APPALTI:
la mancata aggiudicazione definitiva
non consiste in una revoca di quella provvisoria
(Cons. St., Sez. III,
sentenza 4 settembre n. 4433).
Massima
1. Nelle gare ad evidenza pubblica, la “revoca” non è altro che la mancata conferma dell’aggiudicazione provvisoria; la rimozione dei presupposti atti della gara, che così non si conclude, è meramente consequenziale a tale non aggiudicazione. Quest’ultima non configura un’autotutela vera e propria, sì da richiedere il raffronto tra l'interesse pubblico e quello privato sacrificato
Non è prospettabile poi alcun affidamento del destinatario, ché l'aggiudicazione provvisoria non è l'atto conclusivo del procedimento di evidenza pubblica, onde non v’è ragione di motivare sulle ragioni di pubblico interesse
Sicché, quand’anche si possa predicare improprio il richiamo all'art. 81, co. 3 del D.Lgs. n.163/2006 (ma improprio non è) la stazione appaltante ben può legittimamente non statuire l’aggiudicazione definitiva e non dar corso definitivo alla gara svolta, in presenza di ragioni d’opportunità economica e/o di sopravvenuta non congruenza dell’oggetto dell’appalto a fronte del mutato scenario organizzativo.
Insomma, non si ha, un procedimento di secondo grado —a differenza del caso in cui s’intervenga sull'aggiudicazione definitiva—, ma si conclude in senso negativo lo stesso ed unico procedimento di evidenza pubblica, a causa della sopravvenuta non utilità del contratto, ancora in itinere, all’interesse creditorio, mutato per factum principis non derogabile e tale da non rendere conveniente l’attivazione del rapporto negoziale.
2. Non è qui in discussione se occorra, nei procedimenti di autotutela, una congrua motivazione circa il modo con cui la P.A. contempera i contrastanti interessi nel momento della emanazione dell'atto di revoca, ché ciò è scontato.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 9304/2012 RG, proposto dalla Servizi
Ospedalieri s.p.a., corrente in Ferrara, in persona del legale rappresentante pro
tempore, in proprio e n.q. di capogruppo mandataria dell’ATI con la F.lli
Bernard s.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati Enza Maria Accarino e
Gaetano Di Giacomo, con domicilio eletto in Roma, alla via Cicerone n. 49,
contro
l’Azienda sanitaria locale – ASL BT, con sede in
Andria (BA), in persona del Direttore generale pro tempore,
appellante incidentale, rappresentata e difesa dall'avv. Alessandro Delle
Donne, con domicilio eletto in Roma, via Cosseria n. 2, presso lo studio
dell’avv. Placidi e
nei confronti di
- ALSCO Italia s.r.l., corrente in Merlino (LO), in
persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e n.q. di
capogruppo mandataria dell’ATI con la COLIM soc. coop., non costituita nel
presente giudizio e
- LAVIT s. coop. prod, e lavoro Lavit, corrente in Foggia, in persona del legale rappresentante pro tempore, appellante incidentale, rappresentata e difesa dall'avv. Gennaro Notarnicola, con domicilio eletto in Roma, via Cosseria n. 2, presso lo studio dell’avv. Placidi,
- LAVIT s. coop. prod, e lavoro Lavit, corrente in Foggia, in persona del legale rappresentante pro tempore, appellante incidentale, rappresentata e difesa dall'avv. Gennaro Notarnicola, con domicilio eletto in Roma, via Cosseria n. 2, presso lo studio dell’avv. Placidi,
per la riforma
della sentenza del TAR Puglia, Bari, sez. I, n.
1804/2012, resa tra le parti e concernente l’affidamento dei servizi di
noleggio di dispositivi tessili e materasseria nei presidi ospedalieri
aziendali;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio solo
dell’ASL BT e della LAVIT s. coop.;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, c. 10, c.p.a.;
Relatore all'udienza pubblica del 18 giugno 2013 il
Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti, gli avvocati Saverio
Accarino (su delega dell’avv. E. M. Accarino), Delle Donne e Notarnicola;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto
segue:
FATTO e DIRITTO
1. – Con deliberazione n. 112 del 30 settembre 2010,
l’ASL BT, con sede in Andria (BA), indisse una procedura aperta, da
aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per
l’affidamento quinquennale del servizio integrato di Noleggio,
ricondizionamento e logistica dei dispositivi tessili e della materasseria dei
presidi ospedalieri e nelle strutture territoriali aziendali, con
contestuale revoca della precedente gara indetta con delibera n. 866 del 20
maggio 2009.
