ADUNANZE PLENARIE:
PROCESSO & CONCORSI PUBBLICI:
il principio dispositivo
prevale sulle conseguenze pregiudizievoli
per i controinteressati
(Ad. Plen.,
sentenza 13 aprile 2015, n. 4)
Principio di diritto
Sulla base del principio della domanda che regola il processo
amministrativo, il giudice amministrativo, ritenuta la fondatezza del ricorso,
non può ex officio limitarsi a condannare l’amministrazione al risarcimento dei
danni conseguenti agli atti illegittimi impugnati anziché procedere al loro
annullamento, che abbia formato oggetto della domanda dell’istante ed in ordine
al quale persista il suo interesse, ancorché la pronuncia possa recare gravi
pregiudizi ai controinteressati, anche per il lungo tempo trascorso
dall’adozione degli atti, e ad essa debba seguire il mero rinnovo, in tutto o
in parte, della procedura esperita.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il
Consiglio di Stato
in
sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso numero di registro generale 2 di A.P. del 2015, proposto da:
G.L., rappresentata e difesa dagli avv. Vincenzo Camerini, Adriano Rossi, con domicilio eletto presso Adriano Rossi in Roma, viale delle Milizie 1;
G.L., rappresentata e difesa dagli avv. Vincenzo Camerini, Adriano Rossi, con domicilio eletto presso Adriano Rossi in Roma, viale delle Milizie 1;
contro
Comune de L'Aquila, rappresentato e difeso dall'avv. Domenico De Nardis, con
domicilio eletto presso Annalisa Pace in Roma, Via Tremiti 10;
nei
confronti di
S. E., rappresentata e difesa dall'avv. Roberto Colagrande, con domicilio
eletto presso Studio Scoca in Roma, Via Paisiello N. 55; D'Orazi Sabrina Anna;
Costanzi Paolo, rappresentato e difeso dall'avv. Roberto Colagrande, con
domicilio eletto presso Franco Gaetano Scoca in Roma, Via G.Paisiello, 55;
per
la riforma
della
sentenza del T.A.R. ABRUZZO - L'AQUILA n. 00069/2002, resa tra le parti e
concernente un concorso per titoli ed esami a tre posti di funzionario tecnico
di ragioneria;
Visti
il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti
gli atti di costituzione in giudizio del Comune de L’Aquila e dei sigg.ri S, E. e C. P.;
Viste
le memorie difensive;
Visti
tutti gli atti della causa;
Vista
l’ordinanza di deferimento all’Adunanza Plenaria;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 25 marzo 2015 il Cons. Sergio De Felice e
uditi per le parti gli avvocati Anna Rossi per delega di Adriano Rossi, e
Francesco Vetro' per delega di Roberto Colagrande;
Ritenuto
e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con
ordinanza di remissione alla Adunanza Plenaria n. 284 del 2015 la Sezione
remittente rappresentava quanto segue.
La
dottoressa L.G., attuale appellante, partecipava a concorso
pubblico per titoli ed esami avente ad oggetto la copertura di tre posti di
funzionario tecnico di ragioneria (all’epoca VIII qualifica funzionale, ai
sensi del d.P.R. 25 giugno 1983 n.347), dei quali uno riservato al personale
interno, indetto dal Comune de L’Aquila, con deliberazione della Giunta
Comunale n.1363 del 26 agosto 1997.
Nel
bando di concorso era previsto, tra le altre cose, all’art. 6 il programma di
esami, stabilendo che sarebbero state svolte due prove scritte, una in materia
di legislazione amministrativa e tributaria concernente gli enti locali, e la
seconda in materia di diritto amministrativo e tributario con particolare
riferimento agli enti locali.
In
relazione alla nomina della commissione esaminatrice, l’art. 8 del bando
rinviava alla normativa vigente; l’art. 9 del bando precisava che avrebbero
conseguito l’ammissione al colloquio orale i candidati che avessero riportato
in ciascuna prova scritta la valutazione di almeno 7/10.
Con
nota del 28 aprile 1999 del presidente della commissione esaminatrice, la
signora Giammaria veniva informata di avere ottenuto il punteggio di 4/10 per
il suo elaborato relativo alla prima prova scritta e di 6/10 per l’elaborato
relativo alla seconda prova scritta e quindi di non essere stata ammessa a
sostenere la prova orale.
