"AUTHORITY":
la Telecom sanzionata (pesantemente)
dall'Antitrust
per abuso di posizione dominante
(Cons. St., Sez. VI,
sentenza 15 maggio 2015, n. 2479)
Brevissimo commento
Una sentenza così non puoi massimarla senza (almeno un po') tradirla).
Si segnalano, comunque, sia le precisazioni sull'effetto devolutivo dell'appello (punto n. 4), sui limiti del sindacato del Giudice amministrativo in materia di sanzioni delle Autorità Amministrative Indipendenti, come l'Antitrust (punti n. 5) e sulla nozione rilevante di "abuso di posizione dominante" (punto n. 6 del diritto).
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il
Consiglio di Stato
in
sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso
numero di registro generale 7371 del 2014, proposto da:
Telecom Italia Spa,
rappresentato e difeso dagli avv. Angelo Clarizia, Francesco Cardarelli,
Antonio Briguglio, Mario Siragusa, Filippo Lattanzi, Marco D'Ostuni, con
domicilio eletto presso Lattanzi Cardarelli Studio Legale Lca in Roma, Via
G.P. Da Palestrina N.47;
contro
Autorita'
Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust, rappresentato e difeso
per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
Fastweb Spa, rappresentato e difeso dagli avv. Andrea Guarino, Gustavo
Olivieri, Renzo Ristuccia, Luca Tufarelli, con domicilio eletto presso Andrea
Guarino in Roma, piazza Borghese N. 3; Wind Telecomunicazioni Spa,
rappresentato e difeso dagli avv. Mario Libertini, Beniamino Caravita Di
Toritto, Sara Fiorucci, con domicilio eletto presso Beniamino Caravita in
Roma, Via di Porta Pinciana, 6; AII-Associazione Italiana Internet Provider,
rappresentato e difeso dall'avv. Andrea Valli, con domicilio eletto presso
Andrea Valli in Roma, Via del Governo Vecchio 20; Vodafone Omnitel Nv,
rappresentato e difeso dagli avv. Fabio Cintioli, Alessandro Boso Caretta,
con domicilio eletto presso Fabio Cintioli in Roma, Via Vittoria Colonna 32;
Bt Italia Spa, rappresentato e difeso dagli avv. Rino Caiazzo, Sergio Fienga,
Francesca Costantini, con domicilio eletto presso Rino Caiazzo in Roma, Via
Ludovisi, 35;
per la
riforma
della
sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I n. 04801/2014, resa tra le parti,
concernente irrogazione sanzione amministrativa pecuniaria per abuso di
posizione dominante;
Visti il
ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli
atti di costituzione in giudizio dell’Autorita' Garante della Concorrenza e
del Mercato – Antitrust, di Fastweb Spa, di Wind Telecomunicazioni Spa, di
AII-Associazione Italiana Internet Provider, di Vodafone Omnitel Nv e di Bt
Italia Spa;
Viste le
memorie difensive, le memorie conclusionali e di replica;
Visti tutti
gli atti della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 28 aprile 2015 il Cons. Sergio De Felice e
uditi per le parti gli avvocati Clarizia, Briguglio, Cardarelli, D'Ostuni,
Siragusa, Lattanzi, l’avvocato dello Stato Fiorentino, gli avvocati Guarino,
Olivieri, Ristuccia, Caiazzo, Valli, Cintioli, Boso Caretta, Caravita Di
Toritto, Fiorucci;
Ritenuto e
considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La
società Telecom agiva
in tempi diversi dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio
con due distinti ricorsi (r.g.n.4406 del 2012 e r.g. n.6374 del 2013) avverso
atti adottati dall’Autorità Garante della concorrenza e del mercato; con il
primo (4406 del 2012), veniva impugnato il provvedimento prot. N.27139/11 di
rigetto degli impegni presentati nell’ambito del procedimento A 428 ai sensi
dell’art. 14-ter L.287 del 1990; con il successivo ricorso (r.g.n.6374 del
2013), veniva impugnato il provvedimento adottato dall’Autorità con cui si
era accertato che la Telecom aveva
commesso due abusi di posizione dominante in violazione dell’art. 102 TFUE,
ordinando di astenersi dall’attuare in futuro comportamenti analoghi e si
applicava la sanzione amministrativa pari a euro 88.182.000 per il primo
abuso e euro 15.612.000 per il secondo abuso; veniva altresì impugnato il
provvedimento recante rigetto degli impegni del 14 marzo 2012.
In fatto, a
seguito delle segnalazioni inviate dalle concorrenti società Wind e Fastweb,
l’AGCM in data 23 giugno 2010, aveva deliberato l’avvio di un procedimento
istruttorio per abuso di posizione dominante ai sensi dell’art. 102 TFUE,
riguardante l’elevato numero di rifiuti di attivazioni di servizi
all’ingrosso richiesti dai concorrenti per la fornitura di servizi ai clienti
finali e l’applicazione di rilevanti sconti alla clientela business nelle
aree aperte all’Unbundling LocalLoop, cioè nelle aree ove è fornito ai
concorrenti il servizio di accesso al tratto finale della rete verso il cliente,
e tale da non consentire agli OLO (Other Licensed Operators, ovvero
gli operatori concorrenti) di competere in maniera efficace.
A seguito di
complessa istruttoria, alla quale prendevano parte in qualità di
intervenienti numerosi concorrenti e che vedeva numerose audizioni di Telecom e del suo Organo di
Vigilanza, in data 8 luglio 2011-2 agosto 2011 Telecom presentava i propri
impegni, ai sensi dell’art. 14-ter della Legge n.287 del 1990, pubblicati sul
sito dell’Autorità in data 5 agosto 2011 e in data 20 dicembre 2011 ne
presentava di ulteriori, ma gli stessi non venivano accettati dall’Autorità
che, dopo avere prorogato il termine di chiusura del procedimento, in data 11
dicembre 2012 inviava la comunicazione delle risultanze istruttorie.
Nel procedimento,
l’Autorità Garante per le Comunicazioni, dopo avere richiesto proroga del
termine di cui all’art. 1, comma 6 lettera c) n. 11 della legge n.249 del
1997, rilasciava il richiesto parere in data 29 marzo 2013.
Quindi,
l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, nell’adunanza del 9
maggio 2013, chiudeva l’istruttoria, adottando il provvedimento n.24339, con
cui imputava alla società Telecom di
avere posto in essere due abusi di posizione dominante: il primo consistente
nella opposizione di un numero ingiustificatamente elevato di rifiuti di
erogazione dei servizi all’ingrosso, nel periodo 2009/2011, finalizzato a
rallentare il processo di crescita dei concorrenti nei mercati dei servizi di
accesso al dettaglio di telefonia vocale e di accesso ad internet a banda
larga; il secondo, nella compressione dei margini dei concorrenti nelle
offerte alla Grande Clientela Affari, nel periodo 2009-luglio 2011, al fine
di ostacolare l’esplicarsi di una effettiva concorrenza per l’offerta dei
servizi di accesso al dettaglio rivolti alla clientela non residenziale.
Con il
provvedimento conclusivo dell’istruttoria veniva intimato a Telecom di astenersi in futuro dal
porre in essere comportamenti analoghi e venivano irrogate due sanzioni
amministrative pecuniarie pari rispettivamente ad euro 88.182.000 euro per la
prima infrazione e a euro 15.612.00 per la seconda infrazione.
I motivi di
ricorso consistevano nei vizi di violazione di legge e difetto di istruttoria
sotto svariati profili.
Il giudice di
primo grado respingeva tutti i motivi di ricorso, ritenendo immune dalle
dedotte censure l’attività svolta dall’Autorità.
In
particolare, il primo giudice riteneva immune da censure il rigetto degli
impegni, in quanto la valutazione negativa da parte dell’A.G.C.M. degli
impegni rientra nel margine di discrezionale apprezzamento, che viene rimesso
dalla vigente normativa all’Autorità procedente, non apprezzabile nel merito
in sede giurisdizionale; inoltre, la gestione immotivatamente differenziata,
e quindi discriminatoria, della procedura avente ad oggetto le richieste di
accesso degli OLO costituisce una palese violazione degli obblighi gravanti
sull’impresa in posizione dominante necessari a garantire le condizioni di
concorrenza effettiva nei mercati collegati a quello dell’infrastruttura di
rete.
Inoltre,
secondo la sentenza, le direttive comunitarie e la disciplina nazionale
impongono specifici obblighi in materia di uso e di accesso da parte dei
concorrenti di determinate risorse di rete, proprio al fine di promuovere la
concorrenza e di tutelare gli interessi dei new comers e
quindi a valle dei consumatori, per il principio di non discriminazione fra
attività interne ed esterne affinchè le imprese aventi potere di mercato,
attive anche nei mercati a vale di quello della infrastruttura essenziale,
non distorcano la concorrenza a detrimento dei terzi. Essendo
l’infrastruttura di Telecom essenziale
per consentire agli OLO di fornire i servizi di fonia e di banda larga, la
stessa società è tenuta, indipendentemente dal rispetto delle regole di
settore delle comunicazioni elettroniche, a garantire l’accesso dei
concorrenti a tale infrastruttura a condizioni eque, trasparenti e non
discriminatorie, configurandosi, in caso contrario, una ipotesi di abuso di
posizione dominante paradigmatica con effetti escludenti e con un conseguente
grave pregiudizio allo svolgimento della concorrenza nei mercati a valle al
dettaglio (i mercati al dettaglio collegati a quello a monte dell’accesso
alla infrastruttura di rete) in cui l’impresa titolare dell’input essenziale
detiene una posizione dominante e nei quali la sostituibilità tra la
produzione di TI e quella degli OLO suoi concorrenti è piena.
Veniva
ritenuta immune da censure anche la parte del provvedimento riguardante il
secondo abuso contestato, consistente in una condotta di compressione dei
margini (margin squeeze), consistente nell’avere attuato una politica
di sconti alla grande clientela affari per il servizio di accesso al
dettaglio alla rete telefonica fissa, con effetti restrittivi della
concorrenza.
Venivano
respinte anche le doglianze relative alla quantificazione delle sanzioni,
ritenute immuni dalle dedotte censure.
Avverso la
sentenza di primo grado propone appello, non sintetico, Telecom Italia spa (114 pagine),
nel quale in principio sintetizza l’atto di gravame ai sensi dell’art. 3,
comma 2 del c.p.a. con apposito indice degli argomenti e delle censure,
dividendo il corpo dell’atto in fatto e in diritto.
Nella
ricostruzione in fatto, l’appellante spiega cosa sono i KO, definisce il
quadro regolamentare e contrattuale, gli accertamenti dell’Agcom e dell’ODV
(organo indipendente di vigilanza di Telecom),
il provvedimento impugnato in primo grado e il parere condizionato dell’Agcom
e successivamente ripercorre la vicenda processuale di primo grado,
riportando a grandi tratti il ricorso e la sentenza.
Successivamente,
deduce numerosi motivi di appello, in buona sostanza riproduttivi dei motivi
già proposti e respinti o comunque non accolti in prime cure.
Nella parte
in diritto, come primo motivo di appello, deduce omessa pronuncia e difetto
assoluto di motivazione in generale; si sostiene che, nonostante la enorme
importanza della vicenda per l’assetto economico ed organizzativo di Telecom, la sentenza sarebbe affetta dal
vizio di omessa pronuncia e difetto assoluto di motivazione, in violazione
del principio di effettività della tutela giurisdizionale, in quanto il primo
giudice non avrebbe considerato tutti i motivi di ricorso, ma spesso avrebbe
utilizzato come perifrasi il provvedimento antitrust, rifiutando di svolgere
una minima delibazione dei fatti pur documentati da Telecom e delle sue proposte
ragioni.
Con motivi
dal secondo al quinto dei motivi di appello, in particolare, sul rifiuto
costruttivo di fornitura, deduce: mancata prova del rifiuto costruttivo,
mancata misurazione dei tempi di fornitura, sostenendo che i concorrenti
hanno goduto di risultati migliori e tempi di fornitura più rapidi di quelli
di Telecom; la
obbligatorietà delle presunte scelte organizzative diTelecom contestate (lista delle
verifiche necessarie, uso dei KO); altre contraddizioni e gravi errori del
provvedimento; mancata prova dei comportamenti opportunistici.
Il
provvedimento antitrust censura il sistema di fornitura all’ingrosso ai
concorrenti dei servizi di accesso alla rete in postazione fissa di Telecom, costruito in base a puntuali
indicazioni dell’Agcom e degli stessi concorrenti per garantire la
concorrenza e la parità di trattamento.
A partire dal
2008, su ordine dell’Agcom, Telecom ha
adottato, tra l’altro: 1) liste tassative concordate con gli altri operatori
dei casi in cui occorre scartare un ordine di fornitura (c.d. causali di
scarto); 2) modalità codificate di comunicazione in formato elettronico degli
scarti (c.d. KO); 3) una innovativa forma di separazione funzionale delle
unità aziendali che forniscono i servizi all’ingrosso, mediante i c.d.
Impegni Open Access.
L’Agcom e
l’organo indipendente di Telecom (ODV)
hanno accertato che, nel periodo sotto accusa (2008/2011), questo modello di
fornitura ha ben funzionato, garantendo una effettiva parità di trattamento
tra gli operatori pur con modalità di lavorazioni diverse.
Secondo
l’Autorità Antitrust, invece, il maggior ricorso ai KO nelle forniture ai
concorrenti costituirebbe un rifiuto costruttivo di fornitura perché avrebbe
rallentato la lavorazione delle loro richieste, benché essi abbiano ottenuto
risultati migliori delle funzioni interne di Telecom proprio in termini di attivazione delle
forniture, tempi di lavorazione e relativi costi.
Il
provvedimento sarebbe quindi affetto da numerosi vizi.
Con il
secondo motivo di appello, nello specifico, si sostiene che, come accertato
da Agcom e dall’ODV di Telecom,
l’uso dei KO non ha rallentato le forniture ai concorrenti, che hanno goduto,
al contrario, di tempi di fornitura più rapidi rispetto alle funzioni interne
di Telecom, nonché di
maggior successo nell’attivazione dei servizi. L’Autorità Antitrust disponeva
dei dati sui tempi ma, peccando in difetto di istruttoria, avrebbe omesso di
menzionarli nel provvedimento, le cui accuse risultano perciò infondate e
sprovviste di prova.
Con il terzo
motivo, si sostiene che l’uso dei KO e le liste tassative delle verifiche dei
processi di fornitura ai concorrenti non sono scelte autonome imputabili
a Telecom, ma sono imposti
dalla normativa di settore.
Con il quarto
motivo, si sostiene che, dimenticando le differenze tra i processi di
fornitura ai concorrenti e alle funzioni interne di Telecom, il provvedimento commette
quattro errori gravi nel comparare i rispettivi risultati con riguardo al
numero dei KO, rilevati anche dall’Agcom, dall’ODV e anche dalla denunciante
Fastweb: 1) non ha contato le sospensioni opposte alle funzioni interne
di Telecom come se
non fossero mai esistite, benché per ammissione della stessa AGCM individuino
anche esse l’insorgenza di problemi e abbiano rallentato la lavorazione, al
pari dei KO; 2) ha confrontato in maniera inattendibile l’incidenza di
specifiche tipologie di causali di scarto nei due processi, dimenticando che
i processi di fornitura alle divisioni interne di Telecom non usano le stesse liste e
quindi non sono direttamente confrontabili; 3) con un errore logico, ha
comparato i risultati delle funzioni interne di Telecom con quelli della media dei
concorrenti; tuttavia, la media aggrega risultati individuali molto diversi,
in quanto alcuni concorrenti hanno ottenuto risultati migliori delle funzioni
interne di Telecom e
altri concorrenti hanno ottenuto risultati peggiori, evidentemente per
inefficienze proprie e non dei metodi di lavorazione di Telecom; pertanto, l’AGCM ha errato nel
concludere che, in generale, i concorrenti siano stati discriminati; 4) i
dati riportati nel provvedimento confermano l’assenza di abusi con riguardo a
talune tipologie di servizi (linee attive, servizi a banda larga) e per
l’intero anno 2011.
