EDILIZIA:
la pertinenza "ammministrativistica"
e la sua diversità da quella "civilistica"
(T.A.R. LAzio, Roma, Sez. II-bis,
sentenza 10 novembre 2014, n. 11278)
Massima
1. Costituisce ius receptum il principio secondo cui il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime del permesso di costruire.
2. Nel caso di specie, al ricorrente è stata contestata la realizzazione di una tettoia di profondità pari ad un metro che si sviluppa per una lunghezza di metri 4. La descritta consistenza del manufatto è all’evidenza privo di “una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione” determina che l’opera possa essere compresa fra gli “interventi di manutenzione straordinaria, le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso” di cui all’art. 31, lett. b) della L. n. 457/1978 per i quali, a norma del successivo art. 48, co. 1, “la concessione prevista dalla legge 28 gennaio 1977, n. 10, è sostituita da una autorizzazione del sindaco ad eseguire i lavori”.
3. Come, infatti, già chiarito in giurisprudenza “la linea di demarcazione avuta di mira dal legislatore dell'epoca nella individuazione del discrimen tra manutenzione straordinaria e vera e propria ristrutturazione edilizia” è rappresentata dalla rilevazione di “modifiche tali da alterare i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari”: caratteri non rinvenibili nella realizzazione contestata con il provvedimento oggetto del presente giudizio.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha
pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso numero di registro generale 9860 del 1999, proposto da:
Di Maio Andrea, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Gilberto Correani e Daniele De Angelis, con domicilio eletto presso il secondo, in Roma, circonvallazione Trionfale n. 145;
Di Maio Andrea, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Gilberto Correani e Daniele De Angelis, con domicilio eletto presso il secondo, in Roma, circonvallazione Trionfale n. 145;
contro
Comune
di Roma, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso
dall'Avv. Cristina Montanaro presso il quale elegge domicilio, in Roma, via
Tempio di Giove n. 21;
per l'annullamento
della
Relazione tecnica n. 6783 del 15 febbraio 1999;
della
nota del Comando della Polizia Municipale n. n. 4663 del 19 febbraio 1999;
dell’ordine
di sospensione dei lavori n. 419 del 4 marzo 1999;
dell’ordine
di demolizione n. 649 del 9 aprile 1999;
Visti
il ricorso e i relativi allegati;
Visto
l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma;
Viste
le memorie difensive;
Visti
tutti gli atti della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 14 ottobre 2014 il dott. Marco Poppi e uditi
per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto
e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
e DIRITTO
Con
determinazione dirigenziale n. 649 del 9 aprile 1999, l’Amministrazione
comunale di Roma ha ordinato al ricorrente la demolizione di opere realizzate
sul terrazzo della propria abitazione consistenti in una tettoia con struttura
portante in legno e copertura in coppi di materiale plastico e in un manufatto
in muratura posto in essere ad ampliamento del fabbricato preesistente.
Il
ricorrente ha impugnato il citato provvedimento deducendo una pluralità di
profili di illegittimità.
L’Amministrazione
comunale si è costituita in giudizio confutando le avverse doglianze e
chiedendo la reiezione del ricorso.
All’esito
della pubblica udienza del 14 ottobre 2014, la causa veniva decisa.
Il
ricorrente, con un primo ordine di doglianze, contesta che la tettoia in questione
si presti ad essere qualificata come nuova costruzione, soggetta in quanto tale
al previo rilascio di una concessione edilizia, atteso che detto manufatto
consisterebbe in una semplice pensilina posta a protezione degli infissi
dell’abitazione che, in quanto opera priva di autonomia rispetto alla
costruzione principale, rappresenterebbe una mera pertinenza.
La
doglianza è fondata.
E’
noto al collegio l’orientamento giurisprudenziale in base al quale “il
concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più
ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che
non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo
essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica,
assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con
conseguente loro assoggettamento al regime del permesso di costruire (TAR
Campania, Napoli, Sez. II, 15 maggio 2014, n. 2710)
Deve,
tuttavia, rilevarsi che, nel caso di specie, al ricorrente viene contestata la
realizzazione di una tettoia di profondità pari ad un metro che si sviluppa per
una lunghezza di metri 4.
La
descritta consistenza del manufatto, all’evidenza privo di “una funzione
autonoma rispetto ad altra costruzione” determina che l’opera possa essere
compresa fra gli “interventi di manutenzione straordinaria, le opere e le
modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli
edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e
tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole
unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso” di
cui all’art. 31, lett. b) della L. n. 457/1978 per i quali, a norma del
successivo art. 48, comma 1, “la concessione prevista dalla legge 28 gennaio
1977, n. 10, è sostituita da una autorizzazione del sindaco ad eseguire i
lavori”.
