Tutti sappiamo che è argomento di strettissima attualità politica e giuridica (leggi ex multis interventi della Corte di Giustizia) e (forse) di prossimo interesse de iure condendo. Nondimeno, ad oggi, la disciplina è la medesima della "blanda" legge n. 117/1988.
Diamo quindi un rapido sguardo alla materia de iure condito.
P.S.: vi segnalo un'intervista del magistrato Bruno Tinti a "Italia Oggi" (pag. 5) sul CSM, additato come strumento di promozione del clientelismo e del corporativismo delle correnti della magistratura e non di "autogoverno" della stessa nell'interessa della legge, della giustizia e dei cittadini (Bruno Tinti: "CSM: crocevia di tutti i traffici").
La responsabilità civile, penale e disciplinare dei magistrati.
1. La materia
della responsabilità civile dei magistrati è disciplinata dalla L. n.
117/1988. La responsabilità civile determina sempre quella
disciplinare (artt. 9-10), mentre non è vero il contrario. Diversamente, la
responsabilità penale implica sempre quella civile, ma non è vero il contrario.
Il co. 1
chiarisce che le disposizioni si applicano a tutti gli
appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile, militare e
speciali, che esercitano l'attività giudiziaria, indipendentemente dalla natura
delle funzioni, nonché agli estranei che partecipano all'esercizio della
funzione giudiziaria.
La responsabilità civile del magistrato
comunque è indiretta:
si cita in giudizio lo Stato, in persona del Presidente del C.d.M., davanti al
tribunale del capoluogo individuato ai sensi dell’art. 11 c.p.p.; in seguito
alla condanna lo Stato agirà in rivalsa (entro 1 anno; vd. art. 7 infra).
La responsabilità civile del magistrato
può verificarsi (co.
2):
1. per effetto di “[…]
comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal
magistrato con dolo o colpa grave
nell'esercizio delle sue funzioni […]”. I giudici di pace ed i giudici
popolari rispondono soltanto per dolo
(art. 7 co. 3).
2. per diniego di giustizia, ossia (art. 3 co. 1) “[…]
il rifiuto, l'omissione o
il ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio quando,
trascorso il termine di legge per il compimento dell'atto, la parte ha
presentato istanza per ottenere il provvedimento e sono decorsi inutilmente,
senza giustificato motivo, trenta giorni
dalla data di deposito in cancelleria. Se il termine non è previsto,
debbono in ogni caso decorrere inutilmente trenta giorni dalla data del
deposito in cancelleria dell'istanza volta ad ottenere il provvedimento […]”.
Il
termine di 30 giorni è derogato in due
casi:
2.1 art.
3 co. 3: “Quando l'omissione o il ritardo
senza giustificato motivo concernono la libertà personale dell'imputato, il
termine di cui al comma 1 è ridotto a cinque
giorni, improrogabili, a decorrere dal deposito dell'istanza o coincide con
il giorno in cui si è verificata una situazione o è decorso un termine che
rendano incompatibile la permanenza della misura restrittiva della libertà
personale”.
2.2 l’art.
3 co. 2 “[…] Il termine di trenta giorni può essere
prorogato, prima della sua scadenza, dal dirigente dell'ufficio con decreto
motivato non oltre i tre mesi dalla
data di deposito dell'istanza. Per la redazione di sentenze di particolare
complessità, il dirigente dell'ufficio, con ulteriore decreto motivato adottato
prima della scadenza, può aumentare fino ad altri tre mesi il termine di cui
sopra”..
Cause di esclusione della
responsabilità civile: art. 2 co. 2: “[…] non può dar luogo a responsabilità
l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del
fatto e delle prove”.
Precisazione
interpretativa: costituisce
“colpa grave” ai sensi dell’art. 2 co. 3:
a) la
grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;
b) l'affermazione, determinata da
negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente
esclusa dagli atti del procedimento;
c) la
negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza
risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;
d) l'emissione
di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti
dalla legge oppure senza motivazione”.
L’art.
7 disciplina invece l’azione di rivalsa dello Stato in
caso di condanna del magistrato; al co. 1
prevede
che “Lo Stato in concreto il
Presidente del C.d.M.), “entro un anno dal risarcimento avvenuto
sulla base di titolo giudiziale o di titolo stragiudiziale stipulato dopo la
dichiarazione di ammissibilità di cui all'articolo 5, esercita l'azione di
rivalsa nei confronti del magistrato”.
L’art. 13 disciplina la responsabilità civile derivante da fatti costituenti reato,
stabilendo al riguardo che vigono le regole ordinarie, quindi secondo l’art. 28
Cost., 22 d.P.R. n. 3/1957 e più in generale secondo l’art. 2043 c.c.
sull’illecito aquiliano.
