venerdì 18 aprile 2014

APPALTI: è inammissibile l'avvalimento "a cascata" (Cons. St., Sez. III, sentenza 25 febbraio 2014 n. 887).


APPALTI: 
è inammissibile l'avvalimento 
"a cascata" 
(Cons. St., Sez. III, 
sentenza 25 febbraio 2014 n. 887).


Massima

Nelle gare pubbliche la certificazione di qualità rientra tra i requisiti soggettivi di carattere tecnico - organizzativo che in astratto può essere oggetto di avvalimento, pur essendo in concreto difficile, se non impossibile, dimostrare l'effettiva disponibilità di un requisito che, per le sue caratteristiche, è collegato all'intera organizzazione dell'impresa, alle sue procedure interne, al bagaglio delle conoscenze utilizzate nello svolgimento delle attività.


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 4360/2013 RG, proposto dalla Ericsson Telecomunicazioni s.p.a., corrente in Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dal prof. Filippo Satta e dall’avv. Anna Romano, con domicilio eletto in Roma, Foro Traiano 1/A, presso lo Studio legale Satta & Associati, 
contro
il Ministero dell'interno, in persona del sig. Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, 
per la riforma
della sentenza del TAR Lazio – Roma, sez. I-ter, n. 4130/2013, resa tra le parti e concernente la gara d'appalto per la realizzazione del disaster recovery nel CEN della Polizia di Stato in Napoli, preordinato alla gestione dei sistemi telematici di monitoraggio del territorio;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero intimato;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, c. 10, c.p.a.;
Relatore all'udienza pubblica del 21 novembre 2013 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti, l’avv. Manzi (su delega del prof. Romano) e l’Avvocato dello Stato Ferrante;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO
1. – Con bando spedito alla GUCE il 31 ottobre 2012, il Ministero dell'Interno – DPS ha indetto una procedura ristretta, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per la realizzazione del Disaster recovery presso il Centro elettronico nazionale – CEN della Polizia di Stato in Napoli, per un importo a base d'asta pari a € 21.365.000,00, oltre IVA.
L’appalto concerne dunque il CEN, per la gestione dei sistemi telematici relativi al monitoraggio del territorio nelle Regioni Obiettivo Convergenza. Il bando ha stabilito, tra l’altro, tra i requisiti di carattere tecnico – professionale pure il possesso della certificazione di qualità UNI EN ISO 9001 – 2008, sett. EA 33, nonché della certificazione aziendale ISO 14001, possesso prescritto, in caso di ATI, in capo a ciascuna impresa aderente a quest’ultima. L’art. 5, § 2), lett. d), n. 1) del bando ha altresì precisato che ogni impresa partecipante, singola, consorziata o raggruppata, avrebbe potuto soddisfare «… la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico-finanziario e tecnico-professionale avvalendosi dei requisiti di un altro soggetto…» ex art. 49 del Dlg 12 aprile 2006 n. 163.
2. – La Ericsson Telecomunicazioni s.p.a., in qualità di impresa interessata a partecipare alla gara de qua in ATI con altri soggetti, rende nota la risposta del 3 dicembre 2012. con cui il Ministero ha escluso tal avvalimento per i requisiti inerenti ad entrambe le certificazioni di qualità, giusta parere dell'AVCP n. 6 dell’8 febbraio 2012.
Detta Società fa presente pure d’aver chiesto alla stazione appaltante il ritiro di tal chiarimento così formulato, nonché di prorogare il termine per la presentazione delle istanze di partecipazione, sì da consentire alle imprese di partecipare alla gara stessa, diffidandola che, in caso contrario, avrebbe adito le vie legali.
Non avendo la sua richiesta ottenuto alcun esito, detta Società ha dunque impugnato innanzi al TAR Lazio (ricorso n. 74/2013 RG) sia le predette risposte, sia le norme della lex specialis se interpretate in senso ostativo all’avvalimento per tali certificazioni di qualità. Detta Società dichiara d’avere in ogni caso presentato la domanda di partecipazione alla gara quale capogruppo mandataria di una costituenda ATI con altre imprese, allegando le dichiarazioni ed i contratti di avvalimento relativi a siffatte certificazioni. Essendo intervenuto il provvedimento del 28 dicembre 2012, con il quale la stazione ne ha disposto l’esclusione dalla gara, detta Società ha ritualmente proposto un atto per motivi aggiunti.
