AMBIENTE:
il Piano Rifiuti del Lazio è illegittimo:
il TAR Lazio non perdona
(T.A.R. Lazio, Roma, sent. n. 121/13)
La decisione in esame rafforza quanto già sapevamo: il diritto amministrativo "nazionale" non esiste se non come attuazione di un principio di legalità sempre più lato in direzione "comunitaria", specie in materie del tutto delegate all'U.E. come l'ambiente (o la concorrenza). Redigere un ricorso senza "guardare" oltralpe preclude quindi di molto le probabilità d'accoglimento dello stesso, depotenziando le (giuste) pretese dei singoli e non.
Le P.A. spesso se ne dimenticano (o lo ignorano del tutto), e la giustizia amministrativa fa allora il suo corso.
Dal complesso delle norme comunitarie, si
evince l’ordine di priorità che si deve seguire nel trattamento dei rifiuti: -
prevenzione della produzione dei rifiuti; - recupero; - lo smaltimento (come
ultima opzione).
Tra i principi cardine contenuti nella
normativa comunitaria dedicata ai rifiuti, va ricordato quello di
‘programmazione’, da cui si desume che il ciclo integrato dei rifiuti impone,
per la sua complessità, una metodologia di pianificazione rigorosa, al fine di
garantire il raggiungimento degli obiettivi fissati con il consenso più ampio
possibile. Ciò comporta, anzitutto, una descrizione in termini precisi
dell'oggetto dell'attività pianificatoria e degli ambiti ecologici, sociali ed
economici in cui il Piano deve sviluppare la sua influenza.
Accanto al principio di programmazione, si
pongono quelli di ‘prossimità’ (in base al quale, ogni bacino deve gestire,
riciclare, recuperare e smaltire i rifiuti che ha prodotto presso impianti il
più possibile vicini al luogo di produzione) e quello di ‘autosufficienza’ (che
tende a far si che la dotazione impiantistica garantisca, tendenzialmente, la
completa autosufficienza dei bacini, anche al fine di affermare il principio di
responsabilità nella produzione dei rifiuti).
Sentenza per esteso.
INTESTAZIONE
Il
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione
Prima Ter)
ha
pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale
3781 del 2012, proposto da Verdi Ambiente e Società VAS ONLUS, Forum
Ambientalista ONLUS e Angelo Bonelli, Consigliere Regionale Capogruppo della
Federazione dei Verdi, rappresentati e difesi dall'avv. Valentina Stefutti, con
domicilio eletto presso Valentina Stefutti in Roma, viale Aurelio Saffi, 20;
Cointeressati ricorrenti: Provincia di
Latina, rappresentata e difesa dagli avv.ti Carla Vani, Giulio Tatarelli, con
domicilio eletto presso la Segreteria del TAR del Lazio in Roma, via Flaminia,
189;
contro
Regione Lazio, rappresentata e difesa
dall'avv. Teresa Chieppa, domiciliata in Roma, via Marcantonio Colonna, 27;
Presidenza del Consiglio dei Ministri, -
Dipartimento per le Politiche Europee, rappresentata e difesa per legge
dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi,
12;
Provincia di Roma, rappresentata e difesa dall'avv. Giovanna De Maio, con domicilio eletto presso Provincia di Roma in Roma, via IV Novembre, 119/A;
Provincia di Roma, rappresentata e difesa dall'avv. Giovanna De Maio, con domicilio eletto presso Provincia di Roma in Roma, via IV Novembre, 119/A;
Provincia di Latina, rappresentata e
difesa dagli avv.ti Carla Vani, Giulio Tatarelli, con domicilio eletto presso
Tar Lazio Segreteria Tar Lazio in Roma, via Flaminia, 189;
Provincia di Viterbo, Provincia di Rieti e Provincia di Frosinone (non costituite);
Provincia di Viterbo, Provincia di Rieti e Provincia di Frosinone (non costituite);
e
con l'intervento di
ad adiuvandum:
Ass.ne Retuvasa, Rete per la Tutela della Valle del Sacco Onlus, rappresentata e difesa dagli avv.ti Daniela Terracciano e Vittorina Teofilatto, con domicilio eletto presso Vittorina Teofilatto in Roma, via Mirabello,6.
Ass.ne Retuvasa, Rete per la Tutela della Valle del Sacco Onlus, rappresentata e difesa dagli avv.ti Daniela Terracciano e Vittorina Teofilatto, con domicilio eletto presso Vittorina Teofilatto in Roma, via Mirabello,6.
per
l'annullamento, previa adozione di misure cautelari,
del Piano di gestione dei rifiuti del
Lazio approvato con deliberazione del Consiglio regionale del Lazio del 18
gennaio 2012 n. 14 (pubblicata nel supplemento ordinario n. 15 del Bollettino
Ufficiale della Regione Lazio del 14 marzo 2012), ai sensi dell'articolo 7,
comma 1 della legge regionale 9 luglio 1998, n. 27; del relativo Rapporto
ambientale e della Dichiarazione di sintesi (Valutazione Ambientale
Strategica), nonché di ogni atto annesso, connesso, conseguente e presupposto,
compresa anche la deliberazione della Giunta regionale del Lazio del 20.5.2011
n. 244, con la quale é stato adottata e sottoposta all'esame del Consiglio
regionale la proposta della summenzionata deliberazione consiliare.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio
della Regione Lazio, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, della
Provincia di Roma, della Provincia di Latina e dell’Ass.ne Retuvasa, Rete per
la Tutela della Valle del Sacco Onlus;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno
13 dicembre 2012 il dott. Roberto Proietti e uditi per le parti i difensori
come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto
quanto segue.
FATTO
Con delibera del proprio Consiglio
Regionale n.112 del 10 luglio 2002, la Regione Lazio approvò il Piano regionale
di Gestione dei Rifiuti, contenente numerosi profili di criticità, tanto che la
Commissione Europea aprì la procedura di infrazione n. 2002/2284, unitamente
alla procedura che riguarda la discarica di Malagrotta.
In tale occasione, la Commissione Europea
osservò come la Direttiva 75/442/CEE, all'epoca vigente, avesse come obiettivo
quello di assicurare lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti, e quello di
incoraggiare l'adozione di misure tese a limitarne la produzione, promuovendo
tecnologie pulite e prodotti riciclabili e riutilizzabili.
Con lettera del 19 dicembre 2002, la
Commissione richiamò l’attenzione delle Autorità italiane in merito
all'attuazione delle Direttive 75/442/CEE e 91/689/CEE, con particolare
riferimento, rispettivamente, agli artt. 7 n.1 e 6, segnalando come diverse Regioni,
che l'Ordinamento nazionale indica quali ‘Autorità competenti’, non avessero
compilato i Piani di gestione ivi previsti.
Non avendo ricevuto l'insieme dei piani
richiesti, la Commissione, in data 13 luglio 2005, inviò un parere motivato, in
cui evidenziò, tra l’altro, come il Piano di gestione dei rifiuti e dei rifiuti
pericolosi della Regione Lazio non fosse conforme a quanto stabilito
dall'art.7, n.1, quarto trattino, della Direttiva 75/442/CEE, come modificata
dalla Direttiva 91/156/CEE, quanto all'indicazione dei luoghi adatti per lo
smaltimento.
Ne è seguito il deferimento della
Repubblica Italiana, da parte della Commissione, alla Corte di Giustizia che,
con sentenza 14 giugno 2007 (causa C-82/06), ha condannato, ex art. 226 del
Trattato, la Repubblica Italiana ai sensi delle citate norme.
A sostegno della propria decisione, la
Corte ha posto la circostanza che pur avendo la Regione adottato tre piani
differenti (un Piano di gestione dei rifiuti, un piano di interventi di
emergenza ed un piano di individuazione del siti idonei ad ospitare impianti di
termovalorizzazione), i tre documenti non consentivano di individuare i luoghi
o gli impianti adatti allo smaltimento dei rifiuti.
Al dichiarato fine di superare la
procedura di infrazione 2002/2284 e di aggiornare il Piano al mutato quadro
nazionale e comunitario, costituito dal D.lgs. 3 aprile 2006 n.152 e della
Direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE, che aveva nel frattempo sostituito la
Direttiva 06/12/CE (che, a sua volta, aveva abrogato le sopra citate Direttive
del 1995 e del 1991), è stato predisposto il Piano dei Rifiuti oggetto della
Deliberazione consiliare n.14 del 18 gennaio 2012.
Sotto il profilo procedurale, con
deliberazione 19 novembre 2010 n.523, la Giunta Regionale ha adottato lo schema
di Piano Regionale dei Rifiuti, comprensivo del Rapporto Ambientale e della
Sintesi non Tecnica di cui al Titolo II del D.lgs. n.152/06.
Terminate le consultazioni, l'Autorità
competente, con nota prot. 214998 del 18 maggio 2011 ha reso il parere di rito
e la proposta di Piano regionale, unitamente al Rapporto Ambientale della
Valutazione Ambientale Strategica (VAS), è stata approvata con la Delibera del
Consiglio Regionale indicata in epigrafe, ritenendo "inderogabile dover
adottare la proposta di piano regionale dei rifiuti ... al fine di ottemperare
a quanto disposto dalla normativa in materia e dalla sentenza della Corte di
Giustizia 14 giugno 2007, causa C-82/06, allo scopo di evitare l'applicazione
di sanzioni pecuniarie nei confronti dello Stato Italiano che andrebbero a
ricadere sul bilancio regionale".
Ritenendo erronee ed illegittime le
determinazioni assunte dall’Amministrazione regionale, Verdi Ambiente e Società
VAS ONLUS, Forum Ambientalista ONLUS, e Angelo Bonelli, Consigliere Regionale
Capogruppo della Federazione dei Verdi, hanno proposto ricorso dinanzi al TAR
del Lazio, avanzando la domanda di annullamento indicata in epigrafe.
La Provincia di Roma si è costituita
formalmente in giudizio.
Anche la Provincia di Latina si è
costituita in giudizio e, con una articolata memoria corredata da produzione
documentale, ha sostenuto l’illegittimità del Piano dei Rifiuti impugnato.
