dei servizi di accesso vengano definiti ipotizzando
quanto costerebbe oggi, applicando la tecnologia attualmente disponibile,
costruire ex novo una rete di accesso in rame.
L’Autorità ha quindi adottato come base di costo il
CCA (current cost accounting), in quanto questa è l’unica scelta
coerente con l’utilizzo di un modello di tipo BU-LRIC per la determinazione dei
prezzi.
L’uso di costi storici HCA (hystorical cost
accounting) in luogo di quelli correnti, adombrato dalla tesi
dell’appellante, non avrebbe senso, in tale ottica, dato che si ricorre ad un
modello prospettico di tipo bottom up: tale scelta è stata la più
adottata dalle autorità regolatorie degli Stati aderenti all’Unione (circa il
64%).
Nemmeno è fondato, seconda l’appellata AGCOM, il
timore che nel modello finiscano per confluire i costi comuni e non solo quelli
specificamente riferibili al servizio che si intende regolamentare.
Nel modello sono stati considerati solo i costi
efficienti riconducibili alla fornitura dei servizi di accesso.
Per quanto poi concerne l’adozione della rete TI come
punto di riferimento per la costruzione del modello, oggetto di doglianza da
parte di Fastweb, rileva l’appellata Autorità che essa ha utilizzato un
approccio di tipo scorched node, in base al quale il numero e la
posizione delle centrali locali “stadio di linea” sono assunti come dati e non
modificabili.
Tale approccio è seguito da molti altri Stati in seno
all’Unione e anche a livello internazionale.
La stessa Autorità avrebbe anche spiegato, nella
delibera n. 578/10/CONS, che tale approccio, nel tenere conto della specificità
della rete sulla quale sono erogati i servizi oggetto di regolamentazione,
sarebbe quello che meglio si presta ad una riconciliazione con i dati
dell’operatore qualificato.
3.3. Anche l’appellata TI ricorda per parte sua che,
secondo l’organismo comune delle autorità nazionali di regolamentazione del
settore dell’UE (“ANR”), “normalmente i modelli LRIC sono popolati con i
dati CCA” e nel 2012 “la combinazione preferita è CCA e
LR(A)IC”.
L’orientamento ai prezzi di accesso a tale rete ai
valori di costo corrente CCA (o valori di rimpiazzo) espresso dal mercato
renderebbe più omogenee le basi di costo rispetto alle nuove infrastrutture;
consentirebbe così una più agevole comparazione dei costi di queste ultime e
incentiverebbe gli operatori a investire nelle reti di nuova generazione,
limitando il rischi di spiazzamento di tali investimenti dovuto alla ritrosia
di potenziali clienti, attirati dai prezzi più bassi dell’accesso alla rete in
rame.
Anche in relazione ai costi comuni, poi, TI osserva
che l’art. 67 della delibera n. 731/09/CONS stabilisce che “l’attribuzione
dei costi pertinenti ai diversi servizi avviene nel rispetto del principio di
causalità, in base al quale ad ogni servizio sono allocati i costi sostenuti,
direttamente o indirettamente, per la sua produzione”, precisando che “successivamente
sono allocati a ciascun servizio i costi di commercializzazione ed i costi
comuni” e che “i prospetti di dettaglio forniscono evidenza del criterio
utilizzato per il recupero dei costi comuni e dell’incidenza di tali costi sul
costo totale di ciascun servizio”.
Contrariamente a quanto sostiene l’appellante, inoltre,
non sarebbe rispondente al vero che la rete di TI sia stata utilizzata come
dato di input fermo e immodificabile, perché AGCOM, adottando
un approccio scorched node, ha fatto sì riferimento alla rete in
rame di TI, per evitare di determinare una configurazione di rete del tutto
teorica, ma ha applicato numerose correzioni per renderla efficiente.
Il modello adottato da AGCOM, conformemente a quello
più utilizzato dalle altre autorità regolatorie nazionali, non astrae del tutto
dall’esistente realtà infrastrutturale, nell’intendo di garantire, come si
legge nell’impugnata sentenza, “la costruzione di una rete che abbia un
certo livello di aderenza alla realtà modellata”.
Anche la censura mossa all’esclusivo utilizzo, da
parte di AGCOM, delle informazioni fornite da TI, sarebbe infondata, secondo
l’appellata TI, perché AGCOM ha effettuato un’analisi accurata dei dati
provenienti da TI e dagli altri operatori di servizi di accesso, discostandosi
anche significativamente dai dati di TI in ordine, ad esempio, ai costi per le
operazioni di disfacimento, di scavo e reinterro, che sono risultati essere
superiori a quelli di un operatore efficiente.
L’Autorità, così facendo, non si sarebbe discostata
dalle osservazioni della Commissione, la quale aveva raccomandato di introdurre
nel modello BU-LRIC i dati derivati direttamente dalla contabilità
dell’operatore storico con grande cautela.
Infine, sostiene ancora l’appellata TI, non avrebbe
senso ipotizzare la condivisione delle infrastrutture esistenti, poiché ciò contraddice
il presupposto del modello adottato, che mira ad individuare i valori di costo
attuali di una rete di accesso in rame teorica, gestita da un operatore
dominante e con caratteristiche di capillarità analoghe a quella di TI, benché
più efficiente.
3.4. Il motivo di appello è infondato.
Bene ha rilevato la sentenza impugnata, sul punto, che
la logica del modello prescelto è quella di incentivare gli operatori a
procedere con investimenti infrastrutturali, sicché “è coerente con
l’approccio prospettico proprio del modello BU-LRIC la valorizzazione degli
elementi di costo correnti, ossia, quanto costerebbe oggi realizzare la rete in
rame” (p. 18).
È proprio la logica di tale modello, adottato
dall’Autorità, ad imporre infatti l’utilizzo dei costi correnti, posto che il
modello muove dalla individuazione di una rete di accesso in rame teorica,
gestita da un operatore dominante.
Il modello ipotizza, infatti, la costruzione di una
rete in rame, a costi attuali, che sia nuova ed efficiente.
Se si muovesse, come pretende l’appellante, da un
diverso approccio, privilegiando l’utilizzo dei costi storici, gli OLO non
sarebbero incentivati all’infrastrutturazione, dato che sarebbe certamente più
difficile costruire reti in fibra che competano con reti parallele di rame più
economiche.
In altri termini gli OLO non sarebbero incoraggiati a
risalire i gradini della scala e a investire nelle reti di nuova generazione,
sapendo di fare affidamento su costi più bassi, perché determinati sulla rete
storica, tanto che la stessa Commissione, come già sottolineato dal giudice di
prime cure, ha chiarito che “il mero calcolo delle attività a costo storico,
pur se adeguato all’inflazione, può generare segnali di investimento erronei
sia per i fornitori d’accesso sia per operatori alternativi richiedenti servizi
di accesso” (lettera della Commissione in data 21.10.2010, SG-Greffe (2010)
D/16578, sez. III, p. 7).
Inoltre anche la base di costo CCA utilizzata per il
contestato modello BU-LRIC tiene conto dei costi storici di TI con riguardo
alle infrastrutture civili, al fine di verificare la robustezza delle stime del
modello stesso (§§ 33-34 della delibera n. 578/10/CONS).
Come ha osservato la difesa di TI in merito ai costi
comuni, inoltre, l’art. 67 della delibera n. 731/09/CONS stabilisce che “l’attribuzione
dei costi pertinenti ai diversi servizi avviene nel rispetto del principio di
causalità, in base al quale ad ogni servizio sono allocati i costi sostenuti,
direttamente o indirettamente, per la sua produzione”, precisando che “successivamente
sono allocati a ciascun servizio i costi di commercializzazione ed i costi
comuni” e che “i prospetti di dettaglio forniscono evidenza del criterio
utilizzato per il recupero dei costi comuni e dell’incidenza di tali costi sul
costo totale di ciascun servizio”.
AGCOM non si è poi appiattita, come sostiene
l’appellante, sulle informazioni fornite da TI, ma ha sottoposto a verifica i
dati provenienti da TI e da altri operatori del settore (listini, prezziari),
discostandosene quando ha ritenuto che essi non fossero conformi ai costi
sostenibili da un operatore efficiente.
La Commissione, nell’osservare che i modelli LRIC sono
perlopiù basati su dati derivanti dalla contabilità dei gestori dominanti, ha
fatto rilevare che “i regolatori possono conciliare i risultati di un
modello bottom up con quelli dell’approccio top-down,
a condizione che tale esercizio sia destinato a verificare e a migliorare la
solidità dei risultati del modello bottom up”.
3.5. È del tutto illogica e contraddittoria, poi, la
censura dell’appellante relativa alla condivisione della rete, posto che il
modello economico si fonda proprio sui costi attuali di una rete in rame
teorica, costruita da un operatore dominante, sicché la condivisione delle
infrastrutture è un’ipotesi che contraddice e mina alle fondamenta del modello,
non potendo negarsi che l’esclusività della rete e la validità del modello si
compenetrino a tal punto che simul stabunt, simul cadent.
Più in generale il motivo di appello rivela un’intima
contraddittorietà laddove, pur non contestando in linea di principio l’adozione
del modello teorico BU-LRIC, mira a censurarne poi le logiche conseguenze e
necessarie applicazioni date dall’AGCOM, volendo introdurre dati storici che ne
snaturano completamente la funzione.
In tale prospettiva merita, comunque, solo parziale
condivisione, quanto meno nella conclusione alla quale perviene, anche il
rilievo del giudice di prime cure che, pur alludendo, certo in senso atecnico e
improprio, alla natura di atto “complesso” della delibera n. 731/09/CONS
(p. 19 della sentenza) e volendo significare,rectius et stricto sensu,
il carattere “composito” di tale delibera, recante disposizioni generali e,
insieme, puntuali, ha osservato che la valenza programmatica di tale scelta
rende la censura, per altro profilo, anche inammissibile per la ritenuta
assenza di una concreta ed immediata lesione nella sfera giuridica dei
destinatari.
Se è indubbia la natura programmatica di tale scelta,
per il modo generale e astratto con il quale è concepita dalla delibera n.
731/09/CONS, è altrettanto certo, per converso, che essa abbia trovato
inveramento ed attuazione nella delibera n. 578/10/CONS, che è stata comunque
impugnata da Fastweb, la quale nel secondo ricorso per motivi aggiunti, nel XX
motivo, ha dedotto tutti i profili di illegittimità di questa seconda delibera
derivata da eventuali vizi della prima delibera, sicché non può negarsi che una
diretta e concreta lesione della sfera giuridica dell’appellante, sul piano dell’interesse
ad agire, possa configurarsi nella misura in cui l’Autorità vi abbia dato
attuazione.
Il motivo si rivela semmai inammissibile, con ciò
dovendosi condividere la sola conclusione al quale è giunto il T.A.R., nella
parte in cui intende sostituire una propria unilaterale visione del modello
economico a quello adottato dall’Autorità, con ciò proponendo e invocando un
sindacato sulle scelte, queste sì, ampiamente discrezionali dell’Autorità nella
regolazione del settore.
3.6. Erra infine l’appellante quando, travisando il
senso delle argomentazioni contenute nella sentenza del T.A.R., afferma che i
corretti segnali make or buydovrebbero consistere solo
nell’individuazione di un livello di prezzo tale da spingere gli operatori ad
acquistare quei servizi di accesso che consentono loro un maggior grado di
autonomia dall’operatore dominante.
Questo è, infatti, solo il penultimo gradino della
scala negli investimenti, salendo il quale gli operatori dovrebbero essere
messi in grado, come meglio si dirà, di poter creare una propria rete in fibra.
L’adozione del modello BU-LRIC, che presuppone la non
replicabilità della rete in rame, si fonda dunque sui costi correnti perché,
come detto, vuole incentivare gli OLO a risalire la scala sino ad investire
nelle reti in fibra, ciò che non potrebbe accadere facilmente se si facesse
riferimento ai costi storici.
4. Con il secondo motivo di censura Fastweb lamenta
che AGCOM, pur avendo premesso di voler applicare un metodo omogeneo di
determinazione dei prezzi, ha stabilito poi contraddittoriamente la base di
partenza del network cap, sia per i servizi bitstream naked che
per quelli WLR, secondo il criterio del retail minus,
non orientato al costo, e consistente nell’abbattimento del prezzo praticato al
pubblico da parte di TI di una percentuale forfetaria.
AGCOM ha insomma applicato i valori di aumento del
servizio ULL, derivanti dal modello BU-LRIC, ai prezzi iniziali, non orientati
al costo, di entrambi i servizi, comportando, quindi, un ulteriore aumento
senza alcun nesso con i costi sottostanti.
4.1. Deduce l’appellante che, nelle more del giudizio,
è intervenuta la delibera AGCOM n. 248/12/CONS, con la quale appunto l’Autorità
ha appurato e riconosciuto che il canone WLR è stato calcolato con modalità che
lo rendono eccessivamente oneroso, come comproverebbe l’andamento del mercato wholesale,
che ha registrato un tasso assai elevato di abbandono in ordine a tali servizi
WLR, riconnesso all’ingiustificato aumento del canone (§ D24, del. n.
248/12/CONS).
La situazione dei canoni WLR si atteggerebbe in un
modo tale da pregiudicare le condizioni di mercato favorevoli alla risalita
degli OLO nella scala degli investimenti c.d. infrastrutturati.
4.2. L’AGCOM, nella sua memoria difensiva, ha
contestato i motivi di censura sollevati da Fastweb s.p.a., osservando che la
tesi secondo cui la metodologia di calcolo del retail minus possa
risultare foriera di inefficienze, per quanto condivisibile sul piano teorico,
non può essere validamente applicata al caso di specie.
L’appellante, secondo AGCOM, se ha da un lato
evidenziato che la regolamentazione previgente alla delibera n. 731/09/CONS
prevedeva un controllo dei prezzi dei servizi naked basato sul retail
minus, avrebbe però colpevolmente trascurato che la medesima delibera aveva
nel contempo previsto, per TI, un obbligo dei controllo dei prezzi al
dettaglio, che impediva di fatto all’operatore dominante di attuare i
comportamenti anticompetitivi prospettati nel ricorso.
Occorrerebbe evidenziare, in quest’ottica, che il
valore del minus è stato fissato per la prima volta nella
delibera 249/07/CONS tenendo conto anche dei costi e nel rispetto della scala
degli investimenti, come peraltro precisato al punto 218 della delibera n.
578/10/CONS.
Il prezzo naked è stato quindi
costruito partendo dal prezzo dell’accesso al dettaglio di TI, al quale sono
stati poi sottratti determinati costi “evitabili”, non riferibili al servizio naked.
Secondo l’appellata AGCOM, quindi, il prezzo sarebbe
risultato del tutto disgiunto dai costi, con evidenti rischi di comportamenti
anticompetitivi di TI, solo nel caso in cui non fosse stato imposto alcun
obbligo di controllo dei propri prezzi del canone retail e se
l’operatore dominante avesse potuto liberamente fissare tale canone.
In realtà, per gli anni 2006 e 2007, TI non ha potuto
fissare in maniera arbitraria il prezzo del canone retail, perché
vigeva un controllo dei prezzi basato sul price cap.
Il valore del price cap era stato
fissato dall’Autorità nella delibera n. 33/06/CONS tenendo conto dei costi
sottostanti e tutti gli OLO si erano mostrati concordi con tale valutazione.
Per gli anni 2008 e 2009, invece, pur in assenza di
uno specifico price cap, vigeva l’obbligo di TI di sottoporre al
vaglio dell’AGCOM qualsiasi propria determinazione di variazione del canone di
accesso retail.
La regolamentazione precedente, pur avendo quindi
stabilito un meccanismo di tipo retail minus per il servizio naked,
aveva comunque introdotto alcuni significativi accorgimenti, che impedivano di
fatto all’operatore dominante di porre in essere i comportamenti
anticompetitivi paventati dalla ricorrente.
