ADUNANZE PLENARIE
(PROCESSO & ESPOPRIAZIONE P.U.):
commissario "ad acta" e
provvedimento di cui all'art. 42 "bis"
del d.P.R. n. 327/2001
(Ad. Plen., 9 febbraio 2016, n. 2)
Principio di diritto
1. Il commissario ad acta può emanare il provvedimento di acquisizione coattiva previsto dall’articolo 42-bis d.P.R. n. 327 del 2001 – Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità -:
a) se nominato dal giudice amministrativo a mente degli artt. 34, co. 1, lett. e), e 114, co. 4, lett. d), c.p.a., qualora tale adempimento sia stato previsto dal giudicato de quo agitur;
b) se nominato dal giudice amministrativo a mente dell’art. 117, co. 3, c.p.a., qualora l’amministrazione non abbia provveduto sull’istanza dell’interessato che abbia sollecitato l’esercizio del potere di cui al menzionato art. 42-bis.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
(Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 23
di A.P. del 2014, proposto dalla Signora Carmela Marraffa, rappresentata e
difesa dall'avvocato Carlo Caniglia, domiciliata ai sensi dell’art. 25 c.p.a.
presso la Segreteria della Quarta Sezione del Consiglio di Stato in Roma,
piazza Capo di Ferro n. 13;
contro
Comune di Villa Castelli, in persona del
Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giovanni
Pomarico, domiciliato ai sensi dell’art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della
Quarta Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro n. 13;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Puglia –
sede staccata di Lecce - Sezione I, n. 383 del 21 febbraio 2013.
Visti il ricorso in appello e i relativi
allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio
del Comune di Villa Castelli;
Vista l’ordinanza della Quarta Sezione del
Consiglio di Stato – n. 3347 del 3 luglio 2014 – che ha rimesso la presente
causa all’Adunanza plenaria ai sensi dell’art. 99, co.1, c.p.a.;
Vista l’ordinanza dell’Adunanza plenaria
del Consiglio di Stato - n. 28 del 15 ottobre 2014 - che ha sospeso il presente
giudizio essendo pendente la questione di legittimità costituzionale della
norma sancita dall’art. 42 bis, d.P.R. 8 giugno 2011, n. 327 –
Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
espropriazione per pubblica utilità -;
Vista la sentenza della Corte
costituzionale n. 71 del 30 marzo 2015 pubblicata nella G.U., 1° s.s., 6 maggio
2015 n. 18;
Vista l’istanza di fissazione d’udienza e
contestuale atto di riassunzione depositato dalla difesa della Signora Carmela
Marraffa in data 1 giugno 2015;
Vista la memoria difensiva depositata
davanti all’Adunanza plenaria dalla difesa della Signora Carmela Marraffa in
data 14 settembre 2015;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del
giorno 7 ottobre 2015 il consigliere Vito Poli e uditi per le parti gli
avvocati Caniglia, e Pomarico;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto
quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’ OGGETTO DEL PRESENTE GIUDIZIO.
1.1. L’oggetto del presente giudizio è
costituito dal provvedimento reso dal commissario ad acta -
nominato in sede di esecuzione di un giudicato - recante, nella sostanza,
l’emanazione di un decreto di acquisizione ex art. 42-bis d.P.R. 8
giugno 2011, n. 327 - Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità – (in prosieguo
t.u. espr.), in danno della odierna ricorrente.
1.2. Più in dettaglio viene in rilievo la
domanda di esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza irrevocabile del
T.a.r. per la Puglia - sede staccata di Lecce, Sezione I, n. 3342 del 19
novembre 2008 che, in accoglimento del ricorso proposto dalla Signora Carmela
Marraffa:
a) ha preso atto della irreversibile
trasformazione di un appezzamento di terreno (di proprietà dell’istante) in
giardino pubblico ad opera del comune di Villa Castelli che, sebbene avesse
disposto l’occupazione d’urgenza dell’area, non aveva emanato il successivo
decreto di esproprio;
b) ha condannato il comune a restituire
l’area, ovvero a concludere un accordo transattivo, o, in alternativa, ad
emanare un provvedimento di acquisizione ai sensi dell’allora vigente art. 43,
t.u. espr.;
c) ha scandito dettagliatamente la
tempistica di ciascuna fase ed i relativi adempimenti, formulando minute
prescrizioni anche in ordine ai criteri di liquidazione, per equivalente
monetario, del danno derivante dalla perdita della proprietà e del possesso sine
titulo, oltre che degli accessori;
d) ha espressamente stabilito che,
trascorsi i termini concessi per ciascuno degli alternativi adempimenti, la
parte privata avrebbe potuto agire in giudizio per l’esecuzione della
decisione;
e) ha condannato il comune alla refusione
delle spese di lite.
