martedì 28 luglio 2015

PROCEDIMENTO: il differente recesso negli accordi "ex" art. 11 della legge n. 241/1990 rispetto agli accordi "ex" art. 15 (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, sentenza 27 luglio 2015, n. 10295).


PROCEDIMENTO: 
il differente recesso negli accordi 
"ex" art. 11 della legge n. 241/1990 
rispetto agli accordi "ex" art. 15
 (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 
sentenza 27 luglio 2015, n. 10295)


Massima

1. Nell’ambito degli accordi fra pubbliche amministrazioni di cui all’art. 15 della l. n. 241/1990 (dove tutte perseguono un interesse pubblico comune), la cura dell’interesse pubblico e le sue modalità di perseguimento si esauriscono nelle regole definite nell’accordo stesso; ciò in quanto, trattandosi dello stesso interesse pubblico perseguito da tutte le p.a., le stesse si trovano in una posizione di equiordinazione, tanto che l’interesse di un ente pubblico non può essere ritenuto prevalente rispetto a quello fatto valere da un’altro facente parte dello stesso accordo.
2. Si tratta, invero, di una posizione speculare a quella che si crea nell’ambito dei contratti di diritto privato laddove sussiste, di regola, una posizione di equiordinazione tra le parti contraenti anche se, in questo caso, perseguono interessi di carattere patrimoniale.
3. Nella fattispecie in esame, assume carattere cogente la disposizione contenuta nel comma 2 del citato art. 15 della legge n. 241 del 1990 laddove, nel richiamare a sua volta il comma 2 del precedente art. 11 in materia di accordi integrativi e sostitutivi, si prevede che, agli accordi di diritto pubblico, si applicano "…ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili…”.
4. Tale previsione, nell’ambito degli accordi o contratti ad oggetto pubblico, assume, ad avviso del Collegio, carattere maggiormente cogente rispetto alla sua applicazione con riferimento agli accordi di cui all’art. 11 della l. n. 241/1990 in quanto, come detto, nel primo caso, le amministrazioni si trovano in posizione di equiordinazione perseguendo tutti interessi pubblici comuni (pari ordinati) mentre, nel secondo, l’ente pubblico conserva la posizione di supremazia (autoritativa) nella misura in cui, trattandosi di un modello procedimentale finalizzato a integrare o a sostituire il provvedimento amministrativo, il contraente privato che conclude l’accordo ex art. 11 della l. n. 241 del 1990 persegue comunque un interesse “sottordinato” a quello dell’amministrazione pubblica.
5. Non è, invero, un caso che, mentre per gli accordi ex art. 11 della l. n. 241 del 1990, sia previsto al co. 4 un potere unilaterale di recesso per la pubblica amministrazione in caso di sopravvenuti motivi di pubblico interesse, la stessa previsione non è richiamata nel caso degli accordi ex art. 15; ciò costituisce la prova che si tratta di fattispecie del tutto distinta la cui diversa regolamentazione è giustificata proprio dalle predette differenti posizioni che assumono i contraenti nei due modelli.
6. Il Collegio non ignora che, in giurisprudenza (come anche in dottrina), esista una posizione differente rispetto a quella sopra esposta che ritiene che la pubblica amministrazione rimanga sempre vincolata al perseguimento del proprio interesse pubblico e che, quindi, debba mantenere il potere di sciogliersi unilateralmente dal vincolo consensuale, attraverso l’esercizio dell’autotutela (ciò quale corollario del principio di inesauribilità del potere); partendo da tale posizione, la predetta giurisprudenza è arrivata ad affermare che, sebbene nell’art. 15 della l. n. 241 del 1990, non sia contenuto un espresso richiamo al comma 4 del precedente art. 11, tale potere deve comunque essere sempre riconosciuto in capo all’amministrazione pubblica durante la fase esecutiva del rapporto consensuale concluso ai sensi del più volte citato art. 15.
7. Tale posizione, oltre a non essere aderente al dettato normativo (non può invero essere derubricata ad una mera dimenticanza il fatto che l’art. 15 della legge n. 241 del 1990 non richiami il comma 4 del precedente art. 11 quando invece rinvia espressamente ai commi 2 e 3 dell’articolo da ultimo citato), è smentita, oltre dagli argomenti sopra esposti, dalle seguenti ulteriori precisazioni:
a) l’accordo ex art. 15 della l. n. 241 del 1990 ha natura organizzativa e non costituisce uno strumento idoneo a spostare le competenze in capo alle singole amministrazioni che lo stipulano;
b) l’assetto di interessi definito dall’accordo di che trattasi non è disponibile da parte di una sola amministrazione ed è modificabile solo attraverso l’accordo di tutte le amministrazioni coinvolte;
c) come peraltro precisato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 121/2010, seppure in tema di accordi di programma (che costituisce, come noto, una species del genus degli accordi di diritto pubblico di cui all’art. 15 della l. n. 241 del 1990), l’attribuzione ad una parte pubblica di un ruolo preminente “è incompatibile con il regime dell’intesa, caratterizzata dalla paritaria codeterminazione dell’atto”;
d) da ciò si ricava che l’esclusione del co. 4 dell’art. 11 della l. n. 241 del 1990 dalla disciplina degli accordi di diritto di pubblico ex art. 15 (non ascrivibile, come detto, a mera dimenticanza) comporta che il recesso ha natura privata (nel senso cioè che sono applicabili gli artt. 1372 e 1373 c.c., in quanto compatibili) e che l’accordo è intangibile;
e) di conseguenza, l’ente pubblico può recedere dall’accordo in caso di mutuo dissenso (cit. art. 1372 c.c.) oppure nei limiti di quanto previsto nell’accordo sottoscritto dalle parti (anche se a ciò, va aggiunto, per completezza, trattandosi sempre di enti che perseguono interessi pubblici, che l’accordo deve essere ritenuto modificabile con il consenso di tutte le parti ma eventuali situazioni di conflitto devono poter essere superate, nel rispetto del principio di leale collaborazione, attraverso idonee procedure e trattative tra le parti stesse il cui esito anche negativo può essere censurato dinanzi al giudice amministrativo);
f) né, al caso di specie, può applicarsi la tesi dell’effetto immediatamente caducante dell’annullamento dell’aggiudicazione sul contratto successivamente stipulato di cui agli artt. 121 e 122 del c.p.a. in quanto si tratta di fattispecie del tutto distinta da quella in esame in cui non è ravvisabile alcuna eadem ratio che ne consenta l’applicabilità in via analogica (ed invero, nel caso degli accordi ex art. 15 della l. n. 241 del 1990, non vi è a monte alcuna fase pubblicistica di scelta del contraente in cui, come noto, l’ente pubblico conserva la posizione di supremazia finalizzata tra l’altro al miglior perseguimento del pubblico interesse né a valle viene stipulato alcun contratto di diritto privato tra ente pubblico e soggetto appaltatore).
