"MEMOIRES D'UN JURISTE":
perché la giurisdizione speciale amministrativa
è ancora attuale
(C.G.A., Sez. I, sentenza 27 luglio 2012 n. 725).
(C.G.A., Sez. I, sentenza 27 luglio 2012 n. 725).
L'ottemperanza delle sentenze civili: perché si è istituita nel 1889 la IV Sezione del Consiglio di Stato e perché, ancora oggi, la soppressione della giurisdizione speciale amministrativa sia lesiva del diritto alla tutela giurisdizionale effettiva dei cittadini.
Stralcio della sentenza
Nondimeno, il giudizio di
ottemperanza – che, per sua natura, è un giudizio c.d. misto: di esecuzione e
di cognizione – è, in molti casi, un giudizio (quantomeno anche) di esecuzione.
Tra questi casi, si annoverano certamente quelli in cui la parte
ricorrente adisce il giudice amministrativo per ottenere l’esecuzione di
provvedimenti giurisdizionali (assai spesso del giudice civile) da cui
scaturiscono obbligazioni pecuniarie della pubblica amministrazione rimaste
inadempiute (caso, purtroppo, patologicamente per nulla raro).
Complice la sempre minore incisività del processo esecutivo
ordinario – che nei confronti della pubblica amministrazione continua a
scontare anche quella secolare timidezza del giudice ordinario che, nel 1889,
indusse a superare la c.d. giurisdizione monista scaturita, nel 1865,
dall’abolizione del c.d. contenzioso amministrativo: si pensi alla difficoltà
pratica di ottenere efficaci provvedimenti giudiziali, ex artt. 610 o 612, nei confronti
delle pubbliche amministrazioni tenute a consegnare o rilasciare beni
utilizzati per l’esercizio di pubbliche funzioni, o a fare o a non fare
attività interferenti con tali funzioni, quand’an-che il creditore di tali
prestazioni sia munito di un titolo esecutivo ormai inoppugnabile e, dunque,
rispetto al quale non possa più configurarsi alcun residuo ambito di
discrezionalità, stante la piena doverosità dell’adempimento di ogni
statuizione del giudice passata in giudicato o, comunque, esecutiva – è ormai
assai frequente il ricorso al giudizio di ottemperanza, anche per ottenere
risultati che, fuori dalle patologie odierne, si potrebbero conseguire
spontaneamente o, al più, mediante il processo esecutivo ordinario.
Pure in tali casi, non v’è dubbio che il giudizio di ottemperanza
resti unicamente regolato dalle proprie regole, senza interferenze di quelle
processualcivilistiche.
Nondimeno, ciò non toglie che – per specifici ambiti, presi
partitamente in considerazione dalla legge – le modalità di esercizio del
potere amministrativo sul piano sostanziale e, correlativamente, le condizioni
per esperibilità del giudizio di ottemperanza sul piano processuale, possano
avere ulteriori fonti disciplinari esterne al codice del processo
amministrativo; che, sebbene cronologicamente ad esso precedenti, non ne sono
state caducate in ragione della loro specialità.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
epigrafe
in sede
giurisdizionale, ha pronunciato la seguente
|
S E N T E N Z A
sul
ricorso in appello n. 104/2012, proposto da
RAINERI DANIELA,
rappresentata
e difesa dall’avv. Sergio Agrifoglio, elettivamente domiciliata in Palermo, via
Brunetto Latini n. 34, presso lo studio ello stesso;
c o n t r o
il
MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale
dello Stato, presso i cui uffici in Palermo, via A. De Gasperi n. 81, è per
legge domiciliato;
per la riforma
della
sentenza del T.A.R. per la Sicilia - Sede di Palermo (sez. III) - n. 29 del
12 gennaio 2012.
Visto
il ricorso, con i relativi allegati;
Visto
l’atto di costituzione in giudizio del Ministero intimato;
Visti
gli atti tutti del giudizio;
Relatore,
alla camera di consiglio del 10 maggio 2012, il Consigliere Ermanno de
Francisco;
Uditi
altresì l’avv. S. Agrifoglio per l’appellante e l’avv. dello Stato Tutino per
il ministero appellato;
Ritenuto
in fatto e considerato in diritto quanto segue.
F A T T O
Viene
in decisione l’appello avverso la
sentenza indicata in epigrafe che ha
dichiarato inammissibile – per mancato decorso del termine dilatorio ex art. 14
D.L. 31 dicembre 1996, n. 669 – il ricorso dell’odierna appellante per
l’ottemperanza del giudicato formatosi sulla sentenza del Tribunale ordinario
di Palermo, sezione lavoro, 24 novembre 2010, n. 3506.
