martedì 29 settembre 2015

PROCESSO: il giudice può non seguire l'ordine dei motivi di diritto, e giudicare solo su quelli fondati più "semplici" (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II "ter", sentenza 28 settembre 2015, n. 10363).


PROCESSO: 
il giudice può non seguire 
l'ordine dei motivi di diritto
e giudicare solo su quelli fondati più "semplici" 
(T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II "ter", 
sentenza 28 settembre 2015, n. 10363) 


Massima

1. Ad avviso del Collegio, ancorché la parte ricorrente abbia graduato il terzo e quarto motivo in posizione subordinata rispetto ai primi due, la relativa questione è prevalente e va risolta per prima.
Si tratta infatti di una questione soggetta ad una valutazione “liquida”, immediatamente risolvibile allo stato degli atti; mentre le argomentazioni a sostegno delle prime due censure di ricorso richiederebbero, per le motivazioni che si andranno ad esporre, un rilevante prolungamento dei tempi processuali.
2. Pertanto, seppure è stato recentemente affermato che la graduazione esplicita delle domande e dei motivi di ricorso vincola il giudice (Cons. Stato, Ad. Plen. 27 aprile 2015, n. 5), nel caso di specie non può non riconoscersi prevalenza, ai fini della risoluzione della controversia, alle ragioni di maggiore celerità e speditezza, preferendo l’esame, tra più censure tutte aventi pari grado di satisfattività per la parte ricorrente, di quelle dipendenti da questioni di facile e pronta risoluzione.

Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4162 del 2014, proposto da:
Società Coco Costruzioni Commerciali a r.l., in persona del proprio rappresentante legale pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Giovanni Pallottino, con domicilio eletto presso Giovanni Pallottino in Roma, Via Oslavia, 14; 
contro
Regione Lazio, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Angela Mariani, con domicilio eletto presso Angela Mariani in Roma, Via Marcantonio Colonna, 27;
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall' avv. Rosalda Rocchi, domiciliata in Roma, Via Tempio di Giove, 21; 
per l'annullamento
del provvedimento della Regione Lazio, contenuto nella nota della Direzione Regionale Sviluppo Economico ed Attività Produttive, - Area Commercio e Servizi Consumatori, dell’11.12.2013, prot. n. GR 159475, ricevuta dalla Società CO.CO. in data 8 gennaio 2014, di sostanziale rigetto della domanda di detta Società volta al rilascio dell’autorizzazione amministrativa all’apertura di un Centro Commerciale di mq. 17.736 nell’ambito del P.R.U. “San Basilio”, in Roma, ed in sua conformità;
del “Documento programmatico per l’insediamento delle attività commerciali su aree private”, adottato con deliberazione del Consiglio Regionale del Lazio n. 131/2002, assunto a presupposto del diniego, che stabilisce nel Comune di Roma, anche per i P.R.U. misure di contingentamento di superfici di vendita di grandi strutture (punti 5 ed 11);
della determinazione del Direttore della Direzione regionale delle Attività produttive del 13.1.2003 n. 5, attuativa di detto “Documento”, che ha fissato (in mq. 203.735) il limite massimo di superficie autorizzabile per grandi struttura nel Comune di Roma;
della Delibera della Giunta Regionale del Lazio del 18.7.2013, n. 190 di fissazione di direttive procedurali per l’insediamento di grandi struttura di vendita (abrogativa delle direttive approvate con Delibera di GR Lazio del 27.12.2000. m- 2618);
di ogni altro atto presupposto e/o consequenziale, comunque connesso, tra cui – ove occorrer possa – della nota della Direzione Regionale Sviluppo Economico ed Attività Produttive – Area 10 del 9.6.2010, n. 99726.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Lazio e di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 aprile 2015 il dott. Salvatore Gatto Costantino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
La Società odierna ricorrente espone di essere proprietaria, in Roma, del comparto “C” del Piano di Recupero Urbano denominato “San Basilio”, adottato ex art. 11 della LR n. 493/1993 con Accordo di programma del 1.4.2005 (ex art. 34 del Dlgs 267/2000), sottoscritto dalla Regione Lazio e dal Comune di Roma, poi ratificato dalla Regione con deliberazione del Consiglio regionale del 5.10.2005, nonché dal Comune di Roma con deliberazione consiliare del 24.7.2005, quindi definitivamente approvato con decreto del Presidente della Regione Lazio del 16.11.2005, n. 581 (pubbl. su BUR Lazio del 30.11.2005, n. 33, suppl.3).
Nell’ambito del PRU veniva sancito l’insediamento nel comparto “C” di un Centro commerciale di mc 90.000, con superficie lorda di mq. 32.500, con relativa dotazione di infrastrutture e servizi, tra cui parcheggi di uso pubblico su mq. 301.074 di superficie del lotto.
L’attuazione del Centro veniva quindi disciplinata nella “Convenzione urbanistica” del 30.12.2009 (atto del Notaio P. Soccorsi Aliforni, rep. N. 125704, trascritta in conservatoria), con una superficie di vendita prevista tra 15.000 mq e 20.000 mq., così qualificandosi l’impianto quale “grande struttura di vendita”.
La società chiedeva il rilascio dell’autorizzazione amministrativa all’apertura del Centro con istanza del 21/28.1.2010, rivolta tanto alla Regione Lazio che a Roma Capitale, specificando la superficie prevista per la vendita in mq. 17.736 (dei quali mq. 4.489 per settore alimentare e mq. 13.247 di settore non alimentare).
La Regione Lazio replicava con nota prot. 99726 del 9.6.2010, indicando al Comune di Roma gli aspetti procedurali da considerare per la redazione della relazione istruttoria di sua competenza, e ricordando nell’occasione – sottolinea la ricorrente - l’ampia disponibilità di superfici di vendita per le “grandi strutture”; il 29.5.2012 l’Amministrazione capitolina trasmetteva la sua relazione istruttoria, rimettendo la verifica dell’istanza alla Regione “…alla luce dei principi e delle disposizioni contenute nelle recenti leggi nazionali assunte in materia di liberalizzazioni delle attività economiche, con particolare riferimento all’art. 31, comma 2, del DL n. 291/2011, conv. in l. n. 214/2011”.
Non pervenendo l’autorizzazione richiesta, seguiva tra le amministrazioni e la società una corrispondenza con la quale quest’ultima sollecitava le prime alla conclusione del procedimento in suo favore, fino alla notifica di un formale atto di diffida datato 27.11.2013; la Regione rispondeva con la nota dell’11.12.2013, prot. GR159475, ricevuta dalla società in data 8.1.2014, con la quale, opponendo l’applicazione dei limiti di superficie autorizzabile nel Comune di Roma stabiliti nel “Documento programmatico per l’insediamento delle attività commerciali su aree private”, adottato con Delibera del Consiglio Regionale n. 131/2002 ed applicabile anche ai PRU, riferiva che del contingente di mq 203.735 fissato quale quantitativo massimo di superficie autorizzabile per le grandi strutture di vendita (ciò tramite la Determinazione del Direttore delle Attività Produttive nr. 5 del 13.1.2003), ad oggi “…la superficie ancora disponibile per tale ambito è di ….mq 8.150,82”.
La nota concludeva con l’invito rivolto alla Società di sostituire alla domanda presentata una istanza per la ridotta quantità di mq disponibili (ovvero meno della metà dei mq 17.736 originariamente previsti).
Qualificando tale atto come provvedimento immediatamente lesivo in termini di un vero e proprio diniego sostanziale, la società odierna ricorrente lo impugna, unitamente agli atti presupposti che sono elencati in epigrafe, per farne valere l’illegittimità sotto articolati e plurimi profili.
