APPALTI:
le concessioni di servizi
devono rispettare l'evidenza pubblica c.d. "minore"
(T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-"quater",
sentenza 18 giugno 2013 n. 6094)
Sentenza interessante del T.A.R. Lazio, perché pur ribadendo il principio consolidato secondo cui le concessioni di servizi sono sottoposto alla c.d. "evidenza minore", cioè a procedure selettive ispirate al diritto comunitario declinato secondo i principi di imparzialità, trasparenza, etc., e non alla c.d. "evidenza maggiore" degli appalti (il Codice unifica in unico testo due distinte discipline, andando oltre le due note direttive appalti 17/2004 e 18/2004), giunge, in base a diverse argomentazioni, quasi ad equiparare le due "evidenze"...
Buona lettura!
Massima
1. Anche per la concessione di un servizio, trovano piena applicazione sia i principi che derivano dal Trattato dell’Unione europea che le disposizioni del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici) che ne costituiscono il precipitato normativo del nostro ordinamento giuridico in materia di affidamento di commesse pubbliche.
Tale regola è stata codificata nell'articolo 30, co. 3, del D.Lgs. n. 163/06 il quale, recependo gli orientamenti espressi dalla Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario del 12 aprile 2000, prevede al comma 3 che "La scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all’oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi”.
Sulla base di tali principi, è pacifico, dunque, che la scelta del concessionario debba essere conseguente ad una procedura competitiva e concorrenziale ispirata ai principi dettati dal Trattato istitutivo e non a caso l'art. 2, comma 1, del Codice dei contratti pubblici prevede che l'affidamento e l'esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza e che l'affidamento deve altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, proporzionalità, nonché quello di pubblicità con le modalità indicate nello stesso Codice.
2. In tale solco dispositivo, per effetto del quale anche la disciplina delle procedure per l’affidamento di concessioni di servizi deve essere conforme ai principi che regolamentano in tutta l’Unione europea l’assegnazione di commesse pubbliche, si inseriscono con portata indubitabilmente applicativa ad ogni figura di affidamento, indipendentemente dall’oggetto, le disposizioni recate dall’art. 64, comma 4-bis e dall’art. 74, comma 5, del Codice.
Per effetto delle due disposizioni richiamate si può sinteticamente affermare che:
a) differentemente rispetto alle disposizioni che regolavano nel passato le procedure di gara, l’ambito di discrezionalità della stazione appaltante nel redigere la disciplina della selezione, un tempo estremamente ampio, si è oggi molto ridotto, tanto da prevedersi (nella formulazione dell’art. 64, comma 4-bis, del Codice, introdotto dal d.l. n. 70/2011) la predisposizioni di “bandi-tipo” a cura dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (ad oggi non ancora realizzati) che dovrebbero costituire lo schema della lex specialis che ciascuna stazione appaltante deve fare proprio, tranne nel caso in cui intenda introdurre delle deroghe;
b) tali deroghe, tuttavia, debbono essere espressamente e puntualmente motivate e debbono essere rese note fin dalla predisposizione ed adozione della delibera a contrarre;
c) qualora dette deroghe impongano ai partecipanti la dimostrazione del possesso di “elementi (…) necessari o utili”, tali prescrizioni della lex specialis di gara – a mente dell’art. 74, comma 5, del Codice – potranno considerarsi legittimamente imposte solo se nella motivazione sia stata offerta la dimostrazione di un puntuale collegamento tra la ragione che ha dato luogo all’inserimento nel bando della prescrizione più gravosa e la necessità di pretenderla per ottenere l’effettiva realizzazione dell’obiettivo che l’amministrazione procedente intende conseguire con il contratto, nel rispetto del principio di proporzionalità;
d) il che equivale a dire che la legittimità della clausola che pretende la dimostrazione del possesso di requisiti specifici e più gravosi, rispetto allo standard di settore, a carico dei soggetti concorrenti è condizionata non solo dalla motivazione delle ragioni che ne determinano (o che ne consigliano) la imposizione agli aspiranti concorrenti ma, soprattutto, dalla prova della necessità tecnica di un siffatto aggravio in quanto strettamente collegata “all’oggetto del contratto e alle finalità dell’offerta”;
e) ancor più nello specifico si potrebbe dire che, per effetto delle disposizioni più sopra riprodotte, la clausola che aggrava la partecipazione degli aspiranti concorrenti, determinando naturalmente una preliminare scrematura di costoro, può considerarsi legittima solo se venga data specifica e puntuale dimostrazione, espressamente fin dalla determina a contrarre, che lo svolgimento del tipo di servizio che costituisce l’oggetto della concessione imponga il possesso di tali requisiti specifici, in mancanza dei quali l’esecuzione delle attività declinate nel contratto (e, prima ancora, nel capitolato) perderebbe di interesse per l’amministrazione procedente svilendo significativamente tanto da rendere inutile lo stesso affidamento.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per
il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2248 del 2013,
proposto da:
GELMAR S.r.l., IL CIGNO GALILEO GALILEI EDIZIONI DI ARTE E SCIENZA S.r.l.,
D’UVA WPRKSHOP S.r.l. e PRISMI EDITRICE POLITECNICA NAPOLI S.r.l., in persona
dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, tutte rappresentate e difese
dall’avv. Marcello Cardi, presso il cui Studio sono elettivamente domiciliate
in Roma, Viale Bruno Buozzi, n. 51;
contro
il MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI, in
persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, presso la cui sede domicilia per legge in Roma, Via dei
Portoghesi, n. 12;
per l'annullamento, previa sospensione
dell’efficacia
del bando di gara, del disciplinare di gara e degli
atti connessi della procedura aperta per l’affidamento in concessione dei
servizi al pubblico nel complesso monumentale del “Vittoriano”.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista la costituzione dell’amministrazione intimata
nonché i documenti da queste prodotti;
Esaminate le ulteriori memorie con i documenti
prodotti;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 aprile
2013 il dott. Stefano Toschei e uditi per le parti i difensori come specificato
nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Le Società Gelmar, Prismi, D’Uva Workshop e Il
Cigno Galileo Edizioni di Arte e Scienza, che premettono di avere “maturato da
tempo nel settore dei servizi per i beni culturali una significativa esperienza
nella gestione dei servizi di accoglienza e ospitalità all’interno di alcuni
dei più importanti musei e luoghi d’arte nazionali” (così, testualmente, a pag.
2 del ricorso introduttivo), impugnano il bando di gara e gli atti ad esso
connessi, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale 30 gennaio 2013, con il quale si
è indetta una procedura aperta, da aggiudicarsi mediante offerta economicamente
più vantaggiosa, per l’affidamento in concessione di alcuni servizi da
svolgersi presso il complesso monumentale del Vittoriano in Roma.
Nello specifico i servizi in questione, per come
espressamente indicati nel suddetto bando, consistono nei seguenti: “Merketing,
pianificazione fund raising, pianificazione attività culturale e comunicazione,
accoglienza, informazione, orientamento e vigilanza delle aree di competenza,
realizzazione servizio di noleggio audio guide e whisper, visite guidate,
progettazione, organizzazione e realizzazione eventi e mostre per gli eventi
culturali organizzati assistenza didattica elaboratori didattici, progettazione
e gestione sito internet, progettazione e realizzazione materiale editoriale,
progettazione e realizzazione oggettistica, realizzazione servizio vendita
materiale editoriale ed oggettistica, biglietteria e controllo accessi
ascensori panoramici, servizio di caffetteria”. Altri elementi della
concessione da affidarsi, per come indicati dal bando e dall’annesso
disciplinare, sono il valore stimato, pari ad euro 16.600.068,27 e, in
particolare, i requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico
professionale così definiti nel disciplinare (limitatamente per quel che
interessa la presente controversia), come segue.
Anzitutto la dimostrazione del possesso di un
fatturato globale d’impresa riferito agli esercizi finanziari 2009-2010-1011
pari ad almeno euro 18.000.000,00, IVA esclusa, da intendersi quale cifra
complessiva del triennio o nel minore periodo di attività (Punto 4 del
disciplinare).
In secondo luogo (Punto 5 del disciplinare) la
dimostrazione del possesso di un fatturato specifico relativo agli stessi
esercizi di cui sopra, sempre da intendersi quale cifra complessiva del
triennio o nel minore periodo di attività dell’impresa per servizi analoghi
all’oggetto della gara, considerando ciascun importo IVA esclusa, “non
inferiori a:
a) Servizi di Accoglienza, informazione, orientamento,
vigilanza delle aree di competenza, Biglietteria e controllo accessi Ascensori
panoramici. Il candidato deve dimostrare di aver svolto servizi di accoglienza,
informazione, orientamento, vigilanza, Biglietteria e controllo accessi il cui
fatturato complessivo per ciascun sito sia non inferiore a € 5.000.000,00
(cinquemilioni/00).
b) Servizi di Vendita prodotti editoriali e
oggettistica. Il candidato deve dimostrare di essere esercente (non sono
considerati i punti vendita per i quali non si risulta più esercenti al momento
della presentazione dell’offerta) di prodotti editoriali relativi a tematiche
culturali e/o oggettistica ispirata a tematiche culturali e/o merchandising
museale sotto un unico marchio, in maniera continuativa e durante il triennio
di riferimento, il cui fatturato lordo complessivo non sia inferiore a €
460.000,00 (quattrocentosessantamila/00).
c) Servizi di Progettazione, Organizzazione e
Realizzazione eventi e mostre. Il candidato deve dimostrare di aver raccolto,
attraverso sponsorizzazioni e altre attività di fund raising, per
l’organizzazione e la realizzazione di mostre, durante il triennio di
riferimento, da investitori istituzionali, Enti pubblici nazionali, Università
o imprese ovvero in partenariato con strutture nazionali o internazionali, un
importo complessivo non inferiore a € 5.000.000,00 (cinquemilioni/00).
d) Servizi di Caffetteria. Il candidato deve
dimostrare di aver svolto servizi di caffetteria, in maniera continuativa e
durante il triennio di riferimento, il cui fatturato non sia inferiore a €
2.300.000,00 (duemilionitrecentomila/00)” (così, testualmente, a pag. 6 del
disciplinare di gara).
Il disciplinare, infine, richiede a ciascun aspirante
concorrente la dimostrazione di avere svolto servizi di progettazione,
organizzazione e realizzazione di eventi culturali e mostre, sempre nel
triennio sopra richiamato, in Italia e/o all’estero in favore di almeno dieci
Pubbliche amministrazioni diverse. A tale scopo, al Punto 6 del disciplinare, è
richiesto a ciascun aspirante concorrente di produrre l’elenco “dei principali
servizi svolti nel triennio 2010-2011-2012, analoghi alle categorie dei servizi
oggetto di gara con l’indicazione delle date e dei destinatari, pubblici e privati”
(così, testualmente, sempre a pag. 6 del disciplinare di gara).
2. – Insorgono le ricorrenti sostenendo
l’illegittimità del bando che, per come formulato, tende a contrarre
irragionevolmente il numero degli aspiranti concorrenti, per effetto degli immotivati
stringenti requisiti prescritti per la partecipazione alla selezione.
