ADUNANZE PLENARIE:
unicità e pluralità delle domande,
ordine dei motivi,
obbligo di pronuncia su tutte le domande,
assorbimento e deroghe
Ad. Plen.,
sentenza 27 aprile 2015, n. 5)
Principi di diritto
1. Nel giudizio impugnatorio di legittimità in primo grado, l’unicità o pluralità di domande proposte dalle parti, mediante ricorso principale, motivi aggiunti o ricorso incidentale, si determina esclusivamente in funzione della richiesta di annullamento di uno o più provvedimenti autonomamente lesivi;
2. nel giudizio impugnatorio di legittimità in primo grado, la parte può graduare, esplicitamente e in modo vincolante per il giudice, i motivi e le domande di annullamento, ad eccezione dei casi in cui, ex art. 34, co. 2, c.p.a., il vizio si traduca nel mancato esercizio di poteri da parte dell’autorità per legge competente;
3. nel giudizio impugnatorio di legittimità in primo grado, non vale a graduare i motivi di ricorso o le domande di annullamento il mero ordine di prospettazione degli stessi;
4. nel giudizio impugnatorio di legittimità in primo grado, in mancanza di rituale graduazione dei motivi e delle domande di annullamento, il giudice amministrativo, in base al principio dispositivo e di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, è obbligato ad esaminarli tutti, salvo che non ricorrano i presupposti per disporne l’assorbimento nei casi ascrivibili alle tre tipologie precisate in motivazione (assorbimento per legge, per pregiudizialità necessaria e per ragioni di economia).
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
(Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 29
di A.P. del 2014, proposto dalla società Postest s.a.s. di Sottile Cervini
Gianantonio & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata
e difesa dagli avvocati Massimo Carlin e Federica Scafarelli, con domicilio
eletto presso quest’ultima in Roma, Via Giosue' Borsi, 4;
contro
Comune di Belluno, in persona del sindaco pro
tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Claudia Alpagotti, con
domicilio eletto presso lo studio di Alfredo Placidi in Roma, Via Cosseria, 2;
nei confronti di
Consorzio Hibripost, in persona del legale
rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per il Veneto -
Sezione I - n. 879 del 21 giugno 2013.
Visti il ricorso in appello e i relativi
allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio
del Comune di Belluno;
Viste le memorie difensive depositate
dalle parti prima davanti alla V Sezione del Consiglio di Stato e
successivamente in vista dell’udienza pubblica celebrata innanzi all’Adunanza
plenaria;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno
25 febbraio 2015 il consigliere Vito Poli e udito per la parte appellante
l’avvocato Carlin anche in dichiarata delega dell’avvocato Scafarelli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto
quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. LA PROCEDURA OGGETTO DEL PRESENTE
GIUDIZIO.
1.1. Oggetto del presente giudizio è la
procedura di evidenza pubblica indetta dal Comune di Belluno per l’affidamento
del servizio sperimentale di corrispondenza nell’ambito della Valbelluna.
1.2. Alla gara hanno partecipato due sole
imprese: il consorzio Hibripost (che si è classificato al primo posto) e la
Postest s.a.s. di Sottile Cervini Gianantonio & C. (in prosieguo ditta
Postest, classificatasi al secondo posto).
1.3. La gara è stata aggiudicata al
consorzio Hibripost (determinazione dirigenziale n. 597 del 26 ottobre 2012).
1.4. Con provvedimento dirigenziale in
data 28 dicembre 2012, sollecitato dalla ditta Postest, è stato rifiutato
l’esercizio dell’autotutela rispetto al contratto di affidamento.
2. IL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO.
2.1. La ditta Postest ha adito il T.a.r.
per il Veneto proponendo sia la domanda di annullamento dell’aggiudicazione e
del diniego di autotutela, sia la domanda di risarcimento di tutti i danni
subiti per la mancata aggiudicazione del servizio.
2.2. Questi, in sintesi, i motivi posti a
sostegno dell’impugnativa, come elencati in primo grado dalla parte ricorrente,
ma non anche espressamente graduati:
a) Violazione di legge e di regolamento –
Violazione o falsa applicazione degli artt. 41, 42, 46, 121, 125 e 233 del
d.lgs. 163/2006 e dell’art. 334 d.P.R. 207/2010 – Impossibilità della
prestazione – Nullità del contratto per mancanza del requisito di cui all’art.
1346 del Codice Civile.
Il consorzio affidatario avrebbe dovuto
essere escluso dalla procedura di gara per non aver documentato nella propria
domanda di partecipazione di essere in possesso dei dipendenti necessari a
svolgere il servizio di corrispondenza in esame;
b) Violazione del principio di pubblicità
nell’esame delle offerte e del principio generale di trasparenza.
