domenica 9 marzo 2014

"MEMOIRES D'UN JURISTE": perché la giurisdizione speciale amministrativa è ancora attuale (C.G.A., Sez. I, sentenza 27 luglio 2012 n. 725).


"MEMOIRES D'UN JURISTE": 
perché la giurisdizione speciale amministrativa
 è ancora attuale
 (C.G.A., Sez. I, sentenza 27 luglio 2012 n. 725).


L'ottemperanza delle sentenze civili: perché si è istituita nel 1889 la IV Sezione del Consiglio di Stato e perché, ancora oggi, la soppressione della giurisdizione speciale amministrativa sia lesiva del diritto alla tutela giurisdizionale effettiva dei cittadini. 


Stralcio della sentenza

Nondimeno, il giudizio di ottemperanza – che, per sua natura, è un giudizio c.d. misto: di esecuzione e di cognizione – è, in molti casi, un giudizio (quantomeno anche) di esecuzione.
Tra questi casi, si annoverano certamente quelli in cui la parte ricorrente adisce il giudice amministrativo per ottenere l’esecuzione di provvedimenti giurisdizionali (assai spesso del giudice civile) da cui scaturiscono obbligazioni pecuniarie della pubblica amministrazione rimaste inadempiute (caso, purtroppo, patologicamente per nulla raro).
Complice la sempre minore incisività del processo esecutivo ordinario – che nei confronti della pubblica amministrazione continua a scontare anche quella secolare timidezza del giudice ordinario che, nel 1889, indusse a superare la c.d. giurisdizione monista scaturita, nel 1865, dall’abolizione del c.d. contenzioso amministrativo: si pensi alla difficoltà pratica di ottenere efficaci provvedimenti giudiziali, ex artt. 610 o 612, nei confronti delle pubbliche amministrazioni tenute a consegnare o rilasciare beni utilizzati per l’esercizio di pubbliche funzioni, o a fare o a non fare attività interferenti con tali funzioni, quand’an-che il creditore di tali prestazioni sia munito di un titolo esecutivo ormai inoppugnabile e, dunque, rispetto al quale non possa più configurarsi alcun residuo ambito di discrezionalità, stante la piena doverosità dell’adempimento di ogni statuizione del giudice passata in giudicato o, comunque, esecutiva – è ormai assai frequente il ricorso al giudizio di ottemperanza, anche per ottenere risultati che, fuori dalle patologie odierne, si potrebbero conseguire spontaneamente o, al più, mediante il processo esecutivo ordinario.
Pure in tali casi, non v’è dubbio che il giudizio di ottemperanza resti unicamente regolato dalle proprie regole, senza interferenze di quelle processualcivilistiche.
Nondimeno, ciò non toglie che – per specifici ambiti, presi partitamente in considerazione dalla legge – le modalità di esercizio del potere amministrativo sul piano sostanziale e, correlativamente, le condizioni per esperibilità del giudizio di ottemperanza sul piano processuale, possano avere ulteriori fonti disciplinari esterne al codice del processo amministrativo; che, sebbene cronologicamente ad esso precedenti, non ne sono state caducate in ragione della loro specialità.


Sentenza per esteso                     


                  INTESTAZIONE
                    epigrafe 
                in sede giurisdizionale, ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A
sul ricorso in appello n. 104/2012, proposto da
RAINERI DANIELA,
rappresentata e difesa dall’avv. Sergio Agrifoglio, elettivamente domiciliata in Palermo, via Brunetto Latini n. 34, presso lo studio ello stesso;
                                                         c o n t r o
il MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui uffici in Palermo, via A. De Gasperi n. 81, è per legge domiciliato;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Sicilia - Sede di Palermo (sez. III) - n. 29 del 12 gennaio 2012.
Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero intimato;
Visti gli atti tutti del giudizio;
Relatore, alla camera di consiglio del 10 maggio 2012, il Consigliere Ermanno de Francisco;
Uditi altresì l’avv. S. Agrifoglio per l’appellante e l’avv. dello Stato Tutino per il ministero appellato;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

F A T T O
Viene in decisione  l’appello avverso la sentenza  indicata in epigrafe che ha dichiarato inammissibile – per mancato decorso del termine dilatorio ex art. 14 D.L. 31 dicembre 1996, n. 669 – il ricorso dell’odierna appellante per l’ottemperanza del giudicato formatosi sulla sentenza del Tribunale ordinario di Palermo, sezione lavoro, 24 novembre 2010, n. 3506.
All’odierna udienza camerale la causa è passata in decisione.

