giovedì 26 settembre 2013

APPALTI: la mancata aggiudicazione definitiva non consiste in una revoca di quella provvisoria (Cons. St., Sez. III, sentenza 4 settembre n. 4433).


APPALTI: 
la mancata aggiudicazione definitiva 
non consiste in una revoca di quella provvisoria 
(Cons. St., Sez. III, 
sentenza 4 settembre n. 4433).


Massima

1.  Nelle gare ad evidenza pubblica, la “revoca” non è altro che la mancata conferma dell’aggiudicazione provvisoria; la rimozione dei presupposti atti della gara, che così non si conclude, è meramente consequenziale a tale non aggiudicazione. Quest’ultima non configura un’autotutela vera e propria, sì da richiedere il raffronto tra l'interesse pubblico e quello privato sacrificato 
Non è prospettabile poi alcun affidamento del destinatario, ché l'aggiudicazione provvisoria non è l'atto conclusivo del procedimento di evidenza pubblica, onde non v’è ragione di motivare sulle ragioni di pubblico interesse 
Sicché, quand’anche si possa predicare improprio  il richiamo  all'art. 81, co. 3 del D.Lgs. n.163/2006 (ma improprio non è) la stazione appaltante ben può legittimamente non statuire l’aggiudicazione definitiva e non dar corso definitivo alla gara svolta, in presenza di ragioni d’opportunità economica e/o di sopravvenuta non congruenza dell’oggetto dell’appalto a fronte del mutato scenario organizzativo.
Insomma, non si ha, un procedimento di secondo grado —a differenza del caso in cui s’intervenga sull'aggiudicazione definitiva—, ma si conclude in senso negativo lo stesso ed unico procedimento di evidenza pubblica, a causa della sopravvenuta non utilità del contratto, ancora in itinere, all’interesse creditorio, mutato per factum principis non derogabile e tale da non rendere conveniente l’attivazione del rapporto negoziale.
2.  Non è qui in discussione se occorra, nei procedimenti di autotutela, una congrua motivazione circa il modo con cui la P.A. contempera i contrastanti interessi nel momento della emanazione dell'atto di revoca, ché ciò è scontato. 


Sentenza per esteso


INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 9304/2012 RG, proposto dalla Servizi Ospedalieri s.p.a., corrente in Ferrara, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e n.q. di capogruppo mandataria dell’ATI con la F.lli Bernard s.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati Enza Maria Accarino e Gaetano Di Giacomo, con domicilio eletto in Roma, alla via Cicerone n. 49, 
contro
l’Azienda sanitaria locale – ASL BT, con sede in Andria (BA), in persona del Direttore generale pro tempore, appellante incidentale, rappresentata e difesa dall'avv. Alessandro Delle Donne, con domicilio eletto in Roma, via Cosseria n. 2, presso lo studio dell’avv. Placidi e
nei confronti di
- ALSCO Italia s.r.l., corrente in Merlino (LO), in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e n.q. di capogruppo mandataria dell’ATI con la COLIM soc. coop., non costituita nel presente giudizio e
- LAVIT s. coop. prod, e lavoro Lavit, corrente in Foggia, in persona del legale rappresentante pro tempore, appellante incidentale, rappresentata e difesa dall'avv. Gennaro Notarnicola, con domicilio eletto in Roma, via Cosseria n. 2, presso lo studio dell’avv. Placidi, 
per la riforma
della sentenza del TAR Puglia, Bari, sez. I, n. 1804/2012, resa tra le parti e concernente l’affidamento dei servizi di noleggio di dispositivi tessili e materasseria nei presidi ospedalieri aziendali;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio solo dell’ASL BT e della LAVIT s. coop.;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, c. 10, c.p.a.;
Relatore all'udienza pubblica del 18 giugno 2013 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti, gli avvocati Saverio Accarino (su delega dell’avv. E. M. Accarino), Delle Donne e Notarnicola;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO
1. – Con deliberazione n. 112 del 30 settembre 2010, l’ASL BT, con sede in Andria (BA), indisse una procedura aperta, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per l’affidamento quinquennale del servizio integrato di Noleggio, ricondizionamento e logistica dei dispositivi tessili e della materasseria dei presidi ospedalieri e nelle strutture territoriali aziendali, con contestuale revoca della precedente gara indetta con delibera n. 866 del 20 maggio 2009.
