PROCESSO & PROVVEDIMENTO:
la "storica sentenza del Consiglio di Stato
che ha stabilito la non necessarietà
dell'efficacia retroattiva
dell'annullamento giurisdizionale del provvedimento (Cons. St., Sez. VI, sentenza 10 maggio 2011 n. 2755)
La "storica sentenza del Consiglio di Stato che ha stravolto il principio di legalità, inteso come predeterminazione delle norme attinenti il modus procedendi nell’attività, ed i sotto-principi di tipicità dell’azione d’annullamento e di riserva
costituzionale ex art. 113 Cost..
In compenso il sostanzialismo comunitario e la relativa concezione rimediale garantirebbero l'effettività della tutela giurisdizionale... (e non l'eccessiva discrezionalità del Giudice).
A Breve su Foro Amministrativo una mia nota sull'argomento!
Buona lettura.
FF
Massima
1. Ritiene la Sezione che la presente sentenza, relativa all'annullamento di un piano faunistico regionale, debba avere unicamente effetti conformativi del successivo esercizio della funzione pubblica, e non anche i consueti effetti ex tunc di annullamento, demolitori degli effetti degli atti impugnati, né quelli ex nunc.
2. Di regola, in base ai principi fondanti la giustizia amministrativa, l’accoglimento della azione di annullamento comporta l’annullamento con effetti ex tunc del provvedimento risultato illegittimo, con salvezza degli ulteriori provvedimenti della autorità amministrativa, che può anche retroattivamente disporre con un atto avente effetti “ora per allora”.
Tale regola fondamentale è stata affermata ab antiquo et antiquissimo tempore da questo Consiglio (come ineluttabile corollario del principio di effettività della tutela), poiché la misura tipica dello Stato di diritto – come affermatosi con la legge fondamentale del 1889, istitutiva della Quarta Sezione del Consiglio di Stato – non può che essere quella della eliminazione integrale degli effetti dell’atto lesivo per il ricorrente, risultato difforme dal principio di legalità.
3. Tuttavia, quando la sua applicazione risulterebbe incongrua e manifestamente ingiusta, ovvero in contrasto col principio di effettività della tutela giurisdizionale, ad avviso del Collegio la regola dell’annullamento con effetti ex tunc dell’atto impugnato a seconda delle circostanze deve trovare una deroga, o con la limitazione parziale della retroattività degli effetti (Sez. VI, 9 marzo 2011, n. 1488), o con la loro decorrenza ex nunc ovvero escludendo del tutto gli effetti dell'annullamento e disponendo esclusivamente gli effetti conformativi.
4. La legislazione ordinaria non preclude al giudice amministrativo l'esercizio del potere di determinare gli effetti delle proprie sentenze di accoglimento.
Da un lato, la normativa sostanziale e quella processuale non dispongono l'inevitabilità della retroattività degli effetti dell'annullamento di un atto in sede amministrativa o giurisdizionale (cfr. l'art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 e l'art. 34, comma 1, lettera a), del Codice del processo amministrativo).
D'altro lato, dagli articoli 121 e 122 del Codice emerge che la rilevata fondatezza di un ricorso d'annullamento può comportare l'esercizio di un potere valutativo del giudice, sulla determinazione dei concreti effetti della propria pronuncia.
Tale potere valutativo, attribuito per determinare la perduranza o meno degli effetti di un contratto, per le ragioni di seguito esposte, va riconosciuto al giudice amministrativo in termini generali, quando si tratti di determinare la perduranza o meno degli effetti di un provvedimento.
5. Il giudice amministrativo, nel determinare gli effetti delle proprie statuizioni, deve ispirarsi al criterio per cui esse, anche le più innovative, devono produrre conseguenze coerenti con il sistema (e cioè armoniche con i principi generali dell’ordinamento, e in particolare con quello di effettività della tutela) e congruenti (in quanto basate sui medesimi principi generali, da cui possa desumersi in via interpretativa la regula iuris in concreto enunciata).
6. Nel caso di specie (e con riferimento al criterio della coerenza col sistema e col principio di effettività della tutela da attuare nei confronti dell’appellante, vincitrice nel giudizio), si deve tenere conto di due decisive considerazioni:
a) il ricorso di primo grado è stato proposto da una associazione ambientalista, non a tutela della sua specifica sfera giuridica, bensì nella qualità di soggetto legittimato ex lege ad impugnare i provvedimenti di portata generale che in qualsiasi modo abbiano una negativa incidenza sull’ambiente e sulle sue singole componenti, ovvero non lo abbiano adeguatamente tutelato (v. l’art. 18 della legge n. 349 del 1986);
b) il medesimo ricorso di primo grado non ha mirato a far rimuovere in quanto tali gli atti generali impugnati, bensì a farne rilevare l’illegittimità per l’inadeguatezza della tutela prevista dal piano faunistico approvato dalla Regione Puglia, inadeguatezza da considerare in re ipsa per il fatto che non sia stato posto in essere il prescritto procedimento di valutazione ambientale strategica (così mancando le più compiute valutazioni di merito), la cui conclusione avrebbe potuto ragionevolmente indurre l’Autorità regionale ad emanare prescrizioni più restrittive, limitative dei comportamenti potenzialmente incidenti sull’ambiente e su alcune delle sue componenti.
Ove il Collegio annullasse ex tunc ovvero anche ex nunc il piano in ragione della mancata attivazione della VAS, sarebbero travolte tutte le prescrizioni del piano, e ciò sia in contrasto con la pretesa azionata col ricorso di primo grado, sia con la gravissima e paradossale conseguenza di privare il territorio pugliese di qualsiasi regolamentazione e di tutte le prescrizioni di tutela sostanziali contenute nel piano già approvato (retrospettivamente o a decorrere dalla pubblicazione della presente sentenza, nei casi rispettivamente di annullamento ex tunc o ex nunc).
7. Ritiene la Sezione che tali conclusioni paradossali possano essere agevolmente evitate, facendo applicazione dei principi nazionali sulla effettività della tutela giurisdizionale, nonché dei pacifici principi enunciati dalla Corte di Giustizia, e applicabili anche nel sistema nazionale, nei casi di constatata invalidità di un atto di portata generale.
Sentenza per esteso
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE SESTA
ha
pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso numero di registro generale 1846 del 2010, proposto dalla Associazione
italiana per il Wo., in persona del legale rappresentante in carica,
rappresentato e difeso dall'avv. Al.Pe., con domicilio eletto presso il studio
in Roma, via (...);
contro
nei confronti di
L’Associazione
Nazionale Li. (An.), in persona del legale rappresentante in carica,
rappresentato e difeso dagli avvocati An.Ag. e Ni.Fl., con domicilio eletto
presso il signor Ma.Ga. in Roma, via (...);
per la riforma della sentenza
breve del T.A.R. della PUGLIA - Sede di Bari, sez. terza, n. 3137/2009, e per
l’accoglimento del ricorso di primo grado;
Visti
il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti
gli atti di costituzione in giudizio della Regione Puglia e dell’Associazione
Nazionale Li. (An.);
Viste
le memorie difensive;
Visti
tutti gli atti della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 22 marzo 2011 il Consigliere di Stato Fabio
Taormina e uditi per le parti gli avvocati Pe., Vo. e Ag.;
Designati
coestensori della sentenza nella sua integralità il Presidente ed il Relatore;
Ritenuto
e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.
Il consiglio regionale della Puglia ha approvato il “piano faunistico venatorio
regionale 2009 - 2014” ,
con la delibera n. 217 del 21 luglio 2009.
Con
il ricorso n. 1683 del 2009 (proposto al TAR per la Puglia , sede di Bari, e
integrato con motivi aggiunti), l’Associazione Italiana per il Wo. –
legittimata ad impugnare gli atti negativamente incidenti sull’ambiente – ai
sensi dell’art. 18 della legge n. 349 del 1986 – ha impugnato il piano
faunistico venatorio, nonché gli atti intermedi del procedimento, lamentando in
particolare che non è stato attivato il procedimento sulla “valutazione
ambientale strategica”, previsto dalla legislazione statale, e che dunque sono
state disposte inadeguate misure protettive per la fauna, rispetto a quelle che
si sarebbero ragionevolmente disposte, ove fosse stato seguito il prescritto
procedimento.
Con
la sentenza appellata, il TAR ha respinto il ricorso principale, ritenendolo
infondato, ed ha dichiarato inammissibili i motivi aggiunti, poiché rivolti nei
confronti dei piani faunistico - venatori provinciali, approvati con atti
emanati prima della proposizione del ricorso principale.
1.1.
Il TAR ha respinto la censura di incompetenza (secondo cui la delibera doveva
essere emanata dalla giunta in applicazione dell’art. 44 della legge regionale
n. 7 del 2004, di approvazione dello Statuto regionale), richiamando l’art. 9,
comma 13, della legge regionale n. 27 del 1998 (sul “Piano faunistico venatorio
regionale - Programma annuale di intervento”), facendone discendere la
conseguenza che rientra nella competenza del consiglio regionale l’approvazione
del piano venatorio.
1.2.
Il TAR ha inoltre respinto tutte le dedotte censure di eccesso di potere (con
riferimento al mancato esame da parte della giunta del parere della seconda
commissione consiliare permanente, n. 82 del 14 luglio 2009, e del parere del
20 luglio 2009 del Dirigente dell’Ufficio parchi e riserve naturali regionali
sulla “valutazione di incidenza”), poiché in applicazione dell’art. 9, comma 13
della stessa legge regionale n. 27 del 1998 la giunta regionale aveva acquisito
i piani provinciali ed il parere del Comitato tecnico faunistico regionale.
1.3.
Il TAR ha escluso la dedotta violazione dell’art. 42, comma 2, lett. c) dello
Statuto regionale, rilevando che il regolamento di attuazione del piano n. 17
del 30 luglio 2009 è stato legittimamente emanato dal presidente della giunta
regionale (anziché dalla giunta).