Con il quinto
motivo di appello si sostiene l’erroneità della sentenza, in quanto, come
dimostrano anche gli sforzi profusi dall’appellante Telecom, i risultati raggiunti dai
concorrenti e la documentazione al fascicolo, l’Autorità Antitrust non ha
provato che Telecom abbia
adottato, tra il 2009 e il 2011, una strategia volta a rifiutare
intenzionalmente le richieste di fornitura di servizi all’ingrosso con
giustificazioni pretestuose, come invece sostenuto.
Con i motivi
di appello dal sesto al decimo, sull’abuso consistente nella compressione dei
margini, deduce: mancanza della condotta, erronea quantificazione dei ricavi
derivanti dall’ipotetica offerta analizzata, erronea sovrastima dei costi
commerciali, mancata analisi del bundle; erronea quantificazione
di prezzi e costi e altri errori metodologici.
Con il sesto
motivo, in particolare, deduce che l’AGCM ha sanzionato Telecom per una condotta ipotetica,
che secondo i suoi stessi accertamenti, quest’ultima non avrebbe posto in
essere; e pertanto non vi è alcun abuso.
Con il
settimo motivo, deduce che, nella valutazione di replicabilità, volta a
confrontare costi e ricavi delle ipotetiche offerte che Telecom avrebbe potuto commercializzare,
l’AGCM non ha considerato tutti i ricavi ottenibili, falsando così la
valutazione stessa.
Con l’ottavo
motivo deduce che l’AGCM ha errato nell’applicazione dei test di prezzo
regolamentari con riguardo alla stima dei costi commerciali.
Con il nono
motivo deduce che secondo le indicazioni della Commissione europea e
dell’Agcom, l’AGCM avrebbe dovuto svolgere l’analisi di replicabilità con
riguardo ai pacchetti di servizi messi in gara, anziché ai soli servizi di
accesso; con il decimo motivo contesta che l’AGCM ha erroneamente
quantificato numerose voci di costo.
Viene
contestata l’erroneità delle valutazioni che hanno portato alla seconda
contestazione di attività anticoncorrenziale, in quanto l’accertamento del
preteso abuso consistente nella compressione dei margini sarebbe erroneo per
l’approccio metodologico dell’Autorità, che non riesce a dimostrare che la
differenza tra i prezzi al dettaglio praticati ai clienti finali e i prezzi
all’ingrosso praticati ai concorrenti, quale impresa detentrice di una
risorsa essenziale, affinchè questi possano offrire a loro volta lo stesso
servizio al dettaglio, è tale da non coprire i costi specifici che gli stessi
concorrenti sostengono per erogare servizi in questione nei mercati a valle.
Con i motivi
dall’undicesimo al tredicesimo, come ulteriori vizi generali, comuni ad
entrambi gli abusi, deduce: l’incompatibilità dell’assunto dell’AGCM con il
quadro regolamentare di riferimento; lesione dei diritti di difesa; erroneo
rigetto degli impegni.
Senza fornire
adeguata motivazione rafforzata (undicesimo motivo), l’AGCM ha ignorato il
contesto regolamentare e contraddetto gli accertamenti dell’Agcom, benché
questi fossero volti ad assicurare i medesimi obiettivi dell’AGCM, con
analoghe metodologie e sulla base di un’analisi degli stessi dati.
L’AGCM non ha
consentito a Telecom (dodicesimo
motivo di appello) un adeguato contraddittorio, sia perché il provvedimento
modifica significativamente le accuse e gli elementi di prova a carico,
rispetto alla comunicazione delle risultanze istruttorie e sia perché non ha
concesso a Telecom l’accesso
a documenti decisivi, utilizzati ai fini delle accuse.
In fine,
l’AGCM ha erroneamente rigettato (tredicesimo motivo di appello) le proposte
di impegni avanzate da Telecom nel
corso del procedimento.
Con il
quattordicesimo e ultimo motivo di appello, vengono dedotte censure in ordine
alla quantificazione delle sanzioni: la sanzione irrogata è illegittima per
assenza dei presupposti per la irrogazione della sanzione (imputabilità ed
elemento soggettivo), per erronea valutazione sulla gravità e sulla durata,
per mancata considerazione di circostanze attenuanti ed erronea imputazione
della recidiva.
Si è
costituita con memoria di costituzione Vodafone Omnitel B.V., che chiede di
dichiarasi l’inammissibilità dell’appello e comunque di rigettarlo perché
infondato; ripropone le eccezioni di inammissibilità delle censure con le
quali si vorrebbe, a suo dire, sostituire il giudice nelle scelte
dell’Autorità proponendo un sindacato avanzato di merito, inammissibile in
sede di giurisdizione di legittimità o esclusiva e consentito soltanto per le
sanzioni; deduce l’inammissibilità anche per mancanza dei motivi specifici su
cui si fonda il ricorso (anche d’appello) teso a contestate tutti i passaggi tecnici
svolti dall’Autorità Antitrust, ma con carenza di vere censure di
legittimità.
Si è
costituita la società BT Italia spa chiedendo il rigetto dell’appello perché
infondato.
Si è
costituita la società Fastweb spa, che ripropone le eccezioni di inammissibilità
già sollevate in prime cure e chiede il rigetto dell’appello perché
infondato.
Si è
costituita l’Associazione Italiana Internet Provider (AIIP) che chiede il
rigetto dell’appello; si è costituita la WIND Telecomunicazioni spa, società
con azionista unico, che conclude per l’inammissibilità e il rigetto
dell’appello.
Si è
costituita l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato chiedendo il
rigetto dell’appello perché infondato e ribadendo la legittimità del suo
operato.
Telecom Italia
spa ha depositato memoria conclusionale e memoria di replica; Fastweb spa ha
depositato memoria e replica; Vodafone Omnitel B.V. ha depositato memoria e
replica; BT Italia spa ha depositato memoria; Wind Telecomunicazioni spa ha
depositato memoria; l’Associazione Italiana Internet Provider (AIIP) ha
depositato memoria.
Nelle memorie
difensive +e repliche depositate in vista della udienza di merito del 28
aprile 2015, le varie parti hanno ribadito in sostanza le stesse difese dei
precedenti atti.
Con deposito
del 7 aprile 2015 la difesa di Vodafone Omnitel spa ha depositato la delibera
AGCOM n.309/14/Cons del 19 giugno 2014 avente ad oggetto: “Diffida, ai sensi
del decreto legislativo 1 agosto 2003, n.259, a Telecom Italia s.p.a. a rispettare
gli obblighi di fornitura dei servizi di accesso wholesale di cui alle
delibere nn.718/08/CONS.731/09/CONS, e le procedure di cui alle delibere
n.274/07/CONS, n.41/09/CIR, n.35/10/CIR”.
Alla udienza
pubblica del 28 aprile 2015 la causa, previa discussione, è stata trattenuta
in decisione.
DIRITTO
1.Il primo
abuso contestato ha per oggetto la opposizione di un numero
significativamente elevato di KO (ossia di riscontri negativi o c.d.rifiuti
di fornitura) alle richieste di attivazione di servizi di accesso per la fornitura
del servizio al dettaglio di accesso a internet a banda larga da parte dei
nuovi potenziali concorrenti (OLO), con un trattamento sostanzialmente
divergente, e quindi ritenuto discriminatorio dall’Autorità, a seconda della
provenienza delle medesime richieste dalle divisioni interne di Telecom oppure dagli OLO.
L’Autorità
Garante aveva evidenziato che per le divisioni commerciali di Telecom la procedura prevede che
esse interagiscano direttamente con la funzione aziendale c.d. Open
Access costituita nel 2008 all’interno della Direzione
Technology & amp, Operations di Telecom e che i loro ordinativi nel caso di
indisponibilità di risorse siano posti in sospensione, in attesa che le
risorse si liberino; per gli operatori alternativi, invece, è previsto che
essi debbano interagire con la funzione aziendaleNational Wholesale
Services e che i loro ordinativi nei medesimi casi ricevano un KO
immediato, per effetto del quale sono costretti a procedere alla emissione di
un nuovo ordinativo e a dare avvio ad una nuova ed ulteriore procedura di
richiesta di accesso.
Tale
condotta, per l’Autorità, incide in modo significativo sui tempi di
lavorazione degli ordinativi, che per gli OLO risultano ingiustificatamente
più lunghi di quelli previsti per le divisioni interne dell’incumbent,
ostacolando la capacità di questi ultimi di operare in condizioni di
sostanziale parità con la società Telecom e,
quindi, di poter conquistare parte dei clienti già serviti daTelecom.
2.Il secondo
abuso di posizione dominante individuato dall’Autorità Garante consiste in
una condotta di compressione dei margini (margin squeeze), avendo
l’impresa posta in posizione dominante attuato una politica di sconti alla
grande clientela affari (GCA) per il servizio di accesso al dettaglio alla
rete telefonica fissa, tale da non consentire, ad un concorrente altrettanto
efficiente, di operare in modo redditizio e su base duratura nei medesimi
mercati, considerati anche i costi di accesso alla rete praticati da Telecom agli altri operatori, con
conseguenti effetti restrittivi della concorrenza sul mercato al dettaglio
dei servizi di accesso alla clientela non residenziale nelle aree aperte alla
concorrenza, ove è disponibile il servizio di accesso al tratto finale di
rete verso il cliente.
In primo grado,
l’operato dell’Autorità garante è stato dal primo giudice ritenuto immune
dalle addotte censure, in sostanza riproposte in appello.
3.In estrema
sintesi, come già riportato, nella parte in diritto, come primo motivo di
appello, si deduce omessa pronuncia e difetto assoluto di motivazione in
generale; si sostiene che il primo giudice non avrebbe considerato tutti i
motivi di ricorso, ma spesso avrebbe utilizzato come perifrasi il
provvedimento antitrust, rifiutando di svolgere una minima delibazione dei
fatti pur documentati da Telecom e
delle sue proposte ragioni.
La sentenza
non esaminerebbe, quantomeno compiutamente limitandosi ad asserzioni non
dimostrate, molti motivi di ricorso, riproposti in appello (ci si riferisce
ai motivi dal primo al quarto); farebbe riferimento alla “gestione
opportunistica delle causali di scarto” ritenendo “una oggettiva e dimostrata
consistenza nel quadro della complessiva condotta dell’incumbent”; con
riguardo al secondo abuso non avrebbe tenuto conto delle doglianze reiterate
in appello con i motivi dal settimo al decimo, sopra riportati; erroneamente
ha ritenuto che contro il ricorso depongono sia le decisioni della
Commissione nei mercati delle telecomunicazioni, sia gli accertamenti
dell’Agcom sulla compressione dei margini; erroneamente ha respinto il motivo
undicesimo, ritenendo che la normativa di settore non esenta dal divieto di
abuso di posizione dominante; l’Agcom e l’ODV di Telecom erano a conoscenza degli
accertamenti di fatti in senso diverso; il primo giudice adduce una
motivazione apodittica sia con riguardo alle censure di legittimità sulla
motivazione del provvedimento sanzionatorio che con riguardo alle censure
avverso il rigetto degli impegni.
4.Il Collegio
osserva che, in virtù del tipico effetto devolutivo dell’appello, da un lato
la lamentata omessa statuizione su un capo di impugnativa, laddove essa
effettivamente sussista, non può ricondursi al fenomeno processuale
dell’assorbimento, ma costituisce una vera e propria omessa pronuncia in
violazione dell’art. 112 c.p.c. (così Cons. Stato, VI; 30 giugno 2011,
n.3891); tale omissione non si traduce però in una causa di annullamento
della sentenza, in virtù dell’effetto devolutivo dell’appello e delle
tassative cause di annullamento con rinvio (ex artt. 105 c.p.a. e 353 e 354
c.p.c.). Proposta tale censura in appello, l’effetto devolutivo, tipico del
secondo grado di giudizio, consente al giudice di valutare nuovamente ogni
domanda riproposta, modificando o integrando la motivazione, ove necessario
(in tal senso, Cons. Stato, VI, 7 giugno 2011, n.3429; IV, 20 dicembre 2005,
n.7201; V, 13 febbraio 2009, n.824; 19 novembre 2009, n.7259; VI, 25
settembre 2009, n.5797).
Pertanto, il
giudice di appello è in condizione di esaminare compiutamente le doglianze
riproposte, anche per la parte in cui si ritiene che esse siano state
insufficientemente esaminate.
L’appello in
questione, d’altronde, in modo compiuto, censura sia la sentenza appellata
sia il provvedimento Antitrust.
In linea di
principio, nel giudizio di appello l’atto impugnato è la sentenza del Tar e
non il provvedimento impugnato in prime cure (tra varie, Cons. Stato, VI, 3
novembre 2009, n.6805), sicchè l’appellante ha l’onere di confutare le
argomentazioni del giudice di primo grado indicando, soprattutto, i motivi
per i quali la sentenza sarebbe erronea e da riformare.
Per tale
carattere devolutivo, laddove le censure di cui si lamenta il mancato esame,
siano state abbondantemente riproposte, come nella specie, criticando
soprattutto il provvedimento piuttosto che la sentenza (e anzi riproponendo
praticamente tante delle questioni, se non tutte, rappresentate in sede
procedimentale) sussiste in ogni caso la necessità del riesame completo del thema
decidendum sostanziale del giudizio di primo grado e tale operazione
ben può condurre a conclusioni opposte come anche identiche a quelle
raggiunte in primo grado (così Cons. Stato, III, 5 giugno 2012, n.3310).
L’appello
censura la sentenza di primo grado alternativamente: per essere stata
completamente omissiva nell’esame di diverse censure; per avere ripreso
intere parti del provvedimento antitrust per concludere per la legittimità
dello stesso.
Il Collegio
osserva che è la stessa modalità di prospettazione introdotta dalla parte
appellante, di sottoporre in modo non sintetico e a critica analitica
praticamente la quasi totalità dei passaggi di fatto e di diritto della
motivazione del provvedimento sanzionatorio antitrust – peraltro già
introdotti e controdedotti in quella fase - e non soltanto taluni passaggi
dell’iter logico-intellettivo ritenuti essenziali ai fini del decidere, ad
avere costretto il primo giudice a richiamare di contro, in modo altrettanto
pedissequo, le argomentazioni offerte dell’Autorità Garante.
Inoltre, non
pare che le numerose censure proposte, che a volte sono tra di loro analoghe,
siano state trascurate dal primo giudice, che le ha esaminate tutte, in
relazione agli argomenti addotti.
5.In
relazione alla possibile sostituzione indebita del giudice amministrativo
nell’esercizio dei poteri riservati all’Autorità Antitrust, talune delle
parti appellate (si veda Vodafone Omnitel B.V.) hanno eccepito
l’inammissibilità dei motivi; dall’altra parte, l’appello lamenta, come
detto, rispetto a talune censure, la omessa pronuncia o il mancato esame.
Il Collegio
osserva che, in linea generale, va di volta in volta trovato un punto di
equilibrio in relazione alla fattispecie concreta, tra la esigenza di
garantire effettività e pienezza alla tutela giurisdizionale, come invoca la
parte appellante e, dall’altro canto, l’esigenza di evitare che il giudice
sia portato esercitare il potere spettante all’Autorità (così Cons. Stato,
VI, 10 dicembre 2014, n.6050).
