PROCESSO:
il giudice può non seguire
l'ordine dei motivi di diritto
e giudicare solo su quelli fondati più "semplici"
(T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II "ter",
sentenza 28 settembre 2015, n. 10363)
Massima
1. Ad avviso del Collegio, ancorché la parte ricorrente abbia graduato il terzo e quarto motivo in posizione subordinata rispetto ai primi due, la relativa questione è prevalente e va risolta per prima.
Si tratta infatti di una questione soggetta ad una valutazione “liquida”, immediatamente risolvibile allo stato degli atti; mentre le argomentazioni a sostegno delle prime due censure di ricorso richiederebbero, per le motivazioni che si andranno ad esporre, un rilevante prolungamento dei tempi processuali.
2. Pertanto, seppure è stato recentemente affermato che la graduazione esplicita delle domande e dei motivi di ricorso vincola il giudice (Cons. Stato, Ad. Plen. 27 aprile 2015, n. 5), nel caso di specie non può non riconoscersi prevalenza, ai fini della risoluzione della controversia, alle ragioni di maggiore celerità e speditezza, preferendo l’esame, tra più censure tutte aventi pari grado di satisfattività per la parte ricorrente, di quelle dipendenti da questioni di facile e pronta risoluzione.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione
Seconda Ter)
ha
pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso numero di registro generale 4162 del 2014, proposto da:
Società Coco Costruzioni Commerciali a r.l., in persona del proprio rappresentante legale pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Giovanni Pallottino, con domicilio eletto presso Giovanni Pallottino in Roma, Via Oslavia, 14;
Società Coco Costruzioni Commerciali a r.l., in persona del proprio rappresentante legale pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Giovanni Pallottino, con domicilio eletto presso Giovanni Pallottino in Roma, Via Oslavia, 14;
contro
Regione
Lazio, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv.
Angela Mariani, con domicilio eletto presso Angela Mariani in Roma, Via
Marcantonio Colonna, 27;
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall' avv. Rosalda Rocchi, domiciliata in Roma, Via Tempio di Giove, 21;
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall' avv. Rosalda Rocchi, domiciliata in Roma, Via Tempio di Giove, 21;
per
l'annullamento
del
provvedimento della Regione Lazio, contenuto nella nota della Direzione
Regionale Sviluppo Economico ed Attività Produttive, - Area Commercio e Servizi
Consumatori, dell’11.12.2013, prot. n. GR 159475, ricevuta dalla Società CO.CO.
in data 8 gennaio 2014, di sostanziale rigetto della domanda di detta Società
volta al rilascio dell’autorizzazione amministrativa all’apertura di un Centro
Commerciale di mq. 17.736 nell’ambito del P.R.U. “San Basilio”, in Roma, ed in
sua conformità;
del
“Documento programmatico per l’insediamento delle attività commerciali su aree
private”, adottato con deliberazione del Consiglio Regionale del Lazio n.
131/2002, assunto a presupposto del diniego, che stabilisce nel Comune di Roma,
anche per i P.R.U. misure di contingentamento di superfici di vendita di grandi
strutture (punti 5 ed 11);
della
determinazione del Direttore della Direzione regionale delle Attività
produttive del 13.1.2003 n. 5, attuativa di detto “Documento”, che ha fissato
(in mq. 203.735) il limite massimo di superficie autorizzabile per grandi
struttura nel Comune di Roma;
della
Delibera della Giunta Regionale del Lazio del 18.7.2013, n. 190 di fissazione
di direttive procedurali per l’insediamento di grandi struttura di vendita
(abrogativa delle direttive approvate con Delibera di GR Lazio del 27.12.2000.
m- 2618);
di
ogni altro atto presupposto e/o consequenziale, comunque connesso, tra cui –
ove occorrer possa – della nota della Direzione Regionale Sviluppo Economico ed
Attività Produttive – Area 10 del 9.6.2010, n. 99726.