2. IL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO.
2.1. Con una prima sentenza irrevocabile
resa in esecuzione del giudicato de quo agitur– T.a.r. Lecce,
Sezione I, n. 2241 del 2 ottobre 2009 -:
a) è stata assodata la sostanziale inerzia
del comune ad eseguire il giudicato;
b) è stato ordinato all’ente di dare corso
a tutti gli adempimenti previsti dal giudicato entro un breve termine (45
giorni);
c) è stata disposta la condanna dell’ente
alle spese di lite.
2.2. Con una seconda sentenza irrevocabile
resa sempre in esecuzione del giudicato – T.a.r Lecce, Sezione I, n. 928 del 24
maggio 2012 -:
a) è stato ritenuto applicabile in luogo
dell’art. 43, l’art. 42-bis t.u. espr.;
b) si è preso atto che il comune non ha
inteso concludere un accordo transattivo;
c) sono state rinnovate le statuizioni
alternative, relative alla restituzione del terreno ovvero all’emanazione di un
provvedimento ex art. 42-bis, accompagnate dalle consequenziali misure
risarcitorie;
d) è stato concesso un ulteriore termine di
60 giorni;
e) è stato nominato il commissario ad
acta con il mandato di provvedere a tutti gli adempimenti occorrenti
per l’ottemperanza;
f) è stata disposta l’ennesima condanna
dell’ente alle spese di lite.
2.3. Nella perdurante inerzia del comune,
il commissario ad acta ha emanato, in data 10 settembre 2012,
un provvedimento ex art. 43 t.u. espr. determinando il valore del bene ed il
risarcimento del danno.
2.4. Il provvedimento commissariale è
stato reclamato dalla Signora Marraffa, ex art. 114, co. 6, c.p.a., sotto
molteplici aspetti (cfr. atto notificato in data 4 dicembre 2012).
2.5. Il reclamo è stato respinto
dall’impugnata sentenza del T.a.r. di Lecce, Sez. I, n. 383 del 21 febbraio
2013 che, previa riqualificazione del provvedimento ex art. 42-bis cit.:
a) ha escluso che il commissario dovesse
agire nel contraddittorio delle parti, acquisendo il contributo istruttorio
delle medesime;
b) ha riconosciuto congrua la
determinazione del valore del terreno in relazione alla sua inedificabilità;
c) ha escluso che la stima dell’Agenzia
del territorio, posta a base del provvedimento commissariale, fosse stata in
precedenza ritenuta incongrua o inutilizzabile dal medesimo T.a.r.
3. IL GIUDIZIO DI APPELLO DAVANTI ALLA IV
SEZIONE DEL CONSIGLIO DI STATO.
3.1. Con ricorso ritualmente notificato e
depositato la Signora Marraffa ha interposto appello avverso la su menzionata
sentenza articolando due autonomi motivi:
a) con il primo (pagine 7 – 9 del
gravame), ha contestato che il commissario fosse esonerato dall’obbligo di
acquisire i pareri delle parti che sarebbero stati, viceversa, rilevanti e
decisivi in punto di scelta fra restituzione del bene o acquisizione coattiva;
b) con il secondo (pagine 9 – 10 del
gravame), ha ribadito che il commissario, per individuare il valore del bene,
non avrebbe dovuto basarsi sulla stima dell’Agenzia del territorio perché tale
valutazione era stata considerata inappropriata dallo stesso T.a.r. nella
sentenza n. 2241 del 2009; da qui la violazione del mandato conferito
all’ausiliario dalla sentenza n. 928 del 2012 e l’invalidità, in parte
qua, del provvedimento reclamato.
3.2. Si è costituito il comune confutando
analiticamente la fondatezza dell’appello di cui ha chiesto il rigetto.
4. L’ORDINANZA DI RIMESSIONE DELLA CAUSA
ALL’ADUNANZA PLENARIA ED I SUCCESSIVI SVILUPPI PROCESSUALI.