Il giudice
può sindacare con pienezza di cognizione i fatti oggetto della indagine ed il
processo valutativo mediante il quale l’Autorità applica alla fattispecie
concreta la regola individuata, anche utilizzando le scienze specialistiche
appartenenti all’Autorità.
Una volta
ritenute applicate correttamente tali regole, il sindacato del giudice deve
però necessariamente arrestarsi, non potendo consistere in una reiterazione
del procedimento Antitrust.
In
definitiva, le censure della parte appellante, con particolare riguardo al
primo abuso contestato (motivi dal secondo al quinto) per quanto ammissibili
ed esaminabili, come poi si vedrà, si pongono quasi ai limiti della stessa
ammissibilità e trovano il loro limite, nella misura in cui pretendono una
reiterazione o rinnovazione, punto per punto, degli accertamenti di fatti
svolti dalla istruttoria dell’Autorità, nonché dei vari passaggi logici,
laddove deve ritenersi che ciò che viene stigmatizzato è il comportamento
complessivo costituente l’abuso di posizione dominante, con strategia
escludente o con effetti escludenti.
Per
completezza, naturalmente, questo Collegio giudicante si ritiene in dovere di
esaminare tutti i motivi di appello, valutandoli nella loro sostanza di
critiche, rivolte sia al provvedimento sia alla sentenza, che lo ha ritenuto
immune dalle dedotte censure.
6.Prima di
affrontare le corpose, e non sintetiche, censure dell’appello, in buona
sostanza reiterative di quelle proposte e respinte o (si assume) non
esaminate in primo grado, va in premessa fatto riferimento alla nozione di abuso
di posizione dominante, agli obblighi di speciale responsabilità dell’ex
monopolista e ai limiti di sindacato dell’adito giudice amministrativo
rispetto a provvedimenti sanzionatori antitrust.
Come ha
ribadito la Sezione in materia (tra varie, sentenza n. 1673 dell’8 aprile
2014; sentenza del 12 febbraio 2014, n.693), la posizione dominante
rappresenta una situazione di forza rispetto ai concorrenti tale per cui
l'impresa che la detiene è in grado di poter (e qui sta il limite tra l'uso e
l'abuso) ostacolare il persistere delle condizioni che sono a base di una
situazione generale di effettiva concorrenza nel mercato che rileva; ed è per
questa sua forza, dagli effetti economici, in grado di tenere comportamenti
significativamente indipendenti da quelli dei concorrenti, dei clienti e, in
ultimo, dei consumatori.
Costituiscono
abuso di posizione dominante i comportamenti idonei ad incidere sulla
struttura di un mercato rilevante dove, per effetto della presenza della
dominante, il livello della concorrenza è già debole e che consistono non
solo nell'effettivamente impedire, ma anche soltanto nel tentare di impedire,
con mezzi diversi da quelli dell'ordinaria e proporzionata competizione in
prodotti o servizi, che permanga il livello di concorrenza ancora esistente o
il suo sviluppo.
A maggior
ragione, delicata è la posizione di dominanza nella ipotesi in cui, come
nella specie, si tratti dell’ex monopolista, che detiene l’infrastruttura
essenziale (essential facilities) e che sia verticalmente integrata con
la sua attività di impresa nel mercato a valle.
L'articolo
102 TFUE (come anche l'art. 3 l. n.287 del 1990) si limita a vietare l'abuso
di posizione dominante, ma non ne fornisce la definizione.
L'elenco di
condotte ivi riportate non è esaustivo e le pratiche menzionate sono solo
alcuni esempi di siffatti abusi: l'elenco delle pratiche abusive contenute in
tale disposizione è un numero aperto, che non esaurisce le modalità di
sfruttamento abusivo di posizione dominante contrastanti con il Trattato.
Ai fini
dell'art. 102 TFUE, la prova dell'oggetto e quella dell'effetto
anticoncorrenziale si confondono tra loro: se si dimostra che lo scopo
perseguito dal comportamento di un'impresa dominante è di restringere la
concorrenza, un tale comportamento è di per sé pregiudizievole, in quanto può
anche comportare tale effetto (sentenza del Tribunale Ue, del 29 marzo 2012,
causa T336/07, Telefonica; sentenza del Tribunale Ue, del 30 settembre 2003,
causa T203/01 Michelin; così sentenza del Tribunale Ue, del 17 dicembre 2003,
causa T219/99 dove si dice che "qualora un'impresa in posizione
dominante ponga effettivamente in essere una pratica che produca un effetto
preclusivo nei confronti dei propri concorrenti, la circostanza secondo cui
il risultato voluto non sia stato raggiunto non è sufficiente ad escludere la
sussistenza di un abuso di posizione dominante ai sensi dell'art. 102
TFUE").
L'illecito,
cioè, si perfeziona con la condotta anticoncorrenziale, purché di suo idonea
a turbare il funzionamento corretto e in esso la libertà stessa del mercato.
È sufficiente a integrarlo già la mera potenzialità dell'effetto restrittivo.
Ed è perciò
già la correttezza del comportamento economico del concorrente che
l'ordinamento intende garantire, non necessariamente la sola, oggettiva,
concorrenzialità del mercato.
Dunque, per
quanto in via statistica la più parte dei comportamenti abusivi di dominante
generi effetti restrittivi della concorrenza, va sottolineato che (Corte di
giustizia, 9 aprile 2012, causa C549/2012 P, Tomra) per accertare un abuso di
posizione dominante è sufficiente che il comportamento abusivo dell'impresa
dominante miri a restringere la concorrenza, ovvero che sia tale da avere, o
da poter avere, un tale effetto.
Al più, è
stato ritenuto che se la prassi di un'impresa dominante non può essere
qualificata abusiva se manca del tutto un minimo effetto anticoncorrenziale,
tale effetto non deve comunque essere concreto e totale rispetto alle
intenzioni, essendo sufficiente un effetto anticoncorrenziale potenziale (sentenza
della Corte di giustizia, 6 dicembre 2012, causa C457/10, Astrazeneca).
Il carattere
abusivo di un comportamento alla luce dell'art. 102 TFUE non ha relazione con
la sua conformità ad altre normative (sent. Astrazeneca, cit.), giacché gli
abusi di posizione dominante consistono, per lo più, proprio in comportamenti
leciti alla luce di altri settori dell'ordinamento, diversi dal diritto alla
concorrenza (così anche questa Sezione nel recente caso Pfizer: sent. 12
febbraio 2014, n. 693).
Non si tratta
di valutare la legittimità di atti alla luce dei vari settori
dell'ordinamento investiti, ma di considerare quelle condotte, pur
settorialmente lecite, alla luce della loro portata anticoncorrenziale.
Prospettiva
in relazione alla quale certi atti, anche se legittimi da quel punto di vista
settoriale, si colorano come elementi indicatori di questo sproporzionato
intento o effetto anticoncorrenziale (così nel detto recente precedente
n.1673 del 2014 della Sezione). Diversamente, l'abuso di posizione dominante
sarebbe pressoché inconfigurabile, grazie al semplice fatto che consiste il
più delle volte in comportamenti analiticamente leciti se visti solo alla
luce di settori dell'ordinamento altri da quello della concorrenza.
La reciproca
relatività degli ordinamenti di settore fa comprendere il fenomeno per cui
ciò che è lecito dal punto di vista dell'uno ordinamento, può al contempo non
esserlo dal punto di vista dell'altro.
In questa
prospettiva, va considerato che la tutela della concorrenza ad opera di un'apposita
autorità amministrativa indipendente - anche a mezzo dell'esercizio della
potestà sanzionatoria, anch'essa finalizzata alla sua generale funzione di
regolazione del settore - concerne il funzionamento corretto ed equilibrato
del diritto di libertà economica. Per questa ragione essa riguarda senza
esclusioni, anche a ragione delle inevitabili interazioni delle condotte
individuali d'impresa, tutti i comportamenti rilevanti per praticare la
restrizione della concorrenza, che considera dal solo punto di vista
economico (in quanto - nel caso particolare di abuso di posizione dominante -
orientati al ricorso a mezzi diversi da quelli che governano la normale
competizione dei prodotti o dei servizi sulla base delle prestazioni degli
operatori economici).
È perciò
essenziale, per l'effettività della tutela del mercato dai comportamenti
distorsivi, valutare le condotte per quello che economicamente significano,
adeguandole alla utilità economica che perseguono: considerandole come
stretti atti economici, in rapporto agli interessi concreti cui sono
orientate. Il che postula di renderle, a questi fini, indifferenti alle
qualificazioni che eventualmente ricevono altrove: e perciò di assumerle solo
nella loro dimensione utilitaristica, prescindendo dalle attribuzioni formali
che possono caratterizzarle alla luce di altri ordinamenti di settore.
Diversamente, alcuni comportamenti potrebbero sfuggire all'operatività della
tutela della concorrenza e al divieto di distorsione del mercato: ad esempio,
le condotte elusive o quelle di abuso; e più ancora se ne sottrarrebbero i
comportamenti tipizzati o comunque leciti sotto altri e diversi punti di
vista. L'effetto di sistema che ne deriverebbe sarebbe quello di un
intervento di garanzia intermittente e claudicante, a dispetto del carattere
sistemico del mercato e interdipendente dei comportamenti dei suoi attori.
Nella specie,
la posizione dominante è quella dell’ex monopolista, che possiede la
infrastruttura essenziale (essential facilities) per accedere al
mercato a valle, nel quale contestualmente continua ad occupare una
situazione, anche percentuale, di predominanza.
7.Sul secondo
profilo, coerentemente, il medesimo riguardo all'effettività dell'ordinamento
di tutela della concorrenza impone anche di considerare che la posizione di
impresa dominante – e tale è per definizione l’incumbent o ex monopolista -
in un mercato rilevante genera speciali doveri concorrenziali,
realisticamente legati al suo particolare potere di mercato e alla
conseguente particolare sensibilità del mercato rilevante alle sue operazioni
anticoncorrenziali, a maggior ragione quando essa sia, e continui ad essere,
la titolare della infrastruttura essenziale, senza l’accesso alla quale i
nuovi operatori non possono competere nel mercato a valle.
Il cennato
limite, a questo riguardo, tra uso e abuso della posizione di concorrente
dominante è dunque, in ragione del principio generale di proporzionalità, da
individuare in concreto, comparando questo potere economico alle distorsioni
della concorrenza che la condotta di quell'impresa in quello specifico ambito
è in grado di generare. Questa posizione particolare è dunque in concreto
fonte, in quel mercato, di una - come è evidenziato dalla giurisprudenza
europea sin da Corte giust. CE, 9 novembre 1983, n. 322/81, Michelin c.
Commissione - "speciale responsabilità" che incombe sull'impresa
dominante, con conseguenti obblighi particolari di tenere comportamenti
collaborativi o di astenersi da comportamenti che avrebbero un effetto
distorsivo proprio in quanto originati dalla dominanza (cfr., ad es., Cons.
Stato, VI, 13 settembre 2012, n. 4873).
In realtà,
quando si tratta di restringere la concorrenza, anche comportamenti
commerciali comuni o avallati dalla normativa di settore - che restano ben
legittimi se adottati da imprese non dominanti - possono essere abusivi se
adottati da un'impresa dominante (così, anche Trib. I grado Comunità europee,
30 settembre 2003, n. T203/01, Michelin).
L’enforcementantitrust tutela
la concorrenza con riferimento a comportamenti discrezionali dell’operatore
dominante nelle singole relazioni con i concorrenti, circoscritte nei tempi e
nei modi, nessun rilievo, a tal fine, potendo avere i precedenti quadri
regolatori favorevoli.
8.Prescindendo
dalla eccezione di inammissibilità svolta da taluna delle appellate (Fastweb
ma anche Vodafone) come sopra riportato, con specifico riguardo alla materia
antitrust, il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità
tecnica dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, è pieno e
particolarmente penetrante (in superamento della distinzione tra forte e
debole, secondo Cons. Stato, VI, 10 dicembre 2014, n.6050 per il principio di
effettività anche comunitaria in relazione alla specificità della
controversia) e si svolge tanto con riguardo ai vizi dell’eccesso di potere
(logicità, congruità, ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza del
provvedimento sanzionatorio e del relativo impianto motivazionale), ma anche
attraverso la verifica dell’attendibilità delle operazioni tecniche compiute,
quanto a correttezza dei criteri utilizzati ed applicati.
Resta
comunque fermo il limite della relatività delle valutazioni scientifiche o
della scienza economica, sicchè al giudice amministrativo è consentito
censurare la sola valutazione che si pone al di fuori dell’ambito di
opinabilità, di modo che il relativo giudizio non divenga sostitutivo di una
valutazione parimenti opinabile (così Cons. Stato, VI, 6 maggio 2014, n.2302).
Con
riferimento alle valutazioni tecniche, anche quando riferite ai c.d. concetti
giuridici indeterminati, la tutela giurisdizionale, per essere effettiva, non
può limitarsi ad un sindacato meramente estrinseco, ma deve consentire al
giudice un controllo intrinseco, avvalendosi eventualmente anche di regole e
conoscenze tecniche appartenenti alla medesima scienza specialistica
applicata dall’Autorità.
Sotto tale
profilo, pertanto, sono superabili, alla fine, le eccezioni d’inammissibilità
dei motivi di ricorso e di appello, perché sarebbero tesi a sostituire la
valutazione soggettiva dell’adito giudice alle valutazioni dell’Autorità, e
in senso contrario non depone la evidenziata circostanza che i motivi svolti
dall’appellante, in primo e secondo grado, intendano mettere in discussione
ogni passaggio procedimentale svolto dal procedimento, anche se non può
negarsi che il principio della inammissibilità della pretesa della integrale
sostituzione del giudice amministrativo venga messa a dura prova da ricorsi
formulati rimettendo in discussione tutti i passaggi rilevanti di un
procedimento antitrust, come avviene nella specie (basti, al riguardo,
osservare la riproduzione nel corpo del corposo appello, di grafici sui KO
alle pagine 53, 54, 55 dell’appello sui KO tecnico-gestionali).
Alla fine,
tuttavia, e ciò assume valenza decisiva, può ritenersi che si tratti di un
rilievo di tipo quantitativo e non qualitativo, e quindi, prese
singolarmente, le doglianze sono esaminabili nei limiti appena dinanzi rammentati,
anche per evidenti ragioni di completezza dell’adempimento del dovere di
rendere giustizia.
9.1.Come
anticipato, verranno esaminate sia le critiche alla sentenza sia le
riproposte critiche al provvedimento antitrust originariamente impugnato,
essendo questo lo stile utilizzato dalla impugnazione.
Il primo
giudice, in ordine al primo abuso, ha ritenuto che la gestione
immotivatamente discriminatoria della procedura avente ad oggetto le
richieste di accesso degli OLO costituisca una palese violazione degli
obblighi gravanti sull’impresa in posizione dominante, necessari a garantire
condizioni di concorrenza effettiva nei mercati collegati a quello della
infrastruttura di rete.
Il
provvedimento antitrust censura il sistema di fornitura all’ingrosso ai concorrenti
dei servizi di accesso alla rete in postazione fissa di Telecom, costruito però, asseriva Telecom, in base a puntuali indicazioni
dell’Agcom e degli stessi concorrenti per garantire la concorrenza e la
parità di trattamento.
Secondo
l’Autorità Antitrust, invece, il maggior ricorso ai KO nelle forniture ai
concorrenti costituirebbe un rifiuto costruttivo di fornitura perché avrebbe
rallentato la lavorazione delle loro richieste, benché essi abbiano ottenuto
a volte risultati migliori delle funzioni interne di Telecom proprio in termini di
attivazione delle forniture, tempi di lavorazione e relativi costi.