Tale Amministrazione provinciale ha
rappresentato, in particolare, di aver impugnato la deliberazione del Consiglio
Regionale del 18 gennaio 2012 n.14 (recante l’Approvazione del piano di
Gestione Rifiuti del Lazio ai sensi dell'art.7, comma 1 della Legge Regionale 9
Luglio 1998, n.27) con ricorso proposto dinanzi al TAR del Lazio, Sezione
distaccata di Latina (R.G. n.498/2012) ma che, con decreto n. 429/2012 del
22.06.2012, il giudice adito ha rimesso, ai sensi dell'art. 47 comma 2 del cod.
proc. amm., la causa al TAR Lazio, sede di Roma.
Preso atto che con atto notificato in data
14.05.2012, Verdi Ambiente Società Vas Onlus, Forum Ambientalista ONLUS ed il
Consigliere regionale capogruppo della federazione dei verdi Angelo Bonelli,
avevano impugnato la medesima deliberazione regionale, la Provincia di Latina
si è costituita in tale giudizio, condividendo la domanda di annullamento
indicata in epigrafe.
Nella medesima causa, con atto di
intervento ad adiuvandum depositato il 6.12.2012, Retuvasa Rete per la Tutela
della Valle del Sacco (che ha come scopo statutario quello di tutelare la Valle
del Sacco), ha condiviso le doglianze proposte dalla parte ricorrente,
segnalando che: - anche per la discarica di Colle Fagiolara, in Colleferro, il
Piano impugnato si limita a prevedere il conferimento dei rifiuti in discarica
senza previo trattamento (cfr. pag. 93 del Piano); - nell’approvare il Piano si
è omesso di valutare gli effetti sull’ambiente e di applicare il processo VAS;
- l’ATO di Roma è stato esteso ingiustificatamente e senza previo accordo con i
Comuni e le Province interessati.
L’Amministrazione regionale, costituitasi
in giudizio, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso ed ha affermato
l’infondatezza delle censure proposte dalle parti ricorrenti.
All’udienza del 20 luglio 2012 le parti
ricorrenti hanno rinunciato alle rispettive domande cautelari e le cause sono
state rinviate, per la trattazione del merito, all’udienza pubblica del 13
dicembre 2012.
Con successive memorie le parti hanno
argomentato ulteriormente le rispettive difese.
All’udienza del 13 dicembre 2012 le cause
sono state trattenute dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente, il Collegio respinge
le eccezioni di rito avanzate dall’Amministrazione regionale.
La Regione Lazio ha eccepito, anzitutto,
l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse e difetto di
legittimazione attiva delle Associazioni ambientaliste ricorrenti.
L’eccezione di difetto di legittimazione
attiva è basata sulla circostanza che, per le Associazioni non riconosciute dal
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, non sarebbe
sufficiente, ai fini della legittimazione ad agire in giudizio, affermare che
la figura soggettiva abbia tra i suoi scopi statutari la tutela dell'ambiente.
L’eccezione non può riguardare,
ovviamente, la legittimazione processuale delle Associazioni riconosciute ai
sensi dell'art.13 della legge 8 luglio 1986 n.349 e, quindi, si rivela
infondata perché sia l'Associazione Verdi Ambiente e Società ONLUS, che Forum
Ambientalista ONLUS, rientrano in tale ambito, essendo state riconosciute, la
prima, con DM 29 marzo 1994, e la seconda, con DM 7 giugno 2007, come emerge
anche a pagina 1 del ricorso introduttivo del giudizio.
Sotto il profilo dell’asserita carenza di
interesse ad agire, l’Amministrazione regionale ha rilevato che i ricorrenti
non avrebbero interesse a contestare l’atto impugnato in quanto trattasi di
atto generale di pianificazione (il Piano regionale di rifiuti del Lazio,
appunto) che non provoca lesioni concrete ed effettive alle parti ricorrenti.
Sul punto, di contro, va considerato che
l’atto in contestazione, qualora si rivelassero fondate le censure proposte dai
ricorrenti, risulterebbe, oltre che viziato, dannoso anche per la salute e
l’ambiente e, quindi, pregiudizievole per gli interessi rappresentati dai
soggetti ricorrenti.
2. In via preliminare, il Collegio rileva
anche che la Provincia di Latina ha rappresentato di aver impugnato la
deliberazione del Consiglio Regionale del 18 gennaio 2012 n.14 (recante
l’Approvazione del piano di Gestione Rifiuti del Lazio ai sensi dell'art.7,
comma 1 della Legge Regionale 9 Luglio 1998, n.27) con ricorso proposto dinanzi
al TAR del Lazio, Sezione distaccata di Latina (R.G. n.498/2012).
Con decreto n. 429/2012 del 22.06.2012, il
giudice adito ha rimesso, ai sensi dell'art. 47, comma 2, c.p.a., la causa al
TAR Lazio sede di Roma.
Ora, ai sensi del primo comma del citato
articolo 47 c.p.a., fuori dei casi di cui all’articolo 14 c.p.a., non è
considerata questione di competenza la ripartizione delle controversie tra
Tribunale Amministrativo Regionale con sede nel capoluogo e sezione staccata e,
pertanto, il ricorso avrebbe dovuto proseguire autonomamente dinanzi al TAR
presso il capoluogo di Regione, mentre la Provincia di Latina ha scelto di
costituirsi nella diversa causa proposta con atto notificato in data
14.05.2012, da Verdi Ambiente e Società VAS Onlus ed altri, che hanno impugnato
la medesima deliberazione regionale.
Ne consegue che il Collegio avuto riguardo
all’irritualità del descritto iter processuale seguito, ritiene di dover
esaminare e prendere in considerazione le censure proposte dalla Provincia di
Latina nei limiti in cui coincidono con quelle avanzate dalle parti ricorrenti
della causa RG n. 3781/2012.
3. Sempre in via preliminare, va rilevato
che, con atto di intervento ad adiuvandum depositato il 6.12.2012, Retuvasa
Rete per la Tutela della Valle del Sacco (che ha come scopo statutario quello
di tutelare la Valle del Sacco), ha condiviso le doglianze proposte dalla parte
ricorrente, segnalando che: - anche per la discarica di Colle Fagiolara, in
Colleferro, il Piano impugnato si limita a prevedere il conferimento dei
rifiuti in discarica senza previo trattamento (cfr. pag. 93 del Piano); -
nell’approvare il Piano si è omesso di valutare gli effetti sull’ambiente e di
applicare il processo VAS; - l’ATO di Roma è stato esteso ingiustificatamente e
senza previo accordo con i Comuni e le Province interessati.
Anche le censure prospettate da Retuvasa
vanno prese in considerazione nei limiti in cui coincidono con quelle proposte
dalla parte ricorrente, in quanto l'intervento spiegato ai sensi dell'art. 28,
comma 2, c. proc. amm. è di tipo adesivo dipendente.
Quindi, ai sensi dell'art. 28 comm 2, c.
proc. amm. l'intervento nel processo amministrativo, non essendo di tipo
litisconsortile autonomo ma adesivo dipendente, può essere proposto solo a
sostegno delle ragioni di una o di altra parte (Consiglio di Stato sez. V, 22
marzo 2012, n. 1640).
4. Ciò posto, va rilevato che avverso gli
atti impugnati sono stati proposti i seguenti motivi di ricorso.
I) - Violazione di legge; violazione e/o
falsa applicazione degli artt. 1, par.1, 2 lett. h) e 6 lett. a) della
Direttiva 1999/31/CE e degli artt. 4 e 13 della Direttiva 08/98/CE; violazione
dell'art.7 del D.lgs. 13 gennaio 2003 n.36; travisamento, illogicità, difetto
di presupposto.
Il Piano impugnato, violando la Direttiva
1999/31/CE e l'art. 7, comma 1, del D.lgs. 13 gennaio 2003 n.36, prevede che i
rifiuti vengano collocati in discarica non preventivamente trattati negli
impianti di trattamento meccanico biologico (TMB).
Ciò è già stato censurato dalla
Commissione Europea con nota prot. 2012042381, in data 10 giugno 2012, quanto
alla procedura di infrazione n.2011/4021, ma la Regione Lazio non ha ritenuto
di dover mutare opinione al riguardo.
Sul punto non si può richiamare, come fa l’Amministrazione
regionale, la circolare del Ministero dell'Ambiente prot. GAB-2009-0014963 del
30/06/2009, posto che la stessa ha preceduto i descritti rilievi della
Commissione Europea e, comunque, prevedeva un'opzione del tutto transitoria.
II) - Violazione dell'art. 7, comma 1,
della LR 9 luglio 1998 n.27; omissione di un passaggio procedimentale
obbligatorio.
Il Piano impugnato risulta viziato per
omissione di un passaggio procedimentale obbligatorio, in quanto è stato
approvato in violazione dell'art. 7, comma 1, della LR 9 luglio 1998 n.27
(recante "Disciplina regionale della gestione del rifiuti"), il quale
stabilisce che: "1. Il Consiglio regionale, su proposta della Giunta
regionale e sentito il comitato tecnico-scientifico per l'ambiente previsto
dalla Legge regionale 18 novembre 1991, n. 74, approva il piano regionale di
gestione dei rifiuti ...”.
Nel caso di specie, il Piano è stato
approvato omettendo di acquisire preventivamente il parere obbligatorio del
Comitato tecnico-scientifico per l'ambiente.
III) - Violazione dell'art.28, par. 3,
lett. d), della Direttiva 08/98/CE; violazione degli artt. 11, comma 5, e 199,
comma 3, lett. c), del D.lgs. 3 aprile 2006 n. 152; travisamento e difetto di
istruttoria; illegittimità del Rapporto di VAS in via diretta e derivata.
Con sentenza del 14/06/07, resa
nell’ambito della procedura di infrazione n. 2002/ 2284, Causa C 82/06, la
Corte di Giustizia Europea ha condannato l'Italia per violazione della
Direttiva 75/442/CEE, art. 7, n. 1, quarto trattino, come modificata dalla
Direttiva 91/156/CEE.
Nella caso di specie, è stata ritenuta
fondata la censura relativa alla mancata elaborazione, da parte della Regione
Lazio, di un Piano dei Rifiuti rispettoso delle normative comunitarie, essendo
stato affermato che il piano approvato "non ha un grado di precisione
sufficiente per assicurare la piena efficacia della Direttiva 75/442, come
modificata dalla Direttiva 91/156/CE" e non consente di "individuare
i luoghi o impianti adatti allo smaltimento dei rifiuti, in particolare per
quanto riguarda i rifiuti pericolosi".