A tal gara, dichiara d’aver inteso partecipare, quale
capogruppo mandataria dell’ATI con la F.lli Bernard s.r.l., pure la Servizi
Ospedalieri s.p.a., corrente in Ferrara, proponendo rituale offerta.
In esito alla valutazione delle cinque offerte
pervenute, detta ATI è stata dichiarata aggiudicataria provvisoria in base alla
delibera n.1323 del 15 settembre 2011, terza graduata essendo risultata la
LAVIT s. coop. prod. e lavoro, corrente in Foggia. Sennonché l’ASL, con
delibera n. 1504 del 14 ottobre 2011 (in parte rettificata con la delibera n.
1589 del successivo giorno 26), ha ritirato la delibera di aggiudicazione n.
1323/2011. Tanto a seguito di alcune riscontrate criticità, ossia: A) – il
sopravvenuto mutamento degli assetti organizzativi e funzionali di Presidi e
strutture aziendali, per effetto del nuovo Piano regionale di riordino ospedaliero
e di rientro dalla spesa sanitaria, sì da determinare la modifica dell’oggetto
dell’appalto e del relativo capitolato; B) – l’eccessiva onerosità dell’esito
della gara per contrazione delle risorse in base al bilancio di previsione
2011, al DIEF per il Servizio sanitario nella Regione Puglia (triennio
2010/2012) ed al Piano di rientro; C) – il mutamento del sinallagma
contrattuale, per l’imminente accorpamento o chiusura dei Presidi di Minervino
Murge e di Spinazzola, secondo il riordino regionale della rete ospedaliera.
2. – Detta ATI ha allora impugnato tali statuizioni
innanzi al TAR Bari, ponendo altresì domanda risarcitoria nei confronti
dell’ASL intimata, a titolo di responsabilità precontrattuale (per violazione
dei principi di buona fede ex artt. 1337 e 1338 c.c. nel disporre la revoca
degli atti di gara dopo dieci mesi dalla relativa indizione) e, in via
subordinata, domanda di pagamento dell’indennità ex art. 21-quinquies della l.
7 agosto 1990 n. 241. Si son costituite in quel giudizio l’ASL BT e la LAVIT s.
coop., quest’ultima proponendo a sua volta gravame incidentale.
Con sentenza n. 1804 del 25 ottobre 2012, l’adito TAR
ha accolto la sola domanda risarcitoria per responsabilità pre-contrattuale,
respingendo quella impugnatoria e dichiarando improcedibile il ricorso
incidentale.
3. – Appella allora detta ATI, deducendo in punto di
diritto l’erroneità della sentenza per: A) – non aver considerato l’effettiva
natura della delibera n. 1323/2011, che fu di aggiudicazione non già
provvisoria, bensì definitiva, essendo stata in quella sede vagliata pure
l’opportunità economica per l’ASL d’assegnare il servizio; B) – per non aver
inteso rinegoziare comunque il contratto ai sensi dell’art. 17, c. 1, lett. a),
VI per. del DL 6 luglio 2011 n. 98 (convertito, con modificazioni, dalla l. 15
luglio 2011 n. 111), a fronte dei soli 55 posti-letto effettivamente soppressi
(nei citati due Presidi ospedalieri) rispetto agli 860 dedotti in appalto; C) –
l’improprio richiamo all’art. 81, c. 3 del Dlg 12 aprile 2006 n. 163, giacché la
non convenienza dell’appalto è dipesa non da aspetti tecnico – economici delle
singole offerte, ma dalla gara in sé, fermo restando che il ritiro ha
riguardato tutti gli atti di quest’ultima e non la graduatoria formulata dalla
commissione; D) – l’insussistenza d’una reale perdita economica in capo
all’ASL, perché i due Presidi ospedalieri sono stati riconvertiti e non
soppressi e perché l’appellante ha formulato la propria offerta tenendo conto
della possibilità di riduzione dei posti – letto; E) – omesso ritiro, da parte
della delibera n. 1504/2011, della precedente delibera n. 112/2010, con cui è
stata indetta la nuova gara per cui è causa; F) – non aver considerato che la
delibera n. 1323/2011 non solo tiene conto del Piano regionale di riordino, ma
aggiudica il servizio su un prezzo onnicomprensivo calcolato su quattro Presidi
ospedalieri e non sui sette di cui al capitolato speciale; G) – non aver
considerato l’omessa motivazione, nella delibera n. 1504/2011, in ordine alle
difficoltà finanziarie sull’esecuzione dell’appalto aggiudicato, visto che il
relativo prezzo è commisurato solo ai giorni di degenza e, quindi, il
corrispettivo si riduce in proporzione diretta al numero dei posti – letto
soppressi; H) – non aver inteso che, a tutto concedere, la modifica
dell’esecuzione dell’appalto, a seguito della soppressione dei predetti
Presidi, implica sì una variazione quantitativa della prestazione, ma non oltre
il c.d. “quinto d’obbligo” di cui all’art. 4 del capitolato speciale, che
perciò considerò la possibilità di tal variazione.