Con motivi
dal secondo al quinto dei motivi di appello, in particolare, sul rifiuto
costruttivo di fornitura, deduce: mancata prova del rifiuto costruttivo e
mancata misurazione dei tempi di fornitura, sostenendo che i concorrenti
hanno goduto, anche, di risultati migliori e tempi di fornitura più rapidi di
quelli di Telecom; la
obbligatorietà delle presunte scelte organizzative diTelecom contestate (lista delle
verifiche necessarie, uso dei KO); altre contraddizioni e gravi errori del
Provvedimento; mancata prova dei comportamenti opportunistici.
Si aggiunge
che, a partire dal 2008, su ordine dell’Agcom, Telecom ha adottato, tra l’altro:
1) liste tassative concordate con gli altri operatori dei casi in cui occorre
scartare un ordine di fornitura (c.d. causali di scarto); 2) modalità
codificate di comunicazione in formato elettronico degli scarti (c.d. KO); 3)
una innovativa forma di separazione funzionale delle unità aziendali che
forniscono i servizi all’ingrosso, mediante i c.d. Impegni Open Access.
L’Agcom e
l’organo indipendente di Telecom (ODV)
hanno accertato che, nel periodo sotto accusa (2008/2011), questo modello di
fornitura ha ben funzionato, garantendo una effettiva parità di trattamento
tra gli operatori pur con modalità di lavorazioni diverse.
Nello
specifico, il provvedimento sarebbe quindi affetto dai vari vizi: a) per il
secondo motivo di appello, come accertato da Agcom e dall’ODV, l’uso dei KO
non avrebbe rallentato le forniture ai concorrenti, che hanno goduto al
contrario di tempi di fornitura più rapidi rispetto alle funzioni interne
di Telecom, nonché di
maggior successo nell’attivazione dei servizi; l’Autorità Antitrust disponeva
dei dati sui tempi ma ha omesso di menzionarli nel provvedimento; b) per il
terzo motivo, l’uso dei KO e le liste tassative delle verifiche dei processi
di fornitura ai concorrenti non erano scelte autonome imputabili aTelecom, ma erano imposti dalla normativa
di settore; c) per il quarto motivo, il provvedimento commette diversi errori
gravi nel comparare i rispettivi risultati con riguardo al numero dei KO,
rilevati anche dall’Agcom, dall’ODV e anche dalla denunciante Fastweb: 1) non
ha contato le sospensioni opposte alle funzioni interne di Telecom come se non fossero mai
esistite, benché per ammissione della stessa AGCM, individuino anche esse
l’insorgenza di problemi e abbiano rallentato la lavorazione, al pari dei KO;
2) ha confrontato in maniera inattendibile l’incidenza di specifiche
tipologie di causali di scarto nei due processi, dimenticando che i processi
di fornitura alle divisioni interne di Telecom non
usano le stesse liste e quindi non sono direttamente confrontabili; 3) con un
errore logico, ha comparato i risultati delle funzioni interne di Telecom con quelli della media dei
concorrenti; tuttavia, la media aggrega risultati individuali molto diversi,
in quanto alcuni concorrenti hanno ottenuto risultati migliori delle funzioni
interne di Telecom e
altri concorrenti hanno ottenuto risultati peggiori, evidentemente per
inefficienze proprie e non dei metodi di lavorazione di Telecom, pertanto, l’AGCM ha errato nel
concludere che, in generale, i concorrenti siano stati discriminati; 4)
persino i dati riportati nel provvedimento confermano l’assenza di abusi con
riguardo a talune tipologie di servizi (linee attive, servizi a banda larga)
e per l’intero anno 2011; d) per il quinto motivo di appello, l’Autorità
Antitrust non ha provato che Telecom abbia
adottato tra il 2009 e il 2011 una strategia volta a rifiutare
intenzionalmente le richieste di fornitura di servizi all’ingrosso con
giustificazioni pretestuose.
In sostanza,
con le dette censure, Telecom sostiene
che l’AGCM non ha dimostrato che i tempi di fornitura dell’attivazione degli
OLO sono stati più lunghi di quelli assicurati alle sue divisioni
commerciali; la stessa Autorità ha ammesso che tali tempi non sono misurabili
e ha riconosciuto, contraddittoriamente, che anche le sospensioni degli
ordinativi hanno causato alle divisioni commerciali di Telecom un allungamento dei tempi
di fornitura.
Non è
dimostrato un rifiuto di fornitura e neanche un rifiuto costruttivo di
fornitura, consistente in “ritardi indebiti o in altre forme di danneggiamento
della fornitura del prodotto, o nella imposizione di condizioni irragionevoli
in cambio della fornitura”, poiché i tempi di fornitura non sono stati
misurati; secondo l’appellante, sia l’Agcom che l’ODV hanno riconosciuto la
correttezza del suo operato e la mancanza di disparità di trattamento.
In sostanza,
ancora, Telecom contesta
il criterio di metodo adottato dall’Autorità Antitrust, osservando che il
dato meramente quantitativo sarebbe errato e che dall’altro lato, occorreva
valutare i tempi medi; contesta che vi sia prova dell’utilizzo opportunistico
dei dinieghi.
9.2.Le
doglianze su riportate, relativa alla contestazione del primo abuso, sono
infondate, sia in via generale, perché l’appellante pretende di sostituire il
suo metodo logico a quello, spiegato adeguatamente e non illogico né
irragionevole, adottato dall’Autorità garante, sia perché anche le singole
confutazioni non superano la prova di resistenza della logicità
dell’istruttoria e della completezza procedimentale e provvedimentale.
Il Collegio,
per ordine e completezza, ritiene di esaminare le censure di appello, così
come proposte dalla parte appellante, seguendo l’ordine di formulazione
svolto dal gravame, che si duole della omissione di pronuncia su varie
domande già proposte in primo grado.
Non può non
evidenziarsi che, in relazione alla vicenda esaminata, in cui il
Provvedimento dell’Autorità è costituito da 573 paragrafi, la confutazione
del tenore dello stesso (così come la impugnativa della sentenza di prime
cure che lo ha ritenuto esente da censure di illegittimità proposte) non può
essere effettuata attraverso la critica singola, punto per punto, delle
affermazioni (per esempio, statistiche o testimoniali o su singoli episodi)
in esso contenute, le quali possono scontare un margine di indeterminatezza,
come di errori quantitativi accettabili.
Vanno
esaminate e ritenute ammissibili le censure volte a dimostrare l’erroneità
dell’iter logico-intellettivo utilizzato dall’Autorità e solo in tal senso
globale e complessivo, come detto, possono essere inquadrate le censure.
In premessa,
va chiarito che una condotta di rifiuto a contrarre (anche di tipo
costruttivo) ricade nel divieto di cui all’art. 102 del TFUE quando il
rifiuto si riferisce ad un prodotto o servizio obiettivamente necessario per
poter competere nei mercati a valle e, in tali mercati, è quindi idoneo a
produrre effetti restrittivi della concorrenza, a danno dei consumatori.
Nella specie,
per la normativa di settore (c.d. pacchetto Telecom e codice delle comunicazioni elettroniche di
cui al d.lgs.259 del 2003) sussiste l’obbligo a contrarre di Telecom fornendo l’accesso alla
propria rete e la mancanza di infrastrutture alternative.
In ordine
all’asserito difetto di istruttoria, per avere l’Autorità non tenuto adeguato
conto dei tempi, il Collegio osserva che l’Autorità, come rilevato dal primo
giudice nel paragrafo 6.3, nel paragrafo 445 del Provvedimento, ha sì
sottolineato che “la semplice comparazione dei tempi di lavorazione potrebbe
potenzialmente condurre a risultati ambigui soprattutto in relazione alle
conseguenze in termini di costi complessivi per gli OLO”; anche a parità di
tempi di lavorazione tra i due processi, il processo esterno potrebbe
incorrere in costi maggiori di rilavorazione degli ordinativi che invece il
sistema delle sospensioni (a favore delle sole divisioni interne di Telecom) tende ad eliminare, potendo
l’ordinativo in attesa e dunque sollevando l’operatore dall’onere di
reimmettere lo stesso (o un nuovo) ordinativo nel sistema.
L’Autorità è
partita, nel suo metodo, certamente, dal numero eccessivamente più elevato e
per ciò significativo di KO nei confronti degli OLO ma, come si è visto e si
vedrà, ha altresì concentrato l’attenzione sulle ingiustificate differenze
qualitative tra i due processi.
Allo stesso
modo, è inaccoglibile la pretesa di Telecom di
valutare i tempi di lavorazione soltanto sulle richieste elementari e quelle
che vanno a buon fine dopo l’ostacolo del KO, avendo il metodo dell’Autorità
riguardato i tempi di tutte le richieste.
Ne deriva
che, se, logicamente, la semplice analisi dei tempi non è sufficiente a
individuare una condotta abusiva, sono proprio le divergenze e
discriminazioni strutturali fra la gestione degli ordinativi OLO e di quelli
delle divisioni interne (in particolare l’utilizzo dei KO a differenza delle
sospensioni) a far concludere che la mera comparazione temporale non sarebbe
significativa.
La
stessa Telecom (paragrafo
475) ammette che il processo interno si caratterizza per la possibilità di
fruire della sospensione, sicchè il mero dato temporale sarebbe da solo non
attendibile.
Pertanto, il
provvedimento non è viziato dalle addotte censure nella parte in cui non ha
dato valore significativo, in sé, ai tempi dei procedimenti, ma ha
considerato soprattutto le differenze qualitative e discriminatorie delle
procedure.
L’Autorità ha
rimarcato (par. 453, dove si fa riferimento alle fasi ulteriori e diverse per
gli OLO in fase di controllo, rispetto a quelle cui sono sottoposti gli
ordinativi delle direzioni commerciali di Telecom, con aumento della “probabilità che agli
ordinativi degli OLO vengano opposti rifiuti di attivazione, per cause
formali e gestionali”) che non basta guardare alla mancata attivazione e ai
tempi della fornitura, ma anche alla maggiore o minore complicazione
(“farraginosità”) del processo.
D’altra
parte, gli OLO possono anche, in teoria, riuscire ad impiegare un tempo
minore a superare le difficoltà di un processo reso maggiormente farraginoso
dall’ex monopolista, ma questo non eluderebbe il problema.
La condotta
di ostacolo tenuta da Telecom (come
ricostruisce la sentenza al par. 6.3) consiste nelle differenze strutturali
nella gestione dei due servizi di attivazione tra gli OLO e le sue divisioni
commerciali.
Tali
differenze – che rilevano soprattutto in ordine al quarto motivo
dell’appello, sopra riportato, relativo alla rilevanza delle sospensioni,
alle causali di scarto, alla situazione delle funzioni interne di Telecom, ad alcune tipologie di servizi
- consistono nella intermediazione della divisione NWS nella gestione del
servizio di attivazione degli OLO, a differenza di quanto avviene per le
divisioni interne di Telecom,
che possono interfacciarsi direttamente con Open Access.
Altra
differenza, spiegata dall’Autorità Garante e dal primo giudice condivisa,
oltre che abbondantemente evidenziata dagli operatori alternativi in sede di
giudizio, è nella gestione della verifica formale degli ordinativi di lavoro:
nella fase iniziale di acquisizione le richieste degli OLO sono soggette a verifica
formale, con buona probabilità di interruzione sul nascere dell’iter in caso
di mancata rispondenza alle regole di compilazione; nell’ambito del processo
interno, la fase di acquisizione iniziale è immediata e le divisioni
commerciali di Telecom verificano
direttamente le anagrafiche, risolvono attraverso il call-center gli errori
formali nella compilazione dell’ordine e possono modificare l’ordine nella
fase di predisposizione.
Nei casi di
indisponibilità di rete, per gli OLO si attiva direttamente il KO, mentre per
le divisioni interne opera la sospensione della pratica; le banche dati
di Telecom non sono
dettagliate ed aggiornate in tempo reale, mentre sono più efficienti e sempre
aggiornate in tempo reale quelle per le divisioni interne; il mancato
aggiornamento, quasi con un effetto a catena, a sua volta determina un
maggior numero di richieste che si concludono negativamente con i KO; altra
disparità è dovuta alla circostanza che con la sospensione si mantiene la
priorità dell’ordinativo, mentre con il KO è necessario ripresentare una
richiesta di attivazione.
Come rilevato
anche dal primo giudice, proprio perché l’infrastruttura di Telecom è essenziale (si tratta
dell’ex monopolista) per consentire agli OLO di fornire i servizi di fonia e
di banda larga, la stessa è tenuta, indipendentemente dal rispetto delle
regole di settore delle comunicazioni elettroniche, a garantire l’accesso dei
concorrenti a tale infrastruttura a condizioni eque, trasparenti e non
discriminatorie, configurandosi altrimenti una paradigmatica ipotesi di abuso
di posizione dominante con effetti escludenti e con un conseguente grave
pregiudizio allo svolgimento della concorrenza nei mercati a valle al
dettaglio (i mercati al dettaglio collegati a quello a monte dell’accesso all’infrastruttura
di rete) in cui l’impresa titolare dell’input essenziale detiene una
posizione dominante e nei quali la sostituibilità tra la produzione con
quella degli OLO è piena.
La pretesa di
parte appellante, che a pagina 31 dell’appello riformula le censure con le
quali si lamenta la mancata considerazione dei tempi di lavorazione, che
avrebbero dimostrato il trattamento di favore e non di sfavore per gli OLO,
non è quindi da accogliere.
Infatti, il
comportamento volto a ritardare e ostacolare la concorrenza nei mercati a
valle al dettaglio è dedotta, come visto, da numerosi e variegati indici
sintomatici, sul diverso trattamento formale tra processo di delivery interno
ed esterno.
Decisivo è
anche il diverso e deteriore grado di soddisfacimento degli ordinativi di
lavoro degli OLO rispetto a quello delle divisioni commerciali della Telecom; la diversa configurazione del
processo di delivery che impone solo agli OLO la intermediazione della
struttura (NWS) consentendo invece alle strutture commerciali di Telecom Italia di interfacciarsi
direttamente; la previsione solo per gli OLO di cause di tipo formale, legate
alla errata o incompleta compilazione dei vari campi, che comportano il KO,
con la conseguenza sfavorevole della perdita di priorità di lavorazione della
domanda di acquisto, mentre le divisioni commerciali interne possono
risolvere i problemi direttamente mediante un dialogo interno; nei casi di
indisponibilità, la procedura per le divisioni interne determina soltanto una
sospensione, con riattivazione quando possibile e collocazione in coda di
attesa, mentre gli OLO sono costretti alla ripresentazione della richiesta,
anche con perdita della priorità della lavorazione in precedenza acquisita;
le messa a disposizione di banche dati, che gli OLO non hanno, per le
divisioni interne, con dati più aggiornati.
Tutti i
rilievi relativi ai tempi dei vari procedimenti, nonché le problematiche
connesse anche alle sospensioni per le divisioni interne, su cui insiste la
difesa di Telecom, non sono
in grado di confutare le conclusioni della evidente diversità dei diversi
procedimenti, della evidente svantaggiosità per gli OLO e maggiore
farraginosità, nonché degli effetti che, voluti o meno, assumono la veste di
creazione di ostacoli alla effettiva concorrenza.
Soprattutto –
e ciò viene evidenziato nel provvedimento antitrust con riguardo alla non
giustificata discriminatorietà oltre che nelle difese dell’Avvocatura dello
Stato e di Fastweb - e anche ciò assume rilievo decisivo, in nessun
modo Telecom prova a
spiegare il perché della scelta di due diversi procedimenti, con effetti
certamente discriminatori.
Non è ragione
idonea a confutare il provvedimento neanche l’osservazione secondo cui il
dato negativamente numerico, nel complesso, di molti KO non sarebbe
rilevante; secondo Telecom essi
sarebbero uno stato intermedio di lavorazione, sicchè neanche l’Autorità può
dimostrare che gli OLO ne avrebbero ricevuto un danno effettivo, avendo poi
gli operatori concluso, alla fine, positivamente le pratiche con
l’acquisizione dei clienti finali.