La Direttiva 75/442/CEE è stata codificata
e abrogata dalla Direttiva 06/12/CE del 5 aprile 2006, ed il dettato dell'art.
7, n. 1, quarto trattino della Direttiva 75/442/CEE, è ora contenuto nell'art.
7, paragrafo 1, lettera d), Direttiva 2006/12/CE.
Al contempo, come rilevato dalla stessa
Commissione Europea, nella lettera di messa in mora del 16 giugno 2011, nel
Piano di gestione dei Rifiati per il periodo 2011-2017, viene evidenziata dalla
stessa Regione Lazio (cfr. pag. 91) l'insufficienza della capacità
impiantistica dedicata al TMB a livello regionale, inferiore ai quantitativi di
rifiuto indifferenziato prodotto, che pure continua ad essere collocato nelle
discariche laziali, ivi comprese quelle individuate nel Piano.
Pertanto, l’esecuzione del Piano impugnato
determinerebbe l'aggravarsi del contenzioso con la Commissione Europea, con
conseguenze pregiudizievoli facilmente prevedibili a carico dell’Italia.
Inoltre, in contrasto con quanto stabilito
dall'art.28, paragrafo 3, lett. c), della Direttiva 2008/98/CE, e dall’articolo
199 del codice dell’ambiente, il Piano impugnato non tiene conto della chiusura
degli impianti esistenti ed, in particolare, della chiusura della discarica di
Malagrotta, che non è stata presa in considerazione neanche in sede di
Valutazione Ambientale Strategica e nell’ambito del Rapporto ambientale.
IV) - Violazione dell'art. 174 del
Trattato; violazione del principio di precauzione; violazione dell'art. 1,
della legge 7 agosto 1990 n.241.
L'Amministrazione regionale ha delineato
uno scenario che non consente di perseguire gli obiettivi dettati dalla citata
normativa comunitaria, non è rispettoso della gerarchia delineata dall'art. 179
del codice dell’ambiente, non garantisce che tutti i rifiuti conferiti in
discarica siano realmente sottoposti a trattamento e che il conferimento
avvenga mediante rigidi requisiti operativi e tecnici per i rifiuti e le
discariche, finalizzati a stabilire misure, procedure e orientamenti volti a prevenire
o a ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull'ambiente, ed, in
particolare, l’inquinamento delle acque superficiali, delle acque freatiche,
del suolo e dell’atmosfera e sull'ambiente globale, compreso l'effetto serra,
nonché i rischi per la salute umana risultanti dalle discariche di rifiuti.
Il Piano si rivela, altresì, in contrasto
con il principio di precauzione, cristallizzato dall'art.174 del Trattato, che
costituisce uno dei canoni fondamentali del diritto dell'ambiente.
La rilevanza di tale principio generale,
direttamente cogente per tutte le pubbliche amministrazioni, menzionato nel
Trattato proprio in relazione alla politica ambientale, assume valenza non solo
programmatica, ma direttamente imperativa nel quadro degli ordinamenti
nazionali, vincolati ad applicarlo qualora sussistano incertezze riguardo
all'esistenza o alla portata di rischi per l'ambiente.
5. A sostegno delle censure proposte
avverso l’impugnata deliberazione del Consiglio regionale del Lazio del 18
gennaio 2012 n. 14, anche la Provincia di Latina ha contestato il Piano di
gestione dei rifiuti del Lazio, rappresentando che, in base a quanto stabilito
dall'art.199, comma 3, lettera c) del D. Lgs. 152/06, con il Piano regionale di
gestione dei rifiuti devono essere delimitati gli ambiti territoriali ottimali
sul territorio regionale. La delimitazione degli ambiti secondo i criteri ed i
principi di cui agli art. 147 e 200 del D.lgs. n.152, avrebbe dovuto dare
prevalenza ad una valutazione prioritaria degli ambiti provinciali, che però il
Piano regionale ha parzialmente disatteso, senza supportare la scelta operata
da adeguata motivazione.
Infatti, sebbene il Piano fornisca una
fotografia dei territori ed una classificazione di questi ultimi, omette di
corredare la delimitazione operata da un adeguata motivazione, segno di una
inadeguata istruttoria.
In particolare, per quanto concerne
l'ambito ATO Latina (corrispondente al territorio della Provincia di Latina),
risultano ingiustificatamente esclusi 5 Comuni (Gaeta, Catelforte, Spigno
Saturnia, Minturno, Santi Cosma e Damiano) ricadenti nell'ambito territoriale
di ATO Frosinone (cfr. pag.134 del Piano).
L’individuazione delle aree viene
supportata dalle considerazioni sviluppate nel par.9.1 "Suddivisione del
territorio in aree omogenee", attraverso le quali avrebbe dovuto emergere
la motivazione sottesa alla individuazione delle cinque aree e la loro
composizione. Dalla enucleazione di taluni criteri (densità e popolazione
residente) vengono dal Piano individuate fasce omogenee di Comuni inseriti in
cinque ambiti in modo del tutto avulso e non correlato all'intento
pianificatorio del documento, il quale manca l’obiettivo di fondo, ovverosia
quello della fissazione dei principi di una programmazione della gestione
integrata dei rifiuti nel comprensorio laziale, seria e puntuale, improntata al
perseguimento di obiettivi realistici.
Del tutto inidonea si palesa l'analisi del
territorio regionale e non emerge quale dei parametri considerati o dei criteri
che il legislatore ha fissato per la individuazione dell'ambito ritenuto
ottimale, ha indotto ad accludere i citati cinque Comuni della Provincia di
Latina all'interno dell'Ato Frosinone.
Sotto altro profilo, la Provincia di
Latina ha rilevato che, alla nota 21 relativa al paragrafo 7.1.1 del Piano
(rubricato "La normativa regionale e l'individuazione degli ATO rifiuti
nel Lazio") si legge: "21 Con disposizione di legge successiva, ed
entro i tempi previsti, la Regione Lazio provvederà nell'attribuire le funzioni
già esercitate dalle Autorità di cui all'art.202 del decreto legislativo n152
del 2006 a soggetto da definirsi.".
In sostanza, la Regione Lazio, nel dare
attuazione alla prescritta programmazione, ha omesso di provvedere all'adozione
degli atti prodromici ed ineludibili alla programmazione stessa, rimandandone
l'adempimento ad un momento successivo ed indeterminato.
Il Piano risulta contraddittorio ove, da
una parte, afferma la sufficienza dell’attuale impiantistica e, dall’altra,
smentisce tale assunto (cfr. pagg. 218 ss.), ed illegittimo in quanto non tiene
conto del Piano della Provincia di Latina di cui alla deliberazione n. 71 del
30.9.1997 e dei successivi aggiornamenti, e della disciplina concernente la
valutazione di incidenza in relazione all’influenza del Piano su siti della
rete Natura 2000.
La Provincia di Latina ha anche rilevato
che, in relazione alla VAS, non sono indicati: - la procedura seguita e la sua
interazione con il processo di formazione del Piano; - i soggetti competenti
coinvolti; - i settori del pubblico interessati.
Infine, sempre a parere della Provincia di
Latina, nel provvedere alla pianificazione della gestione dei rifiuti, la
Regione Lazio avrebbe violato le procedure di cooperazione ed i meccanismi
concertativi che avrebbe avuto l’obbligo di rispettare a difesa delle istanze
delle autonomie locali destinatarie delle prescrizioni del Piano.
Come sopra precisato al punto sub 2), il
Collegio avuto riguardo ai profili concernenti l’irritualità dell’iter
(descritto al citato punto sub 2) seguito per proseguire dinanzi al TAR del
Lazio con sede in Roma la causa inizialmente proposta dall’Amministrazione provinciale
dinanzi alla Sezione staccata di Latina del medesimo Tribunale, ritiene di
dover prendere in considerazione le censure proposte dalla Provincia di Latina
nei limiti in cui coincidono con quelle avanzate dalle parti ricorrenti della
causa RG n. 3071/2012 e, comunque, attengono a queste ultime.
6. L’Amministrazione regionale resistente
ha prodotto note, memorie e documenti per sostenere la correttezza del proprio
operato e l’infondatezza del ricorso.
La Regione Lazio, sotto il profilo della
procedura finalizzata all’approvazione del Piano di gestione dei rifiuti, ha
rilevato che con D.G.R. del 19 novembre 2010. n. 523, concernente
"Adozione dello schema di Piano regionale di gestione dei rifiuti del
Lazio”, ha provveduto ad adottare lo Schema di Piano di gestione dei rifiuti
comprensivo anche del Rapporto Ambientale e della Sintesi non tecnica, ai sensi
del d.lgs. n. 152/2006.
La citata D.G.R. n. 523/2010, con i
relativi allegati, è stata pubblicata sul Supplemento Ordinario n. 209 al BURL
n. 45 del 7 dicembre 2010.
Tale pubblicazione ha costituito avviso
per l’attivazione delle consultazioni e chiunque, entro il termine di sessanta
giorni dalla pubblicazione dell'avviso, ha potuto prendere visione dello schema
di piano e presentare proprie osservazioni all'autorità procedente (Direzione
regionale Attività Produttive e Rifiuti), e all’autorità competente alla VAS
(Direzione regionale Ambiente), anche fornendo nuovi o ulteriori elementi
conoscitivi e valutativi.
Lo Schema di Piano è stato pubblicato sul
sito www.regione.lazio.it, depositato presso gli uffici dell'autorità
procedente e dell'autorità competente, nonché trasmesso, con nota prot. n.
41687 del 7 dicembre 2010, alle Province per il deposito e l'attivazione delle
consultazioni di competenza (cfr. doc. n. 2 Regione Lazio).
Decorsi i termini per la presentazione
delle osservazioni, l'autorità competente, in collaborazione con l'autorità
procedente, ha svolto le attività tecnico-istruttorie, acquisito e valutato le
osservazioni, obiezioni e suggerimenti pervenuti nell'ambito delle conferenze
tenutesi nei giorni 1, 4 e 6 maggio 2011 (cfr. doc. n. 3 Regione Lazio).
L'autorità competente ha rilasciato il
proprio parere motivato con nota prot. n. 214998 del 18 maggio 2011 (cfr. doc.
n. 4 Regione Lazio).
