domenica 17 febbraio 2013

Uno stralcio di un mio articolo, in materia d'appalti, di prossima pubblicazione




MASSIMA


Consiglio di Stato, Sez. III,  12 settembre 2012,  n. 4831 – Pres. Cirillo – Est. Orsola Spiezia – S. s.r.l. (avv.ti Manzi, Caruso) c. Società Regionale per la Sanità-Soresa s.p.a. (avv. Di Bonito), S. s.r.l. (n.c.).

1. Contratti pubblici – Ottemperanza – Subentro – “Per l’intera durata programmata dell’appalto” – Interpretazione – Inefficacia “ex tunc” – Motivi – Dato letterale.
2. Contratti pubblici – Ottemperanza – Subentro – “Per l’intera durata programmata dell’appalto” – Interpretazione – Inefficacia “ex tunc” – Motivi – Dato comparativo – Appalto di servizio pluriennale ed a natura permanente - Prevalenza (anche) dell’interesse pubblico – Necessità di rinnovo alla scadenza – Irrilevanza della mancanza di copertura finanziaria attuale.

1. Una sentenza passata in giudicato che ha ordinato alla P.A. di aggiudicare il servizio alla impresa ricorrente "con subentro nel contratto per l’intera durata programmata dell’appalto", senza statuire espressamente in ordine alle sorti del precedente contratto di appalto, facendo riferimento al "subentro nel contratto per l’intera durata programmata dell’appalto", ha implicitamente statuito l’inefficacia ex tunc della convenzione in corso tra la stazione appaltante e la precedente aggiudicataria; è infatti evidente che soltanto la caducazione della suddetta convenzione fin dalla data della stipula può essere logicamente compatibile con la contestuale statuizione di affidare alla ricorrente il servizio "per l’intera durata programmata dell’appalto".

2. A seguito dell’annullamento in s.g. dell’aggiudicazione di un appalto di servizi avente durata pluriennale (nella specie, della durata di 6 anni) e natura permanente (nella specie si trattava del servizio di rilevazione e gestione dati della spesa farmaceutica delle AA SS LL della Regione), con contestuale statuizione di affidare alla ricorrente il servizio "per l’intera durata programmata dell’appalto", l’affidamento del servizio alla impresa ricorrente non può essere negato perché comporterebbe conseguenze lesive dello stesso interesse pubblico, in ragione della corrispondente incapienza dei fondi stanziati nel bilancio pluriennale per l’erogazione del servizio. Trattandosi infatti di appalto di servizi rispondente ad esigenze di natura permanente, alla scadenza dei 6 anni programmati nel bando di gara la stazione appaltante dovrebbe, comunque, reperire nuovi fondi da stanziare per proseguire il servizio, indicendo a tale scopo una nuova gara; quindi la necessità di apprestare la ulteriore copertura finanziaria necessaria per affidare alla impresa ricorrente il servizio per l’intera durata, non costituisce per la stazione appaltante giustificazione idonea a sollevarla dall’obbligo di dare esatta ottemperanza al giudicato.

Ottemperanza ed appalti: il “perdurante” problema dell’ampiezza dei poteri del Giudice amministrativo sulla sorte del contratto.
Nota a Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 12 settembre 2012 n. 4831.

di Federico Frasca
(Avvocato e dottorando di diritto amministrativo presso la facoltà di Giurisprudenza – “Tor Vergata”),

Sommario. 1. Introduzione. 2. La fattispecie concreta. 3. Breve excursus sulle posizioni giurisprudenziali più recenti in materia. 4. Le questioni problematiche sottese.  5. Posizioni dottrinali a confronto. 5.1  La dottrina maggioritaria  5.2  (segue): ed alcune due varianti. 5.3  La dottrina minoritaria. 6. Conclusioni (e prospettive).

