domenica 28 settembre 2014

ACCESSO: il diritto d'accesso del datore di lavoro ai verbali ispettivi è recessivo rispetto alla tutela della riservatezza dei lavoratori (Cons. St., Sez. VI, sentenza 28 febbraio 2014, n. 863)


ACCESSO: 
il diritto d'accesso 
del datore di lavoro 
ai verbali ispettivi è recessivo
 rispetto alla tutela della riservatezza dei lavoratori (Cons. St., Sez. VI, 
sentenza 28 febbraio 2014, n. 863) 


Un caso di overrulling un materia d'accesso.
Direi ineccepibile.

Massima

1. La Sezione ritiene che il punto nodale di tale questione, relativa al corretto bilanciamento fra i contrapposti diritti costituzionalmente garantiti alla tutela dei propri interessi giuridici (art. 24 Cost. nonché art. 6 CEDU) ed alla riservatezza dei lavoratori e delle dichiarazioni da loro rese in sede ispettiva (artt. 4, 32 e 36 Cost. nonché art. 8 CEDU), risulta essere l’ambito di applicazione dell’art. 24, co. 7, della l. n. 241/1990 (nella parte in cui dispone che l’accesso deve “comunque” essere garantito ai soggetti che lo richiedono “per curare o per difendere i propri interessi giuridici”), rispetto alle esigenze prese in considerazione da altre disposizioni di legge, applicabili in materia.
2. Deve sottolinearsi, in proposito, come la predetta tutela - da intendersi come categoria che ricomprende, senza esaurirlo o assorbirlo, il diritto alla difesa giurisdizionale dei propri interessi ai sensi dell’art. 24 della Costituzione - per quanto privilegiata, non risulta di per se stessa garantita dall’ordinamento in via generale ed assoluta, ma va necessariamente contemperata con la tutela dei contrapposti interessi che trovano il loro fondamento in norme costituzionali e subcostituzionali, sia legislative che regolamentari, nell’ottica di un corretto bilanciamento fra tutele d’interessi di livello normativo quantomeno equiordinato, se non costituzionalmente sovraordinato.
In questo ambito assume una sicura e particolare rilevanza la tutela della riservatezza dei lavoratori che hanno reso dichiarazioni in sede ispettiva, volta sia a prevenire eventuali ritorsioni o indebite pressioni da parte del datore di lavoro, sia a preservare, in un contesto più ampio, l’interesse generale ad un compiuto controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro.
3. In relazione a questo profilo la Sezione ritiene di dover modificare il proprio orientamento.
Osserva, infatti, la Sezione che - così come la cura e la difesa degli “interessi giuridici” delle società che richiedono l'accesso risulta tutelata dall'art. 24, comma 7 della legge n. 241 del 1990 - allo stesso modo la tutela della riservatezza delle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede ispettiva, quale controlimite rispetto al precitato diritto alla cura ed alla difesa dei propri interessi giuridici, trova il suo fondamento - oltre che nella normativa costituzionale ed europea precedentemente ricordata (artt. 4, 32 e 36 Cost. nonché art. 8 CEDU) - anche nell’art. 8 dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 20 maggio 1970), il quale dispone che “è fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale”.
Detta disposizione dello Statuto dei lavoratori - quale “espressione di un principio generale” dell’ordinamento (Cass. Civ., 12 giugno 1982, n. 3592) - nel precludere la possibilità per il datore di lavoro di entrare in possesso di informazioni sensibili e non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore, fornisce una tutela privilegiata alla riservatezza dei lavoratori rispetto alle ingerenze nella loro sfera privata.
In questo ambito trova logica collocazione - in ossequio al disposto dell’art. 24, comma 6, lettera d) della legge n. 241 del 1990 e come specificazione del precitato divieto legislativo - il decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 757 del 4 novembre 1994 che, all’art. 2, comma 1, lettere b) e c), stabilisce che siano sottratti al diritto d’accesso i “documenti contenenti le richieste di intervento dell’Ispettorato del Lavoro” nonché quelli “contenenti notizie acquisite nel corso delle attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi”.
4. Ritiene, pertanto, la Sezione che non può ritenersi sussistente una recessività generalizzata della tutela della riservatezza delle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede ispettiva rispetto alle esigenze di tutela degli interessi giuridicamente rilevanti delle società che richiedono l'accesso, ma deve al contrario ritenersi in via generale prevalente, se non assorbente, la tutela apprestata dall'ordinamento alle esigenze di riservatezza delle suddette dichiarazioni, contenenti dati sensibili la cui divulgazione potrebbe comportare, nei confronti dei lavoratori, azioni discriminatorie o indebite pressioni.
4.1 Ciò, in primo luogo, alla luce della considerazione, rispondente ad esigenze di giustizia sostanziale, che i lavoratori risultano la “parte debole” del rapporto contrattuale esistente fra loro e le società istanti: è, infatti, lo stesso art. 24, comma 6, lettera d) della legge n. 241 del 1990 che impone di prendere atto delle realtà dei singoli settori della vita sociale e di riconoscere rilevanza alle esigenze di riservatezza delle “persone fisiche”, e ciò a maggior ragione quando le medesime siano potenzialmente esposte ad un danno o ad un pericolo di danno connesso all’ostensione di dati a loro riferibili.
In altri termini, i lavoratori devono essere posti in grado di collaborare con le autorità amministrative e giudiziarie, di presentare esposti e denunce, senza temere possibili ritorsioni nell’ambiente di lavoro nel quale vivono quotidianamente.