In particolare le ricorrenti deducono i seguenti
motivi di gravame:
1) Violazione degli artt. 30, 41 e 42 del decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163 – Violazione dei principi di buon andamento
della pubblica amministrazione, proporzionalità, par condicio e
concorrenzialità – Eccesso di potere per perplessità, illogicità, sviamento, in
quanto i requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-professionale
che è chiesto agli aspiranti concorrenti di possedere appaiono illogici e
comunque violativi dei principi di parità di trattamento, mutuo riconoscimento
e concorrenza. Nello specifico il requisito richiesto al Punto 5 lett. b) del
bando, per effetto del quale il candidato è chiamato a dimostrare di essere
“attualmente” esercente, visto che non possono considerarsi utili alla
dimostrazione del requisito i punti vendita per i quali non si è più esercenti
al momento della presentazione dell’offerta, di prodotti editoriali relativi a
tematiche culturali e/o oggettistica ispirata a tematiche culturali e/o
merchandising museale sotto “un unico marchio”, con svolgimento in maniera
continuativa durante il solito triennio di riferimento e per un fatturato lordo
complessivo non inferiore ad euro 460.000,00. Ulteriore violazione dei principi
di proporzionalità e concorrenzialità si evidenzia con riferimento al requisito
di cui al Punto 5 lett. c) del bando, vale a dire “Servizi di Progettazione,
Organizzazione e Realizzazione eventi e mostre”, in quanto non essendo mai
stata prevista, nei casi in cui il Ministero ha in precedenza proceduto al
rilascio della concessione per i servizi museali, una tale tipologia di
servizio diviene arduo formulare una offerta non essendovi un mercato di
riferimento, tanto più che è richiesta la dimostrazione di un fatturato nel
solito triennio di riferimento pari all’ingente cifra di 5 milioni di euro. Sul
punto le ricorrenti segnalano come in precedenti occasioni ai partecipanti alle
selezioni per il rilascio di concessioni per lo svolgimento di servizi museali
veniva richiesta la disponibilità a procedere a future sponsorizzazioni,
valutandosi tale capacità, ma non era chiesto di dimostrare analiticamente le
precedenti esperienze in argomento e soprattutto per un così elevato importo. A
ciò si aggiunga che il bando pretenderebbe la dimostrazione di avere raccolto
sponsorizzazioni e altre attività di fund raising, per l’organizzazione e la
realizzazione di mostre con riferimento, nell’ambito della Pubblica
amministrazione, ad “Enti pubblici nazionali, Università”, rendendo superfluo,
irragionevolmente, che tale requisito possa essere dimostrato con riferimento
ad altri enti quali quelli regionali e locali, ad esempio; oltre al fatto che
la dimostrazione del requisito viene richiesta in modo contraddittorio
facendosi, nel titolo del Punto 5, lett. c), riferimento alla “Progettazione,
Organizzazione e Realizzazione eventi e mostre” e non all’attività di
“sponsorizzazione”, come invece pare richiesto nella spiegazione della
tipologia del requisito richiesto. Parimenti sproporzionata appare essere la
pretesa di dover dimostrare il possesso del requisito indicato al Punto 5,
lett. d), vale a dire per i “Servizi di Caffetteria”, rispetto al quale è
richiesta la comprova “di aver svolto servizi di caffetteria, in maniera
continuativa e durante il triennio di riferimento, il cui fatturato non sia
inferiore a € 2.300.000,00”, tenuto conto di quanto è stato richiesto in
analoghe occasioni con riferimento al rilascio di concessioni per servizi
museali in “poli” di particolare rilievo. Infine, nel novero delle prescrizioni
della lex specialis di gara che si presentano sproporzionate rispetto alle
ordinarie selezioni per il rilascio di concessioni analoghe ricade anche quella
indicata al Punto 6 del disciplinare, in virtù della quale l’aspirante
concorrente dovrebbe dimostrare “di avere svolto servizi di progettazione,
organizzazione e realizzazione di eventi culturali e mostre durante il triennio
di riferimento, in Italia e/o all’estero. per almeno 10 (dieci) Pubbliche
Amministrazioni diverse”, impedendo quindi la partecipazione, ad esempio, ad
operatori economici che pur potendo vantare una significativa esperienza di
alto profilo professionale maturata per siti museali rilevanti non può
parimenti dimostrare la richiesta diversificazione soggettiva dell’ente di
riferimento perché ha operato esclusivamente, seppur in numerose occasioni, per
il Ministero dei beni culturali;
2) Violazione dei principi di buon andamento della pubblica
amministrazione – Eccesso di potere per perplessità, illogicità, sviamento,
atteso che le prescrizioni di gara manifestano una rilevante incongruenza
laddove “il requisito del fatturato globale è stabilito con riguardo al
triennio 2009-2011, mentre i requisiti di carattere economico finanziario, sono
richiesti con riferimento al diverso triennio 2010-2012” (così, testualmente, a
pag. 11 del ricorso introduttivo). Inoltre al Punto 5, lett. a) del
disciplinare si richiede che l’aspirante candidato abbia svolto servizi di
accoglienza, informazione, orientamento, vigilanza, biglietteria e controllo
accessi per un fatturato complessivo per ciascun sito non inferiore a 5 milioni
di euro, senza però specificare il numero dei siti di riferimento; creando ulteriori
perplessità la circostanza che lo stesso disciplinare per alcune attività fa
riferimento al numero degli enti in cui favore è stato svolto il servizio,
mentre in altri casi il riferimento è ai siti museali. Sfugge poi alla
chiarezza di chi deve confezionare l’offerta il riferimento recato dal
disciplinare all’attività di controllo degli accessi, che in alcuni punti del
disciplinare medesimo viene specificata in relazione all’accesso agli ascensori
panoramici del Vittoriano, mentre in altri casi è semplicemente richiesto di
dimostrare che in precedenti occasioni si è curato il controllo di “accessi”,
non più ascensoristici. Ancora. Il disciplinare richiede di descrivere i
singoli servizi dell’offerta da presentarsi e la coerenza con gli obiettivi dell’amministrazione,
ma detti obiettivi non sono specificati nel ridetto disciplinare. Affiorano poi
ulteriori incongruenze, ad esempio nella parte del disciplinare che si occupa
della costruzione dell’offerta tecnica dove compare la richiesta di svolgere ulteriori
servizi quali la pulizia dei bagni e la vigilanza, ignoti in altre occasioni
selettive;
3) Violazione degli artt. 29, 30, 41 e 42 del decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163 – Violazione dei principi di buon andamento
della pubblica amministrazione e trasparenza – Eccesso di potere per
perplessità, illogicità, sviamento, dal momento che non è dato di comprendere
dalla lettura della lex specialis di gara la esatta determinazione del valore
dell’affidamento, non rendendo noto alcuni dati essenziali del sito rispetto al
quale si intende rilasciare la concessione, quali il numero dei visitatori, le
modalità di svolgimento delle mostre (che potrebbero svolgersi a pagamento o
esclusivamente con sponsorizzazioni), il personale impiegato, “vista la presenza
nel disciplinare della c.d. clausola sociale che chiede ai partecipanti di
impegnarsi formalmente a garantire la continuità dei rapporti di lavoro in
essere” (così, testualmente, a pag. 13 del ricorso introduttivo). Ne deriva
che, a fronte della evidente carenza di elementi utili al fine di indicare con
la necessaria approssimazione la stima dei flussi di cassa e degli altri
elementi economici del servizio oggetto della concessione, la stazione
appaltante ha quantificato il valore della concessione medesima in euro
16.600.068,27 senza che sia possibile comprendere come l’amministrazione sia
giunta a formulare tale entità economica;
4) Violazione dell’art. 41 della Costituzione e
dell’autonomia contrattuale – Nullità per indeterminatezza – Eccesso di potere
per illogicità, giacché la clausola sociale imposta al punto 2, lett. t) del
disciplinare appare in tutta la sua illegittimità nel momento in cui detta
imposizione viola il principio dell’autonomia contrattuale, disponendo
unilateralmente l’imposizione di un vincolo a contrarre in danno del
concorrente che avrebbe prevalso nella selezione e, quindi, ottenuto il
rilascio della concessione, concretizzando un ostacolo alla concorrenza
“disincentivando la partecipazione alle gare ad esclusivo vantaggio del gestore
uscente” (così, testualmente, a pag. 13 del ricorso introduttivo). Inoltre
detta clausola si presenta affetta da nullità per indeterminatezza, in quanto
non sono specificati i contenuti dell’impegno che dovrà essere assunto dal
nuovo concessionario nei confronti dei lavoratori già impiegati con quello
precedente, non emergendo dal disciplinare il numero dei lavoratori occupati,
la natura del rapporto di lavoro intercorrente con ciascun prestatore, le
qualifiche e le mansioni degli addetti nonché il contratto collettivo
applicato;
5) Violazione dell’art. 30 del decreto legislativo 12
aprile 2006, n. 163 – Violazione dei principi di buon andamento della pubblica
amministrazione, trasparenza e imparzialità – Eccesso di potere per
perplessità, illogicità, sviamento, visto che i criteri di valutazione delle
offerte, previsti nella lex specialis di gara, tradiscono un evidente
sbilanciamento verso la valutazione dell’offerta tecnica, rendendo
sostanzialmente irrilevante l’offerta economica. Sui 100 punti di valutazione
complessiva, infatti, solo 25 sono destinati alla valutazione dell’offerta
economica e dei 75 punti assegnabili all’offerta tecnica la maggior parte di
essi sono riferiti a voci dell’offerta caratterizzati da amplissima
discrezionalità.
Da qui l’illegittimità del bando e del disciplinare di
gara e la richiesta giudiziale di annullamento dello stesso formulato dalle
ricorrenti.
3. – Si è costituita in giudizio l’amministrazione
intimata contestando analiticamente le avverse prospettazioni e chiedendo la
reiezione del gravame attesa la infondatezza dei motivi di censura dedotti.
La difesa erariale, preliminarmente, tiene ad
evidenziare la rilevanza storica ed artistica che riveste il complesso museale
del Vittoriano, che lo pone tra i “monumenti più visitati di Roma”,
caratterizzato dalla “apertura di nuove aree museali, la creazione di eventi
temporanei, la quotidiana frequentazione di turisti e cittadini”, in un
contesto giuridico in virtù del quale “il Monumento non è nell’uso esclusivo
del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, pertinendo, invece, molte
aree di esso al Ministero della Difesa e all’Istituto per il Risorgimento
Italiano, disgiuntamente tra loro” (così, testualmente, a pag. 5 della memoria
di costituzione).
In via pregiudiziale la difesa del Ministero eccepisce
la nullità del ricorso proposto dalla Gelmar in quanto l’atto introduttivo del
giudizio risulta essere sottoscritto da Alessandro Giannelli, in qualità di
legale rappresentante della predetta società, seppure quest’ultima risulta,
all’esito di visure svolte, essere stata posta in liquidazione fin dal 2006 ed
essere amministrata da due liquidatori nessuno dei quali ha sottoscritto il
ricorso. Sempre in via pregiudiziale viene eccepita l’inammissibilità del
ricorso sia perché le ricorrenti propongono il gravame con un unico atto, senza
tuttavia manifestare alcun collegamento agli atti impugnati con riferimento
alla posizione di ciascuna di esse, anche perché le realtà economiche ed
imprenditoriali, rilevanti ai fini della possibilità di partecipare alla
selezione, sono naturalmente differenziate tra le singole ricorrenti, ponendosi
quindi in potenziale conflitto di interessi tra di loro; sia perché le
ricorrenti medesime non hanno presentato domanda di partecipazione alla selezione,
manifestando in tal modo la loro estraneità alla procedura indetta dal
Ministero, rilevandosi peraltro, nei fatti, una non assoluta impossibilità, a
cagione del contenuto della lex specialis sospettata di illegittimità, a
confezionare l’offerta e quindi a partecipare alla gara. D’altronde nessuna
delle società ricorrenti risulta essere in possesso, all’esito di visure
camerali, dei requisiti di partecipazione pretesi dal bando, di talché anche
sotto tale profilo il ricorso risulta essere inammissibile per carenza di
interesse alla proposizione dell’impugnazione. Detta patologia preliminare del
gravame si manifesta anche a cagione della mancata “presa visione dei luoghi”
da parte delle ricorrenti, attività indispensabile per poter predisporre la
domanda e le offerte di partecipazione.
