lunedì 1 luglio 2013

APPALTI: le concessioni di servizi devono rispettare l'evidenza pubblica c.d. "minore" (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-"quater", sentenza 18 giugno 2013 n. 6094).


APPALTI:
 le concessioni di servizi 
devono rispettare l'evidenza pubblica c.d. "minore" 
(T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-"quater", 
sentenza 18 giugno 2013 n. 6094)


Sentenza interessante del T.A.R. Lazio, perché pur ribadendo il principio consolidato secondo cui le concessioni di servizi sono sottoposto alla c.d. "evidenza minore", cioè a procedure selettive ispirate al diritto comunitario declinato secondo i principi di imparzialità, trasparenza, etc., e non alla c.d. "evidenza maggiore" degli appalti (il Codice unifica in unico testo due distinte discipline, andando oltre le due note direttive appalti 17/2004 e 18/2004), giunge, in base a diverse argomentazioni, quasi ad equiparare le due "evidenze"...
Buona lettura!


Massima

1.  Anche per la concessione di un servizio, trovano piena applicazione sia i principi che derivano dal Trattato dell’Unione europea che le disposizioni del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici) che ne costituiscono il precipitato normativo del nostro ordinamento giuridico in materia di affidamento di commesse pubbliche.
Tale regola è stata codificata nell'articolo 30, co. 3, del D.Lgs. n. 163/06 il quale, recependo gli orientamenti espressi dalla Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario del 12 aprile 2000, prevede al comma 3 che "La scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all’oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi”.
Sulla base di tali principi, è pacifico, dunque, che la scelta del concessionario debba essere conseguente ad una procedura competitiva e concorrenziale ispirata ai principi dettati dal Trattato istitutivo e non a caso l'art. 2, comma 1, del Codice dei contratti pubblici prevede che l'affidamento e l'esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza e che l'affidamento deve altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità indicate nello stesso Codice.
2.  In tale solco dispositivo, per effetto del quale anche la disciplina delle procedure per l’affidamento di concessioni di servizi deve essere conforme ai principi che regolamentano in tutta l’Unione europea l’assegnazione di commesse pubbliche, si inseriscono con portata indubitabilmente applicativa ad ogni figura di affidamento, indipendentemente dall’oggetto, le disposizioni recate dall’art. 64, comma 4-bis e dall’art. 74, comma 5, del Codice.
Per effetto delle due disposizioni richiamate si può sinteticamente affermare che:
a) differentemente rispetto alle disposizioni che regolavano nel passato le procedure di gara, l’ambito di discrezionalità della stazione appaltante nel redigere la disciplina della selezione, un tempo estremamente ampio, si è oggi molto ridotto, tanto da prevedersi (nella formulazione dell’art. 64, comma 4-bis, del Codice, introdotto dal d.l. n. 70/2011) la predisposizioni di “bandi-tipo” a cura dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (ad oggi non ancora realizzati) che dovrebbero costituire lo schema della lex specialis che ciascuna stazione appaltante deve fare proprio, tranne nel caso in cui intenda introdurre delle deroghe;
b) tali deroghe, tuttavia, debbono essere espressamente e puntualmente motivate e debbono essere rese note fin dalla predisposizione ed adozione della delibera a contrarre;
c) qualora dette deroghe impongano ai partecipanti la dimostrazione del possesso di “elementi (…) necessari o utili”, tali prescrizioni della lex specialis di gara – a mente dell’art. 74, comma 5, del Codice – potranno considerarsi legittimamente imposte solo se nella motivazione sia stata offerta la dimostrazione di un puntuale collegamento tra la ragione che ha dato luogo all’inserimento nel bando della prescrizione più gravosa e la necessità di pretenderla per ottenere l’effettiva realizzazione dell’obiettivo che l’amministrazione procedente intende conseguire con il contratto, nel rispetto del principio di proporzionalità;
d) il che equivale a dire che la legittimità della clausola che pretende la dimostrazione del possesso di requisiti specifici e più gravosi, rispetto allo standard di settore, a carico dei soggetti concorrenti è condizionata non solo dalla motivazione delle ragioni che ne determinano (o che ne consigliano) la imposizione agli aspiranti concorrenti ma, soprattutto, dalla prova della necessità tecnica di un siffatto aggravio in quanto strettamente collegata “all’oggetto del contratto e alle finalità dell’offerta”;
e) ancor più nello specifico si potrebbe dire che, per effetto delle disposizioni più sopra riprodotte, la clausola che aggrava la partecipazione degli aspiranti concorrenti, determinando naturalmente una preliminare scrematura di costoro, può considerarsi legittima solo se venga data specifica e puntuale dimostrazione, espressamente fin dalla determina a contrarre, che lo svolgimento del tipo di servizio che costituisce l’oggetto della concessione imponga il possesso di tali requisiti specifici, in mancanza dei quali l’esecuzione delle attività declinate nel contratto (e, prima ancora, nel capitolato) perderebbe di interesse per l’amministrazione procedente svilendo significativamente tanto da rendere inutile lo stesso affidamento.


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2248 del 2013, proposto da:
GELMAR S.r.l., IL CIGNO GALILEO GALILEI EDIZIONI DI ARTE E SCIENZA S.r.l., D’UVA WPRKSHOP S.r.l. e PRISMI EDITRICE POLITECNICA NAPOLI S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, tutte rappresentate e difese dall’avv. Marcello Cardi, presso il cui Studio sono elettivamente domiciliate in Roma, Viale Bruno Buozzi, n. 51; 
contro
il MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la cui sede domicilia per legge in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12; 
per l'annullamento, previa sospensione dell’efficacia
del bando di gara, del disciplinare di gara e degli atti connessi della procedura aperta per l’affidamento in concessione dei servizi al pubblico nel complesso monumentale del “Vittoriano”.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista la costituzione dell’amministrazione intimata nonché i documenti da queste prodotti;
Esaminate le ulteriori memorie con i documenti prodotti;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 aprile 2013 il dott. Stefano Toschei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. – Le Società Gelmar, Prismi, D’Uva Workshop e Il Cigno Galileo Edizioni di Arte e Scienza, che premettono di avere “maturato da tempo nel settore dei servizi per i beni culturali una significativa esperienza nella gestione dei servizi di accoglienza e ospitalità all’interno di alcuni dei più importanti musei e luoghi d’arte nazionali” (così, testualmente, a pag. 2 del ricorso introduttivo), impugnano il bando di gara e gli atti ad esso connessi, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale 30 gennaio 2013, con il quale si è indetta una procedura aperta, da aggiudicarsi mediante offerta economicamente più vantaggiosa, per l’affidamento in concessione di alcuni servizi da svolgersi presso il complesso monumentale del Vittoriano in Roma.
Nello specifico i servizi in questione, per come espressamente indicati nel suddetto bando, consistono nei seguenti: “Merketing, pianificazione fund raising, pianificazione attività culturale e comunicazione, accoglienza, informazione, orientamento e vigilanza delle aree di competenza, realizzazione servizio di noleggio audio guide e whisper, visite guidate, progettazione, organizzazione e realizzazione eventi e mostre per gli eventi culturali organizzati assistenza didattica elaboratori didattici, progettazione e gestione sito internet, progettazione e realizzazione materiale editoriale, progettazione e realizzazione oggettistica, realizzazione servizio vendita materiale editoriale ed oggettistica, biglietteria e controllo accessi ascensori panoramici, servizio di caffetteria”. Altri elementi della concessione da affidarsi, per come indicati dal bando e dall’annesso disciplinare, sono il valore stimato, pari ad euro 16.600.068,27 e, in particolare, i requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico professionale così definiti nel disciplinare (limitatamente per quel che interessa la presente controversia), come segue.
Anzitutto la dimostrazione del possesso di un fatturato globale d’impresa riferito agli esercizi finanziari 2009-2010-1011 pari ad almeno euro 18.000.000,00, IVA esclusa, da intendersi quale cifra complessiva del triennio o nel minore periodo di attività (Punto 4 del disciplinare).
In secondo luogo (Punto 5 del disciplinare) la dimostrazione del possesso di un fatturato specifico relativo agli stessi esercizi di cui sopra, sempre da intendersi quale cifra complessiva del triennio o nel minore periodo di attività dell’impresa per servizi analoghi all’oggetto della gara, considerando ciascun importo IVA esclusa, “non inferiori a:
a) Servizi di Accoglienza, informazione, orientamento, vigilanza delle aree di competenza, Biglietteria e controllo accessi Ascensori panoramici. Il candidato deve dimostrare di aver svolto servizi di accoglienza, informazione, orientamento, vigilanza, Biglietteria e controllo accessi il cui fatturato complessivo per ciascun sito sia non inferiore a € 5.000.000,00 (cinquemilioni/00).
b) Servizi di Vendita prodotti editoriali e oggettistica. Il candidato deve dimostrare di essere esercente (non sono considerati i punti vendita per i quali non si risulta più esercenti al momento della presentazione dell’offerta) di prodotti editoriali relativi a tematiche culturali e/o oggettistica ispirata a tematiche culturali e/o merchandising museale sotto un unico marchio, in maniera continuativa e durante il triennio di riferimento, il cui fatturato lordo complessivo non sia inferiore a € 460.000,00 (quattrocentosessantamila/00).
c) Servizi di Progettazione, Organizzazione e Realizzazione eventi e mostre. Il candidato deve dimostrare di aver raccolto, attraverso sponsorizzazioni e altre attività di fund raising, per l’organizzazione e la realizzazione di mostre, durante il triennio di riferimento, da investitori istituzionali, Enti pubblici nazionali, Università o imprese ovvero in partenariato con strutture nazionali o internazionali, un importo complessivo non inferiore a € 5.000.000,00 (cinquemilioni/00).
d) Servizi di Caffetteria. Il candidato deve dimostrare di aver svolto servizi di caffetteria, in maniera continuativa e durante il triennio di riferimento, il cui fatturato non sia inferiore a € 2.300.000,00 (duemilionitrecentomila/00)” (così, testualmente, a pag. 6 del disciplinare di gara).
Il disciplinare, infine, richiede a ciascun aspirante concorrente la dimostrazione di avere svolto servizi di progettazione, organizzazione e realizzazione di eventi culturali e mostre, sempre nel triennio sopra richiamato, in Italia e/o all’estero in favore di almeno dieci Pubbliche amministrazioni diverse. A tale scopo, al Punto 6 del disciplinare, è richiesto a ciascun aspirante concorrente di produrre l’elenco “dei principali servizi svolti nel triennio 2010-2011-2012, analoghi alle categorie dei servizi oggetto di gara con l’indicazione delle date e dei destinatari, pubblici e privati” (così, testualmente, sempre a pag. 6 del disciplinare di gara).
2. – Insorgono le ricorrenti sostenendo l’illegittimità del bando che, per come formulato, tende a contrarre irragionevolmente il numero degli aspiranti concorrenti, per effetto degli immotivati stringenti requisiti prescritti per la partecipazione alla selezione.
