PRINCIPI GENERALI:
l'irretroattività delle sanzioni amministrative
(Cons. St., Sez. V,
sentenza 24 ottobre 2013 n. 5158).
Massima
1. Le sanzioni amministrative comminate non sono generalmente applicabili con effetto retroattivo e non
possono essere perciò irrogate per costruzioni portate a compimento prima
dell'entrata in vigore della fonte stessa (Consiglio di Stato, Sezione V, 8
aprile 1991, n. 470).
2. Pertanto, le sanzioni amministrative
previste da detta legge n. 47/1985 non sono irrogabili per le costruzioni
completate prima dell'entrata in vigore della legge, dovendosi applicare quelle
prescritte dalla normativa vigente all'epoca dell'abuso. E questo vale, in
particolare, per la sanzione pecuniaria da infliggere a norma di tale fonte,
sanzione applicabile soltanto alle violazioni commesse successivamente
all’entrata in vigore di questa, dal momento la relativa disposizione normativa
non ha valore retroattivo (Consiglio di Stato, Sezione V, 12 marzo 1992, n.
214).
3. Tanto, appunto, in virtù del principio
generale dell'art. 11 disp. prel. Cod. civ., e stante la mancanza di
un’espressa previsione che ne ammetta l'irrogazione anche retroattiva
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9936 del 2001,
proposto da:
Comune di Napoli, rappresentato e difeso dagli avv. Bruno Ricci, Edoardo Barone, Giuseppe Tarallo, Anna Pulcini e Fabio Maria Ferrari, con domicilio eletto presso o studio dell’avv. Gian Marco Grez, in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
Comune di Napoli, rappresentato e difeso dagli avv. Bruno Ricci, Edoardo Barone, Giuseppe Tarallo, Anna Pulcini e Fabio Maria Ferrari, con domicilio eletto presso o studio dell’avv. Gian Marco Grez, in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
contro
Condominio dell’edificio sito in Napoli, via Orsi nn.
10, 18 e 36, in persona dell’Amministratore pro tempore, rappresentato e difeso
dall'avv. Ernesto Procaccini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.
Stefania Iasonna, in Roma, via Salaria, n. 227;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Napoli, Sezione IV, n. 3425
del 2000, di accoglimento del ricorso proposto dal Condominio di Via Orsi nn.
8, 10 e 36, per l’annullamento della disposizione dirigenziale n. 3290 del
2.4.1999 con la quale è stato ingiunto il pagamento in solido della sanzione di
£ 426.762.000 per opere realizzate in parziale difformità dalla licenza
edilizia rilasciata con provvedimento sindacale n. 4/1949;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del
Condominio intimato;
Vista la memoria prodotta dalla parte resistente a
sostegno delle proprie difese;
Visti i decreti 13 giugno 2012 n. 1560 e 19 settembre
2012, n. 2370;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 giugno
2013 il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per le parti gli avvocati Pafundi, per
delega dell'Avvocato Ferrari, e Scopa, per delega dell'Avvocato Procaccini;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto
segue:
FATTO
Con il ricorso in appello in esame il Comune di Napoli
ha chiesto l’annullamento o la riforma della sentenza del T.A.R. in epigrafe
indicata con la quale è stato accolto, per difetto di motivazione e violazione
del principi di retroattività delle sanzioni amministrative, il ricorso
proposto dal Condominio dell’edificio sito in Napoli, alla Via Orsi nn. 8, 10 e
36, per l’annullamento della determinazione dirigenziale n. 3290/1999, di
ingiunzione di pagamento della somma di £ 426.762.000 a titolo di sanzione
pecuniaria ex l. n. 47/1985 per difformità dell’immobile rispetto alla
originaria concessione edilizia n. 4/1949.
A sostegno del gravame sono stati dedotti i seguenti
motivi:
1.- Erroneità dell’affermazione del Giudice di primo
grado circa la necessità della motivazione, all’atto della irrogazione della
sanzione pecuniaria di cui trattasi, in ordine ai motivi di pubblico interesse
idonei a giustificare la modifica di un assetto consolidato da lunghissimo
tempo, non essendo ciò necessario quando si proceda alla applicazione della
sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria.
2.- La tesi del T.A.R. che la sanzione applicata ex
art. 12 della l. n. 47/1985 non può essere retroattiva è smentita dalla
circostanza che le norme di cui al capo I della l. n. 47/1985 sono relative
alla attività di controllo urbanistico edilizio e vanno applicate ogni volta
che viene accertato l’abusività dell’opera, indipendentemente dall’epoca della
sua commissione, considerato che l’illecito ha carattere permanente.