Con la delibera n. 731/09/CONS l’Autorità, allorquando
ha deciso di non imporre più a TI un obbligo di controllo dei prezzi nel
mercato al dettaglio dei servizi di accesso telefonico e di consentirle una maggiore
libertà di variazione del canone di accesso telefonico per la sua clientela
finale, ha anche opportunamente deciso di abbandonare il meccanismo del retail
minus per i servizi naked a favore di un price
cap, allineando di fatto la metodologia di controllo dei prezzi per tutti i
servizi all’ingrosso di TI.
Sostiene AGCOM che quand’anche il prezzo pagato
dall’utente finale, a causa della suddetta rimozione dell’obbligo di controllo
dei prezzi, dovesse cambiare per effetto delle scelte finali dell’operatore
dominante, il prezzo del servizio bitstream naked non
muterebbe, in quanto fissato a priori nell’ambito del
meccanismo del network cap.
4.3. L’appellata osserva, altresì, che la scelta nella
metodologia da utilizzare per la determinazione dei prezzi dei servizi di
accesso all’ingrosso per gli anni 2010-2012 costituirebbe il risultato di una
ponderazione molto complessa, frutto di discrezionalità tecnica, e mirante a
fornire corretti incentivi agli OLO per risalire la scala degli investimenti.
L’Autorità ha ritenuto opportuno che i prezzi dei
servizi di accesso dovessero mutare gradualmente nel corso del tempo in modo da
distribuire nel tempo gli effetti della variazione della metodologia di pricing adottata
dall’Autorità.
Si sarebbe in questo modo definito un percorso di
avvicinamento graduale al prezzo del canone di unbundling determinato
dal modello di network cap per l’anno 2012, partendo dai
prezzi in vigore per l’anno 2009 e mantenendo invariata la proporzione tra i
prezzi dei servizi WLR e bitstream naked rispetto al servizio
ULL.
È evidente infatti, secondo l’appellata, che in questo
modo sarebbe possibile continuare a promuovere in primis la
diffusione dei servizi di unbundling che, come anche
riconosciuto dalla Commissione Europea in diverse occasioni, sono gli unici a
poter garantire una vera competizione basata sulle infrastrutture per i servizi
su rete in rame.
In una metodologia di tipo prospettico, così
modellata, non rileverebbero i prezzi di partenza per l’applicazione del network
cap, quanto piuttosto i valori dei prezzi al 2012 e la giusta proporzione
tra gli stessi.
4.4. AGCOM avrebbe poi riscontrato anche il rilievo
della Commissione in merito al paventato rischio che un aumento dei prezzi del
servizio WLR “potrebbe tuttavia ostacolare gli investimenti degli operatori
alternativi o addirittura scoraggiare questi ultimi dal concorrete con TI
proprio nelle zone in cui i servizi ULL non sono ancora disponibili”.
Nel § 299 della delibera, infatti, AGCOM ha
sottolineato che TI ha l’obbligo di fornire il servizio WLR presso le centrali
non aperte all’ULL e i servizi ULL, a loro volta, presso qualsiasi centrale per
la quale venga fatta richiesta da parte di un OLO.
Alla luce di ciò l’AGCOM avrebbe chiarito che,
nell’ipotesi in cui i prezzi dei servizi WLR non fossero opportunamente
proporzionati rispetto a quelli dei servizi ULL, si rischierebbe di
disincentivare gli OLO dal richiedere l’estensione della copertura delle aree
aperte ai servizi di ULL, che sono gli unici in grado di permettere una effettiva
competizione infrastrutturale.
Nel § 300 della impugnata n. 578/10/CONS si legge che
“su un piano più generale l’eventuale adozione (paventata) degli incentivi
per gli operatori alternativi ad investire nel mercato, conseguente al mancato
orientamento al costo dei servizi WLR e bitstream naked, sarebbe
comunque più che bilanciata dalle riduzioni di prezzo dei servizi inclusi nei
panieribitstream”, sicché le riduzioni, secondo l’Autorità, avrebbero
incentivato gli OLO ad acquisire, attraverso i servizi bitstream,
quella massa critica di utenti che giustifichi successivi investimenti in
servizi all’ingrosso che richiedono una maggior infrastrutturazione (ULL).
4.5. Anche l’appellata TI assume che il motivo sia
infondato, rilevando come AGCOM abbia precisato che, nonostante la diversità
delle modalità di determinazione del valore di partenza (orientato al costo per
l’ULL e stabilito mediante un altro meccanismo per i due servizi di accesso in
questione), la delibera n. 578/10/CONS avrebbe raggiunto l’obiettivo di
mantenere costante la differenza tra i prezzi in questione.
Secondo TI, peraltro, non vi sarebbe alcun contrasto
tra il modus procedendi di AGCOM e i principi di orientamento
al costo, perché questi principi non sono fissati in modo preciso e vincolante,
trattandosi appunto di un orientamento, che lasci ampi margini di
discrezionalità all’AGCOM.
A riprova di ciò starebbe la considerazione che il
modello contabile utilizzato dalla delibera impugnata è, in realtà,
un’astrazione ingegneristico-contabile, che simula i costi di un operatore
efficiente, sicché si esprimerebbe, con esso, un giudizio di valore, se non
addirittura politico, con margini di opinabilità, come sarebbe stato sostenuto
anche in una sentenza di questo stesso Consiglio, sez. VI, 10.2.2006, n. 1271.
4.6. L’appellata TI, facendo peraltro proprie le
argomentazioni sviluppate dalla sentenza del T.A.R., deduce peraltro che il
valore di partenza, per i servizi WLR ebitstream naked, è stato
stabilito dall’Autorità con la delibera n. 249/07/CONS tenendo conto del
livello dei costi.
La delibera 643/12/CONS, diversamente da quanto
sostiene l’appellante, non dimostrerebbe, inoltre, l’incongruenza del modello
seguito dall’AGCOM, poiché essa non ha modificato retroattivamente il network
cap o il modello BU-LRIC, bensì li ha completamente rimpiazzati, sia
pure limitatamente al solo semestre giugno-settembre 2012 e unicamente per i
servizi WLR, rideterminando ex novo le tariffe applicabili
secondo una declinazione sui generis del principio di
orientamento del costo.
Infine, sottolinea l’appellata TI, la scelta
dell’AGCOM, frutto di ampia discrezionalità tecnica, sarebbe insindacabile dal
giudice amministrativo laddove essa ha adottato il sistema retail minus per
i servizi WLR e bitstream naked, ponendo a base del network
cap i prezzi praticati da TI agli utenti nel 2009.
4.7. Il motivo è fondato.
Occorre sin da ora chiarire che il modello
regolamentare retail minus, rispetto allo schema di orientamento al
costo, presenta indubbiamente alcune caratteristiche peculiari che ne hanno
evidenziato l’importanza nel breve periodo, ma che ne hanno anche messo in
luce, per altro verso, le criticità nel lungo periodo.
Non vi è dubbio che rispetto al modello BU-LRIC, per
la sua applicazione, l’approccio del retail minus non richieda
di conoscere analiticamente tutti i costi connessi nella modalità bottom
up, con le conseguenti asimmetrie informative rispetto all’operatore
dominante.
Il modello retail minus, infatti, si
applica esaminando le offerte dell’operatore dominante all’utente finale e
definendo analiticamente le modalità per individuare e sottrarne, in sintesi, i
costi afferenti alla commercializzazione e ai costi operativi non sopportati
dall’operatore dominante per proporre la propria offerta ai concorrenti o,
specularmente, gli ulteriori oneri economici che gli OLO devono sostenere per
poter disporre di un’offerta all’utente finale competitiva (costi dimarketing,
di pubblicità, di vendita, di assistenza post-vendita e di fatturazione al
cliente finale).
4.8. La definizione di una offerta regolamentare retail
minus, partendo da un dato sconosciuto e sottraendo soltanto alcuni fattori
di costo a livello di infrastrutture e di rete di distribuzione più facilmente
individuabili, risulta perciò di più semplice e rapida implementazione, anche
laddove non sia stato sviluppato un modello di contabilità regolatoria.
Ma, proprio perché rappresenta un prodotto intermedio
ottenuto sottraendo, come si è detto con una icastica espressione, dei
“mattoni” ad un’offerta commerciale costruita dall’operatore dominante, questo
modello regolamentare mostra il suo deficit strutturale,
essendo il prezzo del servizio venduto all’OLO vincolato alle scelte di prezzo
e di velocità trasmissiva, alle tempistiche di entrata nel mercato
differenziate sul territorio, alle politiche di marketing e di
distribuzione, alle modalità tecnologiche e alle caratteristiche
infrastrutturali decise unilateralmente dall’operatore stesso, e limita perciò
in modo significativo la capacità di innovazione, sia sotto il profilo
tecnologico che di qualità del servizio, degli OLO che acquistano il prodotto.
Inoltre, quando – come nel caso di specie – l’Autorità
definisca un differenziale tra l’offerta wholesale e l’offerta retail che
garantisca nel medio periodo un ragionevole margine commerciale, il permanere
dell’offerta basata sul modello retail minus consente
l’ingresso e la permanenza nel mercato di operatori inefficienti sotto il
profilo competitivo, in quanto scarsamente incentivati all’innovazione nelle
infrastrutture e nei servizi.
4.9. Orbene, tutto ciò premesso, l’Autorità ha
ritenuto di dover mantenere il sistema del retail minus per i
servizi WLR e WBA.
AGCOM, nel § 218 e nel § 226 dell’impugnata delibera,
ha giustificato questa scelta con la ragione che “nell’adottare il network
cap ha inteso fornire certezza regolamentare al mercato e mantenere
inalterati i livelli “relativi” ai prezzi dei servizi wholesale di
Telecom Italia stabiliti negli ultimi anni, nel rispetto del principio della ladder
of investment”.
L’Autorità ha altresì precisato che, sebbene il prezzo
del canone naked sia stato fissato applicando un meccanismo di
tipo retail minus, il valore del minus è stato
stabilito dall’Autorità con la delibera n. 249/07/CONS tenendo conto del
livello dei costi e nel rispetto del principio della scala degli investimenti,
ossia considerando le differenze di prezzo tra i vari servizi forniti da TI.
Anche il T.A.R. ha condiviso tale motivazione,
recependone i principali argomenti.
4.10. Questa motivazione, ad una più attenta analisi,
non sfugge tuttavia ad una censura di insufficienza, illogicità e
contraddittorietà.
Essa appare incoerente, infatti, rispetto al modello
economico adottato.
Non merita anzitutto condivisione l’argomento, usato
dal T.A.R. (p. 22 della sentenza), secondo il quale il valore dei prezzi del
2009 non era completamente sganciato dal controllo dei controllo e, in quanto
tale, era “avvicinabile ad un sistema di orientamento ai costi”, in
quanto “anche nel sistema retail formava già oggetto di
valutazione la ragionevolezza dei prezzi, atteso che l’offerta di riferimento
era sottoposta ad approvazione da parte dell’Autorità, che, a tali fini, teneva
conto, in base alla delibera 33/06/CONS, come anche affermato dalla difesa
dell’Autorità senza specifica smentita sul punto, del price cap,
cioè dei costi sottostanti”.
È la stessa AGCOM, nella propria memoria difensiva, ad
affermare infatti che per gli anni 2008 e 2009, pur in assenza di uno specifico price
cap, vigeva l’obbligo di TI di sottoporre al vaglio dell’AGCOM qualsiasi
propria determinazione di variazione del canone di accesso retail.
I prezzi del 2009, dunque, non erano sottoposti ad un
regime di orientamento ai costi, diversamente da quelli del 2006 e del 2007,
sicché non può affermarsi, come invece il giudice di prime cure sembra
ritenere, che anche essi fossero orientati ai costi, dato che l’obbligo di TI
di sottoporre al vaglio dell’AGCOM qualsiasi propria determinazione di
variazione del canone di accesso retail precedentemente
determinato non è in sé prova né garanzia di un sicuro orientamento al costo,
in assenza, come riconosce la stessa Autorità nel § 278 della delibera n.
578/10/CONS, di un price cap per il 2008 e per il 2009.
La stessa AGCOM, nel revocare, con la delibera n
731/09/CONS, l’obbligo di controllo dei prezzi massimi praticati da TI alla
clientela finale dal 2009 in poi, aveva del resto confermato tale scelta, anche
di fronte ai rilievi critici formulati dagli OLO in sede di consultazione
preventiva, osservando, nel § D7.15 della citata delibera, che “la
regolamentazione vigente a livello wholesale appare idonea a
tutelare il consumatore finale dal rischio di prezzi eccessivi da parte dell’incumbent”.
È quindi evidente che l’argomento del T.A.R. appare
viziato da circolarità logica perché, secondo la stessa Autorità,
l’orientamento al costo dei prezzi richiesti da TI agli utenti finali, con
conseguente revoca dell’obbligo di controllo da parte di AGCOM, dovrebbe essere
garantito, a monte, da una idonea regolamentazione dei prezzi pagati dagli OLO,
mentre il giudice di prime cure afferma che questi ultimi sarebbe orientati al
costo perché rapportabili ai prezzi pretesi, a valle, degli utenti finali,
prezzi sui quali non sarebbe stato necessario più alcun controllo, a giudizio
dell’Autorità, perché superfluo proprio in ragione dell’(affermato) orientamento
al costo dei servizi wholesale previsto dall’Autorità stessa.
4.11. Ma la più grave criticità della contestata
decisione adottata dall’Autorità si sostanzia e si evidenzia nel rilievo che
AGCOM, nella delibera impugnata, non ha illustrato esaurientemente le ragioni
per le quali, per i servizi WLR e WBA, si sia discostata dal modello di
orientamento al costo adottato, invece, per i servizi ULL.
Non appare sufficiente a giustificare tale scelta,
infatti, la considerazione – recepita anche dal T.A.R. nella sentenza impugnata
– che, in un’ottica di risalita nella scala degli investimenti e con un
approccio graduale, si sia privilegiata la finalità di mantenere invariate le
differenze tra i vari servizi, sì da conservare lo stesso spazio economico tra
tali prodotti di accesso.
Tale finalità, mai contestata – nemmeno nel presente
giudizio – da Fastweb come dagli altri operatori, non appariva certo un
ostacolo all’applicazione integrale del modello di orientamento al costo, in
coerenza con il BU-LRIC, a tutti i servizi.
Anzi di recente, con la decisione del 30.11.2012,
prot. C(2012)9112, caso IT/2012/1384, la Commissione Europea ha espressamente
rilevato che “un metodo orientato ai costi, applicato coerentemente ai
prodotti nelle varie stratificazioni della rete, serve già di per sé a
proteggere il giusto spazio economico tra i diversi prodotti di accesso”.
L’AGCOM non ha cioè motivato le ragioni per le quali,
anche adottando per i servizi WLR e WBA lo stesso metodo di orientamento al
costo seguito per i servizi ULL, non sarebbe stato possibile mantenere
egualmente – o anzi addirittura rafforzare – lo spazio economico tra i diversi
prodotti di accesso, assicurando quella necessaria differenza di prezzo che,
proprio nell’ottica di gradualità tipica di un sistema network cap,
avrebbe indotto gli OLO a risalire progressivamente la scala degli investimenti
e a trovare maggior convenienza nell’investire risorse in servizi via via più
infrastrutturati.
Questo approccio, che sarebbe stato il più coerente
con il modello BU-LRIC, come ha anche rilevato a più riprese la Commissione,
non è stato adeguatamente considerato dall’AGCOM, anche solo per escluderne
l’opportunità in raffronto al modello del retail minus prescelto,
che è stato assunto, invece e acriticamente, senza una valutazione comparativa
della sua preferibilità rispetto al modello dell’orientamento al costo.
L’AGCOM ha espresso, al riguardo, una motivazione
insufficiente e inconferente, dato che gli OLO non hanno contestato la finalità
di risalire la scala degli investimenti, ma hanno sostenuto che proprio tale
finalità avrebbero potuto essere garantita, coerentemente, con l’applicazione
di un modello di prezzo orientato al costo per tutti i servizi, senza
distinguere l’ULL dal WLR e dal WBA.
La motivazione di AGCOM, dunque, è insufficiente e
illogica, apparendo in contrasto con la finalità che pur dichiara di voler
perseguire.