In particolare le ricorrenti deducono i seguenti motivi di gravame:
1) Violazione degli artt. 30, 41 e 42 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 – Violazione dei principi di buon andamento della pubblica amministrazione, proporzionalità, par condicio e concorrenzialità – Eccesso di potere per perplessità, illogicità, sviamento, in quanto i requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-professionale che è chiesto agli aspiranti concorrenti di possedere appaiono illogici e comunque violativi dei principi di parità di trattamento, mutuo riconoscimento e concorrenza. Nello specifico il requisito richiesto al Punto 5 lett. b) del bando, per effetto del quale il candidato è chiamato a dimostrare di essere “attualmente” esercente, visto che non possono considerarsi utili alla dimostrazione del requisito i punti vendita per i quali non si è più esercenti al momento della presentazione dell’offerta, di prodotti editoriali relativi a tematiche culturali e/o oggettistica ispirata a tematiche culturali e/o merchandising museale sotto “un unico marchio”, con svolgimento in maniera continuativa durante il solito triennio di riferimento e per un fatturato lordo complessivo non inferiore ad euro 460.000,00. Ulteriore violazione dei principi di proporzionalità e concorrenzialità si evidenzia con riferimento al requisito di cui al Punto 5 lett. c) del bando, vale a dire “Servizi di Progettazione, Organizzazione e Realizzazione eventi e mostre”, in quanto non essendo mai stata prevista, nei casi in cui il Ministero ha in precedenza proceduto al rilascio della concessione per i servizi museali, una tale tipologia di servizio diviene arduo formulare una offerta non essendovi un mercato di riferimento, tanto più che è richiesta la dimostrazione di un fatturato nel solito triennio di riferimento pari all’ingente cifra di 5 milioni di euro. Sul punto le ricorrenti segnalano come in precedenti occasioni ai partecipanti alle selezioni per il rilascio di concessioni per lo svolgimento di servizi museali veniva richiesta la disponibilità a procedere a future sponsorizzazioni, valutandosi tale capacità, ma non era chiesto di dimostrare analiticamente le precedenti esperienze in argomento e soprattutto per un così elevato importo. A ciò si aggiunga che il bando pretenderebbe la dimostrazione di avere raccolto sponsorizzazioni e altre attività di fund raising, per l’organizzazione e la realizzazione di mostre con riferimento, nell’ambito della Pubblica amministrazione, ad “Enti pubblici nazionali, Università”, rendendo superfluo, irragionevolmente, che tale requisito possa essere dimostrato con riferimento ad altri enti quali quelli regionali e locali, ad esempio; oltre al fatto che la dimostrazione del requisito viene richiesta in modo contraddittorio facendosi, nel titolo del Punto 5, lett. c), riferimento alla “Progettazione, Organizzazione e Realizzazione eventi e mostre” e non all’attività di “sponsorizzazione”, come invece pare richiesto nella spiegazione della tipologia del requisito richiesto. Parimenti sproporzionata appare essere la pretesa di dover dimostrare il possesso del requisito indicato al Punto 5, lett. d), vale a dire per i “Servizi di Caffetteria”, rispetto al quale è richiesta la comprova “di aver svolto servizi di caffetteria, in maniera continuativa e durante il triennio di riferimento, il cui fatturato non sia inferiore a € 2.300.000,00”, tenuto conto di quanto è stato richiesto in analoghe occasioni con riferimento al rilascio di concessioni per servizi museali in “poli” di particolare rilievo. Infine, nel novero delle prescrizioni della lex specialis di gara che si presentano sproporzionate rispetto alle ordinarie selezioni per il rilascio di concessioni analoghe ricade anche quella indicata al Punto 6 del disciplinare, in virtù della quale l’aspirante concorrente dovrebbe dimostrare “di avere svolto servizi di progettazione, organizzazione e realizzazione di eventi culturali e mostre durante il triennio di riferimento, in Italia e/o all’estero. per almeno 10 (dieci) Pubbliche Amministrazioni diverse”, impedendo quindi la partecipazione, ad esempio, ad operatori economici che pur potendo vantare una significativa esperienza di alto profilo professionale maturata per siti museali rilevanti non può parimenti dimostrare la richiesta diversificazione soggettiva dell’ente di riferimento perché ha operato esclusivamente, seppur in numerose occasioni, per il Ministero dei beni culturali;
2) Violazione dei principi di buon andamento della pubblica amministrazione – Eccesso di potere per perplessità, illogicità, sviamento, atteso che le prescrizioni di gara manifestano una rilevante incongruenza laddove “il requisito del fatturato globale è stabilito con riguardo al triennio 2009-2011, mentre i requisiti di carattere economico finanziario, sono richiesti con riferimento al diverso triennio 2010-2012” (così, testualmente, a pag. 11 del ricorso introduttivo). Inoltre al Punto 5, lett. a) del disciplinare si richiede che l’aspirante candidato abbia svolto servizi di accoglienza, informazione, orientamento, vigilanza, biglietteria e controllo accessi per un fatturato complessivo per ciascun sito non inferiore a 5 milioni di euro, senza però specificare il numero dei siti di riferimento; creando ulteriori perplessità la circostanza che lo stesso disciplinare per alcune attività fa riferimento al numero degli enti in cui favore è stato svolto il servizio, mentre in altri casi il riferimento è ai siti museali. Sfugge poi alla chiarezza di chi deve confezionare l’offerta il riferimento recato dal disciplinare all’attività di controllo degli accessi, che in alcuni punti del disciplinare medesimo viene specificata in relazione all’accesso agli ascensori panoramici del Vittoriano, mentre in altri casi è semplicemente richiesto di dimostrare che in precedenti occasioni si è curato il controllo di “accessi”, non più ascensoristici. Ancora. Il disciplinare richiede di descrivere i singoli servizi dell’offerta da presentarsi e la coerenza con gli obiettivi dell’amministrazione, ma detti obiettivi non sono specificati nel ridetto disciplinare. Affiorano poi ulteriori incongruenze, ad esempio nella parte del disciplinare che si occupa della costruzione dell’offerta tecnica dove compare la richiesta di svolgere ulteriori servizi quali la pulizia dei bagni e la vigilanza, ignoti in altre occasioni selettive;
3) Violazione degli artt. 29, 30, 41 e 42 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 – Violazione dei principi di buon andamento della pubblica amministrazione e trasparenza – Eccesso di potere per perplessità, illogicità, sviamento, dal momento che non è dato di comprendere dalla lettura della lex specialis di gara la esatta determinazione del valore dell’affidamento, non rendendo noto alcuni dati essenziali del sito rispetto al quale si intende rilasciare la concessione, quali il numero dei visitatori, le modalità di svolgimento delle mostre (che potrebbero svolgersi a pagamento o esclusivamente con sponsorizzazioni), il personale impiegato, “vista la presenza nel disciplinare della c.d. clausola sociale che chiede ai partecipanti di impegnarsi formalmente a garantire la continuità dei rapporti di lavoro in essere” (così, testualmente, a pag. 13 del ricorso introduttivo). Ne deriva che, a fronte della evidente carenza di elementi utili al fine di indicare con la necessaria approssimazione la stima dei flussi di cassa e degli altri elementi economici del servizio oggetto della concessione, la stazione appaltante ha quantificato il valore della concessione medesima in euro 16.600.068,27 senza che sia possibile comprendere come l’amministrazione sia giunta a formulare tale entità economica;
4) Violazione dell’art. 41 della Costituzione e dell’autonomia contrattuale – Nullità per indeterminatezza – Eccesso di potere per illogicità, giacché la clausola sociale imposta al punto 2, lett. t) del disciplinare appare in tutta la sua illegittimità nel momento in cui detta imposizione viola il principio dell’autonomia contrattuale, disponendo unilateralmente l’imposizione di un vincolo a contrarre in danno del concorrente che avrebbe prevalso nella selezione e, quindi, ottenuto il rilascio della concessione, concretizzando un ostacolo alla concorrenza “disincentivando la partecipazione alle gare ad esclusivo vantaggio del gestore uscente” (così, testualmente, a pag. 13 del ricorso introduttivo). Inoltre detta clausola si presenta affetta da nullità per indeterminatezza, in quanto non sono specificati i contenuti dell’impegno che dovrà essere assunto dal nuovo concessionario nei confronti dei lavoratori già impiegati con quello precedente, non emergendo dal disciplinare il numero dei lavoratori occupati, la natura del rapporto di lavoro intercorrente con ciascun prestatore, le qualifiche e le mansioni degli addetti nonché il contratto collettivo applicato;
5) Violazione dell’art. 30 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 – Violazione dei principi di buon andamento della pubblica amministrazione, trasparenza e imparzialità – Eccesso di potere per perplessità, illogicità, sviamento, visto che i criteri di valutazione delle offerte, previsti nella lex specialis di gara, tradiscono un evidente sbilanciamento verso la valutazione dell’offerta tecnica, rendendo sostanzialmente irrilevante l’offerta economica. Sui 100 punti di valutazione complessiva, infatti, solo 25 sono destinati alla valutazione dell’offerta economica e dei 75 punti assegnabili all’offerta tecnica la maggior parte di essi sono riferiti a voci dell’offerta caratterizzati da amplissima discrezionalità.
Da qui l’illegittimità del bando e del disciplinare di gara e la richiesta giudiziale di annullamento dello stesso formulato dalle ricorrenti.
3. – Si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata contestando analiticamente le avverse prospettazioni e chiedendo la reiezione del gravame attesa la infondatezza dei motivi di censura dedotti.
La difesa erariale, preliminarmente, tiene ad evidenziare la rilevanza storica ed artistica che riveste il complesso museale del Vittoriano, che lo pone tra i “monumenti più visitati di Roma”, caratterizzato dalla “apertura di nuove aree museali, la creazione di eventi temporanei, la quotidiana frequentazione di turisti e cittadini”, in un contesto giuridico in virtù del quale “il Monumento non è nell’uso esclusivo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, pertinendo, invece, molte aree di esso al Ministero della Difesa e all’Istituto per il Risorgimento Italiano, disgiuntamente tra loro” (così, testualmente, a pag. 5 della memoria di costituzione).
In via pregiudiziale la difesa del Ministero eccepisce la nullità del ricorso proposto dalla Gelmar in quanto l’atto introduttivo del giudizio risulta essere sottoscritto da Alessandro Giannelli, in qualità di legale rappresentante della predetta società, seppure quest’ultima risulta, all’esito di visure svolte, essere stata posta in liquidazione fin dal 2006 ed essere amministrata da due liquidatori nessuno dei quali ha sottoscritto il ricorso. Sempre in via pregiudiziale viene eccepita l’inammissibilità del ricorso sia perché le ricorrenti propongono il gravame con un unico atto, senza tuttavia manifestare alcun collegamento agli atti impugnati con riferimento alla posizione di ciascuna di esse, anche perché le realtà economiche ed imprenditoriali, rilevanti ai fini della possibilità di partecipare alla selezione, sono naturalmente differenziate tra le singole ricorrenti, ponendosi quindi in potenziale conflitto di interessi tra di loro; sia perché le ricorrenti medesime non hanno presentato domanda di partecipazione alla selezione, manifestando in tal modo la loro estraneità alla procedura indetta dal Ministero, rilevandosi peraltro, nei fatti, una non assoluta impossibilità, a cagione del contenuto della lex specialis sospettata di illegittimità, a confezionare l’offerta e quindi a partecipare alla gara. D’altronde nessuna delle società ricorrenti risulta essere in possesso, all’esito di visure camerali, dei requisiti di partecipazione pretesi dal bando, di talché anche sotto tale profilo il ricorso risulta essere inammissibile per carenza di interesse alla proposizione dell’impugnazione. Detta patologia preliminare del gravame si manifesta anche a cagione della mancata “presa visione dei luoghi” da parte delle ricorrenti, attività indispensabile per poter predisporre la domanda e le offerte di partecipazione.
