PROCEDIMENTO & IMMIGRAZIONE:
il cittadino extracomunitario
che richiede il visto d’ingresso per turismo
e l'art. 21 octies della L. n. 241/1990
(T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III ter,
sentenza 19 dicembre 2013 n. 10971).
Massima
1. È irrilevante l'omissione della comunicazione delle ragioni ostative all'accoglimento dell'istanza di rilascio del visto di ingresso per turismo nel caso in cui sia inidonea a modificare l'esito del procedimento, essendo il provvedimento di diniego finale atto dovuto alla stregua dell'art. 21 octies della L. n. 241 del 1990 come modificata dalla L. n. 15 del 2005.
2. Deve essere considersi che la disciplina in tema di rilascio dei visti di ingresso di cittadini di Stati terzi entro l'area Schengen complessivamente costituita dal Codice dei visti e dal relativo Manuale deve intendersi di stretta applicazione, stante la responsabilità internazionale che l'Italia si è assunta rispetto agli altri Stati membri aderendo alla relativa Convenzione, con la conseguenza che anche la minima mancanza dei requisiti previsti in capo al richiedente il visto d'ingresso giustifica ex se l'adozione, da parte dell'Autorità competente, del conseguente provvedimento di reiezione della relativa domanda (cfr. Cons. di Stato, Sez. IV, n. 1207/2013 del 19 febbraio 2013).
3. Da ciò discende che lo straniero che richiede il visto d’ingresso per turismo non deve limitarsi a dimostrare la disponibilità dei mezzi necessari ad assicurarne la sussistenza per la durata del soggiorno ed il ritorno in patria ma, più in generale, deve esibire quegli atti necessari a comprovare "lo scopo e le condizioni del soggiorno" (art. 5 del trattato di Schengen e art. 4 comma 3 d. lgs. n. 286/98) e le finalità dello stesso (art. 5 d.p.r. n. 394/99).
4. A tal fine, l'interessato deve fornire all'amministrazione la prova delle condizioni che giustificano le finalità del soggiorno e, nella fattispecie, trattandosi di visto d’ingresso per turismo caratterizzato da necessaria temporaneità (confermata dalla durata del soggiorno che non può essere superiore a novanta giorni: artt. 10, 11 e 15 trattato di Schengen), dei presupposti dai quali si possa ragionevolmente ritenere l'interesse dello straniero a fare rientro nel Paese d'origine onde scongiurare il c.d. "rischio migratorio", con l’ulteriore necessaria precisazione che, al fine della dimostrazione dello scopo del soggiorno, la documentazione esibita deve essere, oltre che idonea, anche attendibile, dovendosi astenere la competente autorità, in caso contrario, dal rilascio del visto (cfr. art. 32, lett. b), Codice dei visti, e art. 4, d.m. 11.05.2011).
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per
il Lazio
(Sezione Terza Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5169 del 2013,
proposto da: Jameel Fatima, rappresentata e difesa dall'avv. M. Beatrice
Zammit, presso il cui studi è domiciliata elettivamente in Roma, via
Alessandria, 130;
contro
il Ministero degli Affari Esteri - Ambasciata di
Islamabad – in persona del Ministro p. t., rappresentato e difeso per legge
dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi,
12;
per l'annullamento
del provvedimento in data 19.03.2013 recante il
rigetto istanza volta ad ottenere il visto di ingresso per motivi di turismo;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del
Ministero degli Affari Esteri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 novembre
2013 il Cons. Donatella Scala e uditi per le parti i difensori come specificato
nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue:
FATTO e DIRITTO
I. Con il ricorso in epigrafe la ricorrente, cittadina
pakistana, impugna il provvedimento emarginato in epigrafe con cui l’intimato
Ministero degli affari esteri ha respinto la richiesta di visto d’ingresso per
turismo, prodotta al fine di visitare il Paese.
Deduce, al riguardo, la violazione dell’art. 10 bis,
legge n. 241/1990 e l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e di
motivazione (art. 3, legge n. 241/1990), e la violazione dell’art. 4, d.lgs.
286/98 e dell’art. 5, d.P.R. n. 394/99, eccesso di potere per carenza di
presupposti.