D I R I T T O
1. Il giudice di primo grado ha rilevato d’ufficio che l’azione per l’ottemperanza fosse stata proposta senza previamente porre in essere la precondizione, ritenuta essenziale, di cui all’art. 14 del cit. D.L. n. 669/1996, secondo cui “Le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici non economici completano le procedure per l’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l’obbligo di pagamento di somme di danaro entro il termine di centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo. Prima di tale termine il creditore non può procedere ad esecuzione forzata né alla notifica di atto di precetto”, rendendo così la declaratoria d’inammissibilità di cui alla superiore narrativa in fatto.
La sentenza è qui impugnata con un unico motivo di appello, che deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 114 c.p.a.; violazione e falsa applicazione dell’art. 14, cc. 1 e 1-bis, D.L. n. 669/96, convertito in L. n. 30/96” (rectius: n. 30/1997).
In sintesi, l’appellante deduce che nel giudizio d’ottemperanza, non occorrendo ex art. 114 c.p.a. alcuna “previa diffida”, neppure sia necessaria la preventiva notificazione della sentenza ottemperanda.
Sostiene, altresì, che il giudizio d’ottemperanza non è un processo esecutivo, né comunque ha ad oggetto il pagamento di una somma certa e determinata di denaro; avuto anche riguardo al fatto che, nella specie,  l’ottemperanza al giudicato  si realizzerebbe soltanto mediante la liquidazione di un trattamento vitalizio, che attende ancora di essere determinato nel quantum e nel quando. Ciò che renderebbe evidente la radicale differenza del giudizio in questione da quello esecutivo, col corollario che non potrebbe essere assoggettato alle condizioni  poste dalla legge per  l’esperimento di quest’ultimo (in particolare, la preventiva notifica del titolo e il decorso di 120 giorni).
Evidenzia anche la divergenza da altre sentenze di primo grado, nonché l’omessa formulazione di alcuna eccezione in proposito da parte dell’Avvocatura dello Stato, pur se costituitasi già in prime cure.
In subordine, l’appellante richiede ordinarsi l’ottemperanza della sentenza, almeno limitatamente alla parte in cui essa reca una condanna a una prestazione di facere (la determinazione del vitalizio), ove mai non la si ritenesse ottemperabile per le prestazioni di dare.
L’appello, tuttavia, appare interamente infondato.
2. – Indubbiamente, il giudizio di ottemperanza può essere proposto “anche senza previa diffida”, ex art. 114 cit.
Nondimeno, siffatta previsione normativa è da ritenere del tutto inconferente rispetto alla questione in esame – che, giova precisarlo, riguarda la necessità o meno del previo decorso del termine di 120 giorni dalla notifica del titolo esecutivo per potersi instaurare il giudizio di ottemperanza, per le sentenze ottemperande “comportanti l'obbligo di pagamento di somme di danaro – giacché alla preventiva notifica di una diffida (allorquando era prevista come obbligatoria dalla legge) era da riconnettere valenza analoga a quella del precetto.
Infatti quest’ultimo, non diversamente dalla diffida, “consiste nell’intimazione di adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo entro un termine” (art. 480 c.p.c.): termine che, per il precetto, è “non minore di dieci giorni” (art. 480, cit.); mentre, per la diffida, era di almeno trenta giorni (“non prima di trenta giorni da quello in cui l'autorità amministrativa sia stata messa in mora di provvedere”, ex art. 90 R.D. 17 agosto 1907, n. 642).
Una volta chiarita, dunque, tale completa corrispondenza della diffida al precetto, risulta evidente che la superfluità della diffida altro non implica che la non necessità della preventiva notifica di un atto di precetto, affinché si possa agire in ottemperanza.
Tale notifica, peraltro, non è mai stata richiesta: giacché, da un lato, era surrogata dalla diffida; e, soprattutto, non era richiesta che quale condizione per la proposizione dell’azione esecutiva davanti al giudice ordinario, ma non già come condizione per introdurre l’azione d’ottemperanza (neppure allorché essa, nella sua prima formulazione, era volta “ad ottenere l’adempimento dell’obbligo dell’autorità amministrativa di conformarsi, in quanto riguarda il caso deciso, al giudicato dei Tribunali che abbia riconosciuto la lesione di un diritto civile o politico”: essenzialmente, dunque, al giudicato civile).