Nel costituirsi in giudizio, l’ASL intimata propone
impugnazione incidentale della sentenza de qua, relativamente alla
condanna risarcitoria per responsabilità pre-contrattuale. Resiste in giudizio
pure la LAVIT s. coop., proponendo anch’essa appello incidentale, con cui
ribadisce quanto già dedotto così in primo grado.
Alla pubblica udienza del 18 giugno 2013, su conforme
richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal
Collegio.
4. – L’appello principale non può esser condiviso.
4.1. – Anzitutto, s’appalesano inammissibili le
questioni che l’appellante muove alla natura giuridica della delibera n.
1504/2011, considerandola una revoca propriamente detta, cioè la statuizione
conclusiva d’un procedimento di secondo grado con esito di riforma.
Così non è in sé, ma non è questo il punto, perché già
in primo grado l’appellante è stata ben consapevole della circostanza che la
predetta delibera fosse intervenuta nei confronti di una aggiudicazione
provvisoria. In altri termini, innanzi al TAR l’appellante, che pure con
dovizia di argomenti ha reputato la delibera de qua erronea
sotto molteplici profili fattuali e di merito (ossia, sull’illegittimità della
mancata aggiudicazione definitiva), non ha poi espresso alcun dubbio circa la
natura di aggiudicazione provvisoria da riconoscere all’atto ritirato con la
delibera stessa. Infatti, in primo grado l’odierna appellante rammenta che, per
quanto precaria, l’aggiudicazione provvisoria non sarebbe revocabile, se non in
base ad un atto motivato in modo congruo e senza travisamenti di fatto o di
diritto. Sennonché, nello svolgersi dell’argomentazione in quella sede,
l’appellante ha solo dedotto vizi sulla ragionevolezza e la coerenza giuridica
della mancata aggiudicazione definitiva, non già sul procedimento in sé d’una
supposta autotutela.
È perciò improponibile ogni doglianza che solo adesso
l’appellante muove contro la qualificazione della delibera n. 1323/2011, come
ritirata dalla delibera n. 1504/2011, a guisa di aggiudicazione provvisoria, al
duplice intenzionale fine d’eludere il giusto procedimento d’autotutela e di
non dar contezza dei relativi presupposti.
Al più tali censure l’appellante avrebbe dovuto
muovere subito contro la delibera n. 1323/2011, se l’avesse reputata ab
initio un’aggiudicazione definitiva dissimulata con il nomen di
aggiudicazione provvisoria. E ciò per l’evidente, immediata e non irrilevante
lesività d’una siffatta qualificazione, non foss’altro perché atta a differire
illegittimamente la stipulazione e l’esecuzione del contratto. Poiché innanzi
al TAR detta appellante non ha concluso in tal senso, non può in questa sede
più far valere i relativi argomenti.
4.2. – Ciò posto, ogni ulteriore considerazione sulla
pretesa “definitività” dell’aggiudicazione secondo il contenuto della delibera
n. 1323/2011 non trova riscontro né fattuale, né giuridico.