A tal gara, dichiara d’aver inteso partecipare, quale capogruppo mandataria dell’ATI con la F.lli Bernard s.r.l., pure la Servizi Ospedalieri s.p.a., corrente in Ferrara, proponendo rituale offerta.
In esito alla valutazione delle cinque offerte pervenute, detta ATI è stata dichiarata aggiudicataria provvisoria in base alla delibera n.1323 del 15 settembre 2011, terza graduata essendo risultata la LAVIT s. coop. prod. e lavoro, corrente in Foggia. Sennonché l’ASL, con delibera n. 1504 del 14 ottobre 2011 (in parte rettificata con la delibera n. 1589 del successivo giorno 26), ha ritirato la delibera di aggiudicazione n. 1323/2011. Tanto a seguito di alcune riscontrate criticità, ossia: A) – il sopravvenuto mutamento degli assetti organizzativi e funzionali di Presidi e strutture aziendali, per effetto del nuovo Piano regionale di riordino ospedaliero e di rientro dalla spesa sanitaria, sì da determinare la modifica dell’oggetto dell’appalto e del relativo capitolato; B) – l’eccessiva onerosità dell’esito della gara per contrazione delle risorse in base al bilancio di previsione 2011, al DIEF per il Servizio sanitario nella Regione Puglia (triennio 2010/2012) ed al Piano di rientro; C) – il mutamento del sinallagma contrattuale, per l’imminente accorpamento o chiusura dei Presidi di Minervino Murge e di Spinazzola, secondo il riordino regionale della rete ospedaliera.
2. – Detta ATI ha allora impugnato tali statuizioni innanzi al TAR Bari, ponendo altresì domanda risarcitoria nei confronti dell’ASL intimata, a titolo di responsabilità precontrattuale (per violazione dei principi di buona fede ex artt. 1337 e 1338 c.c. nel disporre la revoca degli atti di gara dopo dieci mesi dalla relativa indizione) e, in via subordinata, domanda di pagamento dell’indennità ex art. 21-quinquies della l. 7 agosto 1990 n. 241. Si son costituite in quel giudizio l’ASL BT e la LAVIT s. coop., quest’ultima proponendo a sua volta gravame incidentale.
Con sentenza n. 1804 del 25 ottobre 2012, l’adito TAR ha accolto la sola domanda risarcitoria per responsabilità pre-contrattuale, respingendo quella impugnatoria e dichiarando improcedibile il ricorso incidentale.
3. – Appella allora detta ATI, deducendo in punto di diritto l’erroneità della sentenza per: A) – non aver considerato l’effettiva natura della delibera n. 1323/2011, che fu di aggiudicazione non già provvisoria, bensì definitiva, essendo stata in quella sede vagliata pure l’opportunità economica per l’ASL d’assegnare il servizio; B) – per non aver inteso rinegoziare comunque il contratto ai sensi dell’art. 17, c. 1, lett. a), VI per. del DL 6 luglio 2011 n. 98 (convertito, con modificazioni, dalla l. 15 luglio 2011 n. 111), a fronte dei soli 55 posti-letto effettivamente soppressi (nei citati due Presidi ospedalieri) rispetto agli 860 dedotti in appalto; C) – l’improprio richiamo all’art. 81, c. 3 del Dlg 12 aprile 2006 n. 163, giacché la non convenienza dell’appalto è dipesa non da aspetti tecnico – economici delle singole offerte, ma dalla gara in sé, fermo restando che il ritiro ha riguardato tutti gli atti di quest’ultima e non la graduatoria formulata dalla commissione; D) – l’insussistenza d’una reale perdita economica in capo all’ASL, perché i due Presidi ospedalieri sono stati riconvertiti e non soppressi e perché l’appellante ha formulato la propria offerta tenendo conto della possibilità di riduzione dei posti – letto; E) – omesso ritiro, da parte della delibera n. 1504/2011, della precedente delibera n. 112/2010, con cui è stata indetta la nuova gara per cui è causa; F) – non aver considerato che la delibera n. 1323/2011 non solo tiene conto del Piano regionale di riordino, ma aggiudica il servizio su un prezzo onnicomprensivo calcolato su quattro Presidi ospedalieri e non sui sette di cui al capitolato speciale; G) – non aver considerato l’omessa motivazione, nella delibera n. 1504/2011, in ordine alle difficoltà finanziarie sull’esecuzione dell’appalto aggiudicato, visto che il relativo prezzo è commisurato solo ai giorni di degenza e, quindi, il corrispettivo si riduce in proporzione diretta al numero dei posti – letto soppressi; H) – non aver inteso che, a tutto concedere, la modifica dell’esecuzione dell’appalto, a seguito della soppressione dei predetti Presidi, implica sì una variazione quantitativa della prestazione, ma non oltre il c.d. “quinto d’obbligo” di cui all’art. 4 del capitolato speciale, che perciò considerò la possibilità di tal variazione.