L’attuale
appellante riferiva di avere chiesto in data 15 maggio 1999 accesso alla
documentazione amministrativa relativa al concorso e di avere constatato che la
votazione insufficiente le era stata attribuita da una commissione d’esame da
lei ritenuta non costituita secondo la disciplina prevista dall’art. 37 del
Regolamento organico del personale del Comune e che, in violazione dell’art. 46
dello stesso regolamento, la commissione non aveva provveduto alla previa
determinazione dei criteri e delle modalità di valutazione delle prove
sostenute.
Proponeva
quindi ricorso sub. R.G.N. 469 del 1999 innanzi al T.A.R. per l’Abruzzo, sede
de L’Aquila, chiedendo l’annullamento del provvedimento recante la sua mancata
ammissione alle prove orali, nonché delle deliberazioni della Giunta Comunale
n.565 del 21 maggio 1998 e n. 979 del 14 luglio 1998, recanti la nomina della
commissione esaminatrice, nonché degli atti della procedura concorsuale e,
segnatamente, dei verbali della commissione esaminatrice n. 1 del 30 settembre
1998, n.2 del 7 ottobre 1998 e n. 8 del 28 aprile 1999.
Con
il ricorso di primo grado venivano dedotte le seguenti censure: 1) violazione
dell’art. 37 del Regolamento organico del Personale in vigore presso il Comune
de L’Aquila, degli artt. 1 e 8 del bando, per illegittimità della composizione
della commissione, in quanto il funzionario “esperto” componente della
commissione, prescelto tra i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, non
apparteneva, come invece prescritto, alla qualifica funzionale superiore
rispetto a quella relativa al posto messo a concorso, non essendo un dirigente;
2) violazione dell’art. 46 del regolamento non avendo la commissione previamente
stabilito, nella prima riunione, i criteri di valutazione delle prove scritte;
3) eccesso di potere per illogicità manifesta e contraddittorietà.
La
ricorrente concludeva per l’accoglimento del ricorso, con ogni consequenziale
statuizione in ordine alle spese ed onorari del giudizio; si costituivano i
controinteressati E. S. e P. C., eccependo preliminarmente
l’inammissibilità del ricorso e chiedendo la sua reiezione; non si costituiva
il Comune.
Con
la sentenza di primo grado n. 69 depositata in data 5 marzo 2002, l’adito
Tribunale respingeva il ricorso, prescindendo dall’esame dell’eccezione di
inammissibilità, ritenendo che: a) in ordine al primo motivo, dal certificato
rilasciato dal Dirigente amministrativo del Comune di Roseto degli Abruzzi,
amministrazione di appartenenza dell’esperto componente della commissione,
depositato in data 3 novembre 2001, si evince che la stessa, dott. Rosaria
Ciancaione, con atti sindacali in data 25 giugno 1998, 11 dicembre 1998 e 9
febbraio 1999, è stata nominata Dirigente di Ragioneria ed è tuttora (era) in
servizio in qualità di dirigente Direttore di ragioneria; gli atti formali di
incarico, ancorchè non costituenti formali atti di nomina, tuttavia sono idonei
a supportare la qualità di “esperta” di una Commissione per l’esperienza e la
capacità professionale acquisite e riconosciute, dovendosi quindi ritenere che
sostanzialmente l’art. 37 esige garanzie sostanziali del soggetto alla sua
idoneità a svolgere la funzione di esperto nell’ambito della commissione e
quindi, avendo la nominata dott. Ciancaione effettivamente espletato funzioni
dirigenziali, ella abbia l’esperienza sostanziale richiesta; b) il secondo
motivo era da respingere perché ritenuto infondato, in quanto la
predeterminazione dei criteri di valutazione delle prove (non dei titoli, che
risultano nella fattispecie determinati nel verbale n. 1 del 30 settembre 1998)
di un concorso non può considerarsi elemento imprescindibile ai fini della
legittimità concorsuale, poiché trattasi di attività rimessa alla
discrezionalità amministrativa, quando la valutazione avvenga mediante
l’attribuzione di punteggio numerico, configurandosi questo come esternazione
della valutazione tecnica compiuta dalla Commissione; in sostanza veniva
ritenuto sufficiente il voto numerico; c) veniva dichiarato inammissibile il
terzo motivo di ricorso, perché pretendeva una rivalutazione di merito degli
elaborati, riservata alla discrezionalità tecnica della commissione e
sindacabile solo in termini limitati di manifesta irrazionalità ed ingiustizia;
venivano compensate le spese.
Con
l’appello proposto r.g.n. 9166 del 2002 l’appellante chiedeva la riforma della
sentenza appellata, riproponendo anche nel presente grado le prime due censure
sopra descritte e riferendo le sue censure anche alle considerazioni
argomentative contenute nella sentenza di rigetto.