Sotto tale profilo, dunque, la stessa lettera d) del comma 6 del citato art. 24 deve ritenersi riferita, su un piano sistematico che procede dall’apice delle previsioni costituzionali, alla tutela della riservatezza di coloro che ragionevolmente risultano “più deboli” nell’ambito del rapporto di lavoro che, nell’ordine delle priorità costituzionali, sancite dagli stessi artt.1 e 4 Cost., è fatto oggetto di una tutela fondativa dell’intero sistema dei diritti fondamentali.
4.2 A quanto precede deve peraltro aggiungersi che, anche in assenza dell'accesso alle dichiarazioni rese dai lavoratori, la tutela degli interessi giuridici vantati dalle società medesime risulta “comunque” pienamente garantita dall'ordinamento.
Infatti, la preclusione dell'accesso alle dichiarazioni ispettive non consente di far ritenere sostanzialmente “affievolita” la tutela concessa alle società istanti al fine di difendere i propri interessi, soprattutto con riferimento alla cura ante causam degli stessi: la compiuta conoscenza dei fatti e delle allegazioni contestate alle società datrici di lavoro, necessaria al fine di non incorrere in violazioni dell'art. 24, comma 7 della legge n. 241 del 1990, risulta di norma assicurata dal contenuto del verbale di accertamento relativo alle dichiarazioni de quibus - contenente il puntuale elenco delle violazioni contestate alle società istanti e dei fatti dai quali sono scaturite, in ossequio al generale principio dell'obbligo di motivazione delle contestazioni amministrative e/o penali - dalla documentazione che ogni datore di lavoro è tenuto a possedere nonché, in ultima istanza, dalla possibilità di ottenere accertamenti istruttori in sede giudiziaria.
Alla luce di quanto esposto, dunque, la documentazione a cui si richiede di accedere, contenente dichiarazioni senza dubbio sensibili, non risulta - come invece richiesto ai sensi dell'art. 24, comma 7 della legge n. 241 del 1990, così come novellato dalla legge n. 15 del 2005 - “strettamente indispensabile” al fine di curare o difendere gli interessi giuridicamente rilevanti delle società datrici di lavoro, con la conseguenza che l’ostensione della medesima può essere negata qualora non ricorrano peculiari e comprovate situazioni, adeguatamente e specificamente motivate dalle società istanti.
5. A quanto precede va, peraltro, aggiunto che le predette conclusioni - relative alle istanze di accesso promosse da società datrici di lavoro dei soggetti che hanno reso le dichiarazioni ispettive - per il principio di non contraddizione devono ritenersi estensibili anche nei confronti delle richieste di accesso avanzate da società non datrici di lavoro dei soggetti che hanno reso le citate dichiarazioni, ma alle medesime legate da un vincolo di coobbligazione solidale.
5.1 Ciò, in primo luogo, in quanto la prevalenza del diritto alla riservatezza dei lavoratori che hanno reso le dichiarazioni rispetto alla tutela garantita dall'art. 24, comma 7 della legge n. 241 del 1990, come sopra rilevata, risulta un principio di carattere generale che, come tale, opera a prescindere dalla circostanza che l'istante sia o meno il datore di lavoro dei soggetti che hanno reso le dichiarazioni stesse.
5.2 In secondo luogo, la prevalenza del diritto alla riservatezza, così come sopra rilevata, è volta a garantire anche “l’interesse pubblico all’acquisizione di ogni possibile informazione, per finalità di controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro”: tale interesse verrebbe, infatti, compromesso dalla reticenza dei lavoratori a rendere dichiarazioni ispettive, che potrebbe generarsi a prescindere dall’esistenza di un rapporto di lavoro diretto fra soggetto che ha reso le dichiarazioni e società istante.
5.3 A quanto precede va, peraltro, aggiunto che consentire l’accesso alle società non datrici di lavoro accorderebbe a soggetti terzi rispetto al vincolo contrattuale una tutela che non si garantisce agli stessi datori di lavoro, portatori di un interesse diretto all'acceso: ciò finirebbe per creare delle illogiche disparità di trattamento, garantendo al soggetto che ha maggior interesse all'accesso (il datore di lavoro) un tutela inferiore rispetto a quella concessa ai soggetti esterni rispetto al vincolo contrattuale.
5.4 Inoltre, sotto il profilo processuale, deve rilevarsi che in un eventuale giudizio relativo alla mancata esecuzione del “verbale di coobbligazione solidale” le posizioni delle società, sia di quella datrice di lavoro che di quella appaltante, risulterebbero in ogni caso sostanzialmente omogenee, stante la possibilità per la società appaltante di esperire un intervento ad adiuvandum nei confronti della società appaltatrice: ciò potrebbe implicare, dunque, che la società non datrice di lavoro dei soggetti che hanno reso le dichiarazioni ispettive potrebbe produrre in giudizio, a fini difensivi, proprio i documenti il cui accesso era stato precluso, in ragione di quanto sopra esposto, alla società datrice di lavoro.
Ne deriverebbe, dunque, una piena ostensione processuale delle identità e delle dichiarazioni dei dipendenti nei confronti della società datrice di lavoro, con conseguente elusione della prevalenza del diritto alla riservatezza dei lavoratori medesimi, come sopra evidenziata.