E’ inesatto il riferimento all’art. 40 della l. n.
47/1985 effettuato dal T.A.R. perché esso si applica solo se nel termine
prescritto non venga presentata la domanda di cui all’art. 31 e si accertino
opere eseguite in difformità o in assenza di concessione.
Con atto depositato il 10.1.2002 si costituito in
giudizio il Condominio intimato, che ha dedotto la infondatezza dell’appello ed
ha riproposto tutti i motivi di ricorso di primo grado dichiarati assorbiti dal
T.A.R., tra l’altro reiterando la eccezione di difetto di legittimazione
passiva e contestando i criteri di calcolo seguiti.
Con memoria depositata il 26.3.2010 si sono costituiti
due nuovi difensori per il Comune appellante, riportandosi alle già assunte
conclusioni.
Con decreto 13 giugno 2012 n. 1560, visto l’art. 1
dell’allegato n. 3 al d. lgs. n. 104/2010, il ricorso è stato dichiarato
perento.
Con decreto 19 settembre 2012, n. 2370, visto l’atto
con il quale è stata dichiarata la persistenza di interesse al ricorso, è stato
revocato detto decreto n. 1560/2012 ed è stata disposta la reiscrizione della
causa sul ruolo.
Con memoria depositata il 10.5.2013 il resistente
Condominio ha ribadito tesi e richieste.
Alla pubblica udienza del 25.6.2013 il ricorso in
appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati delle
parti come da verbale di causa agli atti del giudizio.
DIRITTO
1.- Il giudizio in esame verte sulla richiesta,
formulata dal Comune di Napoli, di annullamento o di riforma della sentenza del
T.A.R. in epigrafe indicata con la quale è stato accolto il ricorso proposto
dal Condominio di Via Orsi nn. 8, 10 e 36 per l’annullamento della disposizione
dirigenziale n. 3290 del 2.4.1999, con la qualecui è stato ingiunto ai
proprietari ivi indicati il pagamento in solido della sanzione pecuniaria, ex
l. n. 47/1985, di £ 426.762.000 per opere realizzate in parziale difformità
dalla licenza edilizia rilasciata con provvedimento sindacale n. 4/1949.
2.- Con il primo motivo di appello è stato sostenuto
che il Giudice di primo grado ha erroneamente affermato che, all’atto della
irrogazione di detta sanzione pecuniaria, avrebbero dovuto essere esplicitati i
motivi di pubblico interesse idonei a giustificare lo sconvolgimento
dell’assetto consolidato da lunghissimo tempo.
L’obbligo di motivazione sussisterebbe infatti per la
P.A. quando viene giustificata la scelta della sanzione della demolizione e sia
decorso lungo tempo dalla costruzione dell'opera, ma non quando, come nel caso
che occupa, si procede alla applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di
quella demolitoria.
2.1.- Osserva la Sezione che è pacifico nel caso di
specie che le difformità emerse rispetto alla licenza edilizia risalivano
all’epoca della costruzione dello stabile interessato e che l’intervento
sanzionatorio in contestazione è stato compiuto dopo circa mezzo secolo dalla
commissione dell’abuso.
Peraltro l’Amministrazione non ha contestato la
affermazione che l’abuso di cui si tratta era addebitabile alla sola impresa
costruttrice (unica proprietaria, al tempo, dell’edificio), facendo perciò
risalire la violazione ad epoca anteriore alla nascita del condominio e agli
acquisti individuali delle singole unità immobiliari da parte dei condomini.
Condivisibilmente quindi il primo Giudice,
riconosciuta la sussistenza di legittimo affidamento della parte sanzionata,
stante la presunzione di buona fede, sulla regolarità dell’immobile di cui
trattasi e la ragionevole presunzione, ingenerata dalla prolungatissima inerzia
dell’Amministrazione, che eventuali irregolarità sarebbero state ormai
tollerate, ha riconosciuto la fondatezza della doglianza di difetto di motivazione
formulata con il ricorso introduttivo del giudizio, affermando che nella
fattispecie la sanzione inflitta avrebbe potuto essere adottata solo sulla base
di un interesse pubblico specifico e concreto, idoneo a giustificare
l’intervento dell’Amministrazione su un assetto da lungo tempo ormai
consolidato, mentre il provvedimento impugnato non recava traccia alcuna di una
tale motivazione.