Nel costituirsi in giudizio, l’ASL intimata propone impugnazione incidentale della sentenza de qua, relativamente alla condanna risarcitoria per responsabilità pre-contrattuale. Resiste in giudizio pure la LAVIT s. coop., proponendo anch’essa appello incidentale, con cui ribadisce quanto già dedotto così in primo grado.
Alla pubblica udienza del 18 giugno 2013, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.
4. – L’appello principale non può esser condiviso.
4.1. – Anzitutto, s’appalesano inammissibili le questioni che l’appellante muove alla natura giuridica della delibera n. 1504/2011, considerandola una revoca propriamente detta, cioè la statuizione conclusiva d’un procedimento di secondo grado con esito di riforma.
Così non è in sé, ma non è questo il punto, perché già in primo grado l’appellante è stata ben consapevole della circostanza che la predetta delibera fosse intervenuta nei confronti di una aggiudicazione provvisoria. In altri termini, innanzi al TAR l’appellante, che pure con dovizia di argomenti ha reputato la delibera de qua erronea sotto molteplici profili fattuali e di merito (ossia, sull’illegittimità della mancata aggiudicazione definitiva), non ha poi espresso alcun dubbio circa la natura di aggiudicazione provvisoria da riconoscere all’atto ritirato con la delibera stessa. Infatti, in primo grado l’odierna appellante rammenta che, per quanto precaria, l’aggiudicazione provvisoria non sarebbe revocabile, se non in base ad un atto motivato in modo congruo e senza travisamenti di fatto o di diritto. Sennonché, nello svolgersi dell’argomentazione in quella sede, l’appellante ha solo dedotto vizi sulla ragionevolezza e la coerenza giuridica della mancata aggiudicazione definitiva, non già sul procedimento in sé d’una supposta autotutela.
È perciò improponibile ogni doglianza che solo adesso l’appellante muove contro la qualificazione della delibera n. 1323/2011, come ritirata dalla delibera n. 1504/2011, a guisa di aggiudicazione provvisoria, al duplice intenzionale fine d’eludere il giusto procedimento d’autotutela e di non dar contezza dei relativi presupposti.
Al più tali censure l’appellante avrebbe dovuto muovere subito contro la delibera n. 1323/2011, se l’avesse reputata ab initio un’aggiudicazione definitiva dissimulata con il nomen di aggiudicazione provvisoria. E ciò per l’evidente, immediata e non irrilevante lesività d’una siffatta qualificazione, non foss’altro perché atta a differire illegittimamente la stipulazione e l’esecuzione del contratto. Poiché innanzi al TAR detta appellante non ha concluso in tal senso, non può in questa sede più far valere i relativi argomenti.
4.2. – Ciò posto, ogni ulteriore considerazione sulla pretesa “definitività” dell’aggiudicazione secondo il contenuto della delibera n. 1323/2011 non trova riscontro né fattuale, né giuridico.