5.5 Infine, deve rilevarsi come si assista - peraltro non solo in ambito nazionale - ad una crescente tendenza all’esternalizzazione dei rapporti di lavoro, attuata tramite la creazione di società satelliti o comunque con la instaurazione di rapporti con soggetti erogatori di servizi di “manodopera” che sostituiscono, più o meno strutturalmente, le maestranze della società appaltante: tale tendenza non può, dunque, che creare forme di solidarietà de facto tra imprese, anche al di fuori di situazioni di effettivo controllo azionario della società appaltante sulla società appaltatrice.
Anche sotto un profilo meramente fattuale, quindi, consentire l’accesso alle società non datrici di lavoro, ma fruitrici della “esternalizzazione”, rischierebbe di rendere sostanzialmente inutiliter datum il divieto di ostensione ai datori di lavoro dei documenti riguardanti dichiarazioni ispettive dei propri lavoratori, così come in precedenza riconosciuto, in ragione della sempre più probabile esistenza di contatti e di confluenza di interessi operativi fra società coobbligate.


Precedenti orientamenti giurisprudenziali 

1. Sulla questione di merito relativa al diritto d’accesso agli atti ispettivi, contenenti dati riservati o quantomeno sensibili, da parte di società non collegate da un rapporto di lavoro diretto con i lavoratori che tali dichiarazioni hanno reso, nonché sulla questione, strettamente connessa alla precedente, relativa al corretto bilanciamento fra i contrapposti diritti costituzionalmente garantiti alla tutela dei propri interessi giuridici (art. 24 Cost. nonché art. 6 CEDU, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) ed alla riservatezza dei lavoratori e delle dichiarazioni da loro rese in sede ispettiva (artt. 4, 32 e 36 Cost. nonché art. 8 CEDU) - si rinviene un orientamento giurisprudenziale della Sezione che - ritenendo prioritarie le necessità difensive delle società istanti, tutelate dall’art. 24 Cost. e dal disposto dell’art. 24, co. 7 della l. n. 241/1990, nella parte in cui dispone che l’accesso sia garantito “comunque” a chi debba acquisire determinati atti per la cura dei propri interessi giuridicamente protetti - ha concesso alle società istanti di accedere alle dichiarazioni rese in sede ispettiva da lavoratori non direttamente impiegati presso le società medesime.
Ciò anche in ragione dell'assunto secondo cui in assenza di un rapporto lavorativo diretto fra lavoratori e società istanti non sarebbe applicabile la normativa regolamentare che non consente l'accesso agli atti contenenti le dichiarazioni rese agli ispettori del lavoro, qualora dalle medesime possano derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni a carico dei lavoratori, ed in particolare il decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 757 del 4 novembre 1994. 
2. Parallelamente a detto orientamento la giurisprudenza della Sezione, benché con indirizzo non univoco, si è anche orientata nel senso di non consentire l’accesso alle dichiarazioni rese dai lavoratori ai succitati ispettori del lavoro nell’ipotesi in cui il predetto accesso sia stato chiesto dalle società che hanno un rapporto lavorativo diretto con i medesimi lavoratori e ciò in ragione del fatto che - anche sulla base di una valutazione effettuata in merito alle singole fattispecie di causa - nel bilanciamento dei contrapposti interessi doveva ritenersi prevalente quello alla tutela della riservatezza delle dichiarazioni rese dai lavoratori al fine di proteggerli da eventuali ritorsioni o indebite pressioni che il datore di lavoro, con cui avevano un rapporto di diretta dipendenza, avrebbe potuto svolgere nei loro confronti.
3. In una recentissima sentenza della Sezione, infine, il tema del corretto bilanciamento fra i precitati diritti costituzionalmente garantiti è stato affrontato, pur senza decidere nel merito della questione, rilevando come - anche nella materia dell’accesso da parte di società non datrici di lavoro dei soggetti che hanno reso le dichiarazioni ispettive così come in caso di accesso “diretto” da parte dei datori di lavoro - si potrebbe procedere ad una valutazione “caso per caso” delle richieste di accesso agli atti, in modo che si possa tener conto degli elementi di fatto e di diritto concretamente posti a fondamento delle richieste medesime, in quanto non potrebbe “affermarsi in modo aprioristico una generalizzata recessività dell’interesse pubblico all’acquisizione di ogni possibile informazione, per finalità di controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro (a cui sono connessi valori, a loro volta, costituzionalmente garantiti), rispetto al diritto di difesa” (Cons. di Stato, Sez. VI, 11 luglio 2013, n. 4035).


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3128 del 2013, proposto dalla:
società Sda Express Courier Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Angelo Vallefuoco e Valerio Vallefuoco, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, viale Regina Margherita, 294; 
contro
Inps - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonino Sgroi, Lelio Maritato, Carla D'Aloisio ed Emanuele De Rose, con i quali domicilia in Roma, via Cesare Beccaria 29; Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
nei confronti di
Ditta Servizi 2011, Consorzio Ilc, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, non costituiti nella presente fase di giudizio; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE III n. 743/2013, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’ Inps - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale e del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2014 il Consigliere Claudio Boccia e uditi per le parti gli avvocati Filippo Loria per delega degli avvocati Angelo Vallefuoco e Valerio Vallefuoco, l’avvocato Carlo D'Aloisio e l’avvocato dello Stato Daniela Giacobbe;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso n. 7503 del 2012, proposto al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, la società SDA Express Courier s.p.a. chiedeva l'accesso a tutti gli atti ed i documenti contenuti nel fascicolo del procedimento concluso con il “verbale di obbligazione solidale” del 9 maggio 2012, redatto nei confronti della ditta Servizi 2011 e del Consorzio ILC, entrambi legati alla società istante da un contratto di appalto di servizi.