Del resto, mentre negli accordi di diritto pubblico, la posizione di equiordinazione non subisce deroghe e temperamenti, nel caso delle procedure ad evidenza pubblica, il contratto di diritto privato stipulato a valle della fase pubblicistica risente, come ricavabile dai casi espressamente previsti dalla legge (cit. artt. 121 e 122 del c.p.a.), della commistione con gli interessi pubblici prevalenti (scelta del miglior contraente e concorrenza per il mercato) che hanno caratterizzato il procedimento espletato prima di addivenire alla stipula del vincolo negoziale.



Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10588 del 2014, proposto da:
Centro Interuniversitario di Ricerca per lo Sviluppo Sostenibile (CIRPS), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Alessandro Bovari e Achille Chiappetti, con domicilio eletto presso lo studio legale Carlo Contaldi La Grotteria in Roma, Lungotevere dei Mellini, 24; 
contro
- Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Luigi Napolitano, con domicilio eletto in Roma, Via Sicilia, 50;
- Università degli Studi de L'Aquila, Università degli Studi di Cassino, Università degli Studi del Salento, Università degli Studi di Macerata, Università degli Studi di Palermo, Università degli Studi di Perugia, Università degli Studi di Sassari, Università degli Studi di Torino, Politecnico di Torino, Università degli Studi della Tuscia Viterbo, Università degli Studi del Molise, Università degli Studi di Firenze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
- Libera Università di Lingue e Comunicazione - IULM, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Gabriele Pafundi e Rocco Mangia, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, Via Giulio Cesare, 14, sc. A, int. 4; 
per l'annullamento
- dei provvedimenti relativi all'approvazione del recesso dell’Università “La Sapienza” di Roma dal Centro interuniversitario di ricerca per lo sviluppo sostenibile - CIRPS con conseguente trasferimento della sede amministrativa presso un altro ateneo convenzionato;
- della delibera del Consiglio di amministrazione dell’Università “La Sapienza” di Roma n. 115 del 6 maggio 2014;
- della delibera del Senato accademico dell’Università “La Sapienza” di Roma del 14 maggio 2014;
- del verbale della seduta del Consiglio di amministrazione dell’Università “La Sapienza” di Roma del 6 maggio 2014;
- del verbale della seduta del Senato Accademico dell’Università “La Sapienza” di Roma del 14 maggio 2014;
- della relazione istruttoria richiamata per relationem nelle predette delibere;
- di tutti gli atti connessi.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Università degli Studi de L'Aquila, Università degli Studi di Cassino, Università degli Studi del Salento, Università degli Studi di Macerata, Università degli Studi di Palermo, Università degli Studi di Perugia, Università degli Studi di Sassari, Università degli Studi di Torino, Politecnico di Torino, Università degli Studi della “Tuscia” Viterbo, Università degli Studi del Molise, Università degli Studi di Firenze e di Libera Università di Lingue e Comunicazione - IULM;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 luglio 2015 il Cons. Daniele Dongiovanni e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Il Centro Universitario di ricerca per lo sviluppo sostenibile (d’ora in poi, anche CIRPS) è stato istituito nel 1988, ai sensi dell’art. 91 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 (la norma prevede quanto segue: “Per le finalità di cui ai precedenti articoli 89 e 90 possono essere altresì costituiti, tramite convenzioni tra le Università interessate, centri di ricerca o centri di servizi interuniversitari, rispettivamente quali strumenti di collaborazione scientifica tra docenti di Università diverse o quali sedi di servizi scientifici utilizzati da più Università”).
Alla convenzione, rinnovabile di sei anni in sei anni, hanno a suo tempo aderito numerose Università italiane tra cui l’Università di Roma “La Sapienza”, lo IULM di Milano, le Università de L’Aquila, di Perugia, del Salento, del Molise, di Perugia, di Palermo, di Sassari, di Cassino, della “Tuscia” di Viterbo, di Torino e di Vicenza; la sede amministrativa e logistica è stata fissata, come previsto dall’art. 3 della convenzione istitutiva, presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”.