Si
sono costituiti i signori C. P. e S.E., replicando ai motivi
avversari e chiedendo il rigetto dell’appello.
Con
ordinanza collegiale n. 1170 del 13 marzo 2014 la Sezione rilevava che “nel
primo grado di giudizio l’attuale appellante risulta aver formalmente esteso la
propria impugnativa a tutti gli atti del procedimento concorsuale di cui
trattasi, ivi segnatamente compresa la deliberazione di approvazione della
graduatoria del concorso medesimo” e rilevato “che tale provvedimento
non risulta agli atti di causa”; riteneva “la necessità di acquisirne
copia mediante ordine al Sindaco de L’Aquila, il quale provvederà al riguardo
entro il termine di giorni 60 (sessanta), decorrenti dalla comunicazione della
presente ordinanza, ovvero dalla sua notificazione se anteriormente avvenuta,
al conseguente deposito presso la Segreteria della Sezione”.
Il
Comune provvedeva a tale incombente in data 23 aprile 2014 e provvedeva a
costituirsi nel presente grado chiedendo il rigetto dell’appello.
Alla
udienza pubblica del 9 luglio 2014 la causa veniva decisa.
La
Sezione rimettente respingeva, con valenza di sentenza parziale ai sensi
dell’art. 36, comma 2 cod. proc. amm., il primo motivo di appello relativo alla
asserita violazione dell’art. 37 del Regolamento su citato, condividendo quanto
statuito dal primo giudice in relazione alla “qualifica funzionale superiore
rispetto a quella relativa messa a concorso”, che può dirsi concretata anche
per coloro che non sono inquadrati in tale qualifica, ma ne svolgono
interinalmente le funzioni su formale incarico, valendo l’aspetto sostanziale
della esperienza maturata al fine di legittimare la nomina a componente della
commissione.
In
ordine al secondo motivo, la Sezione affermava che il principio della previa
fissazione dei criteri di valutazione delle prove concorsuali che devono essere
stabiliti dalla commissione esaminatrice, nella sua prima riunione – o tutt’al
più prima della correzione delle prove scritte – deve essere inquadrato nella
ottica della trasparenza dell’attività amministrativa perseguita dal
legislatore, che pone l’accento sulla necessità della determinazione e della
verbalizzazione dei criteri stessi in un momento nel quale non possa sorgere il
sospetto che questi ultimi siano volti a favorire o sfavorire alcuni
concorrenti; e tra la necessaria fissazione dei criteri anzidetti e la
legittimità dell’attribuzione del voto numerico che legittimamente sintetizza la
valutazione della commissione sussiste un nesso indissolubile, poiché – se
mancano criteri di massima e precisi parametri di riferimento cui raccordare il
punteggio assegnato – risulta illegittima la valutazione dei titoli in forma
numerica.
Pertanto,
differentemente dal primo giudice, la Sezione remittente riteneva che “la
illegittimità degli atti risulta effettivamente sussistente, non essendo stati
fissati i criteri di valutazione da parte della commissione d’esame”.
La
Sezione riteneva di sottoporre alla Adunanza Plenaria la questione se il
giudice amministrativo – in base ai principi fondanti la giustizia
amministrativa ovvero in applicazione dell’art. 34, comma 3, c.p.a. – possa non
disporre l’annullamento della graduatoria di un concorso, risultata illegittima
per un vizio non imputabile ad alcun candidato, e disporre che al ricorrente
spetti un risarcimento del danno (malgrado questi abbia chiesto soltanto
l’annullamento degli atti risultati illegittimi), quando la pronuncia
giurisdizionale – in materia di concorsi per la instaurazione di rapporti di
lavoro dipendente – sopraggiunga a distanza di moltissimi anni dalla
approvazione della graduatoria e dalla nomina dei vincitori (circa quindici
anni sono trascorsi dalla assunzione in servizio dei vincitori incolpevoli e la
rilevazione dei vizi, con la pronuncia di remissione), e cioè quando questi
abbiano consolidato le scelte di vita e l’annullamento comporti un impatto
devastante sulla vita loro e delle loro famiglie.