3. – Con sentenza n. 4130 del 24 aprile 2013, l’adito TAR ha respinto la pretesa attorea proprio con riguardo al divieto d’avvalimento per tali certificazioni, in varia guisa assimilabili a requisiti soggettivi. Tanto perché esse attengono ad uno specifico status dell’imprenditore e quindi non sono trasferibili a terzi, anche in base agli artt. 49 e 50 della dir. n. 2004/18/CE ed al citato parere della AVCP.
Appella quindi la Ericsson Telecomunicazioni s.p.a., con il ricorso in epigrafe, ribadendo in questa sede i criteri interpretativi degli artt. 42, 43 e 49 del Dlg 163/2006 circa l’ammissibilità di detto avvalimento anche nel caso in esame, perché inerente ai soli requisiti tecnico – professionali. S’è costituito in giudizio il Ministero intimato, che conclude per la sopravvenuta improcedibilità del ricorso in epigrafe e, nel merito, l’infondatezza di questo.
Alla pubblica udienza del 21 novembre 2013, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.
4. – Non convince la tesi del Ministero appellato, secondo cui l’appellante, in ATI con le imprese collegate, sarebbe stata ammessa con riserva alla gara de qua, senza, però, proporre offerta.
A ben vedere, tuttavia, l’appellante non fu ammessa con riserva alla gara stessa, né poté produrre per tempo l’offerta. Il relativo invito è invece giunto sì nelle more del giudizio innanzi al TAR, ma a condizione dell’esito favorevole di quest’ultimo. Sicché l’effetto cautelare della riserva è caduto con la pubblicazione della sentenza ora impugnata che ha così confermato la legittimità della esclusione di detta Società.
Dal che l’inutilità, per quest’ultima, di restare in gara senza alcun titolo, pur se provvisorio e di presentare un’offerta divenuta in via definitiva inammissibile.
5. – Nel merito, l’appello non può esser condiviso.
Sulla delicata questione per cui è causa, il Collegio non può esimersi dal riscontrare una certa qual differenza di opinioni sull’oggetto ed il limite dell’avvalimento per le certificazioni di qualità ed ambientali, per vero non espressamente previsti dall’art. 48, § 3) della dir. n. 2004/18/CE e dalle omeomorfe norme nazionali.
Ora, il citato art. 48, § 3), che regola le capacità tecniche e professionali per la partecipazione agli appalti pubblici, stabilisce che l’operatore «… può, se del caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi…». La norma precisa altresì l’obbligo dell'impresa, anche se raggruppata e che vuol avvalersi della capacità tecnica e professionale altrui, di provare «… all'amministrazione aggiudicatrice che per l'esecuzione dell'appalto disporrà delle risorse necessarie…». Dal canto suo, l’art. 49, c. 1 del Dlg 163/2006 ripete la norma comunitaria, all’uopo obbligando l’impresa ausiliata «… una sua dichiarazione verificabile ai sensi dell'articolo 48, attestante l'avvalimento dei requisiti necessari per la partecipazione alla gara, con specifica indicazione dei requisiti stessi e dell'impresa ausiliaria…». In base a ciò, non nega il Collegio che la norma europea ha un’efficacia generale, nel senso che ammette, senza rilevanti differenze o preclusioni, l’avvalimento per ogni tipo di requisito tecnico professionale o finanziario (sul carattere generale dell’istituto, anche per gli avvalimenti “plurimi”, cfr., da ultimi, C. giust. UE, 10 ottobre 2013, causa C-94/12), limitandosi a prescrivere la specificità dell’indicazione dei requisiti utilizzati e dell’impresa ausiliaria.
Non fatica il Collegio a constatare che, sul piano letterale, l’art. 49 del Dlg 163/2006, disciplinando l’istituto dell’avvalimento, non vieta in modo categorico qual requisito soggettivo sia, o no, dimostrabile per mezzo di tal contratto che, dunque, assume una portata generale. È infatti noto che, nell’ottica dell’ordinamento UE, l’avvalimento miri ad incentivare la concorrenza, nell’interesse delle imprese, agevolando l’ingresso nel mercato di nuovi soggetti, Sicché, anche per il Collegio, va esclusa ogni lettura aprioristicamente restrittiva dell’ambito operativo dell’istituto, se non per quelli, ma solo perché già predefiniti ed inderogabili, di cui agli artt. 38 e 39 del Dlg 163/2006.
Né si può sottacere l’avviso, anche di altre Sezioni di questo Consiglio, per cui, se tutti i requisiti tecnico-professionali possono costituire oggetto di avvalimento per il legislatore europeo, dunque ciò può riguardare le certificazioni di qualità aziendale. Tanto in relazione all’art. 48, § 2), lett. j-ii) della dir. n. 2004/18/CE, in virtù del quale l'operatore può dimostrare la propria capacità tecnica per i prodotti da fornire per mezzo, tra l’altro, di certificati rilasciati da istituti o servizi ufficiali incaricati del controllo della qualità.