4.1. Con ordinanza n. 3347 del 3 luglio
2014, la IV Sezione del Consiglio di Stato:
a) ha ricostruito, in chiave storica e
sistematica, l’istituto dell’acquisizione disciplinato prima dall’art. 43 e poi
dall’art. 42-bis; t.u. espr.;
b) ha dato atto del contrasto registratosi
nella giurisprudenza del Consiglio di Stato circa la possibilità che in sede di
esecuzione del giudicato il giudice amministrativo, direttamente o per il
tramite dell’intervento del commissario ad acta, possa o meno
ordinare alla P.A. di adottare un provvedimento ex art. 42-bis, ovvero
limitarsi a sollecitare l’esercizio di tale potere, fissando all’uopo un
termine, scaduto il quale non rimarrebbe che assicurare la sola tutela
restitutoria;
c) ha rilevato la pendenza della questione
di legittimità costituzionale dell’art. 42-bis t.u. espr. sollevata
dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (cfr. ordinanze 13 gennaio 2014,
nn. 441 e 442);
d) all’esplicito scopo di meglio garantire
l’armonico coordinamento (ed il rispetto) dei principi della effettività della
tutela giurisdizionale, da un lato, e dell’autorità del giudicato, dall’altro,
ha sottoposto all’Adunanza planaria la seguente questione ovvero <<se
nella fase di ottemperanza – con giurisdizione, quindi, estesa al merito – ad
una sentenza avente ad oggetto una domanda demolitoria di atti concernenti una
procedura espropriativa, rientri o meno tra i poteri sostitutivi del giudice, e
per esso, del commissario ad acta, l’adozione della procedura semplificata di
cui all’art. 42-bis t.u. espr.>>.
4.2. Con ordinanza dell’Adunanza plenaria
- n. 28 del 15 ottobre 2014 – è stato sospeso il presente giudizio in attesa
della definizione delle sollevate questioni di legittimità costituzionale.
4.3. Con sentenza parzialmente
interpretativa di rigetto n. 71 del 30 marzo 2015 - pubblicata nella G.U., 1°
s.s., 6 maggio 2015 n. 18 – la Corte costituzionale, in relazione ai vari
parametri evocati, ha dichiarato in parte inammissibile, in parte infondata, ed
in parte non fondata ai sensi di cui in motivazione, la questione di
legittimità costituzionale del più volte menzionato art. 42-bis.
4.4. Il giudizio è stato ritualmente
proseguito con l’istanza depositata in data 1 giugno 2015 dalla difesa della
signora Marraffa ed alla camera di consiglio dell’8 ottobre 2015 la causa è
stata trattenuta in decisione.
5. LA NATURA GIURIDICA, I PRESUPPOSTI
APPLICATIVI E GLI EFFETTI DELLA ACQUISIZIONE EX ART. 42-BIS T.U. ESPR.
5.1. Si riporta per comodità di lettura il
più volte menzionato art. 42 - bis, t.u. espr. - Utilizzazione
senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico – come
introdotto dall’art. 34, comma 1, d.l. n. 98 del 2011 convertito con
modificazioni nella l. n. 111 del 2011: <<1. Valutati gli
interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di
interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace
provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre
che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e
che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio
patrimoniale e non patrimoniale, quest'ultimo forfetariamente liquidato nella
misura del dieci per cento del valore venale del bene.
2. Il provvedimento di acquisizione può
essere adottato anche quando sia stato annullato l'atto da cui sia sorto il
vincolo preordinato all'esproprio, l'atto che abbia dichiarato la pubblica
utilità di un'opera o il decreto di esproprio. Il provvedimento di acquisizione
può essere adottato anche durante la pendenza di un giudizio per l'annullamento
degli atti di cui al primo periodo del presente comma, se l'amministrazione che
ha adottato l'atto impugnato lo ritira. In tali casi, le somme eventualmente
già erogate al proprietario a titolo di indennizzo, maggiorate dell'interesse
legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo.
3. Salvi i casi in cui la legge disponga
altrimenti, l'indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui al comma 1 è
determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per
scopi di pubblica utilità e, se l'occupazione riguarda un terreno edificabile,
sulla base delle disposizioni dell'articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7. Per il
periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli
atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno,
l'interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del
presente comma.
4. Il provvedimento di acquisizione,
recante l'indicazione delle circostanze che hanno condotto alla indebita
utilizzazione dell'area e se possibile la data dalla quale essa ha avuto
inizio, è specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali
ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l'emanazione, valutate
comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l'assenza
di ragionevoli alternative alla sua adozione; nell'atto è liquidato
l'indennizzo di cui al comma 1 e ne è disposto il pagamento entro il termine di
trenta giorni. L'atto è notificato al proprietario e comporta il passaggio del
diritto di proprietà sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme
dovute ai sensi del comma 1, ovvero del loro deposito effettuato ai sensi
dell'articolo 20, comma 14; è soggetto a trascrizione presso la conservatoria
dei registri immobiliari a cura dell'amministrazione procedente ed è trasmesso
in copia all'ufficio istituito ai sensi dell'articolo 14, comma 2.