Visti
il ricorso e i relativi allegati;
Visti
gli atti di costituzione in giudizio della Regione Lazio e di Roma Capitale;
Viste
le memorie difensive;
Visti
tutti gli atti della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 2 aprile 2015 il dott. Salvatore Gatto
Costantino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto
e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La
Società odierna ricorrente espone di essere proprietaria, in Roma, del comparto
“C” del Piano di Recupero Urbano denominato “San Basilio”, adottato ex art. 11
della LR n. 493/1993 con Accordo di programma del 1.4.2005 (ex art. 34 del Dlgs
267/2000), sottoscritto dalla Regione Lazio e dal Comune di Roma, poi
ratificato dalla Regione con deliberazione del Consiglio regionale del
5.10.2005, nonché dal Comune di Roma con deliberazione consiliare del
24.7.2005, quindi definitivamente approvato con decreto del Presidente della
Regione Lazio del 16.11.2005, n. 581 (pubbl. su BUR Lazio del 30.11.2005, n.
33, suppl.3).
Nell’ambito
del PRU veniva sancito l’insediamento nel comparto “C” di un Centro commerciale
di mc 90.000, con superficie lorda di mq. 32.500, con relativa dotazione di
infrastrutture e servizi, tra cui parcheggi di uso pubblico su mq. 301.074 di
superficie del lotto.
L’attuazione
del Centro veniva quindi disciplinata nella “Convenzione urbanistica” del
30.12.2009 (atto del Notaio P. Soccorsi Aliforni, rep. N. 125704, trascritta in
conservatoria), con una superficie di vendita prevista tra 15.000 mq e 20.000
mq., così qualificandosi l’impianto quale “grande struttura di vendita”.
La
società chiedeva il rilascio dell’autorizzazione amministrativa all’apertura
del Centro con istanza del 21/28.1.2010, rivolta tanto alla Regione Lazio che a
Roma Capitale, specificando la superficie prevista per la vendita in mq. 17.736
(dei quali mq. 4.489 per settore alimentare e mq. 13.247 di settore non
alimentare).
La
Regione Lazio replicava con nota prot. 99726 del 9.6.2010, indicando al Comune
di Roma gli aspetti procedurali da considerare per la redazione della relazione
istruttoria di sua competenza, e ricordando nell’occasione – sottolinea la
ricorrente - l’ampia disponibilità di superfici di vendita per le “grandi
strutture”; il 29.5.2012 l’Amministrazione capitolina trasmetteva la sua
relazione istruttoria, rimettendo la verifica dell’istanza alla Regione “…alla
luce dei principi e delle disposizioni contenute nelle recenti leggi nazionali
assunte in materia di liberalizzazioni delle attività economiche, con
particolare riferimento all’art. 31, comma 2, del DL n. 291/2011, conv. in l.
n. 214/2011”.
Non
pervenendo l’autorizzazione richiesta, seguiva tra le amministrazioni e la
società una corrispondenza con la quale quest’ultima sollecitava le prime alla
conclusione del procedimento in suo favore, fino alla notifica di un formale
atto di diffida datato 27.11.2013; la Regione rispondeva con la nota
dell’11.12.2013, prot. GR159475, ricevuta dalla società in data 8.1.2014, con
la quale, opponendo l’applicazione dei limiti di superficie autorizzabile nel
Comune di Roma stabiliti nel “Documento programmatico per l’insediamento
delle attività commerciali su aree private”, adottato con Delibera del
Consiglio Regionale n. 131/2002 ed applicabile anche ai PRU, riferiva che del
contingente di mq 203.735 fissato quale quantitativo massimo di superficie
autorizzabile per le grandi strutture di vendita (ciò tramite la Determinazione
del Direttore delle Attività Produttive nr. 5 del 13.1.2003), ad oggi “…la
superficie ancora disponibile per tale ambito è di ….mq 8.150,82”.
La
nota concludeva con l’invito rivolto alla Società di sostituire alla domanda
presentata una istanza per la ridotta quantità di mq disponibili (ovvero meno
della metà dei mq 17.736 originariamente previsti).
Qualificando
tale atto come provvedimento immediatamente lesivo in termini di un vero e
proprio diniego sostanziale, la società odierna ricorrente lo impugna, unitamente
agli atti presupposti che sono elencati in epigrafe, per farne valere
l’illegittimità sotto articolati e plurimi profili.
