APPALTI & PROCESSO:
la complessa e sempiterna questione
dell'impugnabilità
delle clausole immediatamente lesive
(Cons. St., Sez. IV,
sentenza 13 marzo 2014 n.1243).
La sentenza in esame è stata oggetto dell'incontro mensile (avente sempre ad oggetto una recente pronuncia del Consiglio di Stato) della Società Italiana degli Avvocati Amministrativisti.
Sentenza poderosa, degna di una Plenaria.
Massima
1. Anche ad aderire (e ciò ha fatto il Collegio) alla tesi “aperturista” che non limita la immediata impugnabilità delle clausole del bando escludenti, ma la ammette/impone nelle ipotesi enucleate dalla giurisprudenza in termini non tassativi, non potrebbe dirsi attuale l’interesse a gravare le dette clausole laddove le medesime fossero ancora suscettibili di essere emendate, corrette, edulcorale, integrate, modificate nel successivo stadio della procedura.
Si converrà infatti che in primo luogo in una simile ipotesi la impugnazione immediata delle clausole del bando non sarebbe sorretta da un interesse “attuale” ma soltanto ipotetico (legato alla mera ipotesi, cioè, che la lettera invito confermi integralmente, in parte qua, le prescrizioni del bando “sospette” di illegittimità).
E ciò basterebbe a negarne l’ammissibilità.
2. Secondariamente, che la immediata impugnazione delle stesse non risponderebbe neppure al canone di buon andamento dell’ Amministrazione invocato proprio da parte appellante: si solleciterebbe un giudizio demolitorio che attingerebbe una prescrizione suscettibile di essere corretta/integrata/emendata in senso accoglitivo delle perplessità del partecipante alla gara, di guisa che a seguito dell’annullamento la procedura dovrebbe nuovamente ripartire, con grave dispendio di tempo ed energie, mentre invece la detta prescrizione gravata era possibilmente destinata ad essere integrata in sede di lettera-invito, con evidente inutilità della proposta impugnazione.
3. In ultimo, che detta immediata impugnabilità non risponderebbe neppure alle esigenze ex art. 24 della Costituzione, rischiando di ritorcersi a svantaggio del partecipante alla gara che, se avesse atteso la lettera-invito, avrebbe potuto vedere svanire le proprie (eventualmente legittime) preoccupazioni.
4. Il Collegio ritiene pertanto che, sotto un profilo più generale, con riguardo a prescrizioni del bando asseritamente lesive suscettibili di essere “corrette” (nei termini prima chiariti) in sede di lettera-invito la immediata impugnazione delle clausole del bando sia (non soltanto inammissibile per difetto di attualità dell’interesse ma, addirittura) nociva proprio alle esigenze invocate dalla stessa parte appellante sia sul piano della tutela costituzionale che su quello comunitario (il che, per incidens, milita in senso troncante per la reiezione della questione di legittimità costituzionale e di quella interpretativa comunitaria prospettata).
5. Tutt’altro discorso, invece, per prescrizioni che non potrebbero essere “corrette” dalla lettera-invito se non a costo di sovvertire il rapporto gerarchico sussistente tra quest’ultima ed il bando: in simile ipotesi in adesione al filone giurisprudenziale evolutivo della tesi sviluppata dall’Ad. Plen. n. 1/2003 non potrebbe negarsi l’attualità dell’interesse (cfr, sotto il profilo della ratio generale secondo la quale il bando deve essere “completo”, in quanto munito di un “contenuto minimo inderogabile” art. 64 del TU in relazione alle indicazioni di cui all’Allegato IX del codice dei contratti pubblici).
6. Muovendo da tale approdo appare quindi evidente che la verifica debba svolgersi, in concreto, valutando lo stadio della procedura: soltanto attraverso detta disamina concreta, rifuggendo da apriorismi assolutistici, è possibile comprendere, laddove – come nel caso di specie - ci si trovi al cospetto di censure eterogenee, incidenti su più prescrizioni del bando quale di dette doglianze sia supportata da un interesse immediato, concreto e reale (e sia pertanto ammissibile) e quale altra, eventualmente, abbia natura eventuale od ipotetica, e sia stata sollevata a fini di natura precauzionale (nell’eventualità cioè, che la lettera invito successiva, pur potendo integrare in parte qua il bando, ciò non faccia).
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2539 del 2013, proposto da:
Autostrada del Brennero S.p.A. in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti Marcello Clarich, Claudio Guccione, con domicilio eletto presso Marcello Clarich in Roma, viale Liegi, 32;
Autostrada del Brennero S.p.A. in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti Marcello Clarich, Claudio Guccione, con domicilio eletto presso Marcello Clarich in Roma, viale Liegi, 32;
contro
Anas Spa, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero
dell'Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti
in carica, tutti rappresentati e difesi dalla Avvocatura Generale dello Stato,
presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, sono ope
legis domiciliati;
nei confronti di
Provincia Autonoma di Trento, Regione Trentino Alto Adige, in persona dei
rispettivi legali rappresentanti in carica rappresentati e difesi dall'avv.
Mario Santaroni, con domicilio eletto presso Studio Legale Santaroni in Roma,
via di Porta Pinciana N.4;
Provincia Autonoma di Bolzano, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv.ti Renate Von Guggenberg, Maria Larcher, Stephan Beikircher, Cristina Bernardi, Michele Costa, con domicilio eletto presso Michele Costa in Roma, via Bassano del Grappa, 24;
Codacons-Coordinamento di Associazioni per la Tutela dell'Ambiente e dei Diritti di Utenti e Consumatori, Associazione Utenti Autostrade, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore;
Provincia Autonoma di Bolzano, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv.ti Renate Von Guggenberg, Maria Larcher, Stephan Beikircher, Cristina Bernardi, Michele Costa, con domicilio eletto presso Michele Costa in Roma, via Bassano del Grappa, 24;
Codacons-Coordinamento di Associazioni per la Tutela dell'Ambiente e dei Diritti di Utenti e Consumatori, Associazione Utenti Autostrade, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore;
sul ricorso numero di registro generale 2929 del 2013, proposto da:
Consorzio dei Comuni della Provincia di Bolzano Societa' Cooperativa, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv.ti Francesco Volpe, Christoph Perathoner, con domicilio eletto presso Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri 5;
Comunità Comprensoriale di Salto-Sciliar (Bz), Comune di Cornedo All'Isarco, Comune di Fie' Allo Sciliar, in persona del legale rappresentante in carica rappresentati e difesi dagli avv.ti Christoph Perathoner, Francesco Volpe, con domicilio eletto presso Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri 5;
Consorzio dei Comuni della Provincia di Bolzano Societa' Cooperativa, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv.ti Francesco Volpe, Christoph Perathoner, con domicilio eletto presso Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri 5;
Comunità Comprensoriale di Salto-Sciliar (Bz), Comune di Cornedo All'Isarco, Comune di Fie' Allo Sciliar, in persona del legale rappresentante in carica rappresentati e difesi dagli avv.ti Christoph Perathoner, Francesco Volpe, con domicilio eletto presso Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri 5;
contro
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero dell'Economia e
delle Finanze, Anas Spa, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in
carica, tutti rappresentati e difesi dalla Avvocatura Generale dello Stato,
presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, sono ope legis
domiciliati;
nei confronti di
Provincia Autonoma di Bolzano Alto Adige in persona del legale
rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Renate Von
Guggenberg, Maria Larcher, Stephan Beikircher, Laura Fadanelli, Michele Costa,
con domicilio eletto presso Michele Costa in Roma, via Bassano del Grappa, 24;
Autostrada del Brennero Spa;
per la riforma
quanto al ricorso n. 2539 del 2013:
della sentenza del T.a.r. del Lazio – Sede di Roma - Sezione III n.
00149/2013, resa tra le parti, concernente affidamento in concessione delle
attività di costruzione relative alla realizzazione degli investimenti di
adeguamento e manutenzione straordinaria dell'autostrada a22 Brennero-Modena
quanto al ricorso n. 2929 del 2013:
della sentenza del T.a.r. del Lazio –Sede di Roma - Sezione III n.
00140/2013, resa tra le parti, concernente affidamento in concessione delle
attivita' di costruzione relative alla realizzazione degli investimenti di
adeguamento e di manutenzione straordinaria dell'autostrada a22 Brennero-Modena
di km 314
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Anas Spa e di Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e
di Provincia Autonoma di Trento e di Regione Trentino Alto Adige e di Provincia
Autonoma di Bolzano e di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e di
Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Anas Spa e di Provincia Autonoma
di Bolzano Alto Adige;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2013 il Consigliere
Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati Marcello Clarich, Claudio
Guccione, l'Avvocato dello Stato Carlo Maria Pisana, Fabrizio Imbardelli (su
delega di Mario Santaroni) Michele Costa ed Andrea Manzi (su delega di
Francesco Volpe);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Ricorso n. 2529/2013 avverso la sentenza n. 149/2013;
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale
del Lazio – sede di Roma - ha in parte respinto ed in parte dichiarato
inammissibile il ricorso di primo grado (corredato da motivi aggiunti) proposto
dall’odierna parte appellante Autostrada del Brennero s.p.a. volto ad ottenere
l’annullamento del bando di gara indetto dall’Anas spa recante “ Affidamento in
concessione delle attività di costruzione relative alla realizzazione degli
investimenti di adeguamento e di manutenzione straordinaria dell’Autostrada A22
Brennero-Modena di km 314, di completamento della realizzazione degli
interventi previsti nella convenzione sottoscritta in data 29 luglio 1999 tra
Anas spa e la società Autostrada del Brennero spa, successivamente integrata
con la convenzione aggiuntiva del 6.5.2004, della gestione e manutenzione
dell’Autostrada A22 Brennero-Modena, nonché la realizzazione degli investimenti
previsti dall’art.47, comma 1, del decreto legge 31 maggio 2010, n.78,
convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n.122, che ha
modificato l’art.8-duodeciesdel decreto legge 8 aprile 2008, convertito
con modificazioni dalla legge 6 giugno 2008 n.101” dell’8 settembre 2011,
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – Serie speciale Contratti pubblici – n.107
del 12 settembre 2011, della direttiva n.311 del 10 agosto 2011 emanata dal
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di intesa con il Ministero
dell’Economia e delle Finanze e di ogni altro atto presupposto, connesso e
consequenziale.
La originaria parte ricorrente aveva esposto di essere la titolare della
concessione di costruzione e gestione dell'autostrada del Brennero con scadenza
30.4.2014.
Avverso detti atti, mercè il ricorso introduttivo del giudizio, l’odierna
appellante aveva proposto sei articolate censure di violazione di legge ed
eccesso di potere.
Con successivo ricorso per motivi aggiunti l’odierna appellante aveva
gravato l'avviso di rettifica e di riapertura dei termini relativi alla gara de
qua, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - Serie speciale Contratti
Pubblici - n. 93 del 10.8.2012, deducendo a tal fine ulteriori tre doglianze.
Il primo giudice ha analiticamente vagliato le dedotte censure, premettendo
a tale disamina il convincimento in materia di impugnativa dei bandi di gara
secondo il quale l'onere di immediata impugnazione delle clausole del bando
sussiste solo allorquando esse impediscono la stessa partecipazione alla
procedura di gara, rinvenendosi la loro immediata lesività proprio
nell'immediato effetto preclusivo cui consegua per l'interessato un
provvedimento negativo avente carattere meramente dichiarativo e ricognitivo di
una lesione già prodotta.
Da tale principio il Tar ha fatto discendere il corollario per cui potevano
ritenersi ritualmente formulate le censure con cui era stata contestata la
legittimità della indizione della gara per inosservanza dell'art. 8-duodecies del
decreto legge n.59/2008 e per incompetenza dell'Anas a ricevere le offerte
presentate dalle concorrenti.
Ha quindi esaminato dette due doglianze, respingendole.
Quanto alla prima di esse (volta giustappunto a contestare la stessa
indizione della gara pubblica per violazione dell'art.8 duodecies,
comma 2, del D.L. n.59/2008, convertito con legge n.101/2010) ha rammentato che
la Commissione europea ritualmente interessata dalle Autorità italiane, aveva
escluso la compatibilità con la normativa comunitaria di qualsiasi forma di
proroga della concessione in argomento (ciò anche a seguito degli impegni
assunti in precedenza dal Governo Italiano per l'archiviazione di altre
procedure di infrazione riguardanti casi simili) non escludendo in alcun modo
la costituzione tra gli enti locali interessati di una società di corridoio,
dopo aver fissato le condizioni in presenza delle quali l'istituzione della
società de qua poteva ritenersi compatibile con l'ordinamento
comunitario.
Tale soluzione non era stata ritenuta percorribile in quanto la Ragioneria
Generale dello Stato, dopo aver valutato gli impatti sulla finanza pubblica
della istituzione della citata società di corridoio, non aveva ritenuto tale
soluzione conforme al dettato normativo nella parte in cui il citato art.8 duodecies prevedeva
che eventuali soluzioni alternative alla gara dovessero assicurare uguali
introiti per il bilancio dello Stato.
Parimenti è stata disattesa la prima delle doglianze dedotte con i motivi
aggiunti (prospettante l'incompetenza dell'Anas a ricevere le domande di
partecipazione alla gara de qua alla luce del disposto di cui
all'art.36 del d.lg. n.98/2011 e dell'art.11 del d.l. n.216/2011).
Ad avviso del Tar la reiezione di tale articolata doglianza si imponeva in
quanto il quadro normativo (art.36 del d.lg. n.98/2011 e dell'art.11 del d.l.
n.216/2011; comma 5 del d.L. n.216/2011; art.12, comma 79, del d.l. n.95/2012)
non escludeva il persistere della competenza dell’Anas a ricevere le offerte.
Invero la stessa società originaria ricorrente - pur riconoscendo che
l'Anas era competente nella materia de qua alla data di
pubblicazione dell'avviso di rettifica (10 agosto 2011) - tuttavia aveva
contestato la legittimità dell’operato di quest’ultima in quanto era stato
previsto come termine ultimo per la presentazione delle domande di
partecipazione la data del 2 ottobre 2012.
Ed alla detta data la stessa Anas non era più competente a ricevere le
suddette domande, le quali avrebbero dovuto essere presentate direttamente al
Ministero delle Infrastrutture.
Da ciò la prospettazione del vizio di incompetenza.
Senonchè – ha rilevato il primo giudice - l'autonoma fase procedimentale
attinente alla presentazione delle domande era stata disciplinata dall'Anas
allorchè quest'ultima risultava nella pienezza dei poteri assegnati
dall'ordinamento: conseguentemente, in base al principio tempus regit
actum ed in ossequio all'altro fondamentale principio della continuità
dell'azione amministrativa la contestata previsione del termine del 2 ottobre
non risultava affetta dalla illegittimità prospettata.
Inoltre, sotto il profilo meramente sostanziale, atteso che l’Anas aveva
provveduto a trasmettere al competente Ministero le domande di partecipazione
ricevute, la società originaria ricorrente non aveva in alcun modo dimostrato
come la presentazione delle domande presso l'Anas avesse di per sè costituito
un elemento tale da ledere la propria posizione giuridica di concorrente alla
gara de qua.
Così respinte le due censure ritenute ammissibili, tutte le ulteriori
doglianze proposte dalla società odierna appellante sono state dichiarate
inammissibili dal Tar alla stregua dell’orientamento giurisprudenziale
richiamato nell’incipit della motivazione della gravata sentenza in punto di
limiti alla immediata impugnativa dei bandi di gara.
Le dette doglianze, infatti, erano tese a contestare: la legittimità della
previsione del bando di gara che prevedevano in capo all'aggiudicatario il
versamento annuo in via anticipata della somma di Euro 70.000.000,00; la
presunta indeterminatezza del bando in ordine all'individuazione dell'importo complessivo
dei lavori e degli importi delle singole categorie di lavori da realizzare; la
violazione del principio di segretezza dell'offerta derivante dalla richiesta
di presentazione delle attestazioni soa in sede di prequalifica; la violazione
della direttiva ministeriale n.311/2011 per la mancata individuazione nel bando
delle opere infrastrutturali complementari; la carenza degli elementi economici
minimi necessari ai potenziali concorrenti per valutare la concessione e
l'opportunità di partecipare alla gara; l'illegittima prevalenza degli elementi
quantitativi su quelli qualitativi all'interno dei criteri di valutazione;
l'eccessivo peso riconosciuto ai criteri economico finanziari.
Avuto riguardo alla consistenza e tipologia delle censure prospettate,
quindi, ad avviso del Tar, non sussisteva l’onere di immediata impugnazione del
bando di gara in carenza di alcun effetto escludente delle clausole del bando
medesimo, ovvero la imposizione di oneri incomprensibili o del tutto
sproporzionati rispetto ai contenuti della procedura concorsuale.
In ogni caso – aveva affermato il primo giudice- anche a volersi rifare ai
principi propugnati dalla giurisprudenza meno restrittiva (che estendeva la
possibilità di immediata impugnazione del bando anche a quelle clausole che non
consentivano alla potenziale concorrente di formulare un'offerta) ugualmente il
mezzo doveva essere dichiarato in parte quainammissibile, in quanto
la spa Autostrade del Brennero non aveva in alcun modo dimostrato “con
stringenti argomentazioni” come le prospettate illegittimità e carenze del
bando producessero un simile effetto.
Rilevava in proposito il Tar che detta società aveva presentato domanda di
partecipazione entro i termini di scadenza previsti dal bando e, soprattutto,
il bando di gara prescriveva soltanto la formale presentazione di una
manifestazione di interesse a partecipare alla gara, per cui la formulazione
dell'offerta doveva essere effettuata alla luce degli elementi contenuti nella
successiva lettera di invito che ha funzione integrativa del bando per gli
aspetti dallo stesso non disciplinati.
Alla stregua di tali argomentazioni il ricorso è stato dichiarato in parte
infondato ed inammissibile.
L’odierna parte appellante, già ricorrente rimasta soccombente nel giudizio
di prime cure ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe
chiedendo la riforma dell’appellata decisione.
Ha in proposito riepilogato le principali tappe infraprocedimentali ed ha a
tal uopo premesso che la propria legittimazione attiva scaturiva dalla
circostanza che essa era attualmente titolare della concessione di costruzione
e gestione dell’autostrada del Brennero, in forza di una convenzione di
concessione stipulata con l’Anas in data 29 luglio 1999.