L'autorità procedente, in collaborazione
con l’autorità competente, ha provveduto alla revisione dello Schema di Piano
tenendo conto delle risultanze del parere motivato.
Alle osservazioni pervenute è stato dato
riscontro nell'ambito del documento "Dichiarazione di sintesi"
pubblicato sul sito web regionale nel periodo intercorrente tra l'adozione del
Piano e la sua approvazione (cfr. doc. n. 5 Regione Lazio).
Con D.G.R. n. 244 del 20 maggio 2011, la
Giunta Regionale ha adottato la "Proposta di deliberazione consiliare
concernente: Approvazione del Piano di gestione dei rifiuti del Lazio ai, sensi
dell’art. 7, comma 1, della L. R. n. 27 del 1998 e s.m.i.'".
Con Deliberazione del Consiglio Regionale
del 18 gennaio 2012 n. 14, pubblicata sul Supplemento Ordinario n. 15 al BURL
del 14 marzo 2012, è stato approvato il Piano di gestione dei rifiuti del
Lazio.
Per quanto concerne lo smaltimento in
discarica dei rifiuti urbani, la Regione Lazio ha richiamato l'art. 7, del
D.Lgs. n. 36/2003, il quale prevede che i rifiuti possono essere collocati in
discarica solo dopo trattamento, a meno che non si tratti di rifiuti inerti il
cui trattamento non è tecnicamente fattibile o non si tratti di rifiuti il cui
trattamento non contribuisce a ridurre il più possibile le ripercussioni
negative sull'ambiente ed i rischi per la salute umana. Nella definizione di
"trattamento" sono ricompresi "i processi fisici, termici,
chimici, o biologici, inclusa la cernita, che modificano le caratteristiche dei
rifiuti allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa e di facilitarne
il trasporto o favorirne il recupero".
Ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. h),
D. Lgs. 36/2003 il trattamento può essere anche finalizzato a favorire lo
smaltimento in condizioni di sicurezza. Il trattamento meccanico biologico, la
bioessiccazione e la digestione anaerobica previa selezione, rappresentano a
tutti gli effetti forme di trattamento, in quanto si tratta di processi
finalizzati sia a modificare le caratteristiche merceologiche e chimico-fisiche
del rifiuto urbano, sia a consentire l'avvio delle frazioni in uscita a
circuiti di valorizzazione.
La tritovagliatura, quale trattamento
fisico finalizzato a ridurre il volume dei rifiuti e a separare alcune frazioni
merceologiche come i metalli è da considerarsi pretrattamento del rifiuto
indifferenziato ai fini dell'assolvimento dell'obbligo di cui all'art. 7, comma
1, D. Lgs. 36/2003, come emerge dalla circolare del Ministero dell'Ambiente
prot. GAB-2009-0014963 del 30.06.2009, con la quale (in vista della definitiva
entrata a regime del D.Lgs. n. 36/2003) sono stati forniti chiarimenti in
ordine allo smaltimento in discarica dei rifiuti urbani, nonché sui criteri
generali di valutazione del rischio ai fini dell'ammissibilità in discarica dei
rifiuti. Secondo la circolare ministeriale, anche la raccolta differenziata
della frazione cosiddetta pericolosa contribuisce a ridurre la natura
pericolosa del rifiuto e, quindi, qualora sia effettuata un'adeguata raccolta
differenziata delle frazioni pericolose del rifiuti urbani (farmaci scaduti,
pile e batterie), nel caso in cui la capacità impiantistica di trattamento
meccanico biologico non sia sufficiente a coprire l'intero fabbisogno, "in
via del tutto provvisoria e nelle more della completa realizzazione dell'impiantistica
di piano i rifiuti urbani possono essere conferiti in discarica previo
trattamento in impianti di tritovagliatura. Tali impianti devono comunque
consentire, ad esito della tritovagliatura, il recupero di alcune frazioni
merceologiche, quali i metalli".
Quanto alle contestazioni mosse dalla
Commissione europea nell'ambito della procedura di infrazione n. 2011/4021
circa le violazioni delle disposizioni di cui alle Direttive 1999/31 e 2008/98
(mancato rispetto della normativa che impone l'obbligo di trattare i rifiuti
prima del loro collocamento in discarica ed insufficienza della rete
impiantistica regionale dedicata al trattamento meccanico biologico)
l’Amministrazione regionale evidenzia che la procedura di infrazione indicata
non ha per oggetto la contestazione del Piano di gestione dei rifiuti ed, anzi,
il Piano mira proprio ad ottemperare alle disposizioni comunitarie che si
assumono essere state violate.
In merito alla contestazione circa la
portata dei due scenari previsti dal Piano, l’Amministrazione regionale ha
rilevato che lo scenario di controllo nasce con l'intento di fornire indirizzi
ai fini degli interventi in caso di mancata realizzazione dello scenario di
Piano e, pertanto, si muove in una logica che già in sé prevede il mancato
raggiungimento degli obbiettivi di RD comunitari, oltre che la mancata
efficacia della politica di riduzione dei rifiuti.
Gli effetti dello scenario di Piano
potranno essere valutati soltanto a seguito del monitoraggio di piano previsto
annualmente.
Il Piano, nel quadro dello scenario di
controllo, evidenzia il deficit impiantistico presente sul territorio
regionale, prevede i criteri di localizzazione per i nuovi impianti, prevede
(circa il trattamento dei rifiuti prima del loro collocamento in discarica), il
fabbisogno impiantistico di impianti di trattamento meccanico biologico che
consentano di pretrattare il complesso dei rifiuti indifferenziati.
Quanto alle unità di tritovagliatura, la
Regione Lazio evidenzia che, a prescindere dal soddisfacimento dei requisiti di
cui all'art. 7 del D.lgs. n. 36/2003, le stesse consentono una riduzione
volumetrica dei rifiuti prima del loro collocamento in discarica oltre che il
recupero di metalli.
In ordine al fatto che, nel Piano, non
sarebbe stata considerata la chiusura della discarica di Malagrotta,
l’Amministrazione regionale ha rilevato che il Piano indica le volumetrie
residue della discarica, il deficit impiantistico con riguardo allo smaltimento
dei rifiuti e disciplina i criteri di localizzazione per i successivi eventuali
impianti di smaltimento, nel rispetto delle competenze attribuite alla Regione
Lazio.
In merito alla presunta violazione
dell'art. 7 della legge regionale n. 27/1998 ed, in particolare, all’asserita
assenza del parere di competenza del Comitato Tecnico Scientifico per
l'Ambiente (CTSA), l’Amministrazione regionale ha osservato che il citato
Comitato (organo tecnico disciplinato dalla legge regionale n. 74 del 1991),
previsto allo scopo di fornire supporto agli organi regionali, è stato chiamato
ad esprimersi prima della adozione della proposta di Piano da parte della
Giunta Regionale, sulla coerenza della bozza di Piano stesso con le Linee Guida
per l'adeguamento del Piano di Gestione dei Rifiuti del Lazio e con il bando di
gara per il servizio di assistenza tecnica ai fini dell'adeguamento del Piano.
La verifica di tale coerenza ha dato esito positivo e si è rinviato per
l'espressione del parere di competenza una volta che il Piano fosse stato
adottato dalla Giunta (cfr. verbale di seduta del CTSA del 9 novembre 2009).
Tale Comitato, però, ha cessato le sue
funzioni in data 29 maggio 2010 (come indicato dall'Area Conservazione Qualità
dell'Ambiente alla Direzione competente in data 14 settembre 2011 nell'ambito
dei procedimenti relativi all'autorizzazione di impianti mobili) e, quindi,
prima dell'adozione del Piano da parte della Giunta Regionale, e non sono stati
nominati i nuovi componenti.
Tuttavia, la Regione Lazio ha evidenziato
che, sotto il profilo tecnico, nell'ambito delle consultazioni di VAS sono
stati invitati ad esprimere il loro parere a riguardo i soggetti competenti in
materia ambientale, tra cui anche l'ARPA Lazio.
7. Al fine di affrontare l’esame delle
censure proposte dalle parti ricorrenti, è opportuno richiamare, seppure
sinteticamente, le fonti che costituiscono il quadro di riferimento della
principale normativa comunitaria e nazionale applicabile alla fattispecie
oggetto di causa.
La Comunità europea ha, nel corso del
tempo, evidenziato la necessità di programmare le politiche e gli interventi in
materia, adottando una specifica disciplina in tema di rifiuti: direttiva
75/442/Cee, modificata e integrata dalla direttiva 91/156/Cee; direttiva
91/689/Cee sui rifiuti pericolosi; direttiva 94/62/Ce sugli imballaggi e i
rifiuti di imballaggi; direttiva 99/31/Ce relativa alle discariche.
Per razionalizzare le disposizioni
succedutesi nel corso del tempo è stata adottata la direttiva 2006/12/Ce, che
ha sostituito la direttiva quadro precedente, riproducendone, sostanzialmente,
i contenuti e, poi, la Dir. 19-11-2008 n. 2008/98/CE (Direttiva del Parlamento
Europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive).
Dal complesso delle norme comunitarie, si
evince l’ordine di priorità che si deve seguire nel trattamento dei rifiuti: -
prevenzione della produzione dei rifiuti; - recupero; - lo smaltimento (come
ultima opzione).
Tra i principi cardine contenuti nella
normativa comunitaria dedicata ai rifiuti, va ricordato quello di
‘programmazione’, da cui si desume che il ciclo integrato dei rifiuti impone,
per la sua complessità, una metodologia di pianificazione rigorosa, al fine di
garantire il raggiungimento degli obiettivi fissati con il consenso più ampio
possibile. Ciò comporta, anzitutto, una descrizione in termini precisi
dell'oggetto dell'attività pianificatoria e degli ambiti ecologici, sociali ed
economici in cui il Piano deve sviluppare la sua influenza.
Accanto al principio di programmazione, si
pongono quelli di ‘prossimità’ (in base al quale, ogni bacino deve gestire,
riciclare, recuperare e smaltire i rifiuti che ha prodotto presso impianti il
più possibile vicini al luogo di produzione) e quello di ‘autosufficienza’ (che
tende a far si che la dotazione impiantistica garantisca, tendenzialmente, la
completa autosufficienza dei bacini, anche al fine di affermare il principio di
responsabilità nella produzione dei rifiuti).