1. Introduzione
Il tentato superamento della struttura bifasica per la tutela in forma specifica negli appalti ad opera del D.Lgs. n. 53/10[1] non ha comportato affatto l’irrilevanza della fase dell’ottemperanza[2] in subiecta materia, tanto sul piano fenomenologico che in quello dogmatico-ricostruttivo, e sia quale rimedio tipico all’inesatta esecuzione del decisum da parte della P.A. sia in relazione agli aspetti “cognitori” insiti nella stessa. L’analisi dell’ottemperanza in materia di appalti non esclude affatto, quindi, la disamina delle problematiche sottese alla decisione del Giudice amministrativo sulla “sorte del contratto”, la cui sedes materiae è (rectius dovrebbe essere) la fase di cognizione.
La stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato, invero, definisce un continuum la relazione tra le due fasi[3], rimandando al concetto di fattispecie complessa a formazione progressiva di stampo procedimentale.
La sentenza che si annota - Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 12 settembre 2012 n. 4831 – emanata al termine del giudizio d’ottemperanza, non può dunque che sollevare le medesime aporie che avrebbe prodotto nell’interprete se fosse stata emanata al termine della fase cognitoria e, più in particolare, spingerlo a riflettere sul “perdurante problema dell’ampiezza dei poteri del Giudice amministrativo sulla sorte del contratto”[4].
I presupposti delle decisioni dei Giudici amministrativi nella materia in esame[5] rappresentano il punto di partenza di tale ricerca ermeneutica.
Più in particolare: il problema dei poteri del Giudice, sub specie dei limiti che ne devono delineare il perimetro operativo, permane anche nella fase dell’ottemperanza. Il principio di effettività della tutela giurisdizionale, inteso come rapida soluzione della controversia in una materia fondamentale quale quella degli appalti, è risultato quindi sostanzialmente disatteso perché non realizzato nella soltanto fase cognitoria, ma anche in quella esecutiva.  Lo stesso è stato allora declinato dal Giudice amministrativo come potenziamento della reintegrazione in forma specifica (ossia il subentro nel contratto), nelle forme dell’inefficacia ex tunc del contratto, a prescindere da una completa e corretta ponderazione di tutti gli altri interessi e principi coinvolti. Quanto sostenuto traspare dal decisum della sentenza che si annota, ma riluce da un’analisi più ampia della produzione giurisprudenziale più recente nella materia in esame[6].
Tali primi rilievi si saldano, quindi, con un primo bilancio sul rito super-accellerato delineato dal legislatore comunitario prima (direttiva 2007/66/CE) e nazionale poi (artt. 120-125 c.p.a.): introdotto per garantire la tutela della concorrenza tramite il principio di effettività della tutela giurisdizionale, non si è rilevato pienamente satisfattivo delle esigenze del “mercato unico” di tutela del principio di concorrenzialità tra operatori economici (anche) negli affidamenti di lavori, servizi e forniture. La permanente rilevanza dell’ottemperanza è un indice sintomatico particolarmente pregnante di quanto sostenuto.