6. – Tale impostazione, che è poi la tesi dell’appellante, non è stata condivisa sal TAR, anche in base al citato parere dell’AVCP del 2012, nel senso, cioè, che la normativa comunitaria ed il Dlg 163/2006 dettano un differente regime circa l’avvalimento con riguardo alle certificazioni di qualità e di gestione ambientale.
Ad avviso del TAR, gli artt. 49 e 50 della dir. n. 2004/18/CE non prevedono espressamente l’avvalimento per tali certificazioni, che può concernere, in modo quanto più liberale è possibile, i requisiti di capacità tecnica ed economica.
Non così si deve dire per quei requisiti di natura soggettiva, che riguardano, come le certificazioni di qualità, vicende non solo organizzative, ma soprattutto di status dell’imprenditore certificato e nella misura in cui egli, e non altri, ha ottenuto la certificazione stessa. Dal che l’impossibilità, anche agli occhi del Collegio e fermi i principi dianzi riferiti sull’ampia utilizzabilità dell’istituto, che tali “qualità” siano rese disponibili e comunicabili a terzi, nelle procedure ad evidenza pubblica che impongano il possesso delle certificazioni de quibus. Tal assunto non è revocabile in dubbio, certo non con riguardo all’art. 48, § 3), in virtù del quale l’operatore «… può…fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi…». Ma tal espressione, nella sua così ampia formula, non è dirimente nel senso voluto dall’appellante, ma dice solo che l’avvalimento può concernere ogni capacità altrui, ovviamente che non sia un requisito soggettivo o di status.
Insomma, il § 3) non dice nulla più, con un argomento per vero circolare, che l’avvalimento si può fare in tutti i casi in cui ciò è consentito, purché se ne dia idonea contezza, senza formalità solenni o predefinite, ma in modo verificabile e con oggetto specifico.
Neppure convince la tesi dell’appellante, a confutazione dell’ argomento del TAR in ordine agli artt. 49 e 50 della direttiva n. 18, secondo cui le due norme non disciplinano le misure relative alla qualità, ma indicano i casi in cui, in assenza dei certificati, può esser fornita la prova sull'impiego di misure equivalenti a quelle oggetto di certificazione. Questo è materialmente vero, ma non dà risposta al quesito oggetto del contendere.
In altri termini, il TAR (ed il Collegio, dal canto suo) afferma l’impossibilità d’evincere dalle regole degli artt. 49 e 50 null’altro che un mero mezzo di prova sostitutiva delle certificazioni. Nulla si dice circa la sicura utilizzabilità, da parte dell’impresa ausiliata, di tali strumenti alternativi, donde l’irrilevanza d’ogni esegesi delle regole stesse al fine propugnato dall’appellante. Insomma, ciò che qui è in discussione non è affatto il quid, il quantum o il quomodo dell’avvalimento sulle qualità certificate in tal modo, ma se queste ultime possano lecitamente formare oggetto di avvalimento. Tanto soprattutto se si considera che i certificati di qualità costituiscono una sorta di requisito soggettivo speciale, dalla legge di gara espressamente previsto come una condizione, non legale, ma pur sempre obbligatoria sia per la partecipazione alla gara per cui è causa, sia per l'esecuzione della prestazione dedotta in appalto.
Non dura fatica il Collegio a ritenere che, quale requisito soggettivo speciale, l’impresa titolare ne possa fornire idonea dimostrazione anche in modo indiretto, ma ciò riguarda se stessa, non certo o non per forza la possibilità di altri d’avvalersene grazie a tal indiretta prova.
7. – L’avvalimento, quindi ed anche nel caso in esame, va letto secondo la sua funzione propria (arg. ex Cons. Stato, III, 1° ottobre 2012 n. 5161), nel senso che tal istituto risponde sì all’esigenza della massima partecipazione alle gare consentendo ai concorrenti, che siano privi dei requisiti richiesti dal bando, di concorrere ricorrendo ai requisiti di altri soggetti, ma che il sotteso favore alla massima concorrenza deve assicurare la massima garanzia per la stazione appaltante e per la sicura ed efficiente esecuzione degli appalti.
Appunto per questo non va sminuito il passaggio del TAR sull’evidente scissione tra titolarità del contratto aggiudicato e responsabilità della sua materiale esecuzione, quale risultante di un avvalimento sulle certificazioni de quibus.