Con riferimento all’attività, il CIRPS persegue, in estrema sintesi, i seguenti obiettivi:
- promuovere, coordinare ed eseguire attività condotte dalle Università convenzionate;
- assistere le istituzioni e le piccole e medie imprese nella scelta e nell’analisi di fattibilità di programmi di cooperazione;
- sostenere iniziative di divulgazione scientifica e di collaborazione interdisciplinare;
- favorire il coordinamento degli operatori accademici con il mondo non accademico della cooperazione allo sviluppo;
- garantire una corretta informazione sulle attività di cooperazione;
- gestire gli scambi coordinati di personale universitario a livello europeo ed internazionale.
La convenzione, scaduto il sessennio nel mese di ottobre 2012, è stata sottoposta alla procedura di rinnovo e l’Università di Roma “La Sapienza”, con delibere n. 408 del 16 ottobre 2012 e n. 227 del 9 ottobre 2012, rispettivamente del Senato accademico e del Consiglio di amministrazione, ha deciso di aderirvi nuovamente.
Tuttavia, con delibera assunta nella seduta del 6 maggio 2014, il Consiglio di amministrazione della predetta Università di Roma “La Sapienza” ha deciso di recedere dalla convenzione rinnovata nel 2012, ciò anche in ragione della situazione debitoria accumulata dal CIRPS (nella citata delibera del 6 maggio 2014, si afferma altresì che l’Ateneo vanta un credito nei confronti del Centro pari ad euro 709.608,37).
Tale decisione è stata, poi, confermata dal Senato accademico dell’Università “La Sapienza” in data 14 maggio 2014 e, di conseguenza, è stato avviato il passaggio di consegne della sede amministrativa del CIRPS a partire dal 1° ottobre 2014 (allo stato, presso l’Ateneo romano) e la chiusura del relativo centro di spesa entro il 31 dicembre 2014.
Avverso tali deliberazioni, ed ogni altro ad esse connesso, hanno proposto impugnativa il CIRPS ed il Prof. Naso chiedendone l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione, per i seguenti motivi:
1) eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti e difetto dei presupposti; falsa e erronea applicazione dell’art.3 della legge n. 241 del 1990; eccesso di potere per difetto di motivazione.
La ragione per la quale l’Università di Roma “La Sapienza” ha deciso di recedere dalla convenzione (ovvero la difficile situazione economico-finanziaria del CIRPS) è frutto di un evidente travisamento dei fatti; anche il debito vantato di euro 709.608,37 ha natura di una mera anticipazione di cassa, ciò in ragione della prassi invalsa nell’Ateneo di non emettere fatture con IVA in sospensione (possibile nel caso di fatture emesse in favore di enti pubblici).
In ogni caso, il problema del CIRPS è la carenza di liquidità dovuta al fatto che molti enti finanziatori (in particolare, pubblici) tardano nel pagamento delle sovvenzioni per i progetti di cui il Centro è assegnatario.
Altrettanto destituita di fondamento è l’affermazione contenuta nella delibera del Senato accademico del 14 maggio 2015 secondo cui il CIRPS non sarebbe più competitivo nell’ambito della ricerca scientifica. Ciò non corrisponde al vero se si considera che, negli ultimi 18 mesi, il CIRPS è risultata assegnataria di 3 nuovi progetti europei, 2 progetti PON del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ed ha stipulato n. 5 convenzioni di consulenza per un importo totale di euro 1.678.125,26.
Priva di fondamento è, poi, l’affermazione secondo cui alla proposta di rinnovo della convenzione del 2012 non avrebbe risposto nessuno degli Atenei già convenzionati.
Al contrario, risulta che hanno già aderito al rinnovo le Università di Firenze, del Molise e lo IULM di Milano; altre Università hanno manifestato il loro interesse mentre hanno declinato la proposta le sole Università di Macerata ed il Politecnico di Milano.
Altro problema emerso nell’ambito delle deliberazioni assunte dall’Università di Roma “La Sapienza” è quello dei rapporti intercorrenti tra lo stesso Ateneo e il CIRPS in quanto, secondo un parere legale, il Centro, pur utilizzando le strutture amministrative ed operative dell’Ateneo, sarebbe comunque un soggetto giuridico autonomo.
Tale natura autonoma è, però, smentita da un parere reso dal Collegio dei revisori dei conti in data 31 marzo 2014 secondo cui “il CIRPS deve essere considerato come una forma autonoma di cooperazione fra distinte soggettività giuridiche, piuttosto che un autonomo soggetto di diritto”.
Tale difficoltà di inquadramento è il segno del difetto di istruttoria che ha caratterizzato l’adozione delle delibere impugnate anche nella parte in cui è stato affermato che i progetti non ancora conclusi avrebbero potuto essere trasferiti nei Dipartimenti della Sapienza coinvolti; al riguardo, gli organi dell’Ateneo romano hanno omesso di considerare che, in tali progetti, sono coinvolti professori appartenenti a 12 Università convenzionate, il che rende difficilmente praticabile la soluzione sopra ipotizzata;
2) eccesso di potere per manifesta contraddittorietà, illogicità ed irragionevolezza; eccesso di potere per sviamento.
L’affermazione secondo cui il CIRPS sarebbe debitore nei confronti dell’Università di Roma “La Sapienza” di euro 709.608,37 è errata.
Come, invero, rilevato dal Collegio dei revisori dei conti in data 31 marzo 2104, essendo il CIRPS una forma autonoma di cooperazione fra distinte soggettività giuridiche e non un autonomo soggetto di diritto, l’indebitamento del Centro va imputato pro quota alle singole Università; da ciò deriva che la somma di euro 709.608,37 va divisa tra i 12 Atenei convenzionati nel senso che, su ognuno di essi, graverebbe un debito pro capite di euro 59.134,00.