La vera quaestio è ad ogni modo soltanto collegata al problema della rapidità del giudizio (il ricorso all’ottemperanza, nei fatti frequente, è ex se l’antitesi della concentrazione processuale); il vero punctum dolens è la permanente incertezza della latitudine e del fondamento dei poteri del G.A. in materia d’appalti. Non è casuale che tale problema risulta a tal punto stringente da aver spinto il Consiglio di Stato a sollevare recentemente davanti alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale relativa agli artt. 121 co. 5 e 122 c.p.a.[7] proprio in relazione alla dedotta incertezza ermeneutica applicativa, seppure in un’ottica di ulteriore “ampliamento” della discrezionalità giurisdizionale.
Il sostanzialismo comunitario[8] ha portato difatti la nostra giurisprudenza amministrativa ad esercitare un decisionismo criticabile non tanto ex se quanto perché privo di un quadro normativo-assiologico, di una ricostruzione sistemica o di un quadro giurisprudenziale costante, condiviso e condivisibile.  
In altre parole, il Giudice amministrativo italiano considera la materia degli appalti nella fase cognitoria come di fatto attratta non solo alla giurisdizione esclusiva ma anche a quella di merito, in evidente distonia ex multis con il dettato positivo[9]. In maniera speculare, la stessa fase dell’ottemperanza, che è invece ipotesi paradigmatica di giurisdizione di merito, nelle pronunce più recenti in subiecta materia, è interpretata come fase surrogatoria da parte del Giudice della (mancata) attività di parte della fase cognitoria.
Tale fenomenologia impone di rintracciare i fondamenti assiologici che ne sono alla base, e, soprattutto, se dalle premesse se ne siano tratte le coerenti conseguenze o se all’usum si sia sostituito l’abusum.
La sentenza che si annota, almeno ad opinione di chi scrive, rappresenta un esempio plastico di tale “patologica” distorsione del potere giurisdizionale in materia di appalti. La visione sanzionatoria che la connota ed il principio di effettività della tutela giurisdizionale[10] hanno portato il Giudice, in concreto, a fornire un’opinabile interpretazione delle pronunce “generiche”, ossia prive della specifica statuizione sul efficacia ex tunc o ex nunc, sull’inefficacia del contratto. Il decisum, dal “sapore” vagamente nomofilattico, così recita: “devono sempre intendersi come ex tunc, a prescindere dalla previa valutazione degli interessi pubblico alla certezza del diritto ed al minor impegno finanziario della P.A. e di quello (altresì pubblico”) di tutela della concorrenza”. E questo in violazione dello stesso sostanzialismo giurisprudenziale comunitario, che considera il principio di effettività della tutela giurisdizionale come strettamente strumentale a quello di tutela della concorrenza[11], sottoposto ai principio di proporzionalità o del minimo mezzo