L’Autorità, nel rispondere alle osservazioni degli OLO
in sede di consultazione, non ha offerto alcuna spiegazione che consenta di
capire perché l’integrale applicazione del modello BU-LRIC ad ogni servizio
sarebbe stata, a suo avviso, di ostacolo alla scala degli investimenti, mentre
la stessa Commissione l’ha invitata, sul punto, a riesaminare il suo approccio
regolatore in relazione ai servizi WLR e WBA, segnalando il rischio che tale
approccio non avrebbe consentito ad AGCOM di valutare se lo spazio economico
fra questi prodotti di accesso fosse realmente sufficiente, poiché nella
fattispecie tale valutazione, come osservava l’Istituzione europea, sarebbe
stata possibile “solo utilizzando un modello di prezzi orientati al costo
per ciascun servizio di accesso”.
Nel discostarsi da tale rilievo, come pur le era
consentito fare per il carattere non vincolante delle osservazioni formulate
dalla Commissione, avrebbe dovuto comunque AGCOM osservare un onere di
motivazione rafforzata, proprio in ragione delle conseguenze, segnalate
dall’Istituzione europea, che tale approccio differenziato avrebbe potuto avere
sulla scala degli investimenti e sul mercato dei servizi di accesso
all’ingrosso, verificando almeno, con un’analisi di tipo comparato e mediante
un adeguato approfondimento istruttorio, se la strada indicata dalla
Commissione, coerente in toto con il modello BU-LRIC, sarebbe
stata preferibile rispetto all’adozione del retail minus per i
servizi WLR e WBA, non soltanto per consentire una miglior concorrenza tra gli
operatori, ma proprio per favorire una maggior infrastrutturazione.
Di tale necessaria analisi, che avrebbe richiesto un
esame istruttorio ben più penetrante, non vi è traccia motivazionale
nell’impugnata delibera, la quale si sofferma, come anche la sentenza oggetto
di gravame, sulla gradualità dell’approccio e sulla rilevanza dei prezzi
finali, che non sono certo in discussione, senza tuttavia considerare se tale
gradualità e tale rilevanza non avrebbero potuto essere ancor meglio
valorizzate da un modello di orientamento al costo per tutti i servizi di
accesso, capace di garantire fin dall’inizio, e ancor più efficientemente di
quello “misto” o ibrido prescelto, la differenza di costo tra i servizi, nel
corso del triennio contemplato dal price cap, e la conseguente
risalita nella scala degli investimenti da parte degli OLO, incoraggiati ad
ascenderne “i gradini” da un contesto concorrenziale ispirato ad un criterio di
integrale efficienza sin dalle condizioni di partenza.
4.12. Nei §§ 297-301 della delibera n. 578/10/CONS
l’Autorità si è limitata a confermare, in modo pressoché apodittico, di
ritenere adeguata al contesto di mercato e concorrenziale la metodologia
applicata, basata fondamentalmente sull’esistenza di uno spazio economico tra i
prezzi dei servizi di accesso, nel rispetto della scala degli investimenti, in
quanto in grado di garantire – al pari dell’orientamento al costo – il
principio di non discriminazione, come peraltro riconosciuto dalla stessa
Raccomandazione della Commissione sulle reti di nuova generazione.
È evidente, per le ragioni appena chiarite, la
tautologia di simile argomentazione, che finisce per giustificare se stessa.
“In ogni caso– ha poi concluso AGCOM (§ 301
della delibera n. 578/10/CONS) –l’Autorità si impegna ad una costante
verifica che tale approccio consenta anche in prospettiva una effettiva ed
efficace competizione nel mercato, con l’impegno ad adottare il criterio
dell’orientamento al costo qualora le verifiche fornissero riscontro negativo”.
Anche quest’ultima precisazione, tuttavia, costituisce
riprova ulteriore di una illogicità motivazionale, laddove l’Autorità si mostra
consapevole che la conferma della propria scelta, di fronte al rilievo della
Commissione che la invitava a riesaminare il proprio approccio relativamente ai
servizi WLR e bitstream, potrebbe generare segnali di mercato non
coerenti con la finalità perseguita, mentre sarebbe stata necessaria una più
accurata ponderazione di tale rischio di fronte alla più ragionevole adozione
del modello bottom up anche per tali servizi sin dal
principio, per poi evitare di dover correggere, in itinere, tale
scelta con l’adozione del criterio di orientamento al costo.
L’esperienza anche più recente del mercato in
questione mostra, infatti, come l’applicazione di un meccanismo incentivante
del tipo price cap ad un prezzo di partenza non orientato ai
costi sia destinato a perdere parte della sua efficacia, in quanto le inefficienze
economiche che la metodologia del retail minus non è in grado
di eliminare vengono conservate e trasposte nel triennio nonostante
l’applicazione del cap, finendo anche per disincentivare gli OLO
dall’investimento nell’infrastrutturazione.
4.13. Ne segue che la delibera n. 731/097CONS e la
delibera n. 578/10/CONS, nell’adottare il sistema del retail minus e,
conseguentemente, nello scegliere i prezzi praticati da TI nel 2009 ai clienti
finali come base per il calcolo dei prezzi dei servizi WLR e WBA sul versante wholesale,
risultano viziate da eccesso di potereper l’insufficienza, la illogicità, la
contraddittorietà della motivazione, in ordine a tale fondamentale aspetto,
come anche per il difetto di relativa adeguata istruttoria.
L’impugnata sentenza deve essere dunque riformata,
laddove ha fatto proprie (pp. 23-29) le censurate argomentazioni dell’Autorità,
e le delibere n. 731/09/CONS e n. 578/10/CONS devono essere in parte
qua annullate, nei limiti e per i motivi appena precisati, affinché
AGCOM, nell’ambito della discrezionalità tecnica che le compete, rivaluti e
spieghi compiutamente se, nel triennio di riferimento, la scelta operata sia
più coerente e, comunque, più efficiente, rispetto al modello di un integrale
orientamento di tutti i servizi di accesso al costo, per il perseguimento delle
finalità alle quali la stessa AGCOM dichiara di ispirarsi nel quadro della
normativa europea e nazionale.
5. L’appellante, con il terzo motivo, si duole del
fatto che l’all. n. 14 della delibera n. 731/09/CONS includa,
indifferentemente, canoni e contributi di attivazione nello stesso paniere per
i servizi full ULL e sub loop.
Tali componenti avrebbero, però, una logica differente
che non ne consente l’assimilazione.
I contributi sottendono costi di manodopera che
dovrebbero essere costanti e, anzi, decrescenti nel tempo e non variano come
variano i canoni ULL, in quanto non hanno alcun nesso di causalità con
l’andamento dei costi di rete.
In sintesi i contributi dovrebbero essere inseriti in
un altro paniere perché il costo della manodopera non può avere lo stesso
andamento di costo degli apparati e delle strutture oggetto di manutenzione.
5.1. L’appellata AGCOM sostiene, al contrario, che
tale inclusione è coerente con l’approccio regolamentare, prescelto dall’Autorità,
di controllare l’andamento complessivo dei servizi di accesso e, dunque, della
spesa che gli OLO devono sostenere per il loro acquisto, al fine di incentivare
l’acquisto di un servizio piuttosto che di un altro.
5.2. L’appellata TI sostiene, per conto suo, che la
delibera n. 578/10/CONS ha esaurientemente motivato in ordine all’inclusione di
canoni e contributi nello stesso paniere, osservando che, in applicazione di
quanto stabilito nella delibera n. 731/09/CONS, ciò che rileva maggiormente è
la variazione complessiva imposta ai prezzi dei prodotti di uno specifico
mercato nel suo insieme, facendo presente che i contributi relativi al mercato
n. 4 subiscono un aumento per effetto dell’aumento del canone ULL, mentre al
contrario i contributi riferibili al mercato n. 5 subiscono una diminuzione.
5.3. Il motivo di appello è fondato.
L’impugnata sentenza ha ritenuto che non appare
illegittima la scelta di inserire in un medesimo paniere sia il canone che il
contributo una tantum, in quanto AGCOM “ha evidenziato che in
tal modo può controllare l’andamento complessivo dei prezzi dei servizi di
accesso e della relativa spesa a carico degli OLO , con ogni effetto in ordine
alla scelta sugli acquisti da effettuare in rapporto alla maggiore o minore convenienza
degli stessi” (p. 30) e ha ribadito, nei §§ 227-228 della delibera n.
578/10/CONS, che rilevano “le variazioni complessive imposte ai prezzi di
prodotti di uno specifico mercato nel suo insieme” (p. 52).
La delibera n. 578/10/CONS, come anche e sulla sua
scorta l’impugnata sentenza del T.A.R., non ha sufficientemente motivato le
ragioni per le quali ha scelto di assoggettare alla stessa variazione
percentuale canoni e contributi indipendentemente dall’andamento dei costi
sottostanti.
Non è dato cioè comprendere, sulla base dei motivi
espressi nella delibera e recepiti dalla sentenza, perché, in un’ottica di
orientamento al costo come quella del modello BU-LRIC, canoni e contributi
siano stati inclusi nello stesso paniere, nonostante la diversità dei costi
sottostanti agli uni e agli altri.
La motivazione della delibera è, sul punto,
insufficiente, perché non consente di apprezzare adeguatamente se tale scelta,
nonostante la diversità dei costi sottostanti ai canoni e ai contributi, sia la
più rispondente al modello economico adottato, non potendo escludersi che la
distinzione delle due voci consenta una diversificazione dei prodotti tale da
favorire la risalita nella scala degli investimenti.
L’AGCOM non ha esplicitato, in altri termini, le
ragioni per le quali la sua scelta apparirebbe effettivamente più razionale,
sul piano economico, rispetto alla diversificazione di contributi e canoni,
stante la fondamentale divergenza dei costi sottostanti agli uni e agli altri,
limitandosi ad una motivazione apodittica, poiché l’acquisto di un servizio
anziché un altro, nell’ottica della scala degli investimenti, non può certo
dirsi impedita, in linea di principio e senza motivazione, dall’orientamento al
costo, ma anzi agevolata ed incentivata dall’adozione di tale criterio,
conforme al modello BU-LRIC.
5.4. I contributi una tantum, infatti,
sono riferibili ad attività operative, quali l’attivazione di linea, e sono
quindi sostanzialmente il prodotto di costo della manodopera per il tempo
impiegato allo svolgimento di tale attività.
I costi di queste componenti non solo hanno effetto
decrescente, per effetto della curva di apprendimento, ma soprattutto di certo
non possono avere un andamento crescente.
L’inclusione nello stesso paniere, in difetto di una
specifica motivazione che ne giustifichi l’inclusione, sembra porsi, in difetto
di una penetrante e analitica motivazione, in contrasto con il modello ispirato
ad un criterio di efficienza e di orientamento al costo adottato dall’AGCOM, in
difetto di adeguata ed esauriente motivazione sul punto che giustifichi tale
deroga rispetto ai principi che stanno a fondamento del modello.
5.5. Ne segue che l’impugnata delibera n. 578/10/CONS,
in quanto affetta in parte qua da eccesso di potere per
difetto di motivazione, illogicità e contraddittorietà, deve essere annullata,
con conseguente necessità, da parte di AGCOM, di rivalutare motivatamente tale
scelta e di verificare se la suddetta inclusione del canone e del contributo una
tantum nello stesso paniere sia da preferirsi alla loro
diversificazione sulla base dell’orientamento al costo, proprio in funzione
della dichiarata finalità di controllare l’andamento complessivo dei prezzi di
servizi di accesso e della relativa spesa a carico degli OLO e rispetto
all’obiettivo di agevolarne la risalita nella scala degli investimenti.
6. Con il quarto motivo di appello Fastweb lamenta
che, sempre incoerentemente rispetto al modello adottato, sarebbe stato
soppresso dalla delibera n. 731/09/CONS l’obbligo di ribaltamento automatico
delle offerte da parte di TI.
Deduce l’appellante, sul punto, che le delibere
83/06/CIR e 249/07/CIR stabilivano l’obbligo, per TI, di riversare le
promozioni applicate a livello retail ai corrispondenti
servizi intermedi a livello wholesale.
Tali previsioni erano conformi alla logica ispirata al favor per
la concorrenza.
AGCOM con la contestata delibera n. 731/09/CONS ha
eliminato l’obbligo di ribaltamento automatico delle offerte.
6.1. Il T.A.R. ha respinto la censura, osservando che
nel § 7.20 dell’impugnata delibera l’obbligo di ribaltamento non è stato
eliminato, ma semplicemente posticipato, secondo quanto prevede la successiva
delibera n. 499/10/CONS, in quanto sarà operato esclusivamente qualora,
all’esito dell’indagine di replicabilità, l’offerta non risulti eguagliabile
dagli OLO.
Tale previsione, secondo il T.A.R., sarebbe
ragionevole in quanto solo all’esito dell’indagine si potrebbe comprendere se
l’offerta sia stata il frutto dell’abuso della posizione dominante e, dunque,
se essa debba essere riversata in favore degli OLO.
6.2. L’appellante si duole che, però, venga così del
tutto negletto il fattore tempo, dato che l’offerta retail viene
riversata sul lato wholesale solo in caso di esito negativo
della verifica, mentre nel previgente regime la presentazione delle offerte era
simultanea tanto sul versante retail quanto su quello wholesale.
La previsione di AGCOM sarebbe così irragionevole
perché non idonea a porre gli OLO effettivamente al riparo da condotte
anticompetitive.
6.3. L’appellata AGCOM ha dedotto che la delibera
731/09/CONS ha inteso, per un verso, confermare il ribaltamento a livello wholesale delle
offerte retail di TI effettivamente non replicabili e, per un
altro verso, preannunciare l’opportunità di una rivisitazione del carattere
sistematico di questo ribaltamento, limitandone l’applicazione alle sole
ipotesi in cui la replicabilità, per le particolari caratteristiche
dell’offerta commercializzata dall’operatore storico, sia effettivamente posta
in discussione.
Osserva l’appellata che il meccanismo del ribaltamento
automatico si è rivelato in alcuni casi eccessivamente gravoso, oltre che
superfluo, specie nelle ipotesi, non infrequenti nella pratica commerciale, di
offerte rimodulate solo in base ai costi commerciali e non anche di quelli
all’ingrosso.
Per tali offerte la delibera 499/10/CONS ha stabilito
che “saranno gli Uffici dell’Autorità, in sede di verifica della
replicabilità delle offerte di Telecom Italia, a valutare la necessità del
ribaltamento a livello wholesale delle condizioni economiche
proposte a livello retail”.
In sostanza, conclude l’appellata richiamando anche
alcuni arresti di questo Consiglio (sentt. 6527/2008 e 6529/2008), qualora si
dovesse accertare che la promozione agli utenti finali deriva da una mera
rimodulazione dei costi commerciali, non potrà operare automaticamente
l’obbligo di replicare l’offerta; se, viceversa, la promozione deriva da una
rimodulazione dei costi all’ingrosso, diventerà attuale l’obbligo di riversare
l’offerta anche a favore degli altri operatori sul versante wholesale,
per garantire appunto la replicabilità dell’offerta.
6.4. Analoghe argomentazioni sviluppa anche l’altra
appellata TI, deducendo, anzitutto, l’inammissibilità del motivo, come già
ritenuto da questa Sezione con la sent. 3246/2012, e comunque la sua
infondatezza, in quanto osserva che, se l’offerta al dettaglio di TI inclusiva
delle promozioni è replicabile, non sussiste alcuna esigenza di sconto sui
prezzi regolamentati dei corrispondenti servizi all’ingrosso, avendo già AGCOM
verificato che gli OLO sono in grado di competere con TI.
6.5. Il motivo di appello è infondato.
La motivazione della sentenza impugnata appare logica,
coerente e completa, oltre che in linea con quanto affermato, seppur incidenter
tantum, da questo Consiglio di Stato con la sentenza della sez. VI, n. 6529
del 23.12.2008, laddove si è condivisibilmente escluso, anche per il regime
previgente, la automatica replicabilità dell’offerta.