Peraltro, se si insiste sulla natura autonoma del Centro, dovrà essere rivista la questione relativa alla legittimità dei contributi versati dal CIRPS sul fondo comune di Ateneo della “Sapienza” in quanto, in questo caso, a fronte di contributi versati pari a euro 950.048,11, il Centro si troverebbe costretto a vantare questo credito nei confronti dell’Università di Roma “La Sapienza”, da destinare poi pro quota alle Università convenzionate.
Anche la scelta di disattivare il centro di spesa attivo presso l’Università di Roma “La Sapienza” si rivela del tutto illogico in quanto i soggetti finanziatori, non potendo più rivalersi sul Centro, dovrebbero rifarsi sull’Ateneo romano posto che è lo stesso Rettore ad aver sottoscritto le convenzioni attivate per conto del Centro;
3) falsa e/o erronea applicazione degli artt. 7 e 10 della legge n. 241 del 1990; eccesso di potere per violazione del principio del contraddittorio e del giusto procedimento.
Nell’ambito della procedura seguita per addivenire al recesso, l’Università resistente non ha rispettato le regole di cui agli artt. 7 e 10 della legge n. 241 del 1990 e, pertanto, non è stata data alcuna possibilità al CIRPS di poter esporre le proprie ragioni e fornire elementi utili per la decisione finale come, ad esempio, la situazione economico-finanziaria del Centro, i progetti di ricerca in corso di esecuzione nonché gli Atenei che avevano già aderito alla proposta di rinnovo della convenzione;
4) falsa e/o erronea applicazione dell’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990; eccesso di potere per violazione del legittimo affidamento e per difetto dei presupposti.
Come detto, l’Università di Roma “La Sapienza”, con delibere n. 408 del 16 ottobre 2012 e n. 227 del 9 ottobre 2012, rispettivamente del Senato accademico e del Consiglio di amministrazione, ha deciso di aderire nuovamente alla convenzione ed hanno quindi autorizzato gli organi accademici a procedere alla sottoscrizione della proposta di rinnovo.
Tale decisione costituisce una “proposta contrattuale” vincolante rivolta dal predetto Ateneo, per il tramite del CIRPS, alle altre Università già convenzionate (trasmessa, poi, con nota del 5 aprile 2013, al Centro, sollecitando l’acquisizione delle adesioni da parte delle altre Università).
È evidente quindi che la revoca delle predette deliberazioni avrebbe dovuto essere adottata nel rispetto di quanto previsto nell’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990; in assenza di ciò, la decisione assunta nel mese di ottobre 2012 deve ritenersi ancora efficace in quanto l’Ateneo resistente, per poter recedere dalla convenzione, avrebbe dovuto adottare un atto pubblicistico di revoca delle precedenti deliberazioni.
Si è costituita in giudizio l’Università di Roma “La Sapienza”, eccependo dapprima il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e chiedendo, comunque, il rigetto del ricorso perché infondato nel merito.
Con ordinanza n. 5071/2014, è stata accolta in parte la domanda cautelare; la successiva istanza di revoca/modifica della predetta ordinanza proposta ex art. 58 del CPA, è stata dichiarata inammissibile con ordinanza n. 404/2015.
In prossimità della trattazione del merito, le parti hanno depositato memorie, anche di replica, insistendo nelle loro rispettive conclusioni.
Alla pubblica udienza del 15 luglio 2015, la causa, dopo la discussione delle parti, è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

DIRITTO
1. Vanno anzitutto precisati, ai fini del decidere, alcuni elementi di fatto:
- il Centro Universitario di ricerca per lo sviluppo sostenibile (d’ora in poi, anche CIRPS) è stato istituito per la prima volta nel 1988, ai sensi dell’art. 91 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, attraverso la stipula di una convenzione sottoscritta da alcuni istituti universitari italiani (Università di Roma “La Sapienza”, Università di Cassino e Università “La Tuscia” di Viterbo, alle quali si sono aggiunte, nel 1996, le Università di Perugia, Torino e Sassari ed altre negli anni successivi);
- la norma citata (art. 91 del d.P.R. n. 382 del 1980), invero, prevede quanto segue: “Per le finalità di cui ai precedenti articoli 89 e 90 possono essere altresì costituiti, tramite convenzioni tra le Università interessate, centri di ricerca o centri di servizi interuniversitari, rispettivamente quali strumenti di collaborazione scientifica tra docenti di Università diverse o quali sedi di servizi scientifici utilizzati da più Università”;
- l’art. 12 della convenzione sottoscritta nel 1988 (in questa parte, mai modificata nel tempo) disciplina la durata ed il recesso e/o disdetta dalla convenzione, prevedendo quanto segue: “La presente convenzione entra in vigore dalla data di sottoscrizione da parte di almeno due università ed ha validità di 6 mesi. Con delibere delle Università consociate sarà rinnovabile di 6 anni in 6 anni. Ciascuna Università consociata può esercitare l’azione di disdetta o recesso da comunicarsi almeno sei prima della scadenza con lettera raccomandata R.R. indirizzata al Direttore del Centro”;
- a partire dal 1988, la convenzione è stata di volta in volta rinnovata, ai sensi del citato art. 12 della convenzione (di 6 anni in 6 anni), e l’ultima data di scadenza è coincisa con il mese di ottobre 2012;
- in ragione di ciò, l’Università di Roma “La Sapienza”, con delibere n. 27 del 9 ottobre 2012 e n. 408 del 16 ottobre 2012 (rispettivamente del Consiglio di amministrazione e del Senato accademico), ha deciso di rinnovare la convenzione e quindi la propria partecipazione al CIRPS;
- in ragione di ciò, l’Ateneo capitolino, con nota del 5 aprile 2013, ha trasmesso la convenzione al direttore del CIRPS, al fine di sollecitare l’adesione delle altre Università convenzionate;
- al rinnovo della convenzione hanno aderito, in un primo momento (luglio 2013), l’Università di Firenze, l’Università del Molise e lo IULM di Milano ed, in un secondo momento, anche le Università de L’Aquila e di Teramo;
- successivamente, l’Università di Roma “La Sapienza”, con delibere del 6 e del 14 maggio 2014 (rispettivamente del Consiglio di amministrazione e del Senato Accademico), ha deciso di recedere dalla convenzione scaduta (recte: rinnovata) nel 2012, motivando tale scelta in ragione della situazione deficitaria di bilancio del CIRPS e della sofferenza debitoria accumulata nei confronti dello stesso Ateneo per un importo pari ad euro 709.608,37;
- in seguito a tale decisione, l’Università “La Sapienza”, con nota del 30 maggio 2014, ha informato gli Atenei aderenti alla convenzione del contenuto delle deliberazioni assunte in data 6 e 14 maggio 2014, concludendo nel senso che la proposta di rinnovo della convenzione non era stata accolta e che la convenzione stessa non era più in vigore alla data della sua scadenza (2012).