Quanto al merito delle censure dedotte dalle ricorrenti la difesa erariale significa che:
a) il motivo di ricorso che si appunta sulla pretesa della lex specialis di gara, recata dal Punto 5 lett. b) del disciplinare, secondo la quale l’aspirante concorrente deve dimostrare di essere attualmente esercente di prodotti editoriali relativi a tematiche culturali e/o oggettistica ispirate a tematiche culturali e/o merchandising museale sotto “un unico marchio”, portando a riferimento dell’illegittimità della prescrizione del disciplinare un precedente del TAR Lazio (sent. n. 3217 del 2010), è genericamente formulato e soprattutto il riferimento al precedente giurisprudenziale è inappropriato, atteso che in quella sentenza “il TAR non ha statuito che la previsione del requisito dell’unico marchio è di per sé illegittima, essendo invece necessario verificare caso per caso che essa comporti un’irragionevole restrizione della concorrenza, purché la sua previsione nel bando non presenti un concreto interesse per la Stazione appaltante” (così, testualmente, a pag. 16 della memoria difensiva). Al contrario di quanto contestato dalle ricorrenti è invece possibile riscontrare nelle disposizioni di cui al Punto 5 lett. b) del disciplinare, secondo l’avviso della difesa erariali, numerose prescrizioni formulate secondo una prospettiva di favor partecipationis non limitando il requisito del fatturato triennale pari a 460.000 euro ai soli prodotti editoriali relativi a tematiche culturali, ma estendendolo alla vendita di oggettistica ispirata a tematiche culturali e/o merchandising museale nonché escludendo ogni limitazione con riferimento al numero e alle dimensioni degli esercizi in cui il fatturato si è realizzato ovvero, ancora, non ponendo vincoli circa la tipologia del luogo in cui l’attività commerciale sia stata esercitata, ponendo quindi sullo stesso piano bookshop di musei e luoghi di cultura in genere con ordinari esercizi commerciali di vendita di prodotti editoriali quali librerie, edicole, negozi di souvenir, ecc.;
b) quanto alle censure che si appuntano sul requisito previsto al Punto 5 lett. c) del disciplinare, ad avviso della difesa erariale aver dettagliato la richiesta della dimostrazione di una pregressa esperienza nella raccolta di sponsorizzazioni per la realizzazione ed organizzazione di mostre limitandola ai soli precedenti in cui sia stata svolta a favore, specificamente, di enti pubblici nazionali costituisce una prescrizione della lex specialis di gara pienamente giustificata dalle “specificità che caratterizzano l’ala del Vittoriano in cui si svolgeranno i servizi in concessione” (così, testualmente, a pag 19 della memoria di costituzione). In particolare l’Avvocatura sottolinea come l’accesso a detta ala del monumento è gratuito, come lo è anche l’accesso alle mostre ed alle esposizioni allestite presso il Vittoriano, di talché gli oneri per la predisposizione e la gestione di dette iniziative ricadono esclusivamente sul concessionario. Ciò giustifica la necessità di riscontrare preventivamente negli aspiranti concorrenti una peculiare capacità a reperire fonti di finanziamento delle dette iniziative presso soggetti terzi, istituzionali e non, dal contenuto significativo e ciò giustifica anche l’individuazione di una soglia economica elevata del requisito in esame pari a non meno di 5 milioni di euro nel triennio 2009-2011; rispetto a detta soglia il calcolo utile per raggiungere l’indicato importo è ben dettagliato nel capitolato tecnico e tiene conto sia di quanto emerge nella circolare n. 49 del 23 marzo 2009 del Ministero dei beni e attività culturali e successivi aggiornamenti sia dell’esperienza concreta costituita dal fund raising conseguito dal precedente (o, meglio, attuale) gestore nel medesimo triennio;
c) analogamente si deve affermare la pretestuosità del motivo di censura, ad avviso dell’Avvocatura e contrastando il mezzo di gravame con il quale le ricorrenti censurano la prescrizione contenuta nel Punto 5 lett. d) del disciplinare, dedotto con riferimento alla contestata soglia dei 2.300.000,00 euro fissata per la dimostrazione del requisito per la gestione della caffetteria. Detto importo è stato ricavato dal volume di introiti conseguiti nel triennio di riferimento dall’attuale gestore per lo svolgimento di quel servizio e si presenta con profili di evidente logicità e proporzionalità rispetto al servizio che sarà espletato dal concessionario, tenuto anche conto dei considerevoli flussi di persone che frequentano il locale caffetteria per una attività che, nel corso del solo 2011, ha comportato la produzione di 152.383 scontrini di pagamento;
d) infine, ad avviso della difesa erariale, anche la censura che ha come bersaglio il Punto 6 del disciplinare è priva di fondatezza, in quanto nell’ambito del potere discrezionale di fissare le regole di gara l’amministrazione ha cercato soltanto di pretendere la dimostrazione del possesso di quei requisiti volti ad individuare un concessionario in grado di eseguire esattamente l’incarico da affidarsi, garantendo quella capacità ed esperienza che, avendo oggetto il servizio un monumento unico quale è il Vittoriano, non possono essere collocati ad un livello non soddisfacente ed impongono che l’alto profilo dell’aspirante concessionario sia puntualmente dimostrato con riferimento alle esperienze pregresse che ne hanno caratterizzato il percorso professionale.
Le suesposte considerazioni inducono, dunque, la difesa erariale a chiedere la reiezione del gravame.
4. – Le parti hanno prodotto ulteriori memorie con documentazione reiterando le già rassegnate conclusioni.
Alla camera di consiglio del 17 aprile 2013 il Collegio ha trattenuto il ricorso per la decisione nel merito.
5. – Il Collegio si fa carico, anzitutto, di esaminare la fondatezza delle eccezioni preliminari sollevate dalla difesa erariale.
Ad avviso di quest’ultima il ricorso dovrebbe essere dichiarato inammissibile in quanto:
- nullo perché esso è stato sottoscritto da Alessandro Giannelli, in qualità di legale rappresentante della predetta società, seppure quest’ultima risulta, all’esito di visure svolte, essere stata posta in liquidazione fin dal 2006 ed essere amministrata da due liquidatori nessuno dei quali ha sottoscritto il ricorso;
- le ricorrenti propongono il gravame con un unico atto, senza tuttavia manifestare alcun collegamento agli atti impugnati con riferimento alla posizione di ciascuna di esse, anche perché le realtà economiche ed imprenditoriali, rilevanti ai fini della possibilità di partecipare alla selezione, sono naturalmente differenziate tra le singole ricorrenti, ponendosi quindi in potenziale conflitto di interessi tra di loro;
- le ricorrenti medesime non hanno presentato domanda di partecipazione alla selezione, manifestando in tal modo la loro estraneità alla procedura indetta dal Ministero, rilevandosi peraltro, nei fatti, una non assoluta impossibilità, a cagione del contenuto della lex specialis sospettata di illegittimità, a confezionare l’offerta e quindi a partecipare alla gara;
- patologia preliminare del gravame si manifesta anche la mancata “presa visione dei luoghi” da parte delle ricorrenti, attività indispensabile per poter predisporre la domanda e le offerte di partecipazione.
Sulla prima eccezione preliminare le ricorrenti hanno avuto modo di chiarire, nel corso della camera di consiglio svoltasi in data 26 marzo 2013, che la difesa erariale è incorsa in errore nella identificazione della società ricorrente Gelmar e di ciò è stata offerta prova documentale con il deposito di una visura camerale nella quale si da conferma che il sottoscrittore del ricorso, Signor Alessandro Giannelli, è effettivamente l’amministratore unico della ridetta società ricorrente.
Anche la seconda eccezione preliminare non manifesta di essere fondata atteso che le ricorrenti operano tutte, seppur con diverse specificità, nei settori di attività riconducibili alla lex specialis di gara e quindi esse sono potenzialmente legittimate a parteciparvi e con eguale interesse, in quanto hanno dimostrato di avere già operato nel settore degli eventi ed attività culturali, di talché non si riscontra alcuna irritualità nella proposizione da parte di costoro di un ricorso collettivo, tenuto conto che le prescrizioni del bando si pongono come ostacolo alla partecipazione di ciascuna di esse alla selezione.
La terza eccezione, che ha ad oggetto la inammissibilità della proposizione della impugnazione del bando di gara senza aver presentato la relativa domanda di partecipazione, non trova riscontro favorevole nel costante orientamento giurisprudenziale, condiviso dal Collegio, a mente del quale non può decretarsi la inammissibilità del ricorso nei confronti di un bando di gara a causa della mancata presentazione della domanda di partecipazione laddove sia evidente che le clausole del bando siano assolutamente irragionevoli tali da non consentire una valida formulazione dell'offerta per essere da esse reso impossibile quel calcolo di convenienza economica che ogni impresa deve essere in condizione di poter effettuare all'atto di valutare se partecipare o meno ad una gara pubblica (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 1 febbraio 2012 n. 2911). In altri termini la dichiarazione di inammissibilità dell’impugnazione di una lex specialis di gara, a causa della mancata dimostrazione di aver presentato domanda di partecipazione alla selezione, va effettuata laddove le clausole impugnate non abbiano natura ad excludendum in quanto si appuntano non sulla impossibilità di partecipare alla gara, alla quale i ricorrenti sarebbero stati sicuramente ammessi, se in possesso dei requisiti richiesti, ma sulla ritenuta difficoltà a formulare un'offerta remunerativa (cfr., in tal senso, Cons. Stato, Ad. pl., 29 gennaio 2001 n. 3); viceversa il ricorso nei confronti del bando è pienamente ammissibile, indipendentemente dalla dimostrazione di aver partecipato alla gara, quando l’oggetto della controversia è costituito dalla illegittimità delle regole della procedura, fissate nel bando, in applicazione delle quali la domanda di partecipazione, se presentata, avrebbe condotto comunque alla esclusione dei ricorrenti, ipotesi ultima che corrisponde al caso in esame (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 1 aprile 2011 n. 2033).
Anche l’ultima eccezione preliminare sollevata dalla difesa erariale non può essere condivisa, atteso che il suo oggetto è intimamente collegato alla prospettazione che pretenderebbe la dichiarazione di inammissibilità per il ricorso proposto avverso il bando senza la previa presentazione della domanda di partecipazione. Dunque, anche con riferimento alla contestazione secondo la quale la mancata presa visione dei luoghi, per come preteso dal bando, costituirebbe circostanza per effetto della quale verrebbe meno la legittimazione a ricorrente delle società oggi ricorrenti, il Collegio ritiene che tale scelta delle società ricorrenti non sia idonea a dequotare la posizione soggettiva vantata dalle stesse con riferimento alla impugnabilità del bando, atteso che le clausole di quest’ultimo sono state gravate in quanto impeditive della possibilità delle società ricorrenti a partecipare alla selezione.
6. – Superate le questioni preliminari il Collegio può entrare nelle questioni di merito sviluppate negli atti processuali e relative alla presente controversia.
Va preliminarmente chiarito che il bando di gara in questa sede impugnato è relativo ad una procedura di affidamento in concessione di servizi al pubblico da svolgersi presso un complesso monumentale, nella specie il Vittoriano in Roma. Ciò non toglie che, pur trattandosi di una vicenda attinente alla concessione di un servizio, debbano trovare piena applicazione sia i principi che derivano dal Trattato dell’Unione europea che le disposizioni del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (recante il Codice dei contratti pubblici) che ne costituiscono il precipitato normativo del nostro ordinamento giuridico in materia di affidamento di commesse pubbliche.
Tale regola è stata codificata nell'articolo 30, comma 3, del Codice dei contratti pubblici il quale, recependo gli orientamenti espressi dalla Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario del 12 aprile 2000, prevede al comma 3 che "La scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all’oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi”.
Sulla base di tali principi, è pacifico, dunque, che la scelta del concessionario debba essere conseguente ad una procedura competitiva e concorrenziale ispirata ai principi dettati dal Trattato istitutivo e non a caso l'art. 2, comma 1, del Codice dei contratti pubblici prevede che l'affidamento e l'esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza e che l'affidamento deve altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità indicate nello stesso Codice.
In tale solco dispositivo, per effetto del quale anche la disciplina delle procedure per l’affidamento di concessioni di servizi deve essere conforme ai principi che regolamentano in tutta l’Unione europea l’assegnazione di commesse pubbliche, si inseriscono con portata indubitabilmente applicativa ad ogni figura di affidamento, indipendentemente dall’oggetto, le disposizioni recate dall’art. 64, comma 4-bis e dall’art. 74, comma 5, del Codice, a mente dei quali:
- (art. 64, comma 4-bis) “I bandi sono predisposti dalle stazioni appaltanti sulla base di modelli (bandi - tipo) approvati dall’Autorità, previo parere del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e sentite le categorie professionali interessate, con l’indicazione delle cause tassative di esclusione di cui all’articolo 46, comma 1-bis. Le stazioni appaltanti nella delibera a contrarre motivano espressamente in ordine alle deroghe al bando – tipo”;
- (art. 74, comma 5,) “Le stazioni appaltanti richiedono gli elementi essenziali di cui al comma 2, nonché gli altri elementi e documenti necessari o utili, nel rispetto del principio di proporzionalità in relazione all’oggetto del contratto e alle finalità dell’offerta”.