Non appare corretto, infatti, l’assunto sul quale si
fonda la prospettata censura e, cioè, che in base alle previgenti disposizioni
la replicabilità delle offerte, sul versante wholesale, fosse
automatica.
Dall’insieme delle previgenti disposizioni e, in
particolare, dell’art. 23 della delibera n. 249/07/CONS si ricava, al
contrario, che le offerte promozionali retailfossero oggetto di una
“verifica” da parte dell’Autorità in funzione della garanzia, caso per
caso, della loro replicabilità e che, prima di essere introdotte sul mercato,
tali offerte fossero “potenzialmente” accompagnate dall’offerta di
corrispondenti promozioni sul mercato bitstream, cioè dei servizi
intermedi di accesso alla banda larga, da prospettare nei confronti degli altri
operatori concorrenti su tale mercato, “a monte” del retail.
L’effettivo riversamento, sul mercato dei servizi
intermedi, delle promozione, in base all’inequivocabile tenore di tali
disposizioni, era quindi “subordinato all’esito della verifica di
replicabilità da parte dell’Autorità”, con la conseguenza implicita, ma
logicamente necessitata, che non sussisteva “un meccanismo automatico di
riversamento delle offerte promozionali retail sul mercato wholesale
bitstream” (Cons. St., sez. VI, 23.12.2008, n. 6529).
La delibera n. 578/10/CONS non sembra avere, quindi,
sostanzialmente innovato il regime previgente.
In ogni caso la verifica eseguita da AGCOM consente di
escludere comportamenti anticompetitivi da parte di TI.
La circostanza che l’accertamento della replicabilità
avvenga ex post, seppur può in astratto – come deduce l’appellante
– provocare uno sfasamento temporale sul piano della concorrenza, è poi
compensato dall’obbligo in capo a TI, dopo l’esito positivo della verifica, di
riversare l’offerta sul lato wholesale.
La scelta dell’Autorità, nel delicato bilanciamento
degli opposti interessi, non appare né illogica né incoerente alla luce del
modello economico adottato.
Un indiscriminato meccanismo di ribaltamento
automatico ex ante, come quello ipotizzato dall’appellante, si
rivelerebbe, d’altronde e per converso, discriminatorio tutte le volte in cui
la promozione agli utenti finali derivi da una mera rimodulazione dei costi
commerciali di TI, poiché istituirebbe un ingiustificato sussidio indiretto in
favore degli OLO.
7. Con il quinto motivo Fastweb ha contestato la
verifica di predatorietà e di replicabilità delle offerte, per il modo in cui è
configurato e prefigurato dalla delibera n. 731/09/CONS, sotto diversi profili.
Viene anzitutto censurata dall’appellante la decisione
di utilizzare come base dei costi da porre a fondamento della verifica non più
i prezzi dei servizi, ma una combinazione di soluzioni di accesso fisico e
virtuale, stabilita in base alla disponibilità territoriale delle offerte.
La delibera n. 499/10/CONS ha definito, poi, questa
combinazione individuando un valore percentuale.
La previsione è stata impugnata con il III motivo del
ricorso n. 12037/10, proposto da Fastweb avverso tale ultima delibera in un
separato giudizio, ma rimarrebbe ferma, ad avviso dell’appellante, anche la
contestazione del principio di massima contenuto nella delibera oggetto del
presente giudizio, assumendo Fastweb che sia illogico utilizzare come base di
costo il c.d. mix produttivo enunciato appunto dalla delibera
n. 731/09/CONS.
Non è infatti certo che anche nelle aree aperte
all’ULL gli operatori utilizzino effettivamente tale servizio, poiché spesso
l’acquisto dell’ULL non è possibile anche in ragione di impedimenti tecnici (KO
di rete, saturazione delle centrali).
Modulare la base costo, nelle aree geografiche dove il
servizio è astrattamente disponibile, sui prezzi dell’ULL significherebbe
alzare la soglia di replicabilità, giudicando replicabili anche offerte molto
aggressive, non eguagliabili da chi in area ULL acquista servizi bitstream,
o rendere comunque replicabili le offerte solo per operatori che utilizzano un
determinato mix di servizi wholesale a
scapito di altri.
7.1. Un’ulteriore censura articolata dall’appellante
concerne la decisione, da parte di AGCOM, di considerare come modello di
architettura per la definizione della soglia dei costi di replicabilità
un’infrastruttura che utilizzi combinazioni di servizi di accesso fisico e di
accesso virtuale.
Tale indicazione si porrebbe in contrasto con le
risultanze dell’analisi di mercato.
La conseguenza di questa scelta farebbe sì che non
possa verificarsi il c.d. “vincolo indiretto” sui prezzi del bitstream che
aveva giustificato l’inclusione di tale servizio nel mercato n. 5 (§§ 144-145
delibera n. 314/09/CONS).
Fastweb ha infine contestato la possibilità,
introdotta dalla delibera impugnata, di indagare circa la replicabilità
dell’offerta facendo ricorso a benchmark con le indicazioni di
offerta praticate da altri operatori.
Ciò contraddirebbe il principio enunciato all’art. 1.3
della delibera n. 667/09/CONS, secondo il quale l’indagine deve essere condotta
esclusivamente sulla base dei costi e delle tariffe di TI.
7.2. L’appellata AGCOM deduce, sul punto, che i
rilievi relativi all’art. 64, comma 2, inerente alla metodologia per i test di
replicabilità, sono da un lato prematuri, perché tale metodologia ha formato
oggetto di un diverso e separato procedimento, avviato in fase di consultazione
pubblica dalla delibera n. 499/10/CONS, e comunque superati dai provvedimenti
successivi, a partire dalla già citata delibera 499/10/CONS, che ha definito i
nuovi test di prezzo ai fini della replicabilità, e dalla
successiva circolare attuativa.
Nel merito l’idea di ricorrere al mix produttivo
dei servizi intermedi disponibili in Italia, piuttosto che solo a quelli
disponibili in una determinata area del Paese, vale proprio a superare la
caratterizzazione tecnica della singola area geografica.
7.3. Anche l’appellata TI ribadisce in primo luogo
l’eccezione di inammissibilità, già accolta dal T.A.R. in prime cure, facendo
osservare che l’art. 64, comma 2, e i §§ D 7.18 e D 7.19 della delibera n.
731/09/CONS indicano inequivocabilmente che i nuovi test di
prezzo definiranno una metodologia “per l’individuazione
dell’architettura di riferimento dell’operatore alternativo efficiente”, la
quale “può” prevedere servizi di accesso fisico e virtuale, anche in
funzione delle caratteristiche di disponibilità su base territoriale
dell’offerta da replicare nonché di altre offerte di altri operatori già
presenti nel mercato.
Secondo TI la successiva delibera del 2010 costituisce
autonomo esercizio della potestà regolatoria in un diverso provvedimento, già
impugnato avanti al T.A.R., come accennato, da parte della stessa Fastweb.
Nel merito la scelta dell’AGCOM sarebbe inoltre immune
da censure, perché, proprio per tenere conto delle scelte di efficienza dei
concorrenti dell’operatore notificato, è stato introdotto il mix produttivo
(tra ULL e altri servizi wholesale), da calcolare con cadenza annuale,
quale riferimento da assumere ai fini della verifica del test,
quindi exante e non “caso per caso” (delibera n.
499/10/CONS, All. 1, § 1.3).
La circostanza che l’AGCOM ponga poi l’enfasi sul
servizio ULL non è contestabile, perché la soluzione produttiva scelta dagli
OLO nelle centrali realmente aperte all’ULL è, nel 90% dei casi, proprio l’ULL.
Il motivo è infondato, secondo l’appellata TI, anche
nella parte in cui censura la scelta dell’AGCOM di avvalersi, nell’analisi di
replicabilità, dei parametri di riferimento fondati anche sulle condizioni di
offerta effettivamente praticate dagli OLO, perché i valori direttamente
osservati sul mercato assumono una capacità euristica superiore rispetto alle proxy,
che si ottengono mediante l’applicazione di test che si
riferiscono ad operatori ipotetici.
Il riferimento ai costi di un OLO efficiente, nella
delibera n. 499/10/CONS, è stato approvato anche dalla Commissione Europea.
A ciò si aggiunga che pure la giurisprudenza
comunitaria in materia antitrust ammette, in maniera sostanzialmente ampia,
l’uso dei dati di costo dei concorrenti al fine di reprimere gli abusi di
posizione dominante c.d. di margin squeeze.
7.4. Il motivo di appello è inammissibile.
Come correttamente ritenuto dal giudice di prime cure,
la cui statuizione sul punto va esente da censura, il motivo, rivolto avverso
una norma che detta solo indicazioni di principio, che sono state poi
compiutamente disciplinate dalla delibera n. 499/10/CONS, non può essere
considerato ammissibile, in assenza di una contestuale impugnazione della
delibera che ha dato attuazione ai criteri delineati in merito, né può essere
censurato, sia pure indirettamente, un provvedimento, non contestualmente
impugnato alla delibera n. 731/09/CONS e ancora sub alio iudice, con
indebita interferenza nell’attività giurisdizionale di altro competente organo
chiamato a deciderne.
In ogni caso, deve qui aggiungersi incidenter
tantum, la censura è infondata perché, proprio per tenere conto delle
scelte di efficienza dei concorrenti dell’operatore notificato, è stato
introdotto il mix produttivo (tra ULL e altri servizi wholesale),
da calcolare con cadenza annuale, quale riferimento da assumere ai fini della
verifica del test, quindi ex ante e non “caso
per caso” (delibera n. 499/10/CONS, All. 1, § 1.3).
8. Con il sesto motivo l’appellante lamenta, quanto
alle offerte in bundle le quali prevedono la vendita associata
di beni e di servizi, che il T.A.R. avrebbe riprodotto le identiche
considerazioni di AGCOM circa l’improcedibilità dell’impugnativa per mancata
impugnativa della delibera attuativa.
Tale motivazione, secondo Fastweb, sarebbe erronea,
per le stesse ragioni espresse con il quinto motivo di appello (cfr., supra,
§ 6), in quanto l’appellante deduce di aver contestato l’illegittimità della
previsione di limitare la verifica delle offerte in bundle al
solo bundle di servizi, non includendo il bundle dei
beni, come, ad esempio, nel caso di vendite promozionali dove con la
sottoscrizione dell’abbinamento vengono regalati oggetti come telefoni,
supporti e apparati di vario genere.
Fastweb censura, sul punto, il vizio di omessa
pronuncia da parte del giudice di prime cure.
8.1. Anche per questa censura AGCOM ha replicato la
medesima eccezione di inammissibilità per le ragioni esposte in ordine al
quinto motivo di appello, poiché il tema è stato affrontato dalla delibera
499/10/CONS.
Anzi proprio la necessità, emersa nella pratica
applicativa, di adeguare la metodologia del test di prezzo alle nuove tipologie
di offerte presenti nel mercato, sempre più frequentemente basate su
“pacchetti” di servizi di accesso e traffico (appunto, i bundle),
ha indotto AGCOM a rivisitare i precedenti test con la citata
delibera n. 499/10/CONS.
8.2. Anche TI ribadisce l’eccezione di
inammissibilità, osservando come in quest’ultima delibera AGCOM abbia
ragionevolmente distinto tra i servizi di mixed bundling e pure
bundling, occupandosi anche del bundle di beni e servizi e indicando i
criteri che ne presiedono la verifica.
8.3. Il motivo di appello è inammissibile.
Come correttamente ritenuto dal giudice di prime cure,
infatti, anche tale censura, mossa ad una norma che detta solo indicazioni di
principio, che sono state poi compiutamente disciplinate dalla delibera n.
499/10/CONS, non può essere considerata ammissibile, in assenza di una
contestuale impugnazione della delibera che ha dato attuazione ai criteri
delineati in merito, né può essere censurato, sia pure indirettamente, un
provvedimento, non contestualmente impugnato alla delibera n. 731/09/CONS e
ancora sub alio iudice, con indebita interferenza nell’attività
giurisdizionale di altro competente organo chiamato a deciderne.
In ogni caso, deve qui aggiungersi incidenter
tantum, la censura è infondata perché la più volte citata delibera n.
499/10/CONS ha espressamente disciplinato la verifica di replicabilità in
ipotesi di bundle misto.
9. Altro profilo di censura, dedotto dall’appellante
con il settimo motivo di appello, concerne l’art. 24 della delibera n.
731/09/CONS, con il quale viene stabilito che la colocazione virtuale sarà
consentita solo laddove non siano ancora resi disponibili servizi di
colocazione fisica.
Al riguardo premette l’appellante che la colocazione è
il servizio tramite il quale TI fornisce agli OLO spazi tecnologicamente
attrezzati presso le proprie centrali per l’attestazione di collegamenti fisici
e per l’installazione di supporti idonei ad alloggiare apparati e cavi.
Essa può essere fisica e virtuale.
Nella colocazione fisica TI permette agli OLO di
collocare i propri apparati in spazi attrezzati di TI.
Nella colocazione virtuale TI offre spazi, tecnologia,
energia ed apparati.
L’art. 24 della delibera n. 731/09/CONS, come si è già
accennato, stabilisce che la colocazione virtuale sarà consentita solo laddove
non si siano resi disponibili servizi di colocazione fisica.
La scelta, secondo AGCOM, sarebbe collegata all’obiettivo
di favorire l’infrastrutturazione.
Secondo l’appellante la scelta dell’Autorità
sfavorisce e disincentiva, al contrario, l’infrastrutturazione, precludendo o,
comunque, impedendo proprio la soluzione tecnica che consente
l’interconnessione in condizioni in cui può non essere tecnicamente possibile o
profittevole che gli operatori si dotino di apparati propri.
Si tratterebbe di una ingiustificata limitazione ai
servizi di accesso in affermata violazione del principio di neutralità
tecnologica.
La delibera sarebbe stata impugnata, sul punto, anche
da Vodafone s.p.a. e il Consiglio di Stato, con la sentenza della sez. III,
30.5.2012, n. 3246, avrebbe accolto la censura, rilevando il difetto di
motivazione, da parte dell’Autorità, circa questo punto.
9.1. L’appellata AGCOM fa rilevare che, nel merito, la
sua scelta si giustifica con l’intento di favore l’infrastrutturazione degli
operatori alternativi, che non sarebbero incentivati a risalire la scala degli
investimenti se avessero sempre a loro disposizione la colocazione virtuale.
Non si lederebbe, inoltre, il principio della
neutralità tecnologica, perché non si imporrebbe una scelta tra diverse
tecnologie.
9.2. L’altra appellata TI deduce, invece, che il
motivo di gravame è divenuto improcedibile o inammissibile.
La sentenza n. 3246 del 30.5.2012 di questa Sezione ha
annullato, infatti, la delibera impugnata per difetto di motivazione e l’AGOM,
con successiva delibera n. 429/12/CONS, ha confermato la sua scelta,
integrandola con un adeguato apparato motivazionale.
La nuova delibera non è stata impugnata.
9.3. L’appello, per quanto attiene al motivo in esame,
è improcedibile.
La censura ha ad oggetto, infatti, una statuizione che
è stata già annullata e sostituita, in ottemperanza del dictum giudiziale,
da una nuova delibera che non è stata impugnata.
La stessa appellante dà atto, nella sua memoria di
replica, che tale motivo di appello è divenuto improcedibile per sopravvenuta
carenza di interesse sulla specifica doglianza.
10. Fastweb ha articolato, con l’ottavo motivo di
appello, anche due censure contro i meccanismi seguiti da AGCOM per definire i
costi della rete di accesso.
L’appellante deduce l’inattendibilità del campione,
formato da 50 centrali su 10.000 e ritenuto non affidabile, perché poco significativo.
Le centrali sarebbero state poi suddivise in dieci
classi, denominate geotipi, secondo il parametro della densità di linea.
Ma tale parametro viene ritenuto, in sé solo,
scarsamente rappresentativo, non potendo essere assunto come unico e corretto
indicatore di una fascia di costi.
Per i costi di infrastrutturazione il campione di 50
centrali è stato poi ulteriormente suddiviso in 32 categorie (i c.d.
clusters).