In particolare, sulla base della conformità urbanistico-edilizia dell’intervento in esame e ritenendo ormai venuto meno il contingentamento delle superfici di vendita (sentenza della Corte di Giustizia UR del 24.3.2011, causa C-400/08), nonché ritenendo vigente l’obbligo per le Amministrazioni di disapplicare le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative che dispongono in senso opposto, ove non abrogate dall’art. 31, 2° comma, e dall’art. 34 del DL n. 201/2011, conv. in l. 214/2011, deduce l’illegittimità degli atti impugnati per (I) violazione della normativa dell’U.E. (Trattato U.E. e Direttiva 2006/123/CE) espressione di consolidati principi di diritto comunitario, quali il diritto d’impresa e di libera prestazione di servizi, la libertà di iniziativa economica, il principio di tutela della concorrenza e del libero mercato secondo pari condizioni di opportunità, i principi di ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa; violazione della normativa statale di grado costituzionale (art. 41, in combinato-disposto con l’art. 117, 1° e 2° comma lett. “e” della Costituzione) e di quella del pari statale di grado legislativo di recepimento dei suddetti principi al fine di garantirne il rispetto e l’effettivo esercizio di dette libertà, in particolare art. 3 del DL n. 138/2011, conv. in l. 148/2011; art. 2 della l. 11.11.2011 n. 180; art. 31 e 34 del DL n. 201/2011, conv. in l. 214/2011; art. 1 del Dl n. 1/2012, conv. in l. n. 27/2012); eccesso di potere per erroneità od insufficienza della motivazione; (II) violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), violazione dell’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, violazione dell’art. 6, par. 2, del Trattato Unione Europea, violazione del principio di legalità, e degli artt. 41, 42 e 10 della Costituzione, in combinato disposto con la l. 4.8.1955, n. 848; (III) violazione dell’accordo di programma del 1.4.2005 sottoscritto dalla Regione e dal Comune di Roma e del DPReg. Lazio nr. 581/2005 di approvazione del PRU San Basilio e della convenzione urbanistica conseguente; eccesso di potere per omessa motivazione; violazione dei principi generali di buon andamento, correttezza e buona fede dell’attività della PA di cui all’art. 97 della Costituzione ed all’art. 1, 1 comma della l. n. 241/90 ed in particolare violazione del principio della tutela del legittimo affidamento del privato cittadino nei confronti della PA; (IV) violazione della delibera del Consiglio Regionale del Lazio del 6.11.2002, n. 131, punto 12, 1° comma, lett. “e”; eccesso di potere per difetto di presupposto e per omessa motivazione; (V) violazione dell’art. 41 della Costituzione, eccesso di potere per illogicità.
Si sono costituite le Amministrazioni della Regione Lazio e di Roma Capitale, che resistono al ricorso di cui chiedono il rigetto, eccependo preliminarmente quest’ultima il proprio difetto di legittimazione passiva.
Le parti hanno prodotto documenti e memorie, insistendo ciascuna nelle proprie tesi, domande ed eccezioni.
Alla pubblica udienza del 2 aprile 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO
Nell’odierno giudizio, parte ricorrente si duole dell’illegittimità del diniego che la Regione Lazio ha opposto alla sua istanza di rilascio di autorizzazione all’apertura di una grande superficie di vendita, motivata con l’indisponibilità del contingente complessivo di metri quadrati assentibili previsti per l’ambito del Comune di Roma.
A fondamento del gravame pone due ordini di doglianze: con la prima, afferma la sopravvenuta inapplicabilità delle limitazioni quantitative indicate dall’Amministrazione al settore del commercio, ormai liberalizzato, o comunque la illegittimità costituzionale e comunitaria delle relative disposizioni (motivi sub I e II); con la seconda, prospettata in subordine, si lamenta la violazione della pianificazione e della convenzione urbanistica nella quale è stata sancita tra le parti la realizzazione del centro commerciale, nonché la violazione delle stesse normative regionali circa il contingente di metri quadrati assentibili che non troverebbe applicazione ai casi di previsioni quali quella in oggetto (III e IV motivo).
Ad avviso del Collegio, ancorchè la parte ricorrente abbia graduato il terzo e quarto motivo in posizione subordinata rispetto ai primi due, la questione è prevalente e va risolta per prima.
Si tratta infatti di una questione soggetta ad una valutazione “liquida”, immediatamente risolvibile allo stato degli atti; mentre le argomentazioni a sostegno delle prime due censure di ricorso richiederebbero, per le motivazioni che si andranno ad esporre, un rilevante prolungamento dei tempi processuali.
Pertanto, seppure è stato recentemente affermato che la graduazione esplicita delle domande e dei motivi di ricorso vincola il giudice (Cons. Stato, Ad. Plen. 27 aprile 2015, n. 5), nel caso di specie non può non riconoscersi prevalenza, ai fini della risoluzione della controversia, alle ragioni di maggiore celerità e speditezza, preferendo l’esame, tra più censure tutte aventi pari grado di satisfattività per la parte ricorrente, di quelle dipendenti da questioni di facile e pronta risoluzione.
Si consideri, a tal proposito, quanto segue.
1.Quanto al primo ordine di motivi, si osserva che non è predicabile un effetto automatico di abrogazione delle discipline nazionali o regionali che prevedano restrizioni quantitative all’apertura di grandi strutture di vendita. Ciò in considerazione di quanto affermato dalla Corte Costituzionale in ordine all’obbligo diffuso di adeguamento nell’art. 3, comma 1, della L. 148 del 2011, di conversione del D.L. n. 138 del 2011, con sentenza nr. 200/2012 che ha dichiarato l’incostituzionalità della disposizione in quanto sancisce, allo scadere di un termine prestabilito, l’automatica “soppressione” di tutte le normative statali incompatibili con il principio di liberalizzazione delle attività economiche, attesa la prospettiva che ne deriverebbe di “ambiguità, incoerenza ed opacità su quale sia la regolazione vigente per le varie attività economiche, che potrebbe..variare da Regione a Regione con ricadute dannose anche per gli operatori economici”).
Ne consegue che l’apprezzamento delle censure introdotte necessiterebbe o di un rinvio pregiudiziale di compatibilità comunitaria ex art. 256 TFUE, oppure di un giudizio incidentale di costituzionalità delle disposizioni di riferimento, costituite dal D.lgs 114/1998 e dalla normativa regionale di cui alla LR 33 del 1999 (peraltro sollecitati dalle argomentazioni di ricorso), con conseguente prolungamento dei tempi processuali.
II) Invece, le due censure introdotte, rispettivamente, al terzo e quarto motivo di ricorso sono apprezzabili allo stato degli atti (ciò che priverebbe, peraltro, di rilevanza un eventuale giudizio incidentale di legittimità) e si rivelano altresì fondate, così che non v’è luogo, a giudizio del Collegio, ad approfondire le ben più complesse tematiche di cui ai primi due motivi di gravame, perché dall’accoglimento del ricorso nei termini ad esse corrispondenti deriverà l’obbligo di riesame dell’istanza in capo alle Amministrazioni regionale e comunale, ciascuno per quanto di propria competenza, senza che esse possano più interporre al suo esame - mercè l’effetto conformativo veicolato dalla pronuncia - la sopravvenuta incapienza delle “quote” di volumetria assentibile per i centri commerciali del genere considerato.
Va premesso, che ai sensi della L.R. nr. 33 del 1999, art. 11, comma 3, le Regioni operano una programmazione commerciale delle grandi strutture di vendita basate su “indici di presenza” per il rilascio delle autorizzazioni, che sono fissate in apposito Documento programmatico (dunque un atto a valenza generale, non avente carattere legislativo, dovendosene assicurare necessariamente l’adattabilità alle diverse e mutevoli esigenze nel tempo del territorio).
La norma, quindi, non dispone necessariamente circa l’assoggettamento dell’apertura di strutture del genere indicato a specifici limiti “quantitativi” come un determinato volume complessivo massimo disponibile sul territorio, il cui superamento è contestato dalla Regione quale motivo ostativo all’autorizzazione richiesta dalla ricorrente.
Il menzionato limite, così come dedotto, è introdotto dal Documento programmatico, quale risulta approvato con la D.C.R. 131/2002, che al punto 5 così dispone: “il rilascio delle autorizzazioni concernenti medie e grandi strutture di vendita previste nei programmi di recupero urbano, anche se già deliberati alla data di pubblicazione del presente documento dai Comuni appartenenti ad ogni ambito territoriale…è assoggettato agli indici di cui ai punti 10 e 11 del presente documento”.