[1] Trattasi di normativa processuale, applicabile quindi anche ratione temporis ai processi pendenti alla relativa data di entrata in vigore, il 27 aprile 2010; cfr. ex multis Cons. St., Sez. V, sent. 23 maggio 2011 n. 3070; Cons. St., Sez. VI, sent. 15 giugno 2012 n. 3759. In dottrina: R. DE NICTOLIS, Il recepimento della direttiva ricorsi nel codice appalti e nel nuovo codice del processo amministrativo, www.giustizia-amministrativa.it.
[2] Come dimostrato dalla recente pronuncia dell’Ad. Plen., 15 gennaio 2013 n. 2 (che segue alle pronunce 2, 14 e 18 della Plenaria del 2012) con cui il Supremo Consesso amministrativo ha preso di nuovo posizione sull’istituto tracciandone un breve excursus legislativo e giurisprudenziale, vagliandone i diversi presupposti ed obiettivi (quattro) e chiarendo la portata dell’art. 121 co. 5 c.p.a., relativo al ricorso per “ottenere chiarimenti in ordine alle modalità dell’ottemperanza” e considerato come rimedio non riconducibile stricto iure all’istituto in esame. Vd. www.giustizia-amministrativa.it.
[3] Ex plurimis: Cons. St., Sez. III, sent. 19 dicembre 2011 n. 6638.
[4] La migliore dottrina ha chiaramente percepito ed affrontato tale vexata quaestio: M. LIPARI, Il recepimento della “direttiva ricorsi”: il nuovo rito super-accellerato in materia di appalti e l’inefficacia “flessibile” del contratto, 14 aprile 2010, www.federalismi.it; E. FOLLIERI, I poteri del Giudice amministrativo nel decreto legislativo 20 marzo 2010 n. 53 e negli artt. 120-124 del Codice del Processo amministrativo, su Dir. Proc. Amm., 2010, 04, 1067; E. STICCHI DAMIANI, Annullamento dell’aggiudicazione e inefficacia funzionale del contratto, sulla Rivista Dir. Proc. Amm., 2011, 01, 240; P. CARPENTIERI, Sorte del contratto (nel nuovo rito degli appalti), su Dir. Proc. Amm., 2011, 02, 664; Ge. FERRARI, L’annullamento del provvedimento di aggiudicazione dell’appalto pubblico e la sorte del contratto già stipulato nella disciplina detta dal C.p.A., su Giur. merito, 2011, 04, 919; A. GRAZIANO, Note minime in tema di inefficacia del contratto di appalto nel Codice del Processo amministrativo, consultabile su www.giustizia-amministrativa.it;  F. CINTIOLI, Le innovazioni del Processo amministrativo sui contratti amministrativi (ancora in difesa del processo di parti), su Dir. Proc. Amm., 2012, 01, 3; E. STICCHI DAMIANI, Brevi note in tema d’annullamento dell’aggiudicazione ed effetti sul contratto: i poteri del Giudice alla luce del Codice del Processo amministrativo, reperibile su Ius publicum – Network Review – www.ius-publicum.com;
[5] V. LOPILATO, Esecuzione e cognizione nel giudizio d’ottemperanza, dicembre 2012,  consultabile su www.giustizia-amministrativa.it. Il testo riprende la relazione tenuta all’incontro di studio «Il Processo amministrativo nella giurisprudenza», che si è svolto presso il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Roma, il 3 ottobre 2012. Una versione più estesa è in corso di pubblicazione nella rivista il Nuovo diritto amministrativo, n. 1, 2013, edizione Dike.
[6] La stessa dottrina ha ben percepito come la nuova disciplina sia rilevante non tanto per il rito, quanto per i presupposti relativi alla giurisdizione, ossia, più in particolare, ai poteri affidati al G.A. nella materia in esame. E. FOLLIERI, op. cit., 1, afferma difatti che “La disciplina dettata dal d.lgs. 20 marzo 2010, n. 53 e dagli artt. 120-124 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (1) disegna sul piano processuale un rito speciale che non si limita a misure solo accelleratorie del processo, come stabilito dall'art. 23-bis della l. n. 1034/71, e ora dall'art. 119 d.lgs. n. 104/2010, ma investe aspetti qualificanti e caratterizzanti della giurisdizione, con riferimento precipuo al giudice che si arricchisce di poteri di cognizione e di decisione e, quindi, anche di cautela, per la strumentalità della misura urgente in relazione ai tipi di sentenze che può adottare il giudice, e di istruzione per la funzionalità dei mezzi di prova all'accertamento da eseguire ed alle decisioni da prendere.
La specialità del rito è tale non solo per i ritmi del tempo del processo scanditi da termini particolarmente contenuti, ma soprattutto per la tipologia dei poteri cautelari, cognitori, istruttori e decisori del giudice amministrativo rispetto a quelli previsti in via ordinaria nel processo amministrativo […].
È opportuno, però, in via preliminare, individuare le ragioni della specialità perché, altrimenti, le regole, assai numerose e puntuali dettate da questo diverso rito, le dovremmo mandare giù a memoria come le tabelline delle moltiplicazioni; inoltre, il perché della diversità può costituire utile criterio guida nell'interpretazione”.