Le due appena riprodotte norme del Codice dei contratti pubblici condensano l’essenza applicativa dei principi comunitari volti a garantire la massima partecipazione degli aspiranti alle gare pubbliche (anche per l’attribuzione di concessioni di servizi), di trasparenza, di parità di concorrenza e di proporzionalità, quali principi che si raccordano plasticamente con quello costituzionale di cui all’art. 97 della Carta fondamentale del nostro ordinamento, che impone alle amministrazioni di agire secondo correttezza ed imparzialità.
Per effetto delle due disposizioni richiamate si può sinteticamente affermare che:
a) differentemente rispetto alle disposizioni che regolavano nel passato le procedure di gara, l’ambito di discrezionalità della stazione appaltante nel redigere la disciplina della selezione, un tempo estremamente ampio, si è oggi molto ridotto, tanto da prevedersi (nella formulazione dell’art. 64, comma 4-bis, del Codice, introdotto dal d.l. n. 70/2011) la predisposizioni di “bandi-tipo” a cura dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (ad oggi non ancora realizzati) che dovrebbero costituire lo schema della lex specialis che ciascuna stazione appaltante deve fare proprio, tranne nel caso in cui intenda introdurre delle deroghe;
b) tali deroghe, tuttavia, debbono essere espressamente e puntualmente motivate e debbono essere rese note fin dalla predisposizione ed adozione della delibera a contrarre;
c) qualora dette deroghe impongano ai partecipanti la dimostrazione del possesso di “elementi (…) necessari o utili”, tali prescrizioni della lex specialis di gara – a mente dell’art. 74, comma 5, del Codice – potranno considerarsi legittimamente imposte solo se nella motivazione sia stata offerta la dimostrazione di un puntuale collegamento tra la ragione che ha dato luogo all’inserimento nel bando della prescrizione più gravosa e la necessità di pretenderla per ottenere l’effettiva realizzazione dell’obiettivo che l’amministrazione procedente intende conseguire con il contratto, nel rispetto del principio di proporzionalità;
d) il che equivale a dire che la legittimità della clausola che pretende la dimostrazione del possesso di requisiti specifici e più gravosi, rispetto allo standard di settore, a carico dei soggetti concorrenti è condizionata non solo dalla motivazione delle ragioni che ne determinano (o che ne consigliano) la imposizione agli aspiranti concorrenti ma, soprattutto, dalla prova della necessità tecnica di un siffatto aggravio in quanto strettamente collegata “all’oggetto del contratto e alle finalità dell’offerta”;
e) ancor più nello specifico si potrebbe dire che, per effetto delle disposizioni più sopra riprodotte, la clausola che aggrava la partecipazione degli aspiranti concorrenti, determinando naturalmente una preliminare scrematura di costoro, può considerarsi legittima solo se venga data specifica e puntuale dimostrazione, espressamente fin dalla determina a contrarre, che lo svolgimento del tipo di servizio che costituisce l’oggetto della concessione imponga il possesso di tali requisiti specifici, in mancanza dei quali l’esecuzione delle attività declinate nel contratto (e, prima ancora, nel capitolato) perderebbe di interesse per l’amministrazione procedente svilendo significativamente tanto da rendere inutile lo stesso affidamento.
7. – Ad avviso del Collegio merita ancor più specificare che i principi generali del Trattato europeo valgono comunque anche per i contratti e le fattispecie diverse da quelle concretamente contemplate; quali, (oltre alla concessione di servizi) gli appalti sottosoglia e i contratti diversi dagli appalti tali da suscitare l'interesse concorrenziale delle imprese e dei professionisti ed in tal senso si è espressa anche l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella decisione 3 marzo 2008 n. 1.
E appunto sul piano delle norme e dei principi comunitari va detto che in base alla comunicazione della Commissione europea del 12 aprile 2000, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. C 121 del 29 aprile 2000 (e più sopra citata), richiamata e sviluppata dalla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento per le politiche comunitarie n. 945 dell'1 marzo 2002, i principi di evidenza pubblica, da attuare in modo proporzionato e congruo all'importanza della fattispecie in rilievo vanno applicati, in quanto dettati in via diretta e self-executing dal Trattato, anche alle fattispecie non interessate da specifiche disposizioni comunitarie volte a dare la stura ad una procedura competitiva puntualmente regolata (cfr., in tal senso, la citata Ad. pl. n. 1 del 2008). Segnatamente "il principio di trasparenza è strettamente legato a quello di non discriminazione, poiché garantisce condizioni di concorrenza non falsate ed esige che le amministrazioni concedenti rendano pubblica, con appropriati mezzi di pubblicità, la loro intenzione di ricorrere ad una concessione. Secondo le indicazioni della Commissione europea (cfr. il punto 3.1.2 della Comunicazione interpretativa) tali forme di pubblicità dovranno contenere le informazioni necessarie affinché potenziali concessionari siano in grado di valutare il loro interesse a partecipare alla procedura quali l'indicazione dei criteri di selezione ed attribuzione, l'oggetto della concessione e delle prestazioni attese dal concessionario. Spetterà poi in particolare ai giudici nazionali valutare se tali obblighi siano stati osservati attraverso l'adozione di appropriate regole o prassi amministrative" (cfr., ancora, la citata Ad. pl. n. 1 del 2008, anche per i successivi "virgolettati").
A sua volta, "il principio di parità di trattamento implica che le amministrazioni concedenti pur essendo libere di scegliere la procedura di aggiudicazione più appropriata alle caratteristiche del settore interessato e di stabilire i requisiti che i candidati devono soddisfare durante le varie fasi della procedura, debbano poi garantire che la scelta del candidato avvenga in base a criteri obiettivi e che la procedura si svolga rispettando le regole e i requisiti inizialmente stabiliti (cfr. Corte di Giustizia, sentenza 25 aprile 1996, causa C-87/94 Bus Wallons, punto 54)".
La circostanza che le direttive comunitarie in materia di appalti siano attuative dell'art. 81 del Trattato porta in sostanza a ritenere che queste norme siano puramente applicative, con riferimento a determinati appalti, di principi generali che, essendo sanciti in modo universale dal Trattato, sono ovviamente valevoli anche per contratti e fattispecie diverse da quelle concretamente contemplate. Donde l'immediata operatività dei principi, sopra esposti con riferimento agli affidamenti sottosoglia (si veda la circolare del Dipartimento per le Politiche comunitarie del 30 giugno 2002 ove si richiama l'ordinanza 3 dicembre 2001, in C-59/00, e sentenza 7 dicembre 2000, causa C-324, Teleaustria c. Post & Telekom Austria, rese dalla Corte di giustizia CE) ed ai contratti diversi dagli appalti tali da suscitare l'interesse concorrenziale delle imprese e dei professionisti e, infine, alle stesse concessioni di beni pubblici di rilevanza economica.
Ad arricchire il suesposto quadro interpretativo può rammentarsi che la Corte di giustizia CE ha in particolare statuito che "sebbene le direttive comunitarie che coordinano le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici si applichino soltanto ai contratti il cui valore supera un determinato limite previsto espressamente in ciascuna delle dette direttive, il solo fatto che il legislatore comunitario abbia considerato che le procedure particolari e rigorose previste in tali direttive non sono adeguate allorché si tratta di appalti pubblici di scarso valore, non significa che questi ultimi siano esclusi dall'ambito di applicazione del diritto comunitario" (cfr., in tal senso, ordinanza 3 dicembre 2001, in C-59/00, punto 19).
Le esposte coordinate, ad avviso del Collegio, ed in conformità ai già ricordati dicta giurisprudenziali, depongono per una interpretazione legittimamente orientata "in senso comunitario" dell'art. 30 del Codice dei contratti pubblici nel senso che le espressioni normative ivi esposte, pur contenendo disposizioni derogatorie rispetto a quelle contenute nelle norme che il Codice stesso dedica alle procedure di affidamento di ordinari contratti di appalto, non possono spingersi, nella loro latitudine applicativa, fino a travolgere la doverosità di comportamenti che sono resi obbligatori dai principi del Trattato e dalle connesse interpretazioni della Corte di giustizia CE e che ciascun soggetto aggiudicatore deve assicurare nella valutazione delle proposte pervenute dai concorrenti, al fine di garantire il rispetto dei principi di parità di trattamento, trasparenza ed eguaglianza partecipativa nell'ambito della procedura di aggiudicazione.
8. – Le suesposte traiettorie interpretative assumono, ai fini della decisione del presente contenzioso, portata rilevante, atteso che la legittimità delle singole clausole del bando censurate dalle società ricorrenti dovrà essere analizzata proprio tenendo in considerazione il criterio di proporzionalità con l’oggetto del contratto (rectius, della concessione) da eseguirsi e con riferimento alla sostenibilità della compressione del numero degli aspiranti concorrenti, che naturalmente viene provocata dalla peculiarità delle richieste di qualificazione recate dal bando, rispetto a quello che può considerarsi lo standard elevato di servizio che ragionevolmente l’amministrazione può pretendere che sia assicurato dal concessionario nel corso dello svolgimento della concessione in ragione della peculiarità del complesso monumentale del “Vittoriano” in Roma, che rende “unico” detto complesso sia dal punto di vista storico che artistico che, ancora, quale attrattiva turistica.
Il primo mezzo di impugnazione del bando che, per come si è sopra sintetizzato al punto 2 della presente decisione, aggredisce il Punto 5 e in parte il Punto 6 del disciplinare, facente parte integrante del bando censurato, si sviluppa in quattro censure che possono così riepilogarsi:
A) nei confronti della prescrizione della lett. b) del Punto in questione per effetto della quale il candidato è chiamato a dimostrare di essere “attualmente” esercente, visto che non possono considerarsi utili alla dimostrazione del requisito i punti vendita per i quali non si è più esercenti al momento della presentazione dell’offerta, di prodotti editoriali relativi a tematiche culturali e/o oggettistica ispirata a tematiche culturali e/o merchandising museale sotto “un unico marchio”, con svolgimento in maniera continuativa durante il solito triennio di riferimento e per un fatturato lordo complessivo non inferiore ad euro 460.000,00;
B) nei confronti della prescrizione recata dalla lett. c) del Punto in questione, vale a dire “Servizi di Progettazione, Organizzazione e Realizzazione eventi e mostre”, in quanto non essendo mai stata prevista nei casi in cui il Ministero ha in precedenza proceduto al rilascio della concessione per i servizi museali una tale tipologia di servizio diviene arduo formulare una offerta non essendovi un mercato di riferimento, tanto più che è richiesta la dimostrazione di un fatturato nel solito triennio di riferimento pari all’ingente cifra di 5 milioni di euro. La prescrizione, in particolare, sarebbe illegittima perché il bando pretenderebbe la dimostrazione di avere raccolto sponsorizzazioni e altre attività di fund raising, per l’organizzazione e la realizzazione di mostre con riferimento, nell’ambito della Pubblica amministrazione ad “Enti pubblici nazionali, Università”, rendendo superfluo, irragionevolmente, che tale requisito possa essere dimostrato con riferimento ad altri enti, oltre al fatto che la dimostrazione del requisito viene richiesta in modo contraddittorio facendosi nel titolo del Punto 5, lett. c) riferimento alla “Progettazione, Organizzazione e Realizzazione eventi e mostre” e non all’attività di “sponsorizzazione”, come invece pare richiesto nella spiegazione della tipologia del requisito richiesto;
C) nei confronti della indicazione recata dalla lett. d) del Punto in questione con riferimento ai “Servizi di Caffetteria”, rispetto alla quale è richiesta la dimostrazione “di aver svolto servizi di caffetteria, in maniera continuativa e durante il triennio di riferimento, il cui fatturato non sia inferiore a € 2.300.000,00”, tenuto conto di quanto è stato richiesto in analoghe occasioni con riferimento al rilascio di concessioni per servizi museali in “poli” di particolare rilievo;
D) infine, nei confronti della prescrizione contenuta nel Punto 6 in questione, in virtù della quale l’aspirante concorrente dovrebbe dimostrare “di avere svolto servizi di progettazione, organizzazione e realizzazione di eventi culturali e mostre durante il triennio di riferimento, in Italia e/o all’estero. per almeno 10 (dieci) Pubbliche Amministrazioni diverse”.