Non in punto di fatto, perché la graduatoria di
merito, in esito alla disamina delle offerte, è stata formulata dal seggio di
gara il 2 settembre 2011, mentre la delibera n. 1323/2011 ha disposto
l’aggiudicazione provvisoria con contestuale approvazione della graduatoria
stessa. Ad essa è poi seguita la nota prot. n. 71868 del successivo giorno 21,
con cui l’ASL ha chiesto all’appellante la documentazione occorrente alla
definizione dell’aggiudicazione definitiva. Non in punto di diritto, perché la
citata delibera non ha espresso alcun giudizio d’opportunità economica
dell’appalto, limitandosi soltanto a parametrare l’importo di aggiudicazione al
numero effettivo di giornate di degenza con riferimento ai dati acquisiti al
bilancio aziendale al 31 dicembre 2010, impregiudicati restando, alla data di
detta delibera, i controlli sulla posizione dell’aggiudicataria provvisoria.
È appena da precisare che, nella specie, la delibera
n. 1504/2011 parla sì di «revoca» della predetta aggiudicazione provvisoria,
ma, con ogni evidenza e diversamente dalla contestuale statuizione nei
confronti degli atti del procedimento di gara, in senso atecnico, non certo
come esercizio di potestà di autotutela.
Invero, nelle gare ad evidenza pubblica, la “revoca” de
qua non è altro che, come sarebbe meglio è più propriamente dire, la
mancata conferma dell’aggiudicazione provvisoria, mentre nella specie la
rimozione dei presupposti atti della gara, che così non si conclude, è
meramente consequenziale a tale non aggiudicazione. Quest’ultima non configura
un’autotutela vera e propria, sì da richiedere il raffronto tra l'interesse
pubblico e quello privato sacrificato e di ciò il TAR ha dato contezza ampia e
condivisibile. Né sul punto è prospettabile alcun affidamento del destinatario,
ché l'aggiudicazione provvisoria non è l'atto conclusivo del procedimento di
evidenza pubblica, onde non v’è ragione di motivare sulle ragioni di pubblico interesse
(arg. ex Cons. St., V, 20 aprile 2012 n. 2338). Sicché, quand’anche si possa
predicare improprio nella specie il richiamo dell’ASL all'art. 81, c. 3 del Dlg
163/2006 (ma improprio non è, come vedrà infra), la stazione appaltante
ben può legittimamente non statuire l’aggiudicazione definitiva e non dar corso
definitivo alla gara svolta, in presenza di ragioni d’opportunità economica e/o
di sopravvenuta non congruenza dell’oggetto dell’appalto a fronte del mutato
scenario organizzativo (arg. ex Cons. St., VI, 17 marzo 2010 n. 1554). Tale
scelta, già in sé possibile quando sia discrezionale, s’appalesa non
manifestamente irrazionale o arbitraria nella specie, non essendo nella
(totale) libera disponibilità dell’ASL stessa, per i poteri regionali di organizzazione
e dislocazione del SSN.
Insomma, non si ha, nel caso in esame, un procedimento
di secondo grado —a differenza del caso in cui s’intervenga sull'aggiudicazione
definitiva—, ma si conclude in senso negativo lo stesso ed unico procedimento
di evidenza pubblica, a causa della sopravvenuta non utilità del contratto,
ancora in itinere, all’interesse creditorio, mutato per
factum principis non derogabile e tale da non rendere conveniente
l’attivazione del rapporto negoziale.
Non è qui in discussione se occorra, nei procedimenti
di autotutela, una congrua motivazione circa il modo con cui la P.A. contempera
i contrastanti interessi nel momento della emanazione dell'atto di revoca, ché
ciò è scontato. Ma è parimenti indubbio che, l’adeguatezza della motivazione in
ordine alla “revoca” de qua, ossia dell’esito negativo del
procedimento d’evidenza pubblica si commisura solo con riferimento o
all'indisponibilità delle relative somme in bilancio, o alla necessità di
assicurare il rispetto delle previsioni del bilancio e del patto di stabilità o
al mutato assetto organizzativo che discende dai nuovi vincoli finanziari.
4.3. – Non inficia quest’ordine concettuale la
circostanza che, nella specie, l’ASL non abbia interrotto per tempo il procedimento
di gara, pur se già nella fase iniziale di quest’ultimo ha avuto contezza della
soppressione dei presidi ospedalieri di Minervino Murge e di Spinazzola.