5. Se le disposizioni di cui ai commi 1, 2
e 4 sono applicate quando un terreno sia stato utilizzato per finalità di
edilizia residenziale pubblica, agevolata o convenzionata, ovvero quando si
tratta di terreno destinato a essere attribuito per finalità di interesse
pubblico in uso speciale a soggetti privati, il provvedimento è di competenza
dell'autorità che ha occupato il terreno e la liquidazione forfetaria
dell'indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale è pari al venti per cento
del valore venale del bene.
6. Le disposizioni di cui al presente
articolo si applicano, in quanto compatibili, anche quando è imposta una
servitù e il bene continua a essere utilizzato dal proprietario o dal titolare
di un altro diritto reale; in tal caso l'autorità amministrativa, con oneri a
carico dei soggetti beneficiari, può procedere all'eventuale acquisizione del
diritto di servitù al patrimonio dei soggetti, privati o pubblici, titolari di
concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgono servizi di interesse
pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua o energia.
7. L'autorità che emana il provvedimento
di acquisizione di cui al presente articolo nè dà comunicazione, entro trenta
giorni, alla Corte dei conti mediante trasmissione di copia integrale.
8. Le disposizioni del presente articolo
trovano altresì applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore ed
anche se vi è già stato un provvedimento di acquisizione successivamente
ritirato o annullato, ma deve essere comunque rinnovata la valutazione di
attualità e prevalenza dell'interesse pubblico a disporre l'acquisizione; in
tal caso, le somme già erogate al proprietario, maggiorate dell'interesse
legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo.>>
5.2. Prima di procedere alla risoluzione
del quesito sottoposto all’Adunanza plenaria, è indispensabile ricostruire
(limitandosi a quanto di interesse) il quadro dei condivisibili principi che,
successivamente all’ordinanza di rimessione della IV Sezione, sono stati
elaborati dalla Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 71 del 2015 cit.), dalle
Sezioni unite della Corte di cassazione (cfr. decisioni n. 735 del 19 gennaio
2015 e n. 22096 del 29 ottobre 2015) e dal Consiglio di Stato (cfr. sentenze
Sez. IV, n. 4777 del 19 ottobre 2015; n. 4403 del 21 settembre 2015; n. 3988
del 26 agosto 2015; n. 2126 del 27 aprile 2015; n. 3346 del 3 luglio 2014),
all’interno della consolidata cornice di tutele delineata dalla Corte europea
dei diritti dell’uomo per contrastare il deprecato fenomeno delle
<<espropriazioni indirette>> del diritto di proprietà o di altri
diritti reali (cfr., ex plurimis e da ultimo, con riferimento
all’ordinamento italiano, Corte europea dei diritti dell’uomo, Sez. II, 3
giugno 2014, Rossi e Variale; Sez. II, 14 gennaio 2014, Pascucci; Sez. II, 5
giugno 2012, Immobiliare Cerro; Grande Camera, 22 dicembre 2009, Guiso; Sez.
II, 6 marzo 2007, Scordino; Sez. III, 12 gennaio 2006, Sciarrotta; Sez. II, 17
maggio 2005, Scordino; Sez. II, 30 maggio 2000, Soc. Belvedere alberghiera;
Sez. II, 30 maggio 2000, Carbonara e Ventura).
5.3. In linea generale, quale che sia la
sua forma di manifestazione (vie di fatto, occupazione usurpativa, occupazione
acquisitiva), la condotta illecita dell’amministrazione incidente sul diritto
di proprietà non può comportare l’acquisizione del fondo e configura un
illecito permanente ex art. 2043 c.c. – con la conseguente decorrenza del
termine di prescrizione quinquennale dalla proposizione della domanda basata
sull’occupazione contra ius, ovvero, dalle singole annualità per
quella basata sul mancato godimento del bene - che viene a cessare solo in
conseguenza:
a) della restituzione del fondo;
b) di un accordo transattivo;
c) della rinunzia abdicativa (e non
traslativa, secondo una certa prospettazione delle SS.UU.) da parte del
proprietario implicita nella richiesta di risarcimento del danno per
equivalente monetario a fronte della irreversibile trasformazione del fondo;
d) di una compiuta usucapione, ma solo nei
ristretti limiti perspicuamente individuati dal Consiglio di Stato allo scopo
di evitare che sotto mentite spoglie (i.e. alleviare gli oneri finanziari
altrimenti gravanti sull’Amministrazione responsabile), si reintroduca una
forma surrettizia di espropriazione indiretta in violazione dell’art. 1 del
Protocollo addizionale della Cedu (Sez. IV, n. 3988 del 2015 e n. 3346 del
2014); dunque a condizione che:
I) sia effettivamente configurabile il
carattere non violento della condotta;
II) si possa individuare il momento esatto
della interversio possesionis;
III) si faccia decorrere la prescrizione
acquisitiva dalla data di entrata in vigore del t.u. espr. (30 giugno 2003)
perché solo l’art. 43 del medesimo t.u. aveva sancito il superamento
dell’istituto dell’occupazione acquisitiva e dunque solo da questo momento
potrebbe ritenersi individuato, ex art. 2935 c.c., il<<….giorno in cui
il diritto può essere fatto valere>>;
e) di un provvedimento emanato ex art. 42-bis t.u.