All’odierna
udienza camerale la causa è passata in decisione.
D I R I T T O
1. – Il giudice di primo
grado ha rilevato d’ufficio che l’azione per l’ottemperanza fosse stata
proposta senza previamente porre in essere la precondizione, ritenuta essenziale,
di cui all’art. 14 del cit. D.L. n. 669/1996, secondo cui “Le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici non economici
completano le procedure per l’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e
dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l’obbligo di
pagamento di somme di danaro entro il termine di centoventi giorni dalla
notificazione del titolo esecutivo. Prima di tale termine il creditore non può
procedere ad esecuzione forzata né alla notifica di atto di precetto”,
rendendo così la declaratoria d’inammissibilità di cui alla superiore narrativa
in fatto.
La
sentenza è qui impugnata con un unico motivo di appello, che deduce “violazione e falsa applicazione dell’art.
114 c.p.a.; violazione e falsa applicazione dell’art. 14, cc. 1 e 1-bis, D.L.
n. 669/96, convertito in L. n. 30/96” (rectius:
n. 30/1997).
In
sintesi, l’appellante deduce che nel giudizio d’ottemperanza, non occorrendo ex
art. 114 c.p.a. alcuna “previa diffida”, neppure sia necessaria la preventiva
notificazione della sentenza ottemperanda.
Sostiene,
altresì, che il giudizio d’ottemperanza non è un processo esecutivo, né
comunque ha ad oggetto il pagamento di una somma certa e determinata di denaro;
avuto anche riguardo al fatto che, nella specie, l’ottemperanza al giudicato si realizzerebbe soltanto mediante la
liquidazione di un trattamento vitalizio, che attende ancora di essere
determinato nel quantum e nel quando. Ciò che renderebbe evidente la
radicale differenza del giudizio in questione da quello esecutivo, col
corollario che non potrebbe essere assoggettato alle condizioni poste dalla legge per l’esperimento di quest’ultimo (in
particolare, la preventiva notifica del titolo e il decorso di 120 giorni).
Evidenzia
anche la divergenza da altre sentenze di primo grado, nonché l’omessa
formulazione di alcuna eccezione in proposito da parte dell’Avvocatura dello
Stato, pur se costituitasi già in prime cure.
In
subordine, l’appellante richiede ordinarsi l’ottemperanza della sentenza,
almeno limitatamente alla parte in cui essa reca una condanna a una prestazione
di facere (la determinazione del
vitalizio), ove mai non la si ritenesse ottemperabile per le prestazioni di dare.
L’appello, tuttavia, appare interamente infondato.
2. – Indubbiamente, il giudizio di ottemperanza può
essere proposto “anche senza previa
diffida”, ex art. 114 cit.
Nondimeno, siffatta previsione normativa è da
ritenere del tutto inconferente rispetto alla questione in esame – che, giova
precisarlo, riguarda la necessità o meno del previo decorso del termine di 120
giorni dalla notifica del titolo esecutivo per potersi instaurare il giudizio
di ottemperanza, per le sentenze ottemperande “comportanti
l'obbligo di pagamento di somme di danaro” –
giacché alla preventiva notifica di una diffida (allorquando era prevista come
obbligatoria dalla legge) era da riconnettere valenza analoga a quella del
precetto.
Infatti quest’ultimo, non diversamente dalla
diffida, “consiste nell’intimazione di
adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo entro un termine” (art.
480 c.p.c.): termine che, per il precetto, è “non minore di dieci giorni” (art. 480, cit.); mentre, per la
diffida, era di almeno trenta giorni (“non
prima di trenta giorni da quello in cui l'autorità amministrativa sia stata
messa in mora di provvedere”, ex art. 90 R.D. 17 agosto 1907, n. 642).
Una volta chiarita, dunque, tale completa
corrispondenza della diffida al precetto, risulta evidente che la superfluità
della diffida altro non implica che la non necessità della preventiva notifica
di un atto di precetto, affinché si possa agire in ottemperanza.
Tale notifica, peraltro, non è mai stata richiesta:
giacché, da un lato, era surrogata dalla diffida; e, soprattutto, non era
richiesta che quale condizione per la proposizione dell’azione esecutiva
davanti al giudice ordinario, ma non già come condizione per introdurre
l’azione d’ottemperanza (neppure allorché essa, nella sua prima formulazione,
era volta “ad ottenere l’adempimento
dell’obbligo dell’autorità amministrativa di conformarsi, in quanto riguarda il
caso deciso, al giudicato dei Tribunali che abbia riconosciuto la lesione di un
diritto civile o politico”: essenzialmente, dunque, al giudicato civile).