Da questa vicenda l’appellante vuol inferirne
l’irrilevanza o la non influenza sull’assetto negoziale impresso dall’ASL alla
gara, come se tal soppressione in fondo mantenesse integre le esigenze di
acquisto del servizio appaltando e fosse poi adoperata, a gara finita, quale
pretesto per non definirne il contratto. Ma ciò è solo una petizione di
principio, in quanto, per un verso, l’appellante legge la vicenda stessa in tal
maniera ma, già negli argomenti dedotti in primo grado, non ne indica i dati e
la dimostrazione logico-finanziaria. Per altro verso ed in relazione
all’oggetto del servizio —da fornire in base alle giornate di degenza—, la
predetta soppressione modifica, sì in pejus ma per l’ASL, la
previsione sulla convenienza di mantenere inalterato il numero di tali giornate
a fronte di un’oggettiva e non manifestamente irrilevante diminuzioni delle
degenze. Né coglie il segno l’obiezione che, siccome l’ASL nei primi tre
trimestri ha avuto un qualche utile di gestione, non può affermare di versare
in difficoltà finanziarie, ché un trend favorevole di (un
solo) esercizio di per sé solo non implica né la diminuzione dellostock del
debito pregresso (e, dunque, delle ragioni della crisi sanitaria), né l’obbligo
d’impiegare tutto l’utile stesso per assecondare un solo contratto, in sé non
più conveniente.
Da tanto discende come non giovi all’appellante il
richiamo d’un precedente della Sezione (cfr. Cons. St., III, 15 maggio 2012 n.
2805), pur se riferito all’ASL appellata, in quanto esso, per contro, serve a
corroborare la non necessarietà dell’aggiudicazione definitiva.
Invero, la Sezione precisa, in modo assai opportuno,
che le ben «… note… difficoltà finanziarie in cui versano numerose
aziende sanitarie…se impongono l’eliminazione di tutte le spese non necessarie
e, più in generale, l’adozione di misure volte al contenimento delle spese di
funzionamento, con una gestione più attenta delle limitate risorse disponibili,
non impediscono alle aziende di esercitare la propria funzione e quindi di
svolgere quelle attività necessarie per l’erogazione dei servizi pubblici ai
quali devono provvedere…». È esattamente ciò cui mira l’ASL, con la
delibera n. 1504/2011, laddove, appunto, mira non già svincolarsi da un
contratto stipulato, ma a non impegnarsi in un rapporto sì in fieri però
non più congruo rispetto alla previsione di spesa ed all’originario suo oggetto.
L’ASL non rinuncia affatto al servizio in sé —tant’è che al contempo indice una
nuova gara, commisurata al nuovo contesto organizzativo aziendale—, ma rinuncia
ad un rapporto non più conveniente, appunto allo scopo d’una più razionale
gestione di risorse comunque scarse. Tal scopo non sarebbe stato certo
raggiunto, ove l’ASL avesse comunque, ossia al medesimo costo per un oggetto
più ridotto, aggiudicato all’appellante.
Se, dunque, non v’è una statuizione di secondo grado e
poiché verso di essa l'aggiudicatario provvisorio non ha titolo di pretendere
l’adempimento della stipulazione del contratto d’appalto, è impossibile far
riferimento all’art. 21-quinquies della l. 241/1990. Invero, l'obbligo della
P.A., relativo all'indennizzo per il ristoro dei pregiudizi provocati dalla
revoca, concerne i provvedimenti ad efficacia durevole, tra i quali non rientra
l'aggiudicazione provvisoria (arg. ex Cons. St., III, 21 gennaio 2013 n. 339).
Non a diversa conclusione deve il Collegio pervenire
con riguardo al richiamo dell’appellante alla possibilità di rinegoziare al
contratto ai sensi dell’art. 17, c. 1, lett. a), VI per. del DL 98/2011. La
norma invocata, al tempo in cui è stata emanata la delibera n. 1504/2011, aveva
un altro contenuto e non prevedeva l’obbligo per l’ASL di rinegoziare il
contratto, in realtà introdotto dalla novella ex art. 15, c. 13, lett. b) del
DL 6 luglio 2012 n. 95 (convertito, con modificazioni, dallal. 7 agosto 2012 n.