1.4.
Il TAR ha respinto la censura (centrale, nella impostazione del ricorso) di
violazione dell’art. 35, comma 2 ter, del d.lgs. n. 4 del 2008 (recante
modifiche del d.lg. n. 152 del 2006), e cioè di mancata preventiva acquisizione
della valutazione ambientale strategica (VAS), di violazione degli artt. 6 e ss.
del d.lgs n. 152 del 2006 e della circolare n. 1 del 2008 dell’Assessorato
all’Ecologia della Regione Puglia, rilevando che:
-
la Regione ha
attivato il procedimento previsto dall’art. 9, comma 13 della legge regionale
n. 27 del 1998, sulla “valutazione di incidenza”;
-
non occorreva altresì l’attivazione del procedimento sulla “valutazione
ambientale strategica”, sia perché si sarebbe rivelata una inutile duplicazione
rispetto alla “valutazione di incidenza”, sia perché le disposizioni regionali
vigenti (anche la legge n. 11 del 2001 in tema di valutazione di impatto
ambientale) disporrebbero regole procedimentali e sugli standard di tutela
compatibili con quanto previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006.
1.5.
In relazione alla censura di difetto parziale - in concreto - anche della
“valutazione di incidenza ambientale” con riferimento ai piani faunistici
venatori delle Provincie di Bari e Foggia (perché sarebbe mancata la seconda
fase della procedura costituente la vera e propria “valutazione di incidenza”),
il TAR ha ritenuto che tale valutazione era meramente eventuale ai sensi
dell’art. 4, comma 4, della legge Regione Puglia n. 11 del 2001, perché doveva
essere effettuata unicamente con riferimento a quei piani che potevano avere
“incidenze significative” sui siti della rete “Natura 2000” (incidenze da non
considerare sussistenti in concreto nei territori di Bari e Foggia).
La
sentenza impugnata ha osservato che la carente motivazione delle “valutazioni
di incidenza” con riferimento ai piani faunistici venatori delle Provincie di
Bari e Foggia (rilevate dalla stessa Regione, avendo questa constatato la
genericità dei medesimi piani provinciali) poteva essere sopperita dalla
complessiva “valutazione di incidenza”, espressa in senso positivo sull’intero
piano faunistico dalla stessa Regione con il parere n. 8884 del 20 luglio 2009.
Inoltre,
quanto ad alcune modalità di formulazione dei piani, il TAR ha rilevato che:
-
ai sensi dell’art. 5, comma 2, del d.P.R. n. 357 del 1997, soltanto le
amministrazioni proponenti sarebbero state tenute ad elaborare uno studio di
valutazione di incidenza, e non anche i singoli istituti a gestione
privatistica, dal momento che questi, essendo inclusi nei piani provinciali,
rientravano nell’ambito della procedura di valutazione prevista per l’intero
piano;
-
l’art. 17 del piano ha legittimamente disciplinato i siti di importanza
comunitaria – (SIC) e le zone di protezione speciale (ZPS), col rinvio ai
“criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relativi
a ZPS e ZCS”, disposti dal Ministero dell’Ambiente con un decreto del 17
ottobre 2007 e dai regolamenti n. 15 del 18 luglio 2008 e n. 28 del 29 dicembre
2008 con cui la Regione
ha recepito il decreto statale.
1.6.
Anche il quinto motivo è stato respinto dal TAR, per il quale la legge n. 157
del 1992 e la legge regionale n. 27 del 1998 non hanno stabilito che dovesse
acquisirsi anche il parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica,
prima dell’approvazione del piano.
1.7.
Quanto al sesto motivo sulla dedotta illegittimità del mancato inserimento nel
piano di una serie di aree nell’ambito delle zone di protezione per le rotte
migratorie (in particolare perché tra le Oasi di protezione da revocare sarebbe
stata inclusa anche l’Oasi di Capo d’Otranto), il TAR ha osservato che la
revoca della stessa Oasi sarebbe stata dovuta unicamente alla diversa
destinazione del territorio interessato, ricompreso nel “Parco Naturale
Regionale Costa d’Otranto - Santa Maria di Leuca e Bosco Tricase” istituito con
la legge regionale n. 30 del 2006 e quindi passato alla gestione dell’Ente
Parco e non più gestito dalla Provincia di Lecce (con misure di conservazione
maggiori e più rigide rispetto a quelle previste per le Oasi di protezione).
Per
analoghe considerazioni, il TAR ha respinto le censure riguardanti il mancato
inserimento nel piano delle aree protette della rotta di Margherita -
Manfredonia nella Provincia di Foggia (risultando esse incluse nel Parco
Nazionale del Gargano, con l’istituzione di SIC e ZPS su tutta l’area
costiera).
1.8.
Il TAR ha inoltre respinto il settimo motivo, constatando che – contrariamente
a quanto dedotto in fatto dalla ricorrente - i dati riportati nei piani
provinciali erano stati aggiornati all’ultima rilevazione ISTAT.
1.9.
Il TAR ha infine respinto le censure sulla illegittimità derivata del
regolamento di attuazione del piano faunistico venatorio n. 17 del 30 luglio
2009, emanato dal Presidente della Giunta regionale, nonché della deliberazione
della giunta del 4 agosto 2009, n. 1433, con cui era stato approvato il
calendario venatorio regionale (annata 2009/2010), ed ha dichiarato
inammissibili i motivi aggiunti proposti contro i piani provinciali, in quanto
emanati prima della proposizione del ricorso principale.
2.
Con l’appello in esame, l‘associazione ambientalista ha censurato la sentenza
del TAR ed ha chiesto che, in sua riforma, sia accolto il ricorso di primo
grado, riproponendo tutte le censure contenute nel ricorso di primo grado e nei
motivi aggiunti.
L’Associazione
Nazionale Li. ha depositato una memoria chiedendo la reiezione del ricorso in
appello, perché infondato.
-
quanto al primo motivo, esso meritava la reiezione, in quanto il piano
faunistico venatorio non apparteneva ad alcuna delle tipologie regolamentari
(pertinenti alla competenza giuntale) individuate dall’art. 44 comma I dello
Statuto regionale della Puglia di cui alla legge regionale n. 7 del 12 maggio
2004;
-
sotto altro profilo, è stato rispettato l’art. 9, comma 13, della legge
regionale della Puglia n. 27 del 1998, poiché la giunta regionale ha provveduto
nel complesso il procedimento di formazione e di approvazione del piano faunistico
venatorio (delibera n. 1045 del 23 giugno 2009);
-
quanto alla seconda doglianza, le procedure valutative erano state avviate
antecedentemente alla entrata in vigore del d.lg. n. 4 del 2008, dovendo così
trovare applicazione le disposizioni regionali vigenti;
-
le Province hanno predisposto le proprie valutazioni di incidenza sui piani
faunistici venatori provinciali secondo le indicazioni di cui alla
deliberazione giuntale n. 304 del 14 marzo 2006 (e sulla base di tali atti il
21 luglio 2009 era stato trasmesso il parere del Dirigente del servizio caccia
e pesca di valutazione di incidenza in cui si rilevava, tra l’altro, che il
piano venatorio, non determinando realizzazione di opere, non produceva
trasformazioni o degrado);
-
il terzo motivo di censura (omessa valutazione della incidenza ambientale da
parte dei piani provinciali delle Province di Bari e Foggia) a tutto concedere,
avrebbe potuto comportare soltanto la parziale caducazione del piano, ma anche
tale limitata conseguenza va esclusa, sia perché le Province citate avevano
escluso che il piano producesse “incidenze significative”, sia perché v’era
stata una complessiva valutazione di incidenza espressa sull’intero piano dalla
Regione Puglia con atto n. 8884 del 20 luglio 2009, di guisa che nessuna
carenza invalidante poteva riscontrarsi;
-
anche la seconda parte del terzo motivo di censura è infondata, in quanto è
stata rispettato l’art. 10, comma V, della legge n. 157 del 1992;
-
il quarto motivo di censura non tiene conto della circostanza che il parere
favorevole sulla valutazione di incidenza ambientale del 20 luglio 2009 faceva
corpo con il piano, ed ivi sono stati riportati i divieti di cui all’art. 5
(punti da A a K) del regolamento regionale n. 28 del 2008 relativo all’esercizio
dell’attività venatoria nelle ZPS;
-
quanto alla quinta censura, nessuna disposizione di legge prescriveva che
dovesse acquisirsi obbligatoriamente il parere dell’INFS per l’approvazione del
piano faunistico venatorio;
-
la sostanza della sesta censura - relativa alla circostanza che l’Oasi di Capo
d’Otranto non era stato individuato dalla Provincia di Lecce quale “zona di
protezione delle rotte migratorie”- obliava la circostanza che ciò era
ascrivibile alla inserzione della predetta area nel parco regionale “Costa
d’Otranto, Santa Maria di Leuca e Bosco di Tricase” ai sensi della legge
regionale n. 30 del 2006, con una ancor più rigida protezione dell’area
rispetto a quella ipotizzata dall’appellante;
-
identica deduzione valeva per le aree (ubicate nella Provincia di Foggia) della
rotta “Margherita - Manfredonia”, incluse nel Parco Nazionale del Gargano;
-
è infondato il settimo motivo di appello, perché nessun difetto di istruttoria
poteva discendere dalla circostanza che il piano impugnato ha recepito le
indicazioni dei singoli piani provinciali (e, peraltro, a motivo della
complessità dell’atto, qualche modesta sfasatura temporale era inevitabile);
-
le rilevazioni Istat relative al territorio agro – silvio - pastorale avevano
costituito la base delle elaborazioni provinciali, mentre la metodologia di
calcolo “per differenza” assunta dalla Provincia di Taranto non aveva prodotto
significativi scostamenti, e comunque, trattandosi di pianificazione complessa,
le modeste inesattezze eventualmente riscontrate non potrebbero produrre
effetto invalidante;
-
anche l’ultima censura dedotta in via derivata, avverso la deliberazione n. 17
del 30 luglio 2009 del presidente della giunta regionale e la deliberazione
della giunta del 4 agosto 2009 n. 1433, con cui era stato approvato il
calendario venatorio regionale per l’annata 2009/2010, andrebbe respinta per
l’infondatezza delle censure proposte avverso gli atti presupposti.