Non in punto di fatto, perché la graduatoria di merito, in esito alla disamina delle offerte, è stata formulata dal seggio di gara il 2 settembre 2011, mentre la delibera n. 1323/2011 ha disposto l’aggiudicazione provvisoria con contestuale approvazione della graduatoria stessa. Ad essa è poi seguita la nota prot. n. 71868 del successivo giorno 21, con cui l’ASL ha chiesto all’appellante la documentazione occorrente alla definizione dell’aggiudicazione definitiva. Non in punto di diritto, perché la citata delibera non ha espresso alcun giudizio d’opportunità economica dell’appalto, limitandosi soltanto a parametrare l’importo di aggiudicazione al numero effettivo di giornate di degenza con riferimento ai dati acquisiti al bilancio aziendale al 31 dicembre 2010, impregiudicati restando, alla data di detta delibera, i controlli sulla posizione dell’aggiudicataria provvisoria.
È appena da precisare che, nella specie, la delibera n. 1504/2011 parla sì di «revoca» della predetta aggiudicazione provvisoria, ma, con ogni evidenza e diversamente dalla contestuale statuizione nei confronti degli atti del procedimento di gara, in senso atecnico, non certo come esercizio di potestà di autotutela.
Invero, nelle gare ad evidenza pubblica, la “revoca” de qua non è altro che, come sarebbe meglio è più propriamente dire, la mancata conferma dell’aggiudicazione provvisoria, mentre nella specie la rimozione dei presupposti atti della gara, che così non si conclude, è meramente consequenziale a tale non aggiudicazione. Quest’ultima non configura un’autotutela vera e propria, sì da richiedere il raffronto tra l'interesse pubblico e quello privato sacrificato e di ciò il TAR ha dato contezza ampia e condivisibile. Né sul punto è prospettabile alcun affidamento del destinatario, ché l'aggiudicazione provvisoria non è l'atto conclusivo del procedimento di evidenza pubblica, onde non v’è ragione di motivare sulle ragioni di pubblico interesse (arg. ex Cons. St., V, 20 aprile 2012 n. 2338). Sicché, quand’anche si possa predicare improprio nella specie il richiamo dell’ASL all'art. 81, c. 3 del Dlg 163/2006 (ma improprio non è, come vedrà infra), la stazione appaltante ben può legittimamente non statuire l’aggiudicazione definitiva e non dar corso definitivo alla gara svolta, in presenza di ragioni d’opportunità economica e/o di sopravvenuta non congruenza dell’oggetto dell’appalto a fronte del mutato scenario organizzativo (arg. ex Cons. St., VI, 17 marzo 2010 n. 1554). Tale scelta, già in sé possibile quando sia discrezionale, s’appalesa non manifestamente irrazionale o arbitraria nella specie, non essendo nella (totale) libera disponibilità dell’ASL stessa, per i poteri regionali di organizzazione e dislocazione del SSN.
Insomma, non si ha, nel caso in esame, un procedimento di secondo grado —a differenza del caso in cui s’intervenga sull'aggiudicazione definitiva—, ma si conclude in senso negativo lo stesso ed unico procedimento di evidenza pubblica, a causa della sopravvenuta non utilità del contratto, ancora in itinere, all’interesse creditorio, mutato per factum principis non derogabile e tale da non rendere conveniente l’attivazione del rapporto negoziale.
Non è qui in discussione se occorra, nei procedimenti di autotutela, una congrua motivazione circa il modo con cui la P.A. contempera i contrastanti interessi nel momento della emanazione dell'atto di revoca, ché ciò è scontato. Ma è parimenti indubbio che, l’adeguatezza della motivazione in ordine alla “revoca” de qua, ossia dell’esito negativo del procedimento d’evidenza pubblica si commisura solo con riferimento o all'indisponibilità delle relative somme in bilancio, o alla necessità di assicurare il rispetto delle previsioni del bilancio e del patto di stabilità o al mutato assetto organizzativo che discende dai nuovi vincoli finanziari.
4.3. – Non inficia quest’ordine concettuale la circostanza che, nella specie, l’ASL non abbia interrotto per tempo il procedimento di gara, pur se già nella fase iniziale di quest’ultimo ha avuto contezza della soppressione dei presidi ospedalieri di Minervino Murge e di Spinazzola.