espr.
5.4. Chiarito che l’acquisizione ex art.
42-bis cit. costituisce una delle possibili cause legali di
estinzione di un fatto illecito e che essa trova legittima applicazione anche
alle situazioni prodottesi prima della sua entrata in vigore (§ 6.9.1. della
sentenza della Corte cost. n. 71 del 2015 cit., che ha così definitivamente
fugato i dubbi adombrati dalle Sezioni unite al § 4 della sentenza n. 735 del
2015 cit.), giova evidenziare che:
a) la disposizione introduce una norma di
natura eccezionale; tale conclusione è coerente con l’impostazione tradizionale
che considera a tale stregua le norme limitatrici della sfera giuridica dei
destinatari, con particolare riguardo a quelle che attribuiscono alla P.A. un
potere ablatorio.
Un atto definibile come espropriazione in
sanatoria stricto sensu, e basato sulla illiceità dell’occupazione
di un bene altrui, infatti, segnerebbe una interruzione della consequenzialità
logica della disciplina generale (europea e nazionale) di riferimento in
materia di acquisizione coattiva della proprietà privata, ponendosi in
contrasto con essa attraverso una discriminazione – pure sancita dalla legge -
del trattamento giuridico di situazioni soggettive che altrimenti sarebbero
destinatarie della disciplina generale; da qui l’indefettibile necessità, ex
art. 14, disp. prel. c.c., di una esegesi rigorosa della norma medesima che
sia, ad un tempo, conforme al sistema di tutela della proprietà privata
disegnato dalla CEDU ma rispettosa del valore costituzionale della funzione
sociale della proprietà privata sancito dall’art. 42, co. 2, Cost. (che
costituisce il fondamento del potere attribuito alla P.A.), secondo un approccio
metodologico basato su una visione sistemica, multilivello e comparata della
tutela dei diritti, a sua volta incentrata sulla considerazione
dell’ordinamento nel suo complesso, quale risultante dalla interazione fra
norme (interne e internazionali) e principi delle Corti (interne e
sovranazionali);
b) l’art. 42-bis, invece, configura
un procedimento ablatorio sui generis, caratterizzato da una
precisa base legale, semplificato nella struttura (uno actu perficitur),
complesso negli effetti (che si producono sempre e comunque ex nunc), il
cui scopo non è (e non può essere) quello di sanatoria di un precedente
illecito perpetrato dall’Amministrazione (perché altrimenti integrerebbe una
espropriazione indiretta per ciò solo vietata), bensì quello autonomo, rispetto
alle ragioni che hanno ispirato la pregressa occupazione contra ius, consistente
nella soddisfazione di imperiose esigenze pubbliche, redimibili esclusivamente
attraverso il mantenimento e la gestione di qualsiasi opera dell’infrastruttura
realizzata sine titulo;
c) un tale obbiettivo istituzionale,
inoltre, deve emergere necessariamente da un percorso motivazionale -
rafforzato, stringente e assistito da garanzie partecipativo rigorose – basato
sull’emersione di ragioni attuali ed eccezionali che dimostrino in modo chiaro
che l’apprensione coattiva si pone come extrema ratio (perché
non sono ragionevolmente praticabili soluzioni alternative e che tale assenza
di alternative non può mai consistere nella generica <<…eccessiva
difficoltà ed onerosità dell’alternativa a disposizione
dell’amministrazione..>>), per la tutela di siffatte imperiose
esigenze pubbliche;
d) sono coerenti con questa impostazione:
I) le importanti guarentigie previste per
il destinatario dell’atto di acquisizione sotto il profilo della misura
dell’indennizzo (avente natura indennitaria secondo Cass. civ., Sez. un., n.