9. – Il primo profilo di censura tra quelli appena elencati ha ad oggetto la pretesa che i concorrenti dimostrino di essere esercenti di prodotti editoriali relativi a tematiche culturali e/o oggettistica ispirata a tematiche culturali e/o di merchandising museale “sotto un unico marchio”.
Rispetto a tale contestazione l’Avvocatura generale ne sostiene la inammissibilità in quanto le ricorrenti “non chiariscono in alcun modo per quale ragione il requisito dell’unico marchio arrecherebbe loro una concreta lesione” (così, testualmente, a pag. 16 della memoria difensiva). Sempre la difesa erariale chiarisce come la restrizione della concorrenza, che le ricorrenti lamentano si verifichi con la prescrizione censurata, non si realizza in astratto, semmai “per il concorso del suddetto requisito con quello del fatturato minimo” (così, testualmente, a pag. 17 della memoria difensiva) richiesto dalla stessa prescrizione censurata. Per chiarire tale aspetto la difesa dell’amministrazione resistente ipotizza che qualora la “Stazione Appaltante avesse previsto il requisito di un fatturato di soli € 10 sotto un unico marchio, non si sarebbe evidentemente realizzata alcuna effettiva restrizione della concorrenza, visto che ogni Operatore Economico che abbia operato nel settore considerato avrà sicuramente sviluppato almeno un fatturato di € 10 sotto un unico marchio” (così, testualmente, ancora a pag. 17 della memoria difensiva). L’entità dell’importo richiesto dalla prescrizione, corrispondente ad almeno € 460.000, risulta essere ampiamente giustificato, ad avviso della difesa erariale (si leggano le pagg. 17 e 18 della citata memoria), tenuto conto che quel valore costituisce la somma dei volumi d’affari realizzati nell’arco di un triennio di riferimento (2009-2011) e quindi è pari ad € 153.333 annui, in quanto:
1) non limita il fatturato ai soli prodotti editoriali relativi a tematiche culturali, ma si estende anche agli introiti realizzati con la vendita di oggettistica ispirata a tematiche culturali e/o a merchandising museale;
2) non pone limitazioni in ordine al numero ovvero alla dimensione degli esercizi presso i quali si è realizzato l’introito, potendo quindi esserne dimostrata la realizzazione in più attività commerciali;
3) non individua una tipologia di esercizio commerciale nel quale il concorrente deve aver realizzato l’introito;
4) in più passaggi degli atti di gara la stazione appaltante ha esplicitato l’intenzione di garantire la migliore tutela del preminente interesse pubblico alla conservazione dell’integrità e del prestigio del Vittoriano;
5) la prescrizione si presenta utile a garantire che il futuro concessionario del servizio di bookshop e di vendita del merchandising museale sia un operatore economico con un minimo di esperienza nell’esercizio di punti vendita quali quello posto nel complesso monumentale in questione, anche al fine di evitare che possa risultare affidatario un soggetto che abbia svolto solo in modo sporadico e saltuario detto servizio, ponendo a rischio, in tale eventuale caso, “l’immagine, la funzionalità, il prestigio del Vittoriano” .
Ad avviso del Collegio dette controdeduzioni, pur abilmente puntualizzate dalla difesa erariale, non permettono di ritenere giustificata l’apposizione di una clausola partecipativa, quale è quella qui censurata, evidentemente capace di restringere la partecipazione alla selezione in questione, senza tuttavia offrire, nello stesso tempo, valide ragioni che consiglino una scrematura degli aspiranti concorrenti, in ragione dell’oggetto della concessione di servizi da rilasciare, fondata sulla dimostrazione di avere realizzato un fatturato importante, quale è indubbiamente quello pari ad € 460.000, seppur spalmato nell’arco di un triennio, nell’attività di vendita di prodotti editoriali relativi a tematiche culturali nonché di oggettistica ispirata (ancora) a tematiche culturali e/o di merchandising museale sotto l’egida (figurativamente intesa) di un “unico marchio”.
10. - Come è noto, ai sensi della direttiva 31 marzo 2004 n. 18:
- per il secondo considerando, l’aggiudicazione degli appalti negli Stati membri per conto dello Stato, degli enti pubblici territoriali e di altri organismi di diritto pubblico è subordinata al rispetto dei principi del trattato ed in particolare ai principi della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, nonché ai principi che ne derivano, quali i principi di parità di trattamento, di non discriminazione, di riconoscimento reciproco, di proporzionalità e di trasparenza;
- per il ventinovesimo considerando, le specifiche tecniche fissate dai committenti pubblici dovrebbero permettere l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza. A questo scopo deve essere possibile la presentazione di offerte che riflettano la pluralità di soluzioni tecniche. Pertanto le specifiche tecniche devono poter essere fissate in termini di prestazioni e di requisiti funzionali e, in caso di riferimento alla norma europea, o, in mancanza di quest’ultima, alla norma nazionale, le amministrazioni aggiudicatrici devono prendere in considerazione offerte basate su altre soluzioni equivalenti. Per dimostrare l’equivalenza, gli offerenti dovrebbero poter utilizzare qualsiasi mezzo di prova. Le amministrazioni aggiudicatrici, laddove decidano che in un determinato caso l’equivalenza non sussiste, devono poter motivare tale decisione;
- ai sensi dell’art. 23, punto 2, “Le specifiche tecniche devono consentire pari accesso agli offerenti e non devono comportare la creazione di ostacoli ingiustificati all’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza”. Inoltre al punto 8 l’art. 23 specifica: “A meno di non essere giustificate dall’oggetto dell’appalto, le specifiche tecniche non possono menzionare una fabbricazione o provenienza determinata o un procedimento particolare né far riferimento a un marchio, a un brevetto o a un tipo, a un’origine o a una produzione specifica che avrebbero come effetto di favorire o eliminare talune imprese o taluni prodotti. Tale menzione o riferimento sono autorizzati, in via eccezionale, nel caso in cui una descrizione sufficientemente precisa e intelligibile dell’oggetto dell’appalto non sia possibile applicando i paragrafi 3 e 4; una siffatta menzione o un siffatto riferimento sono accompagnati dall’espressione "o equivalente”;
- ai sensi dell’art. 44, paragrafo 2, “Le amministrazioni aggiudicatrici possono richiedere livelli minimi di capacità, conformemente agli articoli 47 e 48, che i candidati e gli offerenti devono possedere. La portata delle informazioni di cui agli articoli 47 e 48 nonché i livelli minimi di capacità richiesti per un determinato appalto devono essere connessi e proporzionati all’oggetto dell’appalto”.
Deriva da quanto sopra che, in virtù delle disposizioni impartite dalla direttiva n. 18 del 2004, recante i principi per l’affidamento di appalti e di concessioni di servizi, le amministrazioni aggiudicatrici trattano gli operatori economici su un piano di parità, in modo non discriminatorio e agiscono con trasparenza (art. 2 della direttiva). Tali principi rivestono un’importanza determinante per quanto riguarda le specifiche tecniche, in considerazione dei rischi di discriminazione connessi sia alla scelta di queste ultime, sia al modo in cui sono formulate. Infatti l’articolo 23, paragrafi 2 e 3, lettera b), e l’ultima frase del 29º considerando della direttiva 2004/18 sottolineano che le specifiche tecniche devono consentire pari accesso agli offerenti e non devono comportare la creazione di ostacoli ingiustificati all’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza, che esse devono essere sufficientemente precise da consentire agli offerenti di determinare l’oggetto dell’appalto e alle amministrazioni aggiudicatrici di aggiudicarlo, e che devono essere chiaramente indicate, affinché tutti gli offerenti siano al corrente degli aspetti coperti dai requisiti fissati dall’amministrazione aggiudicatrice.
In particolare, ancora, va segnalato come l’articolo 53, paragrafo 1, lettera a), della direttiva n. 18 del 2004 impone che i criteri di aggiudicazione siano collegati all’oggetto dell’appalto. A tale proposito il 46º considerando della medesima direttiva precisa, al suo terzo comma, che “[l]a determinazione di tali criteri dipende dall’oggetto dell’appalto in quanto essi devono consentire di valutare il livello di prestazione che ciascuna offerta presenta rispetto all’oggetto dell’appalto, quale definito nelle specifiche tecniche, nonché di misurare il rapporto qualità/prezzo di ciascuna offerta», atteso che «l’offerta economicamente più vantaggiosa» è «quella che presenta il miglior rapporto qualità/prezzo»”. D’altronde, per come emerge dal primo e dal quarto comma del 46° considerando, il rispetto dei principi di parità, di non discriminazione e di trasparenza impone che i criteri di aggiudicazione siano oggettivi, il che garantisce che il confronto e la valutazione delle offerte siano condotti in modo oggettivo, e dunque in condizioni di effettiva concorrenza. Ciò non si verificherebbe in caso di criteri che attribuissero all’amministrazione aggiudicatrice un’incondizionata libertà di scelta (cfr., in tal senso ed anche con riferimento alla normativa comunitaria preesistente rispetto alla direttiva n. 18 del 2004, Corte giust. UE 17 settembre 2002, Concordia Bus Finland, C 513/99).
Tenendo conto delle coordinate interpretative che discendono da quanto sopra non emerge nella disposizione del disciplinare di gara censurata, vale a dire il Punto 5, lett. b), che sia adeguatamente motivata non tanto la necessità di dimostrare la realizzazione di un fatturato pari ad € 460.000 nel triennio 2009-2011 per le attività commerciali ivi descritte, quanto piuttosto la indispensabile comprova che detto fatturato abbia avuto ad oggetto prodotti riconoscibili sotto un unico marchio.
11. - Stante la unicità storico-artistica del complesso museale del Vittoriano non può ragionevolmente essere posto in dubbio - e su tale aspetto il Collegio condivide quanto sostenuto dalla difesa erariale - che sia necessario selezionare attentamente gli aspiranti concessionari perimetrando con cura la tipologia che corrisponda ad una sorta di “archetipo di concessionario” facente parte di una categoria ristretta di aspiranti che, pur svolgendo attività nel settore museale analoghe a quelle oggetto della concessione relativa a quella da affidarsi per il “Vittoriano”, sia in grado di assicurare uno standard qualitativo di elevatissimo livello tenendo conto della peculiarità ed unicità del luogo ove detta concessione dovrà realizzarsi; conseguentemente appare pienamente giustificato e motivato un tetto elevato, pari a € 460.000 nel triennio dimostrativo della capacità realizzativa di fatturato nell’attività di vendita di prodotti editoriali relativi a tematiche culturali nonché di oggettistica ispirata a tematiche culturali e/o di merchandising museale. Ciò che però non convince e non appare adeguatamente motivato, neppure ricercandone accuratamente le ragioni nelle maglie degli atti di gara (secondo un metodo di indagine suggerito dall’Avvocatura erariale a pag. 18 della memoria di costituzione, punto 4.1.1.6..) è la necessità che tale fatturato si sia realizzato nel triennio con riferimento ad un “unico marchio”.
