CULTURA:
Renzo incontra l'Avvocato Azzeccagarbugli
(dal Cap. III dei "Promessi Sposi").
"Le leggi per gli amici si interpretano, per i nemici si applicano" (Giovanni Giolitti).
"Giunto al borgo, domandò
dell’abitazione del dottore; gli fu indicata, e v’andò. All’entrare, si sentì
preso da quella suggezione che i poverelli illetterati provano in vicinanza
d’un signore e d’un dotto, e dimenticò tutti i discorsi che aveva preparati; ma
diede un’occhiata ai capponi, e si rincorò. Entrato in cucina, domandò alla
serva se si poteva parlare al signor dottore. Adocchiò essa le bestie, e, come
avvezza a somiglianti doni, mise loro le mani addosso, quantunque Renzo andasse
tirando indietro, perché voleva che il dottore vedesse e sapesse ch’egli
portava qualche cosa. Capitò appunto mentre la donna diceva: – date qui, e
andate innanzi -. Renzo fece un grande inchino: il dottore l’accolse
umanamente, con un – venite, figliuolo, – e lo fece entrar con sé nello studio.
Era questo uno stanzone, su tre pareti del quale eran distribuiti i ritratti
de’ dodici Cesari; la quarta, coperta da un grande scaffale di libri vecchi e
polverosi: nel mezzo, una tavola gremita d’allegazioni, di suppliche, di libelli,
di gride, con tre o quattro seggiole all’intorno, e da una parte un seggiolone
a braccioli, con una spalliera alta e quadrata, terminata agli angoli da due
ornamenti di legno, che s’alzavano a foggia di corna, coperta di vacchetta, con
grosse borchie, alcune delle quali, cadute da gran tempo, lasciavano in libertà
gli angoli della copertura, che s’accartocciava qua e là. Il dottore era in
veste da camera, cioè coperto d’una toga ormai consunta, che gli aveva servito,
molt’anni addietro, per perorare, ne’ giorni d’apparato, quando andava a
Milano, per qualche causa d’importanza. Chiuse l’uscio, e fece animo al
giovine, con queste parole: – figliuolo, ditemi il vostro caso.
- Vorrei
dirle una parola in confidenza.
- Son
qui, – rispose il dottore: – parlate -. E s’accomodò sul seggiolone. Renzo,
ritto davanti alla tavola, con una mano nel cocuzzolo del cappello, che faceva
girar con l’altra, ricominciò: – vorrei sapere da lei che ha studiato…
- Ditemi
il fatto come sta, – interruppe il dottore.
- Lei
m’ha da scusare: noi altri poveri non sappiamo parlar bene. Vorrei dunque
sapere…
-
Benedetta gente! siete tutti così: in vece di raccontar il fatto, volete
interrogare, perché avete già i vostri disegni in testa.
- Mi scusi,
signor dottore. Vorrei sapere se, a minacciare un curato, perché non faccia un
matrimonio, c’è penale.
” Ho
capito “, disse tra sé il dottore, che in verità non aveva capito. ” Ho capito
“. E subito si fece serio, ma d’una serietà mista di compassione e di premura;
strinse fortemente le labbra, facendone uscire un suono inarticolato che
accennava un sentimento, espresso poi più chiaramente nelle sue prime parole. –
Caso serio, figliuolo; caso contemplato. Avete fatto bene a venir da me. È un
caso chiaro, contemplato in cento gride, e… appunto, in una dell’anno scorso,
dell’attuale signor governatore. Ora vi fo vedere, e toccar con mano.
Così
dicendo, s’alzò dal suo seggiolone, e cacciò le mani in quel caos di carte,
rimescolandole dal sotto in su, come se mettesse grano in uno staio.
- Dov’è
ora? Vien fuori, vien fuori. Bisogna aver tante cose alle mani! Ma la dev’esser
qui sicuro, perché è una grida d’importanza. Ah! ecco, ecco -. La prese, la
spiegò, guardò alla data, e, fatto un viso ancor più serio, esclamò: – il 15
d’ottobre 1627! Sicuro; è dell’anno passato: grida fresca; son quelle che fanno
più paura. Sapete leggere, figliuolo?