La rappresentatività di ogni singolo cluster,
dunque, è costituita da meno di due centrali e sarebbe, quindi, inaffidabile.
Fastweb lamenta, poi, che AGCOM avrebbe omesso di
considerare, ai fini del campione, tutti gli elementi che essa stessa aveva
considerato come decisivi ai fini dell’indagine e, in particolare:
1) la lunghezza complessiva dei cavi;
2) il numero delle linee uscenti dalla centrale;
3) il numero totale di armadi di distribuzione;
4) il numero di punti di distribuzione.
Nel ricostruire il campione sarebbe stato preso in
considerazione da AGCOM solo il parametro della densità di linea, senza nulla
dire circa gli altri criteri.
10.1. Il T.A.R. ha respinto la censura, osservando che
nei §§ 136-143 della delibera n. 578/10/CONS AGCOM spiegherebbe le ragioni per
le quali un modello fondato su cinque campioni per geotipo sarebbe
adeguatamente rappresentativo, senza che tali considerazioni siano state
apprezzabilmente smentite.
Dal § 29 della delibera testé citata, poi, emergerebbe
che siano stati debitamente considerati ai fini del modello tutti gli elementi
individuati al § 23 della delibera.
L’appellante lamenta che, al contrario, nei §§ 136-143
spiegherebbe alcune verifiche effettuate per controllare l’affidabilità del
campione, mentre non sarebbero state esaminate le critiche rivolte da Fastweb
alla costruzione stessa del campione.
Inoltre nel § 29, diversamente da quanto sostiene il
T.A.R. nell’impugnata sentenza, non risulterebbe affatto che AGCOM abbia preso
in considerazione gli elementi di cui al precedente § 23, ma si legge solo che,
appunto, per l’individuazione dei geotipi è stata utilizzata la sola densità di
linea.
10.2. L’appellata AGCOM deduce, anzitutto e in senso
contrario all’avversaria doglianza, di essere ricorsa ad un approccio di tipo scorched
node, il quale implica che il numero e la posizione delle centrali locali
“stadio di linea” di TI (oltre 10.000) vengano considerati come dati e non
modificabili per la costruzione della rete di accesso dell’operatore efficiente.
Le oltre 10.000 aree di centrale sono state suddivise
in 10 gruppi sulla base di caratteristiche omogenee.
Il campione utilizzato da AGCOM è costituito da 50
aree di centrale e, cioè, 5 aree per ogni geotipo.
Per ciascuna di queste aree di centrale AGCOM ha
sviluppato un’analisi di costi ottenuta a partire dall’analisi delle mappe
stradali, necessaria al fine di ottenere il corretto dimensionamento della rete
di accesso.
Osserva l’appellata AGCOM che l’approccio statistico
da essa prescelto per stimare i costi di accesso è uno di quelli più
frequentemente utilizzati per lo sviluppo dei modelli di bottom up dagli
altri Stati.
Già in sede di consultazione AGCOM ha esaminato, in
modo approfondito, i rilievi di Fastweb, che anche nell’appello si è limitata a
censure generiche e indimostrate.
L’Autorità, al punto 29 della delibera n. 578/10/CONS,
ha chiarito che “gli Uffici hanno utilizzato tutte le variabili indicate al
punto 23 al fine di garantire la rappresentatività dei campioni casuali
generati, applicando una procedura di “accettazione” degli stessi”.
10.3. Anche TI sostiene che alla luce delle puntuale
motivazione dell’Autorità, che ha dedicato al tema ben quasi trenta paragrafi,
rispondendo anche alle osservazioni degli OLO, le censure dell’appellante siano
destituite di qualsiasi fondamento, avendo AGCOM dimostrato convincentemente
l’idoneità rappresentativa del modello campionario prescelto, anche se
circoscritto ad un numero esiguo di aree di centrale, in quanto integrato nella
sua applicazione da una seria di elementi corretti (le effettive consistenze
dei rete di TI, il coefficiente di accettazione) funzionali al raggiungimento
di risultati aderenti alla realtà sostanziale.
Il modello di AGCOM ha utilizzato quindi solo
parzialmente le informazioni sulla distribuzione della domanda reale sulla rete
di TI, avendo applicato una modellizzazione delle aree di centrale determinata
sulla base della densità di linea, ottenuta come rapporto tra i metri lineari
di scavo e di palificazione e il numero di linee uscenti dal permutatore.
10.4. Il motivo di appello è infondato.
AGCOM ha dato esauriente e convincente spiegazione
dell’attendibilità del metodo campionario usato, applicando ai geotipi le
variabili descritte nel § 23 (lunghezza degli scavi, numero di coppie uscenti,
numero totale degli armadi, numero dei punti di distribuzione) per rendere
accettabili le relative risultanze, confrontando il valore medio calcolato sul
campione causale di ciascuna variabile con la statistica calcolata sull’intera
popolazione appartenente al geotipo.
L’Autorità ha dato dunque puntuale applicazione al
criterio al quale si era autovincolata, introducendo, accanto al parametro
della densità di linea, discriminante più significativa fra un’area di centrale
e un’altra, quattro variabili determinanti per l’individuazione dei costi di
rete.
In questa prospettiva deve osservarsi che l’Autorità,
dopo aver descritto ai §§ 20 e ss. i criteri di scelta delle aree di centrale e
quelli di composizione dei geotipi, all’interno di ciascuno dei quei ricadono
tutte le aree di centrale aventi caratteristiche omogenee, ha illustrato, nei
§§ 26 e ss., le modalità attraverso le quali le centrali sono state inserite
nell’ambito di ciascuno dei dieci geotipi, esplicitando, in modo chiaro ed esauriente,
le motivazioni di ordine logico poste a fondamento di tale scelta.
I geotipi sono stati definiti utilizzando come
variabile di classificazione la densità di linea, ottenuta come il
rapporto tra i metri lineari di scavo e di palificazione e il numero di linee
uscenti dal main distribution frame della rete di accesso
dell’operatore notificato.
La variabile densità di linea costituisce,
nella definizione dei geotipi, senza dubbio la discriminante più significativa
fra un’area di centrale ed un’altra, in termini di costo, dato che prende in
considerazione anche la dispersione geografica della popolazione intorno
all’area di centrale.
Il primo geotipo comprende le aree di centrale più
densamente popolate e maggiormente concentrate rispetto alla posizione della
corrispondente centrale (densità di linea minima).
L’ultimo geotipo, a sua volta, comprende le aree meno
densamente popolate e meno concentrate rispetto alla posizione della centrale.
Applicando il parametro della densità di linea, quale
criterio discretivo di maggiore rappresentatività, AGCOM ha individuato circa
1000 aree di centrale per ciascun geotipo.
Infine, allo scopo di assicurare proprio la
rappresentatività dei campioni generati casualmente, l’Autorità ha applicato le
variabili indicate nel § 23 (lunghezza degli scavi, numero di coppie
uscenti, numero totale degli armadi, numero dei punti di distribuzione) per
rendere accettabili le relative risultanze, confrontando il
valore medio calcolato sul campione casuale di ciascuna variabile con la statistica
calcolata sull’intera popolazione appartenente al geotipo.
10.5. Erra dunque l’appellante quando afferma, a
fondamento della sua censura, che AGCOM avrebbe fatto riferimento al solo
criterio della densità di lineapoiché, contrariamente a tale
assunto, l’Autorità ha applicato tutte le variabili indicate nel § 23 della
delibera n. 578/10/CONS, pur privilegiando, per la sua indubbia e
(incontestata) maggior rappresentatività, la densità di linea.
Nel § 150 della delibera AGCOM, proprio rispondendo ad
una osservazione di Fastweb in sede di consultazione, ha spiegato, in modo del
tutto logico ed esaustivo, che la maggior rilevanza attribuita alla densità di
linea si giustifica in ragione del fatto che tale parametro, nel tenere in
conto la densità abitativa e la dispersione degli utenti intorno alle centrali,
è quello che meglio caratterizza i driver di costo di una rete
di accesso.
Infine, quanto all’ulteriore rilievo di Fastweb
secondo il quale l’approccio campionario comporterebbe una sovrastima dei
costi, l’Autorità ha ben sottolineato che l’analisi della rappresentatività
statistica, da essa prescelta, dimostra che dall’insieme dei campioni adottati
sono sicuramente escluse, per tutti i geotipi, le aree aventi un parametro di
densità lontano dalla media del geotipo di appartenenza.
AGCOM ha inoltre provveduto ad analizzare le mappe
stradali, al fine di verificare la posizione della centrale stadio di linea
rispetto a quella di tutti gli edifici ad essa connessi.
Tali informazioni sono state utilizzate per definire i
confini (la c.d. “copertura”) di ciascuna centrale e, quindi, per
individuare i percorsi ottimali di scavo e di posa dei cavi e per valutarne i
relativi costi.
10.6. L’approfondita e meticolosa analisi svolta
dall’Autorità, dunque, consente di affermare che il metodo da essa seguito,
peraltro di frequente utilizzo per lo sviluppo del modello bottom up,
sia dotato di una rappresentatività statistica completa e persuasiva, come ha
anche correttamente ritenuto il T.A.R. nell’impugnata sentenza (pp. 44-45).
Le censure di Fastweb, pertanto, non colgono nel
segno, essendo la motivazione di AGCOM logica, completa, coerente con il
modello bottom up e del tutto rispondente a criteri di
corretta campionatura.
11. Con il nono motivo di appello Fastweb sviluppa le
proprie censure relative ai parametri di individuazione dei clusters,
cioè le 32 categorie in cui sono stati suddivisi i geotipi al fine di
individuare i costi unitari, e dei dati input utilizzati per
determinare i costi delle infrastrutture e degli apparati.
I clusters sono individuati secondo
due criteri: la fascia dimensionale e le aree di lavoro, che considerano
l’orografia del terreno, la viabilità, il clima, la difficoltà di realizzazione
delle opere civili.
Fastweb ha dedotto, al riguardo, l’assoluta mancanza
di trasparenza circa i presupposti e i criteri sulla scorta dei quali le aree
di lavoro e le fasce dimensionali erano stati individuati.
L’appellante ha lamentato, anzitutto, che la
determinazione dei costi, secondo quanto si evincerebbe dal § 35 della delibera
n. 578/10/CONS, si fonderebbe esclusivamente sui dati forniti da TI, senza
tenere in debito conto profili di efficienza.
Alcune delle variabili considerate, come ad esempio le
difficoltà di realizzazione, avrebbero inoltre una connotazione fortemente
discrezionale.
Sul metodo di determinazione dei costi
dell’infrastruttura e degli apparati risulterebbe che AGCOM si sia fondata sui
listini Telecom, sui prezziari di enti pubblici quali il Ministero delle
Infrastrutture, la Regione Abruzzo e il Comune di Roma, operando un
abbattimento del 20% in considerazione del ribasso medio sulla base d’asta.
Fastweb lamenta l’inadeguatezza dei parametri
individuati da AGCOM per misurare il prezzo efficiente e, in particolare, la
scarsa rappresentatività degli specifici enti pubblici prescelti e delle basi
d’asta, per le quali occorreva far riferimento ai dati dell’Osservatorio dei
contratti pubblici.
Il T.A.R. si sarebbe limitato ad affermare la natura
discrezionale dei criteri adottati da AGCOM, ritenendo che, sul punto, il suo
sarebbe un sindacato debole.
11.1. L’AGCOM oppone che il motivo di appello è
infondato, in quanto i costi unitari delle infrastrutture e degli apparati sono
stati determinati utilizzando non solo le informazioni risultanti dai listini
di TI, ma anche quelle contenute nei listini degli altri operatori di accesso.
La stessa appellante, su invito dell’Autorità, ha
fornito informazioni sui costi unitari.
Tali informazioni sono state acquisite dall’Autorità,
che le ha considerate insieme a quelle fornite dagli altri operatori.
Tutte le informazioni raccolte sono state poi validate
operando dei confronti con i listini delle imprese fornitrici dei servizi
necessari per realizzare le infrastrutture (scavi, cablatura) o con i costi
unitari utilizzati dai modelli BU-LRIC in altre nazioni.
Con specifico riferimento ai costi delle
infrastrutture, inoltre, il suddetto confronto è stato operato anche con i
prezziari di vari enti pubblici.
Solo a seguito di tali operazioni l’AGCOM ha
individuato i costi unitari di un operatore efficiente da utilizzare nel
modello, di cui alcuni sono risultati in linea con quelli riportati da TI,
mentre altri sono risultati di gran lunga inferiori a quelli riportati da TI,
sicché sono stati efficientati, cioè ridotti, anche del 40%, da AGCOM.
I prezziari presi a parametro dall’Autorità, inoltre,
sono stati redatti proprio allo scopo di favorire l’attuazione delle previsioni
del d. lgs. 163/2006 e, pertanto, sono totalmente attendibili.
11.2. Anche l’appellata TI ritiene la censura
infondata.
Quanto ai clusters, infatti, osserva TI
che le centrali oggetto di campionatura sono di proprietà di TI, con la
conseguenza che appare logico e ragionevole che AGCOM, per suddividerle
all’interno dei 32 clusters, abbia assunto indici dimensionali e
tipologici forniti da TI.
Inoltre, osserva l’appellata, tanto il complessivo
criterio della fascia dimensionale quanto i tre sottocriteri per
l’individuazione delle aree di lavoro si fondano su dati oggettivi, quali per
la fascia il numero delle coppie uscenti dalla centrale stadio di linea, per le
“aree di lavoro” l’orografia del terreno, la viabilità, il clima.
Nei §§ 33-40 della delibera n. 578/10/CONS viene poi
descritta analiticamente la procedura seguita da AGCOM per la determinazione
dei costi unitari delle infrastrutture e degli apparati.
La procedura utilizzata per la stima dei prezzi delle
opere civili, che prevede la riconciliazione delle informazioni fornite da TI e
da alcuni operatori alternativi con i prezziari adottati da alcun enti
pubblici, fornisce sufficiente garanzia di trasparenza ed affidabilità dei
prezzi delle opere civili.
11.3. Il motivo di appello è infondato.
Deve anzitutto rilevarsi, quanto alla determinazione
dei clusters, che il complessivo criterio della fascia
dimensionale e i tre sottocriteri per l’individuazione delle aree
di lavoro di fondano su dati oggettivi, quali il numero delle coppie
uscenti dalla centrale stadio di linea, per la “fascia”, e l’orografia del
terreno, la viabilità e il clima per le aree di lavoro.
Dall’analisi della ampia e motivata ricostruzione
dell’iter istruttorio percorso da AGCOM, infatti, si evince che l’Autorità
ha fatto riferimento ai dati di TI e degli altri operatori di accesso, tra i
quali quelli della stessa appellante, e li ha poi confrontati con i prezziari
di alcuni enti pubblici, con un’analitica ed attenta verifica dei singoli costi
dalla quale è scaturita una pesantissima riduzione, anche oltre il 40%, delle
condizioni economiche dei capitolati di TI.
I costi unitari delle infrastrutture e degli apparati,
diversamente da quanto sostiene l’appellante, sono stati dunque determinati
utilizzando non solo le informazioni provenienti dai listini da TI, ma anche
quelle contenute nei listini di altri operatori di accesso.
La disamina dell’Autorità, ad esempio, ha evidenziato
che i costi di palificazione, di trincea e di canalizzazione riportati da TI
sono in linea con quelli di un operatore efficiente, fatta salva l’applicazione
di un coefficiente riduttivo del 20% su quelli di palificazione per tenere
conto del ribasso d’asta medio riscontrato in gare d’appalto per questa
tipologia di opere.
Come correttamente sostenuto dalla difesa di TI,
infatti, proprio l’assunzione dei prezziari dei principali operatori telefonici
di rete fissa costituisce la migliore riprova della piena rispondenza del
modello a rappresentare effettivamente i costi necessari per approntare una
rete di accesso.
Tra i prezziari utilizzati dall’Autorità vi sono,
peraltro, anche quelli elaborati a cura del Ministero delle Infrastrutture con
la collaborazione della Regione Lazio e del Comune di Roma ed un altro
elaborato dalla Regione Abruzzo.