Costituisce invero principio consolidato che il potere
repressivo delle violazioni in materia edilizia, non essendo in quanto tale
sottoposto a termini di decadenza né di prescrizione, sia esercitabile in ogni
tempo (anche per il carattere permanente degli illeciti edilizi, o per lo meno
dei loro effetti), sicché l’Amministrazione che intenda irrogare in concreto la
sanzione pecuniaria in luogo della demolizione non è tenuta a motivare in
ordine alle ragioni che la inducono a disporre tale sanzione a distanza di
tempo dall’abuso (Consiglio di Stato, Sezione V, 8 giugno 1994, n. 614).
Pure consolidato è il principio che i provvedimenti
sanzionatori in materia edilizia sono atti vincolati che non richiedono una
specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico che si intendono
tutelare, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati
coinvolti e sacrificati, non potendosi ammettere l'esistenza di alcun
affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva,
che il tempo non può legittimare (Consiglio di Stato, Sezione VI, 11 maggio
2011, n. 2781, 5 aprile 2012, n. 2038 e 28 gennaio 2013, n. 496) perché il
potere amministrativo di vigilanza e controllo e della sanzionabilità del
comportamento illecito dei privati, qualunque sia l'entità dell'infrazione e il
lasso temporale trascorso, non è soggetto ad esaurimento, salve le ipotesi di
dolosa preordinazione o di abuso” (Consiglio di Stato, Sezione IV, 4 maggio
2012, n. 2592).
Ritiene tuttavia la Sezione che il criterio
dell’indifferenza dell’epoca di commissione dell’abuso non può essere applicato
con meccanicismo indiscriminato ed illimitato e, in particolare, che quando la
costruzione in rilievo sia munita di un titolo edificatorio (venendo in
questione delle semplici difformità dal medesimo) e siano passati svariati
decenni dalla commissione della presunta violazione, la sottoposizione dei
privati cittadini a procedimento sanzionatorio scuote per ciò stesso il valore
della certezza delle situazioni giuridiche.
Tanto più sono destinate a sorgere delle criticità
quando l’azione sanzionatoria dell’Amministrazione si indirizzi, come nel caso
di specie (oltre che nei confronti di semplici aventi causa dal responsabile
della presunta violazione, o, addirittura, di acquirenti dai suddetti aventi
causa), i quali fino a prova contraria hanno acquistato i rispettivi immobili,
a suo tempo, ad un prezzo di mercato ragguagliato alla loro consistenza
oggettiva), nei confronti di un Condominio non ancora costituito all’epoca
della commissione della rilevata violazione edilizia.
L’attivazione del potere repressivo a tale distanza di
tempo rende, fra l’altro, oltremodo difficoltoso l’esercizio del diritto di
difesa da parte, nel caso di specie, dell’intimato Condominio (a prescindere
dalla effettività della sua legittimazione passiva), oltre che degli attuali
proprietari, e, soprattutto, improba ogni iniziativa di rivalsa, da parte delle
parti intimate degli intimati, nei riguardi degli effettivi responsabili
dell’abuso.
In tali casi estremi non si può non ritenere, dunque,
che l’onere della motivazione dell’iniziativa sanzionatoria si impone quale contrappeso
proprio alla mancanza di termini di prescrizione-decadenza per l’esercizio del
potere repressivo.
L’esistenza, in casi eccezionali, di possibili deroghe
al principio che il potere repressivo delle violazioni in materia edilizia non
necessiti di particolari motivazioni oltre l’affermazione della accertata
abusività dell’opera, perché relativo ad attività vincolata, è stata affermata
anche da consolidata giurisprudenza, che ha fatto salva l'ipotesi in cui, per
il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso ed il protrarsi
dell'inerzia dell'Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata
una posizione di affidamento nel privato. Ipotesi, in relazione alla quale è
ravvisabile un onere di congrua motivazione che indichi, avuto riguardo anche
all'entità ed alla tipologia dell'abuso, il pubblico interesse - evidentemente
diverso da quello al mero ripristino della legalità - idoneo a giustificare il
sacrificio del contrapposto interesse privato (Consiglio di Stato, Sezione V,
25 giugno 2002 n. 3443; 29 maggio 2006, n. 3270).