La medesima società chiedeva, inoltre, l'annullamento del diniego espresso dall'Inps il 3 giugno 2012, comunicatole il successivo 2 luglio, sull'istanza di accesso agli atti presentata dalla società stessa il 22 maggio 2012, previo - ove necessario - annullamento ovvero disapplicazione in parte qua della normativa di natura regolamentare emanata dall'Inps in materia di accesso agli atti.
2. Con la sentenza n. 743 del 2013, il Tar per il Lazio accoglieva il predetto ricorso, annullando il diniego di accesso di cui alla nota del 3 giugno 2012, riconoscendo alla società istante il diritto di accedere alla documentazione richiesta e compensando le spese del giudizio in ragione dell'“oscillazione giurisprudenziale” in materia.
3. Avverso detta sentenza la società SDA Express Courier s.p.a. ha proposto appello (ricorso n. 3128 del 2013) lamentandone l'erroneità, limitatamente al profilo relativo alla statuizione sulla compensazione delle spese di giudizio, in quanto non vi sarebbe stata alcuna “oscillazione giurisprudenziale” nella materia di cui è causa al momento della presentazione del ricorso di primo grado, con la conseguenza che la compensazione delle spese legali sarebbe irragionevole e violerebbe quanto previsto dagli artt. 91 e 92, comma 2, c.p.c. e dall’art. 26, comma 1 c.p.a.
3.1. In data 10 maggio 2013 si costituiva in giudizio l'Inps.
3.2. In data 31 maggio 2013 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con un unico atto, presentava una memoria di costituzione in giudizio nella quale rilevava l’infondatezza della censura proposta dalla società appellante - in merito alla decisione del giudice sulla compensazione delle spese di giudizio - ed un appello incidentale avverso l'impugnata sentenza del Tar per il Lazio, in base ai seguenti motivi di diritto:
- erroneità della sentenza del giudice di prime cure nella parte in cui ha respinto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva del Ministero, in ragione del fatto che la società appellante non avrebbe impugnato “né le determinazioni, né il silenzio serbato dal Ministero in ordine alla richiesta di accesso agli atti presentata” dalla società SDA Express Courier;
- erroneità dell'impugnata sentenza nella parte in cui non ha dichiarato il ricorso di primo grado irricevibile per tardività, in ragione della circostanza che il termine per la proposizione del ricorso avverso il silenzio serbato dal Ministero sarebbe scaduto, ai sensi dell'art. 116, comma 1 c.p.a., il 31 luglio 2012 e, quindi, prima della notificazione del ricorso di primo grado, avvenuta il 14 settembre 2012;
- erroneità dell'impugnata sentenza per non aver dichiarato la nullità del ricorso n. 7503 del 2012 in ragione dell’“incertezza assoluta sull'oggetto della domanda ai sensi dell'art. 44, comma 1 c.p.a.”;
- erroneità dell'impugnata sentenza nella parte in cui ha accolto il ricorso della società appellante, in quanto il giudice di prime cure avrebbe dovuto ritenere prevalenti le tutele costituzionali poste a difesa dei lavoratori (artt. 4, 32 e 36 Cost.) rispetto alla tutela del diritto alla difesa della predetta società SDA Express Courier.
4. Con le memorie del 7 giugno e dell’11 giugno 2013, la società appellante articolava ulteriormente le proprie difese, lamentando in particolare l’inammissibilità dell’appello incidentale proposto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
4.1. Con la memoria del 14 giugno 2013 l’Amministrazione contestava la fondatezza dell’eccezione sollevata dalla società SDA Express Courier in merito all’ammissibilità dell’appello incidentale proposto dall’Amministrazione stessa.
5. All’udienza del 25 giugno 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
5.1. Dopo il passaggio in decisione della causa, con l'ordinanza n. 4165 del 2013, il Collegio ha rilevato la possibile mancata integrazione del contraddittorio in primo grado, in quanto il ricorso non risultava notificato ad alcuno dei controinteressati (ovvero i lavoratori di cui al verbale di obbligazione solidale del 9 maggio 2012), ed ha assegnato alle parti un termine di quindici giorni - decorrenti dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della succitata ordinanza - per presentare memorie vertenti su quest'unica questione.
5.2 Nelle more della decisione, con nota dell’11 settembre 2013, il Consigliere Antonio Malaschini, componente del Collegio decidente, ha rassegnato le proprie dimissioni da Consigliere di Stato: si è reso pertanto necessario, non essendo possibile riconvocare il Collegio decidente nella sua originaria composizione, fissare una nuova udienza camerale per la trattazione del ricorso.
All’udienza camerale fissata, con il decreto del Presidente della Sezione VI n. 9 del 7 gennaio 2014, per il 28 gennaio 2014, il Collegio ha confermato la statuizione di trattenere la causa in decisione.
6. Preliminarmente il Collegio, preso atto di un’ulteriore memoria depositata per il tramite dell’Avvocatura di Stato il 24 gennaio 2014 dal Ministero appellante, rileva che le parti in causa hanno adempiuto a quanto richiesto con la citata ordinanza di questo Consiglio di Stato n. 4165 del 2013.
Con memoria del 23 settembre 2013, infatti, la società SDA Express Courier ha rilevato, in punto di fatto, che in assenza del previo accesso ai documenti sarebbe stata nell’impossibilità di procedere all’integrazione del contraddittorio in favore di lavoratori dalla medesima non dipendenti, visto che nel verbale sono riportati solo il nome ed il cognome dei singoli lavoratori e che l’eccezione relativa alla mancata notifica ai controinteressati del ricorso di primo grado non risulta essere stata riproposta dall’Amministrazione con la memoria di costituzione e l’appello incidentale del 23 settembre 2013.