Posto che il visto d’ingresso non poteva essere negato
in presenza di tutti i requisiti di legge e, segnatamente, disponibilità dei
mezzi di sussistenza, di un alloggio e idoneo titolo di viaggio, ha dedotto la
violazione dell’art. 10 bis, legge n. 241/1990, essendo stata omessa la previa
comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda, ed ancora,
l’insufficiente motivazione, attesa la sua genericità.
Deduce, infine, la violazione dell’art. 6, Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, nonché degli artt. 24 e 117
della Costituzione, atteso che l’assenza d motivazione priverebbe la ricorrente
di tutela giurisdizionale.
Si è costituita in giudizio l’Avvocatura Generale
dello Stato per resistere al ricorso, senza peraltro, depositare documenti o
spiegare memorie.
Con ordinanza n.6427/2013 del 28 giugno 2013 sono
stati, pertanto, disposti incombenti istruttori a carico del resistente
Ministero, che il 2 luglio 2013 ha provveduto a depositare i chiesti
chiarimenti.
Alla pubblica udienza del 28 novembre 2013, fissata
per la trattazione nel merito con ordinanza n. 3081/2013 del 31 luglio 2013, il
Collegio ha trattenuto la causa a sentenza.
II. Il ricorso è infondato.
Occorre premettere una breve ricognizione della evoluzione
della disciplina che regola l’ingresso nel territorio nazionale.
A mente dell’art. 5 del trattato di Schengen,
ratificato dall'Italia con la legge n. 388/93, poi confermato dall'art. 5,
comma 1, lettera c), Reg. CE n. 562/06, per l'ingresso nel territorio dei Paesi
contraenti lo straniero deve esibire "i documenti che giustificano lo
scopo e le condizioni del soggiorno previsto e disporre dei mezzi di
sussistenza sufficienti, sia per la durata prevista del soggiorno, sia per il
ritorno nel paese di provenienza"; tali formalità debbono, in particolare,
essere rispettate per il rilascio del "visto uniforme" avente durata
non superiore a tre mesi (artt. 10, 11 e 15 del trattato).
Sul fronte nazionale, l'art. 4, comma 3, d. lgs. n.
286/98, prevede che per conseguire il visto d’ingresso lo straniero deve
dimostrare "di essere in possesso di idonea documentazione atta a
confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di
mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno e, fatta eccezione
per i permessi di soggiorno per motivi di lavoro, anche per il ritorno nel
Paese di provenienza"; l'art. 5, comma 6, d.P.R. n. 394/99 stabilisce, in
via applicativa, che al momento della domanda, oltre alla documentazione
necessaria per il tipo di visto richiesto, lo straniero deve depositare quella
concernente "la finalità del viaggio".
Occorre aggiungere che la materia dei visti è stata
regolata a livello comunitario dal Codice Comunitario dei visti, istituito con
il Reg. CE del 13.07.2009, n. 810/2009, il cui art. 32 indica i casi in cui il
visto è rifiutato, e, specificamente, quando il richiedente: i) presenta un
documento di viaggio falso, contraffatto o alterato; ii) non fornisce la
giustificazione riguardo allo scopo e alle condizioni del soggiorno previsto;
iii) non dimostra di disporre di mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la
durata prevista del soggiorno sia per il ritorno nel paese di origine o di
residenza oppure per il transito verso un paese terzo nel quale la sua ammissione
è garantita, ovvero non è in grado di ottenere legalmente detti mezzi; iv)
abbia già soggiornato per 90 giorni nell'arco del periodo di 180 giorni in
corso, sul territorio degli Stati membri in virtù di un visto uniforme o di un
visto con validità territoriale limitata; v) è segnalato nel SIS al fine della
non ammissione; vi) sia considerato una minaccia per l'ordine pubblico, la
sicurezza interna o la salute pubblica, quale definita all'articolo 2,
paragrafo 19, del codice frontiere Schengen, o per le relazioni internazionali
di uno degli Stati membri e, in particolare, sia segnalato nelle banche dati
nazionali degli Stati membri ai fini della non ammissione per gli stessi
motivi; vii) non dimostra di possedere un'adeguata e valida assicurazione sanitaria
di viaggio, ove applicabile (lett. a); oppure, qualora vi siano ragionevoli
dubbi sull'autenticità dei documenti giustificativi presentati dal richiedente
o sulla veridicità del loro contenuto, sull'affidabilità delle dichiarazioni
fatte dal richiedente o sulla sua intenzione di lasciare il territorio degli
Stati membri prima della scadenza del visto richiesto (lett. b).