Quanto al merito delle censure dedotte dalle
ricorrenti la difesa erariale significa che:
a) il motivo di ricorso che si appunta sulla pretesa
della lex specialis di gara, recata dal Punto 5 lett. b) del disciplinare, secondo
la quale l’aspirante concorrente deve dimostrare di essere attualmente
esercente di prodotti editoriali relativi a tematiche culturali e/o
oggettistica ispirate a tematiche culturali e/o merchandising museale sotto “un
unico marchio”, portando a riferimento dell’illegittimità della prescrizione
del disciplinare un precedente del TAR Lazio (sent. n. 3217 del 2010), è
genericamente formulato e soprattutto il riferimento al precedente
giurisprudenziale è inappropriato, atteso che in quella sentenza “il TAR non ha
statuito che la previsione del requisito dell’unico marchio è di per sé
illegittima, essendo invece necessario verificare caso per caso che essa
comporti un’irragionevole restrizione della concorrenza, purché la sua
previsione nel bando non presenti un concreto interesse per la Stazione
appaltante” (così, testualmente, a pag. 16 della memoria difensiva). Al
contrario di quanto contestato dalle ricorrenti è invece possibile riscontrare
nelle disposizioni di cui al Punto 5 lett. b) del disciplinare, secondo
l’avviso della difesa erariali, numerose prescrizioni formulate secondo una
prospettiva di favor partecipationis non limitando il requisito del fatturato
triennale pari a 460.000 euro ai soli prodotti editoriali relativi a tematiche
culturali, ma estendendolo alla vendita di oggettistica ispirata a tematiche
culturali e/o merchandising museale nonché escludendo ogni limitazione con
riferimento al numero e alle dimensioni degli esercizi in cui il fatturato si è
realizzato ovvero, ancora, non ponendo vincoli circa la tipologia del luogo in
cui l’attività commerciale sia stata esercitata, ponendo quindi sullo stesso
piano bookshop di musei e luoghi di cultura in genere con ordinari esercizi
commerciali di vendita di prodotti editoriali quali librerie, edicole, negozi
di souvenir, ecc.;
b) quanto alle censure che si appuntano sul requisito
previsto al Punto 5 lett. c) del disciplinare, ad avviso della difesa erariale
aver dettagliato la richiesta della dimostrazione di una pregressa esperienza
nella raccolta di sponsorizzazioni per la realizzazione ed organizzazione di
mostre limitandola ai soli precedenti in cui sia stata svolta a favore,
specificamente, di enti pubblici nazionali costituisce una prescrizione della
lex specialis di gara pienamente giustificata dalle “specificità che
caratterizzano l’ala del Vittoriano in cui si svolgeranno i servizi in
concessione” (così, testualmente, a pag 19 della memoria di costituzione). In
particolare l’Avvocatura sottolinea come l’accesso a detta ala del monumento è gratuito,
come lo è anche l’accesso alle mostre ed alle esposizioni allestite presso il
Vittoriano, di talché gli oneri per la predisposizione e la gestione di dette
iniziative ricadono esclusivamente sul concessionario. Ciò giustifica la
necessità di riscontrare preventivamente negli aspiranti concorrenti una
peculiare capacità a reperire fonti di finanziamento delle dette iniziative
presso soggetti terzi, istituzionali e non, dal contenuto significativo e ciò
giustifica anche l’individuazione di una soglia economica elevata del requisito
in esame pari a non meno di 5 milioni di euro nel triennio 2009-2011; rispetto
a detta soglia il calcolo utile per raggiungere l’indicato importo è ben
dettagliato nel capitolato tecnico e tiene conto sia di quanto emerge nella
circolare n. 49 del 23 marzo 2009 del Ministero dei beni e attività culturali e
successivi aggiornamenti sia dell’esperienza concreta costituita dal fund
raising conseguito dal precedente (o, meglio, attuale) gestore nel medesimo
triennio;
c) analogamente si deve affermare la pretestuosità del
motivo di censura, ad avviso dell’Avvocatura e contrastando il mezzo di gravame
con il quale le ricorrenti censurano la prescrizione contenuta nel Punto 5
lett. d) del disciplinare, dedotto con riferimento alla contestata soglia dei
2.300.000,00 euro fissata per la dimostrazione del requisito per la gestione
della caffetteria. Detto importo è stato ricavato dal volume di introiti
conseguiti nel triennio di riferimento dall’attuale gestore per lo svolgimento
di quel servizio e si presenta con profili di evidente logicità e
proporzionalità rispetto al servizio che sarà espletato dal concessionario,
tenuto anche conto dei considerevoli flussi di persone che frequentano il
locale caffetteria per una attività che, nel corso del solo 2011, ha comportato
la produzione di 152.383 scontrini di pagamento;
d) infine, ad avviso della difesa erariale, anche la
censura che ha come bersaglio il Punto 6 del disciplinare è priva di
fondatezza, in quanto nell’ambito del potere discrezionale di fissare le regole
di gara l’amministrazione ha cercato soltanto di pretendere la dimostrazione
del possesso di quei requisiti volti ad individuare un concessionario in grado
di eseguire esattamente l’incarico da affidarsi, garantendo quella capacità ed
esperienza che, avendo oggetto il servizio un monumento unico quale è il
Vittoriano, non possono essere collocati ad un livello non soddisfacente ed
impongono che l’alto profilo dell’aspirante concessionario sia puntualmente
dimostrato con riferimento alle esperienze pregresse che ne hanno
caratterizzato il percorso professionale.
Le suesposte considerazioni inducono, dunque, la
difesa erariale a chiedere la reiezione del gravame.
4. – Le parti hanno prodotto ulteriori memorie con
documentazione reiterando le già rassegnate conclusioni.
Alla camera di consiglio del 17 aprile 2013 il
Collegio ha trattenuto il ricorso per la decisione nel merito.
5. – Il Collegio si fa carico, anzitutto, di esaminare
la fondatezza delle eccezioni preliminari sollevate dalla difesa erariale.
Ad avviso di quest’ultima il ricorso dovrebbe essere
dichiarato inammissibile in quanto:
- nullo perché esso è stato sottoscritto da Alessandro
Giannelli, in qualità di legale rappresentante della predetta società, seppure
quest’ultima risulta, all’esito di visure svolte, essere stata posta in
liquidazione fin dal 2006 ed essere amministrata da due liquidatori nessuno dei
quali ha sottoscritto il ricorso;
- le ricorrenti propongono il gravame con un unico
atto, senza tuttavia manifestare alcun collegamento agli atti impugnati con
riferimento alla posizione di ciascuna di esse, anche perché le realtà
economiche ed imprenditoriali, rilevanti ai fini della possibilità di
partecipare alla selezione, sono naturalmente differenziate tra le singole
ricorrenti, ponendosi quindi in potenziale conflitto di interessi tra di loro;
- le ricorrenti medesime non hanno presentato domanda
di partecipazione alla selezione, manifestando in tal modo la loro estraneità
alla procedura indetta dal Ministero, rilevandosi peraltro, nei fatti, una non
assoluta impossibilità, a cagione del contenuto della lex specialis sospettata
di illegittimità, a confezionare l’offerta e quindi a partecipare alla gara;
- patologia preliminare del gravame si manifesta anche
la mancata “presa visione dei luoghi” da parte delle ricorrenti, attività
indispensabile per poter predisporre la domanda e le offerte di partecipazione.
Sulla prima eccezione preliminare le ricorrenti hanno
avuto modo di chiarire, nel corso della camera di consiglio svoltasi in data 26
marzo 2013, che la difesa erariale è incorsa in errore nella identificazione
della società ricorrente Gelmar e di ciò è stata offerta prova documentale con
il deposito di una visura camerale nella quale si da conferma che il
sottoscrittore del ricorso, Signor Alessandro Giannelli, è effettivamente
l’amministratore unico della ridetta società ricorrente.
Anche la seconda eccezione preliminare non manifesta
di essere fondata atteso che le ricorrenti operano tutte, seppur con diverse
specificità, nei settori di attività riconducibili alla lex specialis di gara e
quindi esse sono potenzialmente legittimate a parteciparvi e con eguale
interesse, in quanto hanno dimostrato di avere già operato nel settore degli
eventi ed attività culturali, di talché non si riscontra alcuna irritualità
nella proposizione da parte di costoro di un ricorso collettivo, tenuto conto
che le prescrizioni del bando si pongono come ostacolo alla partecipazione di
ciascuna di esse alla selezione.
La terza eccezione, che ha ad oggetto la
inammissibilità della proposizione della impugnazione del bando di gara senza
aver presentato la relativa domanda di partecipazione, non trova riscontro
favorevole nel costante orientamento giurisprudenziale, condiviso dal Collegio,
a mente del quale non può decretarsi la inammissibilità del ricorso nei
confronti di un bando di gara a causa della mancata presentazione della domanda
di partecipazione laddove sia evidente che le clausole del bando siano
assolutamente irragionevoli tali da non consentire una valida formulazione
dell'offerta per essere da esse reso impossibile quel calcolo di convenienza
economica che ogni impresa deve essere in condizione di poter effettuare
all'atto di valutare se partecipare o meno ad una gara pubblica (cfr. Cons.
Stato, Sez. III, 1 febbraio 2012 n. 2911). In altri termini la dichiarazione di
inammissibilità dell’impugnazione di una lex specialis di gara, a causa della
mancata dimostrazione di aver presentato domanda di partecipazione alla
selezione, va effettuata laddove le clausole impugnate non abbiano natura ad
excludendum in quanto si appuntano non sulla impossibilità di partecipare alla
gara, alla quale i ricorrenti sarebbero stati sicuramente ammessi, se in
possesso dei requisiti richiesti, ma sulla ritenuta difficoltà a formulare
un'offerta remunerativa (cfr., in tal senso, Cons. Stato, Ad. pl., 29 gennaio
2001 n. 3); viceversa il ricorso nei confronti del bando è pienamente
ammissibile, indipendentemente dalla dimostrazione di aver partecipato alla
gara, quando l’oggetto della controversia è costituito dalla illegittimità
delle regole della procedura, fissate nel bando, in applicazione delle quali la
domanda di partecipazione, se presentata, avrebbe condotto comunque alla
esclusione dei ricorrenti, ipotesi ultima che corrisponde al caso in esame
(cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 1 aprile 2011 n. 2033).
Anche l’ultima eccezione preliminare sollevata dalla
difesa erariale non può essere condivisa, atteso che il suo oggetto è
intimamente collegato alla prospettazione che pretenderebbe la dichiarazione di
inammissibilità per il ricorso proposto avverso il bando senza la previa
presentazione della domanda di partecipazione. Dunque, anche con riferimento
alla contestazione secondo la quale la mancata presa visione dei luoghi, per
come preteso dal bando, costituirebbe circostanza per effetto della quale
verrebbe meno la legittimazione a ricorrente delle società oggi ricorrenti, il
Collegio ritiene che tale scelta delle società ricorrenti non sia idonea a
dequotare la posizione soggettiva vantata dalle stesse con riferimento alla
impugnabilità del bando, atteso che le clausole di quest’ultimo sono state
gravate in quanto impeditive della possibilità delle società ricorrenti a
partecipare alla selezione.
6. – Superate le questioni preliminari il Collegio può
entrare nelle questioni di merito sviluppate negli atti processuali e relative
alla presente controversia.
Va preliminarmente chiarito che il bando di gara in
questa sede impugnato è relativo ad una procedura di affidamento in concessione
di servizi al pubblico da svolgersi presso un complesso monumentale, nella
specie il Vittoriano in Roma. Ciò non toglie che, pur trattandosi di una
vicenda attinente alla concessione di un servizio, debbano trovare piena
applicazione sia i principi che derivano dal Trattato dell’Unione europea che
le disposizioni del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (recante il
Codice dei contratti pubblici) che ne costituiscono il precipitato normativo
del nostro ordinamento giuridico in materia di affidamento di commesse
pubbliche.
Tale regola è stata codificata nell'articolo 30, comma
3, del Codice dei contratti pubblici il quale, recependo gli orientamenti
espressi dalla Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni
nel diritto comunitario del 12 aprile 2000, prevede al comma 3 che "La scelta
del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal
Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in
particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non
discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità,
previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se
sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all’oggetto della
concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi”.
Sulla base di tali principi, è pacifico, dunque, che
la scelta del concessionario debba essere conseguente ad una procedura
competitiva e concorrenziale ispirata ai principi dettati dal Trattato
istitutivo e non a caso l'art. 2, comma 1, del Codice dei contratti pubblici
prevede che l'affidamento e l'esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e
forniture deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto
dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza e che
l'affidamento deve altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità
di trattamento, non discriminazione, proporzionalità, nonché quello di
pubblicità con le modalità indicate nello stesso Codice.
In tale solco dispositivo, per effetto del quale anche
la disciplina delle procedure per l’affidamento di concessioni di servizi deve
essere conforme ai principi che regolamentano in tutta l’Unione europea
l’assegnazione di commesse pubbliche, si inseriscono con portata
indubitabilmente applicativa ad ogni figura di affidamento, indipendentemente
dall’oggetto, le disposizioni recate dall’art. 64, comma 4-bis e dall’art. 74,
comma 5, del Codice, a mente dei quali:
- (art. 64, comma 4-bis) “I bandi sono predisposti
dalle stazioni appaltanti sulla base di modelli (bandi - tipo) approvati
dall’Autorità, previo parere del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
e sentite le categorie professionali interessate, con l’indicazione delle cause
tassative di esclusione di cui all’articolo 46, comma 1-bis. Le stazioni appaltanti
nella delibera a contrarre motivano espressamente in ordine alle deroghe al
bando – tipo”;
- (art. 74, comma 5,) “Le stazioni appaltanti
richiedono gli elementi essenziali di cui al comma 2, nonché gli altri elementi
e documenti necessari o utili, nel rispetto del principio di proporzionalità in
relazione all’oggetto del contratto e alle finalità dell’offerta”.