“1. Chi ha subito un danno in conseguenza di
un fatto costituente reato commesso dal magistrato nell'esercizio delle sue
funzioni ha diritto al risarcimento nei confronti del magistrato e dello Stato.
In tal caso l'azione civile per il risarcimento del danno ed il suo esercizio
anche nei confronti dello Stato come responsabile civile sono regolati dalle
norme ordinarie”.
2. All'azione di
regresso dello Stato che sia tenuto al risarcimento nei confronti del
danneggiato si procede altresì secondo le norme ordinarie relative alla
responsabilità dei pubblici dipendenti”..
L’accertamento
della responsabilità disciplinare si
svolge nelle forme previste dall’art. 9 (per
i giudici contabili dell’art. 10), I presupposti
sono i medesimi della responsabilità
civile, anche se
“1. Il procuratore generale presso la Corte di cassazione per i magistrati
ordinari o il titolare dell'azione disciplinare negli altri casi devono
esercitare l'azione disciplinare nei confronti del magistrato per i fatti che hanno dato causa all'azione
di risarcimento, salvo che non sia stata già proposta, entro due mesi dalla
comunicazione di cui al comma 5 dell'articolo 5. Resta ferma la facoltà del
Ministro di grazia e giustizia di cui al secondo comma dell'articolo 107 della
Costituzione.
2. Gli atti del giudizio
disciplinare possono essere acquisiti, su istanza di parte o d'ufficio, nel
giudizio di rivalsa.
3. La
disposizione di cui all'articolo 2, che circoscrive la rilevanza della colpa ai
casi di colpa grave ivi previsti, non si applica nel giudizio disciplinare”.
2. In merito alla
responsabilità penale dei magistrati, vigono le ordinarie regole.
Essendo un p.u. i reati (propri quindi) più frequenti, ovviamente, sono quelli
contro l’amministrazione della giustizia e contro la P.A. Esemplificando:
abuso d’ufficio, corruzione, corruzione in atti giudiziari, concussione,
omissione di atti d’ufficio, etc.
Parallelamente, può rivestire la qualità di persona offesa,
unitamente allo Stato, dei reati commessi dai privati in danno della pubblica
amministrazione (l’ipotesi tipica è quella dell’oltraggio e, in particolare,
dell’oltraggio in danno di magistrato in udienza).
3. Quanto
alla responsabilità disciplinare, si è detto che
c’è sempre in caso di responsabilità civile (e di rimando in caso di
responsabilità penale), tuttavia rispetto
quest’ultima è più ampia. E’ disciplinata dal D.Lgs. n. 109/2006. E’ operata una tripartizione
tra illeciti disciplinari nell’esercizio delle funzioni (art. 2), al di fuori di esse (art.
3), e conseguenti ad un
reato (art. 4).
Le
sanzioni disciplinari sono (art. 5):
a) l'ammonimento;
b) la censura;
c) la perdita dell'anzianità;
d) l'incapacità temporanea a esercitare un incarico direttivo o semidirettivo;
e) la sospensione dalle funzioni da tre mesi a due anni;
f) la rimozione.
c) la perdita dell'anzianità;
d) l'incapacità temporanea a esercitare un incarico direttivo o semidirettivo;
e) la sospensione dalle funzioni da tre mesi a due anni;
f) la rimozione.
La titolarità
dell’azione disciplinare spetta (art. 14 co. 1) al Ministro della Giustizia ed al Procuratore Generale
presso la Cassazione. Al termine del
procedimento disciplinare decide con sentenza la Sezione disciplinare del
C.S.M. (art. 19).
L’art. 20 disciplina i rapporti tra il procedimento
disciplinare ed i giudizi civile e penale.
“1. L'azione disciplinare è promossa
indipendentemente dall'azione civile di risarcimento del danno o dall'azione
penale relativa allo stesso fatto, ferme restando le ipotesi di sospensione dei
termini di cui all'articolo 15, comma 8.
2. Hanno autorità di cosa giudicata nel
giudizio disciplinare quanto all'accertamento della sussistenza del fatto,
della sua illiceità penale e dell'affermazione che l'imputato lo ha commesso:
a) la sentenza penale irrevocabile di condanna;
a) la sentenza penale irrevocabile di condanna;
b) la sentenza irrevocabile prevista
dall'articolo 444, comma 2, del codice di procedura penale.
3. Ha autorità di cosa giudicata nel giudizio disciplinare quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione”.
3. Ha autorità di cosa giudicata nel giudizio disciplinare quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione”.
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