La citata convenzione era stata successivamente prorogata, con la stipula,
il 6 maggio 2004, di una convenzione aggiuntiva a quella del 1999, sino al
termine del 30 aprile 2014.
L’art. 47, comma 1, DL 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni
dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122 aveva prescritto alcune misure volte a
disciplinare l’affidamento della concessione autostradale del Brennero
successivamente alla sua scadenza ed in particolare aveva, introdotto il comma
2-bis all’art. 8-duodecies del decreto legge 8 aprile
2008, n. 59.
La direttiva interministeriale n. 311/2011 emanata in (pretesa) conformità
a detta prescrizione legislativa subito prima della pubblicazione del bando
conteneva una serie di lacune che non consentivano alle imprese interessate di
pianificare con certezza il proprio investimento.
Il bando di gara, era stato pubblicato il 12 settembre 2011.
A cagione dell’avvenuta impugnazione del bando, e del succedersi di
provvedimenti cautelari giurisdizionali di contrastante tenore il bando
predetto era stato più volte sospeso e riavviato.
Con avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 93 del 10 agosto 2012,
l’Anas aveva riaperto il termine per la presentazione delle domande di
partecipazione e, con tale avviso di rettifica, erano state apportate ulteriori
modifiche al bando predetto.
Con il primo motivo di censura l’appellante ha riproposto la doglianza
incentrata sulla violazione dell’art. 36 del d.l. 98/2011 e dell’art. 11 del
d.l. 216/2011 (incompetenza di Anas a gestire la gara e, segnatamente, a
ricevere le domande di partecipazione).
Ha rammentato quale fosse l’ordito normativo primario sotteso alla
doglianza ed ha ribadito che, contrariamente a quanto sostenuto dal primo
giudice, a partire dal 1 ottobre 2012, l’ Anas aveva perso qualsiasi competenza
quale ente concedente: tutte le funzioni in tal senso (non essendo stati
adottati i necessari atti per l’avvio dell’attività dell’Agenzia delle Strade)
erano state trasferite al Ministero.
Conseguentemente, benché Anas fosse ancora competente all’emanazione del
bando nel momento in cui era stato pubblicato l’avviso di rettifica oggetto del
ricorso per motivi aggiunti, tal avviso doveva considerarsi viziato da
incompetenza assoluta in ragione della fissazione del termine di presentazione
delle domande al 2 ottobre 2012 (data in cui, in ogni caso, Anas non sarebbe
più stata competente a ricevere tali domande -ma la competenza avrebbe dovuto
essere devoluta all’Agenzia per le Strade od al Ministero -).
In aperto contrasto con la citata normativa l’Anas aveva, in materia del
tutto illegittima, effettivamente e concretamente ricevuto le domande di
partecipazione.
Esse quindi erano state ricevute e custodite da un ente incompetente (con
evidenti potenziali impatti sulla par condicio e trasparenza
della procedura di gara considerato che alla data di scadenza del termine per
la presentazione delle domande, la stessa Anas – non più concedente – avrebbe
potuto presentare per sé una domanda di partecipazione).
La reiezione della doglianza da parte del Tar si fondava sulla applicazione
del principio tempus regit actum: senonchè proprio di tal principio
il Tar aveva fatto malgoverno.
Alla data dell’avviso di rettifica e riapertura dei termini, ovvero in data
10 agosto 2012 era già in vigore la disciplina contenuta nell’art. 11, comma 5,
del d.l. 216/2011, come modificato dall’art. 12, comma 79, del d.l. 95/2012,
che aveva fissato al 31settembre 2012 la data ultima per il trasferimento delle
funzioni all’Agenzia per le infrastrutture stradali ed autostradali, oppure, in
caso di mancata adozione dello statuto, al Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti.
Alla data di riapertura dei termini per le domande di partecipazione,
pertanto, la normativa in materia prevedeva espressamente che la competenza di
Anas non avrebbe potuto travalicare la data del 31 settembre 2012.
L’Anas, quindi, anche se competente alla data di adozione dell’avviso in
discorso (10 agosto 2012), essendo a conoscenza dell’imminente scadenza sopra
richiamata e avrebbe dovuto disporre che a far data dal 1 ottobre 2012 le
domande di partecipazione avrebbero dovuto essere presentate direttamente al
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Neppure poteva utilmente invocarsi il principio di continuità dell’azione
amministrativa (che legittima la permanenza di determinate funzioni in capo a
un organo decaduto onde impedire eventuali stasi procedimentali): esso non
poteva trovare applicazione ove, (come nel caso in specie) la legge avesse
individuato espressamente il nuovo titolare delle predette funzioni, a partire
dal giorno successivo alla decadenza del primo ente e senza alcuna soluzione di
continuità.
Neppure poteva essere considerata rilevante la circostanza che, al tempo
della fissazione del termine di presentazione delle domande di partecipazione,
l’Anas fosse ancora titolare delle funzioni concedenti nel settore
autostradale.
Il pacifico l’orientamento secondo cui il bando resiste allo ius
superveniens poteva predicarsi solo con riferimento a modifiche
normative idonee a incidere sul regolamento della gara e non anche in presenza
del trasferimento delle stesse funzioni amministrative di stazione appaltante a
un altro soggetto giuridico, pena l’insanabile carenza di attribuzione degli
atti emanati dal primo ente in vigenza delle nuove regole sulla competenza.
Tale plastica rappresentazione era peraltro dimostrata dalle condotte
tenute dalla Stazione appaltante: l’Anas non aveva più svolto, dopo aver
ricevuto le domande di partecipazione sino al 2 ottobre 2012, ulteriori
attività concorsuali, ma aveva provveduto a trasmettere tali domande al
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti affinché lo stesso provvedesse
allo svolgimento delle ulteriori procedure (accedendo alla tesi prospettata dal
TAR Lazio con la sentenza impugnata, l’Anas avrebbe dovuto continuare a
svolgere la procedura di gara).
La procedura quindi era sia stata viziata da un vulnus irreparabile
nel momento in cui l’Anas aveva ricevuto le domande di partecipazione: lo
stesso avviso pubblicato nell’agosto 2012 avrebbe dovuto tener conto del trasferimento
di funzioni al Ministero e prevedere la consegna delle domande direttamente a
quest’ultimo.
Con il secondo motivo di censura parte appellante ha criticato la
declaratoria di inammissibilità resa dal primo giudice con riferimento agli
ulteriori motivi di gravame prospettati nel ricorso introduttivo del giudizio
di primo grado e nel ricorso per motivi aggiunti.
Ha in proposito rammentato che, secondo una recente ed autorevole corrente
giurisprudenziale, la facoltà di immediata impugnativa dei bandi di gara non
era limitata all’ipotesi in cui questi ultimi contenessero clausole impeditive
della partecipazione alla gara di taluno degli aspiranti, ma doveva essere
estesa alle fattispecie in cui questi contenessero regole che rendessero la
partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile,
disposizioni abnormi o irragionevoli che rendessero impossibile il calcolo di
convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara ovvero
prevedessero abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione
dell'offerta, ovvero condizioni negoziali tali da rendere il rapporto
contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente, ovvero
che imponessero obblighi contra ius ovvero affetti da gravi
carenze nell'indicazione di dati essenziali per la formulazione dell'offerta o
del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi
della sicurezza non soggetti a ribasso.
Ciò secondo una indicazione – enucleata dalle varie pronunce
giurisprudenziali che avevano preso in esame la fattispecie - che non poteva
essere considerata di natura tassativa.
Nel caso di specie, ad avviso di parte appellante, ricorrevano proprio
talune delle dette evidenze: ed infatti nei motivi di impugnazione dichiarati
inammissibili dal primo giudice (e riproposti in appello) erano state censurate
alcune previsioni della lex specialis di gara che rendevano
estremamente difficoltosa la partecipazione alla gara, impedivano il calcolo di
convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara
medesima, così da ostacolare una consapevole formulazione dell’offerta e, per
altro verso, prevedevano criteri di valutazione incongrui e fonte di
incertezza.
Il primo giudice aveva “irrobustito” la declaratoria di inammissibilità,
facendo presente nella motivazione della sentenza impugnata, che –anche ad
aderire all’orientamento meno restrittivo che non limitava la immediata
impugnabilità dei bandi alla ipotesi in cui questi ultimi contenessero clausole
“escludenti”- l’appellante Autostrada del Brennero spa non avrebbe fornito la
dimostrazione delle difficoltà incontrate, aveva comunque presentato la domanda
di partecipazione nei termini e, comunque, la disciplina di gara sarebbe stata
integrata dalla successiva lettera di invito.
Senonchè, da un canto, la prima affermazione sarebbe stata errata in fatto,
posto che sarebbero state chiarite dall’appellante le ingenti difficoltà
incontrate per la partecipazione alla gara e riposanti nello scegliere se
partecipare singolarmente o in raggruppamento temporaneo con altri concorrenti,
le criticità nell’interfacciarsi con enti finanziatori, (non in grado di
valutare consapevolmente le condizioni economiche della concessione oggetto di
affidamento) etc.
Per altro verso, l’avvenuta presentazione di una domanda partecipativa non
poteva ostare alla immediata impugnazione del bando, né integrare acquiescenza
alcuna alle dette clausole (in ipotesi contraria il gravame della stessa
avrebbe rischiato la declaratoria di improcedibilità).
In ultimo, la lettera di invito poteva solo integrare e specificare il
bando di gara, ma non derogarvi, in quanto, in caso di contrasto, doveva essere
proprio il bando a prevalere: la maggior parte delle carenze riscontrate nel
bando di gara non apparivano suscettibili di essere colmate dalla lettera di
invito, la quale, per risolvere le illegittimità prospettate, avrebbe dovuto
addirittura contraddire il bando già pubblicato.
In ogni caso, comunque, l’ammissione della facoltà di impugnare tutte le
clausole del bando che siano idonee a determinare uno scorretto ed illegittimo
svolgimento della gara costituiva l’unica interpretazione che potesse
considerarsi conforme alla Costituzione ed alla normativa comunitaria.
Quanto soprattutto a quest’ultima, infatti, ad avviso di parte appellante,
l’affermazione della impossibilità di immediata impugnazione del bando di gara
si sarebbe posta in contrasto con il principio di tutela della concorrenza,
costringendo le imprese a partecipare ad una gara illegittima per poterla, quindi,
censurare, solo all’esito dell’intera procedura e importerebbe la violazione
dei principi contenuti nella c.d. direttiva ricorsi (direttiva 2007/66/CE),
tesa proprio a garantire l’effettività della tutela giurisdizionale nel settore
dei contratti pubblici.
In via subordinata, pertanto, l’appellante ha chiesto che venisse disposto
rinvio pregiudiziale alla Corte Costituzionale ed alla Corte di Giustizia per
la decisione in merito.
Con l’ultima parte dell’appello (censure nn. 3 - 9) infine, la originaria
ricorrente ha riproposto le censure dichiarate inammissibili dal Tar.
Ivi, si è contestata (deducendo i vizi di violazione di legge ed eccesso di
potere): la legittimità della previsione del bando di gara che prevedeva in
capo all'aggiudicatario il versamento annuo in via anticipata della somma di
Euro 70.000.000,00;
la presunta indeterminatezza del bando in ordine all'individuazione
dell'importo complessivo dei lavori e degli importi delle singole categorie di
lavori da realizzare;
la violazione del principio di segretezza dell'offerta derivante dalla
richiesta di presentazione delle attestazioni Soa in sede di prequalifica;
la violazione della direttiva ministeriale n.311/2011 per la mancata
individuazione nel bando delle opere infrastrutturali complementari;
la carenza degli elementi economici minimi necessari ai potenziali
concorrenti per valutare la concessione e l'opportunità di partecipare alla
gara;
l'illegittima prevalenza degli elementi quantitativi su quelli qualitativi
all'interno dei criteri di valutazione;
l'eccessivo peso riconosciuto ai criteri economico finanziari.
La Provincia Autonoma di Bolzano Alto Adige e la Regione Trentino Alto
Adige hanno depositato articolate memorie spiegando intervento ad
adiuvandum in favore dell’accoglimento dell’appello.
Hanno in proposito fatto presente che la legittimazione delle medesime
discendeva dalla circostanza che entrambe erano azioniste della società per
azioni originaria ricorrente, ed hanno chiesto l’accoglimento dell’appello
prospettando le identiche doglianze contenute nell’appello principale, del
quale hanno sostenuto la fondatezza.
L’appellante ha ribadito e puntualizzato le proprie difese mercè il
deposito di una articolata memoria.
L’appellata amministrazione non ha spiegato difese scritte.
Alla camera di consiglio del 7 maggio 2013 fissata per la delibazione della
istanza di sospensione della esecutività della sentenza gravata la trattazione
della controversia è stata differita al merito.
Alla odierna pubblica udienza del 17 dicembre 2013 la causa è stata posta
in decisione dal Collegio
Ricorso n. 2929/2013 avverso la sentenza n. 140/2013;
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale
del Lazio – sede di Roma - ha in parte dichiarato inammissibile ed in parte
irricevibile il ricorso di primo grado (corredato da motivi aggiunti) proposto
dall’odierna parte appellante e volto ad ottenere l’annullamento della
Direttiva assunta dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti d'intesa
con il Ministero dell'Economia e delle Finanze in data 10 agosto 2011 n.311 e
del bando di gara indetto dall’Anas spa recante “Affidamento in concessione
delle attività di costruzione relative alla realizzazione degli investimenti di
adeguamento e di manutenzione straordinaria dell’Autostrada A22 Brennero-Modena
di km 314, di completamento della realizzazione degli interventi previsti nella
convenzione sottoscritta in data 29 luglio 1999 tra Anas spa e la società
Autostrada del Brennero spa, successivamente integrata con la convenzione
aggiuntiva del 6.5.2004, della gestione e manutenzione dell’Autostrada A22
Brennero-Modena, nonché la realizzazione degli investimenti previsti
dall’art.47, comma 1, del decreto legge 31 maggio 2010, n.78, convertito con
modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n.122, che ha modificato l’art.8-duodecies del
decreto legge 8 aprile 2008, convertito con modificazioni dalla legge 6 giugno
2008 n.101” dell’8 settembre 2011, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – Serie
speciale Contratti pubblici – n.107 del 12 settembre 2011.
Gli enti pubblici originari ricorrenti (il cui territorio era attraversato
dall'Autostrada A22 Modena-Brennero) avevano proposto mercè il ricorso
introduttivo del giudizio, tre articolate censure di violazione di legge ed
eccesso di potere.
Con successivo ricorso per motivi aggiunti essi avevano gravato l'avviso di
rettifica e di riapertura dei termini relativi alla gara de qua,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - Serie speciale Contratti Pubblici - n. 93
del 10.8.2012, deducendo a tal fine ulteriori doglianze.
Il primo giudice ha in via preliminare saggiato la consistenza delle
eccezioni preliminari proposte dalle odierne parti appellate e le ha ritenute
persuasive.
Ricostruito il tessuto normativo sotteso alla vicenda contenziosa, il Tar è
pervenuto all’affermazione per cui la avversata direttiva assunta dal Ministero
delle Infrastrutture e dei Trasporti d'intesa con il Ministero dell'Economia e
delle Finanze in data 10 agosto 2011 n.311 aveva natura di mero atto interno
infraprocedimentale, in quanto finalizzata a stabilire il futuro contenuto del
bando e del disciplinare di gara: essa pertanto, era priva di alcuna diretta
efficacia lesiva nei confronti dei terzi, con la conseguenza che eventuali
illegittimità della direttiva de qua potevano essere
prospettate unicamente attraverso l'impugnativa del bando (che costituiva
l'atto finale della procedura di cui al menzionato art.8-duodecies e
che, recependone i contenuti, aveva natura di atto applicativo, e direttamente
lesivo della posizione giuridica degli odierni enti pubblici originari
ricorrenti).
Il mezzo proposto avverso la direttiva, pertanto, doveva essere dichiarato
inammissibile.
Quanto alle censure proposte avverso il bando di gara, invece, esse
dovevano essere dichiarate irricevibili, in quanto il gravame era stato
notificato in data 13.1.2012, mentre il bando era stato pubblicato sulla G.U.
n.107 del 12 settembre 2011.
In ultimo e con riferimento ai motivi aggiunti, questi ultimi erano stati
proposti avverso l'avviso di rettifica del bando: esso si limitava a disporre
la riapertura dei termini di presentazione delle manifestazioni di interesse
nonchè a modificare alcune diposizioni dell'originario bando.
Ne discendeva che l’intero ricorso per motivi aggiunti doveva essere
dichiarato inammissibile in quanto - per gli aspetti censurati con le dette
doglianze, identiche a quelle formulate in via principale - l'avviso di
rettifica risultava essere meramente confermativo del bando.
L’odierna parte appellante, già ricorrente rimasta soccombente nel giudizio
di prime cure ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe
chiedendo la riforma dell’appellata decisione e riproponendo le censure
disattese in primo grado (ad eccezione del primo motivo di ricorso, relativo
alla supposta carenza dell’iniziativa governativa volta ad avviare consultazioni
presso la Commissione europea allo scopo di ravvisare se sussistessero
“soluzioni diverse che potessero assicurare i medesimi introiti per il bilancio
dello Stato garantendo il finanziamento incrociato per il tunnel di base del
Brennero e le relative tratte di accesso nonché la realizzazione da parte del
concessionario di opere infrastrutturali complementari sul territorio di
riferimento” del quale ha lealmente affermato che era emersa la infondatezza in
sede di contraddittorio processuale).
Ha in primo luogo ripercorso l’iter infraprocedimentale che
aveva condotto all’adozione degli atti avversati in primo grado, ed ha
provveduto a reiterare le argomentazioni contenute nel mezzo di primo grado,
chiarendo quale fosse l’interesse che aveva determinato gli enti locali
impugnanti ad insorgere avverso detti atti e le censure che gli stessi avevano
articolato.
Ha fatto presente che la direttiva ministeriale da essi impugnata era stata
conosciuta in data successiva alla impugnazione del bando di gara e, perdipiù,
in modo assolutamente casuale.
Ha quindi censurato la statuizione di inammissibilità del gravame, ed il
punto di partenza sulla quale quest’ultima si è fondata, consistente nel
convincimento per cui la Direttiva aveva natura (esclusivamente) endoprocedimentale,
mentre l’atto conclusivo del procedimento doveva essere individuato nel bando
di gara (quest’ultimo, pacificamente, rivestente natura provvedimentale).