A quanto precede ha aggiunto, in punto di diritto, che proprio in ragione della posizione rivestita dai citati lavoratori ad essi non si sarebbe potuto attribuire - come statuito dal giudice di primo grado - la qualifica di controinteressati nel presente giudizio, in cui rileva la sola posizione di obbligato solidale pecuniario dell’appellante, in relazione al comportamento tenuto sotto il profilo previdenziale dal Consorzio ILC e dalla ditta Servizi 2011 e non quella - in realtà non sussistente - di “datore di lavoro dei lavoratori coinvolti, ai fini di eventuali esigenze di riservatezza, per evitare ritorsioni o comportamenti discriminatori”.
Ne deriverebbe, a giudizio della società appellante, che il contraddittorio in primo grado risulterebbe correttamente costituito anche in assenza della notifica del ricorso di primo grado ai lavoratori dipendenti dal Consorzio ILC e dalla ditta Servizi 2011 e che, conseguentemente, l’appello dalla medesima proposto dovrebbe essere accolto con contestuale rigetto dell’appello incidentale presentato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
La società SDA Express Courier ha, infine, chiesto di rimettere la presente causa, ai sensi dell’art. 99, commi 1 e 2 c.p.a., all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, qualora il Collegio ritenesse di discostarsi dai precedenti univoci nella materia de qua del giudice di primo grado e di quello d’appello.
6.1. Con le memorie del 21 agosto 2013 e del 24 gennaio 2014 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha chiesto l'annullamento dell'impugnata sentenza del Tar per il Lazio, oltre che per le ragioni già prospettate nella memoria di costituzione ed appello incidentale del 31 maggio 2013, anche per la carenza di contraddittorio inficiante il giudizio di prime cure, dal momento che il ricorso di primo grado non è stato notificato ad alcuno dei lavoratori di cui al verbale d’obbligazione solidale del 9 maggio 2012 di cui è pacifica la qualifica di controinteressati.
6.2. Osserva il Collegio che, come rilevato dalla società SDA Courier Express, la questione relativa all'errata formazione del contraddittorio ed alla natura di controinteressati in senso tecnico dei lavoratori di cui al “verbale di obbligazione solidale” del 9 maggio 2012, è stata sollevata dall'Amministrazione dinanzi al giudice di prime cure, che ha respinto la relativa istanza, ma non è stata riproposta con l'appello incidentale promosso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Non si è dunque avuto, nel caso di specie, l'effetto devolutivo tipico dell'appello, con la conseguenza che sul relativo capo della sentenza impugnata - con cui il giudice di prime cure ha stabilito che ai citati lavoratori non si può attribuire la qualifica di controinteressati nel presente giudizio - si è formato il giudicato che preclude l’esame della succitata questione nel corso del presente giudizio d'appello.
6.3. Ciò posto il Collegio ritiene di esaminare le eccezioni di rito sollevate dalla società appellante con la memoria dell'11 giugno 2013.
In primo luogo non può essere condiviso l’assunto secondo cui nel rito dell’accesso non sarebbe configurabile l’appello incidentale, in ragione del particolare oggetto del giudizio, con la conseguenza che sarebbe inammissibile l’appello incidentale presentato dall’Amministrazione.
Osserva, infatti, il Collegio che la tesi della società appellante non trova riscontro nelle disposizioni di cui all’art. 116 c.p.a. né in alcun altra disposizione del c.p.a. dove viceversa viene stabilito (art. 97) che “può intervenire nel giudizio d’impugnazione…. chi vi ha interesse”.
In secondo luogo non può essere condivisa la censura, presentata dalla società appellante, secondo cui l’appello incidentale presentato dall’Amministrazione sarebbe configurabile come “appello sostanzialmente autonomo”, con la conseguenza che il medesimo - soggiacendo ai termini ordinari di impugnazione previsti dall’art. 92, comma 1 c.p.a. - sarebbe inammissibile in quanto tardivo.
Osserva il Collegio che ai sensi dell’art. 96, comma 5, c.p.a. “l’impugnazione incidentale di cui all’art. 334 del codice di procedura civile deve essere proposta dalla parte entro sessanta giorni dalla data in cui si è perfezionata nei suoi confronti la notificazione dell’impugnazione principale…” e che ai sensi dell’art. 87 comma 3, c.p.a. nei giudizi in materia di accesso ai documenti amministrativi i termini per la presentazione dell’appello sono dimezzati, risultando pari a trenta giorni.
Da quanto esposto deriva, dunque, che l’appello incidentale proposto dall’Amministrazione doveva essere notificato nel termine di cui all’art. 96 c.p.a. ma dimezzato ai sensi dell’art. 87, comma 3 c.p.a., ovvero entro 30 giorni dall’avvenuta notificazione dell’appello principale.
Orbene, nel caso di specie, l’appello principale è stato notificato all’Amministrazione in data 23 aprile 2013: risulta, dunque, in termini l’appello incidentale presentato dal Ministero, in quanto notificato alla società appellante in data 23 maggio 2013.
7. Il Collegio ritiene che, definite le questioni di rito nei termini che precedono, si possa passare all’esame del merito della controversia, iniziando dall’appello incidentale proposto dall’Amministrazione, in ragione del fatto che quest’ultimo contiene una questione sostanziale di carattere dirimente da cui dipende la definizione della causa in oggetto.