Quanto
ai motivi aggiunti proposti in primo grado avverso i piani venatori provinciali,
la stessa appellante associazione ha rilevato che l’impugnazione è stata
‘tuzioristica’, in quanto l’iter di approvazione del piano faunistico venatorio
si concludeva unicamente con l’adozione di quest’ultimo (peraltro tutte le
censure contenute nei motivi aggiunti erano confluite nell’atto volto ad
avversare il provvedimento conclusivo del procedimento).
L’appellante
ha depositato una memoria di replica, chiedendo che sia dichiarata la tardività
della memoria difensiva depositata dalla Regione Puglia, ed ha ribadito la non
equiparabilità della prescritta Vas alla dichiarazione di incidenza ambientale.
3.
Alla pubblica udienza del 22 marzo 2010 la causa è stata posta in decisione e
la difesa dell’appellante ha prestato il consenso al deposito di una memoria
d’udienza da parte della Regione.
DIRITTO
1.
1. L’appello è fondato e deve essere accolto nei limiti che seguono.
1.2.
Preliminarmente, va rilevata la carenza di interesse dell’appellante a gravare
la statuizione di inammissibilità dei motivi aggiunti di primo grado, proposti
contro i singoli piani provinciali confluiti nel piano faunistico venatorio
regionale.
Infatti,
tali piani provinciali sono privi di effettiva lesività, in quanto atti interni
del procedimento che si è concluso con l'approvazione del piano regionale.
2.
Per il suo carattere preliminare, va esaminata con priorità la censura sulla
dedotta incompetenza del consiglio regionale della Puglia ad approvare il piano
faunistico venatorio per gli anni 2009 - 2014.
Ad
avviso dell’appellante associazione ambientalista, la competenza sarebbe
spettata alla giunta, poiché per l’art. 55 dello Statuto, approvato con la
legge regionale 12 maggio 2004, n. 7, “alla giunta regionale spetta la potestà
regolamentare nella forma dei regolamenti esecutivi, di attuazione,
d'integrazione nonché dei regolamenti delegati”.
Il
TAR ha respinto la censura, ritenendo applicabile l’art. 9, comma 13, della
legge regionale della Puglia 12 agosto 1998, n. 27, per il quale “il piano ha
durata quinquennale; sei mesi prima della scadenza, il consiglio regionale, su
proposta della giunta regionale, previa acquisizione dei piani provinciali e
del parere del Comitato tecnico regionale, approva il piano valevole per il
quinquennio successivo”.
2.1.
Osserva al riguardo il collegio che nell’atto di appello non vi sono specifiche
censure sulla perdurante applicabilità del richiamato art. 9, comma 13, in relazione alla
sopravvenuta entrata in vigore dello statuto del 2004 (e quindi sui rapporti
tra la antecedente legge regionale e il successivo Statuto.
Peraltro,
anche qualora l’atto di appello vada inteso nel senso che lo Statuto
sopravvenuto avrebbe inciso sul regime di competenze determinato dalla
precedente legge regionale n. 27 del 1998, ritiene la Sezione che la relativa
censura vada comunque respinta.
Infatti,
lo Statuto regionale costituisce il parametro di valutazione delle leggi
regionali successive, ma non ha inciso sull’ambito di applicazione delle leggi
regionali emanate in precedenza (in coerenza con lo Statuto approvato con la
legge statale n. 349 del 22 maggio 1971) e sull’articolato assetto delle
competenze della giunta e del consiglio regionale, anche nei loro reciproci
rapporti, determinate dalle normative di settore.
2.2.
Anche le ulteriori articolazioni della prima doglianza non sono fondate.
La
giunta ha infatti espresso le proprie determinazioni nel corso del procedimento
e le ha trasmesse al consiglio: la giunta ha emesso la delibera n. 1347 del 28
luglio 2009 sull’approvazione del Regolamento attuativo n. 17 del 30 luglio
2009 (poi emanato dal presidente della giunta).
Inoltre,
proprio avuto riguardo all’art. 9 della legge regionale n.. 27 del 1998 (il
quale richiama la “proposta della giunta regionale, previa acquisizione dei
piani provinciali e del parere del Comitato tecnico regionale”), va respinta la
doglianza incentrata sulla dedotta carenza istruttoria con riguardo
all’attività della giunta.
La
sua delibera n. 1045 del 23 giugno 2009 ha fatto seguito al parere del Comitato
tecnico faunistico venatorio regionale del 22 maggio 2009, successivo alla
acquisizione dei piani provinciali.
Il
procedimento seguito – sotto tale profilo - ha dunque rispettato la scansione
fissata dalla legge, mentre il parere della commissione consiliare permanente
non poteva che essere espresso in rapporto alle successive determinazioni del
consiglio regionale.
3.
Con il secondo motivo (che ha una rilevanza centrale nel giudizio),
l’appellante lamenta la violazione del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152, per l’omessa acquisizione della valutazione ambientale strategica,
antecedentemente alla approvazione del piano venatorio.
3.1.
Appare utile in via preliminare riassumere quali siano state le contrapposte
tesi sostenute in primo grado e riproposte in appello, nonché la conclusione
cui è giunto il TAR.
Ad
avviso dell’appellante, rilevano:
-
l’art. 6, commi 1 e 2, del testo vigente del citato decreto, per il quale “La
valutazione ambientale strategica riguarda i piani e i programmi che possono
avere impatti significativi sull'ambiente e sul patrimonio culturale. Fatto
salvo quanto disposto al comma 3, viene effettuata una valutazione per tutti i
piani e i programmi: a) che sono elaborati per la valutazione e gestione della
qualità dell'aria ambiente, per i settori agricolo, forestale, della pesca,
energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle
acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o
della destinazione dei suoli, e che definiscono il quadro di riferimento per
l'approvazione, l'autorizzazione, l'area di localizzazione o comunque la realizzazione
dei progetti elencati negli allegati II, III e IV del presente decreto; b) per
i quali, in considerazione dei possibili impatti sulle finalità di
conservazione dei siti designati come zone di protezione speciale per la
conservazione degli uccelli selvatici e quelli classificati come siti di
importanza comunitaria per la protezione degli habitat naturali e della flora e
della fauna selvatica, si ritiene necessaria una valutazione d'incidenza ai
sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre
1997, n. 357, e successive modificazioni”;
-
l’art. 11, comma 5, per il quale “La
VAS costituisce, per i piani e programmi a cui si applicano
le disposizioni del presente decreto, parte integrante del procedimento di
adozione ed approvazione. I provvedimenti amministrativi di approvazione
adottati senza la previa valutazione ambientale strategica, ove prescritta,
sono annullabili per violazione di legge”.
L’appellata
sentenza ha respinto la censura, sulla base dell’art. 35, comma 2 ter, del
d.lgs. n. 152 del 2006 (introdotto dall’art. 1, comma 2, del d. lgs n. 4 del
2008), per il quale “Le procedure di VAS e di VIA avviate precedentemente
all’entrata in vigore del presente decreto sono concluse ai sensi delle norme
vigenti al momento dell’avvio del procedimento”.
Ad
avviso del TAR, nel caso di specie:
-
le procedure, in quanto avviate prima dell’entrata in vigore del d.lgs n. 4 del
2008, risultano disciplinate dalle norme vigenti al momento dell’avvio del
procedimento, come affermato dal citato comma 2 ter;
-
non avrebbe fondamento la censura sulla carenza della preventiva acquisizione
della VAS ai sensi degli artt. 6 e ss. d.lgs. n. 152 del 2006, essendo tali
norme inapplicabili al caso di specie per effetto dell’art. 35 comma 2 ter e
dovendo trovare viceversa applicazione le norme regionali precedentemente
vigenti;
-
non rileverebbe l’asserita violazione della circolare n. 1 del 2008
dell’Assessorato all’Ecologia, poiché essa è meramente interpretativa di una
norma di legge, cui non può evidentemente derogare;
-
le preesistenti leggi della Regione Puglia, vigenti sulla valutazione di
impatto ambientale e sulla “valutazione di incidenza”, risulterebbero
perfettamente compatibili con quanto previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006, pur non
imponendo la ‘valutazione ambientale strategica’, con la conseguente mancata
necessità del procedimento riguardante tale VAS, come previsto dal d.lgs. n.
152 del 2006;
-
l’eventuale assoggettamento del piano faunistico venatorio regionale alla VAS
si rivelerebbe pertanto una inutile duplicazione, in contrasto con il principio
del divieto di aggravamento del procedimento amministrativo di cui all’art. 1
legge n. 241 del 1990.
3.2.
Al riguardo, l’appellante ha dedotto che la reiezione della censura di primo
grado si fonda su un errore interpretativo, poiché l’art. 35, comma 2 ter, del
decreto n. 152 del 2006, introdotto dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 4 del
2008, non poteva trovare applicazione nel caso di specie.
Ad
avviso dell’appellante, la disposizione transitoria in oggetto poteva operare
unicamente laddove vi fossero state disposizioni della legislazione regionale
sullo svolgimento della procedura finalizzata alla valutazione ambientale
strategica, e laddove questa fosse stata effettivamente resa.
Invece,
nella Regione Puglia la legge regionale n. 11 del 12 aprile 2001 (art. 4) nulla
ha previsto in materia di VAS e la stessa circolare regionale n. 1 del 2008,
successiva alla entrata in vigore del decreto legislativo n. 4 del 16 gennaio
2008, farebbe emergere l’illegittimità della lamentata omissione.