Parte appellante ha in proposito sostenuto che alla Direttiva dovesse
essere attribuito pacifico contenuto provvedimentale (imponendo quest’ultima
all’Anas il quomododell’affidamento evidenziale della concessione
autostradale).
Ha inoltre sostenuto che la sentenza era errata laddove, dopo avere
affermato che il Bando costituiva “atto applicativo” della Direttiva, perveniva
poi alla contraddittoria asserzione secondo la quale l’unico atto lesivo per le
odierne parti appellanti dovesse essere individuato proprio nel bando.
Al contrario, la lesione discendeva, semmai, dall’atto “genetico” (id
est: la Direttiva) del quale il bando di gara costituiva mera attuazione
vincolata.
I comuni impugnanti non erano né interessati, né legittimati, ad impugnare
il bando di gara (interesse, semmai, che sarebbe potuto essere pertinenti agli
imprenditori aspiranti affidatari): essi, in quanto enti locali il cui
territorio era attraversato dall’opera, avevano interesse a gravare la
Direttiva.
Spettava infatti a quest’ultima individuare (e tale omissione costituiva
grave lacuna e fonte di certa illegittimità della stessa) quali fossero le
opere infrastrutturali da realizzare, la cui esecuzione sarebbe spettata al
futuro concessionario.
Le odierne parti appellanti avevano “esteso” l’impugnativa al bando di
gara, unicamente ex art. 34 comma 1 lett. e) del cpa.
Il bando, inoltre, non possedeva lesività intrinseca ed indipendente
rispetto alla Direttiva, in quanto non comportava l’approvazione di alcun
progetto di opera pubblica, né preliminare, né definitivo.
E ciò in quanto, la Direttiva, contravvenendo al disposto di cui all’art.
8-duodecies del decreto legge 8 aprile 2008 affidava all’Anas il
compito di indicare le opere infrastrutturali complementari; ulteriormente
contravvenendo allo spirito ed alla lettera della legge, neppure l’Anas, con il
bando di gara (comunque carente di ogni formale progettazione) aveva indicato
quali dovessero essere dette opere rinviando l’ostensione della indicazione
delle stesse alla fase successiva alla prequalifica e, quindi, successivamente
alla ricezione della lettera-invito.
Ne conseguiva che era ben vero che l’impugnazione avrebbe potuto in futuro
rivolgersi verso le lettere-invito, ma che, comunque, dette lettere di invito
non dovevano essere necessariamente rese note agli Enti territoriali
attraversati dall’opera, di guisa che l’impugnazione della Direttiva si
appalesava corretta e tempestiva.
In ogni caso, anche ad aderire alla tesi principale esposta dal Tar,
appariva del tutto incongruo non ritenere che l’avviso di rettifica non
costituisse atto idoneo a riaprire i termini di impugnazione, in quanto
quest’ultimo aveva operato una sostanziale e consistente rielaborazione del
bando di gara.
L’appellante ha poi riproposto tutti i motivi di censura già prospettati in
primo grado, (ad eccezione, come detto prima, del primo di essi, cui ha espressamente
rinunciato).
E’ stato in particolare riproposto il secondo motivo del mezzo di primo
grado (incentrato sulla dedotta violazione dell'art.8-duodecies del
d.l. n.59/2008) ribadendosi che la Direttiva era carente di un elemento
essenziale, riposante nella anticipata indicazione delle opere complementari,
posto che la detta prescrizione normativa non aveva assolutamente demandato
tale indicazione al bando di gara (siccome immotivatamente sostenuto dalle
Amministrazioni originarie resistenti).
Parimenti è stato riproposto il terzo motivo del mezzo di primo grado
(violazione di legge per violazione della norma di risulta derivante dalla
dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art.8-duodecies del
d.l. n.59/2008) sostenendosi che era stato violato il principio di leale
collaborazione e di sussidiarietà, oltre che di concertazione con le autonomie
locali, in quanto era stata del tutto obliata la necessità di coinvolgere gli
enti locali nel processo decisionale di allocazione delle opere complementari
(la eventuale concertazione nella fase dell’approvazione dei progetti non
poteva rimediare al vulnus determinato dalla impossibilità di
interloquire in ordine alla individuazione delle opere predette, ed allocazione
delle stesse).
La Provincia Autonoma di Bolzano Alto Adige ha depositato una articolata
memoria spiegando intervento ad adiuvandum in favore
dell’accoglimento dell’appello prospettando le identiche doglianze contenute
nell’appello principale, del quale ha sostenuto la fondatezza.
Le appellate amministrazioni non hanno spiegato difese scritte.
Alla camera di consiglio del 4 giugno 2013 fissata per la delibazione della
istanza di sospensione della esecutività della sentenza gravata la trattazione
della controversia è stata differita al merito.
Alla odierna pubblica udienza del 17 dicembre 2013 la causa è stata posta
in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1.I due appelli suindicati devono essere riuniti in quanto, sebbene non
diretti a gravare la medesima sentenza, sono palesemente connessi sia sotto il
profilo soggettivo che, soprattutto, sotto il profilo oggettivo, in quanto
diretti a gravare gli stessi atti facenti parte della medesima sequenza infraprocedimentale.
1.1. Rilevato in via preliminare che né l’appellante società (quanto
all’appello proposto avverso la decisione del Tar n. 149/2013) né l’appellante
Consorzio di Comuni (quanto all’appello proposto avverso la decisione del Tar
n. 140/2013) hanno riproposto il rispettivo primo motivo di censura riposante
nella asserita omissione della fase di preventiva verifica da parte del Governo
presso la Commissione europea di soluzioni diverse da quelle previste
nell’art..8-duodecies, comma 2, del D.L. n.59/2008, ritiene il Collegio
di esaminare in via prioritaria la radicale censura di incompetenza proposta
dalla società attuale concessionaria ed odierna appellante nell’ambito
dell’appello n. 2539/2013.
Essa infatti riveste portata prioritaria sotto il profilo logico posto che,
laddove venisse accolta, determinerebbe la integrale caducazione del bando di
gara, sin dalla fase genetica della procedura.
1.2.Il Collegio ritiene che la censura sia infondata.
1.3.Sebbene non vi sia contrasto in ordine alle disposizioni normative
applicabili alla fattispecie ritiene il Collegio utile, anche a fini di
chiarezza espositiva, rammentarne il contenuto.
Stabilisce il D.L. 31-5-2010 n. 78, all’art. 47 comma 1, nel testo
modificato dalla legge di conversione 30 luglio 2010, n. 122 (recante
“concessioni autostradali”) che “all'articolo 8-duodecies del
decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge
6 giugno 2008, n. 101, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 2 le parole: «31 dicembre 2009» sono sostituite dalle seguenti:
«31 luglio 2010»;
b) il comma 2-bis è sostituito dal seguente:
«2-bis. La società Anas S.p.a., salva la preventiva verifica da parte del
Governo presso la Commissione europea di soluzioni diverse da quelle previste
nel presente comma che assicurino i medesimi introiti per il bilancio dello
Stato e che garantiscano il finanziamento incrociato per il tunnel di base del
Brennero e le relative tratte di accesso nonché la realizzazione da parte del
concessionario di opere infrastrutturali complementari sul territorio di
riferimento, anche urbane o consistenti in gallerie, entro il 31 dicembre 2010
pubblica il bando di gara per l'affidamento della concessione di costruzione e
gestione dell'autostrada del Brennero. A tal fine il Ministro delle
infrastrutture e dei trasporti d'intesa con il Ministro dell'economia e delle
finanze, impartisce direttive ad Anas S.p.a. in ordine ai contenuti del bando
di gara e del relativo capitolato o disciplinare, ivi compreso il valore della
concessione, le relative modalità di pagamento e la quota minima di proventi
annuale, comunque non inferiore a quanto accantonato in media negli esercizi
precedenti, che il concessionario è autorizzato ad accantonare nel fondo di cui
all'articolo 55, comma 13, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 nonché
l’indicazione delle opere infrastrutturali complementari, anche urbane o
consistenti in gallerie, la cui realizzazione, anche mediante il ricorso alla
finanza di progetto, deve rientrare tra gli obblighi assunti dal
concessionario. II predetto bando deve prevedere un versamento annuo di 70
milioni di euro, a partire dalla data dell'affidamento e fino a concorrenza del
valore di concessione, che viene versato all'entrata del bilancio dello Stato.
Nella determinazione del valore di concessione, di cui al periodo precedente,
vanno in ogni caso considerate le somme già erogate dallo Stato per la
realizzazione dell'infrastruttura.».
Il d.L. 6-7-2011 n. 98, poi, all’art. 36 (recante disposizioni in materia
di riordino dell'Anas S.p.A.) nel testo modificato dalla legge di conversione
15 luglio 2011, n. 111 e, successivamente, dall'art. 36, comma 3, lett. b), n.
1, D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo
2012, n. 27 così prevede ai primi quattro commi: “A decorrere dal 1° gennaio
2012 è istituita, ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo 30 luglio
1999, n. 300, e successive modificazioni, presso il Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti e con sede in Roma, l'Agenzia per le
infrastrutture stradali e autostradali. Il potere di indirizzo, di vigilanza e
di controllo sull'Agenzia è esercitato dal Ministro delle infrastrutture e dei
trasporti; in ordine alle attività di cui al comma 2, il potere di indirizzo e
di controllo è esercitato, quanto ai profili finanziari, di concerto con il
Ministero dell'economia e delle finanze. L'incarico di direttore generale,
nonché quello di componente del comitato direttivo e del collegio dei revisori
dell'Agenzia ha la durata di tre anni.
2. L'Agenzia, anche avvalendosi di Anas s.p.a., svolge i seguenti compiti e
attività ferme restando le competenze e le procedure previste a legislazione
vigente per l'approvazione di contratti di programma nonché di atti
convenzionali e di regolazione tariffaria nel settore autostradale e nei limiti
delle risorse disponibili agli specifici scopi:
a) proposta di programmazione della costruzione di nuove strade statali,
della costruzione di nuove autostrade, in concessione ovvero in affidamento
diretto ad Anas s.p.a. a condizione che non comporti effetti negativi sulla
finanza pubblica, nonché, subordinatamente alla medesima condizione, di
affidamento diretto a tale società della concessione di gestione di autostrade
per le quali la concessione sia in scadenza ovvero revocata;
b) quale amministrazione concedente:
1) selezione dei concessionari autostradali e relativa aggiudicazione;
2) vigilanza e controllo sui concessionari autostradali, inclusa la
vigilanza sull'esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in
concessione e il controllo della gestione delle autostrade il cui esercizio è
dato in concessione;
3) in alternativa a quanto previsto al numero 1), affidamento diretto ad
Anas s.p.a., alla condizione di cui alla lettera a), delle concessioni, in
scadenza o revocate, per la gestione di autostrade, ovvero delle concessioni
per la costruzione e gestione di nuove autostrade, con convenzione da
approvarsi con decreto del Ministro dell'infrastruttura e dei trasporti di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
4) si avvale, nell'espletamento delle proprie funzioni, delle società miste
regionali Autostrade del Lazio s.p.a., Autostrade del Molise s.p.a.,
Concessioni Autostradali Lombarde s.p.a. e Concessioni Autostradali Piemontesi
s.p.a., relativamente alle infrastrutture autostradali, assentite o da
assentire in concessione, di rilevanza regionale;
c) approvazione dei progetti relativi ai lavori inerenti la rete
autostradale di interesse nazionale, che equivale a dichiarazione di pubblica utilità
ed urgenza ai fini dell'applicazione delle leggi in materia di espropriazione
per pubblica utilità;
d) proposta di programmazione del progressivo miglioramento ed adeguamento
della rete delle strade e delle autostrade statali e della relativa segnaletica;
e) proposta in ordine alla regolazione e variazioni tariffarie per le
concessioni autostradali secondo i criteri e le metodologie stabiliti dalla
competente Autorità di regolazione, alla quale è demandata la loro successiva
approvazione;
f) vigilanza sull'attuazione, da parte dei concessionari, delle leggi e dei
regolamenti concernenti la tutela del patrimonio delle strade e delle
autostrade statali, nonché la tutela del traffico e della segnaletica;
vigilanza sull'adozione, da parte dei concessionari, dei provvedimenti ritenuti
necessari ai fini della sicurezza del traffico sulle strade ed autostrade
medesime;
g) effettuazione e partecipazione a studi, ricerche e sperimentazioni in
materia di viabilità, traffico e circolazione;
h) effettuazione, a pagamento, di consulenze e progettazioni per conto di
altre amministrazioni od enti italiani e stranieri.
3. A decorrere dal 1° gennaio 2012 Anas s.p.a. provvede, nel limite delle
risorse disponibili e nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica,
esclusivamente a:
a) costruire e gestire le strade, ivi incluse quelle sottoposte a pedaggio,
e le autostrade statali, anche per effetto di subentro ai sensi del precedente
comma 2, lettere a) e b) incassandone tutte le entrate relative al loro utilizzo,
nonché alla loro manutenzione ordinaria e straordinaria;
b) realizzare il progressivo miglioramento ed adeguamento della rete delle
strade e delle autostrade statali e della relativa segnaletica;
c) curare l'acquisto, la costruzione, la conservazione, il miglioramento e
l'incremento dei beni mobili ed immobili destinati al servizio delle strade e
delle autostrade statali;
d) espletare, mediante il proprio personale, i compiti di cui al comma 3
dell'articolo 12 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e all'articolo
23 del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, nonché
svolgere le attività di cui all'articolo 2, comma 1, lettere f), g), h) ed i),
del decreto legislativo 26 febbraio 1994, n. 143;
d-bis) approvare i progetti relativi ai lavori inerenti la rete
stradale e autostradale di interesse nazionale, non sottoposta a pedaggio e in
gestione diretta, che equivale a dichiarazione di pubblica utilità ed urgenza
ai fini dell'applicazione delle leggi in materia di espropriazione per pubblica
utilità.
4. Entro la data del 30 settembre 2012, l'Agenzia subentra ad Anas s.p.a.
nelle funzioni di concedente per le convenzioni in essere alla stessa data. A
decorrere dalla medesima data in tutti gli atti convenzionali con le società regionali,
nonché con i concessionari di cui al comma 2, lettera b), il riferimento fatto
ad Anas s.p.a., quale ente concedente, deve intendersi sostituito, ovunque
ripetuto, con il riferimento all'Agenzia di cui al comma 1.”
Il d.L. 29-12-2011 n. 216, all’art. 11 comma 5 (recante “ Proroga di
termini in materia di infrastrutture e trasporti”) ha stabilito che “Fino alla
data di adozione dello statuto dell'Agenzia per le infrastrutture stradali e
autostradali, e comunque non oltre il 30 settembre 2012, le funzioni e i
compiti ad essa trasferiti ai sensi dell'articolo 36 del decreto-legge 6 luglio
2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111,
e successive modificazioni, continuano ad essere svolti dai competenti uffici
delle Amministrazioni dello Stato e dall'Ispettorato di vigilanza sulle
concessionarie autostradali e dagli altri uffici di Anas s.p.a. In caso di
mancata adozione, entro il predetto termine, dello statuto e del decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri di cui all'articolo 36, comma 5, settimo
periodo, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, l'Agenzia è soppressa e le attività e i
compiti già attribuiti alla medesima sono trasferiti al Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti a decorrere dal 1° ottobre 2012, che rimane
titolare delle risorse previste dall'articolo 36, comma 5, del decreto-legge 6
luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011,
n. 111, e cui sono contestualmente trasferite le risorse finanziarie umane e
strumentali relative all'Ispettorato di vigilanza sulle concessionarie
autostradali di cui al medesimo comma 5.”
La normativa di interesse, pertanto, si è stratificata attraverso
successive previsioni, in virtù delle quali l'art.36 del d.lg. n.98/2011
(recante la istituzione a decorrere dal 1° gennaio 2012 dell'Agenzia per le
Infrastrutture stradale ed autostradali competente, tra l’altro, alla selezione
dei concessionari autostradali e relativa aggiudicazione) è stato
sostanzialmente procrastinato dall'art.11 comma 5 del d.l. n.216/2011, nel
testo a sua volta modificato dall’art.12, comma 79, del d.l. n.95/2012 (il
termine originariamente previsto e fissato al 31 marzo 2012 è stato definitivamente
individuato nella data del 30 settembre 2012).
L’Anas, quindi, indiscutibilmente, non essendo stato adottato il predetto
statuto dell'Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali sino al 30
settembre 2012 era competente ad emanare il bando, l’avviso di rettifica(datato
10 agosto 2012), ed a ricevere le offerte.
Ad avviso della società appellante, però, era pacifico che a partire dal 1
ottobre 2012, Anas aveva perso qualsiasi competenza quale ente concedente e
tutte le funzioni in erano state trasferite al Ministero.
Conseguentemente, benché Anas fosse ancora competente all’emanazione del
bando nel momento in cui era stato pubblicato l’avviso di rettifica oggetto del
ricorso per motivi aggiunti, tal avviso non potrebbe che considerarsi viziato
da incompetenza assoluta in ragione della fissazione del termine di
presentazione delle domande al 2 ottobre 2012, data in cui,in ogni caso, Anas
non sarebbe più stata competente a ricevere tali domande (ma la competenza
avrebbe dovuto essere dell’Agenzia per le Strade o del Ministero).
1.4. Rileva in primo luogo il Collegio che la censura di incompetenza è
all’evidenza fondata su un errato presupposto: il presupposto errato, infatti,
è quello per cui una amministrazione pubblica che bandisce una gara, non possa
liberamente delibare che le offerte vadano materialmente presentate ad altra
pubblica amministrazione, e che l’eventuale previsione in tal senso vizii
irrimediabilmente il procedimento di gara.
In disparte le specificità della odierna situazione – dalla cui disamina
non ci si intende sottrarre e che pure verrà nel prosieguo analizzata - rileva
il Collegio che, in via teorica, nulla impedisce ad una Amministrazione
aggiudicatrice di stabilire che le offerte vadano presentate presso altra
Amministrazione. Purchè la stessa sia competente alla emanazione della
statuizione in oggetto al momento in cui la assume (ed il dato non solo non è
contestato, nel caso di specie, ma è anzi pacificamente ammesso
dall’appellante) non si pone alcun vizio di incompetenza, posto che nessuna
disposizione di legge vieta che la materiale consegna delle offerte contempli
un destinatario diverso da quello individuabile nell’Amministrazione che
bandisce la gara (esemplificativamente, ciò potrebbe avvenire per ragioni di
sicurezza, di mera comodità etc).
