martedì 29 ottobre 2013

PRINCIPI GENERALI: l'irretroattività delle sanzioni amministrative (Cons. St., Sez. V, sentenza 24 ottobre 2013 n. 5158).


PRINCIPI GENERALI: 
l'irretroattività delle sanzioni amministrative 
(Cons. St., Sez. V, 
sentenza 24 ottobre 2013 n. 5158).


Massima

1. Le sanzioni amministrative comminate non sono generalmente applicabili con effetto retroattivo e non possono essere perciò irrogate per costruzioni portate a compimento prima dell'entrata in vigore della fonte stessa (Consiglio di Stato, Sezione V, 8 aprile 1991, n. 470).
2. Pertanto, le sanzioni amministrative previste da detta legge n. 47/1985 non sono irrogabili per le costruzioni completate prima dell'entrata in vigore della legge, dovendosi applicare quelle prescritte dalla normativa vigente all'epoca dell'abuso. E questo vale, in particolare, per la sanzione pecuniaria da infliggere a norma di tale fonte, sanzione applicabile soltanto alle violazioni commesse successivamente all’entrata in vigore di questa, dal momento la relativa disposizione normativa non ha valore retroattivo (Consiglio di Stato, Sezione V, 12 marzo 1992, n. 214).
3. Tanto, appunto, in virtù del principio generale dell'art. 11 disp. prel. Cod. civ., e stante la mancanza di un’espressa previsione che ne ammetta l'irrogazione anche retroattiva 


Sentenza per esteso


INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9936 del 2001, proposto da:
Comune di Napoli, rappresentato e difeso dagli avv. Bruno Ricci, Edoardo Barone, Giuseppe Tarallo, Anna Pulcini e Fabio Maria Ferrari, con domicilio eletto presso o studio dell’avv. Gian Marco Grez, in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18; 
contro
Condominio dell’edificio sito in Napoli, via Orsi nn. 10, 18 e 36, in persona dell’Amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Ernesto Procaccini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Stefania Iasonna, in Roma, via Salaria, n. 227; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Napoli, Sezione IV, n. 3425 del 2000, di accoglimento del ricorso proposto dal Condominio di Via Orsi nn. 8, 10 e 36, per l’annullamento della disposizione dirigenziale n. 3290 del 2.4.1999 con la quale è stato ingiunto il pagamento in solido della sanzione di £ 426.762.000 per opere realizzate in parziale difformità dalla licenza edilizia rilasciata con provvedimento sindacale n. 4/1949;

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Condominio intimato;
Vista la memoria prodotta dalla parte resistente a sostegno delle proprie difese;
Visti i decreti 13 giugno 2012 n. 1560 e 19 settembre 2012, n. 2370;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 giugno 2013 il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per le parti gli avvocati Pafundi, per delega dell'Avvocato Ferrari, e Scopa, per delega dell'Avvocato Procaccini;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO
Con il ricorso in appello in esame il Comune di Napoli ha chiesto l’annullamento o la riforma della sentenza del T.A.R. in epigrafe indicata con la quale è stato accolto, per difetto di motivazione e violazione del principi di retroattività delle sanzioni amministrative, il ricorso proposto dal Condominio dell’edificio sito in Napoli, alla Via Orsi nn. 8, 10 e 36, per l’annullamento della determinazione dirigenziale n. 3290/1999, di ingiunzione di pagamento della somma di £ 426.762.000 a titolo di sanzione pecuniaria ex l. n. 47/1985 per difformità dell’immobile rispetto alla originaria concessione edilizia n. 4/1949.
A sostegno del gravame sono stati dedotti i seguenti motivi:
1.- Erroneità dell’affermazione del Giudice di primo grado circa la necessità della motivazione, all’atto della irrogazione della sanzione pecuniaria di cui trattasi, in ordine ai motivi di pubblico interesse idonei a giustificare la modifica di un assetto consolidato da lunghissimo tempo, non essendo ciò necessario quando si proceda alla applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria.
2.- La tesi del T.A.R. che la sanzione applicata ex art. 12 della l. n. 47/1985 non può essere retroattiva è smentita dalla circostanza che le norme di cui al capo I della l. n. 47/1985 sono relative alla attività di controllo urbanistico edilizio e vanno applicate ogni volta che viene accertato l’abusività dell’opera, indipendentemente dall’epoca della sua commissione, considerato che l’illecito ha carattere permanente.
E’ inesatto il riferimento all’art. 40 della l. n. 47/1985 effettuato dal T.A.R. perché esso si applica solo se nel termine prescritto non venga presentata la domanda di cui all’art. 31 e si accertino opere eseguite in difformità o in assenza di concessione.
Con atto depositato il 10.1.2002 si costituito in giudizio il Condominio intimato, che ha dedotto la infondatezza dell’appello ed ha riproposto tutti i motivi di ricorso di primo grado dichiarati assorbiti dal T.A.R., tra l’altro reiterando la eccezione di difetto di legittimazione passiva e contestando i criteri di calcolo seguiti.
Con memoria depositata il 26.3.2010 si sono costituiti due nuovi difensori per il Comune appellante, riportandosi alle già assunte conclusioni.
Con decreto 13 giugno 2012 n. 1560, visto l’art. 1 dell’allegato n. 3 al d. lgs. n. 104/2010, il ricorso è stato dichiarato perento.
Con decreto 19 settembre 2012, n. 2370, visto l’atto con il quale è stata dichiarata la persistenza di interesse al ricorso, è stato revocato detto decreto n. 1560/2012 ed è stata disposta la reiscrizione della causa sul ruolo.
Con memoria depositata il 10.5.2013 il resistente Condominio ha ribadito tesi e richieste.
Alla pubblica udienza del 25.6.2013 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da verbale di causa agli atti del giudizio.