Sotto un primo profilo viene in emersione il disposto dell’art. 68 del Codice dei contratti pubblici, a mente del quale è prescritto che i documenti del contratto, quali il bando di gara, il capitolato d'oneri o i documenti complementari devono dettagliatamente indicare le specifiche tecniche richieste, senza però individuare una specifica fabbricazione o provenienza, al fine di evitare la ingiustificata restrizione della rosa dei partecipanti alla gara, con nocumento all'interesse pubblico sotteso alla più ampia partecipazione alla stessa. È previsto anche, al comma 13 che, ove sia necessario al fine della capillare descrizione di un macchinario ricorrere all'indicazione di un tipo specifico di prodotto occorre che tale indicazione sia accompagnata dall'espressione “o equivalente”. La ratio delle disposizioni richiamate, contenute nell'art. 68 Codice è chiara: nel rispetto del principio della più ampia partecipazione alle gare finalizzato alla ponderata e fruttuosa scelta del miglior contraente, si esclude espressamente, tranne ove sia giustificato dal particolare oggetto dell'appalto, la possibilità di indicare marchi o tipi specifici di produzione, a meno che il riferimento ad un prodotto non sia necessario al fine di descrivere dettagliatamente le caratteristiche che il bene offerto deve possedere; in questo caso è obbligatorio fare ricorso al concetto di equivalenza, con la conseguenza che, in caso di omissione dell'inciso, il bando risulterebbe in parte qua illegittimo (cfr., in argomento, Cons. Stato, Sez. V, 14 novembre 2008 n. 5693).
Nel caso di specie il disciplinare non suggerisce alle parti quale sia il “marchio” di riferimento rispetto al quale deve darsi la prova di aver raggiunto nel triennio il fatturato di almeno € 460.000 nello svolgimento delle attività commerciali ivi descritte tuttavia, senza fornire una idonea motivazione, impone che le ridette attività siano state svolte solo con riferimento ad un marchio. In altri termini non è dato comprendere nel disciplinare e comunque non si appalesa all’evidenza dei concorrenti prima di redigere l’offerta, per come è invece imposto da tutte le disposizioni normative comunitarie e nazionali fin qui richiamate e, talvolta, riprodotte, per quale ragione il concorrente che si aggiudicherà la selezione costituisca un concessionario più affidabile nello svolgimento del complesso servizio da affidarsi, per come è innegabilmente imposto dalla peculiarità del complesso monumentale presso il quale detto servizio verrà realizzato, solo se può dimostrare che il rilevante importo di fatturato sia stato introitato rappresentando un unico marchio, rispetto ad altro concorrente che possa provare di avere introitato nel triennio di riferimento un importo complessivo maggiore realizzato però pubblicizzando ed operando con riguardo a più marchi, ovviamente sempre con riferimento al settore di attività commerciale indicato nel bando.
Sotto altro profilo va segnalato che la Sezione si è già occupata nel passato, per come rammentato da entrambe le parti controvertenti nei loro atti processuali, della legittimità dell’apposizione di clausole nei bandi di gara per l’affidamento di concessioni di servizi museali in genere che recassero il riferimento a requisiti tecnici condizionati dallo svolgimento di attività sotto un medesimo marchio o brand, affermando la non corrispondenza di tale metodologia di predisposizione delle discipline di gara con i principi e le norme comunitarie e nazionali che sovraintendono all’affidamento di commesse pubbliche.
In particolare con la sentenza n. 32717 del 7 ottobre 2010, i cui approdi sono stati ribaditi dalla successiva sentenza 21 ottobre 2010 n. 32946 la Sezione ha:
a) dapprima ribadito che, ai sensi dell'art. 30, comma 3, del Codice dei contratti pubblici, nelle gare indette per la concessione di servizi la "scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all'oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi”;
b) poi precisato che, seppure in tale quadro normativo, ai fini della verifica dell'effettiva capacità tecnica, l'elenco esemplificativo di cui agli artt. 41 e 42 del Codice dei contratti pubblici non costituisce, per la stazione appaltante un vincolo diretto, tuttavia in relazione al richiamo ai principi del Trattato UE, le determinazioni in materia di requisiti soggettivi di partecipazione alle gare non devono essere illogiche, arbitrarie, inutili o superflue e devono essere rispettose del "principio di proporzionalità", il quale esige che ogni requisito individuato sia al tempo stesso necessario ed adeguato rispetto agli scopi perseguiti;
c) quindi chiarito che il concreto esercizio del potere discrezionale deve essere funzionalmente coerente con il complesso degli interessi pubblici e privati coinvolti dal pubblico incanto e deve rispettare i principi del Codice dei contratti pubblici, con la conseguenza che, nella scelta dei requisiti di partecipazione il ricordato principio di non discriminazione impone che la stazione appaltante deve ricorrere a quelli che comportino le minori turbative per l'esercizio dell'attività economica;
d) infine concluso affermando che l'intero impianto delle prescrizioni di gara non deve costituire dunque una violazione sostanziale dei principi di libera concorrenza, par condicio, non discriminazione trasparenza di cui all'art. 2, comma 1, del più volte citato Codice.
In virtù di tali presupposti la Sezione, nelle occasioni di scrutinio sopra richiamate, ha statuito che il riferimento al medesimo marchio o brand può legittimamente costituire il contenuto di una eventuale "clausola negoziale" del bando, alla stregua di una obbligazione contrattuale per il futuro aggiudicatario del contratto di concessione, ma non può “integrare alcun particolare ulteriore requisito rispetto al fatturato di un operatore economico che operi (o ritenga preferibile operare per propria scelta aziendale) sul mercato con "brand" differenti. L'imporre un unico marchio per le varie gestioni è una variabile del procedimento che comporta l'impossibilità assoluta di partecipare alla gara di soggetti il cui fatturato pure corrisponderebbe ai limiti fissati. In sostanza la clausola è illegittima perché costituisce un'irragionevole restrizione della concorrenza, senza che a ciò corrisponda ad alcun interesse per la Stazione appaltante” (così, testualmente, la sentenza n. 32946 del 2010).
12. – Tali approdi valutativi in merito alla prescrizione in questione trovano ora una ulteriore conferma nella recentissima deliberazione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture 10 marzo 2013 n. 6 nella quale, in occasione di una istruttoria svolta dall’Autorità con riferimento ad alcune iniziative selettive per l’affidamento di concessioni di servizi presso poli museali avviate dalle Soprintendenze di Roma, Firenze e Napoli, proprio con riferimento alla questione se fosse legittimo inserire nel bando il requisito di limitazione alla partecipazione degli aspiranti concessionari avente ad oggetto la dimostrazione di svolgere (tuttora e al momento della partecipazione alla selezione, come è preteso nel caso qui in esame) l’attività economica richiesta sotto un “unico marchio” ha affermato che non sussiste un nesso imprescindibile tra l’affidabilità del futuro contraente e l’aver operato con un unico marchio in quanto:
A) il medesimo obiettivo potrebbe essere ugualmente soddisfatto anche da un’impresa che ha operato ovvero operi, secondo le proprie politiche aziendali, in diversi luoghi culturali con marchi diversi;
B) l’unitarietà del marchio non appare come elemento aziendale indispensabile per garantire “la continuità del soggetto concorrente, nonché l’unitarietà aziendale”;
C) detto requisito appare, dunque, come un requisito “ulteriore” non necessario ed adeguato agli interessi perseguiti dal committente, rispetto a quelli indicati dal legislatore per selezionare i migliori concorrenti dal punto di vista delle loro capacità tecnico-professionali (secondo i parametri normativi descritti dall’art. 42 del Codice dei contratti pubblici), in contrasto con il principio di proporzionalità, di cui all’art. 2, comma 1, del medesimo Codice;
D) seppure è vero che rientra indubbiamente nella discrezionalità della stazione appaltante prevedere requisiti di partecipazione diversi, ulteriori e più restrittivi di quelli legali, ciononostante, tale grado di libertà trova un limite nel requisito della logicità e della ragionevolezza dei requisiti richiesti e della loro pertinenza e congruità rispetto all’oggetto dell’appalto ed all’interesse pubblico perseguito (in tale senso viene richiamato il precedente parere dell’Autorità n. 83 del 2010);
E) difatti la discrezionalità delle amministrazioni nel disegno della lex specialis non deve mai condurre a determinazioni illogiche, arbitrarie, inutili o superflue, in quanto “il concreto esercizio del potere discrezionale deve essere funzionalmente coerente con il complesso degli interessi pubblici e privati coinvolti dal pubblico incanto e deve rispettare i principi del Codice dei contratti” (così il citato precedente della Sezione n. 32717 del 2010).
L’Autorità quindi, nel contestare la legittimità dell’apposizione di una siffatta clausola limitativa della partecipazione, perché non giustificata rispetto all’oggetto del tipo di concessione da affidarsi e distinguendosi quindi per irragionevolezza, si spinge fino a specificare che anche il profilo qualificatorio costituito dalla attualità dello svolgimento delle attività sotto un unico marchio al momento della partecipazione alla selezione si propone per la sua ingiustificata capacità impeditiva alla partecipazione, non accompagnata da una valida ragione qualitativa che assicuri la selezione di un concessionario effettivamente in grado di realizzare l’obiettivo di qualità che l’amministrazione procedente intende raggiungere con il ridetto affidamento, atteso che prendere in considerazione una attività ancora in corso al momento della presentazione della domanda sembra rappresentare una variabile del procedimento che comporta un ulteriore impedimento assoluto di partecipare alla selezione a quei soggetti che (addirittura avendo operato rappresentando un unico marchio o brand nel corso del triennio di riferimento e per l’importo di fatturato richiesto dal bando), per le più svariate ragioni, nel momento in cui partecipano alla selezione abbiano definito o esaurito l’attività con l’operatore economico cui appartiene quel marchio di riferimento.
Orbene, per come è stato anche sottolineato dalla difesa erariale a pag. 2 della memoria depositata per la camera di consiglio del 17 aprile 2013, il Collegio non ignora che le deliberazioni adottate dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavoro servizi e forniture non assumono portata imperativa e cogente nei confronti delle stazioni appaltanti di talché esse se ne possono discostare, qualora ritengano di non condividerne i contenuti e che tale impostazione è confermata in numerosi avvisi giurisprudenziali ad avviso dei quali:
a) l’Autorità non è dotata di poteri di supremazia gerarchica nei confronti delle stazioni appaltanti (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12 settembre 2006 n. 5317);
b) nell'ambito dei suoi poteri essa può senz'altro acquisire informazioni ed effettuare segnalazioni alle autorità giurisdizionali, ovvero esprimere il proprio parere sulla pertinente normativa nazionale e comunitaria, tanto è vero che l'art. 6, comma 9, lett. a) del Codice dei contratti pubblici legittima l’Autorità a “richiedere alle stazioni appaltanti (…) documenti, informazioni e chiarimenti relativamente ai lavori, servizi e forniture pubblici, in corso o da iniziare, al conferimento di incarichi di progettazione, agli affidamenti”;
c) peraltro le determinazioni che l'Autorità assume circa l'interpretazione della normativa vigente in materia costituiscono opinioni dotate di autorevolezza, che possono anche conseguire un apprezzabile effetto di uniformità e di chiarezza nell'applicazione della legge;
d) purtuttavia gli stessi pronunciamenti non possono risolversi nella funzione di interpretazione autentica, o di integrazione, della normativa, difettando l'Autorità del relativo potere, con la conseguenza che essi non rappresentano un vincolo per le amministrazioni nello svolgimento delle procedure di loro competenza (cfr. T.A.R. Sardegna, Sez. I, 7 aprile 2006 n. 504).