Gli indici costituiscono, dunque, un limite esterno alla disposizione normativa, la quale si limita a stabilire un metodo operativo discrezionale che consiste nell’attribuzione di un corrispondente potere all’Amministrazione e che quest’ultima ha speso così interpretando ed attualizzando gli “indicatori di presenza” che sono previsti nella normativa di riferimento.
Nell’odierna fattispecie si assiste dunque ad una norma eterointegrata con fonti di tipo programmatorio che sono nella piena disponibilità della stessa Regione, tanto che il documento programmatico prevede anche articolate eccezioni ai limiti stessi (punto 12, sulle quali si tornerà oltre al fine di accertare quanto dedotto sub 4 del ricorso, ovvero se le eccezioni di cui al punto 12 consentano l’apertura del Centro di cui si discute).
Quel che qui intanto rileva è che, attesa la natura disponibile degli indici, che non sono prefissati dal legislatore ma semplicemente rimessi alla pianificazione da condursi volta per volta da parte degli uffici, nell’eventuale conflitto tra previsioni di tipo programmatico adottate dalla Regione e condizioni puntuali pattuite nella convenzione urbanistica, sottoscritta ed approvata dalla stessa Regione, non può non riconoscersi la prevalenza di queste ultime, posto che esse vincolano le parti che hanno sottoscritto l’accordo.
In altri termini, è fondato il terzo motivo di ricorso secondo cui l’atto impugnato è illegittimo per violazione della convenzione urbanistica sottoscritta tra le parti ed attualmente in vigore.
Nella convenzione espressamente si prevede: a) l’insediamento nel “comparto” C del PRU di un “centro commerciale di mc 90.000, con superficie lorda di mq. 32.500 (superficie di vendita di mq 15.000)” con la dotazione di parcheggi d’uso pubblico proporzionati alla grande struttura di vendita; all’accordo di programma ha fatto seguito la convenzione urbanistica del 30.12.2009, integrata da ulteriore atto del 28.10.2013, tutti di gran lunga successivi alla programmazione di settore adottata dal Documento programmatico del 2002.
Dunque, quale che sia l’estensione delle deroghe previste nel documento programmatico, una volta che la Regione – in un tempo successivo all’adozione del Documento programmatico – abbia sottoscritto una convenzione urbanistica (e, prima ancora, approvato il presupposto PRU), nella quale si prevede l’apertura di un Centro Commerciale rientrante nella tipologia delle “grandi strutture di vendita”, e nella quale si prevede già l’estensione della struttura, non è più opponibile all’interessata, al momento della richiesta della relativa autorizzazione commerciale avvenuta nei termini di vigenza della convenzione urbanistica, l’eventuale avvenuto esaurimento del contingente di metri quadrati disponibili per il comprensorio comunale, palesandosi l’autorizzazione come attività strettamente veicolata dalle determinazioni superiori con le quali si è esaurita la discrezionalità amministrativa ad un livello più alto e genrale di esercizio..
Ciò deve ritenersi valevole sia per il caso in cui il limite del contingente complessivo di metri quadrati disponibili per l’apertura di simili strutture fosse ancora sussistente al momento della sottoscrizione della convenzione (e sia venuto meno nel tempo intercorso rispetto alla richiesta di autorizzazione), sia laddove esso fosse già stato consumato a quella data (circostanze che sembra doversi ritenere alla luce di quanto emerge negli atti della corrispondenza intercorsa tra le parti durante il procedimento apertosi per l’esame della richiesta di autorizzazione).
Infatti, il contingente fissato nel Documento programmatico regionale, nella sua consistenza quantitativa, proprio in considerazione della natura meramente programmatoria di tale atto, è – come si è accennato in precedenza - nella disponibilità dell’Amministrazione, e laddove quest’ultima sottoscriva una convenzione urbanistica nella quale si prevede l’impegno di una determinata superficie ai fini dell’apertura di una grande struttura di vendita, deve ritienersi che il contingente sia stato impegnato per la quota corrispondente al contenuto della convenzione (con la conseguenza che sono le successive richieste di apertura eventualmente assentite ad aver illegittimamente consumato il plafond;, oppure che l’impegnato sia da assicurarsi comunque, ovvero anche in deroga al contingente medesimo (a condizione che la richiesta di apertura intervenga nei limiti di efficacia della convenzione stessa).
Le prefate argomentazioni consentono di introdursi all’esame del quarto motivo di ricorso.
Secondo la difesa di Roma Capitale, l’apertura della grande struttura di vendita prevista nel PRU e nella convenzione urbanistica del 2009 non sarebbe consentita dalle deroghe del punto 12 del documento programmatico di cui alla DCR 131/2002 (né in quella successivamente approvata dalla DCR 190/2013 che l’ha sostituita), per via del coordinamento necessario tra tale disposizione e quelle di cui ai punti 5 ed 11 dello stesso documento.
Giova riportare, per la migliore comprensione del testo, il contenuto dei suddetti articoli, nel loro ordine numerico.
Ai sensi del punto 5 “il rilascio delle autorizzazioni concernenti medie e grandi strutture di vendita previste nei programmi di recupero urbano, anche se già deliberati alla data di pubblicazione del presente Documento dai Comuni appartenenti ad ogni ambito…..è assoggettato agli indici di cui ai punti 10 ed 11 del presente Documento”; ai sensi del punto 6 “il rilascio di autorizzazioni concernenti medie e grandi strutture di vendita previste in interventi che implicano decisioni istituzionali e l’impiego integrato di risorse finanziarie a carico di una pluralità di soggetti pubblici e privati per i quali è promosso il ricorso agli accordi di programma ed agli strumenti di contrattazione programmata contemplati dalla normativa vigente che comportano ai fini della localizzazione di dette strutture, variante alla strumentazione urbanistica generale ed attuativa è assoggettato agli indici stabiliti dai punti 10 ed 11 del presente documento, ad eccezione delle autorizzazione relative a medie e grandi strutture di vendita di cui ai punti 12, nonché 13 e 14 laddove previsto nel presente documento”.
Ai sensi del punto 11 “(indici per il rilascio di autorizzazioni concernenti grandi strutture di vendita”), “ai fini del rilascio delle autorizzazioni per l’apertura……ad esclusione delle autorizzazioni disciplinate dai punti 12, nonché 13 e 14 laddove previsto, il limite massimo di superficie autorizzabile per ciascuno degli ambiti territoriali è fissato, entro trenta giorni dalla data di pubblicazione del presente Documento, con determinazione del Direttore Regionale per lo sviluppo economico nelle rispettive misure percentuali indicate nella tabella sotto riportata…..
Ai sensi del punto 12, comma 1, lett. “e” della DCR 131/2002: “non risulta assoggettato agli indici stabiliti di cui al punto 10 ed 11 del presente Documento il rilascio delle autorizzazioni concernenti medie e grandi strutture di vendita che rientrino in una o più delle seguenti condizioni….”e) che l’insediamento riguardi immobili realizzati o da realizzare…..su aree individuate dal Comune appartenente a qualsiasi ambito a seguito di attività amministrativa intrapresa a fini di programmazione e/o localizzazione eventualmente anche con avviso pubblico emanato in data antecedente il 25 aprile 1999 e per le quali sia sottoscritto uno specifico accordo di programma tra Comune e Regione”.
Dall’esegesi dei punti indicati e riportati, emerge che il punto 5 non costituisce un’eccezione del punto 12: il punto 5 assoggetta gli interventi di cui ai PRU, quale quello in esame, all’applicazione dei limiti di cui al punto 10 ed 11; ma poi è proprio il punto 11 che fa salva la deroga di cui al punto 12.
Ne deriva che la funzione di cui al punto 5 è di includere i PRU nella più generale programmazione di cui ai punti 10 e ss., incluse le deroghe di cui al punto 12 che sono parte integrante delle previsioni principali costituendone una deroga.