L’appellante
ha conseguentemente dedotto che si sarebbero dovuti applicare i primi due commi
del citato art. 35 del decreto n. 152 del 2006, nel testo novellato dal d.lgs.
n. 1 del 2008, per i quali:
“1.
Le regioni, ove necessario, adeguano il proprio ordinamento alle disposizioni
del presente decreto, entro dodici mesi dall'entrata in vigore. In mancanza di
norme vigenti regionali trovano diretta applicazione le norme di cui al
presente decreto”.
“2.
Trascorso il termine di cui al comma 1, trovano diretta applicazione le
disposizioni del presente decreto, ovvero le disposizioni regionali vigenti in
quanto compatibili”.
Sotto
altro profilo, assume l’appellante che le differenze tra vas, via e valutazione
di incidenza sarebbero indubitabili (quanto al procedimento da seguire ed alle
relative essenziali determinazioni), sicché l’affermazione di equipollenza di
cui al terzo capoverso della pag 7 della impugnata decisione non sarebbe
condivisibile.
4.
Osserva la Sezione
che l’esame delle articolate deduzioni dell’appellante presuppone l’excursus
delle modifiche intervenute sul testo originario del d.lg. n. 152 del 2006,
emanato in attuazione della delega contenuta nella legge n. 308 del 2004 e che
ha introdotto nel sistema nazionale la valutazione ambientale strategica (VAS).
4.1.
Infatti, ad un primo esame, la tesi difensiva centrale della Regione Puglia
(sulla non applicabilità, ratione temporis, del d.lgs. n. 152 del 2006 per il
procedimento in esame) potrebbe sembrare corroborata proprio dall’art. 1, comma
2, del d.lgs. n. 4 del 2008, che ha introdotto nel testo originario l’art. 35
(recante “Disposizioni transitorie e finali”), il quale ha previsto che
“1.
Le regioni adeguano il proprio ordinamento alle disposizioni del presente
decreto, entro dodici mesi dall'entrata in vigore. In mancanza di norme vigenti
regionali trovano diretta applicazione le norme di cui al presente decreto”.
“2.
Trascorso il termine di cui al comma 1, trovano diretta applicazione le
disposizioni del presente decreto, ovvero le disposizioni regionali vigenti in
quanto compatibili”.
“2
bis. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano
provvedono alle finalità del presente decreto ai sensi dei relativi statuti”.
“2
- ter. Le procedure di VAS e di VIA avviate precedentemente all'entrata in
vigore del presente decreto sono concluse ai sensi delle norme vigenti al
momento dell'avvio del procedimento”.
Ove
non si tenga conto dello specifico e originario contenuto precettivo delle
disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006, si potrebbe sostenere, al riguardo,
che – similmente a quanto avviene di regola nei rapporti tra le direttive
comunitarie e la legislazione nazionale di recepimento – la legislazione nazionale
in materia di valutazione ambientale strategica, innovata con il richiamato
decreto legislativo n. 4 del 2008, sia entrata in vigore (anche nel territorio
della Regione Puglia) unicamente alla scadenza del termine di dodici mesi,
fissato dal richiamato comma 1 dell’art. 35 per l’adeguamento della normativa
regionale a quella statale.
4.2.
Ad un esame più approfondito, basato sulla peculiarità del susseguirsi della
normativa statale in materia, ritiene però la Sezione che il significato
del riportato art. 35, comma 1, vada individuato tenendo conto delle
disposizioni statali contenute nel decreto legislativo n. 152 del 2006.
4.3.
Per determinare l’evoluzione normativa del settore, anche di quella antecedente
all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 3 del 2008, risulta decisiva -
per la sua chiarezza e la sua sinteticità- la sentenza della Corte
Costituzionale 22 luglio 2009, n. 225, la quale ha osservato che:
-
l’entrata in vigore della seconda parte del d.lgs. n. 152 del 2006, recante tra
l’altro la disciplina della VAS (e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88
del 14 aprile 2006), è stata inizialmente fissata (art. 52) in centoventi
giorni dalla sua pubblicazione;
-
tale termine è stato differito, prima dall'art. 1 septies del decreto - legge
12 maggio 2006, n. 173, alla data del 31 gennaio 2007 e, successivamente,
dall'art. 5, comma 2, del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300, alla data del
31 luglio 2007;
-
il d.lgs. n. 152 del 2006 è stato oggetto di ampie modificazioni da parte del
decreto legislativo 8 novembre 2006, n. 284, le quali non hanno, tuttavia,
riguardato le disposizioni in materia di VAS;
-
l’intera parte seconda del d.lgs. n. 152 del 2006 è stata, invece, abrogata
dall'art. 4, comma 2, del decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4, ed è stata
sostituita dagli artt. 1, comma 2, e 4, comma 3, del medesimo decreto
correttivo, che hanno introdotto, in materia di VAS, una disciplina (v. gli
artt. da 4 a
18 e da 30 a
36, nonché gli allegati da I a V della parte seconda) largamente differente.
Le
disposizioni in materia di VAS contenute nel citato decreto, nella versione
antecedente alla entrata in vigore del d.lgs. n. 4 del 2008 hanno, pertanto,
avuto vigenza dal 31 luglio 2007 al 13 febbraio 2008, data di entrata in vigore
della nuova disciplina introdotta dal decreto legislativo “correttivo” n. 4 del
2008.
4.4.
L’appellata Regione non ha contestato tale ricostruzione – sinteticamente
richiamata a pag 10 del ricorso in appello - e non ha contestato che alla data
del 31 luglio 2007 fosse rimasto in vigore, per quanto riguarda la VAS , il decreto legislativo n.
152 del 2006.
Parimenti,
la Regione
nulla ha dedotto in contrario, avverso il presupposto della tesi sostenuta
nell’atto di appello, secondo cui anche in applicazione dell’art. 7, commi 1 e
2, e dell’art. 6 del decreto legislativo n. 152 del 2006 nel testo novellato
dal d.lgs. n. 4 del 2008, il piano dovesse essere previamente sottoposto a VAS.
Alle
medesime disposizioni statali la Regione Puglia si è per di più inizialmente
adeguata, tanto che la sua circolare n. 1 del 2008, pubblicata il 22 luglio
2008, seppur esplicativa della legge nazionale, ha rilevato che, “nelle more
che si provveda all’adeguamento della normativa regionale al dettato nazionale”
l’autorità preposta alla VAS nella stessa Regione (punto 4 della circolare).
Quanto
al piano faunistico venatorio in esame, però, la Regione sostiene che essa
si sarebbe conformata alle disposizioni vigenti e all’art. 35 – sopra riportato
- del novellato testo del decreto legislativo n. 152 del 2006 (in ultimo, pag
11 della memoria conclusiva depositata in appello).
La
tesi prospettata dall’appellata (che si discosta parzialmente da quanto
ritenuto dalla sentenza dal TAR) è quella per cui:
a)
non era decorso il termine annuale di cui al comma 1 del citato art. 35;
b)
la predisposizione dei piani faunistici venatori provinciali destinati a
confluire nel piano era cominciata prima della entrata in vigore del d.lgs. n.
4 del 2008;
c)
il piano è soggetto soltanto alla ‘valutazione di incidenza ambientale’, ex
art. 5 del d.P.R. n. 357 del 1997;
d)
nella specie, tale ‘valutazione di incidenza’ era stata resa, sicché potrebbe
essere condivisa l’affermazione del TAR, sul rispetto dell’art. 35 del
novellato d.lgs. n. 152 del 2006.
5.
Ritiene la Sezione
che non risultano condivisibili le conclusioni cui è giunta la sentenza gravata,
né le deduzioni difensive della Regione Puglia, e che sono fondate le deduzioni
dell’appellante, sulla necessità di attivare lo specifico procedimento sulla
“valutazione ambientale strategica”.
5.1.
E’ decisivo considerare che:
-
il comma 2 ter dell’art. 35, sopra riportato, ha disposto che le procedure di
VAS avviate prima della entrata in vigore del decreto n. 4 del 2008 andavano
concluse ai sensi delle norme vigenti al momento dell’avvio del procedimento;
-
il decreto legislativo n. 152 del 2006 già nel suo testo originario era entrato
in vigore, a seguito delle relative proroghe, come chiarito dalla Corte
Costituzionale, con la sentenza n. 225 del 2009, sopra richiamata al paragrafo
4.3.
Alla
ricostruzione del quadro normativo operata dalla Corte Costituzionale, ritiene la Sezione che – per quanto
rileva nel giudizio - vada aggiunta una precisazione, per chiarire lo specifico
significato delle “disposizioni transitorie e finali”, disposte con l’art. 35
del d.lgs. n. 152 del 2006 (nel testo introdotto dal d.lgs. n. 4 del 2008):
-
alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 4 del 2008, erano già entrate in
vigore le disposizioni statali sulla VAS, contenute nel decreto legislativo n.
152 del 2006 (come testualmente rilevato dalla Corte Costituzione);
-
le disposizioni sulla VAS, introdotte nel d.lgs. del 2006 in via sostitutiva dal
d.lgs. n. 4 del 2008, hanno introdotto regole ancora più stringenti (sia sul
piano procedimentale che su quello sostanziale);
-
come si evince dall’art. 35 (novellato con lo stesso d.lgs. n. 4 del 2008),
fino alla scadenza del termine di dodici mesi fissato dal suo comma 1,
continuavano ad applicarsi le disposizioni vincolanti ed originarie sulla VAS
di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, ormai entrato in vigore, come rimarcato dalla
Corte Costituzionale (in tal senso va interpretato il comma 1 dell’art. 35);
-
per le procedure regionali sulla VAS, che dovevano essere avviate (in base alla
legge statale) prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 4 del 2008,
continuavano ad applicarsi le medesime disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006.