Nessun vizio è ravvisabile, e men che mai quello della “incompetenza a
ricevere”.
1.4.1. Si potrebbe – semmai - porre una problematica di logicità,
razionalità, ovvero di eventuale abnormità di una simile previsione, ma nessuno
di tali vizi è stato sollevato da parte appellante, la quale si è limitata ad
ipotizzare una “incompetenza assoluta” del tutto insussistente (sebbene non si
possa negare che, di regola, l’Amministrazione che bandisce la gara gestisce in
proprio ogni fase del procedimento ed, anche, quella afferente alla ricezione
delle offerte)
Sotto il profilo sostanziale, poi, l’appellante si è limitata a dedurre una
circostanza del tutto ipotetica, non sussistente, ed in realtà non
verificatasi, rappresentata nel possibile vulnus ai principi
di trasparenza, par condicio, e segretezza delle offerte, riposante nella
circostanza che l’Anas avrebbe potuto in proprio partecipare alla gara.
Ma tale ipotetica circostanza (della quale è pur lecito dubitare, seppure
ragionando in via di ipotesi, posto che l’Anas aveva redatto il bando e quindi
per ciò solo non avrebbe potuto presentare offerte “in proprio”) non si è
certamente verificata, di guisa che nessun vizio sostanziale può ravvisarsi.
1.5. In sintesi: una Amministrazione aggiudicatrice potrebbe legittimamente
prevedere, in via di ipotesi, che, ad esempio, le offerte si consegnino
mediante recapito presso una cassetta di sicurezza bancaria (piuttosto che
presso la locale caserma dei CC, ottenutone il preventivo consenso): certamente
non si porrebbe alcun problema di incompetenza. Nel caso di specie è anche
escluso qualsivoglia vizio sostanziale, di guisa che la censura va certamente
disattesa.
1.6. Ad abundantiam, può aggiungersi che, comunque, anche a non
volere concordare con la tesi prima esposta, ed avuto riguardo al principio tempus
regit actum nessun vizio di incompetenza ex ante può
ravvisarsi e la previsione del bando appare logica e congruente: al momento in
cui la gara venne bandita ed ancora al momento dell’adozione dell’avviso di
rettifica, Anas era senz’altro competente e pertanto appare logico ed immune da
mende l’avere previsto che il recapito delle offerte avvenisse presso i propri
uffici.
La previsione contenuta nel bando appare altresì corretta anche valutata ex
post, laddove si consideri che la stessa “nascita” dell'Agenzia per le
infrastrutture stradali e autostradali è stata più volte differita, di guisa
che non poteva con certezza essere stabilito l’effettivo momento di cessazione
delle funzioni da parte dell’Anas, e soprattutto che neppure era preconizzabile ex
ante quale sarebbe stato il soggetto “beneficiario” del detto
trasferimento di competenze (l'Agenzia per le infrastrutture stradali e
autostradali ove ne fosse stato adottato lo statuto, ovvero il Ministero, in
ipotesi contraria).
Stando così le cose, il bando non poteva che individuare il soggetto
ricettore delle offerte nell’Ente che aveva bandito la gara, ogni altra
indicazione rischiando di risultare “errata” ex post e non
potendosi certamente, per esigenze di certezza ed univocità delle prescrizioni
della lex specialis, dettare una disposizione perplessa od incerta,
di natura “alternativa” in punto di soggetto competente a ricevere le offerte.
In conclusione, da qualunque angolo prospettico venga valutata, la censura
non appare persuasiva e va pertanto disattesa.
2. Vanno esaminate in via prioritaria, adesso, in quanto anch’esse
rivestenti portata logicamente pregiudiziale (ed anzi, forse, per quel che si
rileverà di seguito, ancor più della censura proposta da Autobrennero ed
esaminata per prima) le censure proposte dagli enti pubblici locali originarii
ricorrenti nell’ambito del ricorso in appello n. 2929/2013 e volte ad avversare
la statuizione di inammissibilità della impugnazione di primo grado proposta
avverso la Direttiva n. 311 del 10 agosto 2011.
Il ragionamento seguito dal primo giudice per pervenire a siffatta
statuizione in rito, può essere sintetizzato nel seguente modo:
a) la Direttiva è atto infraprocedimentale, sprovvisto di valenza
provvedimentale e non immediatamente lesivo e le cui prescrizioni si
attualizzano attraverso il bando, per cui essa poteva essere impugnata soltanto
congiuntamente al bando;
b) posto che il gravame proposto contro tale ultimo provvedimento è
irricevibile in quanto tardivo, ne deve discendere la inammissibilità del mezzo
proposto avverso la richiamata Direttiva n. 311/2011.
Come rilevato nella parte in fatto, l’odierna parte appellante ha criticato
sotto ogni angolo prospettico detto iter motivazionale.
2.1. Talune delle censure proposte persuadono il Collegio, proprio in virtù
del petitum sostanziale posto a base dell’atto di impugnazione
di primo grado.
2.1.1. Invero, se si può in linea di principio convenire con la
ricostruzione del primo giudice in punto di natura degli atti avversati,
occorre parimenti rilevare che non persuadono le affermazioni “assolute” del
Tar secondo le quali la avversata Direttiva possedesse esclusivamente natura infraprocedimentale.
2.1.2. E’ vero, semmai, che – in quanto la emissione della stessa era
immediatamente prevista ex lege (si veda il testo modificato
dell’ articolo 8-duodecies del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59
riportato prima) e che il compito ad essa affidato da detta legge-provvedimento
riposava nella fissazione della cornice fondamentale entro cui si sarebbe
dovuto formulare il bando di gara da parte dell’Anas – occorre con accuratezza
esplorare se, alla luce delle censure articolate e dell’interesse vantato dalla
odierna parte appellante, la Direttiva medesima contenesse previsioni atte ad
ingenerare una immediata lesione, scongiurabile, in via di principio,
unicamente laddove il bando si fosse a propria volta discostato dalle
“istruzioni” (il che, comunque, oltre a non essere avvenuto, nella stessa
prospettazione di parte appellante, costituisce evenienza che avrebbe a propria
volta implicato delicati problemi di possibile illegittimità dello stesso per
contrasto con la fonte “superior”).
2.1.3. A tale proposito rileva il Collegio che le doglianze prospettate
dagli Enti locali originari ricorrenti, sono sostanzialmente due: si “imputa”
alla Direttiva infatti, di avere contravvenuto alla legge laddove quest’ultima
imponeva che la Direttiva medesima, tra l’altro, indicasse “le opere
infrastrutturali complementari, anche urbane o consistenti in gallerie, la cui
realizzazione, anche mediante il ricorso alla finanza di progetto, deve
rientrare tra gli obblighi assunti dal concessionario”; si imputa alla
Direttiva medesima ed alla norma di legge succitata (tanto che si ipotizza una
censura di incostituzionalità della medesima in relazione al disposto di cui
all’art. 8 dello Statuto per la regione Trentino Alto Adige – Südtirol in
quanto la funzione di tutela del paesaggio e di governo del territorio,
appartengono alla potestà legislativa primaria della Provincia) di non avere
previsto – in relazione alle dette opere- alcuna forma di concertazione con le
autonomie locali medesime per quanto riguarda la scelta della allocazione delle
medesime.
2.1.4. Avuto riferimento al detto petitum, sono evidenti due
conseguenze: la prima di esse, riposa nella condivisione della affermazione
ascrivibile alla odierna parte appellante secondo cui essa non avrebbe avuto
alcun interesse ad impugnare il bando di gara (tanto che, a più riprese, nel
mezzo di primo grado –pag. 15, ad esempio- si era fatto presente che la
impugnazione del stesso era stata proposta soltanto a fine tuzioristico); la
seconda di esse, viceversa, vale a smentire l’affermazione (comunque proposta
in via subordinata) secondo cui, nella pacifica constatazione della
irricevibilità della impugnazione di primo grado volta ad avversare il bando,
l’avviso di rettifica, in quanto modificativo di parti significative del bando
medesimo avrebbe avuto l’effetto di riaprire i termini di impugnazione.
Proprio in considerazione della natura delle censure proposte, invero,
l’avviso di rettifica in nulla sarebbe valso a riaprire i termini della
impugnazione proposta ed a “salvare” dalla irricevibilità la impugnazione del
bando medesimo, ove ritenuta necessaria.
2.1.5. Il vero è, però, che ad avviso del Collegio non sarebbe stato
necessario gravare il detto bando (di guisa che la irricevibilità della
impugnazione del medesimo non assume effetto preclusivo ai fini della
ammissibilità del gravame proposto avverso la Direttiva) in quanto l’effetto
lesivo denunciato da parte appellante (ed ovviamente valutato in relazione alle
espresse enunciazioni di quest’ultima, alla natura delle attribuzioni alla
stessa pertinenti e, in via di ipotesi lese) era direttamente ascrivibile alla
Direttiva medesima e, per il vero, avuto riguardo alla articolazione delle censure,
alla legge che la prevedeva.
2.2. Nei termini di cui alla motivazione che precede, pertanto, la gravata
decisione n. 140/2013 va riformata, deve essere affermata la ammissibilità del
gravame di primo grado proposto avverso la più volte citata Direttiva n. 311
del 10 agosto 2011 ed il Collegio può esaminare nel merito i motivi di
doglianza prospettati in primo grado (non rientrando, la erronea declaratoria
di inammissibilità del ricorso di primo grado tra le ipotesi di rimessione
della causa al primo giudice ex art. 105 del cpa,- si veda ex multis Cons.
Stato Sez. III, 07-12-2011, n. 6453 - in sostanziale continuità con la
pregressa elaborazione giurisprudenziale secondo la quale all’erronea
declaratoria della inammissibilità dell’impugnazione non segue l’annullamento
con rinvio della appellata decisione, non ricorrendo l’ipotesi di “difetto di
procedura o vizio di forma” di cui all’art. 35 della legge n. 1034/1971 -si
veda, ex multis, sul punto Consiglio di Stato , sez. V, 23 aprile
1998, n. 474-).
2.3. Ciò premesso, la prima censura proposta, attiene allo scrutinio di
legittimità della contestata Direttiva a cagione dell’asserita frontale
collisione della medesima con il disposto di cui alla prescrizione di legge che
la prevede e disciplina, nella parte in cui si sarebbe reso necessario che
venissero sin da subito indicate le principali opere complementari da eseguirsi
a cura del concessionario).
2.3.1. La censura che, – lo si anticipa- appare al Collegio persuasiva
verrà esaminata di seguito, unitamente alla identica doglianza proposta dalla
Società Autobrennero nel riunito ricorso in appello.
2.4. Allo stato, invece, il Collegio concentrerà il proprio esame sulla
seconda articolazione della censura (alla quale la stessa parte appellante ha
attribuito portata pregiudiziale) attingente in via immediata e diretta la più
volte richiamata norma di legge di cui al predetto comma 2 bis.
Di fatto, per quanto si è finora chiarito, il denunciato contrasto (non
tanto della Direttiva gravata, quanto) del presupposto quadro normativo
rispetto ai referenti costituzionali evocati nel gravame svela la reale
sostanza del gravame: con il quale – ed è questo l’obiettivo di fondo che la
parte odierna appellante, con ogni evidenza, ha inteso ripromettersi di
conseguire – si sollecita l’adito giudice amministrativo a verificare la
compatibilità costituzionale della legge anzidetta, impiegando (in maniera
svelatamente surrettizia) la Direttiva ed il bando (la cui assenza di portata
lesiva è stata a più riprese affermata dalla stessa parte odierna appellante)
quali “veicoli” per la devoluzione della relativa questione al vaglio del
giudice delle leggi.
Ciò persuade il Collegio della circostanza che il “vero” thema
decidendum vada come sopra individuato, in sostanza, nella (valutazione
della) compatibilità costituzionale (rectius: della possibile –o meno-
non manifesta infondatezza della sospettata incompatibilità) e delle
disposizioni contenute nel citato comma 2-bis dell’ articolo 8-duodecies del
decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge
6 giugno 2008, n. 101 in relazione al disposto di cui all’art. 8 dello Statuto
per la regione Trentino Alto Adige – Südtirol.
Ad avviso di parte appellante, posto che – a tenore della richiamata
disposizione statutaria - le funzioni di tutela del paesaggio e di governo del
territorio appartengono alla potestà legislativa primaria della Provincia si
sarebbe ivi dovuta prevedere una necessaria interlocuzione con gli enti locali
interessati dalle opere.
2.5.La doglianza non persuade il Collegio.
E’ ben noto che, ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. 31-8-1972 n. 670 (recante
“approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige) le Province “hanno la potestà di emanare
norme legislative entro i limiti indicati dall'art. 4” in una congerie di
materie tra le quali si annoverano, tra l’altro, per quanto di interesse nel
presente procedimento (anche in relazione all’articolazione della doglianza nei
termini formulati da parte appellante)… 5) urbanistica e piani regolatori;6)
tutela del paesaggio.
E’ altresì vero, però, che, ai sensi di quanto espressamente disposto
dall’art. 19 del D.P.R. 22-3-1974 n. 381 (recante norme di attuazione dello
statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica
ed opere pubbliche) “salvo quanto disposto dai successivi commi del presente
articolo, resta ferma la competenza degli organi statali in ordine:
a) alle strade statali;
b) alle autostrade che si estendono oltre il territorio della provincia,
salva la necessità dell'intesa con la provincia interessata per quelle il cui
tracciato interessi soltanto il territorio provinciale e quello di una regione
finitima; restano peraltro di esclusiva competenza dello Stato anche per tali
autostrade i provvedimenti successivi all'atto di concessione che sia stato
emanato anteriormente all'entrata in vigore del presente decreto, anche se
relativi a varianti, completamenti e prolungamenti del tracciato originario;”
I successivi commi del citato articolo, peraltro, non autorizzano a trarre
argomenti nel senso di un residuo ritaglio di competenze spettanti alla
Provincia regionale, in subiecta materia, posto che gli stessi
dispongono che “A decorrere dal 1° luglio 1998 sono delegate alle province
autonome di Trento e di Bolzano, per il rispettivo territorio, le funzioni in
materia di viabilità stradale dello Stato quale ente proprietario e dell'Ente
nazionale per le strade (ANAS), comprese quelle di cui all'articolo 2 del
decreto legislativo 26 febbraio 1994, n. 143, escluse le autostrade.
Le province autonome di Trento e di Bolzano predispongono i piani
pluriennali di viabilità e i piani triennali per la gestione e l'incremento
della rete stradale secondo gli indirizzi programmatici del Ministro dei lavori
pubblici, individuando gli interventi da realizzare, le priorità, i tempi ed i
costi di realizzazione. I piani suddetti sono approvati d'intesa tra il
Ministro dei lavori pubblici e i presidenti delle province autonome di Trento e
di Bolzano.
I beni immobili espropriati dalle province autonome di Trento e di Bolzano,
secondo le procedure di cui alle rispettive normative provinciali, per la
costruzione, l'ampliamento, la rettifica e la manutenzione delle strade statali
sono intavolati a favore del demanio dello Stato - ramo strade. Sono intavolati
alla provincia autonoma territorialmente competente, su istanza del rispettivo
presidente, i relitti stradali già facenti parte del demanio dello Stato - ramo
strade, derivanti dagli interventi predetti. I beni immobili che risultino non
più funzionali alla viabilità stradale dello Stato, diversi da quelli previsti
nel precedente periodo, sono trasferiti sulla base di appositi verbali di
consegna redatti, anche di volta in volta, di intesa fra i rappresentanti della
Provincia autonoma interessata e dell'amministrazione statale competente. Tali
verbali costituiscono titolo per l'intavolazione, su richiesta del Presidente
della Provincia autonoma.
Le somme spettanti alle province autonome di Trento e di Bolzano per
l'esercizio delle funzioni delegate di cui al secondo comma del presente
articolo sono così determinate per il periodo 1° luglio 1998-31 dicembre 1999:
a) per tutte le spese di funzionamento e di manutenzione della rete
stradale, escluse quelle di cui alla lettera b), la somma pari alla media
aritmetica dell'analoga spesa sostenuta dall'Anas negli anni 1995 e 1996 nelle
stesse province;
b) per le spese di investimento, la somma pari alle risorse già previste,
per ciascuna delle due province, nel programma triennale per la viabilità
1997-1999, per quanto già non erogato dall'Anas alla data del 30 giugno 1998.
Entro il 30 giugno 1998, le province presentano programmi modificativi e/o
integrativi, da approvare con le modalità di cui al terzo comma del presente
articolo, da realizzare a proprio carico, che prevedano investimenti aggiuntivi
per l'ammodernamento e l'incremento della rete stradale oggetto della delega.
In sede di definizione del programma triennale 2000-2002 si tiene conto dello
stato di attuazione dei predetti programmi.
Relativamente al triennio 2000-2002, le somme da erogarsi alle due
province, per i medesimi fini di cui al comma precedente, sono determinate,
nell'ammontare pari alla percentuale derivante dal rapporto tra estensione
della rete stradale rispettivamente localizzata nel territorio delle due
province ed estensione dell'intera rete stradale statale, risultante al 31 dicembre
1996 applicata ai corrispondenti stanziamenti, previsti nel bilancio dello
Stato per la viabilità, esclusi quelli per gli oneri di ammortamento dei mutui
contratti antecedentemente alla data del 1° luglio 1998.
Per gli anni successivi al 2002, il criterio di calcolo di cui al comma
precedente è applicato all'estensione della rete stradale statale risultante al
31 dicembre 2002.
I dati necessari per la quantificazione delle somme spettanti alle province
autonome ai sensi del presente articolo sono accertati in contradditorio da
funzionari a ciò delegati rispettivamente dalle province medesime e dal
Ministero dei lavori pubblici.
Il prelievo di dette somme è effettuato dai trasferimenti statali di cui al
decreto legislativo 26 febbraio 1994, n. 143, se capienti, stabiliti
annualmente ai sensi dell'articolo 11, comma 3, lettera d), della legge 5
agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni ed integrazioni. Dette somme
sono iscritte in un apposito capitolo dello stato di previsione della spesa del
Ministero dei lavori pubblici. Con decreto del Ministro del tesoro sono
apportate le relative variazioni compensative di bilancio.
Il pagamento delle somme spettanti alle province autonome ai sensi del
presente articolo è effettuato con periodicità trimestrale. ”
Le superiori disposizioni come è agevole riscontrare, non possono indurre a
trarre argomenti in favore della sussistenza di prerogative provinciali (e per
esse, a cascata, a seguito del trasferimento delle funzioni amministrative
anche) ai Comuni appellanti.