135). Non a caso detta norma, entrata in vigore il 7 luglio 2012, legittimamente
non è stata considerata dalla delibera stessa ed il riferimento ad essa da
parte dell’appellante è inammissibile, in quanto formulato, oltre che per la
prima volta in appello, per una vicenda ben anteriore alla citata novella del
2012.
5. – Sulla scorta di tali argomenti, si deve rigettare
l’assunto dell’appellante, che reputa superficiale e non congrua l’articolata
motivazione della delibera n. 1504/2011. Al contrario, il Collegio non può che
ribadire quanto sul punto ha già affermato il Giudice di prime cure, laddove
considera invece la delibera stessa a guisa di atto a motivazione plurima,
ciascun elemento del quale essendo in sé sufficiente a fondarne la legittimità.
Al riguardo, s’è già detto come sufficienti a
supportare la scelta sottesa alla ripetuta delibera siano gli argomenti delle
difficoltà finanziarie del Servizio sanitario regionale. Queste s’appalesano
dati così evidenti, da aver determinato, da parte della Regione e con
statuizione (deliberazione G.R. n. 306 del 20 marzo 2011) non contestata
dall’appellante, la scelta di sopprimere i plessi di Minervino Murge e di
Spinazzola e di convertirne le attività.
E s’è detto pure dell’alterazione dell’equilibrio
sinallagmatico, ab origine (ossia, quando fu indetta la gara
per cui è causa) sussistente e tenuto presente, ma mantenuto solo rebus
sic stantibus, fintanto che non sia divenuta efficace la predetta
soppressione.
È materialmente vero che quest’ultima, di per sé sola,
non ha provocato, né pare determinare anche adesso la definitiva cessazione
delle relative due strutture, per le quali, quindi, se ne determina la
trasformazione di queste in plessi che svolgono servizi sanitari non
ospedalieri. In tal modo, però, si ha pure la riduzione non solo dei
posti-letto, ma soprattutto delle degenze nel loro complesso e, quindi, delle
esigenze del servizio di lavanolo per quei plessi, donde la modificazione in
peggio di detto equilibrio, a suo tempo fissato in modo inderogabile dall’ASL
nella delibera n. 1323/2011, con stima relativa all’anno 2010. Sicché non
convince la tesi dell’appellante, per cui la modifica di tal equilibrio
ridonderebbe in danno solo verso se stessa e non verso l’ASL. In disparte la
fissazione dell’importo di aggiudicazione posta dalla citata delibera n.
1323/2011 in base alle giornate di degenza per il 2010, la modifica
dell’incidenza dei due presidi soppressi implica la diminuzione dei costi fissi
dell’appaltatore, con riguardo all’acquisto dei beni da prestare, al personale
da impiegare nel servizio e della relativa logistica per il ritiro e la
consegna della biancheria.
L’appellante insiste nell’affermare che la delibera n.
1323/2011 avrebbe già incorporato la riduzione dei presidi ospedalieri
aziendali. Essa trae tal convincimento dalla parte della delibera stessa con cui
l’ASL prende atto che «… per l’anno 2010, il numero di giornate di
degenza presso i 4 Presidi Ospedalieri della ASL BT ammonta…». Nondimeno
questo argomento, esplicitato così solo in questo grado d’appello, riguarda un
enunciato della delibera n. 1323/2011 che, per quanto poco perspicuo, è servito
all’ASL soltanto per determinare il reale numero di giornate di degenza da
remunerare e guarda all’assetto aziendale al 31 dicembre 2010. Ma, a tale data,
già v’era sì il piano regionale di ristrutturazione della rete ospedaliera, ma
non anche la DGR n. 306/2011 (di cui dà contezza l’appellante a pag. 14 del
ricorso di primo grado), recante la riconversione dei due ex-ospedali di
Minervino Murge e di Spinazzola ed intervenuta ben dopo non solo la scadenza
del termine di presentazione delle offerte, ma addirittura l’inizio delle
operazioni di valutazione di esse da parte del seggio di gara.