A livello nazionale, per quel che
interessa in questa sede, va rilevato che la disciplina generale in tema di
rifiuti è contenuta nel D.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, il quale, nella Parte IV,
contiene disposizioni in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti
inquinati, recando nel Titolo I (Gestione dei rifiuti), tra le altre,
disposizioni generali (cfr. Capo I: artt. 177 - 194), norme in tema di
competenze (cfr. Capo II: artt. 195 – 198) e la disciplina del Servizio di
gestione integrata dei rifiuti (cfr. Capo III: artt. 199 – 207) recante regole
inerenti specificatamente il Piano di gestione dei rifiuti regionale.
Per ciò che interessa in questa sede, va,
altresì, citato il D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, recante norme di attuazione
della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti.
A livello regionale, poi, la legge della
Regione Lazio del 9.7.1998 n. 27 , contiene la disciplina regionale della
gestione dei rifiuti.
Ciò posto, va rilevato che il Piano
impugnato nasce al dichiarato scopo di uniformare e razionalizzare la
programmazione che si è susseguita nel tempo, di rispondere a quanto richiesto
dalla Comunità Europea (di cui si dirà al punto che segue) e di adeguarsi al
mutato quadro normativo nazionale definito dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e
dalla Direttiva Europea sui rifiuti 2008/98/CE.
Con specifico riferimento ai Piani di
gestione dei rifiuti, va ricordato che, ai sensi dell'art. 199, D.Lgs. n.
152/2006, cosi come modificato dal D.Lgs. n. 205/2010, i piani regionali di
gestione dei rifiuti comprendono l'analisi della gestione dei rifiuti esistenti
nell'ambito geografico interessato, le misure da adottare per migliorare
l'efficacia ambientale delle diverse operazioni di gestione dei rifiuti, nonché
una valutazione del modo in cui i piani contribuiscono all'attuazione degli
obiettivi e delle disposizioni della parte quarta del decreto legislativo n.
152/2006.
Ai sensi di quanto stabilito dall’art. 199
del codice dell’ambiente, i piani di gestione dei rifiuti devono
obbligatoriamente prevedere: a) tipo, quantità e fonte dei prodotti all'interno
del territorio, suddivisi per ambito territoriale ottimale per quanto riguarda
i rifiuti urbani, rifiuti che saranno prevedibilmente spediti da o verso il
territorio nazionale e valutazione dell'evoluzione futura dei .flussi di
rifiuti, nonché la fissazione degli obiettivi di raccolta differenziata da
raggiungere a livello regionale, fermo restando quanto disposto dall'articolo
205; b) i sistemi di raccolta dei rifiuti e gli impianti di smaltimento e
recupero esistenti, inclusi eventuali sistemi speciali per oli usati, rifiuti
pericolosi o flussi di rifiuti disciplinati da una normativa comunitaria
specifica; c) una valutazione della necessita di nuovi sistemi di raccolta,
della chiusura degli impianti esistenti per i rifiuti, di ulteriori
infrastrutture per gli impianti per i rifiuti in conformità del principio di
autosufficienza e prossimità di cui agli articoli 181, 182 e 182-bis e, se
necessario, degli investimenti correlati; d) informazioni sui criteri di
riferimento per l'individuazione dei siti e la capacità dei futuri impianti di
smaltimento o dei grandi impianti di recupero, se necessario; e) politiche
generali di gestione dei rifiuti, incluse tecnologie e metodi di gestione
pianificata dei rifiuti, o altre politiche per i rifiuti che pongono problemi particolari
di gestione; f) la delimitazione di ogni singolo ambito territoriale ottimale
sul territorio regionale, nel rispetto delle linee guida di cui all'articolo
195, comma 1, lettera m), d.lgs. n. 152/2006; g) il complesso delle attività e
dei fabbisogni degli impianti necessari a garantire la gestione dei rifiuti
urbani secondo criteri di trasparenza, efficacia, efficienza, economicità e
autosufficienza della gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all'interno di
ciascuno degli ambiti territoriali ottimali di cui all'articolo 200 del d.lgs.
n. 152/2006, nonché ad assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti
speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al fine di favorire la
riduzione della movimentazione di rifiuti; h) la promozione della gestione dei
rifiuti per ambiti territoriali ottimali, attraverso strumenti quali una
adeguata disciplina delle incentivazioni, prevedendo per gli ambiti più
meritevoli, tenuto conto delle risorse disponibili a legislazione vigente, una
maggiorazione di contributi; a tal fine, le regioni possono costituire nei
propri bilanci un apposito fondo; i) la stima dei costi delle operazioni di
recupero e di smaltimento dei rifiuti urbani; l) i criteri per
l'individuazione, da parte delle province, delle aree non idonee alla
localizzazione degli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti nonché per
l'individuazione dei luoghi o impianti adatti allo smaltimento del rifiuti, nel
rispetto del criteri generale di cui all'articolo 195, comma 1, lettera p),
d.lgs. n. 152/2006; m) le iniziative volte a favorire, il riutilizzo, il
riciclaggio ed il recupero dai rifiuti di materiale ed energia, ivi incluso il
recupero e lo smaltimento dei rifiuti che ne derivino; n) le misure atte a
promuovere la regionalizzazione della raccolta, della cernita e dello
smaltimento dei rifiuti urbani; o) la determinazione, nel rispetto delle norme
tecniche di cui all'articolo 195, comma 2, lettera a), d.lgs. n. 152/2006, di
disposizioni speciali per specifiche tipologie di rifiuto; p) le prescrizioni
in materia di prevenzione e gestione degli imballaggi e rifiuti di imballaggio
di cui all'articolo 225, comma 6, d.lgs. n. 152/2006; q) il programma per la
riduzione dei rifiuti biodegradabili da collocare in discarica di cui
all'articolo 5 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36; r) un programma
di prevenzione della produzione dei rifiuti, elaborato sulla base del programma
nazionale di prevenzione dei rifiuti di cui all’art. 180, che descriva le
misure di prevenzione esistenti e fissi ulteriori misure adeguate. Il programma
fissa anche gli obiettivi di prevenzione. Le misure e gli obiettivi sono
finalizzati a dissociare la crescita economica dagli impatti ambientali
connessi alla produzione dei rifiuti. Il programma deve contenere specifici
parametri qualitativi e quantitativi per le misure di prevenzione al fine di
monitorare e valutare i progressi realizzati, anche mediante la fissazione di
indicatori.
Costituiscono parte integrante del piano
regionale i piani per la bonifica delle aree inquinate.
Rappresentano oggetto di specifica
attività di pianificazione, le fasi della gestione dei rifiuti che riguardano
la produzione e la raccolta dei rifiuti urbani, il trattamento meccanico
biologico dei rifiuti urbani indifferenziati, nonché lo smaltimento dei rifiuti
urbani non pericolosi e dei rifiuti derivanti dal loro trattamento.
Con riferimento alle discariche ove
vengono conferiti gli scarti da trattamento meccanico-biologico e da
termovalorizzazione, il Piano descrive la situazione della produzione di
rifiuti ed il relativo fabbisogno di impianti.
Per completezza, quanto allo smaltimento
in discarica dei rifiuti urbani, va ricordato che l'art. 7, D.Lgs. n. 36/2003,
prevede che i rifiuti possono essere collocati in discarica solo dopo trattamento,
a meno che non si tratti di rifiuti inerti il cui trattamento non è
tecnicamente fattibile o non si tratti di rifiuti il cui trattamento non
contribuisce a ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull'ambiente
ed i rischi per la salute umana, non risultando, pertanto, indispensabile ai
fini del rispetto dei limiti fissati dalla normativa vigente.
8. Prima di esaminare i motivi di ricorso
proposti dalle parti ricorrenti è anche opportuno ricordare gli antefatti che
hanno preceduto l’approvazione dell’impugnato Piano dei rifiuti della Regione
Lazio.
Con delibera del Consiglio della Regione
Lazio n.112 del 10 luglio 2002 fu approvato il Piano di Gestione dei Rifiuti
della Regione Lazio, che ha dato luogo all’apertura da parte della Commissione
Europea della procedura di infrazione 2002/2284, unitamente alla procedura che
riguarda la discarica di Malagrotta.
In particolare, la Commissione Europea,
con lettera 19 dicembre 2002, richiamò l’attenzione delle Autorità italiane in
merito all'attuazione delle Direttive 75/442/CEE e 91/689/CEE, con particolare
riferimento agli artt. 7 n.1 e 6, segnalando come diverse Regioni non avessero
redatto i Piani di gestione ivi previsti.
Ne seguì, in data 13 luglio 2005, un
parere motivato, in cui la Commissione evidenziò, tra l’altro, come il Piano di
gestione dei rifiuti e dei rifiuti pericolosi della Regione Lazio non fosse
conforme a quanto stabilito dall'art.7, n.1, quarto trattino, della Direttiva
75/ 442/ CEE, come modificata dalla Direttiva 91/156/CEE, quanto
all'indicazione dei luoghi adatti per lo smaltimento.
Quindi, la Corte di Giustizia CE, con
sentenza 14 giugno 2007 (causa C-82/06), ha condannato la Repubblica Italiana,
ex art. 226 del Trattato, ai sensi delle citate norme evidenziando, tra
l’altro, la circostanza che pur avendo la Regione adottato tre piani differenti
(un Piano di gestione del rifiuti, un piano di interventi di emergenza ed un
piano di individuazione del siti idonei ad ospitare impianti di
termovalorizzazione), i tre documenti non consentivano di individuare i luoghi
o gli impianti adatti allo smaltimento dei rifiuti.
Va anche ricordato che, con DPCM 22 luglio
2011, il Presidente del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell'art.5, comma 1,
della legge 24 febbraio 1992 n.225, ha decretato - fino al 31 dicembre 2012 e
per quanto concerne la Provincia di Roma -, lo stato di emergenza in relazione
alla prevista chiusura della discarica di Malagrotta ed alla conseguente
necessità di realizzare un sito alternativo per lo smaltimento dei rifiuti.
Proprio per quanto riguarda la discarica
di Malagrotta, il cui esercizio è stato prorogato, la Commissione Europea, con
Atto di costituzione in mora C(2011) 4113 del 16 giugno 2011, ha aperto la
procedura di infrazione n.4021 nei confronti della Repubblica Italiana,
nell'ambito della quale ha osservato come, quanto a Malagrotta, fossero state
violate le disposizioni di cui agli artt. 6 lett. a) della Direttiva 99/31/CE e
4 e 13 della Direttiva 2008/98/CE, atteso che nel 2011, "viene ancora
collocato nella discarica di Malagrotta un certo quantitativo di rifiuti urbani
non sottoposti a previo trattamento".