Le due appena riprodotte norme del Codice dei
contratti pubblici condensano l’essenza applicativa dei principi comunitari
volti a garantire la massima partecipazione degli aspiranti alle gare pubbliche
(anche per l’attribuzione di concessioni di servizi), di trasparenza, di parità
di concorrenza e di proporzionalità, quali principi che si raccordano
plasticamente con quello costituzionale di cui all’art. 97 della Carta
fondamentale del nostro ordinamento, che impone alle amministrazioni di agire
secondo correttezza ed imparzialità.
Per effetto delle due disposizioni richiamate si può
sinteticamente affermare che:
a) differentemente rispetto alle disposizioni che
regolavano nel passato le procedure di gara, l’ambito di discrezionalità della
stazione appaltante nel redigere la disciplina della selezione, un tempo
estremamente ampio, si è oggi molto ridotto, tanto da prevedersi (nella
formulazione dell’art. 64, comma 4-bis, del Codice, introdotto dal d.l. n.
70/2011) la predisposizioni di “bandi-tipo” a cura dell’Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (ad oggi non
ancora realizzati) che dovrebbero costituire lo schema della lex specialis che
ciascuna stazione appaltante deve fare proprio, tranne nel caso in cui intenda
introdurre delle deroghe;
b) tali deroghe, tuttavia, debbono essere
espressamente e puntualmente motivate e debbono essere rese note fin dalla predisposizione
ed adozione della delibera a contrarre;
c) qualora dette deroghe impongano ai partecipanti la
dimostrazione del possesso di “elementi (…) necessari o utili”, tali
prescrizioni della lex specialis di gara – a mente dell’art. 74, comma 5, del
Codice – potranno considerarsi legittimamente imposte solo se nella motivazione
sia stata offerta la dimostrazione di un puntuale collegamento tra la ragione
che ha dato luogo all’inserimento nel bando della prescrizione più gravosa e la
necessità di pretenderla per ottenere l’effettiva realizzazione dell’obiettivo
che l’amministrazione procedente intende conseguire con il contratto, nel
rispetto del principio di proporzionalità;
d) il che equivale a dire che la legittimità della
clausola che pretende la dimostrazione del possesso di requisiti specifici e
più gravosi, rispetto allo standard di settore, a carico dei soggetti
concorrenti è condizionata non solo dalla motivazione delle ragioni che ne
determinano (o che ne consigliano) la imposizione agli aspiranti concorrenti
ma, soprattutto, dalla prova della necessità tecnica di un siffatto aggravio in
quanto strettamente collegata “all’oggetto del contratto e alle finalità
dell’offerta”;
e) ancor più nello specifico si potrebbe dire che, per
effetto delle disposizioni più sopra riprodotte, la clausola che aggrava la
partecipazione degli aspiranti concorrenti, determinando naturalmente una
preliminare scrematura di costoro, può considerarsi legittima solo se venga
data specifica e puntuale dimostrazione, espressamente fin dalla determina a
contrarre, che lo svolgimento del tipo di servizio che costituisce l’oggetto
della concessione imponga il possesso di tali requisiti specifici, in mancanza
dei quali l’esecuzione delle attività declinate nel contratto (e, prima ancora,
nel capitolato) perderebbe di interesse per l’amministrazione procedente
svilendo significativamente tanto da rendere inutile lo stesso affidamento.
7. – Ad avviso del Collegio merita ancor più
specificare che i principi generali del Trattato europeo valgono comunque anche
per i contratti e le fattispecie diverse da quelle concretamente contemplate;
quali, (oltre alla concessione di servizi) gli appalti sottosoglia e i
contratti diversi dagli appalti tali da suscitare l'interesse concorrenziale
delle imprese e dei professionisti ed in tal senso si è espressa anche
l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella decisione 3 marzo 2008 n. 1.
E appunto sul piano delle norme e dei principi
comunitari va detto che in base alla comunicazione della Commissione europea
del 12 aprile 2000, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. C 121 del 29 aprile
2000 (e più sopra citata), richiamata e sviluppata dalla circolare della
Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento per le politiche comunitarie
n. 945 dell'1 marzo 2002, i principi di evidenza pubblica, da attuare in modo
proporzionato e congruo all'importanza della fattispecie in rilievo vanno
applicati, in quanto dettati in via diretta e self-executing dal Trattato,
anche alle fattispecie non interessate da specifiche disposizioni comunitarie
volte a dare la stura ad una procedura competitiva puntualmente regolata (cfr.,
in tal senso, la citata Ad. pl. n. 1 del 2008). Segnatamente "il principio
di trasparenza è strettamente legato a quello di non discriminazione, poiché
garantisce condizioni di concorrenza non falsate ed esige che le
amministrazioni concedenti rendano pubblica, con appropriati mezzi di
pubblicità, la loro intenzione di ricorrere ad una concessione. Secondo le
indicazioni della Commissione europea (cfr. il punto 3.1.2 della Comunicazione
interpretativa) tali forme di pubblicità dovranno contenere le informazioni
necessarie affinché potenziali concessionari siano in grado di valutare il loro
interesse a partecipare alla procedura quali l'indicazione dei criteri di
selezione ed attribuzione, l'oggetto della concessione e delle prestazioni
attese dal concessionario. Spetterà poi in particolare ai giudici nazionali
valutare se tali obblighi siano stati osservati attraverso l'adozione di
appropriate regole o prassi amministrative" (cfr., ancora, la citata Ad.
pl. n. 1 del 2008, anche per i successivi "virgolettati").
A sua volta, "il principio di parità di
trattamento implica che le amministrazioni concedenti pur essendo libere di
scegliere la procedura di aggiudicazione più appropriata alle caratteristiche
del settore interessato e di stabilire i requisiti che i candidati devono
soddisfare durante le varie fasi della procedura, debbano poi garantire che la
scelta del candidato avvenga in base a criteri obiettivi e che la procedura si
svolga rispettando le regole e i requisiti inizialmente stabiliti (cfr. Corte
di Giustizia, sentenza 25 aprile 1996, causa C-87/94 Bus Wallons, punto
54)".
La circostanza che le direttive comunitarie in materia
di appalti siano attuative dell'art. 81 del Trattato porta in sostanza a
ritenere che queste norme siano puramente applicative, con riferimento a
determinati appalti, di principi generali che, essendo sanciti in modo
universale dal Trattato, sono ovviamente valevoli anche per contratti e
fattispecie diverse da quelle concretamente contemplate. Donde l'immediata
operatività dei principi, sopra esposti con riferimento agli affidamenti
sottosoglia (si veda la circolare del Dipartimento per le Politiche comunitarie
del 30 giugno 2002 ove si richiama l'ordinanza 3 dicembre 2001, in C-59/00, e
sentenza 7 dicembre 2000, causa C-324, Teleaustria c. Post & Telekom
Austria, rese dalla Corte di giustizia CE) ed ai contratti diversi dagli
appalti tali da suscitare l'interesse concorrenziale delle imprese e dei
professionisti e, infine, alle stesse concessioni di beni pubblici di rilevanza
economica.
Ad arricchire il suesposto quadro interpretativo può
rammentarsi che la Corte di giustizia CE ha in particolare statuito che
"sebbene le direttive comunitarie che coordinano le procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici si applichino soltanto ai contratti il
cui valore supera un determinato limite previsto espressamente in ciascuna
delle dette direttive, il solo fatto che il legislatore comunitario abbia
considerato che le procedure particolari e rigorose previste in tali direttive
non sono adeguate allorché si tratta di appalti pubblici di scarso valore, non
significa che questi ultimi siano esclusi dall'ambito di applicazione del diritto
comunitario" (cfr., in tal senso, ordinanza 3 dicembre 2001, in C-59/00,
punto 19).
Le esposte coordinate, ad avviso del Collegio, ed in
conformità ai già ricordati dicta giurisprudenziali, depongono per una
interpretazione legittimamente orientata "in senso comunitario"
dell'art. 30 del Codice dei contratti pubblici nel senso che le espressioni
normative ivi esposte, pur contenendo disposizioni derogatorie rispetto a
quelle contenute nelle norme che il Codice stesso dedica alle procedure di
affidamento di ordinari contratti di appalto, non possono spingersi, nella loro
latitudine applicativa, fino a travolgere la doverosità di comportamenti che
sono resi obbligatori dai principi del Trattato e dalle connesse
interpretazioni della Corte di giustizia CE e che ciascun soggetto
aggiudicatore deve assicurare nella valutazione delle proposte pervenute dai
concorrenti, al fine di garantire il rispetto dei principi di parità di
trattamento, trasparenza ed eguaglianza partecipativa nell'ambito della
procedura di aggiudicazione.
8. – Le suesposte traiettorie interpretative assumono,
ai fini della decisione del presente contenzioso, portata rilevante, atteso che
la legittimità delle singole clausole del bando censurate dalle società
ricorrenti dovrà essere analizzata proprio tenendo in considerazione il
criterio di proporzionalità con l’oggetto del contratto (rectius, della
concessione) da eseguirsi e con riferimento alla sostenibilità della
compressione del numero degli aspiranti concorrenti, che naturalmente viene
provocata dalla peculiarità delle richieste di qualificazione recate dal bando,
rispetto a quello che può considerarsi lo standard elevato di servizio che
ragionevolmente l’amministrazione può pretendere che sia assicurato dal
concessionario nel corso dello svolgimento della concessione in ragione della
peculiarità del complesso monumentale del “Vittoriano” in Roma, che rende
“unico” detto complesso sia dal punto di vista storico che artistico che,
ancora, quale attrattiva turistica.
Il primo mezzo di impugnazione del bando che, per come
si è sopra sintetizzato al punto 2 della presente decisione, aggredisce il
Punto 5 e in parte il Punto 6 del disciplinare, facente parte integrante del
bando censurato, si sviluppa in quattro censure che possono così riepilogarsi:
A) nei confronti della prescrizione della lett. b) del
Punto in questione per effetto della quale il candidato è chiamato a dimostrare
di essere “attualmente” esercente, visto che non possono considerarsi utili
alla dimostrazione del requisito i punti vendita per i quali non si è più
esercenti al momento della presentazione dell’offerta, di prodotti editoriali
relativi a tematiche culturali e/o oggettistica ispirata a tematiche culturali
e/o merchandising museale sotto “un unico marchio”, con svolgimento in maniera
continuativa durante il solito triennio di riferimento e per un fatturato lordo
complessivo non inferiore ad euro 460.000,00;
B) nei confronti della prescrizione recata dalla lett.
c) del Punto in questione, vale a dire “Servizi di Progettazione, Organizzazione
e Realizzazione eventi e mostre”, in quanto non essendo mai stata prevista nei
casi in cui il Ministero ha in precedenza proceduto al rilascio della
concessione per i servizi museali una tale tipologia di servizio diviene arduo
formulare una offerta non essendovi un mercato di riferimento, tanto più che è
richiesta la dimostrazione di un fatturato nel solito triennio di riferimento
pari all’ingente cifra di 5 milioni di euro. La prescrizione, in particolare,
sarebbe illegittima perché il bando pretenderebbe la dimostrazione di avere
raccolto sponsorizzazioni e altre attività di fund raising, per
l’organizzazione e la realizzazione di mostre con riferimento, nell’ambito
della Pubblica amministrazione ad “Enti pubblici nazionali, Università”, rendendo
superfluo, irragionevolmente, che tale requisito possa essere dimostrato con
riferimento ad altri enti, oltre al fatto che la dimostrazione del requisito
viene richiesta in modo contraddittorio facendosi nel titolo del Punto 5, lett.
c) riferimento alla “Progettazione, Organizzazione e Realizzazione eventi e
mostre” e non all’attività di “sponsorizzazione”, come invece pare richiesto
nella spiegazione della tipologia del requisito richiesto;
C) nei confronti della indicazione recata dalla lett.
d) del Punto in questione con riferimento ai “Servizi di Caffetteria”, rispetto
alla quale è richiesta la dimostrazione “di aver svolto servizi di caffetteria,
in maniera continuativa e durante il triennio di riferimento, il cui fatturato
non sia inferiore a € 2.300.000,00”, tenuto conto di quanto è stato richiesto
in analoghe occasioni con riferimento al rilascio di concessioni per servizi
museali in “poli” di particolare rilievo;
D) infine, nei confronti della prescrizione contenuta
nel Punto 6 in questione, in virtù della quale l’aspirante concorrente dovrebbe
dimostrare “di avere svolto servizi di progettazione, organizzazione e
realizzazione di eventi culturali e mostre durante il triennio di riferimento,
in Italia e/o all’estero. per almeno 10 (dieci) Pubbliche Amministrazioni
diverse”.