2. Ciò premesso in punto di fatto, due elementi risultano non revocabili in dubbio a seguito della predetta ricostruzione:
- il primo riguarda la natura giuridica della convenzione stipulata ai sensi dell’art. 91 del d.P.R. n. 382 del 1980 che va, invero, inquadrata nello schema dell’accordo fra pubbliche amministrazioni (detto anche “accordo di diritto pubblico” o “contratto ad oggetto pubblico”) previsto dall’art. 15 della legge n. 241 del 1990. Il citato art. 91 del d.P.R. n. 382 del 1980 prevede, invero, la costituzione, attraverso lo strumento della convenzione, di centri interuniversitari proprio al fine di costituire un modello organizzativo che consenta la collaborazione scientifica tra Università diverse. La finalità perseguita dai predetti Centri rientra proprio nella logica degli accordi di cui all’art. 15 della legge n. 241 del 1990 attraverso i quali, come noto, gli enti coinvolti perseguono il soddisfacimento dello stesso (o di analogo) interesse pubblico (cfr, sul punto, CGUE, Grande Sezione, 19 dicembre 2012, n. 152, in tema peraltro di Università) ovvero il coordinamento dei rispettivi ambiti di intervento su oggetti di interesse comune (cfr, Cons. Stato, sez. V, n. 3849/2013); nel caso di specie, l’interesse pubblico comune alle Università aderenti può essere sintetizzato nella volontà di implementazione e di coordinamento della ricerca scientifica, finalità tipiche degli istituti di rango universitario;
- il secondo elemento che emerge dalla ricostruzione operata al precedente punto 1. consiste nel fatto che la convenzione, scaduta nel mese di ottobre 2012, deve intendersi rinnovata per il sessennio 2013-2018; non può essere, invero, smentito che l’Università di Roma “La Sapienza”, con le delibere assunte nel mese di ottobre 2012, abbia deciso di aderire nuovamente alla convenzione che ha costituito il CIRPS e che, nel mese di luglio 2013, almeno tre altri Atenei (Università di Firenze, Università del Molise e lo IULM di Milano) abbiano a loro volta deliberato di rinnovare la convenzione con il Centro interuniversitario. Ora, l’art. 12 della convenzione, nel disciplinare – come detto – l’esercizio del diritto di recesso, prevede altresì che la convenzione stessa è valida se sottoscritta da almeno due università; ora, sebbene tale disposizione sia stata prevista in relazione alla prima fase di attivazione del Centro, il suo contenuto induce comunque a ritenere che, in presenza – come nel caso di specie – di tre università che hanno nell’immediato manifestato l’intenzione di aderire nuovamente alla convenzione, questa deve intendersi a tutti gli effetti rinnovata per un ulteriore sessennio (2013-2018), seppure limitatamente a coloro che hanno manifestato tale volontà.
3. Tale ultima affermazione (riguardante le modalità di conclusione dell’accordo convenzionale di cui all’art. 91 del d.P.R. n. 382 del 1980) consente al Collegio di poter, sin d’ora, enucleare alcuni elementi caratteristici degli accordi fra pubbliche amministrazioni di cui al citato art. 15 della legge n. 241 del 1990 (che così dispone, per la parte di interesse, ai commi 1 e 2: “1. Anche al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 14, le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune.
2. Per detti accordi si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste dall'articolo 11, commi 2 e 3”):
- gli accordi fra pubbliche amministrazioni sono comunemente denominati “contratti ad oggetto pubblico” e tale definizione non è affatto casuale in quanto è stata generata nell’intento di contrapporli ai contratti di diritto privato di cui agli artt. 1321 e ss. del codice civile, di cui condividono, in particolare, l’elemento strutturale dell’accordo senza tuttavia che, ad esso, si accompagni l’ulteriore elemento della patrimonialità del rapporto;
- poi, le amministrazioni pubbliche stipulanti, al pari dei contraenti di un contratto di diritto privato, partecipano all’accordo ex art. 15 della legge n. 241 del 1990 in posizione di equiordinazione (a differenza degli accordi integrativi e sostitutivi del provvedimento di cui all’art. 11 della legge citata, in cui l’amministrazione pubblica non perde la propria posizione di “supremazia”), ma non già al fine di comporre interessi di carattere patrimoniale bensì per coordinare i rispettivi ambiti di intervento su oggetti di interesse comune (al riguardo, va precisato che tale coordinamento può anche implicare la regolamentazione di profili di carattere economico ma ciò come necessario riflesso delle attività amministrative che in esso sono regolate, senza cioè che il rapporto assuma il carattere della patrimonialità).