- Un
pochino, signor dottore.
- Bene,
venitemi dietro con l’occhio, e vedrete. E, tenendo la grida sciorinata in
aria, cominciò a leggere, borbottando a precipizio in alcuni passi, e
fermandosi distintamente, con grand’espressione, sopra alcuni altri, secondo il
bisogno:
- Se
bene, per la grida pubblicata d’ordine del signor Duca di Feria ai 14 di
dicembre 1620, et confirmata dall’lllustriss. et Eccellentiss. Signore il
Signor Gonzalo Fernandez de Cordova, eccetera, fu con rimedii straordinarii e
rigorosi provvisto alle oppressioni, concussioni et atti tirannici che alcuni
ardiscono di commettere contro questi Vassalli tanto divoti di S. M., ad ogni
modo la frequenza degli eccessi, e la malitia, eccetera, è cresciuta a segno,
che ha posto in necessità l’Eccell. Sua, eccetera. Onde, col parere del Senato
et di una Giunta, eccetera, ha risoluto che si pubblichi la presente.
- E cominciando
dagli atti tirannici, mostrando l’esperienza che molti, così nelle Città, come
nelle Ville… sentite? di questo Stato, con tirannide esercitano concussioni et
opprimono i più deboli in varii modi, come in operare che si facciano contratti
violenti di compre, d’affitti… eccetera: dove sei? ah! ecco; sentite: che
seguano o non seguano matrimonii. Eh?
È il mio
caso, – disse Renzo.
-
Sentite, sentite, c’è ben altro; e poi vedremo la pena. Si testifichi, o non si
testifichi; che uno si parta dal luogo dove abita, eccetera; che quello paghi
un debito; quell’altro non lo molesti, quello vada al suo molino: tutto questo
non ha che far con noi. Ah ci siamo: quel prete non faccia quello che è
obbligato per l’uficio suo, o faccia cose che non gli toccano. Eh?
- Pare
che abbian fatta la grida apposta per me.
- Eh? non
è vero? sentite, sentite: et altre simili violenze, quali seguono da
feudatarii, nobili, mediocri, vili, et plebei. Non se ne scappa: ci son tutti:
è come la valle di Giosafat. Sentite ora la pena. Tutte queste et altre simili
male attioni, benché siano proibite, nondimeno, convenendo metter mano a
maggior rigore, S. E., per la presente, non derogando, eccetera, ordina e
comanda che contra li contravventori in qualsivoglia dei suddetti capi, o altro
simile, si proceda da tutti li giudici ordinarii di questo Stato a pena
pecuniaria e corporale, ancora di relegatione o di galera, e fino alla morte…
una piccola bagattella! all’arbitrio dell’Eccellenza Sua, o del Senato, secondo
la qualità dei casi, persone e circostanze. E questo ir-re-mis-si-bil-mente e
con ogni rigore, eccetera. Ce n’è della roba, eh? E vedete qui le
sottoscrizioni: Gonzalo Fernandez de Cordova; e più in giù: Platonus; e qui
ancora: Vidit Ferrer: non ci manca niente.
Mentre il
dottore leggeva, Renzo gli andava dietro lentamente con l’occhio, cercando di
cavar il costrutto chiaro, e di mirar proprio quelle sacrosante parole, che gli
parevano dover esser il suo aiuto. Il dottore, vedendo il nuovo cliente più
attento che atterrito, si maravigliava. ” Che sia matricolato costui “, pensava
tra sé. – Ah! ah! – gli disse poi: – vi siete però fatto tagliare il ciuffo.
Avete avuto prudenza: però, volendo mettervi nelle mie mani, non faceva
bisogno. Il caso è serio; ma voi non sapete quel che mi basti l’animo di fare,
in un’occasione.