Ma v’è di più: come la stessa appellante non può fare a meno di rilevare,
l’art. 98 del D.Lgs. 31-3-1998 n. 112 (conferimento di funzioni e compiti
amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del
capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59), da un canto, al comma 3 prevede che
“Sono, in particolare, mantenute allo Stato, in materia di strade e autostrade
costituenti la rete nazionale, le funzioni relative:
a) alla determinazione delle tariffe autostradali e ai criteri di determinazione
dei piani finanziari delle società concessionarie;
b) all'adeguamento delle tariffe di pedaggio autostradale;
c) all'approvazione delle concessioni di costruzione ed esercizio di
autostrade;
d) alla progettazione, esecuzione, manutenzione e gestione delle strade e
delle autostrade, sia direttamente sia in concessione;
e) al controllo delle concessionarie autostradali, relativamente
all'esecuzione dei lavori di costruzione, al rispetto dei piani finanziari e
dell'applicazione delle tariffe, e alla stipula delle relative convenzioni;”
La predetta norma, poi, ai commi 2 e 4, così rispettivamente dispone:
“All'individuazione della rete autostradale e stradale nazionale si
provvede, entro novanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto
legislativo, attraverso intese nella Conferenza unificata. In caso di mancato
raggiungimento delle intese nel termine suddetto, si provvede nei successivi
sessanta giorni con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa
delibera del Consiglio dei Ministri. ”(comma 2);
“La Conferenza unificata esprime parere in materia di pianificazione
pluriennale della viabilità e di programmazione per la gestione e il
miglioramento della rete autostradale e stradale d'interesse nazionale. La
programmazione delle reti stradali interregionali avviene tramite accordi tra
le regioni interessate, sulla base degli indirizzi generali stabiliti dalla
Conferenza unificata.” (comma 4).
L’intervento della Conferenza Unificata (rectius, la "intesa
con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281”) quindi, è bensì puntualmente previsto dalla detta norma,
ma non già nelle ipotesi di cui alla lett. c del comma 3 succitato, il che
esclude che l’omessa previsione di detto incombente da parte del sopradetto
comma 2bis del D.L per cui è causa assuma portata viziante e men
che meno in relazione ad attribuzioni costituzionalmente riservate alla
Provincia.
Tale articolazione della censura quindi (che, senza espressamente sollevare
la questione di legittimità costituzionale della norma citata di fatto la
preconizzava come obbligato esito di un eventuale giudizio di non manifesta
infondatezza) non appare persuasiva.
2.6. Conclusivamente, l’appello n. 2929/2013 va dichiarato fondato quanto
alla rimozione della statuizione di inammissibilità del mezzo di primo grado
reso dal Tar e pertanto, in riforma delle sentenza di primo grado il ricorso di
primo grado va dichiarato ammissibile, nei termini di cui alla motivazione che
precede.
Pronunciando su quest’ultimo, il Collegio lo respinge quanto alla
articolazione della censura suindicata, nei termini esposti in precedenza,
mentre lo accoglie, nei termini di cui alla motivazione che seguirà a breve,
quanto alla doglianza attingente la Direttiva e le conseguenze della stessa sul
bando, come meglio si preciserà di qui a poco.
3. Tornando alla disamina dell’appello n. 2539/2013, ivi, con il secondo
motivo di doglianza l’appellante società ha criticato la statuizione di
inammissibilità resa dal Tar con riferimento alle altre censure direttamente
attingenti le singole previsioni del bando di gara ed ha prospettato in via
subordinata una questione interpretativa comunitaria ed una questione di
legittimità costituzionale (sub artt. 24 e 97 della Carta Fondamentale) per
l’ipotesi che il Collegio non accedesse alla tesi della immediata impugnabilità
delle dette prescrizioni del bando da essa stessa propugnata.
3.1. E’ noto al Collegio che il dibattito in punto di immediata
impugnabilità delle clausole del bando di gara è lungi dall’essere sopito: come
correttamente riferito nel ricorso in appello, la questione è stata di recente
rimessa all’ Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (ordinanza n. 00634/2013
della Sesta Sezione di questo Consiglio di Stato).
L’Adunanza Plenaria, tuttavia, non ha specificamente affrontato il detto
tema, avendo deciso la causa prescindendo dalla richiesta disamina (decisione
dell’ Adunanza Plenaria 22 aprile 2013, n. 8).
3.2. L’appellante ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale estensivo
in materia (quello, cioè, che legittima/rende doverosa l’impugnazione immediata
non soltanto delle clausole c.d. “escludenti”).
In particolare, sono stati rammentati gli approdi della giurisprudenza (per
una compiuta sintesi si veda Cons. Stato Sez. IV, 07-11-2012, n. 5671) che
hanno affermato la praticabilità di detta opzione ermeneutica laddove ci si
trovi al cospetto di:
regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o
addirittura impossibile (così la A.P. n. 3/2001).
Disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di
convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara; ovvero
prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione
dell'offerta (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24/2/2003, n. 980);
condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente
oneroso e obiettivamente non conveniente (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V 21
novembre 2011 n. 6135);
imposizione di obblighi contra ius (es. cauzione
definitiva pari all'intero importo dell'appalto: Cons. Stato, Sez. II,
19/2/2003, n.2222/01);
gravi carenze nell'indicazione di dati essenziali per la formulazione
dell'offerta (come ad es. quelli relativi al numero, qualifiche, mansioni, livelli
retributivi e anzianità del personale destinato ad essere assorbiti
dall'aggiudicatario), ovvero sia presenti formule matematiche del tutto errate
(come quelle per cui tutte le offerte conseguono comunque il punteggio di
"0" pt.);
atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di
gara dei costi della sicurezza "non soggetti a ribasso" (cfr.
Consiglio di Stato, sez. III 03 ottobre 2011 n. 5421).
3.3. In tali ipotesi –rileva per il vero il Collegio, si ha una semplice
interpretazione estensiva di quanto lucidamente colto dall’Adunanza Plenaria n.
1/2003 (di guisa che non si pone alcuna problematica di “evoluzione” rispetto a
quanto ivi espresso) posto che, al capo 13 della predetta decisione n. 1/2003,
si rinviene la significativa affermazione secondo la quale “non può, invece,
essere escluso un dovere di immediata impugnazione del bando di gara o della
lettera di invito con riferimento a clausole, in essi contenute, che impongano,
ai fini della partecipazione, oneri assolutamente incomprensibili o
manifestamente sproporzionati ai caratteri della gara o della procedura
concorsuale, e che comportino sostanzialmente l’impossibilità per l’interessato
di accedere alla gara ed il conseguente arresto procedimentale. Fra le ipotesi
sopra richiamate può, sul piano esemplificativo, essere ricompresa quella di un
bando che, discostandosi macroscopicamente dall’onere di clare loqui,
al quale, per i suoi intrenseci caratteri, ogni bando deve conformarsi, risulti
indecifrabile nei suoi contenuti, così impedendo all’interessato di percepire
le condizioni alle quali deve sottostare precludendogli, di conseguenza,
direttamente ed immediatamente la partecipazione.”.
L’appellante ha quindi sostenuto che osterebbe al libero dispiegarsi del
diritto di difesa (art. 24 della Costituzione) ed al buon andamento
dell’Amministrazione (art. 96 della Costituzione) e colliderebbe con più
precetti comunitari una interpretazione che precludesse l’immediata
impugnabilità delle clausole che impediscano - indistintamente a tutti i
concorrenti - una corretta, e consapevole, elaborazione della propria proposta
economica (in tali casi infatti pregiudicandosi il corretto esercizio della
gara, in violazione dei cardini procedimentali della concorrenza e della par
condicio tra tutti i partecipanti alla gara stessa).
Alla luce di tali principi, nella convinzione che le ipotesi enucleate
dalla giurisprudenza non avessero carattere tassativo né concorressero a
formare un numerus clausus, ha ulteriormente svolto una
considerazione che appare al Collegio meritevole di attenzione, e che può
essere così sintetizzata: la risoluzione in un senso o nell’altro del quesito
afferente alle condizioni che rendono doverosa l’immediata impugnazione dei
bandi di gara non incide – in via di principio – sulla legittimazione
facoltativa alla detta immediata impugnazione: ed una volta che la parte che si
assume lesa, anche solo in potenza, si determini ad esercitare la detta facoltà
non v’è ragione di negare che il mezzo debba reputarsi ammissibile.
3.4. Osserva il Collegio relativamente a tale complesso di argomentazioni
quanto segue:
l’indirizzo espresso dall’Ad. Plen. n. 1/2003 prima richiamata e gli sforzi
compilativi ed enucleativi svolti dalla giurisprudenza successiva, inducono a
ritenere che, sotto il profilo della prospettazione dell’interesse affermato,
il mezzo di primo grado o, almeno, le censure del mezzo di primo grado che di
seguito verranno dapprima indicate e poi sottoposte a scrutinio non dovevano
essere dichiarate inammissibili dal Tar.
E ciò senza alcuna necessità di ipotizzare una ulteriore tappa evolutiva
giurisprudenziale.
Ciò che “denuncia” l’appellante è che talune clausole del bando fossero
imprecise, scorrette, omissive, tali da impedire la formulazione della offerta
in modo consapevole e che lo stesso, e prima di esso la Direttiva, fosse in
parte mutilata del contenuto necessario prescritto/imposto ex lege.
Sotto tale profilo il mezzo di primo grado era in astratto ammissibile,
salvo poi a doversi verificare in concreto la effettiva sussistenza della
lamentata criticità.
3.4.1. Senonchè, la detta affermazione non ha portata assoluta ma va
raffrontata, in concreto, con la natura (e la fase) della procedura evidenziale
nell’ambito della quale l’aspirante aggiudicatario denuncia le dette criticità.
Di ciò pare ben rendersi conto l’appellante società, che nel pregevole atto
di appello si premura di scardinare – in via preventiva – una obiezione
(meramente accennata, per il vero dal primo giudice) che trae le mosse dal
concreto stato della procedura.
Ci si intende riferire, in proposito, alla pacifica circostanza che il
bando de quo avesse unicamente il fine di sollecitare la
formale presentazione di una manifestazione di interesse a partecipare alla
gara, mentre la formulazione dell'offerta avrebbe dovuto essere effettuata alla
luce degli elementi contenuti nella successiva lettera di invito (che aveva
funzione integrativa del bando per gli aspetti dallo stesso non disciplinati).
L’appellante – che non nega tale circostanza - sottolinea a tale proposito
che per consolidato ed inattaccabile orientamento giurisprudenziale, che
costituisce jus receptum, (ex aliis Cons. Stato Sez.
IV, 28-11-2012, n. 6026) “nelle gare pubbliche, in caso di contrasto tra bando
di gara e lettera d'invito, prevalgono le disposizioni del primo. Tale
principio va inteso non solo nel senso dell'impossibilità che la lettera possa
derogare alle previsioni del bando, che costituisce la lexspecialis della
procedura selettiva, ma anche nel senso dell'impossibilità - specie in un
sistema dominato dalla tassatività ed eccezionalità delle previsioni di
esclusione - che attraverso la lettera d' invito possano essere introdotte
ipotesi di esclusione ulteriori o più rigorose rispetto a quelle contenute nel
bando.”.
La lettera invito, quindi, ha funzione meramente
integratrice/specificatrice rispetto al bando, ma non potrebbe utilmente
contraddire e sconfessare le prescrizioni contenute in quest’ultimo (è rimasta
minoritaria,in giurisprudenza, la tesi in passato talvolta sostenuta –ex
multis si veda T.A.R. Sardegna, 30-12-1996, n. 1908 – secondo la quale
“la regolamentazione della gara di aggiudicazione di appalto deve desumersi
dall'insieme delle disposizioni ricavabili dal bando e dalla lettera di invito
non sussistendo, tra le due fonti, un rapporto di gerarchia che consenta di
ritenere l'una prevalente rispetto all'altra”.)
Il Collegio concorda con detto orientamento prima citato e fatto proprio
dalla stessa parte appellante
Non concorda invece con le ulteriori affermazioni di parte appellante che
ha “utilizzato” il detto principio per affermare alquanto genericamente (vedasi
pag. 37 del ricorso in appello) che “la maggior parte delle carenze riscontrate
nel bando di gara non appaiono suscettibili di essere colmate dalla lettera
invito la quale, per risolvere le illegittimità prospettate, dovrebbe
addirittura contraddire il bando già pubblicato” .
3.4.2. Pare invece al Collegio che tale profilo meriti un approfondimento
maggiore sia di quello dedicatogli dal Tar che di quello riferibile a parte
appellante; e pare altresì che quest’ultimo, lo si anticipa, induca a non
condividere (con riferimento ad alcune delle censure prospettate) l’opinamento
di parte appellante medesima circa la integrale ammissibilità di tutte le
censure dedotte in primo grado e riproposte in appello.
Id est: si condivide e si riafferma l’orientamento “estensivo” in punto di
ammissibilità della immediata impugativa dei bandi di gara laddove essi
presentino le criticità prima indicate dalla giurisprudenza successiva
all’Adunanza Plenaria n. 1/2003; si ritiene che dette criticità vadano
individuate non in astratto, ma in concreto, alla luce dello sviluppo della
procedura e, per quanto si chiarirà di seguito, si nega che talune delle
doglianze prospettate dall’appellante società possedessero il requisito
(necessario) di contrastare una lesione immediata, diretta, necessaria, non
“emendabile” da parte della successiva lettera invito.
E’ noto in proposito che in base ai principi generali in materia di
condizioni dell’azione, desumibili dall’art. 24, co. 1°, della Costituzione
(“tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi
legittimi”) e dall’art. 100 c.p.c. (“per proporre una domanda o per contraddire
alla stessa è necessario avervi un interesse”), l’interesse processuale
presuppone, nella prospettazione della parte istante, una lesione concreta ed
attuale dell’interesse sostanziale dedotto in giudizio e l’idoneità del
provvedimento richiesto al giudice a tutelare e soddisfare il medesimo
interesse sostanziale. In mancanza dell’uno o dell’altro requisito, l’azione è
inammissibile.
Ed i detti requisiti di concretezza ed attualità vengono senz’altro meno in
ipotesi di lesione meramente eventuale.
3.4.3. Se si presta condivisione a tali punti di partenza, (cfr. C.d.S.,
Sez. VI, n. 475/92 Cass. Civ., Sez. III, n. 12241/98), sarà agevole concordare
anche con lo sviluppo ulteriore di taleiter espositivo, che riposa
nella seguente constatazione.
Anche ad aderire (e ciò ha fatto il Collegio) alla tesi “aperturista” che
non limita la immediata impugnabilità delle clausole del bando escludenti, ma
la ammette/impone nelle ipotesi prima elencate, enucleate dalla giurisprudenza
in termini non tassativi ed esemplificativamente menzionate, non potrebbe dirsi
attuale l’interesse a gravare le dette clausole laddove le medesime fossero
ancora suscettibili (non certo di essere contraddette, chè questo non sarebbe
possibile stante il rapporto “gerarchico” intercorrente tra bando e
lettera-invito che si è prima tratteggiato, ma) di essere emendate, corrette,
edulcorale, integrate, modificate (magari nei termini sollecitati
dall’appellante) nel successivo stadio della procedura.
Si converrà infatti – rovesciando i termini della esposizione di parte
appellante- che in primo luogo in una simile ipotesi la impugnazione immediata
delle clausole del bando non sarebbe sorretta da un interesse “attuale” ma
soltanto ipotetico (legato alla mera ipotesi, cioè, che la lettera invito
confermi integralmente, in parte qua, le prescrizioni del bando
“sospette” di illegittimità).
E ciò basterebbe a negarne l’ammissibilità.
Secondariamente, che la immediata impugnazione delle stesse non
risponderebbe neppure al canone di buon andamento dell’ Amministrazione
invocato proprio da parte appellante: si solleciterebbe un giudizio demolitorio
che attingerebbe una prescrizione suscettibile di essere
corretta/integrata/emendata in senso accoglitivo delle perplessità del
partecipante alla gara, di guisa che a seguito dell’annullamento la procedura
dovrebbe nuovamente ripartire, con grave dispendio di tempo ed energie, mentre
invece la detta prescrizione gravata era possibilmente destinata ad essere
integrata in sede di lettera-invito, con evidente inutilità della proposta
impugnazione.
In ultimo, che per le già citate ragioni detta immediata impugnabilità non
risponderebbe neppure alle esigenze ex art. 24 della
Costituzione, rischiando di ritorcersi a svantaggio del partecipante alla gara
che, se avesse atteso la lettera-invito, avrebbe potuto vedere svanire le
proprie (eventualmente legittime) preoccupazioni.
Il Collegio ritiene pertanto che, sotto un profilo più generale, con
riguardo a prescrizioni del bando asseritamente lesive suscettibili di essere
“corrette” (nei termini prima chiariti) in sede di lettera-invito la immediata
impugnazione delle clausole del bando sia (non soltanto inammissibile per
difetto di attualità dell’interesse ma, addirittura) nociva proprio alle
esigenze invocate dalla stessa parte appellante sia sul piano della tutela
costituzionale che su quello comunitario (il che, per incidens,
milita in senso troncante per la reiezione della questione di legittimità
costituzionale e di quella interpretativa comunitaria prospettata).
Tutt’altro discorso, invece, per prescrizioni che non potrebbero essere
“corrette” dalla lettera-invito se non a costo di sovvertire il rapporto
gerarchico sussistente tra quest’ultima ed il bando: in simile ipotesi in
adesione al filone giurisprudenziale evolutivo della tesi sviluppata dall’Ad.
Plen. n. 1/2003 non potrebbe negarsi l’attualità dell’interesse (cfr, sotto il
profilo della ratio generale secondo la quale il bando deve essere “completo”,
in quanto munito di un “contenuto minimo inderogabile” art. 64 del TU in
relazione alle indicazioni di cui all’Allegato IX del codice dei contratti
pubblici).
3.4.4. Muovendo da tale approdo appare quindi evidente che la verifica
debba svolgersi, in concreto, valutando lo stadio della procedura: soltanto
attraverso detta disamina concreta, rifuggendo da apriorismi assolutistici, è
possibile comprendere, laddove – come nel caso di specie - ci si trovi al
cospetto di censure eterogenee, incidenti su più prescrizioni del bando quale
di dette doglianze sia supportata da un interesse immediato, concreto e reale
(e sia pertanto ammissibile) e quale altra, eventualmente, abbia natura
eventuale od ipotetica, e sia stata sollevata a fini di natura precauzionale
(nell’eventualità cioè, che la lettera invito successiva, pur potendo integrare
in parte qua il bando, ciò non faccia).