Fermo quanto sopra è ugualmente indubitabile che, per l’autorevolezza del pronunciamento interpretativo, non solo le amministrazioni destinatarie dello stesso ma anche il giudice deve orientare la propria valutazione in merito al contenuto di tali deliberazioni considerandole quali fonti, seppure non di convincimento assoluto per quanto si è sopra riferito, quanto meno di significativa conferma rafforzativa della propria linea interpretativa che si va formando rispetto all’applicazione delle disposizioni comunitarie e nazionali in materia di affidamento di commesse pubbliche. In altri termini le deliberazioni dell’Autorità seppure non assumono portata vincolante per le amministrazioni e, tanto meno, per il giudice amministrativo, possono ben essere chiamate a sostegno di una linea interpretativa fatta propria dalla stazione appaltante ovvero dal giudice, allorquando manifestino convincenti percorsi chiarificatori del modello di applicazione delle norme in un determinato settore. Non v'è dubbio dunque che un orientamento che promani dall’Autorità, essendo quest’ultima preposta alla vigilanza sull'osservanza della disciplina legislativa e regolamentare del settore dell’affidamento delle commesse pubbliche, costituisca una qualificata valutazione dotata di una attendibilità privilegiata
Nella specie pare al Collegio che i convincimenti espressi sul tema dell’Autorità in merito alla legittimità della apposizione di una c.d. clausola “ad unico marchio” siano perfettamente in linea con ciò che emerge dall’esame delle disposizioni di riferimento e più volte sopra richiamate, tenuto conto che l’amministrazione, neppure in questa sede contenziosa, è riuscita a dimostrare la necessità dell’apposizione di una siffatta clausola né la ragionevolezza della sua predisposizione, in una ottica di proporzionalità con riguardo all’oggetto della concessione di plurimi servizi da affidarsi.
Ne deriva la fondatezza del primo profilo di censura dedotto nel primo motivo di ricorso dalle società ricorrente e la conseguente illegittimità della clausola apposta nel disciplinare al Punto 5, lett. b).
13. – Il secondo profilo di censura che investe il Punto 5 del disciplinare si rivolge nei confronti della prescrizione recata dalla lett. c) del Punto in questione, vale a dire “Servizi di Progettazione, Organizzazione e Realizzazione eventi e mostre”. Le società ricorrenti sottolineano che detta ampia tipologia di servizio non è mai stata prevista nei casi in cui il Ministero ha in precedenza proceduto al rilascio della concessione per i servizi museali con la conseguenza che diviene arduo formulare una offerta non essendovi un mercato di riferimento, tanto più che è richiesta la dimostrazione di un fatturato nel triennio 2009-2011 pari all’ingente cifra di 5 milioni di euro. La prescrizione, in particolare, sarebbe illegittima perché il bando pretenderebbe la dimostrazione di avere raccolto sponsorizzazioni e altre attività di fund raising, per l’organizzazione e la realizzazione di mostre con riferimento, nell’ambito della Pubblica amministrazione ad “Enti pubblici nazionali, Università”, rendendo superfluo, irragionevolmente, che tale requisito possa essere dimostrato con riferimento ad altri enti, oltre al fatto che la dimostrazione del requisito viene richiesta in modo contraddittorio facendosi nel titolo del Punto 5, lett. c) riferimento alla “Progettazione, Organizzazione e Realizzazione eventi e mostre” e non all’attività di “sponsorizzazione”, come invece pare richiesto nella spiegazione della tipologia del requisito richiesto.
Replica sulla questione censurata la difesa erariale assicurando che la lex specialis di gara ha sufficientemente dettagliato la richiesta volta ad acquisire dagli aspiranti concessionari la dimostrazione di una pregressa esperienza nella raccolta di sponsorizzazioni per la realizzazione ed organizzazione di mostre e la limitazione di siffatta comprova alle sole attività precedenti realizzate a favore di enti pubblici nazionali costituisce una prescrizione della lex specialis di gara pienamente giustificata dalle “specificità che caratterizzano l’ala del Vittoriano in cui si svolgeranno i servizi in concessione” (così, testualmente, a pag 19 della memoria di costituzione). Infatti, l’accesso a detta ala del complesso monumentale è gratuito, come lo è anche l’accesso alle mostre ed alle esposizioni allestite presso il Vittoriano, di talché gli oneri per la predisposizione e la gestione di dette iniziative ricadono esclusivamente sul concessionario. Ciò giustifica la necessità di riscontrare preventivamente negli aspiranti concorrenti una peculiare capacità a reperire fonti di finanziamento delle dette iniziative presso soggetti terzi, istituzionali e non, dal contenuto significativo e ciò giustifica anche l’individuazione di una soglia economica elevata del requisito in esame pari a non meno di 5 milioni di euro nel triennio 2009-2011; rispetto a detta soglia il calcolo utile per raggiungere l’indicato importo è ben dettagliato nel capitolato tecnico e tiene conto sia di quanto emerge nella circolare n. 49 del 23 marzo 2009 del Ministero dei beni e attività culturali e successivi aggiornamenti sia dell’esperienza concreta costituita dal fund raising conseguito dal precedente (o, meglio, attuale) gestore nel medesimo triennio.
La seconda questione di merito qui oggetto dell’esame del Collegio presenta molti punti di affinità con la prima testé scrutinata. Anche in questo caso non si ravvisano patologie con riguardo all’entità della dimostrazione di un fatturato nel triennio 2009-2011 pari all’ingente cifra di 5 milioni di euro, in quanto tale significativa richiesta pare ampiamente giustificata dalla irripetibilità culturale, storica e turistica del luogo ove andranno svolti i servizi in questione, tanto più che, con riferimento alle attività elencate sinteticamente nella lettera c) del Punto 5 del disciplinare la spiccata capacità di raccogliere fondi anche con riferimento a soggetti terzi rispetto alle istituzioni normalmente coinvolte in sponsorizzazioni di attività museali è pienamente dimostrata dalla gratuità dell’accesso all’ala del Vittoriano destinata ad ospitare iniziative di varia natura.
Come è noto con circolare n 49 del 23 marzo 2009 il Segretariato generale del Ministero per i beni e le attività culturali ha dotato l’amministrazione di linee guida in materia di attivazione ed affidamento in concessione dei servizi per il pubblico negli istituti di cultura italiani ed è attraverso l’applicazione di tali linee guida che si è stabilito di attribuire al concessionario il compito di reperire le risorse finanziarie per l’allestimento di mostre ed eventi nell’ala del complesso museale in questione, atteso che diversamente operando l’utile ritraibile dal gestore non avrebbe potuto coprire l’onere per l’allestimento di tali attività. La difesa dell’amministrazione procedente segnala che, “per la determinazione del quantum delle risorse che il futuro concessionario deve dimostrare di avere raccolto nel triennio considerato (2009-2011), si è preso in considerazione l’unico dato avente attinenza allo specifico museo considerato (e pertanto l’unico parametro oggettivo, stimabile e misurabile) ossia il dato concernente il fund raising conseguito dall’attuale gestore nel medesimo triennio” (così, testualmente, a pag. 21 della memoria difensiva).
Orbene tale chiarimento è utile a giustificare e ad attribuire ragionevolezza all’importo complessivo di 5 milioni di euro nel triennio di riferimento, ma non costituisce idoneo strumento per confermare logicità alla prescrizione secondo la quale il concorrente avrebbe dovuto dimostrare tale capacità in base a pregresse esperienze sviluppate esclusivamente con enti pubblici nazionali.
14. - Non pare superfluo sottolineare che il nostro Paese raccoglie una notevole capacità di offerta storica ed artistica spalmata su un numerosissimo novero di luoghi di interesse storico, artistico e culturale che non sempre è gestita da enti pubblici nazionali, ma sempre più spesso da realtà amministrative locali e regionali caratterizzate da una notevole capacità di attrazione e quindi di richiamo d’utenza. La scarsezza delle risorse pubbliche messe a disposizione dei soggetti pubblici gestori dei tesori storico-artistici italiani è nota a tutti e quindi le operazioni di raccolta di fondi si sviluppano naturalmente su tutto il territorio nazionale con una capacità ed un portato economico che non è agevole considerare in via preventiva.
Senza volersi addentrare nella questione specifica, non essendo questo l’obiettivo dello scrutinio del Collegio, ma al fine di delineare meglio i contorni della questione oggetto della censura dedotta dalle società ricorrenti e qui in esame, vale la pena di rilevare come il fund raising, ovvero l’attività di raccolta di fondi e di incentivi economici, ha assunto un ruolo sempre più rilevante nella c.d. economia sostenibile dei singoli Paesi, soprattutto da quanto è in atto un periodo di seria crisi che ha investito la maggior parte della popolazione mondiale e degli Stati del globo. Infatti, fino ad oggi il fund raising è stato inteso per lo più come correttivo dell'economia pubblica e del mercato laddove questi sistemi non erano in grado di coprire tutte le esigenze di benessere di una comunità garantendo equità. Ora il quadro, a parere degli esperti, è radicalmente cambiato: ad essere in gioco è la sostenibilità di tutto il sistema di welfare e il fund raising è chiamato ad assumere un ruolo di assoluto rilievo in una economia pubblica non può più solo basarsi sul prelievo fiscale ma anche, se non soprattutto, su scambi volontari e investimenti sociali.
In siffatto quadro non si presenta ragionevole predisporre una clausola partecipativa che ancori per ciascun aspirante concessionario la dimostrazione di un elevatissimo fatturato idoneo a comprovare una spiccata capacità alla raccolta di fondi per iniziative culturali, mostre, eventi e per la realizzazione di ogni altro progetto sviluppabile in un’area museale o monumentale conseguito nel triennio 2009-2011 solo per attività dedicate ad enti pubblici nazionali, perdendo di vista la possibilità che il medesimo requisito ben possa essere dimostrato anche in seguito ad attività svolte in favore di enti regionali e locali ovvero ancora di istituzioni private, atteso che la stessa stazione appaltante ammette di non avere specifici punti di riferimento rispetto a tale requisito se non “il fund raising conseguito dall’attuale gestore nel medesimo triennio”, il quale inevitabilmente, essendo stato il gestore del complesso monumentale del Vittoriano non poteva non aver realizzato quel fatturato che per un ente pubblico nazionale.
Sotto tale profilo, quindi, anche il secondo profilo di censura avente quale bersaglio il Punto 5 del disciplinare, segnatamente la clausola recata dalla lettera c) si presenta (parzialmente, attesa la non irragionevolezza del tetto di importo pari a 5 milioni di euro) fondata.
15. – Il terzo profilo di censura concentrato sul Punto 5 del disciplinare attiene alla prescrizione indicata nella lettera d), rispetto alla quale viene dalle società ricorrenti contestata la determinazione della soglia dei 2.300.000 euro fissata per la dimostrazione del requisito per la gestione del servizio di caffetteria.
L’Avvocatura generale giudica pretestuoso detto motivo di censura, atteso che la soglia è stata definita in base al volume di introiti conseguiti nel triennio di riferimento dall’attuale gestore per lo svolgimento del servizio di caffetteria, di talché il metodo di definizione del fatturato da comprovare a cura degli aspiranti concessionari, per siffatta tipologia di servizio, si presenta all’evidenza logico e proporzionato rispetto al servizio che sarà espletato dal nuovo concessionario, tenuto anche conto dei considerevoli flussi di persone che frequentano il locale caffetteria per una attività che, nel corso del solo 2011, ha comportato la produzione di 152.383 scontrini di pagamento.
Con riguardo a tale profilo di censura il Collegio non rileva quella sproporzione che è contestata dalla società ricorrenti, ponendosi in termini di dimostrabile verosimiglianza l’importo indicato nella clausola della lex specialis di gara in contestazione in relazione ai fatturati annui conseguiti dal servizio di caffetteria del Vittoriano, che impongono quindi che l’aspirante concessionario sia in grado di poter gestire una inconsueta richiesta per un flusso di ospiti ed utenti non frequente per tale tipo di servizio, rispetto agli altri che vengono normalmente gestiti in concomitanza con le attività che accompagnano lo sfruttamento delle aree museali.