Tali prezziari vengono utilizzati come riferimento dai
Comuni per la realizzazione dei lavori edili, tra i quali vi sono anche quelli
stradali, che l’appellante lamenta non sarebbero stati presi in considerazione
dall’Autorità.
Occorre peraltro considerare che, come viene
evidenziato nel § 38 della delibera n. 578/10/CONS, ai prezzi risultanti dai
prezziari sono state applicate dall’Autorità, nei casi in cui ciò risultasse
giustificato, le dovute riduzioni, anche del 20%, per tener conto del ribasso
d’asta medio riscontrato in gare di appalto previste per questo tipo di
servizio.
La motivazione della delibera appare logica, sorretta
da adeguata ed approfondita istruttoria, e coerente con i costi di un operatore
efficiente.
La sentenza impugnata, pertanto, ha correttamente
rilevato che non possa essere revocata in dubbio l’affidabilità dei dati
utilizzati dall’Autorità per la determinazione dei clusters, sicché
essa resiste alla critica sul punto mossale dall’appellante.
12. Oggetto del decimo motivo di censura, da parte di
Fastweb, è anche il metodo di determinazione del canone ULL.
Il canone del servizio ULL, come sopra si è già avuto
modo di chiarire, è stato determinato sulla base di tre componenti di costo:
1) i costi di rete;
2) i costi di commercializzazione;
3) i costi di manutenzione correttiva.
La delibera n. 731/09/CONS aveva stabilito che tutti i
costi riferibili al canone ULL si sarebbero dovuti determinare attraverso
l’applicazione del modello BU-LRIC.
Deduce tuttavia l’appellante che la delibera n.
578/10/CONS, in realtà, si sarebbe discostata da tale paradigma in quanto per i
costi di commercializzazione e di manutenzione non è stato costruito alcun
modello.
I costi, quanto a importi e struttura, sono stati
ricavati dai dati forniti da TI.
Le operazioni, i tempi e i costi della manutenzione
correttiva ricalcano la struttura di TI, addirittura nel modo in cui essa
risulta fotografata dalla vecchia delibera n. 14/09/CIR.
Lo stesso varrebbe per i costi di commercializzazione,
determinati mediante l’applicazione dello stesso mark up del
7% definito con la delibera n. 14/09/CIR.
L’errore metodologico commesso dall’AGCOM sarebbe
stato stigmatizzato anche dalla Commissione Europea, che aveva avvertito che
utilizzare i costi storici effettivamente sostenuti da TI poteva comportare il
rischio di introdurre nel modello le inefficienze dell’operatore dominante, sì
da impedire di raggiungere condizioni di effettiva efficienza.
12.1. Secondo il T.A.R. ai dati di TI sarebbero stati
apportati i dovuti efficientamenti, applicando così un metodo che si pone in
linea con il modello bottom up, senza che possano rilevarsi contraddizioni
di sorta.
Il ragionamento del giudice di prime cure, secondo
l’appellante, sconterebbe un errore di fondo, in quanto reputerebbe corretto
l’approccio dell’AGCOM rispetto al modello BU-LRIC solo perché il costo
contabile sarebbe stato oggetto di efficientamenti, mentre l’Autorità, in
coerenza col modello, avrebbe dovuto prima ricostruire i costi di manutenzione
e di commercializzazione di un ipotetico operatore e poi, eventualmente,
confrontarli con i dati contabili.
A sostegno di tale assunto l’appellante precisa che
dalla stessa contabilità regolatoria certificata del 2010, resa pubblica dopo
l’adozione della delibera, risulta che i costi commercializzazione OLO per la
linea ULL sono pari a 0,39 cent/euro/mese per linea ULL, importo di gran lunga
inferiore a quello di 0,60 cent/euro/mese considerato da AGCOM, sicché il costo
“efficiente” dei costi di commercializzazione calcolato da AGCOM è addirittura
superiore ai costi effettivi non efficientati dichiarati dalla stessa TI.
12.2. L’appellata AGCOM ha rilevato, in senso
contrario all’avversaria censura, che la Commissione non avrebbe contestato
l’approccio adottato dall’Autorità, basato sull’efficientamento dei costi di
rete, di manutenzione e commerciali dell’operatore dominante, ma si sarebbe
limitata a sottolineare che i costi dell’operatore storico verticalmente
integrato devono essere introdotti in un modello BU-LRIC “con cautela”.
In risposta a tale osservazione l’Autorità ha chiarito
di non avere inteso far ricorso ad informazioni di costo riportate nella
contabilità regolatoria di TI se non quale valore di partenza, rideterminato
successivamente in ragione di un livello di efficienza ritenuto adeguato alla
rete modellata.
AGCOM, nel riconfermare la metodologia adottata, ha
condotto un ulteriore esercizio di riconciliazione, dettagliatamente descritto
nei §§ 278-282 della delibera n. 578/10/CONS, dalla quale si evince che i costi
di manutenzione stimati sono nel loro complesso allineati a quelli derivanti da
modelli economici sviluppati da altre Autorità, spesso assunte quali best
practices in campo internazionale.
12.3. Anche l’appellata TI ha opposto le medesime
argomentazioni, contestando il rilievo che la delibera n. 578/10/CONS abbia
pedissequamente assunto, quale base del modo di rilevazione dei costi in
questione, i dati contabili di TI, in quanto ha sottolineato che TI ha
costruito i costi di manutenzione secondo un autonomo modello.
12.4. Il motivo di appello è infondato.
Ancora una volta l’appellante contesta,
infondatamente, la metodologia BU-LRIC con approccio scorched node utilizzato
da AGCOM, che invece appare il più idoneo alla ricostruzione di un modello
orientato ai costi, come si è già avuto modo di osservare.
Diversamente da quanto ritiene l’appellante, poi,
l’AGCOM non ha fatto ricorso ad informazioni di costo riportate nella
contabilità regolatoria di TI, ma ha stimato i costi di manutenzione secondo i
costi di manutenzione di un autonomo modello (§ 275 della delibera n.
578/10/CONS), ribadendo di non aver utilizzato i costi sostenuti dalla
divisione wholesale di TI né di averli stimati sulla base
dell’offerta di riferimento della medesima società.
All’invito, rivoltole dalla Commissione Europea, di
adoperare i dati contabili di TI “con cautela”, infatti, l’Autorità non
ha mancato di rispondere, con motivazione logica, coerente e sorretta da
adeguata istruttoria, che il suo approccio ha preso le mosse dai dati di TI
solo come punto di partenza per poi sviluppare un modello di costi del tutto
autonomo, improntato all’ipotesi di un operatore efficiente.
I risultati sono stati ulteriormente validati da un
esercizio di riconciliazione, condotto dall’Autorità, confrontando il proprio
modello con quello danese e svedese, e verificandone, con esito positivo, la
conformità agli standards internazionali.
Come ha correttamente ritenuto l’impugnata sentenza,
dunque, l’AGCOM ha proceduto mediante il medesimo approccio integrato
evincibile anche ad altri fini, onde connotare di coerenza tutto l’impianto
metodologico.
Non è nemmeno esatto affermare, come fa l’appellante,
che la delibera n. 578/10/CONS abbia copiato le risultanze della precedente
delibera n. 14/09/CONS, poiché essa ha ridotto gli oneri di manutenzione del
18% e il mark up dei costi commerciali di circa il 7% rispetto
a quanto stabilito nella delibera del 2009, secondo il criterio, ritenuto
coerente da questo Consiglio (sent. 2439/2011), del “parametro
dell’efficientamento”.
13. L’appellante censura, con l’undicesimo motivo, la
determinazione del costo di manutenzione correttiva e del costo della manodopera.
Il costo della manutenzione correttiva, per
determinare il canone ULL, è stato calcolato da AGCOM, nella delibera n.
578/10/CONS, come prodotto tra il costo orario della manodopera dichiarato da
TI, il tasso di guasto delle linee ULL dichiarato da TI e del tempo stimato per
l’intervento di riparazione del guasto.
Fastweb deduce che, in sede di consultazione, gli OLO
hanno fornito riscontri oggettivi della circostanza che il costo orario della
manodopera preso come riferimento da AGCOM era del tutto fuori mercato ed era,
comunque, molto più elevato del costo reale sopportato da TI.
Gli operatori hanno spiegato, in quella sede, che è
invalsa la prassi di esternalizzare a ditte terze l’effettuazione di ogni
intervento di manutenzione.
I contratti con questi soggetti, denominati system unici,
prevedono tariffe flat, onnicomprensive, che remunerano tutti gli
interventi necessari alla manutenzione e prescindono, pertanto, dal numero di
ore, dal numero effettivo di interventi, dal costo orario della manodopera.
Il costo calcolato da AGCOM, insomma, sarebbe
sbagliato, in quanto non in linea con quello di mercato e addirittura superiore
al costo reale pagato da TI, giacché i contratti di system dovevano
essere almeno considerati come parametro di individuazione del costo
efficiente.
13.1. L’appellata Autorità, nella propria memoria
difensiva, ha ribadito le argomentazioni svolte nei § 275 della delibera n.
578/10/CONS, osservando, in risposta ai rilievi della Commissione, di avere
esaminato le informazioni ricevute già in fase di consultazione nazionale circa
i contratti stipulati dagli OLO con i fornitori di servizi di system unico,
quali proxy dei costi sostenuti dall’operatore dominante, e di
averli ritenuti parziali rispetto al complesso dei dati sui quali si basa il
modello adottato e, inoltre, contrastanti con la logica dell’approccio
prescelto e con le raccomandazioni della Commissione, che induce a tener conto
dei dati relativi ad un soggetto diverso dall’operatore dominante.
13.2. Analoghe argomentazioni ha svolto anche l’altra
appellata TI, rilevando come Fastweb non abbia confutato seriamente le
argomentazioni addotte dall’Autorità.
13.3. Il motivo è fondato.
Il T.A.R. è anzitutto incorso, sul punto, in un
evidente vizio di omessa motivazione, nonostante Fastweb avesse espressamente
sollevato, in prime cure, la relativa questione.
La delibera n. 578/10/CONS mostra una motivazione
insufficiente e illogica, nella parte in cui, pur mostrandosi consapevole
dell’esistenza delle tariffe flat, non le prende in considerazione
ai fini di una riduzione dei costi di manutentivi e ciò proprio al fine di
porre in essere un ulteriore esercizio di riconciliazione che le consenta di
adeguare e ricondurre i costi, calcolati sulla base di ipotesi economiche, alla
realtà effettuale, proprio per evitare il rischio che il modello, finendo per
peccare di astrattezza, giunga a conclusioni aberranti e persino contrarie alla
finalità che si propone, quella, cioè, di simulare una rete efficiente e costi
ad essa ragionevolmente parametrati.
L’esistenza di tali tariffe, pur nota all’Autorità, è
da essa considerata scarsamente rilevante perché, come si evince dalla lettura
della delibera n. 578/10/CONS, i dati forniti dagli OLO sarebbero parziali, ma
sul punto l’Autorità ha omesso qualsivoglia accertamento istruttorio e,
conseguentemente, qualsiasi approfondimento motivazionale capace di spiegare se
e in che misura simili contratti, impiegati da TI, avrebbero potuto condurre ad
una incisiva riduzione dei costi di manutenzione, proprio in un’ottica di
efficienza, mediante l’applicazione di tariffe forfetarie per gli interventi
sulla rete.
13.4. La motivazione dell’AGCOM, sul punto, appare
dunque carente e illogica, sicché la delibera impugnata deve essere annullata,
laddove non ha adeguatamente valutato, anche all’esito di puntuale istruttoria,
l’incidenza effettiva di tali contratti sui costi di manutenzione, in un
esercizio di “riconciliazione” con la realtà mirante quanto meno a scongiurare
il rischio che i costi ipotizzati dal modello addirittura superino i costi
“efficientati” con simili contratti dagli operatori reali e, in particolare, da
TI.
La delibera impugnata e il giudice di prime cure non
hanno tenuto in debito conto, nella prospettiva del modello ispirato al c.d. bottom
up, il dato del reale tasso di guasto risultante dai contratti stipulati
dai gestori a condizioni forfetarie con terze imprese, tasso che ammonterebbe
al 12%.
Il contestato provvedimento non dà conto delle ragioni
per le quali tali contratti non siano stati presi adeguatamente in
considerazione per valutare un efficientamento dei costi ipotizzati, che
sembrerebbero essere superiori a quelli reali e, dunque, contrastanti con il
criterio di efficienza che dovrebbe ispirare il modello adottato dall’Autorità.
Il motivo di appello, articolato da Fastweb, deve
quindi essere accolto in riferimento alla insufficiente ed illogica motivazione
in ordine alla mancanza di qualsivoglia approfondita istruttoria e di
convincente motivazione sull’effettiva incidenza dei contratti flat sui
costi di manutenzione presi in considerazione dal modello, sicché AGCOM sarà
chiamata a valutare analiticamente tali contratti per verificare se essi,
quand’anche coprano solo in parte i costi di manutenzione della rete nel suo
complesso, incidano su tali costi, abbattendoli comunque in misura
significativa.
14. Con il dodicesimo motivo di appello Fastweb ha
censurato il valore eccessivamente elevato del tasso di guastabilità
individuato da AGCOM.
Il valore – addirittura efficientato – è pari al 20,5%
(§ 186 della delibera n. 578/10/CONS).
Il metodo di AGCOM è sottoposto a critica
dall’appellante in quanto contraddittorio perché prende per base non la
realizzazione di una rete efficiente a costi correnti, con un tasso di guasto
assai basso, ma il tasso di guasto della vecchia rete di TI, peraltro adottando
un tasso assai superiore al tasso reale della rete TI, dato che questa si
avvale dei già menzionati contratti con system unici, con
tariffa flat calcolata sul tasso di guasto di rete pari al
12%.
L’AGCOM e il T.A.R., sulla sua scorta, avrebbero del
tutto trascurato tale rilievo.
Il tasso di guasto, dichiarato da TI ai fini delle
verifiche di qualità per i 2012, è pari al 12,964%, come risulta dalla delibera
n. 679/11/CNS.
Si tratta, dunque, di valori sensibilmente più bassi
rispetto al tasso di intervento utilizzato per valorizzare il prezzo del canone
ULL secondo la delibera 578/10/CONS.
14.1. L’AGCOM, nella propria memoria difensiva, fa
osservare che il riferimento ad una rete efficiente non significa l’assenza di
guasti e di interventi manutentivi, ma comporta al contrario l’esigenza di
investimenti adeguati e di interventi pronti ed immediati, che si tradurrebbero
in costi corrispondenti.
Il dato utilizzato dall’AGCOM non è costituito dal
tasso di guasto, ma dal tasso di intervento.
Tale distinzione, che non sarebbe stata correttamente
colta dall’appellante, è assai rilevante perché concerne parametri
difficilmente comparabili, riguardando il tasso di guasto la frequenza di
guasti che compromettono il funzionamento della rete fisica, determinando un
disservizio per il cliente finale, e il tasso di intervento la frequenza degli
interventi dei tecnici per ripristinare la funzionalità della rete in relazione
ad un determinato servizio erogato su quella linea (fonia e/o ADSL) ed è quindi
invariabilmente superiore al tasso di guasto.
L’AGCOM, pur confermando la necessità di tener conto
anche degli interventi ripetuti ai fini della soluzione di un singolo guasto,
in quanto parte del complesso delle operazioni che sono necessarie a mantenere
un adeguato livello di funzionamento della rete di accesso, ha approfondito
l’entità della ridondanza dovuta agli interventi ripetuti e, al fine di
incentivare TI a rendere ulteriormente più efficiente la propria rete, ha
ritenuto opportuno, in fase di consultazione pubblica nazionale, ridurre di due
punti percentuali il tasso di intervento originariamente proposto per il 2012,
portandolo da un valore di 22,5% ad un valore di 20,5%, con una conseguente
riduzione dei costi di manutenzione correttiva.
Tale ulteriore efficientamento, ad avviso
dell’appellata AGCOM, sarebbe infatti dovuto proprio alla necessità di ridurre
l’impatto degli interventi ripetuti a fronte dei guasti sulla stessa linea.