DIRITTO
1.- Il giudizio in esame verte sulla richiesta, formulata dal Comune di Napoli, di annullamento o di riforma della sentenza del T.A.R. in epigrafe indicata con la quale è stato accolto il ricorso proposto dal Condominio di Via Orsi nn. 8, 10 e 36 per l’annullamento della disposizione dirigenziale n. 3290 del 2.4.1999, con la qualecui è stato ingiunto ai proprietari ivi indicati il pagamento in solido della sanzione pecuniaria, ex l. n. 47/1985, di £ 426.762.000 per opere realizzate in parziale difformità dalla licenza edilizia rilasciata con provvedimento sindacale n. 4/1949.
2.- Con il primo motivo di appello è stato sostenuto che il Giudice di primo grado ha erroneamente affermato che, all’atto della irrogazione di detta sanzione pecuniaria, avrebbero dovuto essere esplicitati i motivi di pubblico interesse idonei a giustificare lo sconvolgimento dell’assetto consolidato da lunghissimo tempo.
L’obbligo di motivazione sussisterebbe infatti per la P.A. quando viene giustificata la scelta della sanzione della demolizione e sia decorso lungo tempo dalla costruzione dell'opera, ma non quando, come nel caso che occupa, si procede alla applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria.
2.1.- Osserva la Sezione che è pacifico nel caso di specie che le difformità emerse rispetto alla licenza edilizia risalivano all’epoca della costruzione dello stabile interessato e che l’intervento sanzionatorio in contestazione è stato compiuto dopo circa mezzo secolo dalla commissione dell’abuso.
Peraltro l’Amministrazione non ha contestato la affermazione che l’abuso di cui si tratta era addebitabile alla sola impresa costruttrice (unica proprietaria, al tempo, dell’edificio), facendo perciò risalire la violazione ad epoca anteriore alla nascita del condominio e agli acquisti individuali delle singole unità immobiliari da parte dei condomini.
Condivisibilmente quindi il primo Giudice, riconosciuta la sussistenza di legittimo affidamento della parte sanzionata, stante la presunzione di buona fede, sulla regolarità dell’immobile di cui trattasi e la ragionevole presunzione, ingenerata dalla prolungatissima inerzia dell’Amministrazione, che eventuali irregolarità sarebbero state ormai tollerate, ha riconosciuto la fondatezza della doglianza di difetto di motivazione formulata con il ricorso introduttivo del giudizio, affermando che nella fattispecie la sanzione inflitta avrebbe potuto essere adottata solo sulla base di un interesse pubblico specifico e concreto, idoneo a giustificare l’intervento dell’Amministrazione su un assetto da lungo tempo ormai consolidato, mentre il provvedimento impugnato non recava traccia alcuna di una tale motivazione.
Costituisce invero principio consolidato che il potere repressivo delle violazioni in materia edilizia, non essendo in quanto tale sottoposto a termini di decadenza né di prescrizione, sia esercitabile in ogni tempo (anche per il carattere permanente degli illeciti edilizi, o per lo meno dei loro effetti), sicché l’Amministrazione che intenda irrogare in concreto la sanzione pecuniaria in luogo della demolizione non è tenuta a motivare in ordine alle ragioni che la inducono a disporre tale sanzione a distanza di tempo dall’abuso (Consiglio di Stato, Sezione V, 8 giugno 1994, n. 614).
Pure consolidato è il principio che i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia sono atti vincolati che non richiedono una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico che si intendono tutelare, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, non potendosi ammettere l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può legittimare (Consiglio di Stato, Sezione VI, 11 maggio 2011, n. 2781, 5 aprile 2012, n. 2038 e 28 gennaio 2013, n. 496) perché il potere amministrativo di vigilanza e controllo e della sanzionabilità del comportamento illecito dei privati, qualunque sia l'entità dell'infrazione e il lasso temporale trascorso, non è soggetto ad esaurimento, salve le ipotesi di dolosa preordinazione o di abuso” (Consiglio di Stato, Sezione IV, 4 maggio 2012, n. 2592).