Da condividere è altresì la sentenza, laddove confuta
l’erroneo riferimento dell’odierna appellante all’art. 4 del CSA, relativo al jus
variandi della stazione appaltante sulle quantità delle prestazioni
dedotte in appalto, nei soli limiti del c.d. “quinto d’obbligo” e nel caso di
rimodulazione strutturale dell’ASL (e ciò, d’altronde, è stato ribadito dalla
ripetuta delibera n. 1323). Rettamente il TAR osserva come siffatta clausola
riguardi la sola esecuzione del contratto stipulato, non già, questo essendo
appunto l’oggetto della delibera n. 1504/2011, la convenienza in sé
dell’impegno negoziale prima della stipulazione. In altri termini, la clausola
è stata apposta al CSA, con ogni evidenza, nella consapevolezza dell’imminente
ristrutturazione della rete ospedaliera regionale e dell’esecuzione di questa
non uno actu ma in continuo divenire. Dunque essa avrebbe
riguardato tal ristrutturazione, ov’essa si fosse determinata dopo la
stipulazione del contratto, non durante l’espletamento della gara o prima
dell’aggiudicazione definitiva, com’è avvenuto.
6. – Ancora, l’appellante si duole dell’illegittimo
richiamo, anche da parte dell’impugnata sentenza, al citato art. 81, c. 3 del
Dlg 163/2006, ma pure tale tesi non convince.
Detto art. 81, c. 3 dispone che «… le stazioni
appaltanti possono decidere di non procedere all'aggiudicazione se nessuna
offerta risulti conveniente o idonea in relazione all'oggetto del contratto…».
La norma, come si vede, richiede alla stazione appaltante un giudizio di
convenienza sul futuro contratto, che consegue, tra l’altro, ad apprezzamenti
sull'inopportunità di proseguire nella verifica di congruità, affidabilità ed
utilità economica del rapporto negoziale. Tanto, se del caso, anche alla luce
di una generale riconsiderazione dell'appalto, foss’anche per ragioni
organizzative o economiche discendenti da volizioni altrui: ciò è dunque
sufficiente a rendere ragione della decisione assunta. Invero, in sede
d’evidenza pubblica, la stazione appaltante dispone di ampi poteri, non
condizionati dalle valutazioni tecniche del seggio di gara, ben potendo essa
sempre disporre del contratto (o, per meglio dire, della non definizione
dell’aggiudicazione definitiva) nell’esercizio delle sue funzioni di controllo.
In concreto, questi ultimi, in particolare, discendono non già o non tanto dalla
scansione procedimentale fissata dagli art. 11 e 12 del Dlg 163/2006, bensì
dalla diversa e più generale facoltà attribuitale a norma del successivo art.
81, c. 3 (arg. ex Cons. St., IV, 17 maggio 2012 n. 2848).
Né basta: il potere della stazione appaltante di non
procedere all'aggiudicazione definitiva, appunto ai sensi dell'art. 81, c. 3,
ha un carattere amplissimo, servendo alla stazione appaltante un’ampia gamma di
poteri circa la possibilità di non procedere all'aggiudicazione del contratto
per specifiche ed obiettive ragioni di pubblico interesse (arg. ex Cons. St.,
IV, 26 marzo 2012 n. 1766).
Né può esser condiviso l’assunto per cui la delibera
n. 1504/2011 revoca tutti gli atti della gara, compresi quelli già a suo tempo
rimossi dall’ASL, ma non anche la delibera n. 112/2010, che detta gara indice.
La serena lettura della delibera stessa porta invece a concludere che la
volizione di detta ASL è solo quella di rimuovere ab imis le
disposizioni regolatrici della gara de qua, nonché tutti i suoi
effetti. Pretestuosa ne è ogni altra o diversa lettura, giacché la stessa
delibera n. 1504/2011 demanda agli uffici di riformulare una nuova gara, ad
oggetto certo simile (ché, come s’è detto, l’ASL non ha rinunciato al
servizio), ma con regole e clausole incompatibili con quanto ha formato oggetto
della delibera n. 112/2010. Poiché, appunto, la nuova gara deve tener conto in
modo differente, rispetto alla situazione organizzativa del 2010, la realtà
aziendale valutando in altro modo l’incidenza dei due presidi soppressi, si ha
per ciò solo la abrogazione della delibera n. 112/2010 per incompatibilità.
7. – Ammissibile così essendo il gravame incidentale
dell’ASL intimata, esso è pure da condividere, nei termini di cui appresso.