L’ordinanza
di remissione ritiene che, pur avendo la parte formalmente impugnato gli atti
della procedura concorsuale chiedendone l’annullamento, l’adito giudice
amministrativo potrebbe, basandosi su una valutazione di tutte le circostanze,
mutando d’ufficio la domanda, disporre unicamente il risarcimento del danno,
senza il previo annullamento degli atti illegittimi; in tal senso varrebbero i
principi di giustizia richiamati dalla sentenza del Consiglio di Stato sezione
sesta n. 2755 del 2011 che, pure in controversia in materia ambientale e in
applicazione di principi del diritto europeo, ha statuito il potere del giudice
amministrativo di non disporre l’annullamento dell’atto illegittimo, quando
nessun vantaggio arrechi al ricorrente né ne derivi alcun beneficio agli
interessi pubblici; in tale senso varrebbero anche i principi di
proporzionalità, equità e giustizia, che debbono permeare anche la giustizia
amministrativa, oltre che l’attività della pubblica amministrazione.
L’ordinanza
di rimessione aggiunge che, se l’appellante avesse formulato espressa domanda
di risarcimento derivante dalla illegittimità della procedura concorsuale
conclusasi nell’anno 1999, il giudizio avrebbe potuto concludersi con
l’accoglimento della domanda risarcitoria, senza necessità di provvedere
all’annullamento degli atti impugnati, potendo il giudice “modulare” la tutela,
in considerazione del danno sociale che deriverebbe da un eventuale
annullamento.
E’
vero, osserva l’ordinanza di rimessione, che il lungo tempo trascorso non
costituisce in sé una giusta ragione per non disporre l’annullamento; tuttavia,
ciò sarebbe possibile su questioni che riguardano le persone fisiche e le loro
attività lavorative (si direbbe l’esistenza libera e dignitosa di cui all’art.
36 Cost.), valutando che l’annullamento, mentre sottrarrebbe un bene della vita
essenziale ad uno o più controinteressati incolpevoli, neppure attribuirebbe al
ricorrente se non una chance o una mera possibilità di rinnovazione
procedimentale.
A
tal fine menziona giurisprudenza che legge il comma 3 dell’art. 34 del cod.
proc. amm. – che prevede che “quando nel corso del giudizio, l’annullamento
del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice
accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse a fini risarcitori”
– nel senso che non debba esservi una espressa richiesta dell’interessato (così
Cons. Stato, V, 12 maggio 2011, n.2817) perché vi è sempre un quid di
accertamento, perché il più comprende il meno, perché la norma utilizza una
espressione vincolante e quindi la sussistenza dell’interesse può essere
compiuta d’ufficio anche in assenza di domanda, a fronte di contrari precedenti
(così Cons. Stato, V, 14 dicembre 2011, n.6539 e 6 dicembre 2010, n.8550)
secondo i quali incombe sempre sulla parte istante l’onere di allegare i
presupposti per la successiva azione risarcitoria (così, Cons. Stato, V, 28
dicembre 2012, n.6703) e quindi di proporre espressamente, se pure non
formalisticamente ma in sostanza, la domanda di accertamento dell’illegittimità
o di manifestare un interesse al solo accertamento, a successivi fini
risarcitori.
Alla
udienza di discussione del 25 marzo 2015 la causa, previa discussione, è stata
trattenuta in decisione.
In
sede di discussione l’avvocato di parte appellante ha ribadito le sue
conclusioni e l’interesse della parte assistita all’annullamento degli atti
impugnati; la difesa dei controinteressati ha concluso nel senso che siano
condivise le conclusioni proposte dalla ordinanza di rimessione.
DIRITTO
1.
La parte ha chiesto e continuato a chiedere l’annullamento degli atti della
procedura concorsuale, comprensivi del giudizio negativo nei suoi confronti e
della graduatoria pubblicata; nelle conclusioni dell’appello ha espresso tale
richiesta di annullamento (“che la sentenza appellata venga annullata o
quantomeno riformata, disponendosi in accoglimento del ricorso al Tar la
rinnovazione degli atti della procedura concorsuale con ogni consequenziale
statuizione anche in ordine al pagamento delle spese del doppio grado di
giudizio”), chiedendo, come visto, anche, nel petitum,
la “rinnovazione” della procedura concorsuale; nella memoria depositata
in data 8 gennaio 2014, la parte appellante afferma che il lungo tempo
trascorso dalla proposizione dell’appello non ha inciso negativamente sulla
posizione, sussistendo ancora interesse alla decisione di merito e
all’annullamento dei provvedimenti impugnati.
Tale
posizione è stata ribadita in sede di udienza di discussione.