2209 del 2015 cit.), valutato a valore venale (al momento del trasferimento,
alla stregua del criterio della taxatio rei, senza che,
dunque, ci siano somme da rivalutare ma, in ogni caso, tenuto conto degli
ulteriori parametri individuati dagli artt. 33 e 40 t.u.espr.), maggiorato
della componente non patrimoniale (dieci per cento senza onere probatorio per
l’espropriato), e con salvezza della possibilità, per il proprietario, di
provare autonome poste di danno;
II) la previsione del coinvolgimento
obbligatorio della Corte dei conti in una vicenda che produce oggettivamente (e
indipendentemente dagli eventuali profili soggettivi di responsabilità da
accertarsi nelle competenti sedi) un aggravio sensibile degli esborsi a carico
della finanza pubblica;
e) per evitare che l’eccezionale potere
ablatorio previsto dall’art. 42-bis possa essere esercitato sine
die in violazione dei valori costituzionali ed europei di certezza e
stabilità del quadro regolatorio dell’assetto dei contrapposti interessi in
gioco, la disciplina ivi dettata è inserita in (ed arricchita da) un più ampio
contesto ordinamentale che - in ragione della sussistenza dell’obbligo della
P.A. di valutare se emanare un atto tipico sull’adeguamento della situazione di
fatto a quella di diritto - prevede per il proprietario strumenti adeguati di
reazione all’inerzia della P.A., esercitabili davanti al giudice amministrativo,
sia attraverso il c.d. “rito silenzio” (artt. 34 e 117 c.p.a.), sia in sede di
ordinario giudizio di legittimità avente ad oggetto il procedimento ablatorio
sospettato di illegittimità (o altro giudizio avente ad oggetto la tutela
reipersecutoria, come verificatosi nel caso di specie), secondo le coordinate
esegetiche esplicitamente stabilite dalla sentenza n. 71 del 2015 (in
particolare § 6.6.3.);
f) assume un rilievo centrale (in
particolare ai fini della risoluzione del quesito sottoposto all’Adunanza plenaria,
come si vedrà meglio in prosieguo) un ulteriore elemento caratterizzante
l’istituto in esame, ovvero l’impossibilità che l’Amministrazione emani il
provvedimento di acquisizione in presenza di un giudicato che abbia disposto la
restituzione del bene al proprietario; tale elemento – valorizzato dalla
sentenza n. 71 del 2015 in coerenza coi principi elaborati dalla Corte di
Strasburgo - si desume implicitamente dalla previsione del comma 2 dell’art. 42-bis nella
parte in cui consente all’autorità di adottare il provvedimento durante la
pendenza del giudizio avente ad oggetto l’annullamento della procedura
ablatoria (ovvero nel corso del successivo eventuale giudizio di ottemperanza),
ma non oltre, e quindi dopo che si sia formato un eventuale giudicato non
soltanto cassatorio ma anche esplicitamente restitutorio (come meglio si dirà
in prosieguo);
g) ne consegue che la scelta che
l’amministrazione è tenuta ad esprimere nell’ipotesi in cui si verifichi una
delle situazioni contemplate dai primi due commi dell’art. 42-bis, non
concerne l’alternativa fra l’acquisizione autoritativa e la concreta
restituzione del bene, ma quella fra la sua acquisizione e la non acquisizione,
in quanto la concreta restituzione rappresenta un semplice obbligo civilistico
— cioè una mera conseguenza legale della decisione di non acquisire l’immobile
assunta dall’amministrazione in sede procedimentale — ed essa non costituisce,
né può costituire, espressione di una specifica volontà provvedimentale
dell’autorità, atteso che, nell’adempiere gli obblighi di diritto comune,
l’amministrazione opera alla stregua di qualsiasi altro soggetto
dell’ordinamento e non agisce iure auctoritatis;
h) per concludere sul punto utilizzando un
argomento esegetico caro all’analisi economica del diritto, può dirsi che la
nuova disposizione, in buona sostanza, ha evitato che si riproducesse il vulnus arrecato
dal superato art. 43 t.u. espr., ovvero la possibilità, accordata dalla norma
all’epoca vigente, di far regredire la property rule (che
dovrebbe assistere il privato titolare della risorsa), a liability rule (con
facoltà della pubblica amministrazione di acquisire a propria discrezione
l’altrui bene con il solo pagamento di una compensazione pecuniaria),
introducendo pragmaticamente una regola di second best, da un
lato, riducendo al minimo l’ambito applicativo dell’appropriazione coattiva,
dall’altro, evitando che tale strumento divenga di uso routinario – causa
maggiori costi, responsabilità erariale, impossibilità di far valere
l’onerosità della restituzione quale giusta causa di acquisizione del bene,
partecipazione rafforzata del proprietario alla scelta finale, motivazione
esigente e rigorosa sulla impossibilità di configurare soluzioni diverse -
configurandosi come una normale alternativa all’espropriazione ordinaria: in
quest’ottica la procedura prevista dall’art. 42-bis non rappresenta
più (per usare il linguaggio della Corte di Strasburgo) il punto di emersione
di una defaillance structurelle dell’ordinamento italiano
(rispetto a quello europeo) ma costituisce, essa stessa, espropriazione
adottata secondo il canone della <<buona e debita forma>> predicato
dal paradigma europeo.