Anche l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con
decisione del 19 maggio 1983, n. 12, pur osservando che, nella dinamica del
sistema sanzionatorio delineato dall'art. 13 della l. n. 765/1967, la
constatazione dell'abusività dell'opera assurgeva a elemento di per sé solo già
idoneo a condizionarne la concreta operatività, senza necessità di alcuna
ulteriore attività di intermediazione amministrativa volta ad apprezzare altri
aspetti della vicenda, aveva avvertito che tale principio poteva però subire
un’attenuazione, oltre che nelle ipotesi in cui l'attività privata, per quanto
priva di autorizzazione, risultasse comunque conforme allo strumento di
pianificazione territoriale comunale, anche nel caso in cui l'inerzia
dell’Amministrazione dinanzi all'abuso edilizio fosse durata “un lasso di tempo
molto rilevante”.
Un onere di motivazione si può quindi eccezionalmente
configurare ove il decorso di un lasso di tempo davvero notevole (nella specie,
circa 50 anni) fra la realizzazione dell'opera irregolare, ma munita pur sempre
di un formale titolo, e l'adozione della misura repressiva, abbia ingenerato un
solido affidamento in capo alla parte intimata (specialmente ove si tratti di
un terzo acquirente).
Tale onere di motivazione non potrebbe non chiamare in
causa, tra gli altri elementi da considerare, anche la condizione di possibile
buona fede dei soggetti che si vorrebbero in ipotesi sanzionare, né potrebbe
andar disgiunto da una verifica circa gli eventuali indebiti vantaggi che
questi avrebbero ritratto dall’illecito.
Negli eccezionali casi accennati, infine, non vi
sarebbe ragione di circoscrivere l’indicato onere motivatorio all’eventualità
che l’Amministrazione intenda applicare in concreto la sola misura demolitoria,
esonerandola nella diversa ipotesi in cui debba essere invece inflitta una
sanzione pecuniaria.
Non si vede, infatti, quale ragione potrebbe
giustificare un trattamento antitetico delle due misure (tanto più in una
fattispecie che esemplifica in modo eloquente la considerevole incidenza che
anche una sanzione pecuniaria può rivestire).
L’art. 12 della legge n. 47, in tema di “opere
eseguite in parziale difformità” dal titolo, subordina l’applicazione della
sanzione pecuniaria all’eventualità che quella demolitoria non possa avvenire
senza pregiudizio della parte conforme al titolo, con il risultato di assegnare
alla prima misura una funzione non autonoma, bensì surrogatoria della seconda.
La giurisprudenza è orientata, appunto, nel senso che
in materia edilizia la sanzione pecuniaria ha anch’essa una funzione di
reintegrazione della legalità violata, e, più specificamente, una finalità
riparatoria per equivalente della lesione dell’interesse pubblico arrecata
dalla violazione edilizia (Consiglio di Stato, Sezione II, 13 novembre 1996, n.
1026; Sezione V, 8 giugno 1994, n. 614; Ad. Pl., 17 maggio 1974, n. 5; inoltre
Sezione V, 15 aprile 2013, n. 2060 con riguardo alla finalità non punitiva, ma
ripristinatoria delle sanzioni pecuniarie per abusi edilizi).
L’omogeneità della funzione delle due forme di
sanzione giustifica, pertanto, la loro assimilazione anche per quanto concerne
l’onere motivatorio in discussione.
Per le considerazioni in precedenza espresse il primo
motivo di appello si rivela infondato in tutti i suoi aspetti.
3.- Con il secondo mezzo di gravame è stato dedotto
che il T.A.R. ha sostenuto anche la irretroattività della sanzione applicata ex
art. 12 della l. n. 47/1985 di cui trattasi, senza considerare che, poiché le
norme di cui al capo I di detta legge sono relative alla attività di controllo
urbanistico edilizio, esse andrebbero applicate ogni volta che viene accertatao
l’abusività dell’opera, indipendentemente dall’epoca della sua commissione,
considerato che l’illecito ha carattere permanente.
Pertanto il momento di riferimento per
l’individuazione della normativa applicabile per procedere a sanzionare l’abuso
sarebbe quello in cui l’Amministrazione, venuta a conoscenza del fatto, ne
riscontra la illegittimità e applica la normativa sanzionatoria.
Poiché la sanzione pecuniaria ha natura riparatoria e
non punitiva sarebbe insussistente qualsiasi analogia con la irretroattività
della norma penale.