Ritiene tuttavia la Sezione che il criterio dell’indifferenza dell’epoca di commissione dell’abuso non può essere applicato con meccanicismo indiscriminato ed illimitato e, in particolare, che quando la costruzione in rilievo sia munita di un titolo edificatorio (venendo in questione delle semplici difformità dal medesimo) e siano passati svariati decenni dalla commissione della presunta violazione, la sottoposizione dei privati cittadini a procedimento sanzionatorio scuote per ciò stesso il valore della certezza delle situazioni giuridiche.
Tanto più sono destinate a sorgere delle criticità quando l’azione sanzionatoria dell’Amministrazione si indirizzi, come nel caso di specie (oltre che nei confronti di semplici aventi causa dal responsabile della presunta violazione, o, addirittura, di acquirenti dai suddetti aventi causa), i quali fino a prova contraria hanno acquistato i rispettivi immobili, a suo tempo, ad un prezzo di mercato ragguagliato alla loro consistenza oggettiva), nei confronti di un Condominio non ancora costituito all’epoca della commissione della rilevata violazione edilizia.
L’attivazione del potere repressivo a tale distanza di tempo rende, fra l’altro, oltremodo difficoltoso l’esercizio del diritto di difesa da parte, nel caso di specie, dell’intimato Condominio (a prescindere dalla effettività della sua legittimazione passiva), oltre che degli attuali proprietari, e, soprattutto, improba ogni iniziativa di rivalsa, da parte delle parti intimate degli intimati, nei riguardi degli effettivi responsabili dell’abuso.
In tali casi estremi non si può non ritenere, dunque, che l’onere della motivazione dell’iniziativa sanzionatoria si impone quale contrappeso proprio alla mancanza di termini di prescrizione-decadenza per l’esercizio del potere repressivo.
L’esistenza, in casi eccezionali, di possibili deroghe al principio che il potere repressivo delle violazioni in materia edilizia non necessiti di particolari motivazioni oltre l’affermazione della accertata abusività dell’opera, perché relativo ad attività vincolata, è stata affermata anche da consolidata giurisprudenza, che ha fatto salva l'ipotesi in cui, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso ed il protrarsi dell'inerzia dell'Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato. Ipotesi, in relazione alla quale è ravvisabile un onere di congrua motivazione che indichi, avuto riguardo anche all'entità ed alla tipologia dell'abuso, il pubblico interesse - evidentemente diverso da quello al mero ripristino della legalità - idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato (Consiglio di Stato, Sezione V, 25 giugno 2002 n. 3443; 29 maggio 2006, n. 3270).
Anche l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con decisione del 19 maggio 1983, n. 12, pur osservando che, nella dinamica del sistema sanzionatorio delineato dall'art. 13 della l. n. 765/1967, la constatazione dell'abusività dell'opera assurgeva a elemento di per sé solo già idoneo a condizionarne la concreta operatività, senza necessità di alcuna ulteriore attività di intermediazione amministrativa volta ad apprezzare altri aspetti della vicenda, aveva avvertito che tale principio poteva però subire un’attenuazione, oltre che nelle ipotesi in cui l'attività privata, per quanto priva di autorizzazione, risultasse comunque conforme allo strumento di pianificazione territoriale comunale, anche nel caso in cui l'inerzia dell’Amministrazione dinanzi all'abuso edilizio fosse durata “un lasso di tempo molto rilevante”.