Anche tale
obiezione non supera l’ammissione della creazione di procedure maggiormente
difficoltose soltanto per gli OLO, a nulla valendo la circostanza che, in
seguito, superata la maggiore difficoltà dei KO, le pratiche siano andate a
buon fine.
L’Autorità ha
accertato in modo indiscutibile la maggiore percentuale con riguardo dei KO
per gli OLO rispetto alle divisioni interne di Telecom per gli anni 2009, 2010,
2011 (paragrafi 144, 146).
Dal punto di
vista logico, è ineccepibile, e non superato dai rilievi dell’appello, la
considerazione dell’Autorità secondo cui la capacità concorrenziale degli
operatori alternativi risulta fortemente ridotta e indebolita anche dai
rifiuti ingiustificati relativi ai singoli ordinativi di lavoro, che,
riducendo l’efficienza del processo di provisioning, rendono
necessari interventi aggiuntivi di rilavorazione da parte degli OLO, “con
conseguenze in termini di incremento dei costi, di allungamento dei tempi per
l’attivazione del servizio, e di possibile perdita della clientela” (par.
428); si determina una perdita di guadagni, in caso di perdita del cliente, e
di reputazione agli occhi dei potenziali clienti futuri (par. 431).
Non rileva
oltre modo la qualifica tecnica dei KO, se fase intermedia di lavorazione dei
processi oppure se rifiuto di attivazione in assoluto: importante è che in
essi sia configurabile, in modo discriminatorio e non giustificato, un
rifiuto costruttivo nel senso sopra indicato, in grado di concretare un abuso
di posizione dominante con intento o comunque un effetto escludente.
Né rileva
che, solo a causa di tale necessità di passaggio intermedio, si evincano
“percentuali di insuccesso complessive” diverse da quelle ritenute
dall’Autorità, come a sostenere che, in assenza del conto complessivo dei KO,
gli OLO sarebbero soddisfatti in buona misura.
Decisivo,
come detto, è il diverso trattamento riservato da una parte agli OLO e
dall’altra parte alle divisioni interne: in ordine a tale disparità, nel
senso di spiegare le ragioni di tale diversità, le argomentazioni utilizzate
da Telecom, tese a
spiegare soprattutto, in tale parte dell’appello, la efficienza delle
procedure per gli OLO, non sono convincenti.
In una
parola, non basta sostenere che i procedimenti (ritenuti più gravosi) per gli
OLO in realtà comportavano maggiore o almeno pari efficienza.
Occorre
dimostrare – smentendo l’accusa di ingiustificata discriminazione e maggiore
farraginosità sollevata dall’Autorità Garante Antitrust - che essi non erano
maggiormente complicati e in ogni caso, e soprattutto, occorre spiegare
perché erano diversi. Né a tal fine è sostenibile che le procedure erano
diverse perché, in fatto, le divisioni interne operano con strutture proprie
della medesima azienda; in quanto tale circostanza è semmai confermativa del
fatto che la differenza tra le procedure riposa proprio sul fatto della
posizione strutturale dell’impresa in posizione dominante e proprietaria
dell’infrastruttura di rete indispensabile per l’accesso degli altri operatori.
Ciò che
caratterizza come illecito antitrust il comportamento tenuto dall’incumbent è
la creazione di ostacoli, che pregiudicano il principio della competizione ad
armi pari con l’equivalenza delle possibilità: a tal fine, non è necessario
che alla fine del processo vi sia un accesso piuttosto che un mancato
accesso, ma che si sia creato un sistema di ostacoli o difficoltà, che
impedisce non già e non solo l’accesso alla infrastruttura, ma l’acquisizione
di clientela, in precedenza servita da Telecom.
Restano
confermate e non smentite le differenze quanto a: procedura di delivery,
con interfaccia di intermediazione di NWS solo per gli OLO; verifiche formali
degli ordinativi di lavoro, con possibile KO formale solo per gli OLO; KO
solo per gli OLO e sospensione per gli interni; accesso a data-base più
completi e aggiornati per le divisioni interne di Telecom.
Oltre a tali
evidenti differenze qualitative dei processi, sono significativi anche i dati
numerici, su cui, come visto, pure insiste l’appello, ancorché a suo favore.
Dal punto di
vista numerico, i dati riportati nelle tabelle allegate al provvedimento (16,
21, 25, 26) dimostrano che i KO tecnico-gestionali nel caso dell’unbundling per
gli OLO sono stati: nel 2009 del 170% più elevati rispetto a Telecom; nel 2010 del 130% più elevati;
nel 2011 del 60% più elevati rispetto a Telecom.
Inoltre, per
gli OLO una volta su quattro vi è ripetizione di precedenti ordinativi,
mentre per Telecom il range è
tra il 6 e il 13%.
Trattandosi
di dati che evidenziano differenze anche eclatanti, sotto entrambi i profili
numerici, in vero non contestati né tantomeno smentiti dall’appello, che
piuttosto contesta il metodo, le conclusioni raggiunte dall’Autorità Garante
non paiono né illogiche, né irragionevoli, né poco istruite o malamente
motivate.
La stessa
Autorità di settore, come rileva la difesa dell’Autorità garante della
concorrenza e del mercato sul punto, non contraddetta da Telecom, ha riscontrato differenze di
qualità dei processi, ma anche quantitative, in vantaggio di Telecom a svantaggio degli OLO.
In
definitiva, il metodo utilizzato dal Garante, che ha considerato le
differenze soprattutto qualitative di accesso all’infrastruttura, in raccordo
con le evidenze numeriche, ritenendole ingiustificatamente farraginose e
discriminatorie e in grado di produrre effetti escludenti per i concorrenti,
regge alle dedotte censure.
9.3.Con il
terzo motivo di appello, Telecom deduce
l’obbligatorietà delle scelte organizzative contestate (come la lista delle
verifiche necessarie, l’uso dei KO).
Telecom sostiene
(da pagina 37 in poi dell’appello) che per la normativa di settore, per gli
OLO sarebbero imposti sia la lista tassativa di controlli, sia l’uso dei KO
in luogo delle sospensioni; trattandosi di causa giustificatrice prevista
dalla legge, tale comportamento non potrebbe concretizzare un abuso; tali
scelte non dipenderebbero da scelte organizzative gestionali ed autonome
di Telecom, né si può dire
che la interposizione di NWS avrebbe introdotto solo per gli OLO fasi di
controllo ulteriori e diverse; gli stessi OLO avrebbero preteso un elenco
tassativo di causali di rigetto, come elemento essenziale dei processi; la
interposizione di NWS non avrebbe comportato controlli diversi ed ulteriori e
il sistema sarebbe stato ritenuto corretto dall’Agcom; allo stesso modo, non
sarebbe rispondente al vero l’affermazione della messa a disposizione di
differenti banche dati, circostanza sulla quale l’Autorità non avrebbe
effettuato il dovuto accertamento istruttorio.
Le doglianze
non sono fondate.
Come ha
dedotto Fastweb, desumendone anche ragioni di inammissibilità dei relativi
motivi di appello (perché non necessario comprovare anche la disparità), in
realtà la farraginosità (per l’Autorità, anche discriminatoria) in sé del
procedimento – che tra l’altro sarebbe, in parte, anche contra factum
proprium, perché contraria agli stessi interessi di Telecom quale titolare della
infrastruttura essenziale - è in grado da sola di costituire una condotta
abusiva, un ostacolo, anche prescindendo dalla discriminazione con le sue
divisioni interne, che pure sono evidenti.
L’Autorità ha
ritenuto che nel triennio 2009-2011 gli ordini di attivazione emessi dagli
operatori alternativi hanno ricevuto un numero molto elevato di KO (par. 136
del provvedimento con relative percentuali di rifiuto, del 48%, del 42% del
36%, per il servizio ULL, del 51%, del 43%, per WLR, del 56%, del 53% del
47%, per il bitstream, anno per anno dal 2009 al 2011).
Secondo
l’Autorità, Telecom, che
dispone della infrastruttura e che dispone di una base di clienti molto
considerevole (70-80% della telefonia e il 54,1% della connettività
internet), ha indebitamente impedito od ostacolato la posizione degli
operatori alternativi e ciò effettivamente prescinde anche dalla disparità di
trattamento con le sue divisioni interne, che pure evidentemente sussiste.
Con riguardo
alla disparità di trattamento, come sopra individuata e anche questa non
adeguatamente smentita, in vero Telecom non
spiega le ragioni della disparità di trattamento, ma si concentra, come
detto, soprattutto a dimostrare che essa non sussiste e che comunque non
produce effetti sfavorevoli o di inefficienza.
E’ infondato
il motivo con il quale si sostiene che le suddette operazioni sarebbero
imposte da normative di settore (il sistema degli ordini); non può essere
condivisa, pur alla luce delle deduzioni dell’appellante, l’asserita
vincolatività delle specifiche scelte che, come sopra elencate, sono in grado
di rendere più complicato il sistema di accesso per gli OLO.
Con riguardo
alla scelta, ritenuta vincolata, di istituire i NWS per contatti con gli OLO,
non è spiegata la ragione per cui, soltanto per gli OLO e non anche per le
divisioni interne, sia necessario un aggravio di procedimento, né può
sostenersi, ragionevolmente, la vincolatività anche delle scelte
organizzative di dettaglio a valle.
Non vale la
considerazione di un sostanziale apprezzamento da parte dell’Autorità di
vigilanza di settore, essendo nota la distinzione tra la regolazione ex
ante, preordinata a realizzare in modo progressivo un assetto del mercato
quanto più possibile vantaggioso per gli utilizzatori, e controllo ex
post sull’abuso della concorrenza.
E’ noto che
la regolazione ex ante definisce soltanto la cornice
regolatoria, i criteri di comportamento, in cui possono annidarsi, nella
situazione concreta, condotte con effetti comunque escludenti, sia pure
comprese in quel quadro.
E’ evidente
che non tutte le farraginosità dei processi sono state considerate dal
regolatore del settore nella valutazione ex ante, così come è
significativo che, ancora nell’anno 2014 (delibera 309/2014 del 19 giugno
2014), come esposto dalla difesa di Vodafone, l’AGCOM abbia rilevato evidenti
criticità.
La
valutazione da ultima citata dell’Agcom, negativa per Telecom, unitamente al parere favorevole
in ordine al procedimento antitrust, anch’esso negativo per Telecom, portano ad escludere le
asserite contraddizioni dell’operato dell’Autorità Antitrust rispetto alle
valutazioni ex ante ed ex post espresse dell’Autorità di regolazione del
settore.
9.4.Con
riguardo alla contestazione del diverso utilizzo dei data- base,
l’appellante sostiene che tale differenza non sussisterebbe.
Il Collegio
osserva che in realtà, al di là della superfluità della dimostrazione della
disparità di trattamento anche sotto tale profilo, essendo dimostrati già
molteplici e più gravosi vari aspetti che per gli OLO rendono più farraginosa
l’attivazione dei servizi, è incontestato che gli OLO hanno accesso solo a
sottoinsiemi di tali dati, tra l’altro aggiornati solo periodicamente, il che
di per sé comporta la disparità di trattamento ed evidenti disfunzioni, non
essendo irrilevante che un buon numero di KO derivi proprio da tale carenza
di aggiornamento perché legati a ragioni formali dovuti alla carenza di
notizie.
In una
parola, come rileva l’Antitrust ed evidenziato dalle difese in giudizio, non
può ritenersi che gli OLO siano, per colpa loro, più inefficienti, se essi
non dispongono di dati aggiornati e se una delle discriminazioni riguarda
proprio l’accessibilità a tali dati.
9.5.Sono
infondate anche le doglianze riproposte con il quarto motivo di appello, con
cui si sostiene l’erroneità della mancata comparazione dei due processi,
senza contare le sospensioni interne, l’errato confronto tra le causali di
scarto, perché quelle interne sono generiche, la mancata considerazione della
maggiore efficienza di taluni OLO piuttosto che della media, l’ignoranza dei
dati sulle linee attive, al di là del fatto che tali critiche sono già
assorbibili dalle precedenti considerazioni.
Il Collegio
osserva che non vale a provare l’assenza di differenze la spiegazione
specifica delle varie cause possibili di KO o di sospensione (Telecom sostiene che le
inefficienze degli OLO creano i KO e non viceversa), sostenendo che entrambe
le procedure e non soli i KO arresterebbero i processi di lavorazione.
Infatti, Telecom non riesce a giustificare e
spiegare il perché della diversità di trattamento che, ad una valutazione
esterna, non può non apparire differente (sia sufficiente la distinzione
individuata dall’Autorità al paragrafo 486 sulla perdita di priorità per i
KO), e a nulla valendo la osservazione che, poi, gli OLO hanno ottenuto
risultati analoghi e positivi, successivamente, mediante la ri-sottoposizione
degli ordinativi (par. 235 provvedimento).
9.6.Non sono
degne di positiva valutazione neanche le osservazioni con le quali Telecom sostiene l’erroneità del
ragionamento dell’Autorità, perchè i processi esterni per gli OLO avrebbero
dovuto garantire un tasso di successo pari a quelli interni, che invece
presentavano solo differenze di denominazione, in quanto è evidente la
diversità di trattamento, che la stessa appellante, anche in tale
formulazione della censura, non riesce a negare, non rilevando i rifiuti definitivi
in sé considerati, ma già essendo sufficiente la maggiore complessità
(farraginosità discriminatoria) del procedimento esterno per gli OLO.
9.7.E’
infondata anche la ragione che sostiene la erroneità del procedimento, in
quanto avrebbe fatto riferimento alla media degli OLO, mentre l’eccesso di
rifiuti (KO) sarebbe dovuto a cause potenzialmente riconducibili agli stessi
OLO.
La parte
appellante cita il paragrafo 435 del provvedimento, come se in essa vi fosse
l’affermazione che i KO dipendono (solo) dal malfunzionamento degli OLO.
Il Collegio
osserva che non è così: in tale frase l’Autorità fa riferimento alle causali
tecniche o gestionali, dipendenti dalle modalità di organizzazione e
svolgimento del processo di delivery e attivazione, distinguendole da quelle
riconducibili agli stessi OLO ovvero al cliente finale.
Al paragrafo
430 l’Autorità osserva, in modo condivisibile e non adeguatamente smentito,
che la pressoché totalità dei KO riferiti agli OLO è riconducibile a causali
di natura tecnica e gestionale e dipende fortemente dalle modalità secondo
cuiTelecom ha organizzato
il processo di attivazione.
La numerosità
dei casi di riscontro negativo per i singoli ordinativi è a sua volta
indicativa delle criticità del processo di delivery.
La farraginosità
dell’accesso comporta per il nuovo entrante un aggravio di costi, una perdita
di clienti, una perdita di guadagni, una perdita di reputazione agli occhi
dei potenziali clienti futuri.
La
conseguenza, contraria alla concorrenza, è che l’intempestiva e inefficace
attivazione da parte di Telecom dei
servizi di accesso alla rete determina difficoltà per gli OLO, con frenata
del processo di erosione della base clienti dell’incumbent da
parte dei concorrenti.
Non era
necessario riferire la media degli insuccessi dei processi di attivazione
degli OLO, come pretende l’appellante invocando un diverso metodo logico di
ragionare, ma è sufficiente che l’Autorità abbia, in modo completo sotto il
profilo istruttorio e logico sotto il profilo dell’iter seguito, dato conto
dei dati statistici, servizio per servizio, anno per anno, rinvenendo
diversità evidenti nella trattazione dei servizi e nella loro funzionalità.