A
fronte di detta domanda, l’ordinanza di rimessione pone la questione se,
ritenuta la fondatezza del gravame, sia dato al giudice amministrativo emettere ex officio una pronuncia di risarcimento del danno
anziché di annullamento, tenuto conto degli effetti particolarmente
pregiudizievoli di quest’ultimo nei confronti delle altre parti interessate,
anche in relazione al tempo trascorso dalla emanazione degli atti impugnati.
2.
L’Adunanza plenaria ritiene che la tesi contenuta nell’ordinanza di rimessione
non può essere condivisa e ciò: a) sulla base del principio della domanda, che
regola anche il processo amministrativo; b) sulla base della natura della
giustizia amministrativa quale giurisdizione soggettiva, pur con talune
peculiarità - di stretta interpretazione - di tipo oggettivo; c) per la non
mutabilità ex officio del giudizio di annullamento una volta
azionato; d) per la non pertinenza degli argomenti e dei precedenti richiamati.
3.Con
riguardo agli argomenti testuali, vale quanto previsto dal codice del processo
amministrativo e, in virtù del rinvio esterno ai sensi dell’art. 39 cod. proc.
amm., anche quanto prevede il codice di procedura civile.
L’articolo
29 c.p.a., proseguendo nella tradizione delle precedenti leggi processuali
(T.U. Consiglio di Stato e legge TAR), dispone che la sanzione per i vizi di
violazione di legge, eccesso di potere ed incompetenza sia l’annullamento ad
opera del giudice, la cui azione deve proporsi nel termine di sessanta giorni.
L’illegittimità
determina l’annullabilità (in potenza); l’azione di annullamento determina, su
pronuncia del giudice, l’annullamento (in atto) degli atti impugnati.
In
caso di accoglimento del ricorso di annullamento (art. 34, comma 1, c.p.a.
lettera a) il giudice quindi annulla (necessariamente) in tutto o in parte il
provvedimento impugnato.
A
sua volta l’art. 34 esprime il principio dispositivo del processo
amministrativo in relazione all’ambito della domanda di parte; si tratta, nel
caso della giurisdizione amministrativa di legittimità, come noto, di una
giurisdizione di tipo soggettivo, sia pure con aperture parziali alla
giurisdizione di tipo oggettivo (ma che si manifestano in precisi, limitati
ambiti come, per esempio, nella estensione della legittimazione ovvero nella
valutazione sostitutiva dell’interesse pubblico in sede di giudizio di
ottemperanza o in sede cautelare, ovvero ancora nella esistenza di regole
speciali, quali quelle contenute negli artt. 121 e 122 c.p.a., che, riguardo
alle controversie in materia di contratti pubblici, consentono al giudice di
modulare gli effetti della inefficacia del contratto).
Del
resto la regola secondo la quale nel processo amministrativo debba darsi al
ricorrente vittorioso tutto quello e soltanto quello che abbia chiesto ed a cui
abbia titolo, è stata ribadita dalle pronunce di questa stessa Adunanza
plenaria n. 4 del 7 aprile 2011 e n. 30 del 26 luglio 2012.
4.
Ora, proprio in virtù di detto principio della domanda. non può ammettersi che
in presenza di un atto illegittimo (causa petendi) per il quale sia
stata proposta una domanda demolitoria (petitum), potrebbe non
conseguirne l’effetto distruttivo dell’atto per valutazione o iniziativa ex
officio del giudice.
L’azione
di annullamento si distingue, infatti, dalla domanda di risarcimento per gli
elementi della domanda, in quanto nella prima la causa petendi è
l’illegittimità, mentre nella seconda è l’illiceità del fatto; il petitum nella
prima azione è l’annullamento degli atti o provvedimenti impugnati, mentre
nella seconda è la condanna al risarcimento in forma generica o specifica.
Inoltre
il risarcimento è disposto su “ordine” del giudice ed è diretto a
restaurare la legalità violata dell’ordinamento, costituendo una situazione
quanto più possibile pari o equivalente (monetariamente) o il più possibile
identica a quella che ci sarebbe stata in assenza del fatto illecito; l’annullamento
invece è una restaurazione dell’ordine violato “ad opera” del giudice.
Al
massimo, il giudice può non già “modulare” la forma di tutela
sostituendola a quella richiesta, ma determinare, in relazione ai motivi
sollevati e riscontrati e all’interesse del ricorrente, la portata
dell’annullamento, con formule ben note alla prassi giurisprudenziale, come
l’annullamento parziale, <<nella parte in cui prevede>> o
<<non prevede>>, oppure <<nei limiti di interesse
delricorrente>> e così via.