Quanto alla inclusione del PRU San Basilio nelle previsioni eccezionali di cui al menzionato punto 12, si osserva che quest’ultimo (come emerge dalle risultanze dei documenti versati in giudizio, con particolare riferimento alla deliberazione del Consiglio Comunale nr. 83, seduta del 27 aprile 2005): è stato approvato in attuazione dell’art. 11 del DL 5 ottobre 1993, n. 398, conv,. in L. 4 dicembre 1993, nr. 493 e della LR Lazio 22/1997; finanziato con fondi di cui alla Delibera CIPE del 16 marzo 1994, ripartiti come da intesa sottoscritta tra il Comune di Roma, il Ministero dei LLPP e la Regione Lazio dell’11.02.1994 e come da successiva deliberazione del Consiglio Regionale del Lazio nr. 1105 del 1 febbraio 1995; è stato preceduto da un “bando di confronto concorrenziale”, il cui termine per la presentazione delle proposte private risulta essere stato fissato al 30 giugno 1998 (deliberazione della GC del Comune di Roma del n. 1679 del 15 maggio 1998); successivamente, è stato stipulato un protocollo d’intesa tra il Comune di Roma e la Regione Lazio in data 17 marzo 2000, volto ad individuare i finanziamenti da assegnare ai PRU, tra i quali euro 10.070.909,53 per il PRU San Basilio; sono state, inoltre, poste in essere le previste forme di pubblicità e si sono svolte le conferenze dei servizi cui ha preso parte la Regione Lazio (convocazione del Comune di Roma del 3 luglio 2002, seduta decisoria del 9 giugno 2004); infine, è stato sottoscritto accordo di programma ex art. 34 del dlgs 267 del 2000 in data 1 aprile 2005 tra l’allora Comune di Roma e la Regione Lazio.
Sussistono pertanto tutte le condizioni per l’applicazione della “deroga” di cui al punto 12 di cui sopra (ovvero le condizioni date dall’ “avviso pubblico emanato in data antecedente il 25 aprile 1999 e per le quali sia sottoscritto uno specifico accordo di programma tra Comune e Regione “): si tratta, invero, di un programma su area individuata dal Comune a seguito di attività amministrativa intrapresa a fini di programmazione e/o localizzazione, l’avviso pubblico è stato emanato in data antecedente il 25 aprile 1999 e per esso è stato sottoscritto uno specifico accordo di programma tra Comune e Regione (nello specifico, ai sensi dell’art. 34 del TUEL)
III) Conclusivamente, l’incapienza delle quote di volumetria ai fini dell’autorizzazione all’apertura del centro commerciale è inopponibile alla ricorrente sia perché ciò viola la convenzione urbanistica vigente inter partes, sia perché il limite delle quote non è applicabile al caso di specie; pertanto, vanno ritenute fondate le censure dedotte ai motivi subb III e IV del ricorso, conseguendone l’annullamento dell’atto impugnato, nonché l’accertamento della sussistenza dell’obbligo a provvedere da parte della Regione e del Comune sull’istanza di apertura del centro commerciale previsto nel PRU San Basilio e nella relativa convenzione urbanistica, previa verifica della conformità del progetto alle previsioni dello strumento urbanistico vigente (che, è bene precisare, risulta variato nel 2008 con l’approvazione del nuovo Piano Strutturale, senza che sia stata dedotta alcuna interferenza con il nuovo livello di pianificazione del PRU in corso di attuazione) ed alle previsioni dello stesso PRU.
Appare evidente che l’accoglimento del gravame, nei termini siffatti, comporta che l’esame dell’istanza andrà condotto in relazione a tutti gli aspetti ancora non considerati dalle Amministrazioni competenti, ad eccezione del limite quantitativo di cui si è trattato nell’odierno giudizio, che non può trovare applicazione alla fattispecie (e dunque andranno ancora valutati la conformità del progetto alla convenzione ed allo strumento urbanistico oggi in vigore, nonché il perdurante ed attuale possesso da parte dell’istante dei requisiti di legge per contrarre con la PA ai fini dell’esecuzione dell’accordo, e così via).
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e limiti di cui in motivazione.
Condanna le resistenti, in solido tra loro, alle spese di lite che liquida in euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) oltre accessori come per legge e rimborso del contributo unificato in favore della parte ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 2 aprile 2015- 7 maggio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Rotondo, Presidente FF
Mariangela Caminiti, Consigliere
Salvatore Gatto Costantino, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/07/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


venerdì 25 settembre 2015

PROVVEDIMENTO & ORDINE PUBBLICO: l'informativa prefettizia e la scelta del sindacato "forte" (e garantista) del TAR capitolino (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I "ter", sentenza 23 settembre 2015, n. 11366).


PROVVEDIMENTO & 
ORDINE PUBBLICO:
 l'informativa prefettizia 
e la scelta del sindacato "forte" (e garantista) 
del TAR capitolino
 (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I "ter",
 sentenza 23 settembre 2015, n. 11366)



Massima

1.  Secondo un primo orientamento obbediente ad una più stringente esigenza di tutela della p.a. e di tutta la società civile da ogni - anche solo potenziale - forma di infiltrazione mafiosa, ma sicuramente meno garantista per il soggetto che viene colpito dall’interdittiva antimafia, si sostiene che, proprio perché questa presenta finalità di massima anticipazione dell’azione di prevenzione, risultano rilevanti anche fatti e vicende solo sintomatici ed è sufficiente, secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale, la mera possibilità di interferenze della criminalità, rivelate appunto da fatti sintomatici o indiziari, considerati in un quadro indiziario complessivo (cfr.: Cons. Stato - sez. III , 18.4.2011, n. 2342; sez. VI, 17.7.2006, n. 4574).
1.1 In altre parole, il provvedimento interdittivo antimafia può essere sorretto da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata.
1.2 L’interdittiva antimafia è così vista come funzionale alla peculiare esigenza di mantenere un atteggiamento intransigente contro rischi di infiltrazione mafiosa, idonei a condizionare le scelte delle imprese chiamate a stipulare contratti con la P.A..
1.3 Secondo detto orientamento, stante l’ampia discrezionalità riservata all’Autorità prefettizia, il sindacato sull’attività svolta da questa e sul provvedimento interdittivo adottato in esito alla stessa resta necessariamente circoscritto alla verifica dei vizi sintomatici di una illogicità manifesta o di un travisamento dei fatti (cfr.: Cons. Stato, sez. VI, 22.6. 2007, n. 3470; T.a.r. Campania - Napoli - sez. I 10.2.2010, n. 873).
2.  La seconda e più recente tesi, al contrario, punta l’accento sulla circostanza che la valutazione discrezionale, per non sconfinare in mero arbitrio, “può dirsi ragionevole e attendibile se sorretta da una pluralità di indizi seri, precisi e concordanti, oggettivamente riscontrabili, che secondo l’esperienza comune assumono un significato univoco” (cfr.: C.G.A. 10.7.2014, n. 397; Cons. Stato - sez. III 26.9.2014, n. 4852).
2.1  Gli indizi dai quali viene desunto il predetto rischio devono essere accertati in esito ad una coerente e compiuta istruttoria (Cons. Stato sez. III 25.11.2014, n. 5836).
2.2  L’informativa interdittiva deve essere assistita da congrua motivazione, che dia contezza di tale adeguata istruttoria - da svolgersi con l’ampiezza di poteri ma anche con i limiti suindicati -, tesa ad accertare e verificare gli elementi indizianti fondanti la sua emissione.
2.3  In questi casi il sindacato in sede giurisdizionale è diretto ad accertare l’assenza di eventuali vizi della funzione, che possano essere sintomo di un non corretto esercizio del potere, quanto all’accuratezza dell’istruttoria, alla completezza dei dati e fatti acquisiti, alla non travisata valutazione dei fatti stessi, alla sufficienza della motivazione ed alla logicità e ragionevolezza delle conclusioni rispetto ai presupposti ed elementi di fatto presi in considerazione.