9.8.Con altra
censura, l’appellante deduce la mancata prova dei comportamenti
opportunistici, avendo l’Autorità nei paragrafi dal 460 al 464 tratto
argomenti da elementi dubbi o errati.
Il Collegio
osserva che in tali passaggi l’Autorità ha dimostrato che Telecom ha, in numerose occasioni,
opposto agli OLO KO funzionali alla successiva attivazione degli stessi
clienti da parte delle sue divisioni commerciali o, in alternativa, ha emesso
causali di scarto non coerenti, in modo da impedire la pronta risoluzione del
problema da parte degli OLO.
Non convince
quanto sostiene Telecom,
che nega qualunque suo vantaggio nel mantenere una condotta inefficiente, in
quanto è evidente che l’incumbent, ex monopolista, ha già una nutrita
base di clienti, sicchè è in grado, più degli operatori alternativi, di
tollerare disfunzioni e malfunzionamenti.
Al paragrafo
425 l’Autorità spiega come vi sia “un vantaggio evidente della posizione
di incumbent di Telecom (nel)
la possibilità di fornire i servizi di fonia ad una base storica di utenti
“attivi” senza dover richiedere l’attivazione di serviziwholesale. Per
contro, gli OLO devono chiedere tipicamente l’attivazione su linea attiva nel
caso in cui intendano servire un cliente precedentemente servito da Telecom”.
In tale
ottica, non ha senso riprendere, singolarmente, come pretende Telecom, tutti gli elementi o fatti specifici,
dai quali, nella loro globalità, l’Autorità ha rinvenuto un comportamento
opportunistico.
E’ evidente
anche che ogni rifiuto, in sé considerato, in quanto in tesi contrario agli
interessi del gestore della infrastruttura essenziale, non sarebbe un comportamento
opportunistico, ma tale tesi prova troppo.
Al paragrafo
432 l’Autorità evidenzia, correttamente e non adeguatamente smentita, altro
vantaggio per Telecom,
consistente nel contenimento della erosione della quota di clienti, dal
momento che “le richieste di attivazione di servizi fonia su linee attive più
frequentemente oggetto di KO si riferiscono alla conquista, da parte degli
OLO, di nuovi clienti precedentemente servizi da Telecom”.
Non è a
rigore necessario che i clienti delusi dagli OLO, a causa di una certa,
causata, inefficienza, trasmigrino nuovamente all’ex monopolista, ma è
sufficiente che gli operatori alternativi non riescano a conquistarli.
La
circostanza, poi, della affermazione, riportata più volte nell’appello (si
veda, tra varie, pagina 69) dell’Autorità Garante delle comunicazioni, che
avrebbe dato conto del miglioramento delle politiche di liberalizzazione del
settore (Presentazione della Relazione annuale 2011), della definitiva
affermazione della concorrenza nel settore delle comunicazioni, non rileva
oltre modo, sia per la diversità, più volte richiamata, della
regolazione ex ante dal controllo ex post su
condotte anticoncorrenziali, sia perché le funzioni delle due Autorità (AGCM
e Agcom) sono in rapporto non di antitesi ma di complementarietà, sia perché,
come evidenzia anche la sentenza appellata al punto 3.3, l’Agcom stessa, che
pure aveva contribuito al quadro regolatorio, ha poi confermato in ogni caso
la esistenza di criticità in termini di confronto tra processi interni ed
esterni.
E’ evidente,
al proposito, che il sistema degli OLO, così come tante pratiche soggette ad
attività di regolazione, richiedono sempre un continuo monitoraggio (una
continua attenzione, come la carica dell’orologio) e sono sempre
migliorabili.
Al proposito,
non a caso, la difesa dell’Autorità Antitrust evidenzia delibera Agcom
74/12/CIR, che vieta a Telecom di
utilizzare causali di scarto non previste dalla normativa e che si riferisce
al periodo che va dal 2011 al 2012.
Ad
abundantiam, anche se
naturalmente tale periodo è al di fuori dell’oggetto del presente contenzioso
e dei provvedimenti scrutinati, è stata depositata da Vodafone in data 7
aprile 2015 delibera dell’Agcom n.309/2014 del 19 giugno 2014 che, ancora,
(punti 29, 30, 31) evidenzia criticità e malfunzionamenti nei KO per gli OLO.
Al di là
della considerazione che l’Autorità, in modo compiuto ed esaustivo (come
riferisce la sentenza nel punto 6.6.), ha esteso il suo accertamento non solo
agli ordinativi di lavoro, ma anche alle c.d. richieste elementari,
rinvenendo anche in tale caso un maggiore appesantimento del processo degli
OLO a causa della emissione di una maggiore percentuale di richieste
elementari multiple, va rifiutata una visione parcellizzata e atomistica
della vicenda, come pretenderebbe la parte appellante, quasi ad accertare o
contrastare punto per punto ogni dato di fatto, essendo nozione comune che
costituisca abuso di posizione dominante proprio una condotta o complesso di
condotte commissive o omissive (non già la singola condotta) da parte
dell’impresa che detiene una notevole forza di mercato, volte ad estromettere
l’impresa concorrente attraverso l’adozione di una complessa strategia
escludente o predatoria nei confronti dei rivali.
9.9.
Le direttive
comunitarie di liberalizzazione dei servizi di comunicazione elettronica
(direttiva 2002/21/CE “direttiva quadro” e direttiva 2002/19/CE “direttiva
accesso”) e la normativa nazionale di recepimento, contenuta nel d.lg. n. 259
del 2003 hanno imposto specifici obblighi in materia di accesso e di uso da
parte dei concorrenti di determinate risorse di rete proprio al fine di
promuovere la concorrenza e di tutelare gli interessi dei new comers e
quindi dei consumatori, e hanno recepito il principio di non discriminazione
fra attività interne ed esterne affinchè le imprese aventi potere di mercato,
attive anche nei mercati a valle di quello dell'infrastruttura essenziale,
non distorcano la concorrenza a detrimento dei terzi. Pertanto, secondo la
Commissione Europea, in presenza di condotte volte ad ostacolare, nel senso
di rendere più gravosa, o ritardare l'accesso all'infrastruttura essenziale,
la probabilità di indebite limitazioni del diritto di effettiva concorrenza è
tanto più elevata quanto maggiore è la quota di mercato dell'impresa
dominante nel mercato a valle, quanto minori sono i concorrenti nel mercato a
valle e quanto maggiore è la sostituibilità tra la produzione dell'impresa
dominante e quella dei suoi concorrenti, con la possibilità che la domanda
che potrebbe essere soddisfatta dai concorrenti oggetto di preclusione venga
indebitamente deviata o mantenuta a vantaggio dell'impresa dominante.
Quindi,
proprio perché l'infrastruttura di Telecom è
indubitabilmente essenziale per consentire agli OLO di fornire i servizi di
fonia e di banda larga, la medesima Società è tenuta, indipendentemente dal
rispetto delle regole di settore delle comunicazioni elettroniche, a
garantire 1'accesso dei concorrenti a tale infrastruttura a condizioni eque,
trasparenti e non discriminatorie, configurandosi in caso contrario una
ipotesi classica di abuso di posizione dominante con effetti escludenti e con
un conseguente grave pregiudizio allo svolgimento della concorrenza nei
mercati a valle al dettaglio (i mercati al dettaglio collegati a quello a
monte dell'accesso all'infrastruttura di rete) in cui l'impresa titolare
dell'input essenziale detiene una posizione dominante e nei quali la
sostituibilità tra la sua produzione e quella degli OLO concorrenti è piena.
10.1.Con i
motivi di appello dal sesto al decimo, sull’abuso consistente nella
compressione dei margini, deduce: mancanza della condotta, erronea
quantificazione dei ricavi derivanti dall’ipotetica offerta analizzata ed
erronea sovrastima dei costi commerciali, mancata analisi del bundle; erronea
quantificazione di prezzi e costi e altri errori metodologici.
Con il sesto
motivo, in particolare, deduce che l’AGCM ha sanzionato Telecom per una condotta ipotetica,
che secondo i suoi stessi accertamenti, quest’ultima non ha posto in essere e
pertanto non vi è alcun abuso.
Con il
settimo motivo, deduce che, nella valutazione di replicabilità, volta a
confrontare costi e ricavi delle ipotetiche offerte che Telecom avrebbe potuto
commercializzare, l’AGCM non ha considerato tutti i ricavi ottenibili,
falsando così la valutazione stessa.
Con l’ottavo
motivo deduce che l’AGCM ha errato nell’applicazione dei test di prezzo
regolamentari con riguardo alla stima dei costi commerciali.
Con il nono
motivo deduce che secondo le indicazioni della Commissione europea e
dell’Agcom, l’AGCM avrebbe dovuto svolgere l’analisi di replicabilità con
riguardo ai pacchetti di servizi messi in gara, anziché ai soli servizi di
accesso.
Con il decimo
motivo contesta che l’AGCM ha erroneamente quantificato numerose voci di
costo.
Viene
contestata l’erroneità delle valutazioni che hanno portato alla seconda
contestazione di attività anticoncorrenziale, in quanto l’accertamento del
preteso abuso consistente nella compressione dei margini sarebbe erroneo per
l’approccio metodologico dell’Autorità, che non riuscirebbe a dimostrare che
la differenza tra i prezzi al dettaglio praticati ai clienti finali e i
prezzi all’ingrosso praticati ai concorrenti, quale impresa detentrice di una
risorsa essenziale, affinchè questi possano offrire a loro volta lo stesso
servizio al dettaglio, sia tale da non coprire i costi specifici che gli
stessi concorrenti sostengono per erogare servizi in questione nei mercati a
valle.
I motivi sono
infondati.
L’abuso
contestato rientra nel classico abuso di posizione dominante consistente in
una strategia di condotta di compressione dei margini (margin squeeze),
con una politica di sconti alla c.d. Grande Clientela Affari con il servizio
di accesso al dettaglio alla rete telefonica fissa, tale da non consentire,
ad un concorrente altrettanto efficiente, che si mira ad estromettere dal
mercato, di operare in modo redditizio e su base duratura nei medesimi
mercati, considerati i costi di accesso alla rete praticati daTelecom agli altri operatori, con
conseguenti effetti restrittivi della concorrenza sul mercato al dettaglio
dei servizi di accesso alla clientela non residenziale nelle aree aperte alla
concorrenza, ove è disponibile il servizio di accesso al tratto finale di
rete verso il cliente.
Il margin
squeeze è un illecito di prezzo che può essere commesso solamente
dall’impresa verticalmente integrata, ossia da un soggetto attivo in più
stadi della filiera produttiva che vende all’ingrosso l’input necessario per
la produzione di un determinato bene/servizio finale, competendo poi nel
relativo mercato al dettaglio.
Si tratta di
quei casi in cui il soggetto dominante è, allo stesso tempo, fornitore e
concorrente delle altre imprese (situazione tipica del mercato delle tlc, ove
gli ex monopolisti di rete fissa detengono l’unica rete capillarmente diffusa
sul territorio, essendo attivi anche nei relativi servizi all’utenza finale).
L’abuso si
verifica quando il differenziale di prezzo tra l’input intermedio (ad
esempio, venduto a 1) e il bene/servizio finale (ad esempio, venduto al
medesimo prezzo di 1, ovvero con un margine minimo) è negativo o così ridotto
da non mettere in condizione i concorrenti di poter competere con l’impresa
concorrente.
Come
correttamente rilevato dal primo giudice, l’Autorità ha rilevato che: a) è
idonea a compromettere il mercato e pregiudizievole al commercio
intracomunitario in violazione dell’art. 102 TFUE la prassi operata dall’ex
monopolista di praticare una politica tariffaria di sconti eccessivi per i
servizi di accesso alla rete telefonica fissa alla Grande Clientela Affari;
b) tale pratica aveva l’intento o comunque l’effetto di compromettere la
capacità competitiva di concorrenti altrettanto efficienti sulla carta; c) la
scontistica predisposta dall’impresa era addirittura contenuta in una
direttiva del settembre 2007 diramata ai propri agenti (c.d. linee guida
o marketing guidelines) contenenti una griglia di sconti
estremamente elevati applicabili sul listino dei prezzi al dettaglio dei
servizi di accesso per il periodo 2008-2011; d) i prezzi al dettaglio
prevedono sconti pari al 15%, 20%, 25% sul contributo una tantum per
l’attivazione del servizio e sei diversi livelli di sconto sul canone mensile
ed è selettivamente diretta, secondo il provvedimento, ai clienti che
ricorrono a procedure di selezione del fornitore (Grande Clientela Affari o
top business client) e che sono collocati in aree aperte alla concorrenza; e)
dagli accertamenti effettuati, non contrastati nei contenuti, è emerso che le
linee guida sono state applicate dal gennaio 2008 al luglio 2011, confermando
i livelli di sconto previsti; f) dalla acquisizione dei dati sui prezzi, da
parte dell’Autorità, è emerso che effettivamente i prezzi praticati da Telecom per la fornitura di accesso
ai principali 30 clienti, in termini di fatturato, nei contratti sottoscritti
dal 2008 al 2011, confermano l’applicazione in pieno di quegli sconti e a
volte anche in misura superiore a quella prevista nelle Linee Guida.
Il Collegio
osserva che tale problematica è stata affrontata nel provvedimento nei
paragrafi dal 508 al paragrafo 551, così come sono state trattate nella
sentenza di primo grado (almeno) dal punto 3.4 al punto 3.4.4.
In ogni caso,
riproponendo la parte appellante le medesime censure proposte e non accolte
in primo grado, si osserva quanto segue.
Le censure,
così come riproposte, nei motivi dal sesto al nono dell’appello, scontano i
medesimi dubbi di porsi, come eccepito da Fastweb, quasi ai limiti
dell’ammissibilità, pretendendo di reiterare tutto il percorso
logico-intellettivo svolto dall’Autorità, mettendo in dubbio la legittimità
di tutti i passaggi logici, ponendosi come censure di eccesso di potere per
difetto d’istruttoria e illogicità del ragionamento.
Si sostiene
che: la condotta è solo ipotetica; che non sono stati considerati tutti i
ricavi; che nell’applicazione dei test di prezzo si è errato nella stima dei
costi commerciali; che l’analisi di replicabilità avrebbe dovuto riguardare
non solo i servizi di accesso ma i pacchetti di servizi; che sono state
quantificate erroneamente numerose voci di costo.
I motivi sono
infondati nel merito e da respingere.
In primo
luogo, va respinto il rilievo (espresso nell’appello alle pagine 69 e
seguenti) secondo cui l’abuso solo potenziale non è tale se non si traduce in
comportamenti escludenti, in quanto, sulla base della giurisprudenza sopra
richiamata, è da ritenere sufficiente l’idoneità (potenziale quindi) a ledere
la concorrenza.
In ordine
alla contestazione del ragionamento, la Sezione osserva che è evidente, come
rilevato dall’Autorità nelle conclusioni, che le offerte alla grande
clientela business da parte dell’impresa dominante non erano replicabili da
parte di concorrenti altrettanto efficienti, pur in un mercato caratterizzato
da un avanzato processo di liberalizzazione fin dagli anni novanta e anzi che
vedeva una dinamica evolutiva con il progressivo consolidamento della
posizione di mercato di nuovi concorrenti, come Vodafone, Wind, Fastweb, in
competizione con l’incumbent Telecom.
La Grande Clientela,
in ragione della sua importanza e della dislocazione sul territorio
nazionale, rappresenta per gli OLO un obiettivo importante per il
raggiungimento delle economie di scala per rendere possibili strategie
imperniate sul ricorso a servizio che richiedono livelli elevati di costi
fissi.
La
conclusione dell’Autorità è che, per gli sconti effettuati alla GCA sulla
base delle Linee Guida, se Telecom avesse
sostenuto i costi iniziali che devono affrontare i concorrenti, non avrebbe
potuto che trovarsi in perdita.