In attuazione del Regolamento ora richiamato è stata
poi adottata la decisione della Commissione C(2010) 1620 del 19 marzo 2010 che
istituisce il "Manuale per il trattamento delle domande di visto e la
modifica dei visti già rilasciati", a sua volta modificato con la
decisione di esecuzione C(2011) 5501 del 4 agosto 2011 della Commissione
medesima; nelle premesse della decisione C(2010) 1620 del 19 marzo 2010 si
afferma, per quanto d’interesse, che il Manuale, adottato sulla base di
apposita previsione contenuta nell'art. 51 del Codice dei visti, "non
stabilisce obblighi giuridicamente vincolanti per gli Stati membri né definisce
nuovi diritti e doveri per i soggetti eventualmente interessati, ma mira a
garantire un'applicazione armonizzata delle disposizioni giuridiche. Soltanto
gli atti giuridici su cui il manuale si basa, o a cui fa riferimento, producono
effetti giuridicamente vincolanti e possono essere invocati dinanzi ad un
giudice nazionale….”
Il Par. 7.12 della decisione in esame impone,
peraltro, alle Autorità consolari dei Paesi membri di valutare, nelle
istruttorie da loro svolte ai fini del rilascio dei visti di ingresso nei rispettivi
Stati, e dunque implicanti l'ingresso in tutti gli Stati della c.d. "area
Schengen", gli elementi che sono di fondamentale importanza per la stessa
affidabilità ed efficienza del "sistema" sul quale si regge la
politica comune del rilascio dei visti medesimi, ossia: "1) il rischio che
il richiedente il visto di ingresso emigri clandestinamente nel territorio
degli Stati membri, avvalendosi pertanto della formale dichiarazione del fine
turistico, professionale o di visita ai familiari quale pretesto per stabilirsi
illegalmente e in modo permanente sul territorio anzidetto; 2) la sussistenza
di un'effettiva intenzione del richiedente di lasciare il territorio degli
Stati membri prima della scadenza del visto da lui chiesto; impone, altresì, di
effettuare tale valutazione con riguardo, in particolare, alla situazione
socioeconomica del richiedente il visto, peraltro con la precisazione che deve
essere considerata una serie di fattori, quali " i vincoli familiari o
altri legami personali nel paese di residenza; - i vincoli familiari o altri
legami personali negli Stati membri; lo stato civile; la situazione lavorativa
(livello salariale, se lavoratore dipendente); la regolarità delle entrate
(lavoro dipendente, lavoro autonomo, pensione, redditi da investimenti, ecc.)
del richiedente o del coniuge, dei figli o delle persone a carico; il livello
del reddito; lo status sociale nel paese di residenza (ad esempio eletto a una
carica pubblica, rappresentante di una ONG, professione di alto status sociale
come avvocato, medico, docente universitario); il possesso di una casa o di un
bene immobile".
In coerenza con le disposizioni ora riportate,
sovviene il decreto del Ministero degli Affari Esteri del 11/05/2001, recante
la definizione delle tipologie dei visti d'ingresso e dei requisiti per il loro
ottenimento; rileva, in proposito l’art. 4, del d.m. in esame, che richiama le
prescrizioni contenute nel Codice comunitario dei visti, da osservare in
occasione dell'esame delle richieste di visto di breve durata e rivolte alle
autorità ritenute esclusivamente competenti in siffatta materia, ossia alle
rappresentanze diplomatico-consolari, che devono prestare particolare
attenzione alla valutazione se il richiedente presenti un rischio di
immigrazione illegale ed offra adeguate garanzie sull'uscita dal territorio
degli Stati membri alla scadenza del visto richiesto, potendosi avvalere, a
tali fini, della richiesta di apposita documentazione, relativa anche allo
scopo del viaggio ed alla condizione socio-economica del richiedente, e di un
colloquio con il richiedente il visto, con l’avvertenza che “In caso di
negativo riscontro sull'autenticità e sull'affidabilità della documentazione
presentata, nonché sulla veridicità e sull'attendibilità delle dichiarazioni
rese, la rappresentanza diplomatico-consolare si asterrà dal rilascio del
visto”.