Da questa vicenda l’appellante vuol inferirne l’irrilevanza o la non influenza sull’assetto negoziale impresso dall’ASL alla gara, come se tal soppressione in fondo mantenesse integre le esigenze di acquisto del servizio appaltando e fosse poi adoperata, a gara finita, quale pretesto per non definirne il contratto. Ma ciò è solo una petizione di principio, in quanto, per un verso, l’appellante legge la vicenda stessa in tal maniera ma, già negli argomenti dedotti in primo grado, non ne indica i dati e la dimostrazione logico-finanziaria. Per altro verso ed in relazione all’oggetto del servizio —da fornire in base alle giornate di degenza—, la predetta soppressione modifica, sì in pejus ma per l’ASL, la previsione sulla convenienza di mantenere inalterato il numero di tali giornate a fronte di un’oggettiva e non manifestamente irrilevante diminuzioni delle degenze. Né coglie il segno l’obiezione che, siccome l’ASL nei primi tre trimestri ha avuto un qualche utile di gestione, non può affermare di versare in difficoltà finanziarie, ché un trend favorevole di (un solo) esercizio di per sé solo non implica né la diminuzione dellostock del debito pregresso (e, dunque, delle ragioni della crisi sanitaria), né l’obbligo d’impiegare tutto l’utile stesso per assecondare un solo contratto, in sé non più conveniente.
Da tanto discende come non giovi all’appellante il richiamo d’un precedente della Sezione (cfr. Cons. St., III, 15 maggio 2012 n. 2805), pur se riferito all’ASL appellata, in quanto esso, per contro, serve a corroborare la non necessarietà dell’aggiudicazione definitiva.
Invero, la Sezione precisa, in modo assai opportuno, che le ben «… note… difficoltà finanziarie in cui versano numerose aziende sanitarie…se impongono l’eliminazione di tutte le spese non necessarie e, più in generale, l’adozione di misure volte al contenimento delle spese di funzionamento, con una gestione più attenta delle limitate risorse disponibili, non impediscono alle aziende di esercitare la propria funzione e quindi di svolgere quelle attività necessarie per l’erogazione dei servizi pubblici ai quali devono provvedere…». È esattamente ciò cui mira l’ASL, con la delibera n. 1504/2011, laddove, appunto, mira non già svincolarsi da un contratto stipulato, ma a non impegnarsi in un rapporto sì in fieri però non più congruo rispetto alla previsione di spesa ed all’originario suo oggetto. L’ASL non rinuncia affatto al servizio in sé —tant’è che al contempo indice una nuova gara, commisurata al nuovo contesto organizzativo aziendale—, ma rinuncia ad un rapporto non più conveniente, appunto allo scopo d’una più razionale gestione di risorse comunque scarse. Tal scopo non sarebbe stato certo raggiunto, ove l’ASL avesse comunque, ossia al medesimo costo per un oggetto più ridotto, aggiudicato all’appellante.
Se, dunque, non v’è una statuizione di secondo grado e poiché verso di essa l'aggiudicatario provvisorio non ha titolo di pretendere l’adempimento della stipulazione del contratto d’appalto, è impossibile far riferimento all’art. 21-quinquies della l. 241/1990. Invero, l'obbligo della P.A., relativo all'indennizzo per il ristoro dei pregiudizi provocati dalla revoca, concerne i provvedimenti ad efficacia durevole, tra i quali non rientra l'aggiudicazione provvisoria (arg. ex Cons. St., III, 21 gennaio 2013 n. 339).
Non a diversa conclusione deve il Collegio pervenire con riguardo al richiamo dell’appellante alla possibilità di rinegoziare al contratto ai sensi dell’art. 17, c. 1, lett. a), VI per. del DL 98/2011. La norma invocata, al tempo in cui è stata emanata la delibera n. 1504/2011, aveva un altro contenuto e non prevedeva l’obbligo per l’ASL di rinegoziare il contratto, in realtà introdotto dalla novella ex art. 15, c. 13, lett. b) del DL 6 luglio 2012 n. 95 (convertito, con modificazioni, dallal. 7 agosto 2012 n. 135). Non a caso detta norma, entrata in vigore il 7 luglio 2012, legittimamente non è stata considerata dalla delibera stessa ed il riferimento ad essa da parte dell’appellante è inammissibile, in quanto formulato, oltre che per la prima volta in appello, per una vicenda ben anteriore alla citata novella del 2012.