Si rammenta peraltro in proposito, per chiudere sull’argomento, che l’art.
34 c.II del codice del processo amministrativo vieta al Giudice di pronunciarsi
su “poteri non ancora esercitati dall’Amministrazione”: la delibazione di una
doglianza relativa ad una prescrizione potenzialmente destinata ad essere modificata/integrata
dalla lettera invito concreterebbe proprio tale –vietata- invasione di campo:
si inciderebbe su una procedura in itinere di fatto intervendo in uno stadio
procedimentale in cui il potere non si è ancora compiutamente dispiegato.
3.5. Proprio procedendo quindi, a tale disamina concreta, va rammentato
che, per costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, la
"sollecitazione alla domanda di partecipazione" segna pur sempre l’incipit di
una procedura evidenziale ma, giocoforza, essa è marcata da una maggiore
fluidità (o, il che è lo stesso, da un maggior grado di approssimazione).
Si è detto pertanto, in giurisprudenza, che ( Cons. Stato Sez. VI,
04-06-2009, n. 3442 ) “la "sollecitazione alla domanda di
partecipazione" inviata da una stazione appaltante ai concorrenti segna
l'apertura del procedimento ad evidenza pubblica potendo, quindi, considerarsi
atto iniziale della fase prequalificativa. La finalità di tale fase
procedimentale va individuata nella conoscenza, da parte dell'Amministrazione,
della "disponibilità del mercato" nel settore di riferimento; ne
consegue che la fase di prequalificazione nelle procedure di evidenza pubblica
ha il compito di determinare i requisiti soggettivi di
"partecipabilità" alla gara, sotto l'aspetto della soglia minima di
idoneità dei soggetti ad essere valutati, tramite l'esame dei parametri
obiettivi riportati nelle dichiarazioni e nelle autocertificazioni allegate
alla domanda, restringendo l'ambito dei potenziali concorrenti, senza
addivenire ad alcuna attribuzione di punteggi.”.
Nella motivazione della detta pronuncia (della quale si riporta un breve
stralcio) è stato condivisibilmente espresso il convincimento per cui “la
sollecitazione segnava l'apertura procedimentale e può a buon diritto considerarsi
atto iniziale della fase prequalificativa (fase che la giurisprudenza costante
e la dottrina considerano subprocedimento connesso ma distinto da quello
valutativo delle offerte: ex multis, si veda Consiglio Stato, sez.
VI, 29 novembre 2006, n. 6990).
La finalità di tale fase procedimentale, è stata condivisibilmente
individuata, dalla giurisprudenza, nella conoscenza, da parte
dell'amministrazione, della "disponibilità del mercato" nel settore
di riferimento (Consiglio Stato, sez. VI, 14 febbraio 2007, n. 619): se ne è
fatto conseguentemente discendere, "che la fase di prequalificazione nelle
procedure di evidenza pubblica ha il compito di determinare i requisiti
soggettivi di "partecipabilità" alla gara, sotto l'aspetto della
soglia minima di idoneità dei soggetti ad essere valutati, tramite l'esame dei
parametri obiettivi riportati nelle dichiarazioni e nelle autocertificazioni
allegate alla domanda, restringendo l'ambito dei potenziali concorrenti, senza
attribuzione di punteggi." (Consiglio Stato, sez. V, 23 agosto 2004, n.
5583).
Giocoforza, pertanto, alla fase successiva è rimessa la funzione
specificativa delle condizioni di una procedura selettiva che, comunque, deve
essere individuata nel suo oggetto: non v'è, infatti (chè altrimenti una delle
due sarebbe inutile) perfetta sovrapponibilità tra la fase prequalificativa e
quella valutativa vera e propria dell'offerta.”.
La detta pronuncia non è rimasta isolata, ma esprime invece un orientamento
consolidato in giurisprudenza, tanto che, più di recente, è stato ribadito che
(Cons. Stato Sez. V, 31-05-2011, n. 3256) “secondo una consolidata
giurisprudenza amministrativa, la validità della costituzione di un'Ati deve
essere giudicata con esclusivo riferimento al momento della formulazione
dell'offerta, dovendosi ritenere legittime le offerte congiuntamente presentate
da imprese appositamente e tempestivamente raggruppate, singolarmente invitate,
anche allorquando la loro costituzione in Ati sia intervenuta dopo la fase di
prequalificazione; alla luce di un indirizzo più recente, non sussiste alcun
divieto in tal senso, emergendo per contro un preciso indirizzo legislativo
volto a favorire il fenomeno del raggruppamento e ad individuare la
presentazione dell'offerta come momento della procedura da cui decorre il
divieto di modificabilità soggettiva della composizione dei partecipanti,
divieto che non opera per la fase di prequalificazione.”.
Già in passato, peraltro (Consiglio di Stato, Sezione VI n. 2555/2008) si
era posto in luce che per costante affermazione della giurisprudenza
amministrativa “non sussiste divario tra la disciplina statale e quella
comunitaria sia nella configurazione del subprocedimento e prequalificazione
sia nella valutazione della natura e degli effetti di questo istituto, con
specifico riferimento al potere di esclusione dal procedimento di gara. “(ex
multis, Consiglio Stato, sez. V, 31 luglio 1991, n. 1078).
Si era in particolare ivi posto l’accento sulla circostanza che la fase di
prequalificazione, e la valutazione tecnica in detta sede spiegata dal seggio
di gara, in particolare, è ontologicamente diversa rispetto alla fase
dell’aggiudicazione vera e propria: si è sul punto rilevato, infatti, quanto ai
fini perseguiti, che “diversamente dalla fase di valutazione/comparazione delle
offerte, volta ad accertare la loro meritevolezza ad aggiudicarsi la gara, la
fase di prequalificazione nelle procedure di evidenza pubblica ha il compito di
determinare i requisiti soggettivi di "partecipabilità" alla gara,
sotto l'aspetto della soglia minima di idoneità dei soggetti ad essere
valutati, tramite l'esame dei parametri obiettivi riportati nelle dichiarazioni
e nelle autocertificazioni allegate alla domanda, restringendo l'ambito dei
potenziali concorrenti, senza attribuzione di punteggi.”. (ex multis Consiglio
Stato, sez. V, 23 agosto 2004, n. 5583).
3.5.1. Se tale era (ed è) lo stadio della procedura nell’ambito della quale
è stata articolata l’impugnazione di che trattasi e se la particolarità di
quest’ultima riposa nella maggiore fluidità della medesima, o, il che è lo
stesso, in un minor grado di “precisione” e “dettaglio” della lex
specialis (del bando, gravato, cioè) se ne deve di necessità fare
discendere la maggiore latitudine rimessa alla lettera invito in punto di
integrazione delle prescrizioni del bando medesimo.
Tale profilo non è stato colto dall’appellante, che ha semplicemente
riproposto le censure di primo grado dichiarate inammissibili, non avvedendosi
che talune tra esse (e segnatamente le molteplici, che saranno di seguito specificamente
evidenziate che non si pongono in contrasto che specifiche e puntuali
prescrizioni del bando) non erano sorrette da un interesse “attuale”, ma bensì
ipotetico, nei termini sinora rassegnati.
Ipotetico perché destinate ad attualizzarsi soltanto laddove reiterate,
immutate, nella lettera invito, pur nella consapevolezza che il grado di
“precisione” e dettaglio della corrispondente previsione del bando non era tale
da non potere essere successivamente integrato, senza che ciò avesse implicato
una – certamente inammissibile, lo si ripete- contrasto della lettera invito e
del capitolato con il bando medesimo.
3.6. Alla luce delle superiori coordinate, infatti, se è agevole
riscontrare che la censure rubricate ai nn. 3, 5, 6 ed 8 del ricorso in appello
si contrappongono a prescrizioni precise ed univoche del bando che la lettera
invito non avrebbe potuto in alcun modo “emendare/integrare”, non così deve
dirsi delle altre censure.
3.7. Sia la macrodoglianza indicata al numero quattro della rubrica, infatti,
che la settima e nona censura ipotizzano –come meglio sarà brevemente
illustrato di seguito - una incompletezza del bando che, da un canto non appare
tale da impedire la formulazione della domanda di partecipazione ( e peraltro,
l’appellante tale domanda ha presentato: se ciò non può certo implicare
acquiescenza alcuna, il dato costituisce un indice valutabile in chiave
dimostrativa della “forzatura” di parte appellante del concetto di
“impossibilità di formulazione dell’offerta”) e per altro verso esse sono
fondate sulla asserita violazione di una teoria di disposizioni di legge che
semplicemente non risultano violate, sol che si consideri che le supposte
“lacune” erano integrabili dalla lettera invito.
La nona doglianza, poi - lo si anticipa- addirittura sollecita un
inammissibile giudizio complessivo di merito sugli importi della concessione
rapportati all’attuale stato congiunturale economico che francamente sfugge del
tutto ai poteri di questo Giudice risolvendosi in una richiesta di penetrante
ed indebito sindacato di opportunità non certamente consentito in questa sede
giurisdizionale.
3.8. Più in particolare, può dirsi pertanto che:
a) le censure di cui ai nn. 3, 5, 6 ed 8 del ricorso in appello erano
ammissibili già alla stregua dell’indirizzo tracciato dall’Adunanza Plenaria n.
1/2003; esse infatti, (come può agevolmente ricavarsi dalla semplice lettura
delle medesime) avversano prescrizioni puntuali del bando di gara
insuscettibili di essere emendate/modificate/corrette in sede di successiva lettera-invito
(proprio perché quest’ultima può integrare ma non contraddire formalmente le
prescrizioni del bando), ovvero una omissione dello stesso – e della Direttiva-
non sanabile ex post; l’interesse che supporta le dette doglianze
non assume carattere ipotetico/eventuale, ma reale.
Di conseguenza ha errato il Tar a dichiararle inammissibili, ed in
accoglimento del secondo motivo di appello ed in riforma della decisione di
primo grado le stesse saranno delibate da questo Collegio (è ben noto che per
costante giurisprudenza formatasi sotto l’usbergo delle antecedenti
disposizione e, oggi, per espressa prescrizione dell’art. 105 del cpa l’errore
del primo giudice sulla ammissibilità del mezzo di primo grado, ed a fortiori
di una parte di esso non può determinare la regressione del procedimento per il
tramite dell’annullamento con rinvio della sentenza gravata).
b) le ulteriori censure (nn. 4, 7 e 9 dell’appello) sopradescritte, per le
ragioni che saranno singolarmente esplicitate non appaiono invece supportate
dall’attualità dell’interesse e, pertanto, correttamente sono state dichiarate
inammissibili dal primo Giudice.
3.8.1. Quanto a queste ultime, si rappresenta infatti quanto di seguito.
3.8.2. La quarta doglianza si duole della mancata indicazione in seno al
bando dell’ importo complessivo dei lavori e degli importi delle singole
categorie dei lavori da realizzare (asserita violazione di legge, sub
specie della violazione e falsa applicazione degli artt. 118 e 144 del
d.lgs. 163/2006 e degli artt. 79 e 108 del d.P.R. 207/2010).
Inoltre ci si duole della circostanza che le categorie “coinvolte” nella
realizzazione di un opera autostradale sono più di quelle indicate nel bando
impugnato (si cita esemplificativamente la fattispecie Os 34).
Dall’articolazione della censura emerge con evidenza che ciò che si
“imputa” al bando di gara è una sostanziale incompletezza ed imprecisione.
Ma alla stregua dei rapporti intercorrenti tra bando e lettera invito, e
della impregiudicata possibilità, per quest’ultima, di integrare –seppur non
contraddicendone le previsioni– il bando medesimo, parte appellante, per
dimostrare (in primo luogo) la attualità della censura e, (poi) anche la
fondatezza della stessa, avrebbe dovuto dimostrare che:
a) in via generale le disposizioni di legge invocate prescrivevano un
contenuto minimale del bando di gara non dequotabile, di guisa che il bando che
ne fosse stato privo risultava, per ciò solo, illegittimo;
b) che, più in particolare, e tenuto conto della particolare natura del
bando in questione dette indicazioni delle quali si lamentava l’omissione non
avrebbero potuto essere contenute nella successiva lettera-invito destinata a
far corpo con il bando e costituente la lex specialis della
gara;
c) che, in virtù di tale omissione appariva del tutto impossibile formulare
una offerta consapevole e/o rendersi conto della convenienza economica della
partecipazione alla gara medesima.
Già prima facie pare al Collegio che si verta in alcuna delle ipotesi in
esame, né l’appellante ha esaustivamente dimostrato alcuna di queste
circostanze, né soprattutto, ha chiarito per qual ragione non potesse essere
demandato alla successiva lettera invito il compito di specificare le dette
indicazioni omesse nel bando.
Pare al Collegio che, in parte qua, vada, per le sopra chiarite
ragioni, confermato il giudizio di inammissibilità della censura reso dal Tar e
che per le anzidette ragioni il detto giudizio si estenda anche alla articolazione
della doglianza (che per il vero sollecita un penetrante giudizio di merito
travalicante l’ambito del sindacato sulle manifestazioni di discrezionalità
tecnica demandate a questo Collegio) relativo alla assenza di alcune categorie
di lavorazioni dalla previsione del bando (la doglianza genericamente formulata
nell’an, assume poi concretezza allorchè, specificativamente quanto
esemplificativamente era stata citata la fattospecie Os 34).
3.8.3. La settima censura costituisce ulteriore specificazione della tesi
secondo la quale il bando di gara sarebbe, tra l’altro, gravemente viziato per
incompletezza (al punto 7.2. dell’appello la società ha indicato tutti gli
elementi a suo dire indispensabili agli offerenti per comprendere e valutare
esattamente l’operazione dal punto di vista economico/finanziario), ma non pare
al Collegio che ivi si ipotizzino lacune tali da rendere impossibile la
manifestazione di interesse richiesta e/o comunque non integrabili in sede di
disciplinare e lettera invito.
3.8.4. Sulla nona ed ultima censura, infine,ad integrazione del
convincimento già espresso dal Collegio, si rimarca che essa, più che una
critica fornita di propria autonomia isolatamente considerata, appare
maggiormente un compendio delle precedenti doglianze, essendosi ivi sostenuto
che gli oneri finanziari imposti, non tenendo conto della congiuntura economica
sfavorevole, finivano con il creare un effetto distorsivo riposante nella
illegittima restrizione della concorrenza.
3.9. Alla stregua di quanto si è prima chiarito, emerge con evidenza –ad
avviso del Collegio- che per ammettere la immediata impugnazione del bando in
parte qua e con diretto riferimento alle doglianze sinora descritte,
si dovrebbe pervenire ad un indirizzo non soltanto evolutivo, ma addirittura di
portata stravolgente rispetto (non già alla - tutto sommato limitata -
questione della immediata impugnabilità dei bandi di gara quanto, maggiormente)
ai consolidati principi del processo amministrativo in punto di necessità che
l’interesse al ricorso, sia dotato dei requisiti della concretezza ed attualità
e che lo stesso, in quanto condizione dell’azione, sussista sia al momento
della proposizione del gravame, che al momento della decisione (con conseguente
attribuzione al giudice amministrativo del potere di verificare la persistenza
della predetta condizione in relazione a ciascuno di tali momenti).
3.10. A questo punto della esposizione – sempre con riguardo alle dette
censure n. 4, 7, 9 dell’appello in ordine alle quali il Collegio ha dianzi confermato
la statuizione di inammissibilità resa dal Tar- occorre farsi carico (in
termini più pregnanti di quanto già in sintesi prima incidentalmente
rassegnato) delle prospettazioni avanzate in via subordinata da parte
appellante (eccezione di incostituzionalità e questione interpretativa
comunitaria) .
3.10.1. Il Collegio ritiene innanzitutto che non sia persuasiva la tesi
dell’appellante secondo la quale, anche a volere ammettere (“a tutto
concedere”) che non vi fosse “onere/dovere” di proporre impugnazione, ma una
mera facoltà, una volta utilmente esercitata detta “mera facoltà” non vi
sarebbe stata ragione di dichiarare inammissibile il mezzo.
L’interesse a ricorrere o è, ovvero non esiste. E per esistere esso deve
essere fornito dei caratteri di attualità e concretezza che si ritiene aver
compiutamente dimostrato essere insussistenti nel caso di specie.
Ma se v’è, la parte che si assume lesa deve avere il dovere, e non soltanto
la “facoltà” di proporre impugnazione, altrimenti la richiesta concretezza ed
attualità dell’interesse scolorano nel concetto di “precauzione” e
“cautelatività”.
La tesi esposta, inoltre, condurrebbe ad inammissibili conseguenze sotto il
profilo processuale conducendo ad una –facilmente preconizzabile– evenienza che
si pone in contrasto con tutta la sistematica del codice improntata ad un
evidente favor per il simultaneus processus.
La parte privata, avendo la mera facoltà (ma non anche il dovere a pena di
decadenza) di proporre l’impugnazione, potrebbe articolare la propria strategia
processuale improntandola alla frantumazione, risolvendosi a gravare soltanto
alcune delle prescrizioni “lesive”, e riservandosi l’impugnazione di altre in
sede di emissione dell’atto applicativo: ciò renderebbe ingestibile il rito
processuale, e soprattutto impedirebbe all’amministrazione un sereno giudizio
in ordine alla possibilità di proseguire nella propria azione amministrativa
(non è detto che le doglianze che l’impugnante si è –legittimamente, seguendo
detta prospettazione- riservato di proporre in seguito non possano essere
fondate, rispetto a quelle disattese in sede di impugnazione contro il bando):
il rischio sarebbe quello di una proliferazione frantumata e parcellizzata del
contenzioso senza alcuno dei benefici in termini di “certezza delle situazioni
giuridiche” che l’appellante prospettava quale ragione giustificativa
dell’auspicato indirizzo evolutivo.
3.10.2. Alla stregua di quanto suesposto, appare evidente la ragione per la
quale il Collegio ritiene inammissibile, in quanto manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale prospettata (alquanto genericamente,
per il vero) con riferimento ai parametri di cui agli artt. 24 e 97 della Carta
Fondamentale.