4. Ancora in via preliminare, va poi chiarito l’oggetto del presente giudizio.
4.1 In particolare, parte ricorrente chiede al giudice amministrativo di verificare se la decisione assunta dall’Università di Roma “La Sapienza”, nel mese di maggio 2014, di recedere dalla convenzione sia legittima, nonostante la stessa (convenzione) risulti, alla luce degli eventi sopra descritti (cfr precedenti punti 1. e 2.), rinnovata per un ulteriore sessennio dal 2013 al 2018; in altre parole, parte ricorrente chiede di conoscere se il recesso dalla convenzione ormai rinnovata operato da parte dell’Ateneo romano nel 2014 sia legittimo (nel senso che rispetta la previsione contenuta nel citato art. 12 dell’atto negoziale stipulato per la prima volta nel 1988) e se ciò corrisponda al perseguimento del comune interesse pubblico.
4.2 Esula, quindi, dall’oggetto del presente giudizio (in quanto non prospettata da parte ricorrente) la questione se il CIRPS sia dotata o meno di autonomia patrimoniale perfetta e se quindi abbia personalità giuridica di diritto pubblico.
Sul punto, va osservato che, sebbene non possa dubitarsi che il Centro ricorrente, alla luce di quanto previsto dalla convenzione stipulata nel 1998 come integrata nel tempo (che prevede, ad esempio, la costituzione di organi autonomi che amministrano il Centro dal punto di vista funzionale ed amministrativo, la nomina di un legale rappresentante e le modalità di azione del CIRPS), abbia una soggettività giuridica autonoma rispetto alle Università aderenti, la questione dell’autonomia patrimoniale non costituisce, invece, oggetto della presenta controversia in quanto, seppure incidentalmente si sia fatto riferimento a tale aspetto, non è stata proposta nel ricorso introduttivo del giudizio come profilo di censura né nessun atto di cui valutare la legittimità in questa sede è stato adottato su tale presupposto (sull’assenza o meno in capo al CIRPS dell’autonomia patrimoniale perfetta connessa alla personalità giuridica).
5. Ciò detto, può ora passarsi ad esaminare il merito della controversia, partendo però dall’eccezione sollevata dall’Università “La Sapienza” concernente il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere della vicenda di che trattasi.
L’eccezione è infondata.
Come si è avuto modo di precisare nei precedenti punti 2. e 3., la fattispecie in esame riguarda la legittimità del recesso disposto nel maggio 2014 dall’Università “La Sapienza” da una convenzione stipulata (recte: rinnovata) con altre Università che, come detto, rientra nel novero degli accordi fra pubbliche amministrazioni disciplinati dall’art. 15 della legge n. 241 del 1990.
Ora, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. a) n. 2, del codice del processo amministrativo (CPA), l’intera materia degli accordi ex art. 15 della legge n. 241 del 1990 (che comprende le controversie in tema di formazione, conclusione ed esecuzione) è interamente devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e, in questo ambito, non è revocabile in dubbio che rientri la fattispecie in esame per come sopra delineata (vgs precedente punto 4.).
6. Passando al merito, la prospettazione di parte ricorrente, come precisata con l’ultima memoria di replica depositata in vista della pubblica udienza (esplicativa, in particolare, del quarto motivo di ricorso), deve essere condivisa nella parte in cui lamenta il mancato rispetto della previsione contenuta nell’art. 12 della convenzione che, come detto, regola le modalità di disdetta o recesso dalla convenzione.
6.1 Ed invero, la verifica circa il rispetto da parte dell’Università “La Sapienza” delle modalità di recesso disegnate dal citato art. 12 della convenzione è pregiudiziale rispetto alle altre censure proposte con il ricorso introduttivo in quanto deve ritenersi, per quanto si dirà nel prosieguo, che, nell’ambito degli accordi fra pubbliche amministrazioni di cui all’art. 15 della legge n. 241 del 1990 (dove tutte perseguono un interesse pubblico comune), la cura dell’interesse pubblico e le sue modalità di perseguimento si esauriscono nelle regole definite nell’accordo stesso; ciò in quanto, trattandosi dello stesso interesse pubblico perseguito da tutte le Università aderenti (connesso con la ricerca scientifica), le amministrazioni pubbliche interessate si trovano in una posizione di equiordinazione (cit. Cons. Stato, sez. V, n. 3849/2013) tanto che l’interesse di un ente pubblico non può essere ritenuto prevalente rispetto a quello fatto valere da un’altra Università facente parte dello stesso accordo.
Si tratta, invero, di una posizione speculare a quella che si crea nell’ambito dei contratti di diritto privato laddove sussiste, di regola, una posizione di equiordinazione tra le parti contraenti anche se, in questo caso, perseguono interessi di carattere patrimoniale.
Diventa, quindi, evidente che, nella fattispecie in esame, assume carattere cogente la disposizione contenuta nel comma 2 del citato art. 15 della legge n. 241 del 1990 laddove, nel richiamare a sua volta il comma 2 del precedente art. 11 in materia di accordi integrativi e sostitutivi, si prevede che, agli accordi di diritto pubblico, si applicano” …ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili…”.