Per
intender quest’uscita del dottore, bisogna sapere, o rammentarsi che, a quel
tempo, i bravi di mestiere, e i facinorosi d’ogni genere, usavan portare un
lungo ciuffo, che si tiravan poi sul volto, come una visiera, all’atto
d’affrontar qualcheduno, ne’ casi in cui stimasser necessario di travisarsi, e
l’impresa fosse di quelle, che richiedevano nello stesso tempo forza e
prudenza. Le gride non erano state in silenzio su questa moda. Comanda Sua
Eccellenza (il marchese de la Hynojosa) che chi porterà i capelli di tal
lunghezza che coprano il fronte fino alli cigli esclusivamente, ovvero porterà
la trezza, o avanti o dopo le orecchie, incorra la pena di trecento scudi; et
in caso d’inhabilità, di tre anni di galera, per la prima volta, e per la
seconda, oltre la suddetta, maggiore ancora, pecuniaria et corporale,
all’arbitrio di Sua Eccellenza.
Permette
però che, per occasione di trovarsi alcuno calvo, o per altra ragionevole causa
di segnale o ferita, possano quelli tali, per maggior decoro e sanità loro,
portare i capelli tanto lunghi, quanto sia bisogno per coprire simili
mancamenti e niente di più; avvertendo bene a non eccedere il dovere e pura
necessità, per (non) incorrere nella pena agli altri contraffacienti imposta.
E
parimente comanda a’ barbieri, sotto pena di cento scudi o di tre tratti di
corda da esser dati loro in pubblico, et maggiore anco corporale, all’arbitrio
come sopra, che non lascino a quelli che toseranno, sorte alcuna di dette
trezze, zuffi, rizzi, né capelli più lunghi dell’ordinario, così nella fronte
come dalle bande, e dopo le orecchie, ma che siano tutti uguali, come sopra,
salvo nel caso dei calvi, o altri difettosi, come si è detto. Il ciuffo era
dunque quasi una parte dell’armatura, e un distintivo de’ bravacci e degli
scapestrati; i quali poi da ciò vennero comunemente chiamati ciuffi. Questo
termine è rimasto e vive tuttavia, con significazione più mitigata, nel
dialetto: e non ci sarà forse nessuno de’ nostri lettori milanesi, che non si
rammenti d’aver sentito, nella sua fanciullezza, o i parenti, o il maestro, o
qualche amico di casa, o qualche persona di servizio, dir di lui: è un ciuffo,
è un ciuffetto.
- In
verità, da povero figliuolo, – rispose Renzo, – io non ho mai portato ciuffo in
vita mia.
- Non
facciam niente, – rispose il dottore, scotendo il capo, con un sorriso, tra
malizioso e impaziente. – Se non avete fede in me, non facciam niente. Chi dice
le bugie al dottore, vedete figliuolo, è uno sciocco che dirà la verità al giudice.
All’avvocato bisogna raccontar le cose chiare: a noi tocca poi a imbrogliarle.
Se volete ch’io v’aiuti, bisogna dirmi tutto, dall’a fino alla zeta, col cuore
in mano, come al confessore. Dovete nominarmi la persona da cui avete avuto il
mandato: sarà naturalmente persona di riguardo; e, in questo caso, io anderò da
lui, a fare un atto di dovere. Non gli dirò, vedete, ch’io sappia da voi, che
v’ha mandato lui: fidatevi. Gli dirò che vengo ad implorar la sua protezione,
per un povero giovine calunniato. E con lui prenderò i concerti opportuni, per
finir l’affare lodevolmente. Capite bene che, salvando sé, salverà anche voi.
Se poi la scappata fosse tutta vostra, via, non mi ritiro: ho cavato altri da
peggio imbrogli… Purché non abbiate offeso persona di riguardo, intendiamoci,
m’impegno a togliervi d’impiccio: con un po’ di spesa, intendiamoci. Dovete
dirmi chi sia l’offeso, come si dice: e, secondo la condizione, la qualità e
l’umore dell’amico, si vedrà se convenga più di tenerlo a segno con le protezioni,
o trovar qualche modo d’attaccarlo noi in criminale, e mettergli una pulce
nell’orecchio; perché, vedete, a saper ben maneggiare le gride, nessuno è reo,
e nessuno è innocente. In quanto al curato, se è persona di giudizio, se ne
starà zitto; se fosse una testolina, c’è rimedio anche per quelle. D’ogni
intrigo si può uscire; ma ci vuole un uomo: e il vostro caso è serio, vi dico,
serio: la grida canta chiaro; e se la cosa si deve decider tra la giustizia e
voi, così a quattr’occhi, state fresco. Io vi parlo da amico: le scappate
bisogna pagarle: se volete passarvela liscia, danari e sincerità, fidarvi di
chi vi vuol bene, ubbidire, far tutto quello che vi sarà suggerito.