Il primo parametro, per il vero, appare invocato del tutto a sproposito,
posto che non v’è alcuna lesione al diritto di difesa laddove si contenga la
possibilità di impugnare immediatamente le clausole del bando asseritamente
lesive nei termini “disegnati” dalla giurisprudenza successiva all’Adunanza
Plenaria n. 1/2003 e che, come a più riprese affermato in precedenza, questo
Collegio ha fatto proprie.
La parte non è privata di alcuna difesa laddove onerata a proporre
impugnazione congiuntamente all’atto applicativo lesivo: ciò è evidente.
Semmai, si sarebbe potuto evocare l’art. 41 della Costituzione, unitamente
all’art. 97 richiamato, esprimendosi l’esigenza di “anticipata certezza” a
tutela sia del buon andamento dell’Amministrazione (che è bene sappia in
anticipo che la propria azione amministrativa è viziata in radice) che del
corretto dispiegarsi dell’attività di impresa (interessata a non essere
coinvolta in procedure evidenziali destinate a concludersi con una sentenza
demolitoria che obblighi l’Amministrazione a ricominciare la procedura, con
evidente spreco di tempo ed energie economiche).
Senonchè, sia che si sostenga la tesi della doverosità della immediata
impugnazione delle clausole del bando asseritamente lesive pur se suscettibili
di essere “corrette” (nei limiti e termini già chiariti sopra) nel prosieguo
della procedura mercè la lettera invito, sia che si ipotizzi la tesi
“eccentrica” della facoltatività (ma non doverosità) della impugnazione di
dette clausole, gli inconvenienti dalle stesse nascenti –e che si ritiene di
avere adeguatamente dimostrato- non sono superabili.
Dette prospettazioni stimolano il proliferare (potenzialmente inutile) dei
gravami, incidono su poteri ancora esercitabili dall’Amministrazione e,
soprattutto la seconda, rischiano di frantumare il processo senza apportare
alcun contributo chiarificatore in termini di futura certezza della espletando
azione amministrativa.
Le censure di incostituzionalità in quanto manifestamente infondate, sono
inaccoglibili.
3.10.3. Quanto alla questione interpretativa comunitaria, a ben guardare vi
si oppongono gli stessi inconvenienti.
E’ ben nota al Collegio, che la ritiene pienamente condivisibile
l’affermazione frequente, secondo cui la primazia del diritto comunitario, per
dispiegarsi compiutamente, ha bisogno della collaborazione dei Giudici
nazionali.
Tale affermazione muove dalla constatazione del monopolio interpretativo
attribuito alla Corte di Giustizia relativamente al diritto comunitario a fini
di garanzia della uniforme interpretazione ed applicazione di quest’ultimo nel
territorio dell’Unione (monopolio positivamente riconosciuto dai giudici
italiani, che hanno a più riprese affermato che “l’interpretazione del diritto
comunitario adottata dalla Corte di giustizia ha efficacia “ultra partes”,
sicché alle sentenze dalla stessa rese, sia pregiudiziali e sia emesse in sede
di verifica della validità di una disposizione, va attribuito il valore di
ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino “ex
novo” norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i
limiti di applicazione, con efficacia “erga omnes” nell’ambito della
Comunità -ex aliis Cass. civ. Sez. V, 11-12-2012, n. 22577).
Senonchè è agevole rilevare che l’esigenza di tale accentramento della
funzione interpretativa in un unico organo sovranazionale, sarebbe frustrata
laddove i giudici nazionali, nei casi in cui la interpretazione di una
disposizione o di un principio comunitario apparisse dubbia, non investissero
della questione la Corte di Giustizia preferendo essi stessi procedere a tale
interpretazione.
E’ stata pertanto prevista, in capo ai giudici nazionali, la potestà di
investire della questione della interpretazione di una norma o di un principio
comunitario la Corte di Giustizia affinchè essa fornisca il proprio punto di
vista (vincolante non solo nella causa in cui è stato disposto il rinvio, ma erga
omnes, salvo eventuale successivo revirement della Corte)
sulla questione devolutale.
Essa integra un vero e proprio obbligo cogente, nel caso in cui il giudice
investito della questione sia un giudice di ultima istanza.
In ultima analisi (mutuando una felice espressione della dottrina
processualcivilistica in tema di deferimento della questione di
costituzionalità) il giudice svolge la funzione di “introduttore necessario”
della questione interpretativa innanzi alla Corte.
Qualificata giurisprudenza (Cons. Stato Sez. VI, 27-11-2006, n. 6913)
individua il “proprium” giustificativo delle disposizioni in materia di
rinvio pregiudiziale appunto in ciò, affermando che: “il rinvio pregiudiziale
alla Corte di giustizia europea, (già art. 177 c. III, Trattato CE, art. 234
Trattato 25 marzo 1957, oggi dell’art. 267, terzo paragrafo, ), volto ad
ottenere l’interpretazione delle norme comunitarie, trova la sua
giustificazione nell’esigenza di assicurare la corretta ed uniforme
applicazione del diritto comunitario in tutti i paesi membri.
Tale obbligo di rinvio non è tuttavia di indiscriminata applicazione (chè
altrimenti ben presto rischierebbe di risolversi – ammesso che già purtroppo,
non lo sia venuto -in uno strumento dilatorio spregiudicatamente utilizzato
dalle parti a seconda delle loro convenienze per ritardare la definizione della
causa).
Si è affermato pertanto, sin da tempo risalente, che (anche) le
giurisdizioni nazionali le cui decisioni non sono impugnabili secondo
l’ordinamento interno, non sono tenute all’obbligo del rinvio pregiudiziale
alla Corte comunitaria ove la disposizione comunitaria di cui è causa ha già
costituito oggetto d’interpretazione da parte della Corte ed ove la
disposizione comunitaria s’imponga con tale evidenza da non lasciare adito a
ragionevoli dubbi (Corte giust. Ce, 6 ottobre 1982). Il rinvio pregiudiziale
della causa alla Corte di giustizia europea, ai sensi dell’art. 177 del
Trattato istitutivo della Cee, volto ad ottenere l’interpretazione delle norme
comunitarie, trova la sua giustificazione nell’esigenza di assicurare la
corretta ed uniforme applicazione del diritto comunitario in tutti i paesi
membri; di modo che l’obbligatorietà del rinvio viene meno quando la questione
sia materialmente identica ad altra già sollevata e già decisa in via pregiudiziale,
ed in ogni ipotesi in cui la risposta al quesito si imponga con tale evidenza
da non lasciare adito ad alcun ragionevole dubbio interpretativo (cfr, Corte
Giust, CE, 6-10-82, C 283/81, Cilfit Cass. Sez. I, 18 febbraio 2000, n. 1804).
La giurisprudenza ha quindi da tempo chiarito che al fine di ritenere
realmente sussistente per il giudice di ultima istanza l’obbligo del rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia C.E. non basta che una parte sostenga che
la controversia ponga una questione di diritto comunitario, in quanto i giudici
di ultima istanza dispongono dello stesso potere di valutazione degli altri
giudici nazionali nello stabilire se sia necessaria una pronuncia della Corte
su un punto di diritto comunitario. (cfr. ex multis Cons.
Stato VI Sez. n. 6037 del 2008).
Di converso, la Corte di Giustizia ha affermato in passato (sentenza 6
marzo 2007, n. 338, Cause riunite C-338/04 e C-360/07, Placanica punti 36 e 37)
che - con riferimento alla ripartizione delle responsabilità nell’ambito del
sistema di cooperazione istituito dall’art. 234 CE e succ. mod - se è vero che
l’interpretazione delle disposizioni nazionali incombe ai giudici nazionali e
non alla Corte e non spetta a quest’ultima pronunciarsi, nell’ambito di un
procedimento avviato in forza di tale articolo, sulla compatibilità di norme di
diritto interno con le disposizioni del diritto comunitario, per contro, la
Corte è competente a fornire al giudice nazionale tutti gli elementi
d’interpretazione propri del diritto comunitario che gli consentano di valutare
la compatibilità di norme di diritto interno con la normativa comunitaria (v.,
in particolare, sentenze 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag.
I-4165, punto 19, nonché Wilson, citata, punti 34 e 35).
Inoltre, si è ivi osservato che, sebbene nel caso in cui il contenuto
letterale della questione sottoposta in via pregiudiziale inviti la Corte a
pronunciarsi sulla compatibilità di una disposizione di diritto interno con il
diritto comunitario benché la Corte non possa risolvere tale questione così
come essa viene formulata “ nulla le impedisce di dare una soluzione utile al
giudice del rinvio fornendo a quest’ultimo gli elementi di interpretazione che
rientrano nel diritto comunitario che consentiranno allo stesso di statuire
sulla compatibilità del diritto interno con il diritto comunitario.”.
La Corte di giustizia Unione Europea (si veda la sentenza della Sez. III,
20-05-2010, n. 160/09 ) ha vieppiù espanso, di recente, la propria funzione
interpretativa, pervenendo alla significativa affermazione secondo cui “le
questioni relative all’interpretazione del diritto comunitario sollevate dal
giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che egli individua sotto
la propria responsabilità , del quale non spetta alla Corte verificare
l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza. Il diniego di pronuncia,
da parte della Corte, su un rinvio pregiudiziale proposto da un giudice
nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che
l’interpretazione del diritto comunitario richiesta non ha alcun rapporto con
la realtà o l’oggetto della causa principale, qualora la questione sia di tipo
ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di
diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono
sottoposte.”.
E’ sintomatico in proposito che il giudice che dispone il rinvio sia
onerato ad esporre comunque il proprio punto di vista nella soluzione della
questione pregiudiziale sottoposta (espresso ai sensi del paragrafo 23 della
nota informativa della Corte di Giustizia dell’Unione Europea -pubblicata sulla
G.U.U.E. del 28 maggio 2011).
Pur consapevole di tali limiti ed oneri, ritiene il Collegio che non vi sia
spazio alcuno, nel caso di specie, per sollevare la detta questione.
Da un canto, infatti, si dovrà convenire che –avuto riguardo al concreto
tenore delle censure proposte, ove rapportate all’iter della
procedura- la questione interpretativa proposta interferisca soltanto
minimamente con il diritto comunitario, incentrandosi invece sulla nozione
processuale (tutta ascrivibile al diritto interno) di attualità concretezza, e
non mera ipoteticità dell’interesse a ricorrere.
Per altro verso, se anche la si volesse valutare esclusivamente nell’ottica
del diritto comunitario, traendo spunto dalle prescrizioni della direttiva
ricorsi mentovate alle pagg. 46-48 del ricorso in appello, emerge ivi
l’esigenza di un sollecito espletamento delle procedure evidenziali e di
certezza dei rapporti.
Entrambe queste esigenze sarebbero lese da una impugnazione anticipata,
articolata pur mentre l’Amministrazione è impegnata nella fase procedimentale
teoricamente destinata a concludersi mercè la possibile emissione di
prescrizioni a contenuto emendativo (in senso anche “favorevole” al ricorrente)
rispetto alle lacune riscontrate dal bando.
Di più: verrebbe fatto di chiedersi, a questo punto, come mai la direttiva
ricorsi ed il codice appalti abbiano consentito il dispiegarsi della procedura
evidenziale in più fasi, e non abbiano invece imposto che la lex
specialis si strutturi in un unico atto, (contenente
bando,lettera-invito e capitolato) e, più a monte, che senso abbia distinguere
tra queste.
Al contrario, le predette esigenze verrebbero rese frustranee
dall’accoglimento della tesi di parte appellante per le già chiarite ragioni
esposte al punto 3.10.2. della presente decisione: la questione di
interpretazione comunitaria va quindi dichiarata manifestamente infondata ed è
inaccoglibile dal Collegio.
Va conclusivamente confermata la statuizione di inammissibilità delle
censure di cui ai numeri 4, 7 e 9 del ricorso in appello.
4.A questo punto della esposizione, è possibile prendere partitamente in
esame le censure (nn 3, 5, 6 ed 8 dell’appello) erroneamente dichiarate
inammissibili dal Tar e riproposte nell’odierno grado di giudizio nell’ambito
del predetto ricorso n. 2539/2013.
4.1. Anticipa il Collegio che certamente la prima di esse non appare
persuasiva.
4.2.La detta prima censura articolata dalla originaria ricorrente ed
attuale concessionaria avverso il bando (terzo motivo di appello) attinge il
bando medesimo, e soprattutto la prescrizione contenuta nell’ avviso di
rettifica al bando pubblicata nell’agosto 2012, oggetto del ricorso per motivi
aggiunti, (parzialmente modificativo della previsione del bando), laddove si
impone (con il fine di non perdere il versamento inizialmente previsto al
31.12.2011) «un pagamento pari a 140 milioni di euro entro 30 (trenta) giorni
dalla data di affidamento e un pagamento annuo di 70 milioni di euro, a decorrere
dall’anno di affidamento entro il 31 dicembre e, per gli anni successivi, entro
il 30 novembre di ciascun anno».
Secondo parte appellante l’originaria previsione contenuta nel bando, e più
ancora quella modificativa contenuta nell’avviso di rettifica violerebbero la
lettera della legge (art. 8-duodeciesdel d.l. 59/08) e, soprattutto,
introdurrebbero un onere spropositato e sproporzionato: ma già la prescrizione
normativa (art. 8-duodecies, comma 2-bis, del d.l. 59/08 come modificato
dall’art. 47 del d.l. 78/10) ad avviso di parte appellante risultava di dubbia
compatibilità comunitaria quanto a tale profilo.
4.3. Il Collegio non concorda con le critiche mosse da parte appellante.
Il vizio di violazione di legge, all’evidenza, non sussiste, posto che la
rettifica ha sì incrementato l’importo del richiesto versamento stabilendo che
esso sia pari a140 milioni di euro (ma, rispetto alla primigenia formulazione
del bando) conformemente alla legge, non fa decorrere la data di versamento ad
un termine fisso, ma pur sempre dalla data dell’affidamento.
L’appellante sottovaluta tale –assai rilevante – profilo ed insiste
nell’ipotizzare che tale quantificazione sia contra legem, perché
essa pur decorrendo dall’affidamento, è raddoppiata rispetto alla prescrizione
di legge.
Senonchè, è agevole osservare, quanto a tale profilo, che la legge non
fissa una somma massima, ma semplicemente quella minima.
E la data del versamento è slittata nel tempo, di guisa che non si pone
alcuna problematica di contrarietà alla lettera della legge.
4.3.1. Parimenti non appare meritevole di positiva delibazione la critica
direttamente e particolarmente volta a censurare una prescrizione contenuta
nell’ avviso di Rettifica, laddove quest’ultimo aveva riproposto la
disposizione del bando che prevedeva «quanto al versamento della prima rata
dell’importo di Euro 70.000.000,00, nel caso di versamento della stessa in data
successiva al 31 dicembre 2011, l’Aggiudicatario dovrà corrispondere l’importo
della rata maggiorato degli interessi calcolati dalla data del 31 dicembre 2011
e fino alla data del versamento ad un tasso di interesse pari al tasso BCE
maggiorato di 2 punti percentuali in ragione d’anno».
Ad avviso di parte appellante essa era illogica in quanto (anche in
difformità rispetto alla stessa legge provvedimento) era stato imposto
all’aggiudicatario un onere per il ritardato pagamento, sebbene ogni ritardo
nell’affidamento della concessione non era dipeso dal potenziale aggiudicatario
ma dall’ Anas: l’aggiudicatario avrebbe dovuto pagare gli interessi su una
somma che non avrebbe potuto in alcun modo corrispondere prima.
4.3.2. Senonchè anche in questo caso, è agevole constatare che l’importo
previsto ex lege fissava unicamente la somma minima da
corrispondere; che l’Amministrazione avrebbe pertanto potuto, nell’ambito della
propria discrezionalità, quantificarla in un importo maggiore; che la
circostanza che una “voce” di detta somma sia stata rapportata al versamento
degli interessi non muta la sostanza della quantificazione.
4.3.3. Semmai, ci si può e deve interrogare sulla ragionevolezza – o meno –
della prescrizione predetta.
Ed a tale proposito, pure nei limiti dello strettissimo sindacato “debole”
espletabile da questo Collegio non pare che sia stato previsto un onere
spropositato e sproporzionato, laddove si consideri che la retribuzione dell’
affidatario è in grado di remunerare adeguatamente l’investimento; e che
l’aggiudicazione concerne un’opera tra le più rilevanti d’Europa (e come tale
sempre considerata dalla stessa Corte di giustizia delle Comunita' Europee: si
veda la decisione di quest’ultima 12-06-2003, n. 112 laddove si è addirittura
affermato che “integra una limitazione del commercio intracomunitario delle merci
e, in particolare, una misura di effetto equivalente a restrizioni
quantitative, incompatibile in linea di principio con gli obblighi del diritto
comunitario risultanti dagli artt. 30, 34 e 5 del Trattato il non aver vietato
una manifestazione che ha comportato il blocco totale, per quasi 30 ore, di una
via di comunicazione importante -autostrada del Brennero-, a meno che tale
mancato divieto possa risultare obiettivamente giustificato.”).
4.3.4. Nell’ultima parte della doglianza l’appellante contesta che tale
esborso sia stato temporalmente fissato sin dal momento dell’aggiudicazione
della concessione - rectius alla stipula del contratto di
concessione- e quindi in un momento antecedente all’avvio della gestione.
Si sostiene che, trattandosi di concessione di lavori, essa era destinata
ad essere strutturata prevedendosi che il versamento del canone gravasse
sull’affidatario (e quindi coincidesse con l’effettivo inizio del servizio)
remunerando con questo flusso gli oneri di realizzazione dei lavori (e
eventuali canoni dovuti all’Amministrazione).
Viene pertanto denunciato il sostanziale stravolgimento della figura della
concessione di lavori.
4.3.5. Osserva in senso contrario il Collegio che l’invocato comma 11
dell’art. 3 del d.Lvo n. 163/2006 (“le «concessioni di lavori pubblici» sono
contratti a titolo oneroso, conclusi in forma scritta, aventi ad oggetto, in
conformità al presente codice, l'esecuzione, ovvero la progettazione esecutiva
e l'esecuzione, ovvero la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva
e l'esecuzione di lavori pubblici o di pubblica utilità, e di lavori ad essi
strutturalmente e direttamente collegati, nonché la loro gestione funzionale ed
economica, che presentano le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di
lavori, ad eccezione del fatto che il corrispettivo dei lavori consiste
unicamente nel diritto di gestire l'opera o in tale diritto accompagnato da un
prezzo, in conformità al presente codice. La gestione funzionale ed economica
può anche riguardare, eventualmente in via anticipata, opere o parti di opere
direttamente connesse a quelle oggetto della concessione e da ricomprendere
nella stessa.”) prevede “che il corrispettivo dei lavori consiste unicamente
nel diritto di gestire l'opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo”:
nel legittimare detta eventualità poi, non indica in alcuna sua parte che “il
prezzo” che può accompagnare il diritto a gestire l’opera debba essere versato
soltanto a gestione avviata.