Se
poi la domanda di annullamento, con il suo effetto tipico di eliminazione
dell’atto impugnato dal mondo giuridico non dovesse soddisfare l’interesse del
ricorrente e anzi dovesse lederlo (in realtà l’ordinanza di rimessione
riconosce che non si verte in tale ipotesi), la pronuncia del giudice non
potrebbe che essere di accertamento, ma nell’altro senso, cioè della
sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente che aveva proposto domanda di
annullamento.
Cosa
diversa dall’accertamento del sopravvenuto difetto di interesse è, come
proporrebbe invece l’ordinanza di rimessione, che sia il giudice ex officio a preferire la forma di tutela, facendo
recedere l’interesse, a suo dire, indebolito del ricorrente, sulla base di
altre valutazioni di interessi (gli interessi dei controinteressati,
l’interesse pubblico, il tempo, l’opportunità e così via).
E’
vero che la pronuncia di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza
di interesse è basata sull’accertamento della esistenza delle condizioni per
l’adozione della decisione giurisdizionale domandata dal ricorrente a tutela di
una concreta situazione giuridica di vantaggio, accertamento che deve essere
compiuto dal giudice, anche di ufficio, in ogni stato e grado del giudizio (tra
varie, Cons. Stato, IV, 22 marzo 2007, n.1407).
Non
è però consentito al giudice, in presenza della acclarata, obiettiva esistenza
dell’interesse all’annullamento richiesto, derogare, sulla base di invocate
ragioni di opportunità, giustizia, equità, proporzionalità, al principio della
domanda (si tratterebbe di una omessa pronuncia, di una violazione della
domanda previsto dall’art. 99 c.p.c. e del principio della corrispondenza
previsto dall’art. 112 c.p.c. tra chiesto e pronunciato secondo cui “il
giudice deve pronunciare su tutta ladomanda e non oltre i limiti di essa”,
applicabili ai sensi del rinvio esterno di cui all’art. 39 cod. proc. amm.
anche al processo amministrativo) e trasformarne il petitum o
la causa petendi, incorrendo altrimenti nel vizio di
extrapetizione.
Non
può neppure valere il richiamo, contenuto nell’ordinanza di rimessione, al c.d.
principio di continenza, in quanto, se è vero che l’accertamento è compreso
nell’annullamento (il più comprende il meno), l’accertamento a fini risarcitori
è qualcosa di più o comunque di diverso dalla domanda di annullamento.
5.
Nella specie ad opinione del Collegio deve ritenersi persistente tale interesse
all’annullamento, nella forma di interesse strumentale (su tale nozione Ad. Pl.
n. 11 del 10 novembre 2008) ad ottenere la rinnovazione della procedura
concorsuale, sia perché tale persistenza è stata manifestamente ribadita nella
memoria del gennaio 2014 dell’appellante e in sede di discussione orale, sia
perché, in esito del motivo di appello ritenuto fondato e per incidenza degli
effetti del suo accoglimento sull’intero procedimento, per la ritenuta esigenza
di predeterminazione dei criteri di valutazione degli esami, non può non
procedersi alla rinnovazione dell’attività viziata (contemperando con il
principio dell’utile per inutile non vitiatur).
Non
rileva, a tal fine, il tempo trascorso. Infatti la durata occorrente per il
giudizio, a maggior ragione quando essa sia prolungata e inaccettabile nelle
sue dimensioni, non può andare a danno del ricorrente che ha ragione e
pregiudicargli la sua pretesa, se non a costo di infliggergli un doppio danno
(sul principio del diritto al giusto processo in tempi ragionevoli, si veda
l’art. 6 CEDU e, in campo nazionale, la legge c.d. Pinto n. 89 del 24 marzo
2001, sulla durata ragionevole dei giudizi).
Non
rileva, d’altro canto, neppure l’utilità più o meno ampia, che l’appellante
possa ricevere da un eventuale annullamento, né possono avere rilievo le
ragioni di inopportunità, in tale sede e fase, per i disagi causati ai
controinteressati incolpevoli o la valutazione preminente dell’interesse
pubblico, il quale coincide, in tale momento, con l’annullamento degli atti
illegittimi impugnati.
6.