6. IL POTERE SOSTITUTIVO DEL COMMISSARIO AD
ACTA E L’ADOZIONE DEL PROVVEDIMENTO EX ART. 42 –BIS T.U.
ESPR.
6.1. La possibilità di emanazione del
provvedimento ex art. 42-bis in sede di ottemperanza, da parte del
giudice amministrativo o per esso dal commissario ad acta, non può
essere predicata a priori e in astratto ma, al contrario, come
bene testimonia il caso di specie, postula una risposta articolata che prenda
necessariamente le mosse dal contesto processuale in cui è chiamato ad operare
il giudice (ed il suo ausiliario) e lo conformi ai principi dianzi illustrati
(in particolare al § 5.4.).
6.2. Si è visto in precedenza (retro §
5.4., lett. f), che l’effetto inibente (all’emanazione del provvedimento di
acquisizione) del giudicato restitutorio costituisce elemento essenziale
dell’istituto disciplinato dall’art. 42-bis nella lettura
costituzionalmente orientata che ne ha fatto il giudice delle leggi in armonia
con la CEDU: conseguentemente in presenza di un giudicato restitutorio il
provvedimento di acquisizione non può essere emanato.
Si pone il problema della individuazione
del giudicato restitutorio: nulla quaestio nel caso in cui il
giudicato (amministrativo o civile) disponga espressamente, sic et
simpliciter, la restituzione del bene, con l’unica precisazione che una
tale statuizione restitutoria potrebbe sopravvenire anche nel corso del
giudizio di ottemperanza. Si tratta di una conseguenza fisiologica della
naturale portata ripristinatoria e restitutoria del giudicato di annullamento
di provvedimenti lesivi di interessi oppositivi d’indole espropriativa (cfr.
Cons. Stato, Ad. plen. 29 aprile 2005, n. 2; Ad. plen., 4 dicembre 1998, n. 8;
Ad. plen., 22 dicembre 1982, n. 19).
In tutti questi casi è certo che
l’Amministrazione non potrà emanare il provvedimento ex art. 42-bis.
6.3. Tuttavia, costituisce fatto notorio
che, sovente, durante la pendenza del processo avente ad oggetto la procedura
espropriativa, il fondo subisce alterazioni tali da rendere necessario il
compimento, ai fini della sua restituzione, di rilevanti attività giuridiche o
materiali; a fronte di una situazione di tal fatta si possono verificare le
seguenti evenienze:
I) il privato potrebbe non avere un
interesse reale ed attuale alla tutela reipersecutoria – preferendo evitare di
essere coinvolto in attività spesso defatiganti - e dunque non propone una
rituale domanda di condanna dell’Amministrazione alla restituzione previa
riduzione in pristino, secondo quanto previsto dal combinato disposto degli
artt. 30, co. 1, e 34, co. 1, lett. c) ed e), c.p.a.; in questo caso il
giudicato si presenterebbe come puramente cassatorio, per scelta (e a tutela)
del proprietario, ma non si produrrebbe l’effetto inibitorio dell’emanazione
del provvedimento ex art. 42-bis;
II) il proprietario ha interesse alla
restituzione e propone la relativa domanda ma il giudice non si pronuncia o si
pronuncia in modo insoddisfacente; in tal caso il rimedio è affidato ai normali
strumenti di reazione processuale, in mancanza (o all’esito) dei quali se il
giudicato continua a non recare la statuizione restitutoria, comunque
l’Amministrazione potrà emanare il provvedimento ex art. 42-bis non
sussistendo la preclusione inibente dianzi richiamata.
6.4. A diverse conclusioni deve giungersi
allorquando, come verificatosi nella vicenda in trattazione, il giudicato
rechi, in via esclusiva o alternativa, la previsione puntuale dell’obbligo
dell’Amministrazione di emanare un provvedimento ex art. 42-bis.