Ecco
perché gli atti impugnati in primo grado risultano illegittimi: la Regione ha erroneamente
ritenuto che non erano applicabili le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 152
del 2006 sulla VAS (pur legittimamente rilevando la mancata applicabilità delle
più stringenti e sopravvenute disposizioni del d.lgs. n. 4 del 2008), ma in
realtà avrebbe dovuto seguire il procedimento previsto dall’originario d.lgs.
n. 152 del 2006, nel frattempo entrate in vigore.
5.2.
Non è invece condivisibile la tesi della Regione, secondo cui l’intera parte II
del decreto 152 del 2006, come sostituita dal d.lgs. n. 4 del 2008, sarebbe
entrata in vigore soltanto nel 2009 (tenuto conto del termine di adeguamento
annuale concesso alle Regioni), con la conseguente assenza della necessità
della VAS e la sussistenza unicamente dell’obbligo preesistente di effettuare
le valutazioni di incidenza ai sensi del dPR n. 357 del 1997.
Infatti,
come ha rilevato la già richiamata sentenza della Corte Cost. n. 225 del 2009,
la disciplina di cui all’originario testo del decreto legislativo n. 152 del
2006 era entrata in vigore il 31 luglio del 2007 (per poi essere sostituita nel
gennaio 2008 dal più volte citato decreto legislativo n. 4 del 2008).
Inoltre,
non si può affermare che l’espressione “in mancanza di norme vigenti regionali
trovano diretta applicazione le norme di cui al presente decreto” possa essere
intesa nel senso di esonerare la Regione Puglia , in quanto priva di specifica
disciplina sulla VAS, ad omettere per un anno tale procedura valutativa sui
piani e sui programmi, pur se in corso di approvazione.
Al
contrario, proprio il comma 2 ter, avendo consentito che le procedure di VAS
già avviate si concludessero secondo le norme vigenti, all’evidenza ha ribadito
la necessità della medesima procedura, pur diversa da quella introdotta con la
riforma del 2008.
5.3.
Contrariamente a quanto ha rilevato il TAR, ritiene dunque la Sezione che:
a)
la Regione
avrebbe dovuto avviare la procedura VAS relativamente al piano in esame, con
riferimento alla normativa statale entrata in vigore già prima dell’emanazione
del d.lgs. n. 4 del 2008;
b)
il procedimento sulla “valutazione di incidenza” non può essere considerato
“equipollente” (né una duplicazione), tenuto conto della diversità delle regole
procedimentali e sostanziali che caratterizzano tale “valutazione di
incidenza”.
5.4.
Sotto tale ultimo profilo, la
Regione aveva avviato le ‘valutazioni di incidenza’ di cui al
d.P.R. n. 357 del 1997 in
relazione ai singoli piani provinciali destinati a confluire nel piano
regionale (con ciò rifacendosi a quanto disposto dalla legge regionale n. 17
del 2007, nella parte in cui aveva modificato la legge regionale n. 11 del
2001, richiamando all’art. 4, comma 1, e all’art. 6, comma, anche i piani
faunistico - venatori).
Contrariamente
a quanto ha osservato la sentenza gravata, l’effettuazione delle valutazioni di
incidenza non ha reso irrilevanti le disposizioni sulla VAS, che la Regione avrebbe dovuto
doverosamente avviare.
Infatti,
il richiamo contenuto nell’art. 35, comma 2 ter, “alle procedure di VAS avviate
antecedentemente” ha significato che queste potessero proseguire sulla base
della normativa statale preesistente sulla stessa VAS (meno stringente di
quella introdotta dal d.lgs. del 2008), e non anche che le “valutazioni di
incidenza” si sarebbero potute considerare equipollenti a quelle già previste
dal d.lgs. n. 152 del 2006 e da applicare doverosamente.
Sotto
tale aspetto, va sottolineata la diversità della VAS rispetto alla “valutazione
di incidenza” ambientale sottesa ai piani provinciali resa dalla Regione, ai
sensi dell’art. 5 del d.P.R. n. 357 del 1997 (recante il regolamento recante
attuazione della direttiva 92/43/CEE, sulla conservazione degli habitat
naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche).
Infatti,
la “valutazione di incidenza”, già prevista nel sistema antecedente alla
differita entrata in vigore del d.lgs. n. 152 del 2006, ha un rilievo settoriale,
destinato alla particolare protezione di siti di importanza comunitaria (e da
tenere in considerazione anche in sede di VAS, anch’essa divenuta necessaria in
base alla normativa sopravvenuta del 2006).
5.5.
Concludendo sul punto, gli atti impugnati in primo grado, nel ritenere non
necessaria la VAS
prescritta dalla normativa statale del 2006, e nel ritenere sufficienti le
“valutazioni di incidenza”, si è posta in contrasto con le disposizioni statali
emanate nel 2006 nel frattempo entrate in vigore, nonché in contrasto col
principio (enunciato in via ricognitiva dalla Corte Costituzionale con la
sentenza n. 225 del 2009), per il quale, poiché la disciplina della VAS rientra
nella materia della tutela dell'ambiente di competenza dello Stato ai sensi dell'art.
117, secondo comma, lettera s), Cost., la Regione non può ridurre la tutela ambientale, i
cui standard minimi siano stati fissati dalla legge statale.
Va
pertanto accolta la censura di violazione dell’originario art. 4, comma 3, del
d.lgs. n 152 del 2006, con le conseguenze che saranno di seguito esposte.
6.
Un’altra ragione sostanziale comporta l’accoglimento del ricorso in appello,
per le parti concernenti i piani provinciali di Bari e di Foggia.
Essa,
sebbene rubricata in un distinto motivo di gravame (il terzo), appare peraltro
strettamente connessa, sotto il profilo logico, a quella prima esaminata.
Con
la nota n. 8884 del 20 luglio 2009, la Regione Puglia –
Servizio Caccia - ha reso il parere sulla valutazione di incidenza ai sensi del
d.P.R. n. 357 del 1997 e dell’art. 10 della legge regionale n. 27 del 1998.
Per
quanto rileva nel giudizio, l’art. 10 ha previsto:
-
al comma 1, che, “Al fine della pianificazione generale del territorio agro –
silvo - pastorale, le Amministrazioni provinciali predispongono piani
faunistico - venatori articolandoli per comprensori omogenei, comprendenti
altresì programmi di valorizzazione ambientale finalizzati alla riproduzione
naturale nonché all'immissione della fauna selvatica”;
-
al comma 2, che “I piani di cui al comma 1 sono approvati dal consiglio
provinciale su proposta della giunta provinciale, previo parere del Comitato
tecnico provinciale”;
-
al comma 7, che “Nel caso di mancato adempimento da parte delle Amministrazioni
provinciali, la giunta regionale esercita i poteri sostitutivi previsti dalla
legge”.
Risulta
dalla documentazione acquisita che nella nota n. 8884 del 20 luglio 2009 la
stessa Regione ha fatto presente la “non totale aderenza della documentazione
inviata rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente”: constatando che la
valutazione espressa dalle Province di Foggia e Bari si era sostanziata in una
“sintetica scheda della valutazione di incidenza” nella quale esse avevano
affermato che non “era necessario procedere al livello successivo della
valutazione”, in quanto i rispettivi piani 2007/2011 erano strettamente
connessi con la gestione e conservazione del sito e non sussistevano incidenze
significative sui “Siti Natura 2000” .
E’
significativo considerare che le conclusioni cui erano giunte le due Province
(si veda pag 2 del parere n. 8884) erano state specificamente contestate dalla
Regione che, nel proprio parere (dopo avere rilevato il diverso modus
procedendi adottato dalle altre Province), ha fatto presente di avere esposto
la propria contrarietà alle indicazioni pervenute dalle medesime Province e di
avere chiesto loro, inoltre, alcune indicazioni di carattere cartografico.
Tuttavia,
il parere n. 8884 richiamato, pur rilevando che non era stata ricevuta risposta
alcuna dalle due Province di Bari e Foggia, ha ritenuto “ di potere procedere
allo stato degli atti, stante l’urgenza relativa all’approvazione del piano,
essendo lo stesso già adottato in giunta regionale con la deliberazione n. 1045
del 23 giugno 2009 ed avendo ottenuto in data 14 luglio 2009 il parere
favorevole nella seduta del 14 luglio 2009” .
Il
richiamato parere n. 8884 del 20 luglio 2009 ha concluso esprimendo una valutazione
favorevole “ai soli fini della valutazione di incidenza”.
Ad
avviso della appellata Regione, il vizio riscontrato nel parere da essa stessa
reso, con riferimento alla valutazione di incidenza operata dalle Province di
Bari e Foggia, sarebbe “superato” dalla valutazione complessiva di incidenza
favorevole resa nello stesso atto n. 8884.
Il
Collegio, tuttavia, non condivide tale lettura
Valutando
tale carenza sotto il profilo intrinseco, ed isolatamente considerandola,
infatti, il giudizio che si può trarre è che la valutazione di incidenza, nei
termini prescritti dal d.P.R. n. 357 del 1997, art.5, per le Province di Bari e
Foggia sia sostanzialmente mancata.
Le
medesime Province hanno fornito una sintetica scheda e richiamato le
valutazioni espresse in passato per il periodo 2007/2011: esse non hanno così
fornito gli apporti previsti dalla legge regionale, al di la della circostanza
che la scheda trasmessa faceva riferimento al nomen “valutazione di incidenza
ambientale”.
Di
ciò si è resa conto la stessa Regione, come risulta dal tenore letterale del
richiamato parere n. 8884.
Rileva
dunque l’art. 10 della stessa legge regionale n. 27 del 1998, che al settimo
comma ha previsto che “nel caso di mancato adempimento da parte delle
Amministrazioni provinciali, la giunta regionale esercita i poteri sostitutivi
previsti dalla legge”.