Secondo tale orientamento più recente, che cerca maggiormente di contemperare le esigenze di sicurezza e di ordine pubblico e di trasparenza nell’aggiudicazione e gestione dei contratti pubblici con i valori, pure costituzionalmente tutelati, della libertà di iniziativa economia e del diritto al lavoro, riferiti al soggetto destinatario della misura interdittiva antimafia, gli elementi assunti dal relativo provvedimento come base per giustificare la sua adozione, da parte dell’Autorità prefettizia competente, devono presentare i caratteri dell’obiettiva congruità e della concretezza.
2.4 Deve aggiungersi che la misura interdittiva deve fondarsi su elementi attuali e pertinenti, dai quali sia ragionevolmente desumibile un tentativo di ingerenza nella compagine sociale; in altre parole, essa non può fare riferimento a fatti remoti, privi di attualità.




Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 15749 del 2014, proposto da:
Soc -OMISSIS- S.r.l., rappresentato e difeso dagli avv. Federico Tedeschini, Domenico Greco, con domicilio eletto presso Studio Legale Tedeschini in Roma, largo Messico, 7; 
contro
U.T.G. - Prefettura di Roma, Ministero dell'Interno, Questura di Roma, Autorità Nazionale Anticorruzione Anac, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12; 
per l'annullamento
dell’informativa antimafia prot. 271716/14 del 21.11.2014 emessa dalla Prefettura della Provincia di Roma;
di ogni altro atto presupposto, conseguente e correlato, ancorchè non conosciuto ivi comprese le relazioni e le istruttorie che hanno costituito la base e le motivazioni dell’informativa antimafia
nonché per l’annullamento del diniego parziale di accesso
frapposto all’odierna ricorrente dalla Prefettura di Roma, con nota prot. n. 274591/Area I Bis O.S.P. del 25 novembre 2014, con contestuale istanza ex art. 116 c.p.a. perché venga ordinata all’Amministrazione la produzione in giudizio di tutti gli atti del procedimento che hanno costituito il presupposto per l’adozione dell’informativa interdittiva antimafia del 21 novembre 2014.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di U.T.G. - Prefettura di Roma e di Ministero dell'Interno e di Questura di Roma e di Autorità Nazionale Anticorruzione Anac;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 maggio 2015 la dott.ssa Stefania Santoleri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
Premette la società ricorrente di svolgere attività di vigilanza armata essendo titolare di regolare licenza di polizia.
In data 16 ottobre 2014 la Prefettura di Roma ha emesso l’interdittiva antimafia nei confronti della società -OMISSIS-.
In data 20 ottobre 2014, la società -OMISSIS- ha conferito il ramo di azienda composto dalla strutture organizzate per lo svolgimento dell’attività di vigilanza armata/piantonamento e di portierato all’odierna ricorrente, come da verbale di assemblea della -OMISSIS- del 20 ottobre 2014, al fine di tutelare i livelli occupazionali; in data 27 novembre 2014 il ramo di azienda è stato ritrasferito alla -OMISSIS-.
La Prefettura di Roma ha adottato in data 21 novembre 2014 l’informativa antimafia interdittiva anche nei confronti della società ricorrente (alla quale ha fatto seguito la sospensione della licenza di Polizia) ritenendo detta operazione come diretta ad eludere l’interdittiva antimafia, sicchè il provvedimento impugnato si fonda esclusivamente sull’informativa “madre” emessa nei confronti della società -OMISSIS-.
Avverso detto provvedimento la società ricorrente ha dedotto i seguenti motivi di impugnazione:
__1. Violazione di legge: violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 11 e 134 del TULPS. Violazione e falsa applicazione degli artt. 257 e ss. (ed in particolare dell’art. 257 quater) del Regolamento per l’esecuzione del TULPS. Violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 159/11 con particolare – ma non esclusivo riferimento – agli artt. 84, 91 94 e 95. Violazione di legge: violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del D.L. n. 90/2014 conv. in L. 11/2014. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 della L. 241/90. Violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 41 e 97 Cost. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, contraddittorietà manifesta, travisamento dei fatti, erroneità e difetto di dei presupposti, sviamento e manifesta ingiustizia.
L’informativa impugnata si fonderebbe esclusivamente su quella precedente emessa nei confronti della società -OMISSIS- in quanto secondo la Prefettura il tentativo di infiltrazione mafiosa sarebbe stato “travasato” da quella società a questa: contesta la ricorrente detto assunto e rileva che il 27 novembre 2014 è stato ripristino lo status quo ante con il venir meno del presupposto posto a base del provvedimento.
Avverso l’informativa “madre” richiama le censure già svolte nei precedenti ricorsi proposti dalla società -OMISSIS-, sottolineando che tutto l’impianto accusatorio si fonderebbe sulla persona di -OMISSIS-, considerato amministratore di fatto della società.
Deduce poi che l’interdittiva antimafia sarebbe stata adottata in difetto di presupposti.
__2. Violazione di legge: Violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del D.L. n. 90/2014, convertito con L. n. 114/14. Violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui al D.lgs. 6/9/11 n. 159, con particolare – ma non esclusivo - riferimento agli artt. 84, 91, 94 e 95. Violazione e falsa applicazione del protocollo di intesa sottoscritto tra l’ANAC e il Ministero dell’Interno. Violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 41 e 97 Cost. Violazione e falsa applicazione degli art. 17 e 18 CEDU (divieto dell’abuso del diritto). Eccesso di potere per difetto di proporzionalità, adeguatezza, ragionevolezza, difetto di istruttoria e di motivazione, contraddittorietà manifesta, travisamento di atti e fatti, erroneità e difetto dei presupposti, sviamento e manifesta ingiustizia.
L’informazione interdittiva antimafia sarebbe illegittima anche per violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del D.L. n. 90/2014, convertito dalla Legge n. 114/2014.
La menzionata disposizione normativa, al comma 10, dispone espressamente l’applicabilità di entrambe le misure di cui al comma 1, lettere a) e b) (rinnovazione degli organi sociali o straordinaria e temporanea gestione dell’impresa appaltatrice), e della misura di al comma 8 (sostegno e monitoraggio dell’impresa) nel caso in cui sia stata emessa dal Prefetto un’informazione antimafia interdittiva e sussista l’urgente necessità di assicurare il completamento dell’esecuzione del contratto ovvero la sua prosecuzione, al fine di garantire la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela dei diritti fondamentali, salvaguardare i livelli occupazionali e tutelare l’integrità dei bilanci pubblici.
Formula, infine, l’istanza ex art. 116 c.p.a. chiedendo al Tribunale di ordinare l’esibizione di tutti gli atti istruttori sui quali si fonda il provvedimento impugnato.
Chiede quindi l’accoglimento del ricorso.
L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio ed ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.
All’udienza pubblica del 14 maggio 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Con il ricorso in epigrafe la società ricorrente ha impugnato l’informativa antimafia interdittiva adottata dal Prefetto di Roma che s’incentra, in particolar modo, sulla persona di -OMISSIS-, qualificato “Amministratore di fatto della predetta Società”.
1.1 – Preliminare, rispetto al vaglio dei fatti addebitati a quest’ultimo, ritenuti rilevanti ai fini dell’adozione della misura in parola, è l’accertamento in ordine all’inquadrabilità o meno del medesimo nella figura dell’Amministratore di fatto.
1.2 – Al riguardo, partendo dalla nozione di cui all’art. 2639 c.c., in via generale deve affermarsi che Amministratore di fatto è chi, senza essere stato investito formalmente dei relativi poteri, esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione di Amministratore.
1.3 - Con specifico riguardo al Sig. -OMISSIS-, va precisato che la “-OMISSIS- S.r.l.” è partecipata dalla “-OMISSIS-” (e da altre cinque Società Cooperative: -OMISSIS-, tutte controllate da -OMISSIS-, dalla moglie -OMISSIS- e da -OMISSIS-), nell’ambito della quale -OMISSIS- ha rivestito la carica di dirigente dal 2011 fino alle sue dimissioni, successive all’adozione dell’interdittiva antimafia avvenute il 24.10.2015.