In
particolare, sulla base della conformità urbanistico-edilizia dell’intervento
in esame e ritenendo ormai venuto meno il contingentamento delle superfici di
vendita (sentenza della Corte di Giustizia UR del 24.3.2011, causa C-400/08),
nonché ritenendo vigente l’obbligo per le Amministrazioni di disapplicare le
disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative che dispongono in
senso opposto, ove non abrogate dall’art. 31, 2° comma, e dall’art. 34 del DL
n. 201/2011, conv. in l. 214/2011, deduce l’illegittimità degli atti impugnati
per (I) violazione della normativa dell’U.E. (Trattato U.E. e Direttiva
2006/123/CE) espressione di consolidati principi di diritto comunitario, quali
il diritto d’impresa e di libera prestazione di servizi, la libertà di
iniziativa economica, il principio di tutela della concorrenza e del libero
mercato secondo pari condizioni di opportunità, i principi di ragionevolezza e
proporzionalità dell’azione amministrativa; violazione della normativa statale
di grado costituzionale (art. 41, in combinato-disposto con l’art. 117, 1° e 2°
comma lett. “e” della Costituzione) e di quella del pari statale di grado
legislativo di recepimento dei suddetti principi al fine di garantirne il
rispetto e l’effettivo esercizio di dette libertà, in particolare art. 3 del DL
n. 138/2011, conv. in l. 148/2011; art. 2 della l. 11.11.2011 n. 180; art. 31 e
34 del DL n. 201/2011, conv. in l. 214/2011; art. 1 del Dl n. 1/2012, conv. in
l. n. 27/2012); eccesso di potere per erroneità od insufficienza della
motivazione; (II) violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione
Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), violazione dell’art. 17 della Carta dei
diritti fondamentali dell’UE, violazione dell’art. 6, par. 2, del Trattato
Unione Europea, violazione del principio di legalità, e degli artt. 41, 42 e 10
della Costituzione, in combinato disposto con la l. 4.8.1955, n. 848; (III)
violazione dell’accordo di programma del 1.4.2005 sottoscritto dalla Regione e
dal Comune di Roma e del DPReg. Lazio nr. 581/2005 di approvazione del PRU San
Basilio e della convenzione urbanistica conseguente; eccesso di potere per
omessa motivazione; violazione dei principi generali di buon andamento,
correttezza e buona fede dell’attività della PA di cui all’art. 97 della
Costituzione ed all’art. 1, 1 comma della l. n. 241/90 ed in particolare
violazione del principio della tutela del legittimo affidamento del privato
cittadino nei confronti della PA; (IV) violazione della delibera del Consiglio
Regionale del Lazio del 6.11.2002, n. 131, punto 12, 1° comma, lett. “e”;
eccesso di potere per difetto di presupposto e per omessa motivazione; (V)
violazione dell’art. 41 della Costituzione, eccesso di potere per illogicità.
Si
sono costituite le Amministrazioni della Regione Lazio e di Roma Capitale, che
resistono al ricorso di cui chiedono il rigetto, eccependo preliminarmente
quest’ultima il proprio difetto di legittimazione passiva.
Le
parti hanno prodotto documenti e memorie, insistendo ciascuna nelle proprie
tesi, domande ed eccezioni.
Alla
pubblica udienza del 2 aprile 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Nell’odierno
giudizio, parte ricorrente si duole dell’illegittimità del diniego che la
Regione Lazio ha opposto alla sua istanza di rilascio di autorizzazione
all’apertura di una grande superficie di vendita, motivata con
l’indisponibilità del contingente complessivo di metri quadrati assentibili
previsti per l’ambito del Comune di Roma.
A
fondamento del gravame pone due ordini di doglianze: con la prima, afferma la
sopravvenuta inapplicabilità delle limitazioni quantitative indicate
dall’Amministrazione al settore del commercio, ormai liberalizzato, o comunque
la illegittimità costituzionale e comunitaria delle relative disposizioni
(motivi sub I e II); con la seconda, prospettata in subordine, si lamenta la
violazione della pianificazione e della convenzione urbanistica nella quale è
stata sancita tra le parti la realizzazione del centro commerciale, nonché la
violazione delle stesse normative regionali circa il contingente di metri
quadrati assentibili che non troverebbe applicazione ai casi di previsioni
quali quella in oggetto (III e IV motivo).
Ad
avviso del Collegio, ancorchè la parte ricorrente abbia graduato il terzo e
quarto motivo in posizione subordinata rispetto ai primi due, la questione è
prevalente e va risolta per prima.
Si
tratta infatti di una questione soggetta ad una valutazione “liquida”,
immediatamente risolvibile allo stato degli atti; mentre le argomentazioni a
sostegno delle prime due censure di ricorso richiederebbero, per le motivazioni
che si andranno ad esporre, un rilevante prolungamento dei tempi processuali.