Reputa al riguardo il Collegio che la certificazione di qualità si connoti dal fine di valorizzare tutti e ciascun elemento di eccellenza nell’organizzazione complessiva dell’impresa. Certificando siffatta qualità, dunque, il competente organismo non fa che constatare come tal organizzazione sia e si mostri preordinata ed abile a raggiungere e mantenere nel tempo lostandard di qualità chiesto dalla relativa norma tecnica. Il che è come dire che il dato di qualità è un metodo ed un know how che trascende, perlomeno finché è in grado di durare, la mera efficienza nella strutturazione dei fattori della produzione e diviene l’essenza stessa dell’impresa, di per sé e coeteris paribus non riproducibile tal quale all’esterno.
Già l’avvalimento d’ogni requisito tecnico implica la sostituzione del sotteso dato organizzativo e produttivo dell’impresa ausiliare a quello, inidoneo per l’interesse dedotto in appalto, dell’impresa ausiliata. Dal che l’obbiettiva e notoria “difficoltà”, al di là dell’enfasi liberale sull’uso dell’istituto, di precisarne l’oggetto tra le parti del relativo contratto, nonché i parimenti conosciuti “problemi” agitati in giurisprudenza sull’adeguatezza di siffatte precisazioni. A più forte ragione, quando si intendano comunicare requisiti soggettivi speciali come le citate certificazioni, il contenuto del contratto d’avvalimento resta o sfuggente (e, dunque, nullo per indeterminabilità o assenza dell’oggetto) o impossibile (perché tutta l’azienda ausiliare dovrebbe esser trasferita così com’è e per tutta la durata dell’appalto). Piace allora al Collegio sul punto citare un precedente arresto della Sezione (cfr. Cons. St., III, 18 aprile 2011 n. 2344), il quale, pure, riconduce la certificazione di qualità tra i requisiti di carattere tecnico – organizzativo che possono essere oggetto di avvalimento. Ebbene, la Sezione allora affermò che «… una volta ammessa l’astratta operatività dell’avvalimento, non può essere trascurata l’evidente difficoltà “pratica” di dimostrare, in concreto, l’effettiva disponibilità di un requisito che, per le sue caratteristiche, è collegato all’intera organizzazione dell’impresa, alle sue procedure interne, al bagaglio delle conoscenze utilizzate nello svolgimento delle attività…».
Proprio in ciò risiede la “soggettività” dei requisiti stessi e la conseguente impossibilità di dedurli in avvalimento, si badi, non per l’angustia della norma nazionale rispetto a quella comunitaria, né a causa di interpretazioni fallaci o grette. L’impossibilità dell’avvalimento si ha solo a causa della evidente, materiale irriproducibilità, al di là, cioè, d’ogni diritto positivo o di mentalità giuridica, della qualità fuori dal contesto in cui è generata e viene certificata. Sussiste evidente l’intima correlazione tra l’ottimale gestione dell’impresa nel suo complesso ed il riconoscimento della qualità, cosa, questa, che conferisce alla relativa certificazione un connotato, tutt’altro che implicito, d’insopprimibile soggettività.
Anche ad accedere, perciò, alla tesi dell’appellante, la rigorosa applicazione dell’art. 49 del Dlg 163/2006 implicherebbe pur sempre, per communis opinio della giurisprudenza (cfr. appunto, Cons. St., III, n. 2344/2011, cit.), che l’impresa ausiliaria dovrebbe prestare non il requisito “soggettivo” di qualità quale mero valore astratto, ma tutti i fattori della produzione e tutte le risorse proprie, necessari ad assicurare gli indispensabili livelli di qualità nell'esecuzione dell'appalto. precisando poi i criteri d’ammissibilità come testé esposti nel periodo precedente. Al di là del modo di confezionarne in concreto il contratto, l’avvalimento nella specie è “difficile” non per la modalità di redazione di quest’ultimo, ma proprio perché dimostrare la concretezza dell’impegno, quando si deve prestare una qualità e non un altro requisito tecnico o finanziario, non attingerà la soglia della meritevolezza e della specificità, se non dissimulando la sostanza del subappalto. Si avrebbe così un uso incongruo dell’avvalimento, teso, nei fatti almeno, a dissimulare una sorta di subappalto tra impresa ausiliaria (che, per forza, deve mettere a disposizione tutto ciò che serve a produrre e generare la qualità certificata) e quella ausiliata.