Si legge poi nel provvedimento interdittivo che lo stesso nel periodo ricompreso fra il 2008 e il 2011 ha rivestito la carica di dirigente anche presso l’-OMISSIS- “-OMISSIS-”, a sua volta partecipata dalle stesse società che figurano quale socie della -OMISSIS- S.r.l..
Nell’ambito della “-OMISSIS-.”, il -OMISSIS-, in affiancamento e su mandato diretto del Presidente, ha ricoperto l’incarico di Responsabile dello sviluppo, partecipazione, controllo e gestione, con la funzione di individuare e reperire tutte le occasioni di crescita e di rafforzamento del settore: si tratta di un incarico assoluto rilievo.
Inoltre in data 19.2.2014, a seguito di perquisizione locale e personale, sono emersi i seguenti elementi: in una tasca del giaccone indossato dal -OMISSIS- è stato rinvenuto un portachiavi in plastica recante la dicitura “PORTA INTERNA UFF.-OMISSIS-”. Le chiavi in questione, come dichiarato dallo stesso -OMISSIS-, permettevano l’accesso all’Ufficio di Presidenza dell’-OMISSIS- “-OMISSIS-”, ove sono state rinvenute 3 confezioni contenenti biglietti da visita del “-OMISSIS-” a nome del Dott. -OMISSIS--PRESIDENTE”, estratto conto relativo alla Carta Oro American Express n. -OMISSIS- a nome di -OMISSIS-, lettera di ringraziamento a firma del Sig. -OMISSIS- della -OMISSIS-. indirizzata al Dr. -OMISSIS-, foglio dattiloscritto recante la dicitura “APPUNTO” per il Dott. -OMISSIS- - Situazione Curriculum inviati dal Sig. -OMISSIS-, informativa contrattuale relativa alla carta debito “Next Card”, intestata a -OMISSIS- del Banco di Napoli, avente come riferimento la mail presidente@-OMISSIS-.com ed utenza mobile -OMISSIS-, memorandum “Recapiti-Disposizioni da Tavolo”, riportanti i recapiti telefonici interni e/o cellulari, le sigle radio del personale in sede, l’elenco dei permessi Z.T.L. e l’integrazione alle Disposizioni di Servizio.
Inoltre, in occasione di controlli amministrativi eseguiti presso la sede operativa della “-OMISSIS-” in data 15.5.2014, il personale ad essi deputato è stato accolto dal -OMISSIS-, il quale si è presentato come uno dei soci del gruppo “-OMISSIS-” ed ha poi ha descritto le peculiarità delle predette Società e delle altre Società del gruppo, in cui ha confermato di rivestire cariche.
Da tutti gli elementi sopra riportati si palesa la posizione senz’altro di spicco e, perciò, di potenziale condizionamento della gestione, con incisione sulle scelte fondamentali, rivestita dal Sig. -OMISSIS- all’interno delle Società facenti capo al -OMISSIS-, di cui la Società ricorrente è parte, al pari di quanto è in grado di fare un Amministratore.
2 - Si tratta ora di verificare se, avuto riguardo, in particolare, ai fatti addebitati al -OMISSIS-, unitamente agli altri riportati, ricorrano o meno i presupposti per procedere all’emanazione della misura dell’interdittiva antimafia, se, in altre parole, lo stesso possa o meno ritenersi vicino agli ambienti della criminalità organizzata.
2.1 - In proposito, secondo un orientamento obbediente ad una più stringente esigenza di tutela della Pubblica Amministrazione e di tutta la Società civile da ogni - anche solo potenziale - forma di infiltrazione mafiosa, ma sicuramente meno garantista per il soggetto che viene colpito dall’interdittiva antimafia, si sostiene che, proprio perché questa presenta finalità di massima anticipazione dell’azione di prevenzione, risultano rilevanti anche fatti e vicende solo sintomatici ed è sufficiente, secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale, la mera possibilità di interferenze della criminalità, rivelate appunto da fatti sintomatici o indiziari, considerati in un quadro indiziario complessivo (cfr.: Cons. Stato - sez. III , 18.4.2011, n. 2342; sez. VI, 17.7.2006, n. 4574).
In altre parole, il provvedimento interdittivo antimafia può essere sorretto da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata.
L’interdittiva antimafia è così vista come funzionale alla peculiare esigenza di mantenere un atteggiamento intransigente contro rischi di infiltrazione mafiosa, idonei a condizionare le scelte delle imprese chiamate a stipulare contratti con la P.A..
Secondo detto orientamento, stante l’ampia discrezionalità riservata all’Autorità prefettizia, il sindacato sull’attività svolta da questa e sul provvedimento interdittivo adottato in esito alla stessa resta necessariamente circoscritto alla verifica dei vizi sintomatici di una illogicità manifesta o di un travisamento dei fatti (cfr.: Cons. Stato, sez. VI, 22.6. 2007, n. 3470; T.a.r. Campania - Napoli - sez. I 10.2.2010, n. 873).
2.2 - La più recente giurisprudenza punta l’accento sulla circostanza che la valutazione discrezionale, per non sconfinare in mero arbitrio, “può dirsi ragionevole e attendibile se sorretta da una pluralità di indizi seri, precisi e concordanti, oggettivamente riscontrabili, che secondo l’esperienza comune assumono un significato univoco” (cfr.: C.G.A. 10.7.2014, n. 397; Cons. Stato - sez. III 26.9.2014, n. 4852).
Gli indizi dai quali viene desunto il predetto rischio devono essere accertati in esito ad una coerente e compiuta istruttoria (Cons. Stato sez. III 25.11.2014, n. 5836).
L’informativa interdittiva deve essere assistita da congrua motivazione, che dia contezza di tale adeguata istruttoria - da svolgersi con l’ampiezza di poteri ma anche con i limiti suindicati -, tesa ad accertare e verificare gli elementi indizianti fondanti la sua emissione.
In questi casi il sindacato in sede giurisdizionale è diretto ad accertare l’assenza di eventuali vizi della funzione, che possano essere sintomo di un non corretto esercizio del potere, quanto all’accuratezza dell’istruttoria, alla completezza dei dati e fatti acquisiti, alla non travisata valutazione dei fatti stessi, alla sufficienza della motivazione ed alla logicità e ragionevolezza delle conclusioni rispetto ai presupposti ed elementi di fatto presi in considerazione.
Secondo tale orientamento più recente, che cerca maggiormente di contemperare le esigenze di sicurezza e di ordine pubblico e di trasparenza nell’aggiudicazione e gestione dei contratti pubblici con i valori, pure costituzionalmente tutelati, della libertà di iniziativa economia e del diritto al lavoro, riferiti al soggetto destinatario della misura interdittiva antimafia, gli elementi assunti dal relativo provvedimento come base per giustificare la sua adozione, da parte dell’Autorità prefettizia competente, devono presentare i caratteri dell’obiettiva congruità e della concretezza.
Deve aggiungersi che la misura interdittiva deve fondarsi su elementi attuali e pertinenti, dai quali sia ragionevolmente desumibile un tentativo di ingerenza nella compagine sociale; in altre parole, essa non può fare riferimento a fatti remoti, privi di attualità.
2.3 – La sezione, prendendo atto di entrambi gli orientamenti giurisprudenziali sopra riportati, segue quello più garantista per il soggetto destinatario della misura interdittiva, in ultimo richiamato.
2.4 - Fatte queste dovute premesse di ordine generale, si precisa che l’esame condotto qui in concreto dal Collegio parte da un attento vaglio del contenuto del provvedimento interdittivo impugnato, alla luce della documentazione in atti e delle doglianze mosse dalla parte ricorrente nonché delle controdeduzioni fornite dall’Amministrazione.
La decisione viene assunta, all’esito di detto esame, tenendo conto naturalmente della natura e delle finalità dell’interdittiva antimafia, sopra illustrate, ma anche delle garanzie comunque offerte al soggetto colpito, in nome anche del buon andamento della Pubblica amministrazione.