5. – Sulla scorta di tali argomenti, si deve rigettare l’assunto dell’appellante, che reputa superficiale e non congrua l’articolata motivazione della delibera n. 1504/2011. Al contrario, il Collegio non può che ribadire quanto sul punto ha già affermato il Giudice di prime cure, laddove considera invece la delibera stessa a guisa di atto a motivazione plurima, ciascun elemento del quale essendo in sé sufficiente a fondarne la legittimità.
Al riguardo, s’è già detto come sufficienti a supportare la scelta sottesa alla ripetuta delibera siano gli argomenti delle difficoltà finanziarie del Servizio sanitario regionale. Queste s’appalesano dati così evidenti, da aver determinato, da parte della Regione e con statuizione (deliberazione G.R. n. 306 del 20 marzo 2011) non contestata dall’appellante, la scelta di sopprimere i plessi di Minervino Murge e di Spinazzola e di convertirne le attività.
E s’è detto pure dell’alterazione dell’equilibrio sinallagmatico, ab origine (ossia, quando fu indetta la gara per cui è causa) sussistente e tenuto presente, ma mantenuto solo rebus sic stantibus, fintanto che non sia divenuta efficace la predetta soppressione.
È materialmente vero che quest’ultima, di per sé sola, non ha provocato, né pare determinare anche adesso la definitiva cessazione delle relative due strutture, per le quali, quindi, se ne determina la trasformazione di queste in plessi che svolgono servizi sanitari non ospedalieri. In tal modo, però, si ha pure la riduzione non solo dei posti-letto, ma soprattutto delle degenze nel loro complesso e, quindi, delle esigenze del servizio di lavanolo per quei plessi, donde la modificazione in peggio di detto equilibrio, a suo tempo fissato in modo inderogabile dall’ASL nella delibera n. 1323/2011, con stima relativa all’anno 2010. Sicché non convince la tesi dell’appellante, per cui la modifica di tal equilibrio ridonderebbe in danno solo verso se stessa e non verso l’ASL. In disparte la fissazione dell’importo di aggiudicazione posta dalla citata delibera n. 1323/2011 in base alle giornate di degenza per il 2010, la modifica dell’incidenza dei due presidi soppressi implica la diminuzione dei costi fissi dell’appaltatore, con riguardo all’acquisto dei beni da prestare, al personale da impiegare nel servizio e della relativa logistica per il ritiro e la consegna della biancheria.
L’appellante insiste nell’affermare che la delibera n. 1323/2011 avrebbe già incorporato la riduzione dei presidi ospedalieri aziendali. Essa trae tal convincimento dalla parte della delibera stessa con cui l’ASL prende atto che «… per l’anno 2010, il numero di giornate di degenza presso i 4 Presidi Ospedalieri della ASL BT ammonta…». Nondimeno questo argomento, esplicitato così solo in questo grado d’appello, riguarda un enunciato della delibera n. 1323/2011 che, per quanto poco perspicuo, è servito all’ASL soltanto per determinare il reale numero di giornate di degenza da remunerare e guarda all’assetto aziendale al 31 dicembre 2010. Ma, a tale data, già v’era sì il piano regionale di ristrutturazione della rete ospedaliera, ma non anche la DGR n. 306/2011 (di cui dà contezza l’appellante a pag. 14 del ricorso di primo grado), recante la riconversione dei due ex-ospedali di Minervino Murge e di Spinazzola ed intervenuta ben dopo non solo la scadenza del termine di presentazione delle offerte, ma addirittura l’inizio delle operazioni di valutazione di esse da parte del seggio di gara.