Come,
infatti, già chiarito in giurisprudenza “la linea di demarcazione avuta di
mira dal legislatore dell'epoca nella individuazione del discrimen tra
manutenzione straordinaria e vera e propria ristrutturazione edilizia” è
rappresentata dalla rilevazione di “modifiche tali da alterare i volumi e le
superfici delle singole unità immobiliari” (TAR puglia, Lecce, Sez. I, 8
marzo 2006, n. 1426): caratteri non rinvenibili nella realizzazione contestata
con il provvedimento oggetto del presente giudizio.
Con
un secondo ordine di doglianze, formulato con riferimento alla rilevata
abusività del manufatto in muratura, il ricorrente deduce il difetto di
istruttoria e di motivazione evidenziando, sotto un primo profilo, che il
contestato ampliamento del locale adibito a servizi igienici dell’appartamento
al piano, senza creazione di un ulteriore vano, integrerebbe un intervento di
restauro e risanamento conservativo soggetto a DIA che, anche quanto realizzato
in assenza di titolo, non consentirebbe l’adozione della misura ripristinatoria
ma della sola sanzione pecuniaria ex art. 10 della L. n.
47/1985.
In
subordine deduce che la remissione in pristino rappresenterebbe, in ogni caso,
una misura sproporzionata in ragione del tempo trascorso e della non
scorporabilità dell’opera dalla restante parte dell’immobile.
L’Amministrazione,
infine, non avrebbe accertato la pregressa consistenza del fabbricato (né
avrebbe consentito al ricorrente l’accesso ai relativi atti), non avrebbe
individuato il periodo cui risalirebbero i lavori contestati, né avrebbe
considerato che la demolizione del bagno farebbe venir meno i requisiti
igienico sanitari dell’abitazione.
Il
motivo è fondato.
A
tacere del fatto che l’Amministrazione non ha in alcun modo comprovato o
documentato la difformità rilevata né in parte motiva del provvedimento
(redatto in forma estremamente sintetica) né in corso di giudizio mediante
produzioni documentali, deve rilevarsi che il manufatto in ipotesi realizzato
dal ricorrente consisterebbe in un ampliamento del servizio igienico esistente
rientrante, ai sensi dell’art. 31, lett. c) della L. n. 457/1978 fra gli
interventi in relazione ai quali è richiesta la presentazione della D.I.A.. (“c)
interventi di restauro e di risanamento conservativo, quelli rivolti a
conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un
insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici,
formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano destinazioni d'uso
con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il
ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento
degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso,
l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio”)
Chiarito
nei suesposti termini il regime autorizzatorio cui doveva soggiacere
l’intervento in questione, non poteva precedersi all’applicazione della misura
demolitoria trovando applicazione l’art. 10, comma 1, della L. n. 47/1985, a
norma del quale “l'esecuzione di opere in assenza dell'autorizzazione
prevista dalla normativa vigente o in difformità da essa comporta la sanzione pecuniaria
pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile conseguente alla
realizzazione delle opere stesse”.
Con
un terzo e ultimo ordine di doglianze, il ricorrente, una volta accertato che
l’abuso contestatogli non determina il ripristino dello stato dei luoghi ma
potrebbe comportare la sola applicazione di una sanzione pecuniaria, deduce che
questa dovrebbe essere comminata all’effettivo responsabile dell’abuso
individuabile in un precedente proprietario dell’unità abitativa.
Sull’Amministrazione,
pertanto, graverebbe l’obbligo di accertare l’epoca dell’abuso e il soggetto
che dall’intervento ne avrebbe tratto un effettivo beneficio.
La
doglianza, in quanto diretta a neutralizzare gli effetti di un futuro ed
eventuale provvedimento sanzionatorio, è inammissibile poiché non sorretta da
alcun concreto ed attuale interesse.
Per
quanto precede il ricorso deve essere accolto limitatamente alla domanda di
annullamento dell’ordine di demolizione.
La
specificità delle questioni oggetto del giudizio determina la compensazione
delle spese di lite fra le parti.
P.Q.M.
Il
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis),
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo
accoglie nei limiti di cui in motivazione.
Spese
compensate.
Ordina
che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 ottobre 2014 con
l'intervento dei magistrati:
Salvatore
Mezzacapo, Presidente
Elena
Stanizzi, Consigliere
Marco
Poppi, Primo Referendario, Estensore
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA
IN SEGRETERIA
Il
10/11/2014
IL
SEGRETARIO
(Art.
89, co. 3, cod. proc. amm.)
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