Al dichiarato fine di superare la
procedura di infrazione 2002/2284 e di aggiornare il Piano al mutato quadro
nazionale e comunitario, costituito dal D.lgs. 3 aprile 2006 n.152 e della
Direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE, che aveva nel frattempo sostituito la
Direttiva 06/12/CE (che, a sua volta, aveva abrogato le sopra citate Direttive
del 1995 e del 1991), è stato predisposto il Piano dei Rifiuti oggetto della
DGR Lazio 18 gennaio 2012.
In questo quadro, quindi, è stato varato
il Piano Rifiuti della Regione Lazio relativo al periodo 2011-2017.
9. Il Collegio, ritiene che il ricorso sia
fondato e debba essere accolto per le ragioni di seguito esposte.
9.1. Come rilevato al punto che precede,
nella lettera di messa in mora del 16 giugno 2011, la Commissione Europea ha
svolto una serie di contestazioni afferenti, anzitutto, la violazione dell’art.
1, par.1, e degli artt. 2 lett. h) e 6 lett. a) della Direttiva 1999/31/CE,
evidenziando che nella Regione Lazio i rifiuti sono collocati in discarica non
preventivamente trattati negli impianti di trattamento meccanico biologico
(TMB), contrariamente a quanto previsto dal citato articolo 1, il quale
stabilisce che lo scopo della normativa comunitaria è quello di prevedere,
mediante rigidi requisiti operativi e tecnici per i rifiuti e le discariche,
misure, procedure e orientamenti volti a prevenire o a ridurre il più possibile
le ripercussioni negative sull'ambiente, ed, in particolare, l’inquinamento
delle acque superficiali, delle acque freatiche, del suolo e dell'atmosfera e
sull'ambiente globale, compreso l'effetto serra, nonché i rischi per la salute
umana risultanti dalle discariche di rifiuti, durante l'intero ciclo della vita
della discarica, al fine di adempiere alle disposizioni della Direttiva 75/
442/CEE, ed in particolare degli artt. 3 e 4, oggi trasfusi negli artt. 4 e 13
della Direttiva 08/98/CE.
Al riguardo, oltre a quanto sopra
ricordato, va considerato che con nota prot. 2012042381 del 10 giugno 2012,
quanto alla procedura di infrazione n.2011/4021, la Commissione Europea ha
inviato un parere motivato rivolto alla Repubblica Italiana, ai sensi
dell'art.258 TFUE (ex art.226 TCE) – che, per quanto interessa in questa sede,
menziona il Piano Rifiuti della Regione Lazio alle pagine 5 e 6, in relazione
alle problematiche afferenti il deficit di trattamento e la non adeguatezza
delle soluzioni adottate -, con il quale ha integralmente confermato quanto già
dettagliatamente espresso nella citata lettera di messa in mora, affermando che
nel Piano impugnato si registra la violazione degli artt. 1 par.1, 2 lett.h) e
6 lett. a) della Direttiva 1999/31/CE.
La Commissione Europea ha confermato, in
particolare, che il cd. scenario di controllo, previsto dal Piano Rifiuti,
disegna un quadro non corrispondente a quanto richiesto dalle citate Direttive
comunitarie.
Sul punto, va considerato che l'art. 7,
comma 1, del D.lgs. 13 gennaio 2003 n.36, recante "Attuazione della
Direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti", in ordine ai
rifiuti ammessi in discarica, prevede che i "rifiuti possono essere
collocati in discarica solo dopo trattamento. Tale disposizione non si applica;
a) ai rifiuti inerti il cui trattamento non sia tecnicamente fattibile; b) ai
rifiuti il cui trattamento non contribuisce al raggiungimento delle finalità di
cui all'art. 1, riducendo la quantità dei rifiuti o i rischi per la salute
umana e l'ambiente, e non risulta indispensabile ai fini del rispetto dei
limiti fissati dalla normativa vigente".
Come correttamente rilevato dalla
Commissione Europea negli atti richiamati, l'art. 4 della Direttiva 08/98/CE
(cd. Direttiva Quadro Rifiuti) impone agli Stati Membri, nell'applicare la
gerarchia dei rifiuti ivi indicata, di adottare misure volte ad incoraggiare le
opzioni che offrano il miglior risultato ambientale complessivo. Il livello di
trattamento dei rifiuti destinati a discarica costituisce una delle misure
efficaci per garantire il rispetto della gerarchia dei rifiuti.
Sotto i descritti profili, il Collegio
ritiene che la Regione Lazio abbia violato la normativa di riferimento indicata
e che le argomentazioni offerte in giudizio a sostegno del proprio operato,
sostanzialmente coincidenti con quelle prospettate alle Autorità comunitarie a
riscontro delle suindicate censure, non siano condivisibili.
A parere dell’Amministrazione regionale,
infatti, dovrebbero essere considerati ‘rifiuti trattati’ ai sensi dell'art.2
lett. h) della citata Direttiva comunitaria, i rifiuti non preventivamente
trattati in impianti TMB, ma compressi durante il trasporto e dopo lo scarico,
e, da ultimo, sottoposti a cernita grossolana. Ciò, sempre secondo la Regione
Lazio, dovrebbe indurre a ritenere rispettate le disposizioni comunitarie
considerato che la raccolta differenziata, nel Comune di Roma, ha raggiunto
22,4%, che sono in funzione servizi per la raccolta di rifiuti ingombranti e
pericolosi e che, al fine di migliorare la qualità del trattamento cui sono sottoposti,
la Regione ha predisposto l'attivazione di impianti di tritovagliatura per
ridurne il volume e recuperare i metalli ferrosi prima della collocazione in
discarica dei rifiuti.
Il tenore e la ratio del citato articolo
2, lett. h), della Direttiva comunitaria applicabile alla fattispecie inducono
a ritenere censurabile la soluzione della tritovagliatura (indicata dalla
Regione Lazio), posto che la Direttiva Quadro e la normativa nazionale di
recepimento non convalidano la tesi secondo cui la tritovagliatura può essere
considerata forma di pretrattamento del rifiuto indifferenziato, ai fini
dell'assolvimento dell'obbligo di cui all'art. 7, comma 1 del D.Lgs, 36/2003.
Come correttamente affermato dalla
Commissione Europea, infatti, per essere conforme alla direttiva discariche ed
alla direttiva quadro sui rifiuti, il trattamento dei rifiuti destinati a
discarica deve consistere in processi che, oltre a modificare le
caratteristiche dei rifiuti allo scopo di ridurne il volume o la natura
pericolosa e di facilitarne il trasporto o favorirne il recupero, abbiano
l'effetto di evitare o ridurre il più possibile le ripercussioni negative
sull'ambiente nonché i rischi per la salute umana.
Sul tema della ‘tritovagliatura, del
resto, questa Sezione ha già avuto modo di pronunciarsi con la sentenza del 31
maggio 2011, n. 4195, con la quale – trattando la questione dello smaltimento
fuori Regione dei rifiuti urbani non pericolosi -, è stato osservato, tra
l’altro, che: “la semplice separazione meccanica della frazione secca dalla
frazione umida di un rifiuto non può comportare il mutamento della natura del
rifiuto da urbano a speciale, con conseguente sottrazione del ‘rifiuto
speciale’ alla disciplina del ‘rifiuto urbano’. Altrettanto si giungerebbe alla
conclusione irrazionale che ciò che non può essere smaltito e trasportato fuori
Regione “intero” (il rifiuto urbano), possa poi essere smaltito e trasportato
una volta “frazionato” (il rifiuto speciale con codice CER 19.12.12). In
sostanza, a tal fine non può essere considerata decisiva l’attribuzione del
codice CER 19.12.12, perché le operazioni di tritovagliatura (e, cioè, il
trattamento che consiste in una operazione di pretrattamento composta di
triturazione e vagliatura; la fase di triturazione serve a ridurre il volume
dei rifiuti, mentre la vagliatura ha lo scopo di separare i diversi tipi di
materiale, ad esempio, in base alla pesantezza, che compongono un determinato
rifiuto) si pongono come preliminari rispetto a quella che sarà l’operazione
compiuta di recupero o smaltimento cui il rifiuto deve essere sottoposto e non
sono, quindi, utili, da sole, a cambiare la classificazione del rifiuto secondo
l’origine. Affermare il contrario significherebbe consentire – mediante la
semplice operazione meccanica e di riduzione del volume – di disattendere la
normativa che disciplina la gestione dei rifiuti urbani, il principio di
autosufficienza ed il divieto di smaltimento in regioni diverse da quella di
produzione (cfr. Cass. Penale, Sez. III, 9 dicembre 2009, n. 46843: Tribunale
di Milano, Ufficio GIP, 23 marzo 2006). In conclusione, deve ritenersi che
proprio considerazioni del genere espresso dalla richiamata giurisprudenza
abbiano indotto il legislatore ad abrogare la lettera n) del terzo comma
dell’articolo 184 del Codice dell’Ambiente (soppressa dall'art. 2, comma
21-bis, del D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4) sostanzialmente, facendo rientrare i
rifiuti derivati dalle attività di selezione meccanica dei rifiuti solidi
urbani (in precedenza inclusi tra i rifiuti speciali) nell’ambito della
classificazione dei rifiuti urbani.”.
In sostanza, un trattamento che consista
nella mera compressione e/o triturazione di rifiuti indifferenziati da
destinare a discarica, senza una adeguata selezione delle diverse azioni dei
rifiuti ed una qualche forma di stabilizzazione della frazione organica dei
rifiuti stessi, non è tale da evitare o ridurre il più possibile le
ripercussioni negative sull'ambiente ed i rischi per la salute umana.
Quindi, il Collegio ritiene che la Regione
Lazio abbia violato l'art.1 della Direttiva Discariche, gli artt. 4 e 13 della
Direttiva Rifiuti, l’art. 7, comma 1 del D.Lgs, 36/2003 e, comunque, anche
l'art. 174 del Trattato e, quindi, il principio di precauzione che dovrebbe
caratterizzare le scelte (anche pianificatorie) dell’amministrazione ove si
presentino eventuali dubbi o perplessità in ordine alle decisioni da assumere
nel caso concreto.