9. – Il primo profilo di censura tra quelli appena
elencati ha ad oggetto la pretesa che i concorrenti dimostrino di essere
esercenti di prodotti editoriali relativi a tematiche culturali e/o
oggettistica ispirata a tematiche culturali e/o di merchandising museale “sotto
un unico marchio”.
Rispetto a tale contestazione l’Avvocatura generale ne
sostiene la inammissibilità in quanto le ricorrenti “non chiariscono in alcun
modo per quale ragione il requisito dell’unico marchio arrecherebbe loro una
concreta lesione” (così, testualmente, a pag. 16 della memoria difensiva).
Sempre la difesa erariale chiarisce come la restrizione della concorrenza, che
le ricorrenti lamentano si verifichi con la prescrizione censurata, non si
realizza in astratto, semmai “per il concorso del suddetto requisito con quello
del fatturato minimo” (così, testualmente, a pag. 17 della memoria difensiva)
richiesto dalla stessa prescrizione censurata. Per chiarire tale aspetto la
difesa dell’amministrazione resistente ipotizza che qualora la “Stazione
Appaltante avesse previsto il requisito di un fatturato di soli € 10 sotto un
unico marchio, non si sarebbe evidentemente realizzata alcuna effettiva
restrizione della concorrenza, visto che ogni Operatore Economico che abbia
operato nel settore considerato avrà sicuramente sviluppato almeno un fatturato
di € 10 sotto un unico marchio” (così, testualmente, ancora a pag. 17 della
memoria difensiva). L’entità dell’importo richiesto dalla prescrizione,
corrispondente ad almeno € 460.000, risulta essere ampiamente giustificato, ad
avviso della difesa erariale (si leggano le pagg. 17 e 18 della citata
memoria), tenuto conto che quel valore costituisce la somma dei volumi d’affari
realizzati nell’arco di un triennio di riferimento (2009-2011) e quindi è pari
ad € 153.333 annui, in quanto:
1) non limita il fatturato ai soli prodotti editoriali
relativi a tematiche culturali, ma si estende anche agli introiti realizzati
con la vendita di oggettistica ispirata a tematiche culturali e/o a
merchandising museale;
2) non pone limitazioni in ordine al numero ovvero
alla dimensione degli esercizi presso i quali si è realizzato l’introito,
potendo quindi esserne dimostrata la realizzazione in più attività commerciali;
3) non individua una tipologia di esercizio
commerciale nel quale il concorrente deve aver realizzato l’introito;
4) in più passaggi degli atti di gara la stazione
appaltante ha esplicitato l’intenzione di garantire la migliore tutela del
preminente interesse pubblico alla conservazione dell’integrità e del prestigio
del Vittoriano;
5) la prescrizione si presenta utile a garantire che
il futuro concessionario del servizio di bookshop e di vendita del
merchandising museale sia un operatore economico con un minimo di esperienza
nell’esercizio di punti vendita quali quello posto nel complesso monumentale in
questione, anche al fine di evitare che possa risultare affidatario un soggetto
che abbia svolto solo in modo sporadico e saltuario detto servizio, ponendo a
rischio, in tale eventuale caso, “l’immagine, la funzionalità, il prestigio del
Vittoriano” .
Ad avviso del Collegio dette controdeduzioni, pur
abilmente puntualizzate dalla difesa erariale, non permettono di ritenere
giustificata l’apposizione di una clausola partecipativa, quale è quella qui
censurata, evidentemente capace di restringere la partecipazione alla selezione
in questione, senza tuttavia offrire, nello stesso tempo, valide ragioni che
consiglino una scrematura degli aspiranti concorrenti, in ragione dell’oggetto
della concessione di servizi da rilasciare, fondata sulla dimostrazione di
avere realizzato un fatturato importante, quale è indubbiamente quello pari ad
€ 460.000, seppur spalmato nell’arco di un triennio, nell’attività di vendita
di prodotti editoriali relativi a tematiche culturali nonché di oggettistica
ispirata (ancora) a tematiche culturali e/o di merchandising museale sotto
l’egida (figurativamente intesa) di un “unico marchio”.
10. - Come è noto, ai sensi della direttiva 31 marzo
2004 n. 18:
- per il secondo considerando, l’aggiudicazione degli
appalti negli Stati membri per conto dello Stato, degli enti pubblici
territoriali e di altri organismi di diritto pubblico è subordinata al rispetto
dei principi del trattato ed in particolare ai principi della libera
circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera
prestazione dei servizi, nonché ai principi che ne derivano, quali i principi
di parità di trattamento, di non discriminazione, di riconoscimento reciproco,
di proporzionalità e di trasparenza;
- per il ventinovesimo considerando, le specifiche
tecniche fissate dai committenti pubblici dovrebbero permettere l’apertura
degli appalti pubblici alla concorrenza. A questo scopo deve essere possibile
la presentazione di offerte che riflettano la pluralità di soluzioni tecniche.
Pertanto le specifiche tecniche devono poter essere fissate in termini di
prestazioni e di requisiti funzionali e, in caso di riferimento alla norma
europea, o, in mancanza di quest’ultima, alla norma nazionale, le
amministrazioni aggiudicatrici devono prendere in considerazione offerte basate
su altre soluzioni equivalenti. Per dimostrare l’equivalenza, gli offerenti
dovrebbero poter utilizzare qualsiasi mezzo di prova. Le amministrazioni
aggiudicatrici, laddove decidano che in un determinato caso l’equivalenza non
sussiste, devono poter motivare tale decisione;
- ai sensi dell’art. 23, punto 2, “Le specifiche
tecniche devono consentire pari accesso agli offerenti e non devono comportare
la creazione di ostacoli ingiustificati all’apertura degli appalti pubblici
alla concorrenza”. Inoltre al punto 8 l’art. 23 specifica: “A meno di non
essere giustificate dall’oggetto dell’appalto, le specifiche tecniche non
possono menzionare una fabbricazione o provenienza determinata o un
procedimento particolare né far riferimento a un marchio, a un brevetto o a un
tipo, a un’origine o a una produzione specifica che avrebbero come effetto di
favorire o eliminare talune imprese o taluni prodotti. Tale menzione o riferimento
sono autorizzati, in via eccezionale, nel caso in cui una descrizione
sufficientemente precisa e intelligibile dell’oggetto dell’appalto non sia
possibile applicando i paragrafi 3 e 4; una siffatta menzione o un siffatto
riferimento sono accompagnati dall’espressione "o equivalente”;
- ai sensi dell’art. 44, paragrafo 2, “Le
amministrazioni aggiudicatrici possono richiedere livelli minimi di capacità,
conformemente agli articoli 47 e 48, che i candidati e gli offerenti devono
possedere. La portata delle informazioni di cui agli articoli 47 e 48 nonché i
livelli minimi di capacità richiesti per un determinato appalto devono essere
connessi e proporzionati all’oggetto dell’appalto”.
Deriva da quanto sopra che, in virtù delle
disposizioni impartite dalla direttiva n. 18 del 2004, recante i principi per
l’affidamento di appalti e di concessioni di servizi, le amministrazioni
aggiudicatrici trattano gli operatori economici su un piano di parità, in modo
non discriminatorio e agiscono con trasparenza (art. 2 della direttiva). Tali
principi rivestono un’importanza determinante per quanto riguarda le specifiche
tecniche, in considerazione dei rischi di discriminazione connessi sia alla
scelta di queste ultime, sia al modo in cui sono formulate. Infatti l’articolo
23, paragrafi 2 e 3, lettera b), e l’ultima frase del 29º considerando della
direttiva 2004/18 sottolineano che le specifiche tecniche devono consentire
pari accesso agli offerenti e non devono comportare la creazione di ostacoli
ingiustificati all’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza, che esse
devono essere sufficientemente precise da consentire agli offerenti di
determinare l’oggetto dell’appalto e alle amministrazioni aggiudicatrici di
aggiudicarlo, e che devono essere chiaramente indicate, affinché tutti gli
offerenti siano al corrente degli aspetti coperti dai requisiti fissati
dall’amministrazione aggiudicatrice.
In particolare, ancora, va segnalato come l’articolo
53, paragrafo 1, lettera a), della direttiva n. 18 del 2004 impone che i criteri
di aggiudicazione siano collegati all’oggetto dell’appalto. A tale proposito il
46º considerando della medesima direttiva precisa, al suo terzo comma, che
“[l]a determinazione di tali criteri dipende dall’oggetto dell’appalto in
quanto essi devono consentire di valutare il livello di prestazione che
ciascuna offerta presenta rispetto all’oggetto dell’appalto, quale definito
nelle specifiche tecniche, nonché di misurare il rapporto qualità/prezzo di
ciascuna offerta», atteso che «l’offerta economicamente più vantaggiosa» è
«quella che presenta il miglior rapporto qualità/prezzo»”. D’altronde, per come
emerge dal primo e dal quarto comma del 46° considerando, il rispetto dei
principi di parità, di non discriminazione e di trasparenza impone che i
criteri di aggiudicazione siano oggettivi, il che garantisce che il confronto e
la valutazione delle offerte siano condotti in modo oggettivo, e dunque in
condizioni di effettiva concorrenza. Ciò non si verificherebbe in caso di
criteri che attribuissero all’amministrazione aggiudicatrice un’incondizionata
libertà di scelta (cfr., in tal senso ed anche con riferimento alla normativa
comunitaria preesistente rispetto alla direttiva n. 18 del 2004, Corte giust.
UE 17 settembre 2002, Concordia Bus Finland, C 513/99).
Tenendo conto delle coordinate interpretative che
discendono da quanto sopra non emerge nella disposizione del disciplinare di
gara censurata, vale a dire il Punto 5, lett. b), che sia adeguatamente
motivata non tanto la necessità di dimostrare la realizzazione di un fatturato
pari ad € 460.000 nel triennio 2009-2011 per le attività commerciali ivi
descritte, quanto piuttosto la indispensabile comprova che detto fatturato
abbia avuto ad oggetto prodotti riconoscibili sotto un unico marchio.
11. - Stante la unicità storico-artistica del
complesso museale del Vittoriano non può ragionevolmente essere posto in dubbio
- e su tale aspetto il Collegio condivide quanto sostenuto dalla difesa
erariale - che sia necessario selezionare attentamente gli aspiranti concessionari
perimetrando con cura la tipologia che corrisponda ad una sorta di “archetipo
di concessionario” facente parte di una categoria ristretta di aspiranti che,
pur svolgendo attività nel settore museale analoghe a quelle oggetto della
concessione relativa a quella da affidarsi per il “Vittoriano”, sia in grado di
assicurare uno standard qualitativo di elevatissimo livello tenendo conto della
peculiarità ed unicità del luogo ove detta concessione dovrà realizzarsi;
conseguentemente appare pienamente giustificato e motivato un tetto elevato,
pari a € 460.000 nel triennio dimostrativo della capacità realizzativa di
fatturato nell’attività di vendita di prodotti editoriali relativi a tematiche
culturali nonché di oggettistica ispirata a tematiche culturali e/o di
merchandising museale. Ciò che però non convince e non appare adeguatamente
motivato, neppure ricercandone accuratamente le ragioni nelle maglie degli atti
di gara (secondo un metodo di indagine suggerito dall’Avvocatura erariale a
pag. 18 della memoria di costituzione, punto 4.1.1.6..) è la necessità che tale
fatturato si sia realizzato nel triennio con riferimento ad un “unico marchio”.