Con riferimento alla specifica tipologia di
provvedimento oggetto di controversia, il punto 19 dell’allegato A del decreto
del Ministro degli Affari Esteri del 11/05/2001, dispone che il visto
d’ingresso per ragioni di turismo è subordinato al possesso dei seguenti
requisiti e condizioni:
a) adeguati mezzi finanziari di sostentamento, non
inferiori all'importo stabilito dal Ministero dell'interno con la direttiva di
cui all'art. 4, comma 3, del testo unico n. 286/1998 e successive modifiche ed
integrazioni;
b) il titolo di viaggio di andata e ritorno (o
prenotazione), ovvero la disponibilità di autonomi mezzi di viaggio;
c) la disponibilità di un alloggio: prenotazione
alberghiera o dichiarazione di ospitalità, prestata da cittadino italiano o
straniero regolarmente residente in Italia. Questa, che dovrà riportare la
disponibilità del dichiarante ad offrire un alloggio in territorio nazionale al
richiedente il visto, riveste valore esclusivamente ai fini della dimostrazione
del possesso del requisito della disponibilità di un alloggio;
d) assicurazione sanitaria, di cui alla Decisione del
Consiglio del 22 dicembre 2003.
III. Dal complesso delle disposizioni in esame si
evince che alle richieste di ingresso per il soggiorno di breve durata nel
territorio nazionale sono connessi obblighi assunti inderogabilmente dallo
Stato italiano nei riguardi di tutti gli Stati anche non appartenenti
all'Unione Europea ma partecipanti all'area Schengen; onde consentirne il pieno
rispetto, alle rappresentanze diplomatiche presenti nei Paesi terzi sono
affidati in via esclusiva delicati apprezzamenti discrezionali, circa il c.d.
rischio migratorio, in modo che sia scongiurato il pericolo di flussi illegali di
cittadini extracomunitari attraverso un uso distorto della normativa regolante
i controlli di accesso alla frontiera.
Deve essere, infatti, considerato che la disciplina in
tema di rilascio dei visti di ingresso di cittadini di Stati terzi entro l'area
Schengen complessivamente costituita dal Codice dei visti e dal relativo
Manuale deve intendersi di stretta applicazione, stante la responsabilità
internazionale che l'Italia si è assunta rispetto agli altri Stati membri
aderendo alla relativa Convenzione, con la conseguenza che anche la minima
mancanza dei requisiti previsti in capo al richiedente il visto d'ingresso
giustifica ex se l'adozione, da parte dell'Autorità competente, del conseguente
provvedimento di reiezione della relativa domanda (cfr. Cons. di Stato, Sez.
IV, n. 1207/2013 del 19 febbraio 2013).
Da quanto sopra discende che lo straniero che richiede
il visto d’ingresso per turismo non deve limitarsi a dimostrare la
disponibilità dei mezzi necessari ad assicurarne la sussistenza per la durata
del soggiorno ed il ritorno in patria ma, più in generale, deve esibire quegli
atti necessari a comprovare "lo scopo e le condizioni del soggiorno"
(art. 5 del trattato di Schengen e art. 4 comma 3 d. lgs. n. 286/98) e le
finalità dello stesso (art. 5 d.p.r. n. 394/99).
A tal fine, l'interessato deve fornire
all'amministrazione la prova delle condizioni che giustificano le finalità del
soggiorno e, nella fattispecie, trattandosi di visto d’ingresso per turismo
caratterizzato da necessaria temporaneità (confermata dalla durata del
soggiorno che non può essere superiore a novanta giorni: artt. 10, 11 e 15
trattato di Schengen), dei presupposti dai quali si possa ragionevolmente
ritenere l'interesse dello straniero a fare rientro nel Paese d'origine onde
scongiurare il c.d. "rischio migratorio", con l’ulteriore necessaria
precisazione che, al fine della dimostrazione dello scopo del soggiorno, la
documentazione esibita deve essere, oltre che idonea, anche attendibile,
dovendosi astenere la competente autorità, in caso contrario, dal rilascio del
visto (cfr. art. 32, lett. b), Codice dei visti, e art. 4, d.m. 11.05.2011).