3 - Come è stato già evidenziato in precedenza, l’informazione interdittiva antimafia s’incentra principalmente sulla persona di -OMISSIS-, qualificato “Amministratore di fatto” della Società ricorrente. Non è il caso di affrontare nuovamente tale profilo, del quale si è già discettato in precedenza, concludendosi in senso affermativo.
3.1 - Si tratta, tuttavia, di accertare se, con riferimento al Sig. -OMISSIS-, sia stata eseguita un’accurata istruttoria e se gli elementi dai quali il Prefetto ha desunto il suo collegamento con ambienti malavitosi ed il conseguente condizionamento della predetta Società da parte della criminalità organizzata di stampo mafioso siano qualificati dai caratteri dell’obiettiva congruità e della concretezza, nonché dell’attualità.
4 - In proposito, partendo dal dato più vecchio riferito al Sig. -OMISSIS- riportato nel provvedimento interdittivo antimafia, risulta a suo carico una condanna del 20.3.1997, per estorsione tentata continuata.
In proposito va rilevato che la predetta sentenza, peraltro emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., concerne fatti reato consumati nel 1996, perciò molto datati, del tutto dissociati da qualunque riferimento alla criminalità organizzata.
5 - Il nodo centrale dei fatti addebitati a -OMISSIS-, posti in via principale a fondamento dell’informazione interdittiva antimafia, sono, tuttavia, quelli che emergono dalla sentenza emessa dal Tribunale di Roma in data 8.11.2013 e depositata in Cancelleria il 23.12.2013.
5.1 - Si rende necessaria una puntualizzazione al riguardo.
Non vale certamente a rendere attuale il quadro indiziario a carico del Sig. -OMISSIS- la circostanza che la condanna sia stata irrogata a fine 2013, perciò poco tempo prima che fosse adottata la misura interdittiva antimafia.
Ciò che assume invece rilevanza è il periodo in cui sono stati consumati i fatti reato, oggetto di condanna o anche solo di esame e valutazione da parte del giudice penale.
5.2 - Come può evincersi dai capi di imputazione indicati nei decreti che hanno disposto il rinvio a giudizio, nonché dalla sentenza stessa, tali fatti sono inquadrati per lo più negli anni 2002 e 2003 ed in un caso (capo di imputazione n. 5 contenuto nel decreto che dispone il giudizio datato 19.10.2006) anche nell’anno 2001.
5.3 - È evidente che, indipendentemente da quanto possa emergere dalla predetta sentenza, gli indizi non potrebbero ex se soli sorreggere un’informazione interdittiva antimafia, in quanto sarebbero privi del necessario carattere dell’attualità. Infatti, anche ove fosse riscontrata una contiguità del Sig. -OMISSIS- con la famiglia -OMISSIS- per il periodo 2001-2003, essa, in assenza di ulteriori e successivi elementi connotati del requisito dell’attualità, non potrebbe determinare l’assunzione di una misura così penalizzante per il soggetto destinatario.
5.4 - Con detta sentenza il Sig. -OMISSIS- è stato condannato ad 1 anno e 6 mesi di reclusione e ad € 5.000,00 di multa, per il delitto di usura, non in concorso, mentre è stato assolto, “perché i fatti non sussistono”, dai reati di riciclaggio e di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (rispettivamente artt. 648 bis e 648 ter c.p.); è stato invece dichiarato estinto, per prescrizione, il reato di trasferimento fraudolento di valori ex art. 12 quinquies del d.l. n. 306/1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 356/1992.
5.5 - In tale sentenza si è esclusa l’aggravante di cui all’art. 7 del decreto-legge n. 152/1991, convertito dalla legge n. 203/1991 - aver commesso i fatti avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p. (associazione a delinquere di stampo mafioso) ovvero al fine di agevolare tale tipo di associazione.
Il mancato riconoscimento di detta aggravante è derivata dalla circostanza che, con sentenza del Tribunale di Roma n. 17645/07 del 19.7.2007, confermata in appello con decisione del 28.5.2010, divenuta irrevocabile con la decisione della Corte di Cassazione del 23.2.2012, è stata esclusa, con riferimento alla famiglia -OMISSIS-, l’esistenza di un’associazione di tipo mafioso, ravvisandosi unicamente, a carico dei suoi componenti imputati nel processo, il delitto di associazione a delinquere non qualificata di cui all’art. 416 c.p..
5.6 – Pur con le dovute precisazioni fatte finora, non possono escludersi, per il periodo preso in considerazione dalla sentenza penale dell’8.11.2013 in esame, rapporti del Sig. -OMISSIS- con la famiglia -OMISSIS-.
In particolare, il giudice penale, nell’esaminare i capi di accusa 4, 5 e 12 indicati nel citato decreto che dispone il giudizio datato 19.10.2006 (concernenti i reati di estorsione, di cui il -OMISSIS- non era accusato, nonché i reati di riciclaggio e di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita), ha ritenuto fondato l’assunto dell’accusa secondo cui il -OMISSIS- stesso, attraverso le Società di cui all’epoca era compartecipe – -OMISSIS- - “agisse come longa manus della famiglia -OMISSIS-”. In particolare si afferma che “dietro -OMISSIS- e il -OMISSIS- ci fosse appunto -OMISSIS-”.
L’istruttoria svolta accreditava quest’ultimo “come fiduciario del -OMISSIS-, testa di paglia privo di pregiudizi alla quale intestare i cespiti che altri avrebbero dovuto di fatto gestire”; tale ruolo si attagliava su quello di “soggetto interposto, sanzionabile ex art. 12 quinquies […], illecito questo da ritenersi ormai estinto per prescrizione”.
5.7 - Tuttavia, com’è stato già precedentemente rimarcato, si tratta di fatti accaduti negli anni 2001-2003 e conseguentemente, rispetto agli stessi, manca la connotazione dell’attualità, ritenuta imprescindibile dal Collegio, non rilevando in contrario la data, ben successiva, di adozione della sentenza che ha definito il relativo giudizio di primo grado, peraltro appellata.
5.8 - Assume importanza anche la circostanza che, all’epoca dei fatti contestati, il Sig. -OMISSIS- fosse del tutto estraneo alla Società ricorrente ed a tutto il Gruppo del quale essa fa parte.
Si è visto in precedenza che a quel tempo lo stesso era invece collegato alle Società -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-e, d’altra parte, la stessa Prefettura, per sostenere la sua inquadrabilità nella figura del c.d. “Amministratore di fatto”, fa riferimento agli incarichi ricoperti nelle Società del -OMISSIS- a partire solo dal 2008.
Né può attribuirsi rilevanza all’obiezione, mossa in giudizio dall’Avvocatura generale dello Stato, che in tale periodo la Società “-OMISSIS-” avesse diversa denominazione – -OMISSIS- – atteso che appunto, anche rispetto a quest’ultima, non si registrano legami di sorta da parte del Sig. -OMISSIS-.
Pertanto la famiglia -OMISSIS- non avrebbe a quel tempo potuto condizionare la gestione della Società, per il tramite di quest’ultimo.
6 - Occorre poi puntualizzare che le denunce richiamate nella nota della Guardia di Finanza – Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata prot. n. 0321550/14 del 22.7.2014, in atti, e, in particolare, quelle del 14.2.2005 e 23.3.2005, nonché la denuncia del 16.6.2006, rimarcate dalla difesa erariale, sono tutte confluite nei procedimenti penali nn. 55278/02 e 51650, definiti con la più volte richiamata sentenza del Tribunale di Roma dell’8.11.2013.
Perciò anch’esse fanno riferimento a fatti accaduti pur sempre nel lasso temporale 2001-2003.
7 – A sostenere la successiva recisione dei rapporti tra il -OMISSIS- e la famiglia -OMISSIS- è il GIP presso il Tribunale di Roma nell’ordinanza del 9.11.2004, nella quale afferma che “dal tenore delle conversazioni telefoniche intercettate emerge con estrema chiarezza la precisa volontà del -OMISSIS- di interrompere qualsiasi contatto e cointeressenza con il nucleo dei -OMISSIS-, maturata dopo l’esecuzione delle misure cautelari a carico dei -OMISSIS- medesimi, tra l’aprile e il luglio 2003”.
