PROCESSO:
la soccombenza virtuale
nei casi di improcedibilità del ricorso
(Cons. St., Sez. III,
sentenza 10 dicembre 2013 n. 5913).
Massima
Nel processo amministrativo, ai sensi degli artt. 26 c.p.a. e 92 comma 2, c.p.c. il giudice, qualora dichiari cessata la materia del contendere per l'intervenuta soddisfazione, nel corso del giudizio, dell'interesse azionato dal ricorrente, deve valutare, ove persista contrasto tra le parti in ordine alla sola regolamentazione delle spese giudiziali, quale sarebbe stato l'esito del giudizio, nell'ipotesi in cui tale interesse non fosse stato soddisfatto dall'Amministrazione, secondo il criterio della c.d. soccombenza virtuale.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7320 del 2013,
proposto da:
Avv. Michele Biamonte, rappresentato e difeso da sé stesso, con domicilio eletto presso l’Avv. Vincenzo Cotardo in Roma, via Appia Pignatelli, n. 292;
Avv. Michele Biamonte, rappresentato e difeso da sé stesso, con domicilio eletto presso l’Avv. Vincenzo Cotardo in Roma, via Appia Pignatelli, n. 292;
contro
Ministero della Salute, in persona del Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura
Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE III
QUA n. 01735/2013, resa tra le parti, concernente l’esecuzione della sentenza
n. 7680/2007, emessa dal Giudice di pace di Roma – pagamento di somme per
prestazioni professionali
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero
della Salute;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 28
novembre 2013 il Cons. Massimiliano Noccelli e uditi per le parti l’Avv. Ciaffi
su delega dell’Avv. Biamonte e l’Avvocato dello Stato Bacosi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con sentenza n. 7680 del 28.2.2007, passata in
giudicato, il Giudice di Pace di Roma condannava il Ministero della Salute a
pagare in favore dell’Avv. Michele Biamonte, attuale appellante, la somma di €
2.182,12, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo e alle spese di
lite.
2. L’interessato, dopo aver notificato il precetto ed
aver inutilmente esperito il pignoramento presso terzi nei confronti della
Banca d’Italia, adiva il T.A.R. Lazio al fine di ottenere il pagamento di
quanto liquidatogli nel predetto titolo esecutivo giudiziale, somma che,
comprensiva di sorte, interessi e spese di lite, ascendeva a complessivi €
3.680,09.
3. Solo nelle more del giudizio di ottemperanza, così
incardinato avanti al T.A.R. Lazio, il Ministero della Salute corrispondeva al
creditore la somma di € 2.621,55, a titolo di sorte capitale comprensiva di
interessi, nonché € 815,88, a saldo della fattura n° 61/2012, emessa dal
ricorrente, a titolo di spese e competenze liquidate in suo favore dal Giudice
di Pace di Roma.
4. Il T.A.R. Lazio, preso atto dell’intervenuto
pagamento, con la sentenza n. 1735 del 16.2.2013, dichiarava cessata la materia
del contendere, compensando le spese del giudizio di ottemperanza tra le parti
per la ritenuta sussistenza di non meglio specificati “giusti motivi”.
5. Avverso tale sentenza, nella parte in cui ha
disposto l’integrale compensazione delle spese giudiziali tra le parti, ha proposto
appello l’interessato, censurandone l’erroneità, l’irragionevolezza e la
contrarietà a qualsivoglia principio di giustizia per aver così statuito,
quanto alle spese del giudizio, senza esprimere le ragioni di siffatta
decisione.
6. Per resistere a tale ricorso si è costituito, con
mera memoria di stile, l’appellato Ministero.
7. Nella camera di consiglio del 28.11.2013 il
Collegio, uditi i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.
8. L’appello deve essere accolto.
9. Il giudice di prime cure non ha fatto buon governo
delle regole e dei principi che, ai sensi dell’art. 26 c.p.a. (del resto sulla
falsariga delle corrispondenti disposizioni del c.p.c., applicate de plano
anche nel processo amministrativo prima dell’emanazione del relativo codice),
disciplinano la liquidazione delle spese giudiziali nel processo
amministrativo.