Pertanto,
seppure è stato recentemente affermato che la graduazione esplicita delle
domande e dei motivi di ricorso vincola il giudice (Cons. Stato, Ad. Plen. 27
aprile 2015, n. 5), nel caso di specie non può non riconoscersi prevalenza, ai
fini della risoluzione della controversia, alle ragioni di maggiore celerità e
speditezza, preferendo l’esame, tra più censure tutte aventi pari grado di
satisfattività per la parte ricorrente, di quelle dipendenti da questioni di
facile e pronta risoluzione.
Si
consideri, a tal proposito, quanto segue.
1.Quanto
al primo ordine di motivi, si osserva che non è predicabile un effetto
automatico di abrogazione delle discipline nazionali o regionali che prevedano
restrizioni quantitative all’apertura di grandi strutture di vendita. Ciò in
considerazione di quanto affermato dalla Corte Costituzionale in ordine
all’obbligo diffuso di adeguamento nell’art. 3, comma 1, della L. 148 del 2011,
di conversione del D.L. n. 138 del 2011, con sentenza nr. 200/2012 che ha dichiarato
l’incostituzionalità della disposizione in quanto sancisce, allo scadere di un
termine prestabilito, l’automatica “soppressione” di tutte le normative statali
incompatibili con il principio di liberalizzazione delle attività economiche,
attesa la prospettiva che ne deriverebbe di “ambiguità, incoerenza ed
opacità su quale sia la regolazione vigente per le varie attività economiche,
che potrebbe..variare da Regione a Regione con ricadute dannose anche per gli
operatori economici”).
Ne
consegue che l’apprezzamento delle censure introdotte necessiterebbe o di un
rinvio pregiudiziale di compatibilità comunitaria ex art. 256 TFUE, oppure di
un giudizio incidentale di costituzionalità delle disposizioni di riferimento,
costituite dal D.lgs 114/1998 e dalla normativa regionale di cui alla LR 33 del
1999 (peraltro sollecitati dalle argomentazioni di ricorso), con conseguente
prolungamento dei tempi processuali.
II)
Invece, le due censure introdotte, rispettivamente, al terzo e quarto motivo di
ricorso sono apprezzabili allo stato degli atti (ciò che priverebbe, peraltro,
di rilevanza un eventuale giudizio incidentale di legittimità) e si rivelano
altresì fondate, così che non v’è luogo, a giudizio del Collegio, ad
approfondire le ben più complesse tematiche di cui ai primi due motivi di
gravame, perché dall’accoglimento del ricorso nei termini ad esse
corrispondenti deriverà l’obbligo di riesame dell’istanza in capo alle
Amministrazioni regionale e comunale, ciascuno per quanto di propria
competenza, senza che esse possano più interporre al suo esame - mercè
l’effetto conformativo veicolato dalla pronuncia - la sopravvenuta incapienza
delle “quote” di volumetria assentibile per i centri commerciali del genere
considerato.
Va
premesso, che ai sensi della L.R. nr. 33 del 1999, art. 11, comma 3, le Regioni
operano una programmazione commerciale delle grandi strutture di vendita basate
su “indici di presenza” per il rilascio delle autorizzazioni, che sono fissate
in apposito Documento programmatico (dunque un atto a valenza generale, non
avente carattere legislativo, dovendosene assicurare necessariamente
l’adattabilità alle diverse e mutevoli esigenze nel tempo del territorio).
La
norma, quindi, non dispone necessariamente circa l’assoggettamento
dell’apertura di strutture del genere indicato a specifici limiti
“quantitativi” come un determinato volume complessivo massimo disponibile sul
territorio, il cui superamento è contestato dalla Regione quale motivo ostativo
all’autorizzazione richiesta dalla ricorrente.
Il
menzionato limite, così come dedotto, è introdotto dal Documento programmatico,
quale risulta approvato con la D.C.R. 131/2002, che al punto 5 così dispone: “il
rilascio delle autorizzazioni concernenti medie e grandi strutture di vendita
previste nei programmi di recupero urbano, anche se già deliberati alla data di
pubblicazione del presente documento dai Comuni appartenenti ad ogni ambito
territoriale…è assoggettato agli indici di cui ai punti 10 e 11 del presente
documento”.