Il
potere sostitutivo non risulta essere stato attivato da parte della Regione:
purtuttavia, si è ugualmente proceduto alla valutazione complessiva di
incidenza ed alla approvazione del piano pur nella sostanziale assenza di
valutazione di incidenza ambientale resa da parte delle due Province.
Il
Collegio ben comprende la complessità sottesa all’approvazione di un atto di
pianificazione coinvolgente molteplici e qualificati interessi, nonché le
difficoltà per le amministrazioni di coordinare il tempestivo espletamento da
parte degli Enti destinatari dei singoli adempimenti.
Va
però constatato che il procedimento descritto dalla legge regionale imponeva
senza eccezioni un preciso incombente (l’attivazione dei poteri sostitutivi),
sia nel caso (di residuale verificazione) in cui un’amministrazione provinciale
si fosse limitata ad omettere del tutto l’inoltro della valutazione di
incidenza, sia nel caso in cui l’incombente – secondo il convincimento della
stessa Regione - fosse stato “sostanzialmente” omesso, sebbene fosse stata
inviata una sintetica scheda ad esso facente riferimento.
E
ciò tanto più laddove si consideri che la lacuna sostanziale era stata
tempestivamente rilevata dalla Regione che, infatti, l’aveva legittimamente
contestata alle Province.
La
carenza riscontrata vizia irrimediabilmente la procedura nella parte
riguardante le due Province di Bari e Foggia, senza che sia possibile, come
ipotizzato dalla difesa dell’appellata Regione, che ad essa si supplisca
facendo riferimento alla valutazione complessiva espressa dalla Regione con il
parere n. 8884/2009(che appare mancante degli elementi valutativi riferibili
alle due medesime Province).
7.
Per orientare la successiva attività dell’amministrazione in sede di riedizione
del potere, la Sezione
ritiene necessario di seguito esaminare le ulteriori doglianze, talune di
natura sostanziale, prospettate dall’appellante associazione.
Esse
risultano infondate.
8.
Va respinta la seconda parte della terza censura di primo grado riproposta a p.
25 segg. dell’appello, che si impernia sulla omessa valutazione di incidenza
riferibile alla istituzione di alcune aziende faunistico - venatorie ed
agrituristiche venatorie.
Essa,
quale argomento volto a rimarcare l’assenza di valutazione di incidenza nelle
due province di Bari e Foggia, va dichiarata priva di autonomia e rientrante
nel complesso degli elementi militanti per la fondatezza del motivo di
doglianza prima esaminato.
Essa
invece è infondata, se intesa in via astratta come postulante singole ed
autonome valutazioni di incidenza non rientranti nella valutazione complessiva
svolta in sede provinciale.
Per
l’art. 9 della legge regionale 13 agosto 1998 n. 27, commi 8 e 9, “Il piano
faunistico - venatorio regionale determina i criteri per la individuazione dei
territori da destinare alla costituzione di aziende faunistico - venatorie, di
aziende agro - turistico - venatorie e di centri privati di produzione della
fauna selvatica allo stato naturale. Sulla base della individuazione dei piani
faunistici venatori provinciali, la
Regione istituisce con il piano faunistico venatorio
regionale le oasi di protezione, le zone di ripopolamento e cattura, i centri
pubblici e privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale,
le zone di addestramento cani, nonché gli ATC”.
La
resistente amministrazione ha evidenziato che è stato rispettato l’art. 10,
comma 5, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, per il quale “Il territorio agro
– silvo - pastorale regionale può essere destinato nella percentuale massima globale
del 15 per cento a caccia riservata a gestione privata ai sensi dell'articolo
16, comma 1, e a centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo
stato naturale. Il territorio agro - silvo - pastorale regionale può essere
destinato nella percentuale massima globale del 15 per cento a caccia riservata
a gestione privata ai sensi dell'articolo 16, comma 1, e a centri privati di
riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale”.
Esso
risulta riprodotto nell’art. 9 della legge regionale n. 27 del 1998, (“6. Il
territorio agro - silvo - pastorale regionale può essere destinato, nella
percentuale massima globale del 15 per cento, a caccia riservata a gestione
privata ai sensi dell'art. 17,
a centri privati di riproduzione della fauna selvatica
allo stato naturale ai sensi dell'art. 15 e a zone di addestramento cani ai
sensi dell'art. 18” ).
Ad
avviso del Collegio, il contestato atto regionale ha legittimamente tenuto
conto del medesimo art. 10, comma 5,
in quanto applicabile ratione materiae, sicché ha ben
potuto valutare le aziende faunistico venatorie e le aziende agrituristico
venatorie istituite, rientrando nel plafond del 15 % del territorio agro -
silvio - pastorale destinato alla gestione privata rientravano nella complessa
valutazione di incidenza espletata a livello provinciale (come esattamente
rilevato dal primo giudice, infatti, soltanto i proponenti del piano sono
tenuti ad allegare la valutazione di incidenza e la stessa include gli istituti
a gestione privatistica).
Analoga
indicazione può trarsi dal richiamato art. 9 della legge regionale n. 27 del
1998, laddove, al comma 7, è stabilito unicamente che “il piano faunistico -
venatorio regionale determina i criteri per la individuazione dei territori da
destinare alla costituzione di aziende faunistico-venatorie, di aziende
agro-turistico - venatorie e di centri privati di produzione della fauna
selvatica allo stato naturale”.
9.
Con il quarto motivo, si reitera l’argomento involgente la omissione in cui
sarebbe incorso il piano impugnato, allorché non avrebbe riportato le
indicazioni contenute nella nota n. 8884 del 20 luglio 2009 del Dirigente
dell’Ufficio Parchi, secondo cui l’attività venatoria nelle ZPS della Regione
Puglia doveva essere svolta nel rispetto dei divieti elencati alle pagg. 4 e 5
del parere predetto (elencazione dalla lettera A alla lettera K, a propria
volta mutuata dal Regolamento regionale n. 28 del 22 dicembre 2008, art. 4
comma IV).
Senonché
– come puntualmente osservato dalla difesa regionale - il parere di valutazione
di incidenza n. 8884 del 20 luglio 2009 ha richiamato la elencazione dei divieti
dalla lettera A alla lettera K, contenuta nel regolamento regionale n. 28 del
22 dicembre 2008, art. 4 comma IV.
E
tale valutazione di incidenza, in quanto facente corpo con il piano faunistico
venatorio di cui alla impugnata delibera n. 217 del 2009, consente di affermare
che la circostanza che l’elencazione non sia stata ripetuta nella delibera n.
217 è indifferente e neutra, in quanto contenuta in un atto presupposto,
inscindibilmente legato al piano, e che di esso – quanto alle prescrizioni
contenute- fa parte integrante.
La
mancata ripetizione di tale elencazione nel piano non può essere interpretata
nel senso della obliterazione da parte dell’amministrazione regionale degli
indicati divieti, dal che consegue la reiezione della doglianza.
10.
Il quinto motivo dell’appello (come il quanto motivo di primo grado) invoca
l’art. 7 della legge n. 152 del 1992, per affermare l’illegittimità dell’omessa
acquisizione del parere dell’INFS.
Ritiene
la Sezione
che la censura vada respinta.
A
tale Istituto sono affidati i compiti di (art. 7, comma 3) “censire il
patrimonio ambientale costituito dalla fauna selvatica, di studiarne lo stato,
l'evoluzione ed i rapporti con le altre componenti ambientali, di elaborare
progetti di intervento ricostitutivo o migliorativo sia delle comunità animali
sia degli ambienti al fine della riqualificazione faunistica del territorio
nazionale, di effettuare e di coordinare l'attività di inanellamento a scopo
scientifico sull'intero territorio italiano, di collaborare con gli organismi
stranieri ed in particolare con quelli dei Paesi della Comunità economica
europea aventi analoghi compiti e finalità, di collaborare con le università e
gli altri organismi di ricerca nazionali, di controllare e valutare gli
interventi faunistici operati dalle regioni e dalle province autonome, di
esprimere i pareri tecnico-scientifici richiesti dallo Stato, dalle regioni e
dalle province autonome”.
Il
parere dell’Istituto ai sensi dell’art. 33, comma 2, della legge regionale n.
27 del 1998 è previsto in sede di predisposizione del calendario venatorio (“Il
calendario venatorio regionale, predisposto sulla base delle proposte formulate
dalle Provincie e dal Comitato tecnico faunistico regionale di cui all'art. 5,
è deliberato dalla Giunta regionale, sentiti l'INFS e la Commissione consiliare
permanente competente ed è pubblicato sul BURP”) e per la istituzione delle
aziende faunistico - venatorie ed agrituristiche venatorie.
Né
la legge regionale, né le disposizioni nazionali hanno prescritto il parere
dell’Istituto per la predisposizione del piano faunistico venatorio (v. in
particolare l’art. 18 della legge nazionale 11 febbraio 1992, n. 157).
11.
Quanto al sesto motivo del ricorso in appello (laddove ci si duole della omessa
introduzione del divieto di caccia nell’area di Capo d’Otranto e sulla rotta
Margherita - Manfredonia – aree, queste ultime, connotate da notevole flusso di
rapaci), la doglianza è infondata.
La
censura ha riproposto l’intera gamma degli argomenti critici prospettati in
primo grado, senza considerare che il TAR ha motivatamente respinto tutte le
censure perché infondate, rilevando che sia l’area di Capo d’Otranto che quella
riconducibile alla rotta Margherita - Manfredonia erano state ricomprese in due
parchi naturali (rispettivamente la prima nel “Parco Naturale Regionale Costa
d’Otranto - Santa Maria di Leuca e Bosco Tricase” e la seconda nel Parco
Nazionale del Gargano).