Per concludere sul punto: posto che la diffida
equivale(va) al precetto, l’essersi svincolata da essa l’azione d’ottemperanza
nulla implica per la necessità, o meno, di previa notifica del titolo
esecutivo.
3. – Davanti al giudice ordinario,
l’esperimento dell’azione ese-cutiva dev’essere di norma preceduto dalla
notifica (oltre che del precetto, di cui s’è già detto) del titolo esecutivo
(con poche eccezioni, previste dalla legge); non, però, per un’intima esigenza
logica del processo esecutivo, bensì perché ciò è richiesto dall’art. 479
c.p.c.
Davanti al giudice amministrativo, ai fini
dell’esperimento del giudizio d’ottemperanza, tale incombente, di norma, non è
richiesto: infatti, l’art. 91 R.D. 17 agosto 1907, n. 642, imponeva la
produzione in giudizio della sentenza ottemperanda, non la sua notificazione
(e, si noti, fino all’entrata in vigore dell’art. 114 c.p.a. non era necessaria
neppure la preventiva notificazione del ricorso in ottemperanza, ex art. 91
cit.: cfr., in proposito, C.G.A., ord. 6 maggio 2008, n.
428).
Di
recente, invece, il cit. art. 114 c.p.a. ha stabilito che, anche nel giudizio
d’ottemperanza, “L’azione si propone con
ricorso notificato alla pubblica amministrazione e a tutte le altre parti”.
In
ogni caso, continua a non essere richiesta in termini generali la preventiva
notifica del titolo da ottemperare: infatti, il comma 2 del cit. art. 114
prescrive soltanto che “Unitamente al
ricorso è depositato in copia autentica il provvedimento di cui si chiede
l’ottemperanza, con l’eventuale prova del suo passaggio in giudicato”
(giacché, ex art. 112, comma 2, c.p.a., non sempre il giudizio di ottemperanza
postula il giudicato: cfr. la relativa lett. b)).
Concludendo
sul punto: per il giudizio di ottemperanza il c.p.a. non richiede, di norma, la
previa notificazione del titolo ottemperando.
4. – Nondimeno, il giudizio di ottemperanza –
che, per sua natura, è un giudizio c.d. misto: di esecuzione e di cognizione –
è, in molti casi, un giudizio (quantomeno anche) di esecuzione.
Tra questi casi, si annoverano certamente quelli in
cui la parte ricorrente adisce il giudice amministrativo per ottenere
l’esecuzione di provvedimenti giurisdizionali (assai spesso del giudice civile)
da cui scaturiscono obbligazioni pecuniarie della pubblica amministrazione
rimaste inadempiute (caso, purtroppo, patologicamente per nulla raro).
Complice la sempre minore incisività del processo
esecutivo ordinario – che nei confronti della pubblica amministrazione continua
a scontare anche quella secolare timidezza del giudice ordinario che, nel 1889,
indusse a superare la c.d. giurisdizione monista scaturita, nel 1865,
dall’abolizione del c.d. contenzioso amministrativo: si pensi alla difficoltà
pratica di ottenere efficaci provvedimenti giudiziali, ex artt. 610 o 612, nei
confronti delle pubbliche amministrazioni tenute a consegnare o rilasciare beni
utilizzati per l’esercizio di pubbliche funzioni, o a fare o a non fare
attività interferenti con tali funzioni, quand’an-che il creditore di tali
prestazioni sia munito di un titolo esecutivo ormai inoppugnabile e, dunque,
rispetto al quale non possa più configurarsi alcun residuo ambito di
discrezionalità, stante la piena doverosità dell’adempimento di ogni
statuizione del giudice passata in giudicato o, comunque, esecutiva – è ormai
assai frequente il ricorso al giudizio di ottemperanza, anche per ottenere
risultati che, fuori dalle patologie odierne, si potrebbero conseguire
spontaneamente o, al più, mediante il processo esecutivo ordinario.
Pure in tali casi, non v’è dubbio che il giudizio di
ottemperanza resti unicamente regolato dalle proprie regole, senza interferenze
di quelle processualcivilistiche.