Gli
indici costituiscono, dunque, un limite esterno alla disposizione normativa, la
quale si limita a stabilire un metodo operativo discrezionale che consiste
nell’attribuzione di un corrispondente potere all’Amministrazione e che
quest’ultima ha speso così interpretando ed attualizzando gli “indicatori di
presenza” che sono previsti nella normativa di riferimento.
Nell’odierna
fattispecie si assiste dunque ad una norma eterointegrata con fonti di tipo
programmatorio che sono nella piena disponibilità della stessa Regione, tanto
che il documento programmatico prevede anche articolate eccezioni ai limiti
stessi (punto 12, sulle quali si tornerà oltre al fine di accertare quanto
dedotto sub 4 del ricorso, ovvero se le eccezioni di cui al punto 12 consentano
l’apertura del Centro di cui si discute).
Quel
che qui intanto rileva è che, attesa la natura disponibile degli indici, che
non sono prefissati dal legislatore ma semplicemente rimessi alla
pianificazione da condursi volta per volta da parte degli uffici,
nell’eventuale conflitto tra previsioni di tipo programmatico adottate dalla
Regione e condizioni puntuali pattuite nella convenzione urbanistica,
sottoscritta ed approvata dalla stessa Regione, non può non riconoscersi la
prevalenza di queste ultime, posto che esse vincolano le parti che hanno
sottoscritto l’accordo.
In
altri termini, è fondato il terzo motivo di ricorso secondo cui l’atto
impugnato è illegittimo per violazione della convenzione urbanistica
sottoscritta tra le parti ed attualmente in vigore.
Nella
convenzione espressamente si prevede: a) l’insediamento nel “comparto” C del
PRU di un “centro commerciale di mc 90.000, con superficie lorda di mq. 32.500
(superficie di vendita di mq 15.000)” con la dotazione di parcheggi d’uso
pubblico proporzionati alla grande struttura di vendita; all’accordo di
programma ha fatto seguito la convenzione urbanistica del 30.12.2009, integrata
da ulteriore atto del 28.10.2013, tutti di gran lunga successivi alla
programmazione di settore adottata dal Documento programmatico del 2002.
Dunque,
quale che sia l’estensione delle deroghe previste nel documento programmatico,
una volta che la Regione – in un tempo successivo all’adozione del Documento
programmatico – abbia sottoscritto una convenzione urbanistica (e, prima
ancora, approvato il presupposto PRU), nella quale si prevede l’apertura di un
Centro Commerciale rientrante nella tipologia delle “grandi strutture di
vendita”, e nella quale si prevede già l’estensione della struttura, non è
più opponibile all’interessata, al momento della richiesta della relativa
autorizzazione commerciale avvenuta nei termini di vigenza della convenzione
urbanistica, l’eventuale avvenuto esaurimento del contingente di metri quadrati
disponibili per il comprensorio comunale, palesandosi l’autorizzazione come
attività strettamente veicolata dalle determinazioni superiori con le quali si
è esaurita la discrezionalità amministrativa ad un livello più alto e genrale
di esercizio..
Ciò
deve ritenersi valevole sia per il caso in cui il limite del contingente
complessivo di metri quadrati disponibili per l’apertura di simili strutture
fosse ancora sussistente al momento della sottoscrizione della convenzione (e
sia venuto meno nel tempo intercorso rispetto alla richiesta di
autorizzazione), sia laddove esso fosse già stato consumato a quella data
(circostanze che sembra doversi ritenere alla luce di quanto emerge negli atti
della corrispondenza intercorsa tra le parti durante il procedimento apertosi
per l’esame della richiesta di autorizzazione).
Infatti,
il contingente fissato nel Documento programmatico regionale, nella sua
consistenza quantitativa, proprio in considerazione della natura meramente
programmatoria di tale atto, è – come si è accennato in precedenza - nella
disponibilità dell’Amministrazione, e laddove quest’ultima sottoscriva una
convenzione urbanistica nella quale si prevede l’impegno di una determinata
superficie ai fini dell’apertura di una grande struttura di vendita, deve
ritienersi che il contingente sia stato impegnato per la quota corrispondente
al contenuto della convenzione (con la conseguenza che sono le successive
richieste di apertura eventualmente assentite ad aver illegittimamente
consumato il plafond;, oppure che l’impegnato sia da assicurarsi
comunque, ovvero anche in deroga al contingente medesimo (a condizione che la
richiesta di apertura intervenga nei limiti di efficacia della convenzione
stessa).