Con il precitato atto l’Amministrazione ha, infatti, lamentato l'erroneità dell'impugnata sentenza del Tar per il Lazio nella parte in cui ha accolto il ricorso della società appellante, in quanto il giudice di prime cure avrebbe dovuto ritenere prevalenti le tutele costituzionali poste a difesa dei lavoratori (artt. 4, 32 e 36 Cost.) rispetto alla tutela del diritto alla difesa della predetta società SDA Express Courier.
7.1. In proposito va rilevato che - sulla questione di merito relativa al diritto d’accesso agli atti ispettivi, contenenti dati riservati o quantomeno sensibili, da parte di società non collegate da un rapporto di lavoro diretto con i lavoratori che tali dichiarazioni hanno reso, nonché sulla questione, strettamente connessa alla precedente, relativa al corretto bilanciamento fra i contrapposti diritti costituzionalmente garantiti alla tutela dei propri interessi giuridici (art. 24 Cost. nonché art. 6 CEDU, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) ed alla riservatezza dei lavoratori e delle dichiarazioni da loro rese in sede ispettiva (artt. 4, 32 e 36 Cost. nonché art. 8 CEDU) - si rinviene un orientamento giurisprudenziale della Sezione che - ritenendo prioritarie le necessità difensive delle società istanti, tutelate dall’art. 24 della Costituzione e dal disposto dell’art. 24, comma 7 della legge n. 241 del 1990, nella parte in cui dispone che l’accesso sia garantito “comunque” a chi debba acquisire determinati atti per la cura dei propri interessi giuridicamente protetti - ha concesso alle società istanti di accedere alle dichiarazioni rese in sede ispettiva da lavoratori non direttamente impiegati presso le società medesime (Cons. di Stato, Sez. VI, 26 marzo 2013, n. 1684; 12 dicembre 2012, n. 6380; 9 maggio 2011, n. 2747; 16 dicembre 2010, nn. 9102 e 9103).
Ciò anche in ragione dell'assunto - peraltro logicamente subordinato rispetto alla valutazione precedentemente citata - secondo cui in assenza di un rapporto lavorativo diretto fra lavoratori e società istanti non sarebbe applicabile la normativa regolamentare che non consente l'accesso agli atti contenenti le dichiarazioni rese agli ispettori del lavoro, qualora dalle medesime possano derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni a carico dei lavoratori, ed in particolare il decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 757 del 4 novembre 1994. Parallelamente a detto orientamento la giurisprudenza della Sezione, benché con indirizzo non univoco, si è anche orientata nel senso di non consentire l’accesso alle dichiarazioni rese dai lavoratori ai succitati ispettori del lavoro nell’ipotesi in cui il predetto accesso sia stato chiesto dalle società che hanno un rapporto lavorativo diretto con i medesimi lavoratori e ciò in ragione del fatto che - anche sulla base di una valutazione effettuata in merito alle singole fattispecie di causa - nel bilanciamento dei contrapposti interessi doveva ritenersi prevalente quello alla tutela della riservatezza delle dichiarazioni rese dai lavoratori al fine di proteggerli da eventuali ritorsioni o indebite pressioni che il datore di lavoro, con cui avevano un rapporto di diretta dipendenza, avrebbe potuto svolgere nei loro confronti (Cons. di Stato, Sez. VI, 7 dicembre 2009, n. 7678; 9 febbraio 2009, n. 736; 22 aprile 2008, n. 1842; 27 gennaio 1999 n. 65; 4 luglio 1997, n. 1066; 19 novembre 1996, n. 1604).
In una recentissima sentenza della Sezione, infine, il tema del corretto bilanciamento fra i precitati diritti costituzionalmente garantiti è stato affrontato, pur senza decidere nel merito della questione, rilevando come - anche nella materia dell’accesso da parte di società non datrici di lavoro dei soggetti che hanno reso le dichiarazioni ispettive così come in caso di accesso “diretto” da parte dei datori di lavoro - si potrebbe procedere ad una valutazione “caso per caso” delle richieste di accesso agli atti, in modo che si possa tener conto degli elementi di fatto e di diritto concretamente posti a fondamento delle richieste medesime, in quanto non potrebbe “affermarsi in modo aprioristico una generalizzata recessività dell’interesse pubblico all’acquisizione di ogni possibile informazione, per finalità di controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro (a cui sono connessi valori, a loro volta, costituzionalmente garantiti), rispetto al diritto di difesa” (Cons. di Stato, Sez. VI, 11 luglio 2013, n. 4035).
8. In ragione dell'indubbia rilevanza dei sopracitati diritti costituzionalmente garantiti, la Sezione ha ritenuto necessario procedere ad un approfondimento della questione di diritto in esame per stabilire un orientamento uniforme su una tematica oggetto di ampio dibattito.
Ad un più maturo esame, la Sezione ritiene che il punto nodale di tale questione, relativa al corretto bilanciamento fra i contrapposti diritti costituzionalmente garantiti alla tutela dei propri interessi giuridici (art. 24 Cost. nonché art. 6 CEDU) ed alla riservatezza dei lavoratori e delle dichiarazioni da loro rese in sede ispettiva (artt. 4, 32 e 36 Cost. nonché art. 8 CEDU), risulta essere l’ambito di applicazione dell’art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990 (nella parte in cui dispone che l’accesso deve “comunque” essere garantito ai soggetti che lo richiedono “per curare o per difendere i propri interessi giuridici”), rispetto alle esigenze prese in considerazione da altre disposizioni di legge, applicabili in materia.