E’ ben vero che, in linea tendenziale il criterio differenziale rispetto
l’appalto dei lavori riposa proprio nella circostanza che l’importo
dell’affidamento sia remunerato attraverso i profitti discendenti dalla
gestione dell’opera (T.A.R. Marche Ancona Sez. I, 05-04-2013, n. 285)
In generale,infatti le concessioni sono definite come i contratti che
presentano le stesse caratteristiche di un appalto pubblico, ad eccezione del
fatto che il corrispettivo della fornitura del servizio o dei lavori consiste
unicamente nel diritto di gestire il servizio pubblico o l'opera o in tale
diritto accompagnato da un prezzo, in conformità delle norme del D.Lgs. n.
163/2006 - Codice degli appalti - (art. 3, commi 11 e 12). In sostanza,
l'essenza della concessione, sia essa relativa a beni o a servizi pubblici, sta
nel fatto che il concessionario si remunera per l'appunto erogando il servizio
all'utenza (la quale corrisponde al gestore una tariffa, nella misura
determinata dall'autorità concedente o da un organismo regolatore indipendente)
oppure sfruttando il bene demaniale a fini economici (si pensi, per tutte, alle
concessioni demaniali marittime). Le concessioni amministrative sono entrate
nell'alveo di applicazione della normativa comunitaria sugli appalti pubblici
proprio per il fatto che, dal punto di vista della tutela della concorrenza,
esse hanno la stessa incidenza sul mercato degli appalti, visto che il
concessionario di beni o servizi pubblici ricava un'utilità sfruttando
economicamente beni pubblici che non sono disponibili in quantità illimitata.
Tanto ciò è vero che -poiché i principi comunitari ostano a normative o prassi
amministrative che, attraverso un'assegnazione non competitiva delle
concessioni, siano idonee a provocare un'alterazione delle ordinarie dinamiche
di mercato, gli artt. 30 e 144 del D.Lgs. n. 163/2006 (Codice degli appalti)
impongono che l'affidamento delle concessioni sia preceduto da un confronto
concorrenziale.
Ma è parimenti vero che il detto principio non è accompagnato da una prescrizione
ostativa che si opponga ad una quantificazione anticipata e minimale (ed il quantum non
può che essere rapportato all’altissimo valore dell’affidamento, pari a tre
miliardi di Euro), con obbligo di anticipato versamento al momento della
stipula dell’atto concessorio: la doglianza non appare fondata impingendo nella
lata discrezionalità dell’Amministrazione e non rapportando il valore
dell’importo preteso a quello, elevatissimo, della concessione ( e ciò in
disparte le considerazioni rese della difesa erariale nella memoria di primo
grado afferenti alla “genesi” di tale prescrizione, resasi necessaria, ad
avviso dell’Avvocatura dello Stato, dagli arresti della procedura imposti in
sede giudiziaria a cagione della ostruzionistica attività posta in essere dalla
attuale concessionaria ed odierna appellante).
La doglianza, conclusivamente, non è condivisibile.
4.4. Ritiene adesso il Collegio – sempre seguendo una graduazione
improntata al criterio della logica pregiudizialità –di prendere in esame la sesta
censura proposta dall’appellante Società.
La detta sesta censura di appello – sulla cui ammissibilità ci si è già
sinteticamente soffermati prima - è dedicata, nella prima parte, a criticare il
bando di gara nella parte in cui, in violazione della Direttiva n. 311/2011
esso si limitava a fare soltanto un generico richiamo alle opere
infrastrutturali complementari, anche urbane o consistenti in gallerie la cui
realizzazione doveva rientrare tra gli obblighi assunti dal concessionario,
facendo altresì presente che non risultava che il detto elenco fosse stato
trasmesso dall’Anas,prima della pubblicazione del bando di gara, al Ministero
delle infrastrutture e dei trasporti ed al Ministero dell’economia e delle
finanze.
La seconda parte del mezzo, denunciava un ulteriore contrasto del bando
rispetto alle prescrizioni contenute nella Direttiva n. 311 medesima il cui
punto 8.4 stabiliva che «tra i criteri costituenti l’offerta economicamente più
vantaggiosa dovrà essere previsto – a titolo semplificativo e non esaustivo –
un punteggio premiante […] per il concorrente che formuli la migliore offerta
in ordine alla realizzazione delle opere complementari di cui al successivo
punto».
Ad avviso dell’appellante non solo di tale criterio di valutazione delle
offerte non vi era traccia nel bando di gara, ma neppure sarebbe stata
legittima una successiva previsione nella lettera di invito o nel capitolato
(atti, come si è detto, questi ultimi, idonei soltanto ad integrare e
specificare il bando di gara, ma non a derogarvi prevedendo ulteriori elementi
di valutazione).
Come è agevole riscontrare, la censura si pone in termini in parte larga
parte complementari od identici rispetto alla doglianza contenuta nell’appello
avverso la sentenza n. 140/2013 proposto dagli Enti locali interessati
dall’attraversamento del proprio territorio da parte del tracciato autostradale
e volta ad avversare direttamente la predetta Direttiva (e della quale si è in
precedenza soltanto anticipato il giudizio di fondatezza del Collegio ).
4.4.1. Proprio per detta intima connessione, la sesta censura dell’appello
di Autobrennero verrà esaminata congiuntamente a quella proposta dal Consorzio
nel riunito appello.
Il Consorzio degli enti locali – come prima sinteticamente fatto presente -
ivi ha lamentato infatti che la Direttiva avesse del tutto obliato il segmento
“opere infrastrutturali complementari” oggetto di diretta previsione
legislativa; l’appellante società, oltre ad affermare parimenti che la
Direttiva abbia obliato la questione “opere complementari” si duole del fatto
che tale omissione sia stata reiterata nel bando e della omessa previsione, nel
bando, del punteggio premiante previsto dalla Direttiva medesima.
4.4.2. Le dette doglianze colgono nel segno.
La lettura dell’articolato normativo che della predetta Direttiva
costituisce “fonte” (oltreché antecedente logico e causale esclusivo) induce ad
affermare la fondatezza della argomentazioni appellatorie.
Ivi infatti, (comma 2-bis dell’ articolo 8-duodecies del
decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge
6 giugno 2008, n. 101) che:
a) la società Anas S.p.a….entro il 31 dicembre 2010 (termine che non è
contestato fosse semplicemente ordinatorio, ndr) pubblica il bando di gara per
l'affidamento della concessione di costruzione e gestione dell'autostrada del
Brennero.
b) “a tal fine il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti d'intesa
con il Ministro dell'economia e delle finanze, impartisce direttive ad Anas
S.p.a;
c)dette direttive sono così indicate nel detto articolo di legge: “ in
ordine ai contenuti del bando di gara e del relativo capitolato o disciplinare,
ivi compreso il valore della concessione, le relative modalità di pagamento e
la quota minima di proventi annuale, comunque non inferiore a quanto
accantonato in media negli esercizi precedenti, che il concessionario è
autorizzato ad accantonare nel fondo di cui all'articolo 55, comma 13, della
legge 27 dicembre 1997, n. 449 nonché l’indicazione delle opere
infrastrutturali complementari, anche urbane o consistenti in gallerie, la cui
realizzazione, anche mediante il ricorso alla finanza di progetto, deve
rientrare tra gli obblighi assunti dal concessionario.”.
d) nella detta disposizione di legge, si stabilisce poi che “il predetto
bando deve prevedere un versamento annuo di 70 milioni di euro, a partire dalla
data dell'affidamento e fino a concorrenza del valore di concessione, che viene
versato all'entrata del bilancio dello Stato.”
La coordinata lettura della disposizione di legge succitata, rende palese
che, nell’intenzione del Legislatore il contenuto della emananda direttiva era
racchiuso nelle proposizioni che, per comodità espositiva sono state riportate
separatamente alle superiori lettere b e c, mentre l’ulteriore previsione
(relativa all’ importo del versamento) costituiva prescrizione immediata e
cogente da trasfondersi nel futuro bando.
Se così è, concentrando l’esame sul contenuto minimale della predetta
“direttiva”, resta confermata la fondatezza della tesi dalle parti appellanti
secondo cui essa avrebbe già dovuto contenere “la specifica indicazione delle
opere infrastrutturali da realizzarsi, evidentemente nel territorio dei Comuni
lambiti dal percorso della autostrada A22” (come affermatosi nel mezzo di primo
grado e ribaditosi in appello).
Ne consegue che, da un canto appare ex se censurabile la detta direttiva
nella parte in cui (si veda sempre le testuali espressioni utilizzate nel mezzo
di primo grado) essa “si è astenuta da tale indicazione, demandando
l’individuazione delle opere infrastrutturali complementari all’Anas, cui è
stato affidato di provvedervi in sede di redazione degli allegati di gara.”.
Invero, ad avviso del Collegio, la norma di legge succitata fa riferimento
a due distinti versanti “provvedimentali” successivi.
Il secondo di essi riposa esclusivamente nel bando, ed è “assistito” da una
previsione puntuale in ordine all’obbligo di versamento dell’importo ivi
determinato.
Il primo di essi, invece, accomuna bando di gara e relativo capitolato o
disciplinare e tutti e tre tali atti presupponevano l’anticipata emissione
delle “direttive” in ordine ai contenuti e, per quel che qui maggiormente
interessa “nonché l’indicazione delle opere infrastrutturali complementari,
anche urbane o consistenti in gallerie, la cui realizzazione, anche mediante il
ricorso alla finanza di progetto, deve rientrare tra gli obblighi assunti dal
concessionario.”.
Se così è, risulta confermato da una canto che tale
determinazione/indicazione non poteva essere obliata nelle direttive ed essere
rimandata alle successive fonti applicative e comunque, anche a volere
ipotizzare (ma così non è) che detta indicazione fosse stata rinviata ad un
momento successivo, essa non poteva mancare nel bando.
La direttiva emanata si è attenuta (vedasi punto 9 della medesima ) ad un
contenuto minimale e traslativo riposante nello demandare all’Anas la
individuazione delle opere riservando alla alta sede ministeriale il controllo
sull’elenco completo delle opere che infatti sarebbe stato onere dell’Anas
comunicare al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed al Ministero
dell’economia e delle finanze “fornendo adeguata motivazione circa la
strumentalità delle stesse rispetto all’infrastruttura oggetto del presente
riaffidamento» (si veda art. 9 della direttiva del Ministro delle
Infrastrutture e dei Trasporti,10 agosto 2011, n. 311, presa d’intesa con il
Ministro dell’Economia e delle Finanze).
In disparte la circostanza che la difesa di Autobrennero contesta che ciò
sia in realtà avvenuto (la difesa erariale fa invece riferimento alla nota Anas
n. 138307 del 12.10.2011) non ritiene il Collegio che questo fosse il contenuto
precettivo serenamente ricavabile dall’articolato di legge.
Impartire direttive, infatti, è cosa diversa dal “riservarsi un controllo”
(che è ciò che è in concreto avvenuto).
Il frutto di tale remand è stato quello denunciato dalle
parti appellanti ed in concreto ricavabile dall’esame della procedura di gara:
allo stato, sino all’emissione del bando, ed anche successivamente a
quest’ultimo, non era dato conoscere quali fossero le dette opere
complementari, realizzabili anche attraverso la finanza di progetto, certamente
necessarie in quanto preconizzate e previste dalla detta norma di legge.
E poiché essa accomunava bando e capitolato o disciplinare,la tesi
articolata in primo grado dalla difesa erariale (secondo la quale non sarebbe
stato possibile procedere ad indicare quali sarebbero dovute essere le opere
infrastrutturali da predisporsi in concreto in sede di emissione della
direttiva interministeriale) non appare accoglibile.
Sia che si ritenga che le dette “direttive” contenenti l’indicazione delle
opere complementari dovessero precedere l’emissione del bando e vincolare
quest’ultimo alla successiva puntuale elencazione, sia che si ritenga che la
indicazione avrebbe potuto essere contenuta direttamente in quest’ultimo, nulla
di tutto ciò si è verificato.
Mentre, alla luce del dato normativo, non si vede come possa sostenersi che
(neppure) il bando di gara fosse “onerato” dall’indicare le dette opere e che
tale incombente potesse essere ulteriormente differito e traslato sul
disciplinare o capitolato.
In disparte ogni considerazione sulle conseguenze (già in termini di
incertezza sull’oggetto effettivo della procedura evidenziale) di siffatto modo
di procedere, ed in disparte le ulteriori acute considerazioni dell’appellante
in ordine alla (conseguente) omissione di ogni indicazione nel bando sul
“punteggio premiale” alla esecuzione delle medesime connesso, il dato letterale
della norma di legge non consente di ritenere la praticabilità del
combinato-disposto per cui, le direttive potevano omettere ogni indicazione (se
non quella, generica, del controllo ex post) e parimenti il bando
potesse lasciarne l’indicazione alla successiva lettera invito.
In sostanza il dato letterale si oppone alla tesi secondo cui le
“direttive” espressamente prescritte ex lege avessero soltanto
il compito di normare la procedura individuativa delle predette opere e,
soprattutto, che tale normazione dovesse poi essere non rimessa al bando, ma
alla successiva fonte applicativa rappresentata dal capitolato.
4.4.3. Dette considerazioni militano,in termini assorbenti, per
l’accoglimento della censura: le contrarie argomentazioni della difesa
erariale, secondo cui la direttiva succitata avrebbe utilizzato “atecnicamente”
la nozione di “bando di gara” e si sarebbe invece riferita alla “documentazione
di gara” (pagg. 1 e 18 della memoria depositata in primo grado) e, soprattutto,
la tesi secondo cui essa non rilevasse né isolatamente considerata qual atto
spiegante valenza provvedimentale (quantomeno in parte qua) ma neppure qual
parametro di valutazione dei successivi atti provvedimentali che a questa si
dovevano confermare non è francamente accoglibile: in parte per le motivazioni
già chiarite con riguardo all’appello proposto dal Consorzio; per altro verso,
perché ipotizza una interpretatio abrogans della norma di
legge che la emissione di tale direttiva/e (la legge per il vero si esprimeva
al plurale) aveva previsto, in ragione della quale verrebbe fatto di
interrogarsi sulla utilità della detta prescrizione normativa.
4.4.4. Appare evidente che l’accoglimento delle dette connesse censure
contenute nei riuniti appelli spiega portata assorbente rispetto alle altre
doglianze.
Deve però per incidens potersi precisare che anche il
quinto motivo dell’appello proposto dalla società Autobrennero (è stato ivi
sostenuto che la richiesta di presentazione delle attestazioni SOA in sede di
prequalifica, contenuta nel bando di gara, violasse il principio di segretezza
delle offerte in quanto costringeva i partecipanti interessati a disvelare
elementi qualificanti della loro offerta -punti IV.2 e III.2.3 della lex
specialis) appare difficilmente smentibile.
4.4.5.Ivi infatti si è segnalato che tale anticipata ostensione di elementi
relativi all’offerta (elementi necessari per la quantificazione ed attribuzione
del punteggio premiale previsto per l’affidamento a terzi) sarebbe stata
evitabile, da parte dei concorrenti, unicamente munendosi di un requisito
sproporzionato rispetto a quello necessario per l’esecuzione del contratto
(“costringendosi” il concorrente ad acquisire le SOA necessarie per svolgere
l’intero ammontare dei lavori che poteva essere eseguito in proprio pur
consapevole che parte di esse non sarebbero state utilizzate laddove esso poi
avesse deciso di eseguire in proprio una minor parte dei lavori).
Operando le offerenti diversamente, la Stazione appaltante avrebbe
conosciuto in anticipo un elemento dell’offerta da essere presentata,
direttamente ricollegabile alla prescrizione relativa alla attribuzione di un
punteggio premiale per chi avesse “appaltato” a terzi i lavori in percentuale
superiore al 30% (cfr art. 146 del codice dei contratti).
Effettivamente deve constatare il Collegio che sono possibili due
eventualità: o la prescrizione de quo “anticipata” al momento
del bando, impone un onere che non pare proporzionato (o che, quantomeno,
appare inutile in quanto in parte superfluo), ovvero non così operandosi da
parte delle offerenti,detto elemento dell’offerta direttamente ricollegato
all’attribuzione di un punteggio premiale rischierebbe di essere conosciuto
dalla stazione appaltante anticipatamente rispetto all’offerta vera e propria.
Le considerazioni contrarie esposte dalla difesa erariale alla pag. 15
della memoria versata nel giudizio di primo grado contengono elementi
dubitativi (ivi si fa riferimento all’importo, pari a 3 miliardi di Euro, dei
lavori oggetto della procedura evidenziale, che renderebbe difficile in tal
modo violare il principio di segretezza dell’offerta) ma non paiono potersi
sottrarre dal dato matematico: attraverso la omessa presentazione delle Soa da
parte della offerente si potrebbe addivenire alla quota dei lavori in futuro
affidati ad imprese terze.
5.Alla stregua delle superiori argomentazioni, ed assorbite le ulteriori
censure prospettate dall’appellante società, vanno pertanto parzialmente
accolti i riuniti appelli, nei termini di cui alla motivazione che precede e
previa declaratoria della parziale ammissibilità dei ricorsi di primo grado
proposti, e per l’effetto, in parziale riforma delle gravate decisioni, devono essere
annullati gli atti gravati in primo grado.
6. Appare evidente, quanto alle spese del giudizio, che la novità,
complessità, e particolarità delle questioni di fatto e giuridiche sottese alla
presente controversia, ne legittima la integrale compensazione tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quarta)definitivamente pronunciando sui riuniti appelli, li accoglie
parzialmente, nei termini di cui alla motivazione che precede e, per l’effetto,
in riforma delle gravate decisioni, affermata la parziale ammissibilità dei
ricorsi di primo grado, accoglie parzialmente i medesimi ed annulla gli atti
gravati.
Spese processuali compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2013
con l'intervento dei magistrati:
Riccardo Virgilio, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Francesca Quadri, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
L'ESTENSORE
|
IL
PRESIDENTE
|
|
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/03/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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