Le
prefate argomentazioni consentono di introdursi all’esame del quarto motivo di
ricorso.
Secondo
la difesa di Roma Capitale, l’apertura della grande struttura di vendita
prevista nel PRU e nella convenzione urbanistica del 2009 non sarebbe
consentita dalle deroghe del punto 12 del documento programmatico di cui alla
DCR 131/2002 (né in quella successivamente approvata dalla DCR 190/2013 che
l’ha sostituita), per via del coordinamento necessario tra tale disposizione e
quelle di cui ai punti 5 ed 11 dello stesso documento.
Giova
riportare, per la migliore comprensione del testo, il contenuto dei suddetti
articoli, nel loro ordine numerico.
Ai
sensi del punto 5 “il rilascio delle autorizzazioni concernenti medie e
grandi strutture di vendita previste nei programmi di recupero urbano, anche se
già deliberati alla data di pubblicazione del presente Documento dai Comuni
appartenenti ad ogni ambito…..è assoggettato agli indici di cui ai punti 10 ed
11 del presente Documento”; ai sensi del punto 6 “il rilascio di
autorizzazioni concernenti medie e grandi strutture di vendita previste in
interventi che implicano decisioni istituzionali e l’impiego integrato di
risorse finanziarie a carico di una pluralità di soggetti pubblici e privati per
i quali è promosso il ricorso agli accordi di programma ed agli strumenti di
contrattazione programmata contemplati dalla normativa vigente che comportano
ai fini della localizzazione di dette strutture, variante alla strumentazione
urbanistica generale ed attuativa è assoggettato agli indici stabiliti dai
punti 10 ed 11 del presente documento, ad eccezione delle autorizzazione
relative a medie e grandi strutture di vendita di cui ai punti 12, nonché 13 e
14 laddove previsto nel presente documento”.
Ai
sensi del punto 11 “(indici per il rilascio di autorizzazioni concernenti
grandi strutture di vendita”), “ai fini del rilascio delle autorizzazioni
per l’apertura……ad esclusione delle autorizzazioni disciplinate dai punti 12,
nonché 13 e 14 laddove previsto, il limite massimo di superficie autorizzabile
per ciascuno degli ambiti territoriali è fissato, entro trenta giorni dalla
data di pubblicazione del presente Documento, con determinazione del Direttore
Regionale per lo sviluppo economico nelle rispettive misure percentuali
indicate nella tabella sotto riportata…..”
Ai
sensi del punto 12, comma 1, lett. “e” della DCR 131/2002: “non risulta
assoggettato agli indici stabiliti di cui al punto 10 ed 11 del presente
Documento il rilascio delle autorizzazioni concernenti medie e grandi strutture
di vendita che rientrino in una o più delle seguenti condizioni….”e) che
l’insediamento riguardi immobili realizzati o da realizzare…..su aree
individuate dal Comune appartenente a qualsiasi ambito a seguito di attività amministrativa
intrapresa a fini di programmazione e/o localizzazione eventualmente anche con
avviso pubblico emanato in data antecedente il 25 aprile 1999 e per le quali
sia sottoscritto uno specifico accordo di programma tra Comune e Regione”.
Dall’esegesi
dei punti indicati e riportati, emerge che il punto 5 non costituisce
un’eccezione del punto 12: il punto 5 assoggetta gli interventi di cui ai PRU,
quale quello in esame, all’applicazione dei limiti di cui al punto 10 ed 11; ma
poi è proprio il punto 11 che fa salva la deroga di cui al punto 12.
Ne
deriva che la funzione di cui al punto 5 è di includere i PRU nella più
generale programmazione di cui ai punti 10 e ss., incluse le deroghe di cui al
punto 12 che sono parte integrante delle previsioni principali costituendone
una deroga.