Deve sottolinearsi, in proposito, come la predetta tutela - da intendersi come categoria che ricomprende, senza esaurirlo o assorbirlo, il diritto alla difesa giurisdizionale dei propri interessi ai sensi dell’art. 24 della Costituzione - per quanto privilegiata, non risulta di per se stessa garantita dall’ordinamento in via generale ed assoluta, ma va necessariamente contemperata con la tutela dei contrapposti interessi che trovano il loro fondamento in norme costituzionali e subcostituzionali, sia legislative che regolamentari, nell’ottica di un corretto bilanciamento fra tutele d’interessi di livello normativo quantomeno equiordinato, se non costituzionalmente sovraordinato.
In questo ambito assume una sicura e particolare rilevanza la tutela della riservatezza dei lavoratori che hanno reso dichiarazioni in sede ispettiva, volta sia a prevenire eventuali ritorsioni o indebite pressioni da parte del datore di lavoro, sia a preservare, in un contesto più ampio, l’interesse generale ad un compiuto controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro.
In relazione a questo profilo la Sezione ritiene di dover modificare il proprio orientamento, così come in precedenza ricordato.
Osserva, infatti, la Sezione che - così come la cura e la difesa degli “interessi giuridici” delle società che richiedono l'accesso risulta tutelata dall'art. 24, comma 7 della legge n. 241 del 1990 - allo stesso modo la tutela della riservatezza delle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede ispettiva, quale controlimite rispetto al precitato diritto alla cura ed alla difesa dei propri interessi giuridici, trova il suo fondamento - oltre che nella normativa costituzionale ed europea precedentemente ricordata (artt. 4, 32 e 36 Cost. nonché art. 8 CEDU) - anche nell’art. 8 dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 20 maggio 1970), il quale dispone che “è fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale”.
Detta disposizione dello Statuto dei lavoratori - quale “espressione di un principio generale” dell’ordinamento (Cass. Civ., 12 giugno 1982, n. 3592) - nel precludere la possibilità per il datore di lavoro di entrare in possesso di informazioni sensibili e non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore, fornisce una tutela privilegiata alla riservatezza dei lavoratori rispetto alle ingerenze nella loro sfera privata.
In questo ambito trova logica collocazione - in ossequio al disposto dell’art. 24, comma 6, lettera d) della legge n. 241 del 1990 e come specificazione del precitato divieto legislativo - il decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 757 del 4 novembre 1994 che, all’art. 2, comma 1, lettere b) e c), stabilisce che siano sottratti al diritto d’accesso i “documenti contenenti le richieste di intervento dell’Ispettorato del Lavoro” nonché quelli “contenenti notizie acquisite nel corso delle attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi”.
Ritiene, pertanto, la Sezione che - alla luce del quadro normativo sopra esposto e nell'ottica di un corretto bilanciamento fra contrapposte esigenze costituzionalmente e legislativamente garantite - non può ritenersi sussistente una recessività generalizzata della tutela della riservatezza delle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede ispettiva rispetto alle esigenze di tutela degli interessi giuridicamente rilevanti delle società che richiedono l'accesso, ma deve al contrario ritenersi in via generale prevalente, se non assorbente, la tutela apprestata dall'ordinamento alle esigenze di riservatezza delle suddette dichiarazioni, contenenti dati sensibili la cui divulgazione potrebbe comportare, nei confronti dei lavoratori, azioni discriminatorie o indebite pressioni.
Ciò, in primo luogo, alla luce della considerazione, rispondente ad esigenze di giustizia sostanziale, che i lavoratori risultano la “parte debole” del rapporto contrattuale esistente fra loro e le società istanti: è, infatti, lo stesso art. 24, comma 6, lettera d) della legge n. 241 del 1990 che impone di prendere atto delle realtà dei singoli settori della vita sociale e di riconoscere rilevanza alle esigenze di riservatezza delle “persone fisiche”, e ciò a maggior ragione quando le medesime siano potenzialmente esposte ad un danno o ad un pericolo di danno connesso all’ostensione di dati a loro riferibili.
In altri termini, i lavoratori devono essere posti in grado di collaborare con le autorità amministrative e giudiziarie, di presentare esposti e denunce, senza temere possibili ritorsioni nell’ambiente di lavoro nel quale vivono quotidianamente.
Sotto tale profilo, dunque, la stessa lettera d) del comma 6 del citato art. 24 deve ritenersi riferita, su un piano sistematico che procede dall’apice delle previsioni costituzionali, alla tutela della riservatezza di coloro che ragionevolmente risultano “più deboli” nell’ambito del rapporto di lavoro che, nell’ordine delle priorità costituzionali, sancite dagli stessi artt.1 e 4 Cost., è fatto oggetto di una tutela fondativa dell’intero sistema dei diritti fondamentali.
A quanto precede deve peraltro aggiungersi che, anche in assenza dell'accesso alle dichiarazioni rese dai lavoratori, la tutela degli interessi giuridici vantati dalle società medesime risulta “comunque” pienamente garantita dall'ordinamento.
Infatti, la preclusione dell'accesso alle dichiarazioni ispettive non consente di far ritenere sostanzialmente “affievolita” la tutela concessa alle società istanti al fine di difendere i propri interessi, soprattutto con riferimento alla cura ante causam degli stessi: la compiuta conoscenza dei fatti e delle allegazioni contestate alle società datrici di lavoro, necessaria al fine di non incorrere in violazioni dell'art. 24, comma 7 della legge n. 241 del 1990, risulta di norma assicurata dal contenuto del verbale di accertamento relativo alle dichiarazioni de quibus - contenente il puntuale elenco delle violazioni contestate alle società istanti e dei fatti dai quali sono scaturite, in ossequio al generale principio dell'obbligo di motivazione delle contestazioni amministrative e/o penali - dalla documentazione che ogni datore di lavoro è tenuto a possedere nonché, in ultima istanza, dalla possibilità di ottenere accertamenti istruttori in sede giudiziaria.