In
entrambi i casi, ha rilevato il TAR che erano state stabilite misure di
conservazione maggiori e più rigide rispetto a quelle previste per le Oasi di
protezione, e che, quanto alle aree protette della rotta di Margherita -
Manfredonia nella Provincia di Foggia, erano stati istituiti SIC e ZPS su tutta
l’area costiera interessata.
La
critica dell’appellante non contesta tali affermazioni (neppure nella parte in
cui fanno espresso riferimento alla esistenza di misure di salvaguardia su
dette aree maggiori di quelle previste dal pregresso piano risalente al 1999 e
maggiori di quelle riservate alle oasi di protezione) e si limita a rilevare
che da detta perimetrazione sarebbero rimaste escluse talune
porzioni
di territorio, senza però fornire specifiche prove né delle incidenza di tale
esclusione né, soprattutto, della incidenza favorevole dell’incontestato
incremento di protezione ascrivibile alla inclusione delle aree predette nei
parchi.
12.
Va anche respinto il settimo motivo del ricorso in appello.
Incontestata
rimanendo anche da parte dell’appellante associazione (pag. 43 dell’appello)
l’affermazione contenuta nell’appellata sentenza che l’amministrazione si era
rifatta a dati forniti dall’Istat, e rilevata l’assenza di prova circa la
circostanza che tali dati non fossero aggiornati (espressamente il contrario è
affermato all’ultimo capoverso di pag. I del piano), essa si fonda su una non
condivisibile interpretazione dell’art. 10, comma 10, della legge n. 157 del
1992 (per la quale “le regioni attuano la pianificazione faunistico-venatoria
mediante il coordinamento dei piani provinciali di cui al comma 7 secondo
criteri dei quali l'Istituto nazionale per la fauna selvatica garantisce la
omogeneità e la congruenza a norma del comma 11, nonché con l'esercizio di poteri
sostitutivi nel caso di mancato adempimento da parte delle province dopo dodici
mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge”).
Il
medesimo art. 10, comma 10, non prescrive affatto, come già in precedenza
rilevato, che dovesse acquisirsi il parere dell’INFS, ma unicamente che
quest’ultimo fosse chiamato a dettare criteri omogenei.
Il
successivo comma 11, infatti, è esplicito nel rilevare che si trattava di
criteri orientativi e aggiornabili, non relativi ad un singolo piano faunistico
venatorio predisposto da una singola Regione (“entro quattro mesi dalla data di
entrata in vigore della presente legge, l'Istituto nazionale per la fauna
selvatica trasmette al Ministro dell'agricoltura e delle foreste e al Ministro
dell'ambiente il primo documento orientativo circa i criteri di omogeneità e
congruenza che orienteranno la pianificazione faunistico - venatoria. I
Ministri, d'intesa, trasmettono alle regioni con proprie osservazioni i criteri
della programmazione, che deve essere basata anche sulla conoscenza delle
risorse e della consistenza faunistica, da conseguirsi anche mediante modalità
omogenee di rilevazione e di censimento”).
Le
ulteriori articolazioni della censura hanno ad oggetto singole modeste
discrasie temporali, non rivestenti portata viziante, avuto riguardo alla
imponenza del territorio regolamentato dal piano di coordinamento impugnato e,
soprattutto, in quanto prive di valenza sostanziale.
Quanto
infine alla circostanza relativa alla lamentata inattualità dei dati forniti
dal Corpo Forestale con riferimento alle superfici percorse dal fuoco, da un
canto risulta che l’amministrazione procedente ha preso atto dei dati oggettivi
alla stessa forniti.
Peraltro,
risulta condivisibile la precisazione del primo giudice secondo cui, “seppur
ulteriori superfici non censite fossero state percorse dal fuoco, dette
superfici sarebbero comunque precluse all’attività venatoria per dieci anni ai
sensi della legge n. 353/2000”.
13.
Per le ragioni che precedono, l’appello va in parte accolto, in ragione delle
rilevate illegittimità del piano faunistico venatorio, approvato con la
delibera n. 217 del 2009.
Quanto
alle conseguenze del disposto accoglimento, ritiene il Collegio di dovere
puntualizzare quanto segue.
14.
Circa la portata conformativa della presente sentenza (che si può senz’altro
precisare, ai sensi dell’art. 34, comma 1, lettera e), prima frase, del Codice
del processo amministrativo), ritiene innanzitutto la Sezione che, in sede di
emanazione degli atti ulteriori, la
Regione debba dare applicazione alle disposizioni nazionali
sulla VAS, contenute nel decreto legislativo n 4 del 2008.
Tali
disposizioni più stringenti potevano non essere applicate nell’originario
procedimento, in quanto la
Regione avrebbe dovuto applicare unicamente le disposizioni
sulla VAS di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006 (come consentito
dall’art. 35, comma 2 ter, introdotto con il d.lgs. n. 4 del 2008).
In
sede di rinnovazione del procedimento, essendo scaduto il termine previsto dal
richiamato art. 35, al comma 1, si deve ritenere applicabile il principio
tempus regit actum.
15.
Inoltre, considerate le circostanze, ritiene la Sezione che la presente
sentenza debba avere unicamente effetti conformativi del successivo esercizio
della funzione pubblica, e non anche i consueti effetti ex tunc di
annullamento, demolitori degli effetti degli atti impugnati, né quelli ex nunc.
15.1.
Di regola, in base ai principi fondanti la giustizia amministrativa,
l’accoglimento della azione di annullamento comporta l’annullamento con effetti
ex tunc del provvedimento risultato illegittimo, con salvezza degli ulteriori
provvedimenti della autorità amministrativa, che può anche retroattivamente
disporre con un atto avente effetti “ora per allora”.
Tale
regola fondamentale è stata affermata ab antiquo et antiquissimo tempore da
questo Consiglio (come ineluttabile corollario del principio di effettività
della tutela), poiché la misura tipica dello Stato di diritto – come
affermatosi con la legge fondamentale del 1889, istitutiva della Quarta Sezione
del Consiglio di Stato – non può che essere quella della eliminazione integrale
degli effetti dell’atto lesivo per il ricorrente, risultato difforme dal
principio di legalità.
15.2.
Tuttavia, quando la sua applicazione risulterebbe incongrua e manifestamente
ingiusta, ovvero in contrasto col principio di effettività della tutela
giurisdizionale, ad avviso del Collegio la regola dell’annullamento con effetti
ex tunc dell’atto impugnato a seconda delle circostanze deve trovare una deroga,
o con la limitazione parziale della retroattività degli effetti (Sez. VI, 9
marzo 2011, n. 1488), o con la loro decorrenza ex nunc ovvero escludendo del
tutto gli effetti dell'annullamento e disponendo esclusivamente gli effetti
conformativi.
La
legislazione ordinaria non preclude al giudice amministrativo l'esercizio del
potere di determinare gli effetti delle proprie sentenze di accoglimento.
Da
un lato, la normativa sostanziale e quella processuale non dispongono
l'inevitabilità della retroattività degli effetti dell'annullamento di un atto
in sede amministrativa o giurisdizionale (cfr. l'art. 21 nonies della legge n.
241 del 1990 e l'art. 34, comma 1, lettera a), del Codice del processo
amministrativo).
D'altro
lato, dagli articoli 121 e 122 del Codice emerge che la rilevata fondatezza di
un ricorso d'annullamento può comportare l'esercizio di un potere valutativo
del giudice, sulla determinazione dei concreti effetti della propria pronuncia.
Tale
potere valutativo, attribuito per determinare la perduranza o meno degli
effetti di un contratto, per le ragioni di seguito esposte, va riconosciuto al
giudice amministrativo in termini generali, quando si tratti di determinare la
perduranza o meno degli effetti di un provvedimento.
16.
Il giudice amministrativo, nel determinare gli effetti delle proprie
statuizioni, deve ispirarsi al criterio per cui esse, anche le più innovative,
devono produrre conseguenze coerenti con il sistema (e cioè armoniche con i
principi generali dell’ordinamento, e in particolare con quello di effettività
della tutela) e congruenti (in quanto basate sui medesimi principi generali, da
cui possa desumersi in via interpretativa la regula iuris in concreto
enunciata).
17.
Nel caso di specie (e con riferimento al criterio della coerenza col sistema e
col principio di effettività della tutela da attuare nei confronti
dell’appellante, vincitrice nel giudizio), si deve tenere conto di due decisive
considerazioni:
a)
il ricorso di primo grado è stato proposto da una associazione ambientalista,
non a tutela della sua specifica sfera giuridica, bensì nella qualità di
soggetto legittimato ex lege ad impugnare i provvedimenti di portata generale
che in qualsiasi modo abbiano una negativa incidenza sull’ambiente e sulle sue
singole componenti, ovvero non lo abbiano adeguatamente tutelato (v. l’art. 18
della legge n. 349 del 1986);
b)
il medesimo ricorso di primo grado non ha mirato a far rimuovere in quanto tali
gli atti generali impugnati, bensì a farne rilevare l’illegittimità per l’inadeguatezza
della tutela prevista dal piano faunistico approvato dalla Regione Puglia,
inadeguatezza da considerare in re ipsa per il fatto che non sia stato posto in
essere il prescritto procedimento di valutazione ambientale strategica (così
mancando le più compiute valutazioni di merito), la cui conclusione avrebbe
potuto ragionevolmente indurre l’Autorità regionale ad emanare prescrizioni più
restrittive, limitative dei comportamenti potenzialmente incidenti
sull’ambiente e su alcune delle sue componenti.
Ove
il Collegio annullasse ex tunc ovvero anche ex nunc il piano in ragione della
mancata attivazione della VAS, sarebbero travolte tutte le prescrizioni del
piano, e ciò sia in contrasto con la pretesa azionata col ricorso di primo
grado, sia con la gravissima e paradossale conseguenza di privare il territorio
pugliese di qualsiasi regolamentazione e di tutte le prescrizioni di tutela
sostanziali contenute nel piano già approvato (retrospettivamente o a decorrere
dalla pubblicazione della presente sentenza, nei casi rispettivamente di
annullamento ex tunc o ex nunc).