10. Alla stregua di tali regole e di tali principi
appare evidente, infatti, che il giudice, qualora dichiari cessata la materia
del contendere per l’intervenuta soddisfazione, nel corso del giudizio,
dell’interesse azionato dal ricorrente, deve valutare, ove persista contrasto
tra le parti in ordine alla sola regolamentazione delle spese giudiziali, quale
sarebbe stato l’esito del giudizio, nell’ipotesi in cui tale interesse non
fosse stato soddisfatto dall’Amministrazione, secondo il criterio della c.d.
soccombenza virtuale.
11. Ciò non è avvenuto, nel caso di specie, poiché il
giudice di prime cure, nell’adottare la motivazione apodittica e stereotipa dei
“giusti motivi”, motivazione, peraltro, non più rispondente all’attuale
previsione letterale dell’art. 92, comma secondo, c.p.c., che contempla la ben
più incisiva e restrittiva formula, introdotta dalla riforma del 2009, delle “gravi
ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione”, ha
omesso di verificare secondo il cennato criterio della soccombenza virtuale,
pur nel persistente contrasto tra le parti circa la liquidazione delle spese,
quale sarebbe stato l’esito ipotetico del giudizio e di esplicitare, nonostante
tale esito, quali “gravi ed eccezionali ragioni” potessero eventualmente
giustificare la compensazione delle relative spese tra le parti.
12. Appare dunque chiaro l’error in procedendo,
per violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 26 c.p.a.
e dell’art. 92, comma secondo, c.p.c., nel quale è incorso il primo giudice,
omettendo tale doverosa verifica e compensando immotivatamente le spese del
giudizio.
13. Al contrario netta appariva la soccombenza
dell’Amministrazione, che solo dopo la notifica del ricorso per ottemperanza si
era risolta a pagare quanto dovuto al ricorrente in forza di un titolo
esecutivo giudiziale ormai intangibile perché coperto dal giudicato, e chiara
appariva, altresì, la mancanza di gravi ed eccezionali ragioni, non
rappresentate dall’Amministrazione e, comunque, non esplicitate in alcun modo
dal giudice, che giustificassero la compensazione delle spese del giudizio.
14. Sul piano principio di causalità, che presiede
alla regolamentazione delle spese giudiziali anche in ipotesi di soccombenza
virtuale, non poteva e non può non considerarsi, infatti, che proprio l’inerzia
dell’Amministrazione aveva costretto il ricorrente ad intraprendere il giudizio
di ottemperanza, sostenendone le relative spese, sicché la necessità di
ricorrere in giudizio per ottener ragione, secondo l’antico principio, non
doveva tornare in danno di chi aveva ragione, anche in punto di spese
processuali a tal fine sostenute.
15. E’ vero che nella prassi del giudizio
amministrativo è molto frequente la compensazione delle spese fra le parti; e
non è inusuale che a tal fine si adotti la formula dei “giusti motivi” non
meglio specificati; questa prassi può avere una sua spiegazione con riferimento
alle particolari caratteristiche del contenzioso amministrativo. Ma non è
questa la sede per approfondire l’analisi e la critica di tale fenomeno. E’
sufficiente osservare che nella fattispecie si discute di un giudizio di
ottemperanza di sentenza passata in giudicato con condanna al pagamento di una
(invero modesta) somma di denaro in favore del ricorrente; giudizio di
ottemperanza reso necessario per la perdurante inadempienza
dell’amministrazione debitrice. Non è dunque ipotizzabile alcuna delle ragioni
(ad es. incertezza dell’intrpretazione di un quadro normativo complesso,
opinabilità dei motivi di ricorso basati su concetti quali l’insufficienza
della motivazione, etc.) che abitualmente si compendiano nella formula dei
“giusti motivi”
16. Ne discende che la sentenza impugnata merita
riforma, quanto alla liquidazione delle spese giudiziali del primo grado, che
quel Giudice ha erroneamente compensato.
Allo stesso modo, e seguendo la stessa logica, debbono
essere liquidate in favore dell’interessato anche le spese del grado di
appello.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,
lo accoglie e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata,
condanna il Ministero della Salute a pagare in favore di Michele Biamonte le
spese del primo grado di giudizio, che liquida nell’importo di € 2.000,00,
oltre gli accessori dovuti per legge (fra i quali anche il rimborso del
contributo unificato, se versato).
Condanna altresì il Ministero della Salute a pagare in
favore di Michele Biamonte le spese del presente grado di giudizio, che liquida
nell’importo di € 2.000,00, oltre gli accessori di legge come sopra.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 28 novembre 2013 con l’intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere
Dante D'Alessio, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/12/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.)
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