Un onere di motivazione si può quindi eccezionalmente configurare ove il decorso di un lasso di tempo davvero notevole (nella specie, circa 50 anni) fra la realizzazione dell'opera irregolare, ma munita pur sempre di un formale titolo, e l'adozione della misura repressiva, abbia ingenerato un solido affidamento in capo alla parte intimata (specialmente ove si tratti di un terzo acquirente).
Tale onere di motivazione non potrebbe non chiamare in causa, tra gli altri elementi da considerare, anche la condizione di possibile buona fede dei soggetti che si vorrebbero in ipotesi sanzionare, né potrebbe andar disgiunto da una verifica circa gli eventuali indebiti vantaggi che questi avrebbero ritratto dall’illecito.
Negli eccezionali casi accennati, infine, non vi sarebbe ragione di circoscrivere l’indicato onere motivatorio all’eventualità che l’Amministrazione intenda applicare in concreto la sola misura demolitoria, esonerandola nella diversa ipotesi in cui debba essere invece inflitta una sanzione pecuniaria.
Non si vede, infatti, quale ragione potrebbe giustificare un trattamento antitetico delle due misure (tanto più in una fattispecie che esemplifica in modo eloquente la considerevole incidenza che anche una sanzione pecuniaria può rivestire).
L’art. 12 della legge n. 47, in tema di “opere eseguite in parziale difformità” dal titolo, subordina l’applicazione della sanzione pecuniaria all’eventualità che quella demolitoria non possa avvenire senza pregiudizio della parte conforme al titolo, con il risultato di assegnare alla prima misura una funzione non autonoma, bensì surrogatoria della seconda.
La giurisprudenza è orientata, appunto, nel senso che in materia edilizia la sanzione pecuniaria ha anch’essa una funzione di reintegrazione della legalità violata, e, più specificamente, una finalità riparatoria per equivalente della lesione dell’interesse pubblico arrecata dalla violazione edilizia (Consiglio di Stato, Sezione II, 13 novembre 1996, n. 1026; Sezione V, 8 giugno 1994, n. 614; Ad. Pl., 17 maggio 1974, n. 5; inoltre Sezione V, 15 aprile 2013, n. 2060 con riguardo alla finalità non punitiva, ma ripristinatoria delle sanzioni pecuniarie per abusi edilizi).
L’omogeneità della funzione delle due forme di sanzione giustifica, pertanto, la loro assimilazione anche per quanto concerne l’onere motivatorio in discussione.
Per le considerazioni in precedenza espresse il primo motivo di appello si rivela infondato in tutti i suoi aspetti.
3.- Con il secondo mezzo di gravame è stato dedotto che il T.A.R. ha sostenuto anche la irretroattività della sanzione applicata ex art. 12 della l. n. 47/1985 di cui trattasi, senza considerare che, poiché le norme di cui al capo I di detta legge sono relative alla attività di controllo urbanistico edilizio, esse andrebbero applicate ogni volta che viene accertatao l’abusività dell’opera, indipendentemente dall’epoca della sua commissione, considerato che l’illecito ha carattere permanente.
Pertanto il momento di riferimento per l’individuazione della normativa applicabile per procedere a sanzionare l’abuso sarebbe quello in cui l’Amministrazione, venuta a conoscenza del fatto, ne riscontra la illegittimità e applica la normativa sanzionatoria.
Poiché la sanzione pecuniaria ha natura riparatoria e non punitiva sarebbe insussistente qualsiasi analogia con la irretroattività della norma penale.
Sarebbe anche inesatto il riferimento all’art. 40 della l. n. 47/1985 effettuato dal T.A.R., perché esso si applica se nel termine prescritto non venga presentata la domanda di cui all’art. 31 e si accertino opere in difformità o in assenza di concessione; la norma rappresenterebbe quindi una specificazione dell’applicazione delle sanzioni da applicare quando il responsabile non si sia avvalso della facoltà di ottenere il condono, ma ciò non potrebbe essere inteso nel senso che le stesse sanzioni del capo I non si applichino ogniqualvolta si accerti una difformità dell’opera dalla concessione o l’opera risulti abusiva. Ciò anche perché l’art. 2 di detta legge ha espressamente previsto la sostituzione delle precedenti norme sanzionatorie operata dal capo I della l. n. 47/1985 e ribadito la applicabilità della legge in via generale per ogni abuso in qualsiasi tempo commesso, purché conosciuto nel vigore di detta legge.