Sarebbe anche inesatto il riferimento all’art. 40
della l. n. 47/1985 effettuato dal T.A.R., perché esso si applica se nel
termine prescritto non venga presentata la domanda di cui all’art. 31 e si
accertino opere in difformità o in assenza di concessione; la norma
rappresenterebbe quindi una specificazione dell’applicazione delle sanzioni da
applicare quando il responsabile non si sia avvalso della facoltà di ottenere
il condono, ma ciò non potrebbe essere inteso nel senso che le stesse sanzioni
del capo I non si applichino ogniqualvolta si accerti una difformità dell’opera
dalla concessione o l’opera risulti abusiva. Ciò anche perché l’art. 2 di detta
legge ha espressamente previsto la sostituzione delle precedenti norme
sanzionatorie operata dal capo I della l. n. 47/1985 e ribadito la
applicabilità della legge in via generale per ogni abuso in qualsiasi tempo
commesso, purché conosciuto nel vigore di detta legge.
3.1.- Premette il Collegio che, se è vero che il
divieto di norme sanzionatorie retroattive è costituzionalmente previsto per le
sole norme penali, ciò non toglie che per le sanzioni amministrative debba pur
sempre valere il generale canone di irretroattività posto dall’art. 11 disp. prel.
cod. civ..
La giurisprudenza di questa Sezione ha invero già da
tempo puntualizzato che le sanzioni amministrative comminate dalla l. n.
47/1985 non sono generalmente applicabili con effetto retroattivo e non possono
essere perciò irrogate per costruzioni portate a compimento prima dell'entrata
in vigore della fonte stessa (Consiglio di Stato, Sezione V, 8 aprile 1991, n.
470).
Pertanto, le sanzioni amministrative previste da detta
legge n. 47/1985 non sono irrogabili per le costruzioni completate prima dell'entrata
in vigore della legge, dovendosi applicare quelle prescritte dalla normativa
vigente all'epoca dell'abuso. E questo vale, in particolare, per la sanzione
pecuniaria da infliggere a norma di tale fonte, sanzione applicabile soltanto
alle violazioni commesse successivamente all’entrata in vigore di questa, dal
momento la relativa disposizione normativa non ha valore retroattivo (Consiglio
di Stato, Sezione V, 12 marzo 1992, n. 214).
Tanto, appunto, in virtù del principio generale
dell'art. 11 disp. prel. Cod. civ., e stante la mancanza di un’espressa
previsione che ne ammetta l'irrogazione anche retroattiva (Consiglio di Stato,
Sezione V, 27 settembre 1990, n. 695).
Aggiungasi che la riconosciuta irretroattività delle
sanzioni previste dalla l. n. 47/1985 è maggiormente giustificata nel caso di
specie, in cui il Comune ha inteso applicarle ad un evento verificatosi circa
cinquanta anni prima, in violazione dell’affidamento eccezionalmente
ingeneratosi, come in precedenza evidenziato, nella parte intimata e non
responsabile dell’abuso accertato nel corso di tale lunghissimo arco di tempo,
stante il protrarsi dell'inerzia dell'Amministrazione preposta alla vigilanza,
in violazione del fondamentale principio di certezza dei rapporti giuridici.
Oltre che di dette disposizioni sanzionatorie, non è
consentita infatti, l’applicazione retroattiva anche delle norme innovative, in
assenza di adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e in
contrasto con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti, tra i
quali va inclusa anche la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei
destinatari, in quanto principio connaturato allo Stato di diritto (Consiglio
Stato, Sezione VI, 23 marzo 2010, n. 1689).
4.- L’appello deve essere conclusivamente respinto e
deve essere confermata la prima decisione con motivazione in parte diversa.
Tanto esime la Sezione dall’esaminare i motivi di
ricorso di primo grado dichiarati assorbiti con la sentenza in esame e
riproposti in appello dalla parte contro interessata.
5.- Nella complessità e parziale novità delle
questioni trattate il Collegio ravvisa eccezionali ragioni per compensare, ai
sensi degli artt. 26, comma 1, del c.p.a e 92, comma 2, del c.p.c., le spese
del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale,
Sezione Quinta, definitivamente decidendo respinge l’appello in esame con
motivazione in parte diversa.
Compensa le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 25 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:
Mario Luigi Torsello, Presidente
Antonio Amicuzzi, Consigliere, Estensore
Nicola Gaviano, Consigliere
Carlo Schilardi, Consigliere
Raffaele Prosperi, Consigliere
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24/10/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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