Tale previsione, nell’ambito degli accordi o contratti ad oggetto pubblico, assume, ad avviso del Collegio, carattere maggiormente cogente rispetto alla sua applicazione con riferimento agli accordi di cui all’art. 11 della legge n. 241 del 1990 in quanto, come detto, nel primo caso, le amministrazioni si trovano in posizione di equiordinazione perseguendo tutti interessi pubblici comuni (pari ordinati) mentre, nel secondo, l’ente pubblico conserva la posizione di supremazia (autoritativa) nella misura in cui, trattandosi di un modello procedimentale finalizzato a integrare o a sostituire il provvedimento amministrativo, il contraente privato che conclude l’accordo ex art. 11 della legge n. 241 del 1990 persegue comunque un interesse “sottordinato” a quello dell’amministrazione pubblica.
Non è, invero, un caso che, mentre per gli accordi ex art. 11 della legge n. 241 del 1990, sia previsto al comma 4 un potere unilaterale di recesso per la pubblica amministrazione in caso di sopravvenuti motivi di pubblico interesse, la stessa previsione non è richiamata nel caso degli accordi ex art. 15; ciò costituisce la prova che si tratta di fattispecie del tutto distinta la cui diversa regolamentazione è giustificata proprio dalle differenti posizioni che assumono i contraenti nei due modelli (equiordinazione nell’accordo ex art. 15 e supremazia dell’ente pubblico in quello ex art. 11) e dai distinti interessi perseguiti (tutti pubblici nell’accordo ex art. 15, a differenza di quanto avviene nell’accordo ex art. 11 in cui si “scontrano” interessi pubblici e privati).
Il Collegio non ignora che, in giurisprudenza (come anche in dottrina), esista una posizione differente rispetto a quella sopra esposta che ritiene che la pubblica amministrazione rimanga sempre vincolata al perseguimento del proprio interesse pubblico e che, quindi, debba mantenere il potere di sciogliersi unilateralmente dal vincolo consensuale, attraverso l’esercizio dell’autotutela (ciò quale corollario del principio di inesauribilità del potere); partendo da tale posizione, la predetta giurisprudenza (cfr, Cons. Stato, sez. VI, 23 novembre 2011, n. 6162) è arrivata ad affermare che, sebbene nell’art. 15 della legge n. 241 del 1990, non sia contenuto un espresso richiamo al comma 4 del precedente art. 11, tale potere deve comunque essere sempre riconosciuto in capo all’amministrazione pubblica durante la fase esecutiva del rapporto consensuale concluso ai sensi del più volte citato art. 15.
Tale posizione, oltre a non essere aderente al dettato normativo (non può invero essere derubricata ad una mera dimenticanza il fatto che l’art. 15 della legge n. 241 del 1990 non richiami il comma 4 del precedente art. 11 quando invece rinvia espressamente ai commi 2 e 3 dell’articolo da ultimo citato), è smentita, oltre dagli argomenti sopra esposti, dalle seguenti ulteriori precisazioni:
- l’accordo ex art. 15 della legge n. 241 del 1990 ha natura organizzativa e non costituisce uno strumento idoneo a spostare le competenze in capo alle singole amministrazioni che lo stipulano;
- l’assetto di interessi definito dall’accordo di che trattasi non è disponibile da parte di una sola amministrazione ed è modificabile solo attraverso l’accordo di tutte le amministrazioni coinvolte;
- come peraltro precisato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 121/2010, seppure in tema di accordi di programma (che costituisce, come noto, una species del genus degli accordi di diritto pubblico di cui all’art. 15 della legge n. 241 del 1990), l’attribuzione ad una parte pubblica di un ruolo preminente “è incompatibile con il regime dell’intesa, caratterizzata dalla paritaria codeterminazione dell’atto”;
- da ciò si ricava che l’esclusione del comma 4 dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990 dalla disciplina degli accordi di diritto di pubblico ex art. 15 (non ascrivibile, come detto, a mera dimenticanza) comporta che il recesso ha natura privata (nel senso cioè che sono applicabili gli artt. 1372 e 1373 c.c., in quanto compatibili) e che l’accordo è intangibile;
- di conseguenza, l’ente pubblico può recedere dall’accordo in caso di mutuo dissenso (cit. art. 1372 c.c.) oppure nei limiti di quanto previsto nell’accordo sottoscritto dalle parti (anche se a ciò, va aggiunto, per completezza, trattandosi sempre di enti che perseguono interessi pubblici, che l’accordo deve essere ritenuto modificabile con il consenso di tutte le parti ma eventuali situazioni di conflitto devono poter essere superate, nel rispetto del principio di leale collaborazione, attraverso idonee procedure e trattative tra le parti stesse il cui esito anche negativo può essere censurato dinanzi al giudice amministrativo);
- né, al caso di specie, può applicarsi la tesi dell’effetto immediatamente caducante dell’annullamento dell’aggiudicazione sul contratto successivamente stipulato di cui agli artt. 121 e 122 del CPA in quanto si tratta di fattispecie del tutto distinta da quella in esame in cui non è ravvisabile alcuna eadem ratio che ne consenta l’applicabilità in via analogica (ed invero, nel caso degli accordi ex art. 15 della legge n. 241 del 1990, non vi è a monte alcuna fase pubblicistica di scelta del contraente in cui, come noto, l’ente pubblico conserva la posizione di supremazia finalizzata tra l’altro al miglior perseguimento del pubblico interesse né a valle viene stipulato alcun contratto di diritto privato tra ente pubblico e soggetto appaltatore); del resto, mentre negli accordi di diritto pubblico, la posizione di equiordinazione non subisce deroghe e temperamenti, nel caso delle procedure ad evidenza pubblica, il contratto di diritto privato stipulato a valle della fase pubblicistica risente, come ricavabile dai casi espressamente previsti dalla legge (cit. artt. 121 e 122 del CPA), della commistione con gli interessi pubblici prevalenti (scelta del miglior contraente e concorrenza per il mercato) che hanno caratterizzato il procedimento espletato prima di addivenire alla stipula del vincolo negoziale.