Sotto altro profilo, va rilevato che la
Regione Lazio, pur avendo preso atto della posizione assunta al riguardo dalla
Commissione Europea, si è orientata in senso opposto, facendo leva su una
circolare ministeriale. Infatti, nel Piano impugnato si legge che: "Per le
considerazioni espresse relativamente al conferimento dei rifiuti
indifferenziati in discarica e alla previsione dell'utilizzo della
tritovagliatura come trattamento preliminare allo smaltimento in discarica si
specifica che in coerenza con il D.Lgs. 36/2003 ed in linea con quanto chiarito
dal Ministero dell'Ambiente con la circolare Prot. GAB-2009-0014963 del 30/06/2009
la tritovagliatura con deferrizzazione è considerabile come trattamento idoneo
a ridurre il volume specifico dei rifiuti, separando alcune frazioni
merceologiche come i metalli. In particolare, l’Art. 7, com. 1, del D.Lgs
36/2003 prevede che: ‘I rifiuti possono essere collocati in discarica solo dopo
trattamento. Tale disposizione non si applica: ai rifiuti inerti il cui
trattamento non sia tecnicamente fattibile; b) ai rifiuti il cui trattamento
non contribuisce al raggiungimento delle finalità di cui all'Art. 1, riducendo
la quantità dei rifiuti o i rischi per la salute umana e l'ambiente, e non
risulta indispensabile ai fini del rispetto dei limiti fissati dalla normativa
vigente’ intendendo, per "trattamento", in linea con quanto stabilito
dalla direttiva europea relativa alle discariche 1999/31/CE: i processi fisici,
termici, chimici o biologici, incluse le operazioni di cernita, che modificano
le caratteristiche dei rifiuti, allo scopo di ridurne il volume o la natura
pericolosa, di facilitarne il trasporto, di agevolare il recupero o di
favorirne lo smaltimento in condizioni di sicurezza".
La citata circolare ministeriale (del
2009), però, oltre ad essere anteriore all'apertura della procedura di
infrazione 2011/4021 e ad apparire in contrasto con la normativa indicata, era
chiara nel precisare (come, del resto, ammesso dalla Regione Lazio a pag.46 del
Piano impugnato) che, in ogni caso, la soluzione della tritovagliatura avrebbe
dovuto essere considerata un'opzione del tutto transitoria, proprio alla luce
della circostanza che tale soluzione impiantistica non garantisce la riduzione
dei rifiuti biodegradabili in discarica e non consente di raggiungere gli
obiettivi dettati dalla normativa comunitaria e dal D.lgs. n.36/03.
E’ chiaro che il concetto di
‘transitorità’ non può essere dilatato fino al punto di consentire l’adozione e
l’approvazione di un Piano quale quello contestato, a distanza di anni
dall’affermazione contenuta dalla circolare richiamata, posto che la Regione
Lazio ha approvato l’atto di pianificazione impugnato prevedendo, in presenza
di una procedura di infrazione comunitaria pendente, il conferimento fino al
2015 dei rifiuti indifferenziati in discarica utilizzando la tritovagliatura.
9.2. Sempre in relazione alle
considerazioni espresse dalla Commissione Europea, che assumono rilevanza in
relazione alle censure avanzate dalle parti ricorrenti, va rilevato che nelle
risposte alla lettera di costituzione in mora le Autorità italiane ed, in
particolare, la Regione Lazio, non hanno fornito adeguati elementi di
valutazione diretti a contestare la posizione della Commissione circa il
deficit di capacità di TMB che, secondo quanto emerge dal Piano regionale di
gestione dei rifiuti, sarebbe pari a -74.393 tonnellate annue.
Secondo l’Amministrazione regionale: - il
deficit in questione sarebbe compensato dal surplus di capacità di TMB
esistente nel SubAto di Viterbo, con la conseguenza che, sino a quando nel
SubAto di Rieti non verrà realizzata la necessaria capacità di TMB, il surplus
di capacità esistente a Viterbo potrà essere usato per garantire il trattamento
di tutti i rifiuti prodotti nel SubAto di Rieti; - per quanto concerne il
SubAto di Latina, il deficit di capacita di TMB (che si dichiara essere pari a
-147.358 tonnellate annue), dovrebbe essere ridotto grazie ad un incremento di
capacita pari a 60.000 tonnellate, sicché l'attuale deficit sarebbe pari a
circa -120.000 t/a, da colmare con l’entrata in esercizio di uno degli impianti
di TMB previsti dalla pianificazione regionale, con la conseguenza che il
rifiuto regionale indifferenziato prodotto nel SubAto di Latina verrebbe
trattato in impianti di TMB; - riguardo al SubAto di Roma, il deficit pari a
-1.064.848 t/a, dovrebbe subire riduzioni fino ad arrivare a -550.000 t/a grazie
ad alcuni impianti di TMB in fase di realizzazione.
Al riguardo, il Collegio condivide le
perplessità manifestate dalla Commissione Europea circa il fatto che, sia nella
proposta di Piano, che nel Piano approvato (impugnato), il consistente deficit
di capacita di TMB per quanto concerne i SubAto di Latina e di Roma trova
conferma ma non adeguata prospettiva di soluzione.
Dal Piano impugnato emerge, ad esempio,
che l’Amministrazione regionale dichiara un deficit pari a -126.891 t/a per il
SubAto di Latina e di -1.015.659 t/a per il SubAto di Roma omettendo, peraltro,
di considerare la non completa operatività (oltre che la prevista chiusura)
della discarica di Malagrotta.
Va, inoltre, rilevato che il Piano
contiene due diversi scenari.
Il cd. scenario di piano, che prevede il
raggiungimento, entro il 31 dicembre 2012, degli obiettivi di raccolta
differenziata al 65%, come stabilito dall'art.1 comma 1108, della legge 27
dicembre 2006 n.296, nonché dall'art.205 del D.lgs. 3 aprile 2006 n.132.
Il raggiungimento degli obiettivi minimi
di raccolta differenziata stabilito dall'art. 205 del codice dell’ambiente, da
raggiungere per ciascun Ambito Territoriale Ottimale, è stato confermato
dall'art. 21 del D.lgs. 3 dicembre 2010 n.205 (recante ""Disposizioni
di attuazione della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive"),
il quale prevede, al comma 1-bis, una ipotesi di deroga da autorizzarsi a cura
del Ministero dell'Ambiente tramite accordo di programma.
Sulla base di tale previsione la Regione
Lazio ha basato il cd. scenario di controllo che, tuttavia, come rilevato dalle
parti ricorrenti, appare costituire l’ipotesi di piano più realistica (rispetto
allo scenario di piano), ma anche quella più pericolosa per l’ambiente e per la
posizione assunta dall’Italia dinanzi alle Autorità comunitarie, posto la
gestione dei rifiuti urbani prevista da tale scenario non risulta in linea con
gli obiettivi di raccolta differenziata fissati a livello normativo.
Infatti, esaminando, in particolare, i due
‘scenari’ emerge che nello scenario di piano, non risulta necessaria una
capacità aggiuntiva in discarica (cfr. Tab. 10.4.3., pag.198 del Piano), mentre
nella più realistica ipotesi dello scenario di controllo, il deficit delle
volumetrie disponibili passa da 828.423 mc nel 2013 a 6.859.956 mc. nel 2017
(cfr. Tab. 10.7.3 pag. 219 del Piano).
Le medesime considerazioni valgono per
quanto concerne le capacità di trattamento meccanico biologico dei rifiuti
indifferenziati, posto che nello scenario di piano i fabbisogni di trattamento
risultano soddisfatti dagli attuali impianti, mentre, nello scenario di
controllo la capacità deg1i impianti esistenti risulta insufficiente – passando
da un mln. t/a del 2011 a circa 313.000 t/a nel 2017 - e, quindi, i rifiuti
indifferenziati prodotti continueranno ad essere avviati in discarica in misura
apprezzabile senza trattamenti preventivi, con conseguente necessità di
realizzare impianti di TMB per una adeguata capacita totale.
La Regione Lazio afferma che lo scenario
di Piano ha assunto la piena realizzazione di tutte le azioni di riduzione
della produzione dei rifiuti, ed il raggiungimento del 65% di raccolta
differenziata entro il 2012 (cfr. Capitolo IV del Piano: pagg. 65 ss.).
Ma, i dati ufficiali ISPRA, risalenti al
Rapporto Rifiuti del 2008 (indicati nel Piano), mostrano una tendenza diversa
da quella presa in considerazione dall’Amministrazione regionale, denotando una
produzione annua di rifiuti regionali in costante aumento (cfr. tabelle
contenute a pagg. 67 e 68 del Piano): al paragrafo 4.5 del Piano, si legge che
nel 2008 nel Lazio la raccolta differenziata si attestava su un valore medio
del 15% e, quindi, in assenza di previsioni basate su dati concreti e misure di
riduzione dei rifiuti indifferenziati attendibili (non previste nello scenario
di controllo), il raggiungimento della percentuale del 65% non sembra
verosimile.
Ciò induce a ritenere più attendibile lo
scenario di controllo che quello di piano, da cui risulta, tra l’altro, il
mancato raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata previsti dal
Piano e l'insufficienza della capacità impiantistica di TMB a livello regionale
inferiore ai quantitativi di trattamento meccanico biologico prodotto.
In questo contesto, è prevista la
possibilità di autorizzare ulteriori capacità di trattamento per il rifiuto
indifferenziato e di termovalorizzazione, fermo restando il deficit delle
volumetrie delle discariche.
Ciò rende poco attendibili anche le stime
concernenti la tritovaglatura di rifiuti indifferenziati in quanto, a fronte di
1.097.000 t/a, il Piano prevede che si passi nel 2014 a 145.000 t/a e a zero
nel 2015.
Tuttavia, pur accettando la previsione
circa i quantitativi di rifiuto indifferenziato oggetto della Tabella 10.4.1,
il raggiungimento dell'autosufficienza nel 2015 si basa sull’effettivo pieno
funzionamento degli impianti esistenti e sulla messa a regime di quelli
autorizzati.