Per concludere sul punto: posto che la diffida equivale(va) al precetto, l’essersi svincolata da essa l’azione d’ottemperanza nulla implica per la necessità, o meno, di previa notifica del titolo esecutivo.
3. Davanti al giudice ordinario, l’esperimento dell’azione ese-cutiva dev’essere di norma preceduto dalla notifica (oltre che del precetto, di cui s’è già detto) del titolo esecutivo (con poche eccezioni, previste dalla legge); non, però, per un’intima esigenza logica del processo esecutivo, bensì perché ciò è richiesto dall’art. 479 c.p.c.
Davanti al giudice amministrativo, ai fini dell’esperimento del giudizio d’ottemperanza, tale incombente, di norma, non è richiesto: infatti, l’art. 91 R.D. 17 agosto 1907, n. 642, imponeva la produzione in giudizio della sentenza ottemperanda, non la sua notificazione (e, si noti, fino all’entrata in vigore dell’art. 114 c.p.a. non era necessaria neppure la preventiva notificazione del ricorso in ottemperanza, ex art. 91 cit.: cfr., in proposito, C.G.A., ord. 6 maggio 2008, n. 428).
Di recente, invece, il cit. art. 114 c.p.a. ha stabilito che, anche nel giudizio d’ottemperanza, “L’azione si propone con ricorso notificato alla pubblica amministrazione e a tutte le altre parti”.
In ogni caso, continua a non essere richiesta in termini generali la preventiva notifica del titolo da ottemperare: infatti, il comma 2 del cit. art. 114 prescrive soltanto che “Unitamente al ricorso è depositato in copia autentica il provvedimento di cui si chiede l’ottemperanza, con l’eventuale prova del suo passaggio in giudicato” (giacché, ex art. 112, comma 2, c.p.a., non sempre il giudizio di ottemperanza postula il giudicato: cfr. la relativa lett. b)).
Concludendo sul punto: per il giudizio di ottemperanza il c.p.a. non richiede, di norma, la previa notificazione del titolo ottemperando.
4. Nondimeno, il giudizio di ottemperanza – che, per sua natura, è un giudizio c.d. misto: di esecuzione e di cognizione – è, in molti casi, un giudizio (quantomeno anche) di esecuzione.
Tra questi casi, si annoverano certamente quelli in cui la parte ricorrente adisce il giudice amministrativo per ottenere l’esecuzione di provvedimenti giurisdizionali (assai spesso del giudice civile) da cui scaturiscono obbligazioni pecuniarie della pubblica amministrazione rimaste inadempiute (caso, purtroppo, patologicamente per nulla raro).
Complice la sempre minore incisività del processo esecutivo ordinario – che nei confronti della pubblica amministrazione continua a scontare anche quella secolare timidezza del giudice ordinario che, nel 1889, indusse a superare la c.d. giurisdizione monista scaturita, nel 1865, dall’abolizione del c.d. contenzioso amministrativo: si pensi alla difficoltà pratica di ottenere efficaci provvedimenti giudiziali, ex artt. 610 o 612, nei confronti delle pubbliche amministrazioni tenute a consegnare o rilasciare beni utilizzati per l’esercizio di pubbliche funzioni, o a fare o a non fare attività interferenti con tali funzioni, quand’an-che il creditore di tali prestazioni sia munito di un titolo esecutivo ormai inoppugnabile e, dunque, rispetto al quale non possa più configurarsi alcun residuo ambito di discrezionalità, stante la piena doverosità dell’adempimento di ogni statuizione del giudice passata in giudicato o, comunque, esecutiva – è ormai assai frequente il ricorso al giudizio di ottemperanza, anche per ottenere risultati che, fuori dalle patologie odierne, si potrebbero conseguire spontaneamente o, al più, mediante il processo esecutivo ordinario.
Pure in tali casi, non v’è dubbio che il giudizio di ottemperanza resti unicamente regolato dalle proprie regole, senza interferenze di quelle processualcivilistiche.
Nondimeno, ciò non toglie che – per specifici ambiti, presi partitamente in considerazione dalla legge – le modalità di esercizio del potere amministrativo sul piano sostanziale e, correlativamente, le condizioni per esperibilità del giudizio di ottemperanza sul piano processuale, possano avere ulteriori fonti disciplinari esterne al codice del processo amministrativo; che, sebbene cronologicamente ad esso precedenti, non ne sono state caducate in ragione della loro specialità.