In sede di giurisdizione generale di legittimità e in caso di azione di
annullamento, non appare utile il richiamo operato dall’ordinanza di rimessione
ai poteri di cui all’art. 21 nonies L.241 del 1990, attenendo essi
specificamente (ed esclusivamente, stante la loro natura eccezionale)
all’attività amministrativa propriamente detta; così come non appare utile il richiamo
alle disposizioni in materia di appalti (artt. 121 e 122 c.p.a.), in cui viene
riconosciuta la possibilità al giudice di disporre un rimedio piuttosto che un
altro, sulla base della inefficacia, con un potere valutativo che tenga conto
del tempo trascorso, della effettiva possibilità di subentrare, delle
situazioni contrapposte, dei vizi riscontrati, dello stato di esecuzione del
contratto e così via: trattasi, infatti, di fattispecie esclusive la cui
disciplina non è estensibile in via analogica né tanto meno può essere assunta
come espressiva di principi generali.
7.
Non sono d’altra parte di ausilio alla soluzione prospettata dall’ordinanza di
rimessione i precedenti giurisprudenziali da essa menzionati.
Quanto
alla sentenza della VI Sezione n. 2755 del 2011, essa ha riconosciuto la
potestà del giudice amministrativo, in presenza di determinati presupposti
attinenti all’interesse del ricorrente, di fissare una determinata posteriore
decorrenza degli effetti della pronuncia di annullamento. Si tratta, dunque, di
una questione ben diversa da quella posta nella presente fattispecie, nella
quale, come si è più volte rimarcato, si controverte sulla possibilità per il
giudice di sostituire integralmente ex officio la
domanda proposta in giudizio.
Ugualmente
non convincente è il richiamo alle sentenze che fanno riferimento alla
possibilità che il giudice, di ufficio, ritenga che sussista un interesse al
mero accertamento.
Al
di là della considerazione che tale potere di ufficio di accertare
l’illegittimità a soli fini risarcitori non è del tutto pacifico (l’ordinanza
di rimessione cita anche giurisprudenza più rigorosa sul punto), esso va
necessariamente coniugato, se viene spiegata azione risarcitoria in quella sede
(anche se in vero, essa potrebbe solo essere annunciata e proposta in sede
successiva), con il principio dispositivo in ordine alla proposizione della
domanda di risarcimento, sicchè la parte attrice deve sempre provarne gli
elementi costitutivi (artt. 2043 e 2697 cod civ.).
Soprattutto,
le pronunce richiamate riguardano una fattispecie ben diversa dalla invocata
possibilità del giudice di modificare la domanda.
Esse
ritengono che ope iudicis si possa accertare l’illegittimità di un
atto impugnato anche quando la parte, che non ha più interesse
all’annullamento, non lo chieda espressamente.
Tali
pronunce si riferiscono alla situazione in cui, accertata in modo
incontestabile, per mutamenti di fatto o di diritto la sopravvenuta carenza di
interesse, si debba decidere se, per la pronuncia di mero accertamento, sia
necessaria oppure no una apposita istanza della parte.
Tali
pronunce, come visto, tuttavia non incidono né sulla esigenza di previamente
accertare se tale interesse a ricorrere o bisogno di tutela giurisdizionale (Rechtsschutzbedürfnis)
continui a persistere anche dopo molto tempo, né sul potere, tipico del
processo dispositivo, della parte di decidere, essa soltanto, e non il giudice
di ufficio, se proseguire nella richiesta di annullamento di atti illegittimi
sia pure a distanza di tempo, vantando ancora un meritevole bene della vita.
8.
La modificazione degli effetti della domanda di annullamento non può essere
neanche giustificata con il richiamo alla disciplina del processo dinanzi alla
Corte di Giustizia (l’art. 264 del Trattato).
L’art.
1 del c.p.a. afferma che la “giurisdizione amministrativa assicura una
tutela piena ed effettiva secondo i principi della costituzione e del diritto
europeo”, ma ciò avviene sulla base della specifica disciplina del processo
amministrativo, non necessariamente dandosi applicazione alle regole
processuali comunitarie.
Non
si tratterebbe qui di recepire principi del diritto comunitario sostanziale o
processuale (la proporzionalità, l’affidamento, il mutuo riconoscimento, il
giusto processo, il contraddittorio etc.), ma di applicare una disposizione
dettata per il giudizio europeo al giudizio (di tutt’altra natura) nazionale.
La
problematica della limitazione degli effetti dell’annullamento, sorta e
applicata in via eccezionale in quella sede soprattutto per i regolamenti, non
è sufficiente a portare ad un parallelo con la giustizia amministrativa
italiana, trattandosi di modelli giurisdizionali del tutto differenti (basti pensare
alla serie di atti scrutinati dalla Corte di Giustizia, che possono essere atti
del Parlamento piuttosto che della Commissione europea, della BCE, del
Consiglio).