Mentre il
dottore mandava fuori tutte queste parole, Renzo lo stava guardando con un’attenzione
estatica, come un materialone sta sulla piazza guardando al giocator di
bussolotti, che, dopo essersi cacciata in bocca stoppa e stoppa e stoppa, ne
cava nastro e nastro e nastro, che non finisce mai. Quand’ebbe però capito bene
cosa il dottore volesse dire, e quale equivoco avesse preso, gli troncò il
nastro in bocca, dicendo: – oh! signor dottore, come l’ha intesa? l’è proprio
tutta al rovescio. Io non ho minacciato nessuno; io non fo di queste cose, io:
e domandi pure a tutto il mio comune, che sentirà che non ho mai avuto che fare
con la giustizia. La bricconeria l’hanno fatta a me; e vengo da lei per sapere
come ho da fare per ottener giustizia; e son ben contento d’aver visto quella
grida.
-
Diavolo! – esclamò il dottore, spalancando gli occhi. – Che pasticci mi fate?
Tant’è; siete tutti così: possibile che non sappiate dirle chiare le cose?
- Ma mi
scusi; lei non m’ha dato tempo: ora le racconterò la cosa, com’è. Sappia dunque
ch’io dovevo sposare oggi, – e qui la voce di Renzo si commosse, – dovevo
sposare oggi una giovine, alla quale discorrevo, fin da quest’estate; e oggi,
come le dico, era il giorno stabilito col signor curato, e s’era disposto ogni
cosa. Ecco che il signor curato comincia a cavar fuori certe scuse… basta, per
non tediarla, io l’ho fatto parlar chiaro, com’era giusto; e lui m’ha
confessato che gli era stato proibito, pena la vita, di far questo matrimonio.
Quel prepotente di don Rodrigo…
- Eh via!
– interruppe subito il dottore, aggrottando le ciglia, aggrinzando il naso rosso,
e storcendo la bocca, – eh via! Che mi venite a rompere il capo con queste
fandonie? Fate di questi discorsi tra voi altri, che non sapete misurar le
parole; e non venite a farli con un galantuomo che sa quanto valgono. Andate,
andate; non sapete quel che vi dite: io non m’impiccio con ragazzi; non voglio
sentir discorsi di questa sorte, discorsi in aria.
- Le
giuro…
- Andate,
vi dico: che volete ch’io faccia de’ vostri giuramenti? Io non c’entro: me ne
lavo le mani -. E se le andava stropicciando, come se le lavasse davvero. –
Imparate a parlare: non si viene a sorprender così un galantuomo.
- Ma
senta, ma senta, – ripeteva indarno Renzo: il dottore, sempre gridando, lo
spingeva con le mani verso l’uscio; e, quando ve l’ebbe cacciato, aprì, chiamò
la serva, e le disse: – restituite subito a quest’uomo quello che ha portato:
io non voglio niente, non voglio niente.
Quella
donna non aveva mai, in tutto il tempo ch’era stata in quella casa, eseguito un
ordine simile: ma era stato proferito con una tale risoluzione, che non esitò a
ubbidire. Prese le quattro povere bestie, e le diede a Renzo, con un’occhiata
di compassione sprezzante, che pareva volesse dire: bisogna che tu l’abbia
fatta bella. Renzo voleva far cerimonie; ma il dottore fu inespugnabile; e il
giovine, più attonito e più stizzito che mai, dovette riprendersi le vittime
rifiutate, e tornar al paese, a raccontar alle donne il bel costrutto della sua
spedizione".
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