In
altri termini, l’annullamento ex tunc e anche quello ex nunc degli atti
impugnati risulterebbero in palese contrasto sia con l’interesse posto a base
dell’impugnazione, sia con le esigenze di tutela prese in considerazione dalla
normativa di settore, e si ritorcerebbe a carico degli interessi pubblici di
cui è portatrice ex lege l’associazione appellante.
18.
Ritiene la Sezione
che tali conclusioni paradossali possano essere agevolmente evitate, facendo
applicazione dei principi nazionali sulla effettività della tutela
giurisdizionale, nonché dei pacifici principi enunciati dalla Corte di
Giustizia, e applicabili anche nel sistema nazionale, nei casi di constatata
invalidità di un atto di portata generale.
18.1.
Quanto al principio di effettività della tutela giurisdizionale, desumibile
dagli articoli 6 e 13 della CEDU, dagli artt. 24, 111 e 113 della Costituzione
e dal Codice del processo amministrativo, si deve ritenere che la funzione primaria
ed essenziale del giudizio è quella di attribuire alla parte che risulti
vittoriosa l’utilità che le compete in base all’ordinamento sostanziale.
La
fondatezza delle censure della associazione appellante – legittimata ad
impugnare gli atti generali comunque viziati e lesivi per l’ambiente - non può
indurre il giudice amministrativo ad emettere statuizioni che vanifichino
l’effettività della tutela o, addirittura, che si pongano in palese contrasto
con le finalità poste a base della iniziativa processuale.
In
applicazione del principio sancito dall’art. 1 del Codice del processo
amministravo (sulla “tutela piena ed effettiva”), il giudice può emettere le
statuizioni che risultino in concreto satisfattive dell’interesse fatto valere
e deve interpretare coerentemente ogni disposizione processuale.
18.2.
Quanto alla rilevanza nel sistema nazionale dei principi europei (anch’essi
richiamati dall’art. 1 del Codice), va premesso che - per l’articolo 264 del
Trattato sul funzionamento della Unione Europea – la Corte di Giustizia, ove lo
reputi necessario, può precisare “gli effetti dell’atto annullato che devono
essere considerati definitivi”.
La
giurisprudenza comunitaria ha da tempo affermato che il principio
dell’efficacia ex tunc dell’annullamento, seppur costituente la regola, non ha
portata assoluta e che la Corte
può dichiarare che l’annullamento di un atto (sia esso parziale o totale) abbia
effetto ex nunc o che, addirittura, l’atto medesimo conservi i propri effetti
sino a che l’istituzione comunitaria modifichi o sostituisca l’atto impugnato
(Corte di Giustizia, 5 giugno 1973, Commissione c. Consiglio, in C - 81/72;
Corte di Giustizia, 25 febbraio 1999, Parlamento c. Consiglio, in C - 164/97 e
165/97).
Tale
potere valutativo prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona era
previsto espressamente nel caso di riscontrata invalidità di un regolamento
comunitario (v. l’art. 231 del Trattato istitutivo della Comunità Europea), ma
era esercitabile – ad avviso della Corte - anche nei casi di impugnazione delle
decisioni (Corte di Giustizia, 12 maggio 1998, Regno Unito c Commissione, in C
- 106/96), delle direttive e di ogni altro atto generale (Corte di Giustizia, 7
luglio 1992, Parlamento c. Consiglio, in C - 295/90; 5 luglio 1995, Parlamento
c Consiglio, in C – 21 - 94).
Tale
giurisprudenza, come sopra segnalato, ha ormai trovato un fondamento testuale
nel secondo comma dell’art. 264 (ex 231) del Trattato di Lisbona sul
funzionamento della Unione Europea, che non contiene più il riferimento
delimitativo alla categoria dei regolamenti (“Se il ricorso è fondato, la Corte di giustizia
dell'Unione europea dichiara nullo e non avvenuto l'atto impugnato. Tuttavia la Corte , ove lo reputi
necessario, precisa gli effetti dell'atto annullato che devono essere
considerati definitivi”).
18.3.
Ciò posto, ritiene la Sezione
che – nel rispetto del principio di congruenza, per il quale la propria
statuizione deve fondarsi quanto meno su regole disciplinanti un caso analogo -
anche il giudice amministrativo nazionale possa differire gli effetti di
annullamento degli atti impugnati, risultati illegittimi, ovvero non disporli
affatto, statuendo solo gli effetti conformativi, volti a far sostituire il
provvedimento risultato illegittimo.
Da
un lato il sopra richiamato principio di effettività della tutela impone di
emettere una sentenza che sia del tutto coerente con le istanze di tutela e di
giustizia.
Dall’altro,
non può disconoscersi che – in una materia quale quella ambientale, per la
quale vi è la competenza concorrente dell’Unione e degli Stati – gli standard
della tutela giurisdizionale non possano essere diversi, a seconda che gli atti
regolatori siano emessi in sede comunitaria o nazionale (e, dunque, che la
controversia vada decisa o meno dal giudice dell’Unione).
Il
giudice nazionale ove occorra può applicare le collaudate regole applicate dal
giudice dell’Unione, spesso basate sul semplice buon senso, così come lo stesso
giudice dell’Unione, nell’esercizio delle sue altissime funzioni, assicura “il
rispetto dei principi generali comuni ai diritti degli Stati membri” (per
l’art. 340 del medesimo Trattato sul funzionamento dell’Unione).
18.4.
Tenuto conto di questo continuo processo di osmosi tra i principi applicabili
dal giudice dell’Unione e quelli desumibili dagli ordinamenti degli Stati
membri, nella fattispecie in esame la Sezione ritiene dunque che sia necessario:
-
non statuire gli effetti di annullamento degli atti impugnati in primo grado e
di disporre unicamente gli effetti conformativi delle statuizioni della presente
sentenza;
-
disporre che i medesimi atti conservino i propri effetti sino a che la Regione Puglia li
modifichi o li sostituisca.
Sarebbe
infatti contrario al buon senso, oltre che in contrasto con l’interesse fatto
valere in giudizio, disporre l’annullamento ex tunc o ex nunc delle misure di
tutela già introdotte, sol perché esse siano risultate insufficienti (non
essendovi, né essendo stata prospettata, una normativa suppletiva di
salvaguardia).
Per
di più, nel caso di specie, lo strumento generale programmatorio e di
regolamentazione è risultato privo di specifici vizi sostanziali (pur se – per
il procedimento seguito – è ragionevole supporre che la mancanza della VAS
abbia inciso sul suo contenuto, per l’assenza di valutazioni degli ulteriori profili
di tutela prescritti dalla normativa di settore).
Inoltre,
la Sezione
ritiene di statuire che la
Regione Puglia proceda alla approvazione dell'ulteriore piano
faunistico venatorio, rilevante fino all'anno 2014, entro il termine di dieci
mesi, decorrente dalla notificazione o dalla comunicazione in via
amministrativa della presente sentenza, nel rispetto delle precedenti
considerazioni e anche esercitando i poteri sostitutivi che le spettano, nei
tempi da essa determinati, nel caso di inadeguata collaborazione di altre
pubbliche amministrazioni.
Qualora
il termine di dieci mesi decorra in assenza di determinazioni regionali, nel
caso di proposizione del giudizio di ottemperanza la Sezione potrà valutare
tutte le circostanze ed esercitare i poteri previsti dal Codice del processo
amministrativo, anche quelli riguardanti le misure dissuasorie della eventuale
inottemperanza.
Resta
comunque inteso che, in attesa della rinnovata emanazione (con effetti di per
sé non retroattivi) del piano faunistico regionale, nel rispetto dei
procedimenti previsti dalle leggi, rimangono ferme tutte le prescrizioni
contenute nella deliberazione n. 217 del 21 luglio 2009 del consiglio regionale
della Puglia, così come resta inteso che la presente sentenza non produce ulteriori
conseguenze, sulla legittimità e sulla efficacia di qualsiasi atto o
provvedimento che sia stato emesso in applicazione o a seguito della medesima
deliberazione, ovvero che sia emesso fino a quando sia approvato il nuovo piano
faunistico venatorio regionale efficace sino all'anno 2014.
20.
Per le ragioni che precedono, l’appello in esame va accolto nei limiti sopra
precisati e con le conseguenze conformative sopra determinate.
In
ragione della reciproca soccombenza, sussistono giusti motivi per compensare
tra le parti le spese dei due gradi del giudizio.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta definitivamente
pronunciando sull'appello n. 1846 del 2010, come in epigrafe proposto, lo
accoglie parzialmente nei termini di cui alla motivazione e, per l’effetto, in
riforma dell’appellata sentenza:
-
accoglie il ricorso di primo grado n. 1683 del 2009 e rileva che la delibera n.
217 del 2009 del Consiglio Regionale della Puglia è stata emanata in assenza
dell’attivazione del procedimento sulla valutazione ambientale strategica,
prescritto dalla legislazione di settore;
-
mantiene fermi, come precisato in motivazione, tutti gli effetti dei
provvedimenti impugnati in primo grado e, in particolare, della medesima
delibera n. 217 del 21 luglio 2009, anche per la verifica della legittimità e
della efficacia degli atti conseguenti;
-
dichiara il dovere della Regione Puglia di procedere alla rinnovata emanazione
– con effetti ex nunc - del piano faunistico venatorio regionale efficace fino
all'anno 2014 e di concludere il relativo procedimento entro il termine di
dieci mesi, decorrente dalla notificazione o dalla comunicazione in via
amministrativa della presente sentenza;
-
compensa tra le parti le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio;
-
dispone che copia della presente sentenza sia comunicata, a cura della
Segreteria, anche al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e
del mare.
Ordina
che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2011 […].
Depositata
in Segreteria il 10 maggio 2011.
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