Per
completezza, si osserva che tale problematica, a prescindere dalle regole
codicistiche, è stata affrontata in quel sistema dal Conseil d’Etat francese
(Conseil d’Etat, 11 maggio 2004, Association AC), che ha fatto riferimento alle
conseguenze manifestamente eccessive, ma limitando il potere officioso del
giudice in casi del tutto eccezionali “à titre exceptionnel” e solo nei
casi di atti di tale importanza da mettere in crisi il sistema di un settore
dell’ordinamento, quindi tenendo conto degli effetti della “securité
juridique”.
9.
Ai sensi dell’art. 99, comma 4 c.p.a., l’Adunanza Plenaria del Consiglio di
Stato, investita della questione sopra esposta, in omaggio al principio di
economia processuale e per esigenze di celerità, di regola decide la
controversia anche nel merito, salva la presenza di ulteriori esigenze
istruttorie, nel caso di specie insussistenti (così Consiglio di Stato, ad.
Plen. 13 giugno 2012, n.22).
D’altra
parte, la questione sollevata dalla Sezione remittente di eventualmente non
annullare per le ragioni sopra esposte, pur non rappresentata alla udienza
precedente alle parti ai sensi dell’art. 73 comma 3, ove ritenuta questione “rilevata
d’ufficio” perché riguardante gli eventuali poteri officiosi del giudice, è
stata compiutamente rappresentata con la ordinanza di deferimento e quindi
adeguatamente trattata dalle varie parti in sede di discussione dinanzi a
questa Adunanza Plenaria.
Avendo
la Sezione rimettente già accertato l’illegittimità degli atti impugnati
pronunciandosi con sentenza parziale ai sensi dell’art. 36 secondo comma cod.
proc. amm., sia respingendo il primo motivo sia esprimendosi anche sulla
seconda “questione” (il motivo della violazione della regola della
previa determinazione dei criteri delle prove), non può che concludersi nel
senso dell’accoglimento dell’appello e, in conseguenza, in riforma dell’appellata
sentenza, per l’accoglimento del ricorso originario e l’annullamento degli atti
impugnati ai sensi e nei limiti di cui in motivazione.
Ritenendo
pertanto di decidere nel merito la controversia sottoposta all’esame, sulla
base delle sopra esposte considerazioni, va accolto l’appello proposto
dall’appellante e, in riforma della sentenza appellata, va accolto il ricorso
originario, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, con la enunciazione
del seguente principio di diritto: “Sulla base del principio della domanda che
regola il processo amministrativo, il giudice amministrativo, ritenuta la
fondatezza del ricorso, non può ex officio limitarsi a condannare
l’amministrazione al risarcimento dei danni conseguenti agli atti illegittimi
impugnati anziché procedere al loro annullamento, che abbia formato oggetto
della domanda dell’istante ed in ordine al quale persista il suo interesse,
ancorché la pronuncia possa recare gravi pregiudizi ai controinteressati, anche
per il lungo tempo trascorso dall’adozione degli atti, e ad essa debba seguire
il mero rinnovo, in tutto o in parte, della procedura esperita”.
La
particolare complessità della vicenda, la sua risalenza nel tempo rispetto
all’affermazione giurisprudenziale in modo chiaro della regola dell’esigenza
della predeterminazione dei criteri delle prove rispetto alla amministrazione
comunale e la mancanza di qualsivoglia imputabilità di comportamento in capo ai
controinteressati (seppure essi fossero, naturalmente, a conoscenza della
impugnativa del concorso già dalla proposizione avvenuta nel corso dell’anno
1999), giustificano la compensazione totale delle spese del doppio grado di
giudizio.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria) definitivamente
pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie ai sensi di
cui in motivazione e, in conseguenza, in riforma dell’appellata sentenza,
accoglie il ricorso originario ai sensi e nei limiti di cui in motivazione,
annullando gli atti impugnati.
Spese
del doppio grado compensate.
Ordina
che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 marzo 2015 con
l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Riccardo Virgilio, Presidente
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Stefano Baccarini, Presidente
Alessandro Pajno, Presidente
Vito Poli, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Carlo Deodato, Consigliere
Nicola Russo, Consigliere
Sergio De Felice, Consigliere, Estensore
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere
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IL PRESIDENTE
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L'ESTENSORE
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IL SEGRETARIO
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DEPOSITATA
IN SEGRETERIA
Il
13/04/2015
(Art.
89, co. 3, cod. proc. amm.)
Il
Dirigente della Sezione
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