Da ciò discende, per un verso, che l’intima connessione tra qualità e status (non importa quanto transeunte) dell’impresa ausiliaria comporta che l’una non è cedibile ad altre organizzazioni se non congiuntamente all’altro, ossia in una con l’intero complesso aziendale in capo al quale è stato riconosciuto il sistema di qualità. Discende altresì, senza che ciò suoni a disparità di trattamento (se non nella natura delle cose), la non assimilabilità, per oggetto, di ciò che vale per gli appalti di lavori –per i quali l'attestazione SOA è l’inscindibile sintesi d’un insieme eterogeneo di requisiti, tra cui quelli di qualità e come tale deducibile in avvalimento nella sua totalità–, rispetto alle forniture ed ai servizi, per i cui appalti la qualificazione non è predefinita, né centralizzata. Discende infine la non necessità di rimettere la presente questione alla Corte di giustizia UE, in quanto in realtà la questione NON attiene all’interpretazione ed all’uso dell’avvalimento, ma riguarda il concetto stesso di qualità che, nell’ordinamento comunitario, ha pari dignità con il predetto istituto e va con esso temperato ed armonizzato, in relazione all’interesse creditorio della stazione appaltante che, pure, l’avvalimento deve garantire.
8. – Nemmeno convince la tesi dell’appellante, secondo cui, in fondo, i chiarimenti del 3 dicembre 2012, nell’escludere l’avvalimento per la certificazione di qualità ISO 14001 e UNI EN ISO 9001:2008 - settore EA33, avrebbero modificato in modo sostanziale la lex specialis, innovandola su tal punto senza adeguata pubblicità (in violazione dell’art. 70, c. 3 del Dlg 163/2006) ed in modo tale da imporre un nuovo termine minimo per la presentazione delle domande di partecipazione e delle offerte (per le procedure ristrette, non meno di trentasette giorni) o, almeno, una congrua proroga di quello già in scadenza al 10 dicembre 2012.
Anzitutto, non si comprende l’utilità ritraibile, da parte dell’appellante, dalla censura sull’omessa pubblicazione della predetta “modifica sostanziale” nelle debite forme, visto che l’appellante ne ha avuto tanta piena consapevolezza da spostare l’oggetto essenziale del contendere da tale aspetto a quello della (pretesa) virtuosa interpretazione della lex specialis, tutta incentrata sull’avvalimento esteso anche alla qualità.
Inoltre, non v’è alcun dato testuale, d’altronde neppure chiaramente evincibile dalla norma, che concluda per la sicura applicabilità dell’avvalimento preteso dall’appellante alla citata legge di gara, a fronte della chiara scelta operata nel chiedere le certificazioni di qualità citate. Sicché non sembra assodato, né tampoco irrefutabile la circostanza che i chiarimenti del 3 dicembre 2012 assurgano a modifiche sostanziali della lex specialis e non siano, piuttosto, proprio ciò che il vocabolo esprime, ossia l’avvertenza della stazione appaltante alle imprese candidati su come confezionare l’istanza e l’offerta. Poiché, dunque, non si tratta di null’altro che della specificazione di ciò che, perlomeno nella volizione della stazione appaltante fu il trattamento delle certificazioni della qualità pretesa, scolorano tutte le considerazioni in ordine alla necessità sia della fissazione d’un nuovo termine, sia della proroga di quello già esistente per la presentazione delle offerte.
È appena da osservare, trattandosi solo dell’interpretazione mera delle clausole sui requisiti e non di modifiche alle previsioni della lex specialis, che a tutto concedere, l’eventuale maggior tempo a disposizione, che non avrebbe comunque potuto superare i trentasette giorni dalla pubblicazione dei chiarimenti, non sarebbe stato comunque utile all’appellante. Infatti, quand’anche si fosse realizzata l’invocata proroga e stante l’impossibilità dell’avvalimento sulla qualità al tempo della gara, essa non avrebbe potuto conseguire il requisito di qualità, di cui era mancante prima della gara e che continua a non avere tuttora. Non a caso l’appellante, se no il ricorso in epigrafe sarebbe con ogni evidenza inammissibile per difetto d’interesse, fonda ed argomenta la sua pretesa appunto sulla legittimazione a dedurre in contratto d’avvalimento la qualità sottesa alle predette certificazioni, donde la contraddizione logica tra tal argomento e la restante parte del gravame.
9. – In definitiva, l’appello va così rigettato, ma la complessità della questione e giusti motivi suggeriscono l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. III), definitivamente pronunciando sull'appello (ricorso n. 4360/2013 RG in epigrafe), lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 21 novembre 2013, con l'intervento dei sigg. Magistrati:
Giuseppe Romeo, Presidente
Vittorio Stelo, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore
Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/02/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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