Nondimeno, ciò non toglie che – per specifici
ambiti, presi partitamente in considerazione dalla legge – le modalità di
esercizio del potere amministrativo sul piano sostanziale e, correlativamente,
le condizioni per esperibilità del giudizio di ottemperanza sul piano
processuale, possano avere ulteriori fonti disciplinari esterne al codice del
processo amministrativo; che, sebbene cronologicamente ad esso precedenti, non
ne sono state caducate in ragione della loro specialità.
5. – È questo il caso del precetto normativo
introdotto dal cit. art. 14 (di cui, ai nostri fini, viene in rilievo
unicamente il comma 1).
Il cui primo periodo pone, palesemente, un precetto
sostanziale: le pubbliche amministrazioni devono eseguire le sentenze e ogni
altro atto giurisdizionale “aventi
efficacia esecutiva e comportanti
l’obbligo di pagamento di somme di danaro” (in altri
termini: i provvedimenti giurisdizionali esecutivi da cui scaturiscono
obbligazioni pecuniarie) senza attendere l’esecuzione forzata e, perciò, “entro il termine di centoventi giorni dalla
notificazione del titolo esecutivo”.
Correlativamente
il secondo periodo dello stesso comma 1 pone un precetto di natura
indubbiamente processuale: il creditore di tali prestazioni non può procedere
ad esecuzione forzata, né alla notifica dell’atto di precetto (perché
quest’ultimo comporta ineluttabilmente ulteriori oneri patrimoniali per
l’esecutato, incrementando il debito per la sorte con i corrispondenti diritti
previsti dalla tariffa forense), prima che sia decorso il termine di centoventi
giorni dalla notifica del titolo.
Da
una mera esegesi sistematica dei due commi, risulta chiaro che il loro
combinato disposto ha inteso rendere obbligatoria, sempre e in ogni caso, la
preventiva notifica del titolo esecutivo, come condizione di ammissibilità
dell’esecuzione forzata.
Proprio
perché si tratta di un precetto che ha, insieme, finalità e natura sostanziali
e processuali, sarebbe incongruo limitarne la portata unicamente al processo
esecutivo disciplinato dal codice di rito civile.
Peraltro,
scaturendo tale precetto da una fonte esterna a detto codice, la quale neppure
sul piano letterale reca alcun riferimento al processo esecutivo di cui
relativo libro III, sembra palesemente trattarsi di un precetto che debba avere
generale applicazione, dunque a prescindere dall’ambito giurisdizionale di cui
il creditore si avvalga per azionare esecutivamente il proprio credito.
Diversamente
opinando, infatti, sarebbe vanificata l’effettività del precetto nella sua
interezza (ossia anche in riferimento alla relativa porzione sostanziale),
giacché l’amministrazione non sarebbe posta in condizione di adempiere i propri
debiti, al netto di ogni ipotetico onere ulteriore, alla sola condizione di
esitare le procedure di pagamento nel termine fissato dal comma 1 di detto art.
14: e ciò, da un lato, perché, se non si ritiene obbligatoria la preventiva
notifica del titolo, tale termine neppure inizierebbe mai a decorrere; nonché,
dall’altro lato, perché la potenziale instaurazione immediata del giudizio di
ottemperanza (prima che le procedure di pagamento spontaneo, pur se tempestive
e sollecite, siano completate) potrebbe comportare – contro l’espressa volontas legis – l’implementazione del
credito con le relative spese giudiziali (che andrebbero liquidate in ogni caso
in base alla soccombenza virtuale; e di cui ormai il combinato disposto degli
artt. 26 c.p.a. e 91 c.p.c. preclude, salvo ragioni eccezionali, ogni facoltà
di compensazione).
Ciò
induce a ritenere senz’altro, e riassuntivamente, che:
1)
l’obbligo della preventiva notifica del titolo esecutivo, nonché il correlativo
termine di grazia di centoventi giorni, stabiliti dal cit. art. 14, sussistono
in relazione a ogni credito pecuniario verso pubbliche amministrazioni;
2)
limitatamente a tale tipo di obbligazioni, senza la preventiva notifica del
titolo e finché pende il termine conseguente, “il creditore non può procedere ad esecuzione forzata” in nessuna
forma: né per espropriazione, ai sensi del codice di procedura civile; né in
sede di ottemperanza, ai sensi del codice del processo amministrativo;
3)
altrimenti, se è stata omessa (come nel caso in esame) la preventiva notificazione
del titolo, l’esecuzione – in qualunque forma e sede essa sia stata intrapresa
– è inammissibile; ovvero, se sia stata attivata nella pendenza del termine
predetto, è improcedibile fino alla sua infruttuosa scadenza (ma non è questo
il caso trattato);
4)
in ogni caso, la ragione ostativa dell’esecuzione forzata è soggetta a rilievo
d’ufficio, afferendo a una condizione dell’azione.