5. È questo il caso del precetto normativo introdotto dal cit. art. 14 (di cui, ai nostri fini, viene in rilievo unicamente il comma 1).
Il cui primo periodo pone, palesemente, un precetto sostanziale: le pubbliche amministrazioni devono eseguire le sentenze e ogni altro atto giurisdizionale “aventi efficacia esecutiva e comportanti l’obbligo di pagamento di somme di danaro” (in altri termini: i provvedimenti giurisdizionali esecutivi da cui scaturiscono obbligazioni pecuniarie) senza attendere l’esecuzione forzata e, perciò, “entro il termine di centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo”.
Correlativamente il secondo periodo dello stesso comma 1 pone un precetto di natura indubbiamente processuale: il creditore di tali prestazioni non può procedere ad esecuzione forzata, né alla notifica dell’atto di precetto (perché quest’ultimo comporta ineluttabilmente ulteriori oneri patrimoniali per l’esecutato, incrementando il debito per la sorte con i corrispondenti diritti previsti dalla tariffa forense), prima che sia decorso il termine di centoventi giorni dalla notifica del titolo.
Da una mera esegesi sistematica dei due commi, risulta chiaro che il loro combinato disposto ha inteso rendere obbligatoria, sempre e in ogni caso, la preventiva notifica del titolo esecutivo, come condizione di ammissibilità dell’esecuzione forzata.
Proprio perché si tratta di un precetto che ha, insieme, finalità e natura sostanziali e processuali, sarebbe incongruo limitarne la portata unicamente al processo esecutivo disciplinato dal codice di rito civile.
Peraltro, scaturendo tale precetto da una fonte esterna a detto codice, la quale neppure sul piano letterale reca alcun riferimento al processo esecutivo di cui relativo libro III, sembra palesemente trattarsi di un precetto che debba avere generale applicazione, dunque a prescindere dall’ambito giurisdizionale di cui il creditore si avvalga per azionare esecutivamente il proprio credito.
Diversamente opinando, infatti, sarebbe vanificata l’effettività del precetto nella sua interezza (ossia anche in riferimento alla relativa porzione sostanziale), giacché l’amministrazione non sarebbe posta in condizione di adempiere i propri debiti, al netto di ogni ipotetico onere ulteriore, alla sola condizione di esitare le procedure di pagamento nel termine fissato dal comma 1 di detto art. 14: e ciò, da un lato, perché, se non si ritiene obbligatoria la preventiva notifica del titolo, tale termine neppure inizierebbe mai a decorrere; nonché, dall’altro lato, perché la potenziale instaurazione immediata del giudizio di ottemperanza (prima che le procedure di pagamento spontaneo, pur se tempestive e sollecite, siano completate) potrebbe comportare – contro l’espressa volontas legis – l’implementazione del credito con le relative spese giudiziali (che andrebbero liquidate in ogni caso in base alla soccombenza virtuale; e di cui ormai il combinato disposto degli artt. 26 c.p.a. e 91 c.p.c. preclude, salvo ragioni eccezionali, ogni facoltà di compensazione).
Ciò induce a ritenere senz’altro, e riassuntivamente, che:
1) l’obbligo della preventiva notifica del titolo esecutivo, nonché il correlativo termine di grazia di centoventi giorni, stabiliti dal cit. art. 14, sussistono in relazione a ogni credito pecuniario verso pubbliche amministrazioni;
2) limitatamente a tale tipo di obbligazioni, senza la preventiva notifica del titolo e finché pende il termine conseguente, “il creditore non può procedere ad esecuzione forzata” in nessuna forma: né per espropriazione, ai sensi del codice di procedura civile; né in sede di ottemperanza, ai sensi del codice del processo amministrativo;
3) altrimenti, se è stata omessa (come nel caso in esame) la preventiva notificazione del titolo, l’esecuzione – in qualunque forma e sede essa sia stata intrapresa – è inammissibile; ovvero, se sia stata attivata nella pendenza del termine predetto, è improcedibile fino alla sua infruttuosa scadenza (ma non è questo il caso trattato);
4) in ogni caso, la ragione ostativa dell’esecuzione forzata è soggetta a rilievo d’ufficio, afferendo a una condizione dell’azione.