14.2. Analoghe considerazioni ha sviluppato anche TI
nella propria memoria.
L’appellata TI contesta, anzitutto, che alcuni
provvedimenti successivi della stessa AGCOM, come le delibere n. 71/11/CONS e
n. 679/11/CONS, e i contratti stipulati con ditte terze proverebbero
l’erroneità del tasso di interventi stabilito dalla delibera n. 578/10/CONS,
dimostrando che il tasso reale di guasto di TI sarebbe pari a circa il 12-13%.
TI contesta, infatti, l’assimilazione che l’appellante
istituisce tra tasso di guasto e tasso di intervento, ribadendo, come aveva già
fatto AGCOM nelle proprie difese, che si tratta di grandezze che misurano dati
differenti e che non sono, quindi, comparabili.
La delibera n. 578/10/CONS ha correttamente ritenuto,
quindi, che il tasso di intervento calcolato dall’Autorità sia difficilmente
confrontabile con i tassi di guasto riportati dagli OLO (§ 183) e, per
rispondere compiutamente ai rilievi della Commissione Europea, ha effettuato un
supplemento di istruttoria mediante le “metodologie applicate in due modelli
di pubblico dominio”, ossia quello svedese e danese.
Sottolinea TI come non sia corretto affermare, come
pretende l’appellante, che il tasso di guastabilità, in una rete nuova ed
efficiente, dovrebbe tendere allo zero, quando sono stati gli stessi OLO, in
sede di consultazione, a far riferimento alla “best practice” europea,
che registra tassi di guasto tra il 10% e il 16%.
Nemmeno la delibera n. 71/11/CONS e la delibera n.
679/11/CONS, invocate da Fastweb, dimostrerebbero l’incoerenza della delibera
impugnata, in quanto si tratterebbe di provvedimenti aventi finalità diversa,
riguardando i disservizi che pregiudicano completamente l’uso della rete e che,
come tali, impattano sulla qualità del servizio percepita dall’utente finale,
mentre la delibera n. 578/10/CONS remunererebbe gli interventi resi da TI per
risolvere tutti i disservizi sulle linee di accesso, anche quelli che non sono
percepiti dall’utente, come, ad esempio, un rallentamento della velocità di internet.
Il provvedimento del 2011 indica un tasso di guasto
pari al 15,1 % e considera, quindi, solo gli interventi on field e,
cioè, quelli eseguiti in loco dai tecnici, interventi che, come detto, non
esauriscono la gamma degli interventi.
Non sarebbe poi nemmeno vero, infine, che la delibera
impugnata abbia ignorato i contratti di manutenzione con tariffe flat prodotti
dagli OLO.
AGCOM, al contrario, afferma di aver esaminato le
informazioni circa i contratti stipulati dagli operatori alternativi quale proxi dei
costi sostenuti dall’incumbent(§ 275 della delibera n. 578/10/CONS), ma
ritiene che essi siano di limitata utilità, in quanto parziali, poiché si
riferiscono ad attività di manutenzione che possono rendersi necessarie in sede
di attivazione dei servizi (c.d. provisioning), mentre il tasso in
questione non è limitato a tale specifica fase e include, invece, gli
interventi realizzati da TI durante l’intera fase di vita della linea.
14.3. Il motivo di appello – se si eccettua quanto
rilevato, supra, al § 13 in ordine ai contratti di system unico
– deve essere respinto.
Come bene ha rilevato il giudice di prime cure,
infatti, il tasso di guasto e il tasso di intervento sono due misure differenti
e non assimilabili.
Il tasso di intervento, anche se rapportato
all’ipotetica rete di un operatore efficiente, rappresenta un valore sempre
superiore al tasso di guasto, in quanto tiene conto del malfunzionamento
relativo ai singoli servizi che sono forniti sulla linea.
Il tasso di guasto non costituisce, dunque, un valore
rilevante per il modello, il cui fine è quello di quantificare i costi
complessivi di manutenzione della rete e non di misurare la qualità del
servizio reso al cliente finale.
Non è del resto nemmeno esatto affermare, come fa
l’appellante Fastweb, che una rete efficiente non sia soggetta a guasti e,
conseguentemente, ad interventi manutentivi, poiché anche una rete efficiente
può essere soggetta a guasti determinati dalle cause più varie, anche
indipendenti dalla novità o dall’obsolescenza di rete.
L’efficienza ipotizzata dal modello non equivale, del
resto, a perfezione della rete per la semplice ragione che un modello
economico, come quello in questione, non può comunque fondarsi su
considerazioni del tutto astratte e irrealistiche, che rischiano di perdere
qualsivoglia legame di verificabilità rispetto al dato empirico, che non
conosce in rerum natura una rete del tutto esente da
interventi manutentivi.
Certamente una rete efficiente, come sostiene
l’appellante, vede ridurre quanto più è possibile gli interventi di
manutenzione, ma non al punto tale da rendere tale dato scarsamente
significativo, considerando che gli stessi OLO, in sede di consultazione, hanno
fatto riferimento alla best practice europea, che registra
anche tassi di guasto pari al 10% e al 16%, secondo quanto si evince proprio
dalla lettura della contestata delibera n. 578/10/CONS (§ 172), ma in nessun
caso, ovviamente, è pari a 0.
14.4. Non è condivisibile nemmeno l’altro argomento
dell’appellante, secondo la quale il tasso di guasto e il tasso di intervento
tendono a coincidere, quanto meno per gli interventi in loco (c.d. on
field), poiché un sistema efficiente, quale quello ipotizzato dal modello
AGCOM, dovrebbe consentire di riparare un guasto con un intervento, né risponde
al vero che l’equazione tasso di guasto = tasso di intervento sarebbe stata
recepita, peraltro, anche dalla delibera n. 71/11/CONS.
Correttamente la sentenza impugnata ha fatto rilevare
che i due tassi non sono equivalenti né comparabili, perché misurano grandezze
diverse.
Bene ha rilevato il primo giudice, infatti, che il
tasso di guasto, individuato dalla Delibera n. 71/11/CONS, concerne i soli
disservizi che pregiudicano completamente l’uso della rete e che, come tali,
impattano sulla qualità del servizio percepita dall’utente finale.
La delibera n. 578/10/CONS, al contrario, deve
remunerare gli interventi resi da TI per risolvere tutti i disservizi sulle
linee di accesso, anche quelli che non sono percepiti dagli utenti finali,
come, ad esempio, un rallentamento della velocità di connessione ad internet.
Inoltre, come fanno correttamente rilevare le difese
delle parti appellate, il provvedimento del 2011, che indica un tasso di guasto
pari al 15,1%, considera soltanto gli interventi on field e,
cioè, quelli eseguiti in loco dai tecnici, i quali non
esauriscono certamente la gamma degli interventi possibili e preventivabili,
ove si consideri il pur non esiguo numero di interventi effettuati da remoto.
Il tasso di guasto, riguardando la problematica dal
lato della clientela finale (retail), non è dunque un indice che possa
essere posto a base del calcolo per i costi da considerarsi sul versante wholesale,
che devono essere ancorati al tasso di intervento, come ha legittimamente
ritenuto la delibera n. 578/10/CONS e, in primo grado, il T.A.R.
Il riferimento dell’impugnata sentenza al tasso di
intervento appare corretto, pertanto, dato che un guasto può richiedere anche
più interventi e che vi sono interventi che non nascono da una segnalazione di
un guasto, da parte degli utenti, e che quindi non sono inclusi nel tasso di
guasto.
15. Con il tredicesimo motivo di appello Fastweb
contesta la delibera n. 578/10/CONS nella parte in cui ha modificato la formula
del tasso di rendimento del capitale (WACC), includendovi alcuni oneri
finanziari ai fini della deducibilità IRES, con l’effetto di provocarne
l’aumento.
L’appellante ha censurato sotto diversi profili tale
decisione.
In particolare ha lamentato che, nella logica BU-LRIC,
AGCOM avrebbe dovuto stimare il WACC non con riferimento ad una situazione
concreta, bensì con riguardo alle circostanze, anche finanziarie,
ragionevolmente riferibili ad un operatore efficiente.
Fastweb ha altresì denunciato, al di là della formula
e del metodo utilizzato per ricavarla, la sovrastima di altri parametri, posti
a fondamento del WACC: il coefficiente di rischio, c.d. valore beta,
sovrastimato prendendo a riferimento il (più elevato) rischio riconducibile
all’azienda TI complessivamente considerata e non quello, più basso, della sola
divisione rete di accesso, che costituisce l’azienda di riferimento per i fini
in questione; il valore del debito, sovrastimato in quanto influenzato dalla specifica
struttura finanziaria dell’operatore dominante, chiaramente sbilanciata verso
il debito; l’equity risk premium, sovrastimato impiegando metodiche che
condurrebbero ad una sovrastima dello stesso senza apportare alcun correttivo
al valore così ottenuto.
15.1. Il T.A.R. si sarebbe limitato a far riferimento
alla delibera n. 731/08/CONS, dove era annunciata una revisione del metodo di
calcolo del WACC, per adeguarlo alle modifiche normative in tema di reddito di
impresa, e al § 243 della delibera n. 578/10/CONS, dove verrebbe data un’ampia
spiegazione della scelta operata al riguardo.
La sentenza sulla specifica questione paleserebbe,
secondo l’appellante, un vizio di motivazione, censurata come perplessa ed
insufficiente.
15.2. L’appellata AGCOM evidenzia, sul punto, di aver
dovuto necessariamente modificare la formula per il calcolo del WACC rispetto a
quella utilizzata nei precedenti periodi di regolazione.
Tale decisione, lungi dal basarsi su presunti
mutamenti del quadro di riferimento, terrebbe conto di oggettivi e tangibili
modifiche in materia di reddito di impresa apportate dalla legge 24 dicembre
2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) che impedirebbero di utilizzare la
formula classica per il calcolo del WACC.
15.3. A sua volta l’appellata TI, nel difendere la
motivazione del giudice di prime cure dalla censura di essere “insufficiente”
e “perplessa”, sottolinea come AGCOM abbia correttamente rideterminato
il WACC sulla base del dato normativo sopravvenuto e che, nel farlo, ha fatto
riferimento ad una struttura finanziaria riferibile ad un operatore efficiente
che, di fatto, “non” era “sostanzialmente” diversa da quella di
TI (§ 241 della delibera n. 578/10/CONS).
Ha evidenziato inoltre TI che la definizione di un
WACC unico parametrato sull’intero perimetro aziendale di TI rientra nella
prassi regolatoria comune a diverse Autorità europee, confutando peraltro la
critica, mossa dall’appellante alla delibera, di aver sovrastimato il valore
del debito per via del riferimento alla situazione finanziaria di TI in luogo
di quella del gestore efficiente, poiché la struttura finanziaria di TI (c.d. gearing
ratio) è coerente con il dato europeo, risultando quindi allineata alla
struttura finanziaria di un operatore efficiente.
15.4. Il motivo di appello è infondato.
L’impugnata sentenza ha ritenuto corretta la decisione
e completa la motivazione della delibera n. 578/10/CONS, limitandosi ad
osservare, seppur con motivazione alquanto sintetica, che nel § 243 della
stessa “viene data ampia spiegazione della scelta operata al riguardo”,
con conseguente reiezione del motivo proposto da Fastweb.
La valutazione espressa dal giudice di prime cure è
condivisibile.
L’Autorità ha convincentemente spiegato, nel citato §
243, che la nuova formula del WACC proposta è “idonea a risolvere il
problema del differente regime fiscale del reddito d’impresa ed a calcolare
correttamente il pre-tax WACC di un operatore di telecomunicazioni”.
Peraltro proprio la considerazione dell’IRES, come si
legge nella nota 28 della delibera n. 578/10/CONS, “riduce di fatto il costo
del debito” – ossia gli oneri rispecchiati poi nelle tariffe di accesso –
anziché incrementarlo, come lamentato invece dall’appellante.
Non è poi corretto quanto sostenuto da Fastweb e,
cioè, che la delibera abbia ignorato il parametro del gestore efficiente.
Al contrario, avvalendosi della collaborazione del
consulente esterno, AGCOM ha “fatto riferimento ad una struttura finanziaria
nozionale (ossia, riferita ad un operatore efficiente)” che, di fatto, “non”
era “sostanzialmente” diversa da quella di TI (§ 241 della delibera n.
578/10/CONS).
In ogni caso la metodologia utilizzata da AGCOM appare
in grado di far fronte ai problemi derivanti da un eventuale scostamento tra la
struttura finanziaria di TI e la struttura finanziaria nozionale.
La definizione di un WACC unico parametrato
sull’interno perimetro aziendale di TI rientra nella prassi regolatoria, poiché
la stima di tanti tassi di rischio quante sono le attività svolte da TI sarebbe
stata di difficile implementazione.
“Le numerose assunzioni che si renderebbero
necessarie a tal fine, a parere dell’Autorità, potrebbero compromettere la
significatività della stima stessa” (delibera n. 578/10/CONS, § 250).
Deve poi rilevarsi che la struttura finanziaria di TI
(gearing ratio) è coerente con il dato europeo, come ha sottolineato
l’impugnata delibera, sicché la stima del premio per il debito effettuata
dall’Autorità è coerente con la struttura finanziaria di un operatore
efficiente e in linea con i risultati ottenibili sulla base dell’analisi
proposta da Wind (delibera n. 578/10/CONS, § 250).
Anche il valore dell’ERP determinato da AGCOM è quello
“indicato nello studio di Dimson et al. del 2007 che rappresenta lo studio
maggiormente utilizzato per determinare il valore dell’ERP in ambiti accademici”
(delibera n. 578/10/CONS, § 253).
Ne segue che la motivazione della delibera appare, sul
punto, completa, logica, coerente con il modello adottato.
16. Con il quattordicesimo motivo di appello Fastweb
ha lamentato l’illegittimità dell’art. 3 della delibera n. 578/10/CONS anche
nella parte in cui essa fissa prezzi sensibilmente differenti per il WLR
destinato alla clientela affari e per il WLR destinato all’utenza domestica.
La differenza viene censurata come inspiegabile perché
del tutto identica sarebbe la struttura di costo relativa alle attività
sottostanti all’erogazione del servizio.
Tale era stato anche il rilievo effettuato, in sede
europea, dalla Commissione che aveva richiesto ad AGCOM di spiegare quali
servizi tecnologici implicavano, precisamente, un simile differenziale di
prezzo.
Nel § 303 della delibera n. 578/10/CONS AGCOM, pur
riconoscendo la sostanziale omogeneità dei costi sottostanti ad entrambi i
servizi WLR destinati alle due categorie di clienti, ne ha fatto discendere un
allineamento dei prezzi solo a partire dal 2012.
L’appellante deduce che il prezzo avrebbe dovuto
essere corretto immediatamente, in contrasto con quanto affermato da AGCOM e
ritenuto dal T.A.R. che, invece, ha ritenuto tale soluzione coerente con un
approccio graduale alla logica dei prezzi efficienti.
16.1. AGCOM, nella propria memoria difensiva, assume
che tale censura sia priva di fondamento, ritenendo corretto adottare un
percorso graduale anche per l’allineamento dei prezzi del servizio WLR al 2012
per la clientela residenziale e non residenziale.
16.2. Anche TI sottolinea che AGCOM, con la delibera
n. 578/10/CONS, recependo le osservazioni critiche della Commissione europea,
ha stabilito la loro equiparazione nel 2012, ossia al termine del periodo di
applicazione del meccanismo di network cap.
AGCOM avrebbe quindi stabilito un percorso di graduale
avvicinamento senza stravolgere le preesistenti condizioni economiche.
16.3. Il motivo di appello è fondato.
La scelta regolatoria di AGCOM si rivela del tutto
illogica e contrastante con il dato, incontestabile, della sostanziale
omogeneità dei costi sottostanti ad entrambi i tipi di servizi, residenziale e business,
come riconosce la stessa Autorità nel § 303 della delibera n. 578/10/CONS.