Da condividere è altresì la sentenza, laddove confuta l’erroneo riferimento dell’odierna appellante all’art. 4 del CSA, relativo al jus variandi della stazione appaltante sulle quantità delle prestazioni dedotte in appalto, nei soli limiti del c.d. “quinto d’obbligo” e nel caso di rimodulazione strutturale dell’ASL (e ciò, d’altronde, è stato ribadito dalla ripetuta delibera n. 1323). Rettamente il TAR osserva come siffatta clausola riguardi la sola esecuzione del contratto stipulato, non già, questo essendo appunto l’oggetto della delibera n. 1504/2011, la convenienza in sé dell’impegno negoziale prima della stipulazione. In altri termini, la clausola è stata apposta al CSA, con ogni evidenza, nella consapevolezza dell’imminente ristrutturazione della rete ospedaliera regionale e dell’esecuzione di questa non uno actu ma in continuo divenire. Dunque essa avrebbe riguardato tal ristrutturazione, ov’essa si fosse determinata dopo la stipulazione del contratto, non durante l’espletamento della gara o prima dell’aggiudicazione definitiva, com’è avvenuto.
6. – Ancora, l’appellante si duole dell’illegittimo richiamo, anche da parte dell’impugnata sentenza, al citato art. 81, c. 3 del Dlg 163/2006, ma pure tale tesi non convince.
Detto art. 81, c. 3 dispone che «… le stazioni appaltanti possono decidere di non procedere all'aggiudicazione se nessuna offerta risulti conveniente o idonea in relazione all'oggetto del contratto…». La norma, come si vede, richiede alla stazione appaltante un giudizio di convenienza sul futuro contratto, che consegue, tra l’altro, ad apprezzamenti sull'inopportunità di proseguire nella verifica di congruità, affidabilità ed utilità economica del rapporto negoziale. Tanto, se del caso, anche alla luce di una generale riconsiderazione dell'appalto, foss’anche per ragioni organizzative o economiche discendenti da volizioni altrui: ciò è dunque sufficiente a rendere ragione della decisione assunta. Invero, in sede d’evidenza pubblica, la stazione appaltante dispone di ampi poteri, non condizionati dalle valutazioni tecniche del seggio di gara, ben potendo essa sempre disporre del contratto (o, per meglio dire, della non definizione dell’aggiudicazione definitiva) nell’esercizio delle sue funzioni di controllo. In concreto, questi ultimi, in particolare, discendono non già o non tanto dalla scansione procedimentale fissata dagli art. 11 e 12 del Dlg 163/2006, bensì dalla diversa e più generale facoltà attribuitale a norma del successivo art. 81, c. 3 (arg. ex Cons. St., IV, 17 maggio 2012 n. 2848).
Né basta: il potere della stazione appaltante di non procedere all'aggiudicazione definitiva, appunto ai sensi dell'art. 81, c. 3, ha un carattere amplissimo, servendo alla stazione appaltante un’ampia gamma di poteri circa la possibilità di non procedere all'aggiudicazione del contratto per specifiche ed obiettive ragioni di pubblico interesse (arg. ex Cons. St., IV, 26 marzo 2012 n. 1766).
Né può esser condiviso l’assunto per cui la delibera n. 1504/2011 revoca tutti gli atti della gara, compresi quelli già a suo tempo rimossi dall’ASL, ma non anche la delibera n. 112/2010, che detta gara indice. La serena lettura della delibera stessa porta invece a concludere che la volizione di detta ASL è solo quella di rimuovere ab imis le disposizioni regolatrici della gara de qua, nonché tutti i suoi effetti. Pretestuosa ne è ogni altra o diversa lettura, giacché la stessa delibera n. 1504/2011 demanda agli uffici di riformulare una nuova gara, ad oggetto certo simile (ché, come s’è detto, l’ASL non ha rinunciato al servizio), ma con regole e clausole incompatibili con quanto ha formato oggetto della delibera n. 112/2010. Poiché, appunto, la nuova gara deve tener conto in modo differente, rispetto alla situazione organizzativa del 2010, la realtà aziendale valutando in altro modo l’incidenza dei due presidi soppressi, si ha per ciò solo la abrogazione della delibera n. 112/2010 per incompatibilità.