Alla luce di quanto esposto, dunque, la documentazione a cui si richiede di accedere, contenente dichiarazioni senza dubbio sensibili, non risulta - come invece richiesto ai sensi dell'art. 24, comma 7 della legge n. 241 del 1990, così come novellato dalla legge n. 15 del 2005 - “strettamente indispensabile” al fine di curare o difendere gli interessi giuridicamente rilevanti delle società datrici di lavoro, con la conseguenza che l’ostensione della medesima può essere negata qualora non ricorrano peculiari e comprovate situazioni, adeguatamente e specificamente motivate dalle società istanti.
A quanto precede va, peraltro, aggiunto che le predette conclusioni - relative alle istanze di accesso promosse da società datrici di lavoro dei soggetti che hanno reso le dichiarazioni ispettive - per il principio di non contraddizione devono ritenersi estensibili anche nei confronti delle richieste di accesso avanzate da società non datrici di lavoro dei soggetti che hanno reso le citate dichiarazioni, ma alle medesime legate da un vincolo di coobbligazione solidale.
Ciò, in primo luogo, in quanto la prevalenza del diritto alla riservatezza dei lavoratori che hanno reso le dichiarazioni rispetto alla tutela garantita dall'art. 24, comma 7 della legge n. 241 del 1990, come sopra rilevata, risulta un principio di carattere generale che, come tale, opera a prescindere dalla circostanza che l'istante sia o meno il datore di lavoro dei soggetti che hanno reso le dichiarazioni stesse.
In secondo luogo, la prevalenza del diritto alla riservatezza, così come sopra rilevata, è volta a garantire anche “l’interesse pubblico all’acquisizione di ogni possibile informazione, per finalità di controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro”: tale interesse verrebbe, infatti, compromesso dalla reticenza dei lavoratori a rendere dichiarazioni ispettive, che potrebbe generarsi a prescindere dall’esistenza di un rapporto di lavoro diretto fra soggetto che ha reso le dichiarazioni e società istante.
A quanto precede va, peraltro, aggiunto che consentire l’accesso alle società non datrici di lavoro accorderebbe a soggetti terzi rispetto al vincolo contrattuale una tutela che non si garantisce agli stessi datori di lavoro, portatori di un interesse diretto all'acceso: ciò finirebbe per creare delle illogiche disparità di trattamento, garantendo al soggetto che ha maggior interesse all'accesso (il datore di lavoro) un tutela inferiore rispetto a quella concessa ai soggetti esterni rispetto al vincolo contrattuale.
Inoltre, sotto il profilo processuale, deve rilevarsi che in un eventuale giudizio relativo alla mancata esecuzione del “verbale di coobbligazione solidale” le posizioni delle società, sia di quella datrice di lavoro che di quella appaltante, risulterebbero in ogni caso sostanzialmente omogenee, stante la possibilità per la società appaltante di esperire un intervento ad adiuvandum nei confronti della società appaltatrice: ciò potrebbe implicare, dunque, che la società non datrice di lavoro dei soggetti che hanno reso le dichiarazioni ispettive potrebbe produrre in giudizio, a fini difensivi, proprio i documenti il cui accesso era stato precluso, in ragione di quanto sopra esposto, alla società datrice di lavoro.
Ne deriverebbe, dunque, una piena ostensione processuale delle identità e delle dichiarazioni dei dipendenti nei confronti della società datrice di lavoro, con conseguente elusione della prevalenza del diritto alla riservatezza dei lavoratori medesimi, come sopra evidenziata.
Infine, deve rilevarsi come si assista - peraltro non solo in ambito nazionale - ad una crescente tendenza all’esternalizzazione dei rapporti di lavoro, attuata tramite la creazione di società satelliti o comunque con la instaurazione di rapporti con soggetti erogatori di servizi di “manodopera” che sostituiscono, più o meno strutturalmente, le maestranze della società appaltante: tale tendenza non può, dunque, che creare forme di solidarietà de facto tra imprese, anche al di fuori di situazioni di effettivo controllo azionario della società appaltante sulla società appaltatrice.
Anche sotto un profilo meramente fattuale, quindi, consentire l’accesso alle società non datrici di lavoro, ma fruitrici della “esternalizzazione”, rischierebbe di rendere sostanzialmente inutiliter datum il divieto di ostensione ai datori di lavoro dei documenti riguardanti dichiarazioni ispettive dei propri lavoratori, così come in precedenza riconosciuto, in ragione della sempre più probabile esistenza di contatti e di confluenza di interessi operativi fra società coobbligate.
9.In ragione di quanto precede il motivo all'esame della Sezione risulta fondato.
Pertanto, l'appello incidentale presentato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, assorbito ogni ulteriore motivo, risulta fondato e va, quindi, accolto e, conseguentemente, va respinto l'appello principale promosso dalla società SDA Courier Express s.p.a. .
10. Il Collegio ritiene che la complessità delle questioni affrontate ed i particolari profili giuridici della causa consentono la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Accoglie l’appello incidentale proposto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio del 25 giugno 2013 e 28 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere
Claudio Boccia, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24/02/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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