Il TAR ha accolto la domanda risarcitoria
dell’appellante principale verso l’ASL stessa, a titolo di responsabilità
pre-contrattuale, nella considerazione che detta P.A., pur già consapevole del
piano regionale di ristrutturazione della rete ospedaliera e della soppressione
dei citati presidi e per quanto vicende sopravvenute all’indizione della gara,
ne ha rimosso gli atti a causa di tali presupposti, ma molto tempo dopo il loro
verificarsi.
Nondimeno, accogliendo sul punto le obiezioni
dell’ASL, il piano regionale, di cui alla DGR n. 2791 del 15 dicembre 2010, ha
sì indicato i presidi di Minervino Murge e di Spinazzola tra quelli da
sopprimere, ma ne ha solo stabilito le linee-guida per l’appropriatezza degli
ospedali. Dal canto suo, l’art. 4 del regol. reg. 16 dicembre 2010 n. 18, dopo
aver stabilito il miglioramento della qualità e dell’appropriatezza sarebbe
stato perseguito mercé la trasformazione delle degenze ospedaliere in servizi
assistenziali alternativi ai ricoveri, perché più adeguati alle esigenze dei
pazienti e meno onerosi per la collettività, ha rimodulato gli ospedali
soppressi in strutture assistenziali territoriali alternative al ricovero. Né
va sottovalutato che il processo di trasformazione è proseguito per tutto
l’anno 2011 ed è poi stato formalizzato, con la ridefinizione degli organici,
con la l. reg. Puglia 15 maggio 2012 n. 11, ossia ben dopo la definizione della
gara de qua e dell’emanazione degli atti impugnati in primo
grado.
Sicché, ai fini della responsabilità pre-contrattuale,
non basta predicare nella specie il mero fatto, in sé materialmente vero, della
sopravvenienza della cessazione dei presidi ospedalieri di Minervino Murge e di
Spinazzola in corso di gara.
In disparte che, come ha ammesso in primo grado pure
l’appellante principale, è dovuta intervenire la DGR 306/2011 per riconvertire
detti presidi in altro tipo di strutture, tal provvedimento è stato emanato nel
corso delle valutazioni del seggio di gara sulle offerte. Le relative sedute,
per la complessità dell’oggetto delle prestazioni dedotte in appalto e delle
relative offerte, si sono a loro volta distribuite nell’arco temporale da
febbraio ad agosto 2011, con una media di tre sedute al mese. Rettamente l’ASL
precisa che, per quanto ben a conoscenza di tali vicende di ristrutturazione,
non per ciò solo ha tenuto una condotta colpevole, a fronte d’una sì lunga e
complessa attività valutativa del seggio di gara, regolata secondo giudizi ed
accertamenti di merito tecnico, certo non nella libera disponibilità della
stazione appaltante. Al contrario, detta ASL, una volta chiarite le
implicazioni dell’eventuale aggiudicazione definitiva nel nuovo assetto
organizzativo aziendale, ha provveduto tempestivamente a rimuovere gli atti e
gli effetti della gara stessa, prima, cioè, che la relativa definizione la
impegnasse in modo irreversibile ad un appalto ormai non più conveniente.
8. – In definitiva, solo per questa parte ed in
accoglimento del solo gravame incidentale dell’ASL, la sentenza impugnata va
riformata, mentre l’appello incidentale della LAVIT s. coop. va dichiarato
improcedibile, non essendosi modificato l’assetto impresso da tal sentenza nei
riguardi di tal Società cooperativa. Giusti motivi e la complessa articolazione
della vicenda suggeriscono l’integrale compensazione, tra tutte le parti, delle
spese del presente giudizio.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez.
III), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 9304/2012 RG in epigrafe,
respinge l'appello principale, accoglie l’appello incidentale dell’ASL BT e
dichiara improcedibile quello incidentale della LAVIT s. coop. e per l’effetto,
in parziale riforma della sentenza impugnata, rigetta integralmente il ricorso
proposto in primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 18
giugno 2013, con l'intervento dei sigg. Magistrati:
Giuseppe Romeo, Presidente
Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore
Massimiliano Noccelli, Consigliere
Alessandro Palanza, Consigliere
Pierfrancesco Ungari, Consigliere
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/09/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.)
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