5. – Quanto alle ulteriori argomentazioni
svolte dall’appellante, deve evidenziarsi che:
a) pur se il giudizio di ottemperanza non si
identifica tout court con il processo
esecutivo, nondimeno esso (come si è già detto) ha natura mista, sicché è anche
un procedimento esecutivo (ovviamente diverso da quello disciplinato dal codice
di procedura civile e che si svolge davanti al Tribunale ordinario);
b) la sentenza ottemperanda, diversamente da quanto
sostiene parte appellante, reca indubbiamente, in dispositivo, la condanna al
pagamento di somme di denaro (ossia un’obbligazione pecuniaria): essa, infatti,
reca “condanna … a corrisponderli [i
benefici previsti dalla legge n. 210/92] con
decorrenza di legge e con interessi legali e rivalutazione monetaria secondo
indici ISTAT a decorrere dal 121° giorno successivo, disponendo che l’importo
dovuto a titolo d’interessi sia portato in detrazione da quello dovuto per
rivalutazione” (quest’ultima statuizione è resa in palese applicazione del
combinato disposto degli artt. 16, comma 6, legge 30 dicembre 1991, n. 412, e
22, comma 36, legge 23 dicembre 1994, n. 724, ossia di norme indubbiamente
riferite alle sole obbligazioni pecuniarie);
c) eventualmente, potrebbe sostenersi che la
sentenza sia stata alquanto lacunosa nell’indicazione specifica del quantum debeatur: ma tale profilo di
criticità – peraltro assai difuso in molte sentenze di condanna, e soprattutto
in quelle della magistratura del lavoro, qual è la sentenza della cui
ottemperabilità qui trattasi – non altera la natura pecuniaria
dell’obbligazione ivi recata, né sembra comportarne nullità;
d) correlativamente, è da escludere che la sentenza
in questione rechi condanna a un facere
(e non sia, perciò, titolo esecutivo: anche perché lo sarebbe egualmente, pur
se non fosse, secondo tale tesi di parte che non si condivide, fonte di
un’obbligazione pecuniaria), dato che si è visto trattarsi di condanna a un dare, avente a oggetto una somma di
denaro (ossia un’obbligazione pecuniaria, cui dunque si applica il più volte
ricordato art. 14); al più si potrebbe opinare che – come s’è già visto
accadere assai spesso in tante sentenze di condanna al pagamento di somme – la
“sintetica” modalità di redazione della sentenza richieda una preventiva
attività di “liquidazione” del credito, ma non c’è dubbio che a tale profilo,
palesemente afferente al merito dell’azione esecutiva, non possa attingere il
giudice che non riscontri sussistente altra e preliminare condizione legale
dell’azione esperita;
e) da ultimo, nessun rilievo può riconnettersi alla
circostanza che la difesa erariale non abbia svolto, in proposito, alcuna
eccezione, giacché la verifica delle condizioni dell’azione (anche esecutiva)
non è materia di c.d. eccezioni proprie, bensì è rimessa a poteri ex officio: né è stato dedotto alcun
vizio di violazione dell’art. 73, comma 3, c.p.a.
6. – Effettualmente, il titolo che è stato
direttamente azionato in ottemperanza andrà invece previamente notificato
all’amministrazione debitrice; e ogni azione esecutiva – in sede civile o in
ottemperanza – potrà essere riproposta unicamente dopo il decorso di 120 giorni
dalla notificazione, se mai il debito non sia stato adempiuto in tale termine.
7. – In conclusione,
l’appello va disatteso, siccome infondato.
Ritiene
altresì il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito
possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della
presente decisione.
Ragioni
assolutamente eccezionali – correlate sia all’assoluta novità della questione,
sia alle peculiari tematiche metagiuridiche implicate dalla vicenda che ha dato
origine ai crediti di cui trattasi – in questo caso consentono di compensare
tra le parti le spese del grado.
P. Q. M.
Il
Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede
giurisdizionale, respinge l’appello.
Spese
del presente grado interamente compensate tra le parti.
Ordina
che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così
deciso in Palermo dal Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione
siciliana, in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio del 10 maggio
2012, con l’intervento dei signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Guido Salemi, Ermanno de
Francisco, estensore, Pietro Ciani, Giuseppe
Mineo, Componenti.
F.to
Riccardo Virgilio, Presidente
F.to
Ermanno de Francisco, Estensore
Depositata in Segreteria
27 luglio 2012
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