Sotto il
profilo del margin test, la condotta di Telecom va esaminata, secondo le
nozioni comuni della materia concorrenziale, anche per la sua predatorietà,
rispetto al campo di gioco del mercato dai concorrenti potenziali, oltre che
per la replicabilità economica.
L’appello
censura l’operato del Garante per avere preso in considerazione soltanto i
ricavi generati sulle aree aperte ai servizi ULL, ignorando invece i ricavi
derivanti dalle offerte in aree non coperte. Le offerte alle GCA includono
anche forniture alle aree non ULL e quindi dovrebbero essere considerate
complessivamente. Il valore andrebbe quindi valutato nella media dei prezzi
scontati (aree ULL) e prezzi non scontati (aree non ULL).
Ad opinione
di questo Collegio, in modo non illogico, l’Autorità ha replicato che vi è
una parte contendibile del mercato, diversa dalle aree non aperte al servizio
ULL, nella quale gli OLO possono essere rivenditori unicamente dei servizi di
accesso acquisiti da Telecom mediante
il servizio WLR (wholesale line rental).
Nel corpo
dell’atto (paragrafi 518 e 519), in modo non irragionevole, l’Autorità spiega
la ragione per cui il metodo di determinazione della compressione dei margini
tra prezzi e costi è stato effettuato con riferimento alle condizioni
praticate per i servizi di accesso, spiegando la rilevanza di quel mercato al
dettaglio, distinto da quello di fonia vocale (traffico), rilevando che tali
servizi in alcuni casi sono stati acquistati separatamente, che essi
rappresentano un costo fisso per la clientela, con maggiore importanza dello
sconto praticato.
In definitiva
e in sintesi, l’Autorità ha, in modo non illogico né irragionevole, sostenuto
e dimostrato che i servizi di accesso costituiscono un mercato rilevante
autonomo e distinto da quello del traffico, sia pure in grado poi di
trainarlo.
Inoltre,
aggiunge l’Autorità, a comprovare che tali mercati e servizi sono ben
distinti e distinguibili, con ragionamento della cui logicità non è dato
dubitare, nonostante i rilievi dell’appello, le offerte si collocano in un
periodo in cui il regolatore ex antesottoponeva a valutazione di
replicabilità le condizioni economiche solo per i servizi di traffico, sicchè
l’analisi del Garante della concorrenza si è concentrata su una componente
dell’offerta neanche soggetta a verifica di prezzo ex ante.
Proprio
perché la scontistica praticata ai clienti Top (30 Grandi clienti
considerati) è quella più esposta alla concorrenza, la politica di forti
sconti è diretta a pregiudicare la capacità competitiva dei concorrenti e in
ogni caso consegue tale effetto.
Quanto alla
censura riproposta di erronea sovrastima dei costi commerciali (da pagina 78
in poi dell’appello), e quindi di difetto di istruttoria sotto altro profilo,
ad opinione del Collegio è sufficiente rilevare che l’Autorità (paragrafi 529
e 530) ha osservato che, con riferimento alla quantificazione dei costi
relativi al servizio di collocazione e al valore dello SLA Wholesale Plus,
proprio in accoglimento delle istanze di Telecom, ha ritenuto di utilizzare le stime di costo
fornite dalla stessa società nel corso dell’istruttoria e in sede di memoria
conclusiva (par.529 del provvedimento); inoltre, non è stato possibile
addivenire ad una quantificazione attendibile dei costi commerciali sostenuti
per la erogazione dei servizi in questione (par.530), avendo proprio Telecom rappresentato di non
disporre di una contabilità specifica che indichi in maniera separata il
dettaglio dei costi commerciali e di altri costi operativi direttamente
connessi alla fornitura del servizio di accesso alla grande clientela
business, sicchè si è ritenuto di adottare il mark-up adottato
dal regolatore per i test di prezzo ex ante (e adottato
dalla stessaTelecom nel
produrre le stime dei costi commerciali agli atti del procedimento).
Il Collegio
ribadisce ancora una volta che tale fase di sindacato giurisdizionale, per
quanto approfondita, non può però consistere in una puntuale reiterazione di
ogni specifico e minimo, se pure importante, passaggio logico della fase
procedimentale dinanzi al Garante della concorrenza, sicchè è inaccettabile
la pretesa di Telecom, in
presenza della prova così evidente di Linee Guida, applicata a trenta Grandi
Clienti sul punto, di pretendere valutazioni concrete secondo il metodo del
“caso per caso” sulla contrattualistica adottata.
In ogni caso,
al riguardo, come osservato dal primo giudice, non smentito adeguatamente sul
punto, proprio la delibera Agcom la cui applicazione in altre parti è
rivendicata da Telecom,
indica il 12% come valore per i servizi di accesso anche nel contesto delle
gare.
Il rilievo
dell’appellante della inattualità, oramai, di quel valore (a pagina 80
dell’appello si sostiene che l’AGCM avrebbe dovuto utilizzare il dato del
10%), in realtà nulla aggiunge con riguardo al riscontrato abuso nelle
misure, nei termini e nelle modalità sopra riportate (si è visto, sconti del
15, del 20, del 25 per cento o maggiori).
Con riguardo
alla censura di non avere tenuto conto dell’intero pacchetto ma solo dei
servizi di accesso (reiterata specificamente con riferimento al bundle a
pagina 80 e 81 dell’appello) vale quanto sopra considerato.
10.2.Con
altra censura (l’ultima di tale serie, da pagina 81 a pagina 85) l’appellante
lamenta (di nuovo, ma in modo specifico) la erronea quantificazione, da parte
dell’Autorità, che avrebbe errato nella quantificazione di alcune voci per
l’attivazione del servizio, dei costi di riparazione e dei costi per gli
apparati ISDN.
L’Autorità ha
osservato come la verifica sia consistita semplicemente nell’accertare se la
stessa Telecom sarebbe
stata in grado di offrire i medesimi servizi al dettaglio secondo i prezzi
praticati (anche correggendoli nel senso indicato da Telecom) senza subire perdite,
sostenendo i costi all’ingrosso che essa pratica ai concorrenti in quanto
proprietaria verticalmente integrata degli input essenziali per l’accesso al
mercato.
Al riguardo,
al paragrafo 547, l’Autorità spiega e conclude in modo esaustivo e
convincente nel senso che la “replica dell’analisi di compressione dei
margini basata sui prezzi medi effettivi mostra come le offerte
effettivamente praticate da Telecom non
sarebbero replicabili da un concorrente altrettanto efficiente che sostenga
costi commerciali superiori al 22-24% dei costi di rete negli anni 2009-2011,
e superiori al 30% dei costi di rete nel 2008”.
Dalla tabella
31, menzionata nella difesa dell’Antitrust, si evidenzia che la percentuale
di sconto ha anche superato il 70% (quindi a volte ben oltre il 20-25% di
altri sconti alla Grande Clientela) e che il calcolo dei costi dell’impresa è
avvenuto, inbonam partem a favore di Telecom, tenendo conto della misura
massima possibile, e ciò dovrebbe evitare altre contestazioni sul punto (si
veda in tal senso su tale riflessione il par. 6.9 della sentenza appellata),
viste e considerate le percentuali di sconto nelle dette misure elevate.
Rispetto a
tale percentuale di sconti così elevata, le argomentazioni di minimi scarti
addotte dall’appellante non sono in grado di sovvertire quindi la correttezza
del ragionamento seguito dall’Autorità Garante; oltre la considerazione che a
tale conclusione tanto pregnante l’appellante non oppone adeguate deduzioni
in grado di smentirle, le percentuali indicate, pur con margini di
variabilità e opinabilità necessarie, confermano la valenza concreta
dell’effetto anticoncorrenziale della condotta, consistente in sconti tanto
rilevanti ad una importante Grande Clientela.
11.Con i
motivi dall’undicesimo al tredicesimo, come ulteriori vizi generali, comuni
ad entrambi gli abusi, deduce: l’incompatibilità dell’assunto dell’AGCM con
il quadro regolamentare di riferimento; lesione dei diritti di difesa;
erroneo rigetto degli impegni.
Senza fornire
adeguata motivazione rafforzata (undicesimo motivo), l’AGCM avrebbe ignorato
il contesto regolamentare e contraddetto gli accertamenti dell’Agcom, benché
questi fossero volti ad assicurare i medesimi obiettivi dell’AGCM, con
analoghe metodologie e sulla base di un’analisi degli stessi dati.
L’AGCM non
avrebbe consentito a Telecom (dodicesimo
motivo di appello) un adeguato contraddittorio, sia perché il provvedimento
modifica significativamente le accuse e gli elementi di prova a carico,
rispetto alla comunicazione delle risultanze istruttorie e sia perché non ha
concesso a Telecom l’accesso
a documenti decisivi, utilizzati ai fini delle accuse.
In fine,
l’AGCM ha erroneamente rigettato (tredicesimo motivo di appello) le proposte
di impegni avanzate da Telecom nel
corso del procedimento.
Anche tali
motivi sono infondati.
E’ infondata
la censura di violazione del quadro regolatorio di riferimento, rispetto ai
pareri favorevoli dell’Agcom, dell’ODV di Telecom (che appare un organismo di garanzia e
controllo interno a Telecom),
delle Autorità europee, di violazione del ne bis in idem.
Si è già
fatto ampio riferimento alla esigenza di distinguere il ruolo della
regolazione ex ante dal controllo ex post di violazioni della concorrenza e
della differenza degli abusi della concorrenza, pur nel rispetto formale e
sostanziale della regolazione di settore.
I rapporti
tra disciplina antitrust e regolazione settoriale non sono in rapporto di
esclusione e sovrapposizione, ma di complementarietà.
L’Autorità
deve tenere conto del quadro di riferimento nel cui ambito si muovono gli
operatori del settore, ma ciò non le impedisce di valutare autonomamente le
loro condotte, sicchè l’applicazione delle norme a tutela della concorrenza
non è esclusa nei casi in cui, come nella fattispecie, le disposizioni
regolamentari lascino sussistere la possibilità per le imprese di adottare
comportamenti autonomi atti ad ostacolare, restringere o falsare la
concorrenza, confermando la esistenza di un doppio controllo, regolatorio e
antitrust.
La presenza
di un atto di approvazione o ratifica da parte del regolatore delle condotte
investigate non impedisce in ogni caso all’autorità della concorrenza di
sindacare e condannare la medesima condotta (così Corte di Giustizia UE,
sentenza 14 ottobre 2010, C-280/08-Deutsche Telekom).
La stessa
previsione del parere obbligatorio e non vincolante dell’Autorità di settore
reso ai sensi dell’art. 1 comma 6 lettera c) n. 11 della legge n.249 del 1997
rende evidente che la competenza in materia spetti all’Autorità Garante, alla
quale incomberebbe il solo dovere di motivare il discostamento da un parere eventualmente
contrario, neanche esistente nella specie.
I compiti
attribuiti all’AGCOM, Autorità nazionale di regolazione, in tema di
definizione dei mercati rilevanti e delle posizioni dominanti, non hanno
fatto venire meno la generale competenza antitrust spettante all’AGCM.
I positivi
apprezzamenti dell’Agcom sul miglioramento dei processi in favore degli OLO,
sui progressi in termini di efficienza e altro, non sono in grado di
giustificare la ragione di ogni passaggio processuale introdotto (solo) per
gli OLO.
Nel parere
reso in data 29 marzo 2013 relativamente al procedimento in questione,
rilasciato dopo avere richiesto proroga, l’Autorità di settore, da parte sua,
non lamenta alcuno sconfinamento e anzi riconosce che l’Autorità Garante
della concorrenza è l’unica competente ad accertare abusi quali quelli
contestati, che non sono evitati dalla attività regolatoria ex ante.
D’altra
parte, una cosa è il giudizio favorevole di determinati processi di
organizzazione o di attivazione (sulla delivery, paragrafo 497 del
Provvedimento), approvata dal regolatore del settore nel senso dell’auspicato
miglioramento; altra cosa è accertare che, con le specifiche previsioni e
organizzazioni di tali processi con le modalità più volte sopra richiamate,
siano tenute in modo strategico e a fini o con effetti escludenti, da parte
dell’ex monopolista, condotte ostruzionistiche in danno degli operatori
alternativi.
Sintomatica è
la circostanza che, in successivi pareri, al di là del parere espresso con il
quale l’Agcom ha condiviso le valutazioni dell’Antitrust, rispetto alla
vicenda in esame, l’Agcom continui a rilevare criticità per i servizi a
favore degli OLO (si veda delibera 19 giugno 2014 su citata).
Non può non
osservarsi che in tali critiche, sotto la rubrica della violazione delle
delibere dell’Agcom, la parte appellante reitera nuovamente le censure già
esposte in precedenza relative alle addotte condotte (si veda pagina 96
dell’appello, sui processi esterni, sul periodo considerato, sugli
accertamenti positivi di Agcom).
Pertanto,
vale in ogni caso anche quanto già osservato a proposito delle specifiche
censure avverso le singole condotte.
In sintesi:
le precedenti valutazioni regolatorie ex ante non rilevano per i motivi
detti; il parere di Agcom reso nel procedimento è adesivo alla posizione
dell’Antitrust; anche successivamente alla vicenda oggetto del giudizio,
l’Autorità di regolazione evidenzia criticità sugli stessi processi.
12.Con altro
motivo di appello viene reiterata la censura, già proposta e respinta in
primo grado, attinente alla lesione dei diritti di difesa di Telecom, nell’ambito del procedimento.
L’appello
pone un doppio ordine di lesioni: per violazione del principio di
corrispondenza tra la iniziale contestazione e il provvedimento finale; per
mancato accesso e conoscenza di documenti resi inaccessibili.
La stessa
parte appellante ammette (pagina 97 dell’appello) la piena corrispondenza tra
la formulazione testuale dei paragrafi 397 e 318 della comunicazione rispetto
ai paragrafi 491 e 492 e tuttavia la ritiene non decisiva, ai fini della
immutabilità della contestazione e della lesione del suo diritto di difesa.
E’ evidente
che tale corrispondenza fa ritenere che non vi sia stata in sostanza una
mutazione della natura intrinseca della violazione accertata rispetto alla
contestazione, essendosi l’Autorità limitata a riproporre le stesse
imputazioni, sia pure arricchite da ulteriori valutazioni, non potendosi
sostenere che vi sia stata una “modifica dell’imputazione” (per tale nozione
nel campo processuale penale si veda art. 423 c.p.p.).
D’altra
parte, è assurdo pretendere (lo ha ribadito la Corte di Giustizia, sentenza 3
settembre 2009, C-534/07) che la decisione finale sia una copia della
comunicazione degli addebiti formulati, dovendo avere il procedimento la sua
funzione di acquisizione di ulteriori fatti, elementi, acquisizioni, che
debbono pur avere il loro peso.
Violazione
del diritto di difesa, sotto tale profilo, si avrebbe solo nella ipotesi in
cui, similmente al processo penale (Cons. Stato, VI, 1 marzo 2012, n.1192),
la decisione finale facesse riferimento ad una imputazione non esposta, nella
comunicazione degli addebiti, in modo sufficiente per consentire ai
destinatari di difendersi: il parametro è sempre costituito dal diritto di
difesa.
Il riferimento
alla circostanza che nella comunicazione l’Autorità abbia contestato la
condotta come concorrenziale “a prescindere dalla intenzionalità”
(par.366-367,400), rispetto alla conclusione in cui si è ravvisato non solo
l’effetto escludente ma anche l’intento escludente, non può che fare
riferimento alla nozione di abuso di posizione dominante che, nella teorica
della materia, ben nota agli operatori del settore, notoriamente è
comprensivo di entrambe le accezioni, che stigmatizza, l’intento e l’effetto
anticoncorrenziali.