La censura dunque non coglie nel segno.
16. – Il quarto ed ultimo profilo di illegittimità descritto nel primo motivo di ricorso dalle società ricorrenti attiene al Punto 6 del disciplinare.
Le ricorrenti sostengono irragionevole che per il rilascio della concessione in questione l’aspirante concorrente dovrebbe dimostrare “di avere svolto servizi di progettazione, organizzazione e realizzazione di eventi culturali e mostre durante il triennio di riferimento, in Italia e/o all’estero per almeno 10 (dieci) Pubbliche Amministrazioni diverse”, impedendo quindi la partecipazione, ad esempio, ad operatori economici che pur potendo vantare una significativa esperienza di alto profilo professionale maturata per siti museali rilevanti non può parimenti dimostrare la richiesta diversificazione soggettiva dell’ente di riferimento perché ha operato esclusivamente, seppur in numerose occasioni, per il Ministero dei beni culturali.
La difesa erariale sulla questione per un verso si appella al potere discrezionale della stazione appaltante di fissare le regole di gara l’amministrazione e sotto altro profilo specifica che l’amministrazione procedente, con la ridetta prescrizione, ha cercato soltanto di pretendere la dimostrazione del possesso di quei requisiti volti ad individuare un concessionario in grado di eseguire esattamente l’incarico da affidarsi, garantendo quella capacità ed esperienza che, avendo oggetto il servizio un monumento unico quale è il Vittoriano, non possono essere collocati ad un livello non soddisfacente ed impongono che l’alto profilo dell’aspirante concessionario sia puntualmente dimostrato con riferimento alle esperienze pregresse che ne hanno caratterizzato il percorso professionale.
Come è avvenuto per i primi due profili di censura mossi con il primo motivo di ricorso dalle società ricorrenti e relativi al Punto 5, lett. b) e c) del disciplinare, anche in questo caso le pur pregevoli chiarificazioni della difesa erariale non sono idonee a giustificare il rispetto del principio della non irragionevole limitazione degli aspiranti concorrenti a partecipare ad una selezione che, anche in questo caso appare essere stato violato dalla prescrizione di gara.
Infatti non appare adeguatamente supportata da elementi di motivazione la scelta, operata dalla stazione appaltante, di definire un numero minimo pari a dieci con riferimento ai soggetti pubblici, peraltro tutti diversi, in Italia e all’estero, in favore dei quali ciascun concorrente dovrebbe dimostrare di avere svolto servizi di progettazione, organizzazione e realizzazione di eventi culturali e mostre durante il triennio di riferimento.
Ancora una volta torna il tema della limitazione soggettiva di riferimento con riguardo alla destinazione dell’attività oggetto del profilo di qualificazione richiesto ai concorrenti, ma mentre nel caso esaminato con riferimento al Punto 5 lett. b) si pretendeva di avere conseguito il fatturato richiesto nel triennio di riferimento con un “unico marchio”, in questo caso si impone la dimostrazione del fatturato conseguito con almeno dieci pubbliche amministrazioni diverse.
Seppure, per come si è appena segnalato, con profili concreti opposti, la clausola manifesta una evidente irragionevolezza e disparità di trattamento perché non tiene conto della circostanza che un qualificato concorrente ben potrebbe avere svolto servizi similari dimostrando una diversificazione dei destinatari pubblici dell’attività realizzata, non raggiungendo tuttavia “quota dieci”. Nello stesso tempo non è chiarito per quale ragione tale quota sia significativa della qualità indiscussa dell’aspirante concessionario, ovvero non lo sia una quota inferiore accompagnata dal rilievo specifico del tipo di servizio svolto e per un portanti pubbliche amministrazioni anche estere. In tal caso sarebbe arduo sostenere che il concorrente non sia in grado di comprovare il possesso di messi economico-professionali, di esperienza specifica sul campo e di know-how utile a tranquillizzare l’amministrazione procedente circa le indiscusse capacità dell’aspirante futuro gestore.
Ad avviso del Collegio, quindi, anche il qui esaminato profilo di censura può trovare accoglimento.
17. – Con il secondo motivo principale di impugnazione le società ricorrenti contestano la legittimità dell’apposizione della c.d. clausola sociale nel disciplinare.
Esse sostengono che la formulazione di una siffatta clausola nel ridetto disciplinare, per effetto della quale gli aspiranti concessionari debbono impegnarsi formalmente a garantire la continuità dei rapporti di lavoro in essere, produce una inevitabile indeterminatezza del valore dell’affidamento, non rendendo noto il numero del personale impiegato ed incidendo seriamente anche sulla attendibilità del valore attribuito dalla lex specialis di gara alla intera concessione, pari ad euro 16.600.068,27, senza che sia stato reso possibile agli aspiranti concessionari di redigere adeguatamente l’offerta.
L’imposizione della ridetta clausola viola, poi e sotto altro profilo patologico, il principio dell’autonomia contrattuale, disponendo unilateralmente l’imposizione di un vincolo a contrarre in danno del concorrente che prevarrà nella selezione, concretizzando un ostacolo alla concorrenza “disincentivando la partecipazione alle gare ad esclusivo vantaggio del gestore uscente” (così, testualmente, a pag. 13 del ricorso introduttivo). Inoltre detta clausola si presenta affetta da nullità per indeterminatezza, in quanto non sono specificati i contenuti dell’impegno che dovrà essere assunto dal nuovo concessionario nei confronti dei lavoratori già impiegati con quello precedente, non emergendo dal disciplinare il numero dei lavoratori occupati, la natura del rapporto di lavoro intercorrente con ciascun prestatore, le qualifiche e le mansioni degli addetti nonché il contratto collettivo applicato.
Come è noto e come è stato ben riassunto dall’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nella già citata deliberazione n. 10 del 2013:
- la "clausola sociale" (detta anche "di protezione" o di "salvaguardia sociale") corrisponde, con riferimento alle procedure per l’affidamento di concessioni per servizi museali, ad un protocollo di intesa trilaterale, sottoscritto il 10 dicembre 2010 fra il Ministero per i beni e le attività culturali e le principali Organizzazioni sindacali, in base al quale "in caso di subentro di un imprenditore ad un altro nella titolarità di una concessione di servizi al pubblico nei luoghi di cultura statali, il subentrante si obbliga a garantire la continuità dei rapporti di lavoro in essere al momento del subentro, con esclusione di ulteriori periodi di prova (…) ferma restando la facoltà di armonizzare l'organizzazione del lavoro, previo confronto sindacale, con le proposte e le esigenze dell'impresa subentrante";
- a sostegno della legittimità di tale clausola si può richiamare l’art. 41 Cost. che, come è noto, ammette limiti alla libertà di iniziativa economica per "fini sociali" nonché la lettura che se ne trae per effetto della pronuncia della Corte Costituzionale n. 68 del 3 marzo 2011 (che, in un diverso e non conforme contesto, richiama comunque l'avvenuto inserimento di tale clausola nella contrattazione collettiva e in diverse disposizioni legislative statali) nonché numerose pronunce giudiziali a livello sia nazionale che comunitario;
- si oppone alla legittimità della specifica clausola apposta alla tipologia di bandi nella cui categoria rientra quello qui in esame la considerazione che il sopra richiamato protocollo di intesa non costituisce fonte idonea a sostituirsi alla contrattazione collettiva, né acquisisce in altro modo carattere vincolante, proprio per l’assenza di una specifica disposizione legislativa.
Prosegue l’avviso interpretativo dell’Autorità riferendo che la clausola sociale, oltre ad armonizzarsi con le finalità di interesse collettivo, riconosciute come limite per la libertà di iniziativa economica privata, trova riscontro anche nell'art. 2, comma 2, del Codice dei contratti pubblici, che subordina il principio di economicità - nel rispetto delle norme vigenti - "ai criteri (...) ispirati a esigenze sociali (...)", non senza ampia sponda anche a livello comunitario (direttiva 14 febbraio 1977, 77/187/CEE e pronunce della Corte di Giustizia, 7.3.1996, cause C171/94 e C172/94; 11.3.1997, causa C13/95; 26.9.2000, causa C175/99; 14.9.2000, causa C343/98). A livello normativo primario nazionale, le esigenze di conservazione del posto di lavoro, in caso di trasferimento di azienda, sono recepite dall’art. 2112 c.c., la cui applicabilità è stata estesa dalla giurisprudenza ai casi in cui il trasferimento derivi non da un contratto fra cedente e cessionario, ma da un atto autoritativo della pubblica amministrazione, purché vi sia cessione di beni fra le due imprese. La non coincidente situazione, rilevata nel caso di specie dalle società appellate (con particolare riguardo al non avvenuto trasferimento di beni), non incide sull'astratta legittimità della clausola, voluta dall'amministrazione in ottemperanza all'intesa intervenuta con le organizzazioni sindacali: nella situazione in esame non si tratta infatti di riconoscere un diritto - in ogni caso rivendicabile - dei lavoratori dipendenti del concessionario in scadenza alla continuità del rapporto di lavoro col nuovo concessionario, ma dell'impegno richiesto a quest'ultimo di assicurare tale continuità.
Conclude dunque l’Autorità affermando che di per sé l’apposizione di una siffatta clausola, per le ragioni sopra segnalate, non assumerebbe veste patologica.
Specifica infine l’Autorità, con affermazione condivisa dal Collegio, che nessun profilo patologico riveste neppure l’apposizione della clausola nella lex specialis di gara, sempreché essa abbia veste non di requisito di partecipazione, ma quale “modalità di esecuzione del servizio: modalità indicata in tempo utile - in via integrativa del bando - affinché le imprese” possano “valutare, senza alcuna lesione della "par condicio", la convenienza dell'offerta da presentare”.
Conseguentemente il motivo di ricorso proposto dalle società ricorrenti ed avente ad oggetto la illegittimità dell’apposizione nella lex specialis di una c.d. clausola sociale non coglie nel segno.
18. – Parimenti il Collegio ritiene che non colgano nel segno le ulteriori censure prospettate dalle ricorrenti e riferite alla eccessiva e sproporzionata valenza attribuita all’apporto qualitativo che i concorrenti possono dimostrare nell’offerta rispetto a quello puramente economico, posto che la legittimità di tale scelta, che ha condotto la stazione appaltante ad attribuire ben 75 punti per gli elementi qualitativi dell’offerta e solo 25 punti per quelli di natura economica, si percepisce nella sua con divisibilità se solo si tengano in considerazione le variegate e peculiari tipologie di servizi da proporre per la concessione e, soprattutto, la rilevanza assoluta del luogo ove detti servizi dovranno svilupparsi.
Neppure possono condividersi quelle doglianze attraverso le quali si contesta una limitata capacità informativa dell’amministrazione procedente che avrebbe impedito una chiara e completa verifica dei luoghi ove i servizi dovranno svilupparsi, al fine di poter redigere delle offerte consapevolmente orientate, tenuto conto che dalla documentazione prodotta tale deficit della disponibilità cognitiva messa a disposizione degli aspiranti concessionari non si rileva con quel livello di assertività dimostrativa che invece accompagna le prospettazioni di parte ricorrente.
19. – In ragione delle suesposte considerazioni, respinte le eccezione preliminari sollevate dalla parte resistente, il ricorso va accolto nei limiti e nei termini descritti in motivazione, con conseguente annullamento dell’atto impugnato.
Per la peculiarità della questione il Collegio stima che sussistano i presupposti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c. novellato, per come richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a., per compensare integralmente tra le parti costituite le spese di lite ordinando, nel contempo, come per legge la restituzione del contributo unificato versato dalle ricorrenti a carico dell’amministrazione soccombente.

P.Q.M.
pronunciando in via definitiva sul ricorso indicato in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.
Spese compensate con restituzione dell’importo per contributo unificato versato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 17 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:
Angelo Scafuri, Presidente
Pietro Morabito, Consigliere
Stefano Toschei, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18/06/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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