7. – Ammissibile così essendo il gravame incidentale dell’ASL intimata, esso è pure da condividere, nei termini di cui appresso.
Il TAR ha accolto la domanda risarcitoria dell’appellante principale verso l’ASL stessa, a titolo di responsabilità pre-contrattuale, nella considerazione che detta P.A., pur già consapevole del piano regionale di ristrutturazione della rete ospedaliera e della soppressione dei citati presidi e per quanto vicende sopravvenute all’indizione della gara, ne ha rimosso gli atti a causa di tali presupposti, ma molto tempo dopo il loro verificarsi.
Nondimeno, accogliendo sul punto le obiezioni dell’ASL, il piano regionale, di cui alla DGR n. 2791 del 15 dicembre 2010, ha sì indicato i presidi di Minervino Murge e di Spinazzola tra quelli da sopprimere, ma ne ha solo stabilito le linee-guida per l’appropriatezza degli ospedali. Dal canto suo, l’art. 4 del regol. reg. 16 dicembre 2010 n. 18, dopo aver stabilito il miglioramento della qualità e dell’appropriatezza sarebbe stato perseguito mercé la trasformazione delle degenze ospedaliere in servizi assistenziali alternativi ai ricoveri, perché più adeguati alle esigenze dei pazienti e meno onerosi per la collettività, ha rimodulato gli ospedali soppressi in strutture assistenziali territoriali alternative al ricovero. Né va sottovalutato che il processo di trasformazione è proseguito per tutto l’anno 2011 ed è poi stato formalizzato, con la ridefinizione degli organici, con la l. reg. Puglia 15 maggio 2012 n. 11, ossia ben dopo la definizione della gara de qua e dell’emanazione degli atti impugnati in primo grado.
Sicché, ai fini della responsabilità pre-contrattuale, non basta predicare nella specie il mero fatto, in sé materialmente vero, della sopravvenienza della cessazione dei presidi ospedalieri di Minervino Murge e di Spinazzola in corso di gara.
In disparte che, come ha ammesso in primo grado pure l’appellante principale, è dovuta intervenire la DGR 306/2011 per riconvertire detti presidi in altro tipo di strutture, tal provvedimento è stato emanato nel corso delle valutazioni del seggio di gara sulle offerte. Le relative sedute, per la complessità dell’oggetto delle prestazioni dedotte in appalto e delle relative offerte, si sono a loro volta distribuite nell’arco temporale da febbraio ad agosto 2011, con una media di tre sedute al mese. Rettamente l’ASL precisa che, per quanto ben a conoscenza di tali vicende di ristrutturazione, non per ciò solo ha tenuto una condotta colpevole, a fronte d’una sì lunga e complessa attività valutativa del seggio di gara, regolata secondo giudizi ed accertamenti di merito tecnico, certo non nella libera disponibilità della stazione appaltante. Al contrario, detta ASL, una volta chiarite le implicazioni dell’eventuale aggiudicazione definitiva nel nuovo assetto organizzativo aziendale, ha provveduto tempestivamente a rimuovere gli atti e gli effetti della gara stessa, prima, cioè, che la relativa definizione la impegnasse in modo irreversibile ad un appalto ormai non più conveniente.
8. – In definitiva, solo per questa parte ed in accoglimento del solo gravame incidentale dell’ASL, la sentenza impugnata va riformata, mentre l’appello incidentale della LAVIT s. coop. va dichiarato improcedibile, non essendosi modificato l’assetto impresso da tal sentenza nei riguardi di tal Società cooperativa. Giusti motivi e la complessa articolazione della vicenda suggeriscono l’integrale compensazione, tra tutte le parti, delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. III), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 9304/2012 RG in epigrafe, respinge l'appello principale, accoglie l’appello incidentale dell’ASL BT e dichiara improcedibile quello incidentale della LAVIT s. coop. e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, rigetta integralmente il ricorso proposto in primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 18 giugno 2013, con l'intervento dei sigg. Magistrati:


Giuseppe Romeo, Presidente
Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore
Massimiliano Noccelli, Consigliere
Alessandro Palanza, Consigliere
Pierfrancesco Ungari, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/09/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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