In realtà è bene precisare subito che non
esiste la possibilità, tranne si versi in una situazione processuale
patologica, che il giudice condanni direttamente in sede di cognizione
l’Amministrazione a emanare tout court il provvedimento in
questione: vi si oppongono, da un lato, il principio fondamentale di
separazione dei poteri (e della riserva di amministrazione) su cui è costruito
il sistema costituzionale della Giustizia Amministrativa, dall’altro, uno dei
suoi più importanti corollari processuali consistente nella tassatività ed
eccezionalità dei casi di giurisdizione di merito sanciti dall’art. 134 c.p.a.
fra i quali non si rinviene tale tipologia di contenzioso (cfr. negli esatti
termini Cons. Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5).
A maggior ragione in una fattispecie in
cui vengono in rilievo sofisticate valutazioni sulla ricorrenza delle circostanze
eccezionali che giustificano l’acquisizione coattiva, cui si possono
eventualmente riconnettere gravi ricadute in termini di responsabilità
erariale.
Se del caso, dovrà essere cura delle parti
evitare che si formi un giudicato di tal fatta su domande il cui petitum ha
proprio ad oggetto l’emanazione di un provvedimento ex art. 42–bis,
attraverso la proposizione di specifiche eccezioni (o mezzi di impugnazione
all’esito della sentenza di primo grado).
6.5. Come si è testé rilevato è ben
possibile, invece, che il giudice amministrativo, adito in sede di cognizione
ordinaria ovvero nell’ambito del c.d. rito silenzio, a chiusura del sistema,
imponga all’amministrazione di decidere - ad esito libero, ma una volta e per
sempre, nell’ovvio rispetto di tutte le garanzie sostanziali e procedurali
dianzi illustrate - se intraprendere la via dell’acquisizione ex art. 42-bis ovvero
abbandonarla in favore delle altre soluzioni individuate in precedenza (retro §
5.3.).
In questo caso non vi è ragione di
discostarsi dai principi recentemente enucleati dall’Adunanza plenaria di
questo Consiglio (cfr. sentenza 15 gennaio 2013, n. 2) in sintonia con la Corte
europea dei diritti dell’uomo (cfr. sentenza 18 novembre 2004, Zazanis), alla
stregua dei quali l’effettività delle tutela giurisdizionale e il carattere
poliforme del giudicato amministrativo, impongono di darvi esecuzione secondo
buona fede e senza che sia frustrata la legittima aspettativa del privato alla
definizione stabile del contenzioso e del contesto procedimentale: in tali
casi, la totale inerzia dell’autorità o l’attività elusiva di carattere
soprassessorio posta in essere da quest’ultima, consentiranno al giudice adito
in sede di ottemperanza di intervenire, secondo lo schema disegnato dagli artt.
112 e ss. c.p.a., direttamente o (più normalmente) di nominare un commissario ad
acta che procederà, nel rispetto delle prescrizioni e dei limiti
dianzi illustrati, a valutare se esistono le eccezionali condizioni
legittimanti l’acquisizione coattiva del bene ex art. 42-bis.
7. L’Adunanza plenaria restituisce gli
atti alla IV Sezione del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, commi 1,
ultimo periodo, e 4, c.p.a., affinché si pronunci sull’appello in esame nel
rispetto del seguente principio di diritto: <<Il commissario ad
acta può emanare il provvedimento di acquisizione coattiva previsto
dall’articolo 42-bis d.P.R. 8 giugno 2011, n. 327 – Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per
pubblica utilità -:
a) se nominato dal giudice amministrativo
a mente degli artt. 34, comma 1, lett. e), e 114, comma, 4, lett. d), c.p.a.,
qualora tale adempimento sia stato previsto dal giudicato de quo agitur;
b) se nominato dal giudice amministrativo
a mente dell’art. 117, comma 3, c.p.a., qualora l’amministrazione non abbia
provveduto sull’istanza dell’interessato che abbia sollecitato l’esercizio del
potere di cui al menzionato art. 42-bis>>.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Adunanza Plenaria), non definitivamente pronunciando
sull'appello, come in epigrafe proposto:
a) formula i principi di diritto di cui in
motivazione;
b) restituisce gli atti alla IV Sezione
del Consiglio di Stato per ogni ulteriore statuizione, in rito, nel merito
nonché sulle spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di
consiglio del giorno 7 ottobre 2015 con l'intervento dei magistrati:
Riccardo Virgilio, Presidente
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Stefano Baccarini, Presidente
Paolo Numerico, Presidente
Luigi Maruotti, Presidente
Vito Poli, Consigliere, Estensore
Francesco Caringella, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Carlo Deodato, Consigliere
Nicola Russo, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere
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IL PRESIDENTE
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L'ESTENSORE
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IL SEGRETARIO
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/02/2016
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Il Dirigente della Sezione
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