3.1.- Premette il Collegio che, se è vero che il divieto di norme sanzionatorie retroattive è costituzionalmente previsto per le sole norme penali, ciò non toglie che per le sanzioni amministrative debba pur sempre valere il generale canone di irretroattività posto dall’art. 11 disp. prel. cod. civ..
La giurisprudenza di questa Sezione ha invero già da tempo puntualizzato che le sanzioni amministrative comminate dalla l. n. 47/1985 non sono generalmente applicabili con effetto retroattivo e non possono essere perciò irrogate per costruzioni portate a compimento prima dell'entrata in vigore della fonte stessa (Consiglio di Stato, Sezione V, 8 aprile 1991, n. 470).
Pertanto, le sanzioni amministrative previste da detta legge n. 47/1985 non sono irrogabili per le costruzioni completate prima dell'entrata in vigore della legge, dovendosi applicare quelle prescritte dalla normativa vigente all'epoca dell'abuso. E questo vale, in particolare, per la sanzione pecuniaria da infliggere a norma di tale fonte, sanzione applicabile soltanto alle violazioni commesse successivamente all’entrata in vigore di questa, dal momento la relativa disposizione normativa non ha valore retroattivo (Consiglio di Stato, Sezione V, 12 marzo 1992, n. 214).
Tanto, appunto, in virtù del principio generale dell'art. 11 disp. prel. Cod. civ., e stante la mancanza di un’espressa previsione che ne ammetta l'irrogazione anche retroattiva (Consiglio di Stato, Sezione V, 27 settembre 1990, n. 695).
Aggiungasi che la riconosciuta irretroattività delle sanzioni previste dalla l. n. 47/1985 è maggiormente giustificata nel caso di specie, in cui il Comune ha inteso applicarle ad un evento verificatosi circa cinquanta anni prima, in violazione dell’affidamento eccezionalmente ingeneratosi, come in precedenza evidenziato, nella parte intimata e non responsabile dell’abuso accertato nel corso di tale lunghissimo arco di tempo, stante il protrarsi dell'inerzia dell'Amministrazione preposta alla vigilanza, in violazione del fondamentale principio di certezza dei rapporti giuridici.
Oltre che di dette disposizioni sanzionatorie, non è consentita infatti, l’applicazione retroattiva anche delle norme innovative, in assenza di adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e in contrasto con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti, tra i quali va inclusa anche la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei destinatari, in quanto principio connaturato allo Stato di diritto (Consiglio Stato, Sezione VI, 23 marzo 2010, n. 1689).
4.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e deve essere confermata la prima decisione con motivazione in parte diversa.
Tanto esime la Sezione dall’esaminare i motivi di ricorso di primo grado dichiarati assorbiti con la sentenza in esame e riproposti in appello dalla parte contro interessata.
5.- Nella complessità e parziale novità delle questioni trattate il Collegio ravvisa eccezionali ragioni per compensare, ai sensi degli artt. 26, comma 1, del c.p.a e 92, comma 2, del c.p.c., le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo respinge l’appello in esame con motivazione in parte diversa.
Compensa le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:
Mario Luigi Torsello, Presidente
Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore
Nicola Gaviano, Consigliere
Carlo Schilardi, Consigliere
Raffaele Prosperi, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24/10/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


Nessun commento:

Posta un commento