[7] Si tratta di Cons. St., Sez. III, ord. 7 gennaio 2013 n. 25. Quanto ai due questi posti alla C.G.U.E., si leggano le successive note nn. .
[8] G. FALCON, Separazione e coordinamento tra giurisdizioni europee e giurisdizioni nazionali nella tutela avverso gli atti lesivi di situazioni soggettive europee, in Riv. dir. pubbl. comun., 2004, 02, 1153 ss.; DE PRETIS D., La tutela giurisdizionale amministrativa in Europa fra integrazione e diversità, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2004, 2 ss.; A. SANDULLI, La Corte di giustizia europea ed il dialogo competitivo tra le corti, in www.irpa.eu; G. DELLA CANANEA, La “lingua” dei diritti nel dialogo tra le corti nazionali ed europee: permanenze o discontinuità? in http://www.grupposanmartino.it/
dellaCananaeaBarcelona.pdf; S. CASSESE, I tribunali di Babele. I giudici alla ricerca di un nuovo ordine globale, , 2009. S. FOA’, Il Giudice amministrativo tra effettività della tutela e suggestioni della Corte di Giustizia: ipotesi di annullamento ex nunc del provvedimento illegittimo, 16 maggio 2012, pubblicato sulla rivista telematica www.federalismi.it.
[9] G. ZANOBINI, L’attività amministrativa e la legge in Scritti vari di diritto pubblico, Milano, 1955, 203; A. TRAVI, Giurisprudenza amministrativa e principio di legalità, in Dir. pubbl. 1995, 01, 91 ss; A. TRAVI, Il principio di legalità nel diritto amministrativo che cambia, presentazione al convegno Varenna, 20-22 settembre 2007, consultabile anche in www.giustamm.it.
[10] Un Maestro come G. CHIOVENDA definiva il principio di effettività della tutela giurisdizionale “vivida stella che irradia con la sua luce sull’interso sistema”. 
Fondamentale al riguardo è la Corte di Giustizia, che ha introdotto nell’ordinamento comunitario il principio con le due note pronunce Heylens (C.G.C.E, sentenza 15 ottobre 1987, causa C-222/86) e Johnston  (C.G.C.E., sentenza15 maggio 1986, Causa C-222/84), partendo dagli artt. 6 e 7 CEDU e definendolo come “principio comune alle tradizioni costituzionali degli Stati Membri”. Oggi è consacrato tra i principi generali del diritto comunitario, con valore pari ai Trattati comunitari. E’ stato recepito nel nostro ordinamento ex multis dall’art. 11 Cost., dall’art. 1 della l. n. 241/1990 e dall’art. 1 del c.p.a. (nell’incipit quindi; nel codice di procedura civile è soltanto a partire dall’art. 99 che si enunciano i principi processuali). Si trovava comunque già espresso a livello apicale negli artt. 2, 3, 24 e 103 Cost..
Il principio de quo può declinarsi sia come la garanzia del rimedio giurisdizionale nella  realizzazione dei diritti e sia come parametro valutativo dell’idoneità dei  metodi e delle tecniche di tutela a perseguire l’obiettivo verso cui la giurisdizione è preordinata. La sua portata non può quindi limitarsi al diritto d’azione o al diritto alla speditezza processuale; va interpretata piuttosto sulla base del noto motto  chiovendiano del “tutto quello e proprio quello” che il mezzo  processuale deve assicurare al titolare del diritto. Diviene allora principio strumentale, ma informato del canone del due process of law alla realizzazione degli obiettivi generali dell’ordinamento proprio nella dialettica processuale, ossia più in particolare nella contrapposizione dell’interesse privato a quello pubblico tipica del processo amministrativo.
La concezione rimediale di matrice comunitaria non può quindi, anche sotto questo profilo, accogliersi tout court: il rimedio, oltre a postulare i valori predeterminati che tende a realizzare, ne è anche informato. Se non lo fosse, sfumerebbe il principio di legalità e rimarrebbe una discrezionalità giurisdizionale pura non più ammissibile neanche per l’attività amministrativa della P.A., con l’ulteriore rischio di violare quegli stessi principi che la giurisdizione si proponeva di rispettare.

[11] L. PRINCIPATO, L’ipostatizzazione della concorrenza: da situazione giuridica soggettiva ed ambito di competenza legislativa a strumento di politica economica, in Giur. Cost., 2012, 2, 728 (nota a Corte Cost. sent. 9 marzo 2012 n. 52) paventa il rischio opposto, ossia l’enfasi parossistica conferita dal legislatore nazionale al principio di concorrenza: “I giudici delle leggi rendono manifesto il nuovo volto della concorrenza ed il significato assiologico che essa assume, quale strumento indispensabile di politica economica. Ma proprio tale lettura, in realtà, lascia intendere a quale uso alternativo sia andata e vada soggetta la tutela della concorrenza: non più situazione giuridica soggettiva attiva né solo ambito materiale di competenza, bensì chiave attuativa di una nuova strategia di gestione politica dell'economia che - a questo punto, irrimediabilmente - legittima iuris ac de iure qualsiasi intervento normativo statale, siccome funzionale alla strutturazione dell'equilibrio macroeconomico, dinanzi alla quale ogni altro interesse diviene recessivo”.

Nessun commento:

Posta un commento