In tale ordinanza si rileva ancora che i collegamenti con la famiglia -OMISSIS- e l’attività criminale “sono stati realizzati e si sono conclusi nel periodo di tempo ricompreso tra il 2001 e il settembre 2003”.
Ivi si afferma poi che “vi sono precisi e univoci elementi da cui si deve desumere la volontaria interruzione dei rapporti e contatti con la famiglia -OMISSIS- operata dal -OMISSIS-”.
È evidente che il GIP, sulla base degli elementi desunti da intercettazioni telefoniche, ha concluso nel senso di escludere che dopo il settembre 2003 – e naturalmente fino alla data di adozione dell’ordinanza de qua – vi fossero ancora rapporti tra il -OMISSIS- e la famiglia -OMISSIS-.
8 - Questi sono evidentemente i fatti presi in considerazione al fine di ritenere che il Sig. -OMISSIS- fosse ancora vicino alla famiglia -OMISSIS- e che quest’ultima - e in definitiva la criminalità organizzata - potesse esercitare un condizionamento sulla Società di cui lo stesso era Amministratore di fatto.
9 - L’avvocatura generale dello Stato ha depositato in giudizio una nota della Guardia di Finanza – G.I.C.O. - Gruppo Investigazione Criminalità organizzata prot. n. 0487975/14 dell’11.11.2014, evidentemente successiva all’emissione dell’interdittiva antimafia.
Essa reca delle vere e proprie “controdeduzioni” rispetto alla memoria resa dal difensore dell’odierna ricorrente, facendo, in particolare, riferimento ad una perquisizione personale effettuata nei confronti del -OMISSIS- nel mese di febbraio del 2014, seguita da quella presso l’ufficio di Presidenza dell’-OMISSIS- “-OMISSIS-”, usato dal medesimo, nel quale sono stati rinvenuti un biglietto da visita di -OMISSIS- della “-OMISSIS-” - Orologi da mito, riportante a tergo l’appunto manoscritto “-OMISSIS-, ed 11 orologi di pregio dal rilevante valore economico, 5 dei quali confezionati in custodie riportanti il logo “-OMISSIS-” . Secondo le conclusioni del G.I.C.O., ciò evidenzierebbe il persistere di stretti legami fra il -OMISSIS- e la famiglia -OMISSIS- e il contesto criminale in cui questa è stabilmente inserita.
9.1 - Al riguardo deve preliminarmente precisarsi che tale “elemento di novità” non risulta essere stato vagliato in sede di emissione dell’informazione interdittiva antimafia: non se ne fa cenno né all’interno del provvedimento né nel verbale del Gruppo Ispettivo antimafia relativo alla seduta del 3.10.2014, nella quale esso ha ritenuto sussistenti le situazioni relative a tentativi di infiltrazione mafiosa.
La prima deduzione che consegue da ciò è che tale “fatto” attuale in realtà integra una motivazione postuma, come tale, inammissibile.
9.2 - Deve considerarsi in proposito che il provvedimento, anche quello recante la misura interdittiva antimafia, deve indicare un’adeguata motivazione, che dia contezza dell’istruttoria espletata a monte e dei presupposti posti a fondamento.
Qui gli elementi di cui si dà contezza nel provvedimento interdittivo antimafia e, perciò, costituenti il suo presupposto (ritenendo dagli stessi evincibile un collegamento di -OMISSIS- con la famiglia) risalgono al 2003, posto che i fatti ai quali si riferisce la sentenza del 2013 si collocano nel periodo 2001-2003 e che la citata ordinanza cautelare del 2004 ha escluso rapporti tra i due a partire dal settembre 2003.
9.3 - Volendo anche ritenere quale rilevante il rinvenimento del biglietto riportante a tergo due numeri telefonici accanto al nome di -OMISSIS-, va osservato che tale elemento non rappresenta, tuttavia, un indizio che da solo può univocamente condurre a sostenere che anche di recente il Sig. -OMISSIS- abbia continuato ad intrattenere rapporti, per giunta di cointeressenza, con la famiglia -OMISSIS-.
In altre parole il biglietto non conduce alla conclusione logica che il Sig. -OMISSIS- continua ad avere frequentazioni col Sig. -OMISSIS- e con tutta la sua famiglia e che il suo operato ne sia condizionato, tanto da condizionare, a sua volta, quello dell’-OMISSIS- de quo.
È verosimile che i due numeri telefonici siano serviti nel corso del processo penale riguardante entrambi (il -OMISSIS- ed il -OMISSIS-), conclusosi solo tre mesi prima della perquisizione (ed anzi la sentenza è stata emessa due mesi prima)
9.4 - In ogni caso ciò che veramente rileva è che l’eventuale indizio che potrebbe ricavarsi dal dato riportato sul predetto biglietto non è suffragato da ulteriori elementi ben più attendibili in ordine alla sussistenza di tali rapporti, quali sono quelli desumibili da intercettazioni telefoniche e/o ambientali.
10 - In assenza di una pluralità di indizi seri, precisi e concordanti, oggettivamente riscontrabili, che, secondo l’esperienza comune, assumono un significato univoco nel senso di ritenere ancora attualmente sussistenti rapporti tra il -OMISSIS- e la famiglia -OMISSIS-, l’interdittiva antimafia, risulta illegittima, per difetto di istruttoria, erroneità dei presupposti e travisamento dei fatti.
11 - Né può ritenersi fondatamente che detto provvedimento interdittivo possa sorreggersi sulla denuncia nei confronti del Sig. -OMISSIS-, nella sua qualità di Amministratore di fatto, nonché del Sig. -OMISSIS-, quale Presidente del Consiglio di Amministrazione, per aver concorso nel reato di cui all’art. 10 ter del D.Lgs. n. 74/2000.
Si tratta del reato di omesso versamento dell’I.V.A., comunque regolarmente dichiarata, qui riferito ad alcune mensilità dell’anno 2012.
11.1 - È evidente che detta denuncia non afferisce ad alcuno dei reati dai quali possa in qualche modo desumersi la sussistenza di infiltrazioni mafiose, secondo quanto previsto dall’art. 84 del D.Lgs. n. 159/2011.
11.2 - Va solo precisato che, come la Società ricorrente ha evidenziato che il mancato versamento è dipeso unicamente da temporanea disponibilità di denaro per farvi fronte, essendo la stessa creditrice in misura rilevante nei confronti soprattutto di Amministrazioni pubbliche, oltre che di privati, per i servizi resi in loro favore.
12 - Infine il riferimento alla cessione di un ramo d’azienda, unitamente al personale dipendente afferente a tale ramo d’azienda, dall’-OMISSIS- “-OMISSIS-” a “-OMISSIS-” rappresenta una normale cessione di ramo d’azienda, che ha come naturale effetto un decremento di personale nel primo ed un altrettanto aumento di personale nella seconda, e non si vede, perciò, quale attinenza esso possa avere con l’interdittiva antimafia, che deve basarsi su ben altri presupposti.
13 – Ne consegue l’illegittimità dell’informativa antimafia “madre” emessa nei confronti della società -OMISSIS-: detta informativa costituisce l’unico presupposto posto a base dell’informativa emessa nei confronti della società -OMISSIS- ricorrente.
Anche detto provvedimento deve essere conseguentemente annullato risultando affetto dai medesimi vizi.
14 – Deve essere invece dichiarata improcedibile l’istanza ex art. 116 c.p.a. sulla base della formale dichiarazione resa all’udienza pubblica dal difensore della società.
Quanto alle spese di lite, sussistono tuttavia giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,
lo accoglie nei termini indicati in motivazione e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità degli altri dati identificativi della parte ricorrente, nonché di tutte le persone indicate nella presente sentenza; manda alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Antonino Savo Amodio, Presidente
Stefania Santoleri, Consigliere, Estensore
Rita Tricarico, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/09/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)