Sotto un primo profilo viene in emersione il disposto
dell’art. 68 del Codice dei contratti pubblici, a mente del quale è prescritto
che i documenti del contratto, quali il bando di gara, il capitolato d'oneri o
i documenti complementari devono dettagliatamente indicare le specifiche
tecniche richieste, senza però individuare una specifica fabbricazione o
provenienza, al fine di evitare la ingiustificata restrizione della rosa dei
partecipanti alla gara, con nocumento all'interesse pubblico sotteso alla più
ampia partecipazione alla stessa. È previsto anche, al comma 13 che, ove sia
necessario al fine della capillare descrizione di un macchinario ricorrere
all'indicazione di un tipo specifico di prodotto occorre che tale indicazione
sia accompagnata dall'espressione “o equivalente”. La ratio delle disposizioni
richiamate, contenute nell'art. 68 Codice è chiara: nel rispetto del principio
della più ampia partecipazione alle gare finalizzato alla ponderata e fruttuosa
scelta del miglior contraente, si esclude espressamente, tranne ove sia
giustificato dal particolare oggetto dell'appalto, la possibilità di indicare
marchi o tipi specifici di produzione, a meno che il riferimento ad un prodotto
non sia necessario al fine di descrivere dettagliatamente le caratteristiche
che il bene offerto deve possedere; in questo caso è obbligatorio fare ricorso
al concetto di equivalenza, con la conseguenza che, in caso di omissione
dell'inciso, il bando risulterebbe in parte qua illegittimo (cfr., in
argomento, Cons. Stato, Sez. V, 14 novembre 2008 n. 5693).
Nel caso di specie il disciplinare non suggerisce alle
parti quale sia il “marchio” di riferimento rispetto al quale deve darsi la
prova di aver raggiunto nel triennio il fatturato di almeno € 460.000 nello
svolgimento delle attività commerciali ivi descritte tuttavia, senza fornire
una idonea motivazione, impone che le ridette attività siano state svolte solo
con riferimento ad un marchio. In altri termini non è dato comprendere nel
disciplinare e comunque non si appalesa all’evidenza dei concorrenti prima di
redigere l’offerta, per come è invece imposto da tutte le disposizioni normative
comunitarie e nazionali fin qui richiamate e, talvolta, riprodotte, per quale
ragione il concorrente che si aggiudicherà la selezione costituisca un
concessionario più affidabile nello svolgimento del complesso servizio da
affidarsi, per come è innegabilmente imposto dalla peculiarità del complesso
monumentale presso il quale detto servizio verrà realizzato, solo se può
dimostrare che il rilevante importo di fatturato sia stato introitato
rappresentando un unico marchio, rispetto ad altro concorrente che possa
provare di avere introitato nel triennio di riferimento un importo complessivo
maggiore realizzato però pubblicizzando ed operando con riguardo a più marchi,
ovviamente sempre con riferimento al settore di attività commerciale indicato
nel bando.
Sotto altro profilo va segnalato che la Sezione si è
già occupata nel passato, per come rammentato da entrambe le parti
controvertenti nei loro atti processuali, della legittimità dell’apposizione di
clausole nei bandi di gara per l’affidamento di concessioni di servizi museali
in genere che recassero il riferimento a requisiti tecnici condizionati dallo
svolgimento di attività sotto un medesimo marchio o brand, affermando la non
corrispondenza di tale metodologia di predisposizione delle discipline di gara con
i principi e le norme comunitarie e nazionali che sovraintendono
all’affidamento di commesse pubbliche.
In particolare con la sentenza n. 32717 del 7 ottobre
2010, i cui approdi sono stati ribaditi dalla successiva sentenza 21 ottobre
2010 n. 32946 la Sezione ha:
a) dapprima ribadito che, ai sensi dell'art. 30, comma
3, del Codice dei contratti pubblici, nelle gare indette per la concessione di
servizi la "scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei
principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti
pubblici e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità,
non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento,
proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti,
se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all'oggetto
della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi”;
b) poi precisato che, seppure in tale quadro
normativo, ai fini della verifica dell'effettiva capacità tecnica, l'elenco
esemplificativo di cui agli artt. 41 e 42 del Codice dei contratti pubblici non
costituisce, per la stazione appaltante un vincolo diretto, tuttavia in
relazione al richiamo ai principi del Trattato UE, le determinazioni in materia
di requisiti soggettivi di partecipazione alle gare non devono essere
illogiche, arbitrarie, inutili o superflue e devono essere rispettose del
"principio di proporzionalità", il quale esige che ogni requisito
individuato sia al tempo stesso necessario ed adeguato rispetto agli scopi
perseguiti;
c) quindi chiarito che il concreto esercizio del
potere discrezionale deve essere funzionalmente coerente con il complesso degli
interessi pubblici e privati coinvolti dal pubblico incanto e deve rispettare i
principi del Codice dei contratti pubblici, con la conseguenza che, nella
scelta dei requisiti di partecipazione il ricordato principio di non
discriminazione impone che la stazione appaltante deve ricorrere a quelli che
comportino le minori turbative per l'esercizio dell'attività economica;
d) infine concluso affermando che l'intero impianto
delle prescrizioni di gara non deve costituire dunque una violazione
sostanziale dei principi di libera concorrenza, par condicio, non
discriminazione trasparenza di cui all'art. 2, comma 1, del più volte citato
Codice.
In virtù di tali presupposti la Sezione, nelle
occasioni di scrutinio sopra richiamate, ha statuito che il riferimento al
medesimo marchio o brand può legittimamente costituire il contenuto di una
eventuale "clausola negoziale" del bando, alla stregua di una
obbligazione contrattuale per il futuro aggiudicatario del contratto di
concessione, ma non può “integrare alcun particolare ulteriore requisito
rispetto al fatturato di un operatore economico che operi (o ritenga
preferibile operare per propria scelta aziendale) sul mercato con
"brand" differenti. L'imporre un unico marchio per le varie gestioni
è una variabile del procedimento che comporta l'impossibilità assoluta di
partecipare alla gara di soggetti il cui fatturato pure corrisponderebbe ai
limiti fissati. In sostanza la clausola è illegittima perché costituisce
un'irragionevole restrizione della concorrenza, senza che a ciò corrisponda ad
alcun interesse per la Stazione appaltante” (così, testualmente, la sentenza n.
32946 del 2010).
12. – Tali approdi valutativi in merito alla
prescrizione in questione trovano ora una ulteriore conferma nella recentissima
deliberazione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture 10 marzo 2013 n. 6 nella quale, in occasione di una
istruttoria svolta dall’Autorità con riferimento ad alcune iniziative selettive
per l’affidamento di concessioni di servizi presso poli museali avviate dalle
Soprintendenze di Roma, Firenze e Napoli, proprio con riferimento alla questione
se fosse legittimo inserire nel bando il requisito di limitazione alla
partecipazione degli aspiranti concessionari avente ad oggetto la dimostrazione
di svolgere (tuttora e al momento della partecipazione alla selezione, come è
preteso nel caso qui in esame) l’attività economica richiesta sotto un “unico
marchio” ha affermato che non sussiste un nesso imprescindibile tra
l’affidabilità del futuro contraente e l’aver operato con un unico marchio in
quanto:
A) il medesimo obiettivo potrebbe essere ugualmente
soddisfatto anche da un’impresa che ha operato ovvero operi, secondo le proprie
politiche aziendali, in diversi luoghi culturali con marchi diversi;
B) l’unitarietà del marchio non appare come elemento
aziendale indispensabile per garantire “la continuità del soggetto concorrente,
nonché l’unitarietà aziendale”;
C) detto requisito appare, dunque, come un requisito
“ulteriore” non necessario ed adeguato agli interessi perseguiti dal
committente, rispetto a quelli indicati dal legislatore per selezionare i
migliori concorrenti dal punto di vista delle loro capacità
tecnico-professionali (secondo i parametri normativi descritti dall’art. 42 del
Codice dei contratti pubblici), in contrasto con il principio di
proporzionalità, di cui all’art. 2, comma 1, del medesimo Codice;
D) seppure è vero che rientra indubbiamente nella
discrezionalità della stazione appaltante prevedere requisiti di partecipazione
diversi, ulteriori e più restrittivi di quelli legali, ciononostante, tale
grado di libertà trova un limite nel requisito della logicità e della
ragionevolezza dei requisiti richiesti e della loro pertinenza e congruità
rispetto all’oggetto dell’appalto ed all’interesse pubblico perseguito (in tale
senso viene richiamato il precedente parere dell’Autorità n. 83 del 2010);
E) difatti la discrezionalità delle amministrazioni
nel disegno della lex specialis non deve mai condurre a determinazioni
illogiche, arbitrarie, inutili o superflue, in quanto “il concreto esercizio
del potere discrezionale deve essere funzionalmente coerente con il complesso
degli interessi pubblici e privati coinvolti dal pubblico incanto e deve
rispettare i principi del Codice dei contratti” (così il citato precedente
della Sezione n. 32717 del 2010).
L’Autorità quindi, nel contestare la legittimità
dell’apposizione di una siffatta clausola limitativa della partecipazione,
perché non giustificata rispetto all’oggetto del tipo di concessione da
affidarsi e distinguendosi quindi per irragionevolezza, si spinge fino a
specificare che anche il profilo qualificatorio costituito dalla attualità
dello svolgimento delle attività sotto un unico marchio al momento della
partecipazione alla selezione si propone per la sua ingiustificata capacità
impeditiva alla partecipazione, non accompagnata da una valida ragione
qualitativa che assicuri la selezione di un concessionario effettivamente in
grado di realizzare l’obiettivo di qualità che l’amministrazione procedente
intende raggiungere con il ridetto affidamento, atteso che prendere in
considerazione una attività ancora in corso al momento della presentazione
della domanda sembra rappresentare una variabile del procedimento che comporta
un ulteriore impedimento assoluto di partecipare alla selezione a quei soggetti
che (addirittura avendo operato rappresentando un unico marchio o brand nel
corso del triennio di riferimento e per l’importo di fatturato richiesto dal
bando), per le più svariate ragioni, nel momento in cui partecipano alla
selezione abbiano definito o esaurito l’attività con l’operatore economico cui
appartiene quel marchio di riferimento.
Orbene, per come è stato anche sottolineato dalla
difesa erariale a pag. 2 della memoria depositata per la camera di consiglio
del 17 aprile 2013, il Collegio non ignora che le deliberazioni adottate
dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavoro servizi e
forniture non assumono portata imperativa e cogente nei confronti delle
stazioni appaltanti di talché esse se ne possono discostare, qualora ritengano
di non condividerne i contenuti e che tale impostazione è confermata in
numerosi avvisi giurisprudenziali ad avviso dei quali:
a) l’Autorità non è dotata di poteri di supremazia
gerarchica nei confronti delle stazioni appaltanti (cfr. Cons. Stato, Sez. IV,
12 settembre 2006 n. 5317);
b) nell'ambito dei suoi poteri essa può senz'altro
acquisire informazioni ed effettuare segnalazioni alle autorità
giurisdizionali, ovvero esprimere il proprio parere sulla pertinente normativa
nazionale e comunitaria, tanto è vero che l'art. 6, comma 9, lett. a) del Codice
dei contratti pubblici legittima l’Autorità a “richiedere alle stazioni
appaltanti (…) documenti, informazioni e chiarimenti relativamente ai lavori,
servizi e forniture pubblici, in corso o da iniziare, al conferimento di
incarichi di progettazione, agli affidamenti”;
c) peraltro le determinazioni che l'Autorità assume
circa l'interpretazione della normativa vigente in materia costituiscono
opinioni dotate di autorevolezza, che possono anche conseguire un apprezzabile
effetto di uniformità e di chiarezza nell'applicazione della legge;
d) purtuttavia gli stessi pronunciamenti non possono
risolversi nella funzione di interpretazione autentica, o di integrazione,
della normativa, difettando l'Autorità del relativo potere, con la conseguenza
che essi non rappresentano un vincolo per le amministrazioni nello svolgimento
delle procedure di loro competenza (cfr. T.A.R. Sardegna, Sez. I, 7 aprile 2006
n. 504).