Ma, a prescindere dalla considerazione
circa i tempi di realizzazione di tale prospettiva, non è contestato in
giudizio che gli otto impianti di pretrattamento presenti nel territorio
regionale non lavorano a pieno regime, come emerge, ad esempio, dal fatto che
uno dei due impianti di trattamento siti a Malagrotta non è funzionante.
L’inaffidabilità dello scenario di Piano e
la concreta attendibilità dello scenario di controllo, hanno indotto la Regione
Lazio a prevedere che, nel caso di mancata realizzazione dello scenario di
piano, si dovrà, comunque, garantire l'autosufficienza regionale per quanto
concerne lo smaltimento in discarica (secondo quanto stabilito dall'art.182
bis, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 152/2006), eventualmente mediante
l'adeguamento delle volumetrie delle discariche.
In sostanza, secondo lo scenario di
controllo (come detto, più attendibile dello scenario di piano), il Piano - in
contrasto con la disciplina comunitaria e nazionale di recepimento, sopra
indicata -, risulta, in concreto, basato più sul conferimento in discarica che
sull'incremento della raccolta differenziata, sul pretrattamento e sul recupero
dei rifiuti.
Pertanto, anche sotto questo profilo, il
Piano risulta viziato.
9.3. Il Piano impugnato risulta
illegittimo anche perché, in contrasto con quanto stabilito dall'art. 7, comma
1, della LR 9 luglio 1998 n.27 (recante "Disciplina regionale della
gestione del rifiuti"), il Consiglio regionale, prima di approvare il
piano regionale di gestione dei rifiuti, non risulta aver sentito il comitato
tecnico-scientifico per l'ambiente previsto dalla Legge regionale 18 novembre
1991, n. 74.
La normativa richiamata prevede, infatti,
l’obbligo di acquisire il parere obbligatorio del Comitato tecnico-scientifico
per l'ambiente, prima di approvare il Piano.
Al riguardo, la Regione Lazio ha rilevato
che il Comitato Tecnico Scientifico per l'Ambiente (CTSA) è stato chiamato ad
esprimersi prima dell’adozione della proposta di Piano da parte della Giunta
Regionale (sulla coerenza della bozza di Piano stesso con le Linee Guida per
l'adeguamento del Piano di Gestione dei Rifiuti del Lazio e con il bando di
gara per il servizio di assistenza tecnica ai fini dell'adeguamento del Piano),
ma non dopo l’adozione del Piano da parte della Giunta (cfr. verbale di seduta
del CTSA del 9 novembre 2009: doc. n. 7 Regione Lazio), perché tale Organo
consultivo ha cessato le sue funzioni in data 29 maggio 2010 e non sono stati
nominati i nuovi componenti.
Tale ultima circostanza, a parere del
Collegio, deve ritenersi irrilevante in quanto i ritardi e le omissioni circa
la tempestiva mancata nomina dei componenti del Comitato Tecnico Scientifico
per l'Ambiente non può giustificare la mancata acquisizione di un parere
prescritto dalla legge.
Del resto, come correttamente rilevato dai
ricorrenti, la circostanza che la versione definitiva del Piano, prima della
sua approvazione da parte del Consiglio Regionale, dovesse essere sottoposta al
parere del Comitato, è stata ammessa anche dall’Assessore alle Attività
Produttive e alle Politiche dei Rifiuti con nota 6 agosto 2010 n.139504
(prodotta in giudizio), avente ad oggetto: "Procedura di infrazione
comunitaria n.2002/2284 - Causa C.-82/06 - Sentenza Corte di Giustizia Europea
del 14 giugno 2007 - Piano di gestione dei rifiuti della Regione Lazio",
ove si legge: "Risulta necessaria una nuova adozione definitiva del Piano
da parte della Giunta Regionale (poi, avvenuta nel dicembre successivo
all’adozione della citata nota del 2010) che sottoporrà il testo al Comitato
Tecnico Scientifico per l'Ambiente (CTSA) ai fini dell'espressione del parere
di cui all'art.7 comma 1 LR 27/98 (parere di merito). In seguito, lo stesso
Piano dovrà essere sottoposto al Consiglio Regionale per l'approvazione".
Ribadito che dal tenore della norma citata
(art. 7, LR 9 luglio 1998 n.27), emerge chiara la natura obbligatoria del
parere in questione, deve ritenersi che la sua mancata acquisizione abbia
viziato il provvedimento adottato in sua assenza.
9.4. Sotto altro profilo, va rilevato che
l'art. 7, paragrafo 1, lettera d), della Direttiva 2006/12/CE, stabilisce che
"per realizzare gli obiettivi previsti negli articoli 3, 4 e 5, la o le
autorità competenti di cui all' articolo 6 devono elaborare quanto prima uno o
più piani di gestione dei rifiuti, che contemplino fra l’altro …. d) i luoghi o
gli impianti adatti per lo smaltimento".
L'art.28, paragrafo 3, lett. c), della
Direttiva 2008/98/CE, attribuisce agli Stati membri il compito di predisporre,
a norma degli articoli 1, 4, 13 e 16, uno o più piani di gestione dei rifiuti,
che contengano .... "una valutazione della necessità di nuovi sistemi di
raccolta, della chiusura degli impianti per i rifiuti esistenti, di ulteriori
infrastrutture per gli impianti per i rifiuti ai sensi dell'articolo 16 e, se
necessario, degli investimenti correlati".
La normativa comunitaria indicata è stata
recepita dall'art. 199, comma 3, lett. c), del d.lgs. n. 152/2006, il quale
stabilisce che i piani di gestione dei rifiuti devono contenere "una
valutazione della necessità di nuovi sistemi di raccolta, della chiusura degli
impianti esistenti per i rifiuti, di ulteriori infrastrutture per gli impianti
per i rifiuti in conformità del principio di autosufficienza e prossimità di
cui agli articoli 181, 182 e 182-bis e se necessario degli investimenti
correlati " .
A fronte di tale previsione, dal Piano di
gestione dei Rifiuti per il periodo 2011-2017, emerge, da una parte,
l’insufficienza della capacità degli impianti regionali dedicati al TMB,
rispetto ai quantitativi di rifiuti indifferenziati prodotti e, dall’altra,
l’omessa considerazione di tutti gli impianti esistenti dei quali è prevista la
chiusura e, in particolare, della discarica di Malagrotta.
Tale ultimo profilo assume particolare
rilievo in quanto presso la discarica di Malagrotta risulta destinato oltre il
50% di tutti i rifiuti solidi urbani dei Comuni di Roma, Fiumicino, Ciampino e
dello Stato della Città del Vaticano.
Ciò ha comportato la violazione del citato
articolo 199 del codice dell’ambiente, oltre a mettere in dubbio gli esiti
della procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS), deputata a valutare
– ai sensi della Direttiva comunitaria 2001/42/CE (Direttiva VAS), recepita
nella Parte II del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, modificata e integrata dal
D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 e dal D. Lgs. 29 giugno 2010, n. 128 -, gli effetti
di determinati piani e programmi sull'ambiente naturale, considerato che
dall’omessa considerazione della chiusura di Malagrotta è derivata l’omessa
valutazione delle conseguenti soluzioni alternative e, quindi, sorgono dubbi
sull’attendibilità delle verifiche e delle analisi (oggetto della VAS e del
Rapporto ambientale) concernenti la sostenibilità degli obiettivi di piano, gli
impatti ambientali significativi delle misure di piano, la costruzione e la
valutazione delle ragionevoli alternative, la partecipazione al processo del
soggetti interessati ed il monitoraggio delle performances ambientali del
piano.
10. Per quanto concerne le puntuali e
articolate censure proposte dalla Provincia di Latina, è stato sopra precisato
(cfr. punto sub 5) che sarebbe stato possibile prenderle in considerazione nei
limiti in cui avessero coinciso con quelle avanzate dalle parti ricorrenti o,
comunque, attenuto a queste ultime.
Tuttavia, da quanto rappresentato e
considerato ai precedenti punti sub 9), emerge che le contestazioni avanzate
dall’Amministrazione provinciale (sopra descritte al punto sub 5), riguardano
profili non coincidenti e non attinenti con quelli oggetto dei motivi di
ricorso proposti dai ricorrenti.
Ciò non toglie che - in esecuzione della
presente decisione e attenendosi all’effetto conformativo derivante dalla
stessa – la Regione Lazio dovrà istruire adeguatamente il nuovo procedimento e
motivare congruamente le proprie scelte, tenendo conto di tutti gli elementi di
valutazione a disposizione e, quindi, anche dei profili evidenziati dalla
Provincia di Latina inerenti, in particolare: - la delimitazione degli ambiti
territoriali ottimali sul territorio regionale; - l’esclusione di 5 Comuni
(Gaeta, Catelforte, Spigno Saturnia, Minturno, Santi Cosma e Damiano) dall'ATO
Latina e l’inclusione degli stessi nell'ATO Frosinone; - la circostanza che
alla nota 21 relativa al paragrafo 7.1.1 del Piano (rubricato "La
normativa regionale e l'individuazione degli ATO rifiuti nel Lazio") si
legge: "21 Con disposizione di legge successiva, ed entro i tempi
previsti, la Regione Lazio provvederà nell'attribuire le funzioni già
esercitate dalle Autorità di cui all'art.202 del decreto legislativo n152 del
2006 a soggetto da definirsi."; - le risultanze del Piano della Provincia
di Latina di cui alla deliberazione n. 71 del 30.9.1997 ed i successivi
aggiornamenti, e la disciplina concernente la valutazione di incidenza in
relazione all’influenza del Piano su siti della rete Natura 2000.
11. Alla luce delle considerazioni che precedono
il Collegio ritiene che il ricorso sia fondato e debba essere accolto.
12. Le spese seguono la soccombenza, nella
misura liquidata nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per
il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in
epigrafe proposto:
- accoglie il ricorso e, per l'effetto,
annulla gli atti impugnati;
- condanna la Regione Lazio al pagamento
delle spese di lite in favore delle parti ricorrenti costituite, che si
liquidano in complessivi 2.000,00 (duemila/00) euro ciascuna, compresi gli
onorari di causa;
- ordina che la presente sentenza sia
eseguita dalla competente Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di
consiglio del giorno 13 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Linda Sandulli, Presidente
Roberto Proietti, Consigliere, Estensore
Antonella Mangia, Consigliere
L'ESTENSORE
|
IL PRESIDENTE
|
|
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/01/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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