La delibera non spiega le ragioni per le quali gli OLO
dovrebbero sostenere un prezzo differente per servizi che, già nello stesso
triennio di riferimento (2010-2012), presuppongono lo stesso costo per TI, che
vedrebbe corrispondersi un canone più elevato e non dovuto in relazione al
servizio WLR business.
La gradualità nell’approccio, diversamente da quanto
ha ritenuto il T.A.R. nell’impugnata sentenza (p. 51), non appare motivazione
sufficiente e adeguata a giustificare tale scelta, posto che è del tutto
irragionevole invocare una gradualità all’equiparazione dei due prezzi quando i
costi sottostanti sono già uguali.
Tale misura si rivela distonica dal modello BU-LRIC
dalla stessa AGCOM adottato, che si basa su un sistema che ha nell’efficienza
dei costi il suo asse portante, sicché non è dato comprendere per quale motivo,
anche negli anni 2010-2011, gli OLO dovrebbero pagare due prezzi diversi per
servizi che hanno gli stessi costi già nello stesso periodo di riferimento
senza una plausibile giustificazione economica, dovendo attendere il 2012 per
vederli finalmente parificati.
La sentenza appellata, dunque, deve essere riformata e
la delibera impugnata deve essere annullata nella parte in cui ha mantenuto,
senza razionale e, comunque, comprensibile giustificazione, la differenza tra i
prezzi dei due servizi.
17. Con il quindicesimo motivo di appello Fastweb ha
inteso contestare il meccanismo di verifica della qualità deciso dall’Autorità
nella delibera n. 578/10/CONS.
Premette l’appellante che gli ingenti aumenti dei
prezzi approvati da AGCOM, a norma dell’art. 5 della delibera n. 578/10/CONS,
sono subordinati al positivo superamento di una verifica diretta ad attestare
la realizzazione di alcune specifiche condizioni relative alla qualità della
rete TI.
La Commissione Europea, con la nota di osservazioni
alla delibera prot. SG-Greffe (2010) D/165768 del 21.10.2010, ha precisato che
il meccanismo prefigurato da AGCOM non può funzionare in assenza di una
dettagliata specificazione e quantificazione, ex ante, degli
indicatori di qualità che dovrebbero essere rispettati.
L’AGCOM, al § 284 della delibera n. 578/10/CONS,
dichiara di aver dato seguito alle osservazioni della Commissione, ma in una
forma che, ad avviso dell’appellante, sarebbe tanto blanda ed elastica da
essere elusiva delle citate raccomandazioni.
Se nel modello BU-LRIC il costo della rete viene
calcolato ipotizzando i costi di una rete efficiente costruita ex novo e,
quindi, si determina un costo superiore ai costi effettivi sostenuti da TI,
dovrà esserci un beneficio in termini di minore guastabilità della stessa e
quindi, minori costi di riparazione dei guasti, dei quali gli operatori
dovrebbero beneficiare.
Sostiene l’appellante, in sintesi, che sarebbe
illogico imporre un miglioramento della qualità, negli anno 2011 e 2012, e poi
non fare in modo che tale aumento della qualità influisca sui costi di
manutenzione della rete, riducendoli, e quindi anche sui prezzi praticati da TI
agli OLO.
Il sistema rivelerebbe insomma, secondo l’appellante,
un’intima contraddittorietà.
17.1. Il T.A.R., nel confermare la validità della
decisione adottata dall’Autorità, ha ritenuto legittima la scelta di ancorare i
parametri per la valutazione di qualità al mantenimento dei livelli
quantitativi con riferimento, per il 2010, al 2009, giustificandola con il
fatto che la delibera n. 578/10/CONS è entrata in vigore sul finire del 2010 e
che, quindi, non sarebbe più realizzabile per tale anno il conseguimento di
obiettivi in materia.
L’appellante lamenta che, così statuendo, il giudice
di primo grado non avrebbe colto il senso della propria doglianza, diretta ad
evidenziare l’eccessiva genericità dei parametri di qualità, una certa “ambiguità”
(p. 42 del ricorso in appello) nella formulazione degli obiettivi, la scarsa
chiarezza dei fatti da prendere in considerazione per applicare le percentuali
di riduzione dei KO di rete e, più in generale, l’intima contraddittorietà di
tutto il meccanismo congegnato dall’Autorità.
17.2. AGCOM oppone che il motivo di appello è
inammissibile, incidendo su determinazioni manifestamente discrezionali, e
comunque anche nel merito privo di pregio.
Se è vero infatti, sostiene l’appellata, che riducendo
i tassi di guasto TI consegue un risparmio sui propri costi di manutenzione
correttiva, è altrettanto vero che tale risparmio si ottiene attraverso un
investimento che TI è tenuta a fare per migliorare le prestazioni della propria
rete, con la manutenzione preventiva, proprio al fine di ridurre gli eventi ex
post in caso di guasto.
Quanto agli obiettivi fissati per il conseguimento di
prezzo per l’anno 2012, a torto definiti “blandi” da Fastweb, AGCOM evidenzia
che i valori previsti dalla delibera n. 578/10/CONS appaiono tutt’altro che
esigui ed inefficaci rispetto al fine di garantire un miglioramento della
qualità della rete di TI, poiché essi, in primo luogo, risultano coerenti con
un processo necessariamente caratterizzato da incrementi decrescenti e, in
secondo luogo, sono stati definiti all’esito di una analisi accurata degli
andamenti storici dei corrispondenti indicatori di qualità.
17.3. Anche TI ha dedotto l’inammissibilità e,
comunque, l’infondatezza della censura sollevata sul punto da Fastweb, facendo
rilevare come Fastweb non abbia contestato in alcun modo, al di là di generiche
e indeterminate critiche, le diffuse e molteplici argomentazioni spese
dall’Autorità per giustificare la definizione puntuale degli indicatori e dei
relativi valori obiettivo.
Ricorda TI che essa, in sede di consultazione, si era
opposta alla determinazione di subordinare gli aumenti tariffari al rispetto di
parametri qualitativi da parte sua, ma che AGCOM aveva infine accolto le
istanze a tal fine avanzate dagli OLO e, proprio per questo, l’Autorità aveva
individuato parametri di riferimento già disponibili come i traguardi di
qualità raggiunti nel 2008-2009 o nel 2009-2010.
17.4. Il motivo di appello è infondato.
In sede di consultazione AGCOM, recependo le
osservazioni degli OLO, ha ritenuto che la soluzione di condizionare gli
aumenti dei prezzi previsti dal modello alla verifica delle prestazioni sia
coerente con l’approccio BU-LRIC, in quanto incentiva al miglioramento della
qualità e dell’efficienza della rete di accesso.
La trasparenza dei criteri da utilizzarsi per
effettuare le operazioni di verifica è in grado, infatti, di apportare comunque
i vantaggi in termini di certezza regolamentare associati al meccanismo di
programmazione pluriennale dei prezzi.
Si sono privilegiati, in quest’ottica, quegli
indicatori maggiormente coerenti con la metodologia del modello, correlati alla
qualità e all’ammodernamento della rete di accesso in rame, e per i quali vi
sono sia una metodologia di misurazione, sia informazioni quantitative che
rendono possibile una tempestiva attività di verifica.
Con riferimento degli indicatori l’Autorità ha
ragionevolmente ritenuto di individuarli nel KO di rete e nel tasso di guasto.
Le motivazioni espresse dall’Autorità nei §§ 235-237
della delibera n. 578/10/CONS appaiono logiche, complete, e del tutto coerenti
rispetto al modello adottato, a fronte delle censure dell’appellante che, per
il loro carattere di eccessiva astrattezza e genericità, non muovono alcuna
puntuale e convincente critica alle concrete scelte adottate con riferimento al
KO di rete e al tasso di guasto.
La sentenza impugnata, per quanto abbia espresso al
riguardo una motivazione non del tutto pertinente ai motivi di critica
sollevati da Fastweb, resiste quindi alla censura riproposta con il
quindicesimo motivo di appello.
18. Con il sedicesimo motivo di appello Fastweb
contesta, più radicalmente, l’idea di fondo ispiratrice della delibera n.
578/10/CONS, laddove AGCOM afferma e persegue l’obiettivo di incentivare
l’infrastrutturazione degli OLO.
Il segnale make or buy, imposto dalla
delibera n. 578/10/CONS, non sarebbe corretto perché si porrebbe in contrasto
con le risultanze dell’analisi di mercato, compiuta dalla precedente delibera
n. 314/09/CONS e dalla stessa delibera n. 731/09/CONS, che vedono
nell’infrastrutturazione un comportamento espressamente riconosciuto come
inattuabile perché diseconomico.
Il T.A.R. ha rilevato che la realizzanda
infrastrutturazione riguarderà le reti in fibra, non quelle in rame, sicché
nessun contrasto potrebbe ravvisarsi tra le previsioni delle citate delibere.
L’appellante si duole che sarebbe erronea, comunque,
la valutazione del T.A.R. di ritenere incentivabile la realizzazione di reti in
fibra da parte degli OLO, ove questa non sia sostenuta da una politica dei
prezzi che consenta loro di conquistare un livello di mercato, marginalità e
generazione di cassa tali da investire nell’infrastrutturazione.
18.1. L’appellata Autorità ha dedotto, in primo luogo,
l’inammissibilità del motivo, articolato contro le scelte strategiche
dell’AGCOM, e comunque la sua infondatezza per lo stridente contrasto con il
fondamentale principio della scala degli investimenti.
Le proposte regolamentari per l’accesso alle reti in
fibra (delibera n. 1/11/CONS e delibera n. 301/1/CONS) stanno a comprovare la
necessità di stimolare gli investimenti da parte di tutti gli investitori,
anche alternativi, per lo sviluppo delle reti NGA, nel momento attuale in cui
la spinta verso l’adozione di servizi a banda ultralarga rappresenta un
prerogativa nazionale e comunitaria.
18.2. Anche TI, sostanzialmente per le medesime
ragioni, ha eccepito l’inammissibilità e l’infondatezza del motivo.
18.3. Il motivo di appello è infondato.
La censura, che per la sua genericità rasenta
l’inammissibilità, contrasta in radice con le linee ispiratrici delle delibere
impugnate, che muovono invece dalla finalità di incentivare la risalita degli
OLO nella scala degli investimenti sino a dotarsi di una propria ed autonoma
rete in fibra, non essendo realisticamente replicabile la vecchia rete in rame.
Non vi è, dunque, alcuna illogicità o
contraddittorietà nelle delibere impugnate, in quanto il segnale make
or buy, rettamente inteso, non può che riguardare l’infrastrutturazione
degli OLO nelle reti di nuova generazione, con effetti benefici, nel lungo
periodo, per l’intero mercato delle telecomunicazioni elettroniche.
19. Un’ultima critica di fondo, con l’articolazione
del diciassettesimo motivo, l’appellante muove, infine, alla sentenza gravata
laddove essa interpreterebbe i limiti del sindacato sulla discrezionalità
tecnica in un modo tanto stringente da frustrare il diritto alla tutela
giurisdizionale stessa, omettendo di esercitare un qualsivoglia controllo su
una materia tanto tecnica e specialistica come quella oggetto del presente
giudizio.
19.1. Il motivo di appello è infondato.
L’esame di quest’ultima censura reintroduce e
riconduce, quasi con andamento circolare e, comunque, a conclusione del lungo iter motivazionale
sin qui seguito, al tema primo e precipuo di questo giudizio e, cioè, al
significato e al limite del sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità
tecnica, dei cui caratteri generali già si è detto, seppur concisamente, in
premessa, con argomenti ai quali occorre, per l’obbligo di sintesi prescritto
dal codice di rito, far richiamo e rinvio, non senza tuttavia aggiungere
specifiche notazioni strettamente attinenti al motivo di censura qui
disaminato.
Questa Sezione, con la sentenza del 30.5.2012, n.
3246, ha già ha avuto modo di affermare in subiecta materia –
recependo un orientamento che, per le ragioni sopra espresse, merita di essere
condiviso e proseguito – che in assenza di una motivazione puntuale diventa
assai difficile affermare la ragionevolezza o meno della scelta operata
dall’Autorità, tanto più ove si tratti di “soluzione altamente tecnica
nell’ambito di una materia molto complessa, a meno di non volersi affidare a
petizioni di principio che, in assenza di elementi di riscontro, potrebbero
essere indistintamente utilizzate nell’uno come nell’altro senso”.
In questa prospettiva la motivazione del provvedimento
amministrativo assume un’importanza centrale per valutare la correttezza
dell’applicazione della regola tecnica al fatto complesso.
Benché il giudice di prime cure abbia fatto insistito
riferimento al limite del sindacato giurisdizionale sulla c.d. discrezionalità
tecnica, ponendo forse troppo l’enfasi sul rilievo che molte delle scelte
dell’Autorità nelle delibere impugnate si sottrarrebbero, per la loro portata
di ampio respiro, al sindacato giurisdizionale, ciononostante non è venuto meno
al dovere di vagliare i motivi di censura sollevati dalla ricorrente in prime
cure, anche quando è giunto a conclusioni giustificate da ragioni non condivise
da questo Collegio, in ordine alle specifiche doglianze, che sono state sopra
esaminate.
Non vi è stata in concreto, dunque, alcuna lesione del
diritto di Fastweb ad una tutela giurisdizionale piena ed effettiva.
19.2. Questo Consiglio, con un ormai consolidato
orientamento, ha già chiarito in più occasioni che il sindacato giurisdizionale
sulla discrezionalità tecnica si svolge non soltanto riguardo ai vizi
dell’eccesso di potere (logicità e ragionevolezza delle decisioni
amministrative), ma anche con la verifica dell’attendibilità delle operazioni
tecniche compiute dalla p.a. quanto a correttezza dei criteri utilizzati e
applicati; ha però anche precisato che resta comunque fermo il limite
della relatività delle valutazioni scientifiche, potendo quindi il giudice
amministrativo censurare la sola valutazione che si pone al di fuori
dell’ambito di opinabilità, cosicché il suo sindacato non resti estrinseco, ma
non divenga sostitutivo con l’introduzione di una valutazione parimenti
opinabile (cfr., ex multis, Cons. St., sez. V, 5.3.2010,
n. 1274; Cons. St., sez. VI, 6.2.2009, n. 694; Cons. St., sez. VI, 4.9.2007, n.
4635; Cons. St., sez. IV, 13.10.2003, n. 6201; Cons. St., sez. VI, 14.7.2011,
n. 4283).
Laddove residuino margini di opinabilità in relazione
a concetti indeterminati, quindi, il giudice amministrativo non può sostituirsi
alla valutazione che spetta all’Autorità, se questa sia attendibile, secondo la
scienza economica, immune da vizi di travisamento dei fatti, da vizi logici, o
da violazioni di legge (Cons. St., sez. VI, 9.2.2011, n. 896).
19.3. Una simile affermazione, lungi dal reintrodurre
l’ormai vieta contrapposizione tra sindacato forte/sindacato debole, mira
invece a valorizzare una più matura e moderna visione del sindacato
giurisdizionale che, da un lato, deve garantire il rispetto della
discrezionalità amministrativa e, dall’altro, l’effettività della tutela
giurisdizionale.
Nel delicato bilanciamento tra questi due intangibili
valori, secondo i rigorosi dettami del diritto nazionale ed europeo, sta la
centralità e, insieme, la difficoltà del ruolo che, oggi più che mai, spetta al
giudice amministrativo quale naturale garante della legalità nell’esercizio del
pubblico potere, anche in ambiti così specialistici.
20. La particolare complessità della materia e il solo
parziale accoglimento dei motivi proposti da Fastweb induce il Collegio a
ritenere sussistenti le ragioni sufficienti e necessarie a giustificare
l’integrale compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio tra le
parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,
lo accoglie in parte e, in riforma dell’impugnata sentenza, annulla la delibera
n. 731/09/CONS e la delibera n. 578/10/CONS ai sensi e nei limiti di cui in
motivazione.
Compensa interamente tra le parti le spese di entrambi
i gradi del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 15 marzo 2013 con l’intervento dei magistrati:
Pier Luigi Lodi, Presidente
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
|
IL PRESIDENTE
|
|
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/04/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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