Fermo quanto sopra è ugualmente indubitabile che, per
l’autorevolezza del pronunciamento interpretativo, non solo le amministrazioni
destinatarie dello stesso ma anche il giudice deve orientare la propria
valutazione in merito al contenuto di tali deliberazioni considerandole quali
fonti, seppure non di convincimento assoluto per quanto si è sopra riferito,
quanto meno di significativa conferma rafforzativa della propria linea
interpretativa che si va formando rispetto all’applicazione delle disposizioni
comunitarie e nazionali in materia di affidamento di commesse pubbliche. In
altri termini le deliberazioni dell’Autorità seppure non assumono portata
vincolante per le amministrazioni e, tanto meno, per il giudice amministrativo,
possono ben essere chiamate a sostegno di una linea interpretativa fatta
propria dalla stazione appaltante ovvero dal giudice, allorquando manifestino
convincenti percorsi chiarificatori del modello di applicazione delle norme in
un determinato settore. Non v'è dubbio dunque che un orientamento che promani
dall’Autorità, essendo quest’ultima preposta alla vigilanza sull'osservanza della
disciplina legislativa e regolamentare del settore dell’affidamento delle
commesse pubbliche, costituisca una qualificata valutazione dotata di una
attendibilità privilegiata
Nella specie pare al Collegio che i convincimenti
espressi sul tema dell’Autorità in merito alla legittimità della apposizione di
una c.d. clausola “ad unico marchio” siano perfettamente in linea con ciò che
emerge dall’esame delle disposizioni di riferimento e più volte sopra
richiamate, tenuto conto che l’amministrazione, neppure in questa sede
contenziosa, è riuscita a dimostrare la necessità dell’apposizione di una
siffatta clausola né la ragionevolezza della sua predisposizione, in una ottica
di proporzionalità con riguardo all’oggetto della concessione di plurimi
servizi da affidarsi.
Ne deriva la fondatezza del primo profilo di censura
dedotto nel primo motivo di ricorso dalle società ricorrente e la conseguente
illegittimità della clausola apposta nel disciplinare al Punto 5, lett. b).
13. – Il secondo profilo di censura che investe il
Punto 5 del disciplinare si rivolge nei confronti della prescrizione recata
dalla lett. c) del Punto in questione, vale a dire “Servizi di Progettazione,
Organizzazione e Realizzazione eventi e mostre”. Le società ricorrenti
sottolineano che detta ampia tipologia di servizio non è mai stata prevista nei
casi in cui il Ministero ha in precedenza proceduto al rilascio della
concessione per i servizi museali con la conseguenza che diviene arduo
formulare una offerta non essendovi un mercato di riferimento, tanto più che è
richiesta la dimostrazione di un fatturato nel triennio 2009-2011 pari
all’ingente cifra di 5 milioni di euro. La prescrizione, in particolare,
sarebbe illegittima perché il bando pretenderebbe la dimostrazione di avere
raccolto sponsorizzazioni e altre attività di fund raising, per
l’organizzazione e la realizzazione di mostre con riferimento, nell’ambito
della Pubblica amministrazione ad “Enti pubblici nazionali, Università”,
rendendo superfluo, irragionevolmente, che tale requisito possa essere
dimostrato con riferimento ad altri enti, oltre al fatto che la dimostrazione
del requisito viene richiesta in modo contraddittorio facendosi nel titolo del
Punto 5, lett. c) riferimento alla “Progettazione, Organizzazione e
Realizzazione eventi e mostre” e non all’attività di “sponsorizzazione”, come
invece pare richiesto nella spiegazione della tipologia del requisito
richiesto.
Replica sulla questione censurata la difesa erariale
assicurando che la lex specialis di gara ha sufficientemente dettagliato la
richiesta volta ad acquisire dagli aspiranti concessionari la dimostrazione di
una pregressa esperienza nella raccolta di sponsorizzazioni per la
realizzazione ed organizzazione di mostre e la limitazione di siffatta comprova
alle sole attività precedenti realizzate a favore di enti pubblici nazionali
costituisce una prescrizione della lex specialis di gara pienamente
giustificata dalle “specificità che caratterizzano l’ala del Vittoriano in cui
si svolgeranno i servizi in concessione” (così, testualmente, a pag 19 della
memoria di costituzione). Infatti, l’accesso a detta ala del complesso
monumentale è gratuito, come lo è anche l’accesso alle mostre ed alle
esposizioni allestite presso il Vittoriano, di talché gli oneri per la
predisposizione e la gestione di dette iniziative ricadono esclusivamente sul
concessionario. Ciò giustifica la necessità di riscontrare preventivamente
negli aspiranti concorrenti una peculiare capacità a reperire fonti di
finanziamento delle dette iniziative presso soggetti terzi, istituzionali e
non, dal contenuto significativo e ciò giustifica anche l’individuazione di una
soglia economica elevata del requisito in esame pari a non meno di 5 milioni di
euro nel triennio 2009-2011; rispetto a detta soglia il calcolo utile per
raggiungere l’indicato importo è ben dettagliato nel capitolato tecnico e tiene
conto sia di quanto emerge nella circolare n. 49 del 23 marzo 2009 del
Ministero dei beni e attività culturali e successivi aggiornamenti sia
dell’esperienza concreta costituita dal fund raising conseguito dal precedente
(o, meglio, attuale) gestore nel medesimo triennio.
La seconda questione di merito qui oggetto dell’esame
del Collegio presenta molti punti di affinità con la prima testé scrutinata.
Anche in questo caso non si ravvisano patologie con riguardo all’entità della
dimostrazione di un fatturato nel triennio 2009-2011 pari all’ingente cifra di
5 milioni di euro, in quanto tale significativa richiesta pare ampiamente
giustificata dalla irripetibilità culturale, storica e turistica del luogo ove
andranno svolti i servizi in questione, tanto più che, con riferimento alle
attività elencate sinteticamente nella lettera c) del Punto 5 del disciplinare
la spiccata capacità di raccogliere fondi anche con riferimento a soggetti
terzi rispetto alle istituzioni normalmente coinvolte in sponsorizzazioni di
attività museali è pienamente dimostrata dalla gratuità dell’accesso all’ala
del Vittoriano destinata ad ospitare iniziative di varia natura.
Come è noto con circolare n 49 del 23 marzo 2009 il
Segretariato generale del Ministero per i beni e le attività culturali ha
dotato l’amministrazione di linee guida in materia di attivazione ed
affidamento in concessione dei servizi per il pubblico negli istituti di
cultura italiani ed è attraverso l’applicazione di tali linee guida che si è
stabilito di attribuire al concessionario il compito di reperire le risorse
finanziarie per l’allestimento di mostre ed eventi nell’ala del complesso
museale in questione, atteso che diversamente operando l’utile ritraibile dal
gestore non avrebbe potuto coprire l’onere per l’allestimento di tali attività.
La difesa dell’amministrazione procedente segnala che, “per la determinazione
del quantum delle risorse che il futuro concessionario deve dimostrare di avere
raccolto nel triennio considerato (2009-2011), si è preso in considerazione
l’unico dato avente attinenza allo specifico museo considerato (e pertanto
l’unico parametro oggettivo, stimabile e misurabile) ossia il dato concernente
il fund raising conseguito dall’attuale gestore nel medesimo triennio” (così,
testualmente, a pag. 21 della memoria difensiva).
Orbene tale chiarimento è utile a giustificare e ad
attribuire ragionevolezza all’importo complessivo di 5 milioni di euro nel
triennio di riferimento, ma non costituisce idoneo strumento per confermare
logicità alla prescrizione secondo la quale il concorrente avrebbe dovuto
dimostrare tale capacità in base a pregresse esperienze sviluppate
esclusivamente con enti pubblici nazionali.
14. - Non pare superfluo sottolineare che il nostro
Paese raccoglie una notevole capacità di offerta storica ed artistica spalmata
su un numerosissimo novero di luoghi di interesse storico, artistico e
culturale che non sempre è gestita da enti pubblici nazionali, ma sempre più
spesso da realtà amministrative locali e regionali caratterizzate da una
notevole capacità di attrazione e quindi di richiamo d’utenza. La scarsezza
delle risorse pubbliche messe a disposizione dei soggetti pubblici gestori dei
tesori storico-artistici italiani è nota a tutti e quindi le operazioni di
raccolta di fondi si sviluppano naturalmente su tutto il territorio nazionale
con una capacità ed un portato economico che non è agevole considerare in via
preventiva.
Senza volersi addentrare nella questione specifica,
non essendo questo l’obiettivo dello scrutinio del Collegio, ma al fine di
delineare meglio i contorni della questione oggetto della censura dedotta dalle
società ricorrenti e qui in esame, vale la pena di rilevare come il fund raising,
ovvero l’attività di raccolta di fondi e di incentivi economici, ha assunto un
ruolo sempre più rilevante nella c.d. economia sostenibile dei singoli Paesi,
soprattutto da quanto è in atto un periodo di seria crisi che ha investito la
maggior parte della popolazione mondiale e degli Stati del globo. Infatti, fino
ad oggi il fund raising è stato inteso per lo più come correttivo dell'economia
pubblica e del mercato laddove questi sistemi non erano in grado di coprire
tutte le esigenze di benessere di una comunità garantendo equità. Ora il
quadro, a parere degli esperti, è radicalmente cambiato: ad essere in gioco è
la sostenibilità di tutto il sistema di welfare e il fund raising è chiamato ad
assumere un ruolo di assoluto rilievo in una economia pubblica non può più solo
basarsi sul prelievo fiscale ma anche, se non soprattutto, su scambi volontari
e investimenti sociali.
In siffatto quadro non si presenta ragionevole
predisporre una clausola partecipativa che ancori per ciascun aspirante
concessionario la dimostrazione di un elevatissimo fatturato idoneo a
comprovare una spiccata capacità alla raccolta di fondi per iniziative
culturali, mostre, eventi e per la realizzazione di ogni altro progetto
sviluppabile in un’area museale o monumentale conseguito nel triennio 2009-2011
solo per attività dedicate ad enti pubblici nazionali, perdendo di vista la
possibilità che il medesimo requisito ben possa essere dimostrato anche in
seguito ad attività svolte in favore di enti regionali e locali ovvero ancora di
istituzioni private, atteso che la stessa stazione appaltante ammette di non
avere specifici punti di riferimento rispetto a tale requisito se non “il fund
raising conseguito dall’attuale gestore nel medesimo triennio”, il quale
inevitabilmente, essendo stato il gestore del complesso monumentale del
Vittoriano non poteva non aver realizzato quel fatturato che per un ente
pubblico nazionale.
Sotto tale profilo, quindi, anche il secondo profilo
di censura avente quale bersaglio il Punto 5 del disciplinare, segnatamente la
clausola recata dalla lettera c) si presenta (parzialmente, attesa la non
irragionevolezza del tetto di importo pari a 5 milioni di euro) fondata.
15. – Il terzo profilo di censura concentrato sul
Punto 5 del disciplinare attiene alla prescrizione indicata nella lettera d),
rispetto alla quale viene dalle società ricorrenti contestata la determinazione
della soglia dei 2.300.000 euro fissata per la dimostrazione del requisito per
la gestione del servizio di caffetteria.
L’Avvocatura generale giudica pretestuoso detto motivo
di censura, atteso che la soglia è stata definita in base al volume di introiti
conseguiti nel triennio di riferimento dall’attuale gestore per lo svolgimento
del servizio di caffetteria, di talché il metodo di definizione del fatturato
da comprovare a cura degli aspiranti concessionari, per siffatta tipologia di
servizio, si presenta all’evidenza logico e proporzionato rispetto al servizio
che sarà espletato dal nuovo concessionario, tenuto anche conto dei
considerevoli flussi di persone che frequentano il locale caffetteria per una
attività che, nel corso del solo 2011, ha comportato la produzione di 152.383
scontrini di pagamento.
Con riguardo a tale profilo di censura il Collegio non
rileva quella sproporzione che è contestata dalla società ricorrenti, ponendosi
in termini di dimostrabile verosimiglianza l’importo indicato nella clausola
della lex specialis di gara in contestazione in relazione ai fatturati annui
conseguiti dal servizio di caffetteria del Vittoriano, che impongono quindi che
l’aspirante concessionario sia in grado di poter gestire una inconsueta
richiesta per un flusso di ospiti ed utenti non frequente per tale tipo di
servizio, rispetto agli altri che vengono normalmente gestiti in concomitanza
con le attività che accompagnano lo sfruttamento delle aree museali.