6.2 Ora, applicando alla fattispecie in esame le suesposte coordinate ermeneutiche, può affermarsi che il recesso operato dall’Università resistente non è stato esercitato nel rispetto di quanto previsto dall’art. 12 della convenzione scaduta nel 2012 e poi rinnovata per un altro sessennio fino al 2018.
Prima, tuttavia, di continuare nella concreta disamina della prospettata violazione dell’art. 12 della convenzione, una premessa è doverosa in tema di cognizione del giudice amministrazione nell’ambito di una fattispecie, come quella in esame, devoluta alla propria giurisdizione esclusiva.
Ed invero, proprio perché trattasi di cognizione assunta nell’ambito della giurisdizione esclusiva, il giudice amministrativo è autorizzato a entrare nel rapporto intercorrente tra le parti che, nel caso di specie, riguarda la fase successiva alla conclusione dell’accordo avente ad oggetto una posizione di diritto soggettivo che parte ricorrente assume lesa in ragione dell’iniziativa assunta dall’Università resistente.
Ciò significa che il giudice amministrativo, nell’ambito del petitum sostanziale volto a verificare la legittimità del potere esercitato dall’Ateneo capitolino (ricavabile dalle doglianze che censurano tra l’altro – vgs quarto motivo – l’illegittimo esercizio del potere di autotutela, utilizzato dopo aver assentito al rinnovo della convenzione), deve preliminarmente valutare se il recesso sia stato esercitato in maniera legittima e, per fare ciò, deve passare, in via principale (come precisato da parte ricorrente nella memoria di replica depositata in vista della pubblica udienza), dalla verifica del rispetto delle previsioni contenute nella convenzione stipulata tra le parti pubbliche (in particolare, l’art. 12).
6.3 Ciò premesso, va osservato, applicando i canoni ermeneutici di cui agli art. 1362 e ss. del c.c., che l’art. 12 della convenzione, con riferimento all’esercizio del potere di recesso da parte degli enti aderenti, non prevede affatto in favore delle Università stipulanti un diritto potestativo unilaterale durante il periodo di vigenza dell’accordo, da esercitare previo preavviso di sei mesi.
La clausola contrattuale in argomento prevede, invero, che “…Ciascuna Università consociata può esercitare l’azione di disdetta o recesso da comunicarsi almeno sei prima della scadenza….”, dove il termine “scadenza” va riferito al momento in cui è scaduto il sessennio di vigenza della convenzione, quando cioè deve essere sottoposta alla procedura di rinnovo; in questo caso, quindi, l’Università aderente che non voglia procedere al rinnovo alla scadenza del sessennio deve darne preventiva comunicazione (sei mesi prima) agli altri aderenti circa l’intenzione di non voler più far parte del Centro.
Questa, invero, è l’unica interpretazione in linea con i predetti canoni ermeneutici e la clausola si giustifica anche per l’esigenza di garantire l’affidamento e gli interessi delle altre parti aderenti alla convenzione e dello stesso CIRPS i quali devono essere messi a conoscenza, per tempo (sei mesi prima della scadenza naturale del sessennio di vigenza della convenzione), circa il numero degli enti che intendono aderire alla convenzione per i successivi sei anni.
Al di fuori di tale ipotesi di recesso (o disdetta), per gli enti aderenti che vogliano svincolarsi dall’accordo durante la vigenza della convenzione, rimane quindi l’ipotesi dell’accordo tra le parti secondo quanto previsto dall’art. 1372 c.c. (mutuo dissenso), con le modalità precisate al precedente punto 6.1.
Ciò, come detto, costituisce il necessario corollario della posizione di equiordinazione esistente tra i vari enti aderenti che non ammette la possibilità, al di fuori delle ipotesi sopra descritte, di operare un recesso unilaterale (anche motivato, come nel caso di specie) durante il periodo di vigenza della convenzione (scaduta nel 2012 ma poi rinnovata per il successivo sessennio 2013-2018).
Da ciò deriva che il recesso deliberato nel 2014 dall’Università “La Sapienza” è stato operato in violazione dell’art. 12 della convenzione, con conseguente fondatezza della censura proposta al riguardo da parte ricorrente.
Ciò consente, altresì, di assorbire le ulteriori censure dedotte con il ricorso in esame in quanto la predetta doglianza, di cui è stata accertata la fondatezza, ha carattere logico -pregiudiziale rispetto alle altre (come ricavabile da quanto esposto al precedente punto 6.2) e, comunque, il mancato esame delle restanti censure non pregiudica l’effettività della tutela invocata da parte ricorrente (cfr Cons. Stato, Ad. Plenaria, 27 aprile 2015, n. 5).
7. In conclusione, il ricorso va accolto con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati.
8. Le spese di giudizio possono essere compensate tra le parti, in ragione dell’assoluta novità e peculiarità della vicenda.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.
Compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 luglio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Corsaro, Presidente
Daniele Dongiovanni, Consigliere, Estensore
Vincenzo Blanda, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/07/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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