5. Quanto alle ulteriori argomentazioni svolte dall’appellante, deve evidenziarsi che:
a) pur se il giudizio di ottemperanza non si identifica tout court con il processo esecutivo, nondimeno esso (come si è già detto) ha natura mista, sicché è anche un procedimento esecutivo (ovviamente diverso da quello disciplinato dal codice di procedura civile e che si svolge davanti al Tribunale ordinario);
b) la sentenza ottemperanda, diversamente da quanto sostiene parte appellante, reca indubbiamente, in dispositivo, la condanna al pagamento di somme di denaro (ossia un’obbligazione pecuniaria): essa, infatti, reca “condanna … a corrisponderli [i benefici previsti dalla legge n. 210/92] con decorrenza di legge e con interessi legali e rivalutazione monetaria secondo indici ISTAT a decorrere dal 121° giorno successivo, disponendo che l’importo dovuto a titolo d’interessi sia portato in detrazione da quello dovuto per rivalutazione” (quest’ultima statuizione è resa in palese applicazione del combinato disposto degli artt. 16, comma 6, legge 30 dicembre 1991, n. 412, e 22, comma 36, legge 23 dicembre 1994, n. 724, ossia di norme indubbiamente riferite alle sole obbligazioni pecuniarie);
c) eventualmente, potrebbe sostenersi che la sentenza sia stata alquanto lacunosa nell’indicazione specifica del quantum debeatur: ma tale profilo di criticità – peraltro assai difuso in molte sentenze di condanna, e soprattutto in quelle della magistratura del lavoro, qual è la sentenza della cui ottemperabilità qui trattasi – non altera la natura pecuniaria dell’obbligazione ivi recata, né sembra comportarne nullità;
d) correlativamente, è da escludere che la sentenza in questione rechi condanna a un facere (e non sia, perciò, titolo esecutivo: anche perché lo sarebbe egualmente, pur se non fosse, secondo tale tesi di parte che non si condivide, fonte di un’obbligazione pecuniaria), dato che si è visto trattarsi di condanna a un dare, avente a oggetto una somma di denaro (ossia un’obbligazione pecuniaria, cui dunque si applica il più volte ricordato art. 14); al più si potrebbe opinare che – come s’è già visto accadere assai spesso in tante sentenze di condanna al pagamento di somme – la “sintetica” modalità di redazione della sentenza richieda una preventiva attività di “liquidazione” del credito, ma non c’è dubbio che a tale profilo, palesemente afferente al merito dell’azione esecutiva, non possa attingere il giudice che non riscontri sussistente altra e preliminare condizione legale dell’azione esperita;
e) da ultimo, nessun rilievo può riconnettersi alla circostanza che la difesa erariale non abbia svolto, in proposito, alcuna eccezione, giacché la verifica delle condizioni dell’azione (anche esecutiva) non è materia di c.d. eccezioni proprie, bensì è rimessa a poteri ex officio: né è stato dedotto alcun vizio di violazione dell’art. 73, comma 3, c.p.a.
6. Effettualmente, il titolo che è stato direttamente azionato in ottemperanza andrà invece previamente notificato all’amministrazione debitrice; e ogni azione esecutiva – in sede civile o in ottemperanza – potrà essere riproposta unicamente dopo il decorso di 120 giorni dalla notificazione, se mai il debito non sia stato adempiuto in tale termine.
7. In conclusione, l’appello va disatteso, siccome infondato.
Ritiene altresì il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.
Ragioni assolutamente eccezionali – correlate sia all’assoluta novità della questione, sia alle peculiari tematiche metagiuridiche implicate dalla vicenda che ha dato origine ai crediti di cui trattasi – in questo caso consentono di compensare tra le parti le spese del grado.

P. Q. M.
Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale, respinge l’appello.
Spese del presente grado interamente compensate tra le parti.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo dal Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio del 10 maggio 2012, con l’intervento dei signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Guido Salemi, Ermanno de Francisco, estensore, Pietro Ciani, Giuseppe Mineo, Componenti.
F.to Riccardo Virgilio, Presidente
F.to Ermanno de Francisco, Estensore
Depositata in Segreteria
     27 luglio 2012


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