La censura dunque non coglie nel segno.
16. – Il quarto ed ultimo profilo di illegittimità
descritto nel primo motivo di ricorso dalle società ricorrenti attiene al Punto
6 del disciplinare.
Le ricorrenti sostengono irragionevole che per il
rilascio della concessione in questione l’aspirante concorrente dovrebbe
dimostrare “di avere svolto servizi di progettazione, organizzazione e
realizzazione di eventi culturali e mostre durante il triennio di riferimento,
in Italia e/o all’estero per almeno 10 (dieci) Pubbliche Amministrazioni
diverse”, impedendo quindi la partecipazione, ad esempio, ad operatori economici
che pur potendo vantare una significativa esperienza di alto profilo
professionale maturata per siti museali rilevanti non può parimenti dimostrare
la richiesta diversificazione soggettiva dell’ente di riferimento perché ha
operato esclusivamente, seppur in numerose occasioni, per il Ministero dei beni
culturali.
La difesa erariale sulla questione per un verso si
appella al potere discrezionale della stazione appaltante di fissare le regole
di gara l’amministrazione e sotto altro profilo specifica che l’amministrazione
procedente, con la ridetta prescrizione, ha cercato soltanto di pretendere la
dimostrazione del possesso di quei requisiti volti ad individuare un
concessionario in grado di eseguire esattamente l’incarico da affidarsi,
garantendo quella capacità ed esperienza che, avendo oggetto il servizio un
monumento unico quale è il Vittoriano, non possono essere collocati ad un
livello non soddisfacente ed impongono che l’alto profilo dell’aspirante
concessionario sia puntualmente dimostrato con riferimento alle esperienze
pregresse che ne hanno caratterizzato il percorso professionale.
Come è avvenuto per i primi due profili di censura
mossi con il primo motivo di ricorso dalle società ricorrenti e relativi al
Punto 5, lett. b) e c) del disciplinare, anche in questo caso le pur pregevoli
chiarificazioni della difesa erariale non sono idonee a giustificare il
rispetto del principio della non irragionevole limitazione degli aspiranti
concorrenti a partecipare ad una selezione che, anche in questo caso appare
essere stato violato dalla prescrizione di gara.
Infatti non appare adeguatamente supportata da
elementi di motivazione la scelta, operata dalla stazione appaltante, di
definire un numero minimo pari a dieci con riferimento ai soggetti pubblici,
peraltro tutti diversi, in Italia e all’estero, in favore dei quali ciascun
concorrente dovrebbe dimostrare di avere svolto servizi di progettazione,
organizzazione e realizzazione di eventi culturali e mostre durante il triennio
di riferimento.
Ancora una volta torna il tema della limitazione
soggettiva di riferimento con riguardo alla destinazione dell’attività oggetto
del profilo di qualificazione richiesto ai concorrenti, ma mentre nel caso
esaminato con riferimento al Punto 5 lett. b) si pretendeva di avere conseguito
il fatturato richiesto nel triennio di riferimento con un “unico marchio”, in
questo caso si impone la dimostrazione del fatturato conseguito con almeno
dieci pubbliche amministrazioni diverse.
Seppure, per come si è appena segnalato, con profili concreti
opposti, la clausola manifesta una evidente irragionevolezza e disparità di
trattamento perché non tiene conto della circostanza che un qualificato
concorrente ben potrebbe avere svolto servizi similari dimostrando una
diversificazione dei destinatari pubblici dell’attività realizzata, non
raggiungendo tuttavia “quota dieci”. Nello stesso tempo non è chiarito per
quale ragione tale quota sia significativa della qualità indiscussa
dell’aspirante concessionario, ovvero non lo sia una quota inferiore accompagnata
dal rilievo specifico del tipo di servizio svolto e per un portanti pubbliche
amministrazioni anche estere. In tal caso sarebbe arduo sostenere che il
concorrente non sia in grado di comprovare il possesso di messi
economico-professionali, di esperienza specifica sul campo e di know-how utile
a tranquillizzare l’amministrazione procedente circa le indiscusse capacità
dell’aspirante futuro gestore.
Ad avviso del Collegio, quindi, anche il qui esaminato
profilo di censura può trovare accoglimento.
17. – Con il secondo motivo principale di impugnazione
le società ricorrenti contestano la legittimità dell’apposizione della c.d.
clausola sociale nel disciplinare.
Esse sostengono che la formulazione di una siffatta
clausola nel ridetto disciplinare, per effetto della quale gli aspiranti
concessionari debbono impegnarsi formalmente a garantire la continuità dei
rapporti di lavoro in essere, produce una inevitabile indeterminatezza del
valore dell’affidamento, non rendendo noto il numero del personale impiegato ed
incidendo seriamente anche sulla attendibilità del valore attribuito dalla lex
specialis di gara alla intera concessione, pari ad euro 16.600.068,27, senza
che sia stato reso possibile agli aspiranti concessionari di redigere
adeguatamente l’offerta.
L’imposizione della ridetta clausola viola, poi e
sotto altro profilo patologico, il principio dell’autonomia contrattuale,
disponendo unilateralmente l’imposizione di un vincolo a contrarre in danno del
concorrente che prevarrà nella selezione, concretizzando un ostacolo alla
concorrenza “disincentivando la partecipazione alle gare ad esclusivo vantaggio
del gestore uscente” (così, testualmente, a pag. 13 del ricorso introduttivo).
Inoltre detta clausola si presenta affetta da nullità per indeterminatezza, in
quanto non sono specificati i contenuti dell’impegno che dovrà essere assunto
dal nuovo concessionario nei confronti dei lavoratori già impiegati con quello
precedente, non emergendo dal disciplinare il numero dei lavoratori occupati,
la natura del rapporto di lavoro intercorrente con ciascun prestatore, le
qualifiche e le mansioni degli addetti nonché il contratto collettivo
applicato.
Come è noto e come è stato ben riassunto dall’Autorità
di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nella già
citata deliberazione n. 10 del 2013:
- la "clausola sociale" (detta anche
"di protezione" o di "salvaguardia sociale") corrisponde,
con riferimento alle procedure per l’affidamento di concessioni per servizi
museali, ad un protocollo di intesa trilaterale, sottoscritto il 10 dicembre
2010 fra il Ministero per i beni e le attività culturali e le principali
Organizzazioni sindacali, in base al quale "in caso di subentro di un
imprenditore ad un altro nella titolarità di una concessione di servizi al
pubblico nei luoghi di cultura statali, il subentrante si obbliga a garantire
la continuità dei rapporti di lavoro in essere al momento del subentro, con
esclusione di ulteriori periodi di prova (…) ferma restando la facoltà di
armonizzare l'organizzazione del lavoro, previo confronto sindacale, con le
proposte e le esigenze dell'impresa subentrante";
- a sostegno della legittimità di tale clausola si può
richiamare l’art. 41 Cost. che, come è noto, ammette limiti alla libertà di
iniziativa economica per "fini sociali" nonché la lettura che se ne
trae per effetto della pronuncia della Corte Costituzionale n. 68 del 3 marzo
2011 (che, in un diverso e non conforme contesto, richiama comunque l'avvenuto
inserimento di tale clausola nella contrattazione collettiva e in diverse
disposizioni legislative statali) nonché numerose pronunce giudiziali a livello
sia nazionale che comunitario;
- si oppone alla legittimità della specifica clausola
apposta alla tipologia di bandi nella cui categoria rientra quello qui in esame
la considerazione che il sopra richiamato protocollo di intesa non costituisce
fonte idonea a sostituirsi alla contrattazione collettiva, né acquisisce in
altro modo carattere vincolante, proprio per l’assenza di una specifica
disposizione legislativa.
Prosegue l’avviso interpretativo dell’Autorità
riferendo che la clausola sociale, oltre ad armonizzarsi con le finalità di
interesse collettivo, riconosciute come limite per la libertà di iniziativa
economica privata, trova riscontro anche nell'art. 2, comma 2, del Codice dei
contratti pubblici, che subordina il principio di economicità - nel rispetto
delle norme vigenti - "ai criteri (...) ispirati a esigenze sociali
(...)", non senza ampia sponda anche a livello comunitario (direttiva 14
febbraio 1977, 77/187/CEE e pronunce della Corte di Giustizia, 7.3.1996, cause
C171/94 e C172/94; 11.3.1997, causa C13/95; 26.9.2000, causa C175/99;
14.9.2000, causa C343/98). A livello normativo primario nazionale, le esigenze
di conservazione del posto di lavoro, in caso di trasferimento di azienda, sono
recepite dall’art. 2112 c.c., la cui applicabilità è stata estesa dalla
giurisprudenza ai casi in cui il trasferimento derivi non da un contratto fra
cedente e cessionario, ma da un atto autoritativo della pubblica
amministrazione, purché vi sia cessione di beni fra le due imprese. La non
coincidente situazione, rilevata nel caso di specie dalle società appellate
(con particolare riguardo al non avvenuto trasferimento di beni), non incide
sull'astratta legittimità della clausola, voluta dall'amministrazione in
ottemperanza all'intesa intervenuta con le organizzazioni sindacali: nella
situazione in esame non si tratta infatti di riconoscere un diritto - in ogni
caso rivendicabile - dei lavoratori dipendenti del concessionario in scadenza
alla continuità del rapporto di lavoro col nuovo concessionario, ma
dell'impegno richiesto a quest'ultimo di assicurare tale continuità.
Conclude dunque l’Autorità affermando che di per sé
l’apposizione di una siffatta clausola, per le ragioni sopra segnalate, non
assumerebbe veste patologica.
Specifica infine l’Autorità, con affermazione
condivisa dal Collegio, che nessun profilo patologico riveste neppure
l’apposizione della clausola nella lex specialis di gara, sempreché essa abbia
veste non di requisito di partecipazione, ma quale “modalità di esecuzione del
servizio: modalità indicata in tempo utile - in via integrativa del bando -
affinché le imprese” possano “valutare, senza alcuna lesione della "par
condicio", la convenienza dell'offerta da presentare”.
Conseguentemente il motivo di ricorso proposto dalle
società ricorrenti ed avente ad oggetto la illegittimità dell’apposizione nella
lex specialis di una c.d. clausola sociale non coglie nel segno.
18. – Parimenti il Collegio ritiene che non colgano
nel segno le ulteriori censure prospettate dalle ricorrenti e riferite alla
eccessiva e sproporzionata valenza attribuita all’apporto qualitativo che i
concorrenti possono dimostrare nell’offerta rispetto a quello puramente economico,
posto che la legittimità di tale scelta, che ha condotto la stazione appaltante
ad attribuire ben 75 punti per gli elementi qualitativi dell’offerta e solo 25
punti per quelli di natura economica, si percepisce nella sua con divisibilità
se solo si tengano in considerazione le variegate e peculiari tipologie di
servizi da proporre per la concessione e, soprattutto, la rilevanza assoluta
del luogo ove detti servizi dovranno svilupparsi.
Neppure possono condividersi quelle doglianze
attraverso le quali si contesta una limitata capacità informativa
dell’amministrazione procedente che avrebbe impedito una chiara e completa
verifica dei luoghi ove i servizi dovranno svilupparsi, al fine di poter
redigere delle offerte consapevolmente orientate, tenuto conto che dalla
documentazione prodotta tale deficit della disponibilità cognitiva messa a
disposizione degli aspiranti concessionari non si rileva con quel livello di
assertività dimostrativa che invece accompagna le prospettazioni di parte
ricorrente.
19. – In ragione delle suesposte considerazioni,
respinte le eccezione preliminari sollevate dalla parte resistente, il ricorso
va accolto nei limiti e nei termini descritti in motivazione, con conseguente
annullamento dell’atto impugnato.
Per la peculiarità della questione il Collegio stima
che sussistano i presupposti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c. novellato, per come
richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a., per compensare integralmente tra le
parti costituite le spese di lite ordinando, nel contempo, come per legge la
restituzione del contributo unificato versato dalle ricorrenti a carico
dell’amministrazione soccombente.
P.Q.M.
pronunciando in via definitiva sul ricorso indicato in
epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.
Spese compensate con restituzione dell’importo per
contributo unificato versato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del
giorno 17 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:
Angelo Scafuri, Presidente
Pietro Morabito, Consigliere
Stefano Toschei, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18/06/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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