IV. Tanto premesso, e venendo al caso in controversia,
il provvedimento richiama, quale motivo posto a fondamento del diniego, le
seguenti cause: i) le informazioni fornite per giustificare lo scopo e le
condizioni del soggiorno previsto non sono attendibili; ii) l’intenzione di
lasciare il territorio degli Stati membri prima della scadenza del visto
richiesto non può essere stabilita con certezza.
Il provvedimento indica, dunque, le ragioni a base del
diniego di visto, sia pure attraverso l’utilizzo di un modulo prestampato,
atteso che le rappresentanze diplomatiche utilizzano motivazioni standard di
diniego, mediante l’apposizione di un segno su una o più caselle che indicano
ognuna le diverse ragioni che escludono la ricorrenza delle condizioni
necessarie per il rilascio di un visto d’ingresso, dovendosi avvalere del
modello contemplato dall'allegato VI al Codice CE dei visti, sopra richiamato.
Il Collegio ritiene, peraltro, che l’utilizzo di
formule standardizzate, ancorché necessario per le ragioni sopra indicate, non
esime il giudice dall’esercizio del proprio sindacato di legittimità della
motivazione medesima, dovendo verificare che le formule utilizzate non siano
generiche e siano idonee a disvelare l’iter logico seguito dalla P.A.
attraverso l’indicazione di quale sia il requisito ritenuto insussistente e
tale da giustificare il provvedimento negativo.
Nel caso in esame, invero, le cause ritenute ostative
dal resistente Ministero corrispondono in modo preciso alle ipotesi che già la
normativa qualifica come inibitrici del rilascio del visto d’ingresso, in
ragione della inattendibilità delle dichiarazioni rese a tali fini (art. 32,
lett. b) del Codice CE dei visti).
Come evidenziato nella nota dell’Ambasciata d’Italia a
Islamabad, versata in atti dall’Avvocatura Generale dello Stato, la ricorrente,
che pure sostiene di svolgere attività lavorativa, ha richiesto il visto
d’ingresso per visitare il Paese per un periodo di ben novanta giorni,
circostanza questa che risulta all’evidenza in contraddizione con le
dichiarazioni rese circa l’occupazione lavorativa.
Ritiene il Collegio che nessuna censura può essere
mossa all’Amministrazione che ha correttamente desunto l'esistenza del c.d.
"rischio migratorio" proprio dalla inattendibilità delle
dichiarazioni rese alla competente autorità, cui la normativa riserva il potere
valutativo dei requisiti necessari per ottenere il visto, tra cui la ragionevolezza
della intenzione di lasciare il territorio alla scadenza del visto.
In considerazione di tutto ciò, non sono stati
dimostrati in modo attendibile, come richiesto dalla normativa, i requisiti
contemplati dalla normativa sopra esaminata ai fini del rilascio del visto
d'ingresso, con ogni effetto in ordine alle conseguenti valutazioni in merito
riservate al competente Ufficio diplomatico.
In conclusione, la rilevata assenza dei requisiti
necessari per ottenere il visto, con particolare riferimento alla affidabilità
delle dichiarazioni fatte dal richiedente ed ai dubbi sulla sua intenzione di
lasciare il territorio degli Stati membri prima della scadenza del visto
richiesto, alla stregua di quanto contempla l’art. 32, lett. b), Codice Ce dei
visti che, si ribadisce, conforma precettivamente gli obblighi assunti dallo
Stato italiano nei riguardi di tutti gli Stati anche non appartenenti
all'Unione Europea ma partecipanti all'area Schengen, e di quanto prevede
l’art. 4, del d.m. del 2011, non poteva dunque che comportare la reiezione
della domanda presentata dalla ricorrente per il rilascio del visto d’ingresso.
Da quanto ora osservato emerge, per l’effetto, anche
l’infondatezza del vizio dedotto, sotto il profilo della omessa comunicazione
delle ragioni ostative all'accoglimento dell'istanza, per il suo carattere
“formale” e per la evidente inidoneità a modificare l'esito del procedimento
nel caso di specie, e dunque è inidoneo a determinare ex se l'illegittimità del
provvedimento di diniego finale, alla stregua dell'art. 21 octies, l. n. 241
del 1990, come modificata dalla l. n. 15 del 2005.
Sussistono motivi, con riferimento alla materia
oggetto di controversia, per compensare le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio,
Sezione Terza Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe
proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 28 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Daniele, Presidente
Carlo Taglienti, Consigliere
Donatella Scala, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/12/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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