13.E’
infondato anche il motivo di appello con il quale si reitera la censura, già
esaminata e respinta in primo grado, relativamente ad una serie di
informazioni secretate e rese inaccessibili, che sarebbero state utilizzate
dall’Autorità garante, per trarne conclusioni in danno di Telecom (ci si riferisce, in
particolare, a documentazione fornita da Fastweb, per esempio, che, come
risulterebbe in alcuni paragrafi, che l’appello menziona a pagina 100,
avrebbe dimostrato la “farraginosità” dei processi esterni).
In disparte
la considerazione che l’intera struttura dei processi riservati agli OLO,
come ricostruita nel giudizio (KO, sospensioni, ragioni degli scarti, etc.,
accesso a banche dati), non viene contestata, in sé, dalla parte appellante Telecom, che appunta le sue difese su
tutto il resto, il Collegio osserva che le differenze evidenziate sono
incontestabili relativamente alla differenza tra KO e sospensione, tra
divisioni interne e OLO.
In ogni caso,
sotto il profilo squisitamente dell’utilizzo di documenti inaccessibili,
costituisce dato comune ed acquisito che il contemperamento tra accesso e
riservatezza debba avvenire tutelando le posizioni sensibili, anche di tipo
commerciale o imprenditoriale delle parti interessate, sicchè prima
l’amministrazione e poi il giudice debbono, ai sensi degli artt. 22 e
seguenti della legge n.214 del 1990 e dell’art. 116 del c.p.a. operare tale
contemperamento.
Si aggiunga,
poi, che né separatamente in fase procedimentale, né all’interno del giudizio
o con separato giudizio, l’appellante società si è avvalsa del rimedio, pur
previsto dal codice di rito all’articolo 116, al quale si può ritenere che
fosse onerata, né, in vero, ha indicato le conseguenze negative che sarebbero
derivate da tale mancata ostensione.
14.Con altro
motivo di appello (da pagina 100 in poi) la parte appellante si duole
dell’erroneità (della sentenza e) del rigetto degli impegni.
I motivi sono
infondati.
In primo
luogo, per consolidato orientamento, la valutazione negativa da parte
dell’AGCM degli impegni rientra nel margine di discrezionale apprezzamento
rimesso all’Autorità garante, non apprezzabile nel merito in sede
giurisdizionale se non in determinati limiti.
E’ vero che
tra il provvedimento finale e il rigetto degli impegni non sussiste un
rapporto di consequenzialità necessaria, ma solo di connessione e che in
assoluto il rigetto degli impegni è anch’esso sottoposto al sindacato
limitato del giudice amministrativo, ma non in modo talmente intenso e
profondo da poter riguardare profili di opportunità per così dire di
“discrezionalità economica” (così la Sezione, sentenza 22 settembre 2014,
n.4773).
Al riguardo,
l’Autorità, nel provvedimento di rigetto adottato in data 14 marzo 2012
(ripreso nella sentenza) ha ampiamente motivato l’inidoneità degli impegni a
superare la situazione contestata.
Ciononostante,
pedissequamente, l’appellante ripropone le censure e riproduce (pagine 101 e
102) gli impegni da 1 a 7, contestandone il rigetto.
In primo
luogo – e ciò è assorbente – il Collegio osserva che gli impegni, per come
rappresentati, anche ad una delibazione sommaria, non toccano nelle parti
sostanziali gli abusi contestati relativi alle ragioni di disfunzione
collegate al sistema dei KO (interruzioni e sospensioni, perdita di priorità,
ragioni formali del diniego, accesso a banche dati diverse, etc.).
Anche
analizzando ogni aspetto, il Collegio osserva, riprendendo le risposte
dell’Autorità sul punto, che in relazione all’impegno 1, consistente nella
implementazione di un servizio end-to-end per l’attivazione
(provisioning) dei servizi finali alla clientela, il gradimento presso
gli operatori è risultato nullo e anzi peggiorativo; l’impegno 2, riguardante
uno sconto di una voce di costo, incideva soltanto su una componente marginale;
gli impegni 3 e 4 consistevano nella riclassificazione e aggiornamento delle
causali di scarto e nello sviluppo e aggiornamento dei database di
toponomastica, ma sono stati ritenuti non in grado di incidere, perché
riguardanti aspetti solo formali ed estranei alle criticità.
Il Collegio
rileva che i miglioramenti, le maggiori efficienze, la maggiore qualità, pur
tutte condivisibili, sono state ritenute inadeguate al superamento di tutte
le criticità, come sopra ampiamente evidenziate nella contestazione del primo
abuso, con motivazione logica e non contraddittoria, che non potrebbe essere
sovvertita se non al costo, inammissibile anche processualmente, di
ripercorrere ogni fase e stadio del procedimento sanzionatorio dinanzi a
questo giudice amministrativo (eppure, gli impegni neanche paiono affrontare
le maggiori e discriminatorie farraginosità evidenziate dal Provvedimento
antitrust).
In relazione
ai quattro impegni, contenuti nei numeri dal 5 all’8, giustificatamente
l’Autorità ne ha ritenuto la tardività, in quanto pervenuti soltanto a
conclusione del market test già espletato sui precedenti impegni dal n. 1 al
n. 4.
Al riguardo,
il primo giudice ha ritenuto che essi erano tardivi e che non potevano
configurarsi come una modifica accessoria.
L’appello
(pagina 102), al fine di sostenerne la tempestività, deduce solo che il
termine di presentazione non è perentorio (principio su cui si può convenire
in astratto) e che essi erano integrazioni di quelli già proposti.
E’ vero che
il termine previsto in materia (art. 14-ter L.n.287 del 1990) ha carattere
ordinatorio e sollecitatorio e non già perentorio; la logica del termine,
tuttavia, non può non essere “effettuale”, sicchè se da un lato le imprese
non debbono affrettarsi e l’Autorità deve essere in grado di valutarne la
idoneità alla correzione rispetto ai profili anticoncorrenziali emersi (di
qui la natura non perentoria), una volta valutati, non è possibile ritenere,
in concreto, la loro ripresentabilità all’infinito.
In realtà,
tuttavia, l’appello nulla dice in relazione alla ritenuta tardività sul
perché la presentazione sia avvenuta successivamente ai test già effettuati
sui primi impegni; sotto altro profilo, è evidente che, dalla mera analisi
letterale dei nuovi impegni (miglioramento della policy di contatto,
unificazione dell’attività di delivery, accesso dell’AGCM ai database delle
offerte di gara), essi sono diversi ontologicamente da quelli in precedenza
proposti.
In
definitiva, da un lato tali impegni erano del tutto nuovi; in più, anche se
ciò è irrilevante, essi erano anche giudicati inidonei, come i precedenti, a
superare le riscontrate criticità per gli OLO.
15.1.Con il
quattordicesimo e ultimo motivo di appello, vengono dedotte censure in ordine
alla quantificazione delle sanzioni: la sanzione irrogata sarebbe illegittima
per assenza dei presupposti per la irrogazione della sanzione (imputabilità
ed elemento soggettivo, nesso eziologico), per erronea valutazione sulla
gravità e sulla durata, per mancata considerazione di circostanze attenuanti
ed erronea imputazione della recidiva.
L’appello
(pagine 103 e 104) censura la sentenza, per avere ritenuto: assenza della
novità, il rifiuto costruttivo ampiamente noto nella pratica antitrust, non
decisivi gli impegni quanto al comportamento di collaborazione di Telecom, l’importo ragionevolmente
commisurato ai due abusi, il calcolo delle ammende in linea con gli
orientamenti, la evidente ripetizione degli illeciti, l’apprezzabile gravità
quanto all’effetto di rallentare il processo di crescita dei concorrenti;
sostiene che il primo motivo sia stato trascurato e che gli altri siano stati
esaminati in modo incompleto.
Ripropone
motivi: sull’an della sanzione; su gravità e durata delle infrazioni; su
circostanze aggravanti ed attenuanti.
15.2.Va
osservato che in applicazione dei poteri di cui il g.a. dispone in ordine
alla quantificazione della sanzione pecuniaria irrogata dall’Autorità garante
della concorrenza e del mercato propri di una giurisdizione di merito
(riconosciuta ora espressamente dall’art. 134 c.p.a., comma 1, lett. c,
c.p.a.) si può quindi procedere alla rideterminazione della sanzione (tra
varie Cons. Stato, VI, 9 febbraio 2011, n.896).
Con riguardo
alla consapevolezza della gravità dei suoi comportamenti in senso
anticoncorrenziale (par.561), alla esclusione di ogni legittimo affidamento
di Telecom, il Collegio
osserva, sulla base di quanto già sopra evidenziato, che non possono valere i
richiami agli affidamenti che ritiene espressi nel suo ambito dall’Autorità
di regolazione del settore, trattandosi in ogni caso di ambiti del tutto
differenti.
Non può
dubitarsi che, per come imputati sin dalle iniziali contestazioni, le due
condotte abusive contengano tutti gli elementi dell’illecito (elemento
soggettivo, nesso eziologico rispetto al danno o pericolo anticoncorrenziale,
imputabilità degli illeciti) e che la presenza degli elementi dell’illecito
concorrenziale siano stati esposti (condotta, intento o comunque effetto,
danno) nel corposo provvedimento.
15.3.L’art.
31 della legge 287 del 1990 al fine di quantificare la sanzione, ai sensi del
richiamato art. 11 L.689 del 1981, considera la gravità della violazione, le
condizioni economiche, il comportamento delle imprese coinvolte e le
eventuali iniziative volte a eliminare o attenuare le conseguenze delle
violazioni. A ciò va aggiunto (rectius, in ciò è ricompreso),
naturalmente, il danno anticoncorrenziale.
Nuovamente,
quanto alla durata e alla gravità della condotta, il Collegio osserva che
l’Autorità ha tenuto conto delle Comunicazioni della Commissione 2006/C
210/02; la durata è quella determinata dall’Autorità nel provvedimento
finale, ai fini della determinazione della sanzione; in ogni caso, non
possono comportare differenziazioni, al fine di contrastare la gravità sotto
gli effetti anticoncorrenziali, ben descritti dalla sanzione, né lievi
diminuzioni dei KO nell’anno 2011 (come sostiene a pagina 110 l’appello), né
il riferimento, nuovamente, alle delibere di Agcom.
Il periodo di
riferimento per la questione dei KO degli OLO è il 2009-2011 (per anni e non
per mesi), sicchè le dichiarate lievi diminuzioni finali non possono rilevare
più di tanto.
Il periodo
del secondo abuso è definita tra il gennaio 2009 e il luglio 2011 (paragrafo
562 del provvedimento).
Peraltro, nel
contestare genericamente il periodo facendo riferimento alle delibere Agcom
2009 e 2010 (pagina 110 dell’appello) si mira nuovamente a contestare la
sussistenza dell’illecito, in realtà nulla aggiungendo quanto alla durata
determinata dall’Autorità.
Anche con riguardo
alla durata del margin squeeze, nel mentre l’appello contesta
addirittura un omesso esame di ricorso, in realtà nulla contrappone alla
determinazione del periodo effettuata dall’Autorità, evidenziata nella
contestazione e confermata nella parte sanzionatoria (che costituisce un
successivo passaggio logico della prima, in tal senso, Cons. Stato, VI, 24
agosto 2011, n.4800).
16.Con altro
motivo di appello l’appellante contesta che la sentenza di primo grado non
abbia fatto applicazione del principio di proporzionalità nella riduzione
della sanzione, potere esercitabile anche in assenza di vizi di legittimità.
Al riguardo,
tale motivo di appello non si premura però di contrastare i passaggi, almeno
per larghi tratti, nei quali l’Autorità ha esposto i criteri di
determinazione con riguardo ai diversi mercati, ai fatturati, agli specifici
periodi (parr. da 563 a 568 e parr. da 569 a 573).
Non possono
essere ritenuti idonei a contestare i criteri di determinazione della
sanzione i riferimenti, ancora una volta (pagine 111 e 112 dell’appello),
alla legittimità asserita della condotta (perché avallata dal regolatore di
settore), alla asserzione del trattamento migliore e non deteriore per i KO
degli OLO (che, come visto, costituisce la questione centrale del primo
abuso), in quanto, come già detto, la determinazione della sanzione è un
passaggio logico successivo a quella della imputazione della condotta, già
acclarata.
Dall’altro
lato, la stessa Autorità ha argomentato dovutamente in ordine alla presenza
di attenuanti (par. 566) di avviamento di miglioramenti nelle procedure di
delivery e altro; quanto alla esigenza di tenere conto del ravvedimento
operoso o degli impegni, se del primo si è tenuto conto nella misura sopra
vista al paragrafo 566, è evidente che gli impegni, per il giudizio severo
sulla loro assoluta inidoneità a superare le criticità nella loro sostanza,
non avrebbero potuto essere, coerentemente, ritenuti cause attenuanti.
17.E’ da
respingersi anche il motivo con il quale si contesta l’applicazione della
recidiva.
L’Autorità ha
fatto riferimento ai precedenti: “Telecom ha
già violato in diverse occasioni la normativa antitrust in materia di abuso
di posizione dominante in relazione a comportamenti sostanzialmente
escludenti, consistenti nell’applicazione di condizioni tecniche ed
economiche discriminatorie nei confronti dei concorrenti” (par. 565).
Tale richiamo
è, ad opinione del Collegio, sufficiente a ritenere configurabile la recidiva
di condotta abusiva.
Non vale
l’argomentazione di parte appellante che negli altri casi si trattava di
“rifiuto di fornire servizi se non a condizioni inique” o altro oppure che la
compressione dei margini contestata sia, tra le parti, inedita.
E’ evidente
che, per la speciale responsabilità alla quale è sottoposta l’impresa ex
monopolista, le ascritte condotte non possono non essere considerate
nell’ambito di una condotta ripetuta di illeciti anticoncorrenziali, anche al
fine della determinazione della sanzione.
D’altra
parte, la recidiva è la ricaduta, anche a far riferimento alla c.d. recidiva
aggravata, nella suddetta materia, in condotte della stessa indole, non
richiedendosi la “identità” completa degli aspetti marginali della
fattispecie.
18.Per le
considerazioni sopra svolte, essendo stati esaminati e respinti tutti i
motivi proposti dalla parte appellante, l’appello deve essere respinto, con
conseguente conferma dell’appellata sentenza.
La condanna
alle spese del presente grado di giudizio segue il principio della
soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio
di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando
sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando l’appellata
sentenza.
Condanna
l’appellante Telecom Italia
spa al pagamento delle spese per complessive euro trentaduemila (euro
32.000,00), di cui settemila (euro 7.000,00) a favore dell’Autorità Garante
della concorrenza e del mercato, cinquemila (euro 5.000,00) a favore di
Fastweb spa, cinquemila (euro 5.000,00) a favore di BT Italia spa, cinquemila
(euro 5.000,00) a favore di AII-Associazione Italiana Internet Provider,
cinquemila (euro 5.000,00) a favore di Vodafone Omnitel spa, cinquemila (euro
5.000,00) a favore di Wind Telecomunicazioni spa.
Ordina che la
presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso
in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2015 con l'intervento
dei magistrati:
Filippo
Patroni Griffi, Presidente
Sergio De
Felice, Consigliere, Estensore
Claudio
Contessa, Consigliere
Giulio
Castriota Scanderbeg, Consigliere
Roberta
Vigotti, Consigliere
DEPOSITATA IN
SEGRETERIA
Il 15/05/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co.
3, cod. proc. amm.)
|
lunedì 18 maggio 2015
"AUTHORITY": la Telecom sanzionata (pesantemente) dall'Antitrust per abuso di posizione dominante (Cons. St., Sez. VI, sentenza 15 maggio 2015, n. 2479).
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