Quanto
alla inclusione del PRU San Basilio nelle previsioni eccezionali di cui al
menzionato punto 12, si osserva che quest’ultimo (come emerge dalle risultanze
dei documenti versati in giudizio, con particolare riferimento alla
deliberazione del Consiglio Comunale nr. 83, seduta del 27 aprile 2005): è
stato approvato in attuazione dell’art. 11 del DL 5 ottobre 1993, n. 398,
conv,. in L. 4 dicembre 1993, nr. 493 e della LR Lazio 22/1997; finanziato con
fondi di cui alla Delibera CIPE del 16 marzo 1994, ripartiti come da intesa
sottoscritta tra il Comune di Roma, il Ministero dei LLPP e la Regione Lazio
dell’11.02.1994 e come da successiva deliberazione del Consiglio Regionale del
Lazio nr. 1105 del 1 febbraio 1995; è stato preceduto da un “bando di confronto
concorrenziale”, il cui termine per la presentazione delle proposte private
risulta essere stato fissato al 30 giugno 1998 (deliberazione della GC del
Comune di Roma del n. 1679 del 15 maggio 1998); successivamente, è stato stipulato
un protocollo d’intesa tra il Comune di Roma e la Regione Lazio in data 17
marzo 2000, volto ad individuare i finanziamenti da assegnare ai PRU, tra i
quali euro 10.070.909,53 per il PRU San Basilio; sono state, inoltre, poste in
essere le previste forme di pubblicità e si sono svolte le conferenze dei
servizi cui ha preso parte la Regione Lazio (convocazione del Comune di Roma
del 3 luglio 2002, seduta decisoria del 9 giugno 2004); infine, è stato
sottoscritto accordo di programma ex art. 34 del dlgs 267 del 2000 in data 1
aprile 2005 tra l’allora Comune di Roma e la Regione Lazio.
Sussistono
pertanto tutte le condizioni per l’applicazione della “deroga” di cui al punto
12 di cui sopra (ovvero le condizioni date dall’ “avviso pubblico emanato in
data antecedente il 25 aprile 1999 e per le quali sia sottoscritto uno
specifico accordo di programma tra Comune e Regione “): si tratta,
invero, di un programma su area individuata dal Comune a seguito di attività
amministrativa intrapresa a fini di programmazione e/o localizzazione, l’avviso
pubblico è stato emanato in data antecedente il 25 aprile 1999 e per esso è
stato sottoscritto uno specifico accordo di programma tra Comune e Regione
(nello specifico, ai sensi dell’art. 34 del TUEL)
III)
Conclusivamente, l’incapienza delle quote di volumetria ai fini
dell’autorizzazione all’apertura del centro commerciale è inopponibile alla
ricorrente sia perché ciò viola la convenzione urbanistica vigente inter
partes, sia perché il limite delle quote non è applicabile al caso di
specie; pertanto, vanno ritenute fondate le censure dedotte ai motivi subb III
e IV del ricorso, conseguendone l’annullamento dell’atto impugnato, nonché
l’accertamento della sussistenza dell’obbligo a provvedere da parte della
Regione e del Comune sull’istanza di apertura del centro commerciale previsto
nel PRU San Basilio e nella relativa convenzione urbanistica, previa verifica
della conformità del progetto alle previsioni dello strumento urbanistico
vigente (che, è bene precisare, risulta variato nel 2008 con l’approvazione del
nuovo Piano Strutturale, senza che sia stata dedotta alcuna interferenza con il
nuovo livello di pianificazione del PRU in corso di attuazione) ed alle
previsioni dello stesso PRU.
Appare
evidente che l’accoglimento del gravame, nei termini siffatti, comporta che
l’esame dell’istanza andrà condotto in relazione a tutti gli aspetti ancora non
considerati dalle Amministrazioni competenti, ad eccezione del limite quantitativo
di cui si è trattato nell’odierno giudizio, che non può trovare applicazione
alla fattispecie (e dunque andranno ancora valutati la conformità del progetto
alla convenzione ed allo strumento urbanistico oggi in vigore, nonché il
perdurante ed attuale possesso da parte dell’istante dei requisiti di legge per
contrarre con la PA ai fini dell’esecuzione dell’accordo, e così via).
Le
spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo
accoglie nei sensi e limiti di cui in motivazione.
Condanna
le resistenti, in solido tra loro, alle spese di lite che liquida in euro
2.500,00 (duemilacinquecento/00) oltre accessori come per legge e rimborso del
contributo unificato in favore della parte ricorrente.
Ordina
che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma nella camera di consiglio del 2 aprile 2015- 7 maggio 2015 con
l'intervento dei magistrati:
Giuseppe
Rotondo, Presidente FF
Mariangela
Caminiti, Consigliere
Salvatore
Gatto Costantino, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA
IN SEGRETERIA
Il
28/07/2015
IL
SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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