La stazione appaltante non avrebbe
comunicato alle due ditte concorrenti il luogo e la data di apertura ed esame
delle offerte;
c) Violazione dei principi in materia di
efficacia e di esecutività del provvedimento e di sua revoca (artt. 21 quatere
21 quinquies della legge 241/1990).
L’amministrazione avrebbe dovuto
esercitare l’autotutela perché il Consorzio aggiudicatario non risulterebbe in
possesso della necessaria autorizzazione ministeriale a svolgere il servizio di
corrispondenza oggetto di gara.
2.3. Radicatosi il contraddittorio nei
confronti della sola amministrazione comunale, l’impugnata sentenza:
a) ha respinto l’eccezione di tardività
del ricorso sollevata dal comune di Belluno (tale capo non è stato impugnato ed
è coperto dalla forza del giudicato interno);
b) in considerazione della natura
assorbente del vizio lamentato con il secondo motivo di ricorso – consistente
nella violazione di una regola riconducibile direttamente ai principi generali
di imparzialità e buon andamento di cui all'art. 97 Cost., capace di travolgere
l’intera procedura di gara – lo ha esaminato ed accolto annullando gli atti
impugnati;
c) ha respinto la domanda di risarcimento
del danno <<… atteso che all’esito dell’annullamento integrale
della procedura selettiva, Parte ricorrente vanta al più una mera chance di
aggiudicazione in cui verrà integralmente reintegrata in forma specifica
qualora la Stazione appaltante procederà all’indizione di una nuova gara
…>>;
d) ha compensato le spese di lite.
3. IL GIUDIZIO DI APPELLO DAVANTI
ALLA V SEZIONE DEL CONSIGLIO DI STATO.
3.1. Con ricorso ritualmente notificato e
depositato – allibrato al nrg. 6921/2013 – la ditta Postest ha interposto
appello affidato, nella sostanza, ai seguenti quattro autonomi motivi:
a) con il primo mezzo ha dedotto, sotto
diversi profili, l’erroneità della sentenza che avrebbe dovuto esaminare i
motivi nell’ordine in cui erano stati formulati nel ricorso introduttivo; il
primo giudice avrebbe fatto un cattivo uso della tecnica dell’assorbimento dei
motivi, che, specie all’indomani dell’introduzione dell’azione risarcitoria nel
giudizio amministrativo, sarebbe utilizzabile soltanto quando sia evidente che
anche sotto il profilo risarcitorio nessuna utilità deriverebbe al ricorrente
dall’esame di tutte le censure prospettate; nella specie, pertanto, il primo
motivo del ricorso introduttivo avrebbe dovuto essere esaminato
prioritariamente dal T.a.r. per il Veneto, essendo la censura in questione
maggiormente satisfattiva, tanto che al suo accertamento sarebbe seguito il
risarcimento del danno non della perdita di chance, ma del mancato
guadagno e della lesione curriculare, considerato che si era in presenza di una
gara partecipata da due soli concorrenti;
b) con il secondo mezzo ha evidenziato
che, dall’accoglimento del primo motivo del ricorso, il T.a.r. avrebbe dovuto
desumere l’assorbimento del secondo motivo, e la verifica della sussistenza del
terzo vizio (posto a base del corrispondente motivo), solo per qualificare a
fini risarcitori come illecita la condotta serbata dalla stazione appaltante;
c) con il terzo mezzo ha rilevato che il
T.a.r., se anche si dovesse ritenere che abbia esaminato nell’ordine corretto i
motivi di ricorso, sarebbe dovuto giungere a conclusioni differenti sotto il
profilo della richiesta risarcitoria per il danno da perdita di chance, non
solo per la necessità di riconoscere a quest’ultima la valenza di bene
giuridico, ma anche per la circostanza fattuale che al momento della decisione
non vi erano più i presupposti per la riedizione della gara, essendo già stato
svolto il servizio oggetto della stessa;
d) con il quarto e ultimo mezzo, infine,
ha dedotto che il T.a.r. avrebbe fatto mal governo della disciplina delle spese
di giudizio in quanto, nonostante la soccombenza dell’amministrazione comunale
e l’assenza di gravi ed eccezionali ragioni, le ha compensate integralmente.
3.2. Si è costituita in giudizio
l’amministrazione comunale di Belluno, che ha evidenziato la correttezza della
pronuncia impugnata, stante i principi secondo cui sarebbe tutt’ora attuale, da
un lato, l’obbligo del giudice di graduare l’esame dei motivi principiando da
quello che denota la più radicale delle illegittimità denunciate, dall’altro,
la regola per cui l’accoglimento di una doglianza, allorquando determini la
caducazione dell’atto, comporta la perdita di interesse del ricorrente
all’esame delle altre.
4. L’ORDINANZA DI RIMESSIONE DELLA
CAUSA ALL’ADUNANZA PLENARIA.
Con ordinanza n. 6204 del 22 dicembre
2014, la V Sezione del Consiglio di Stato, dopo aver diffusamente illustrato,
in chiave storica e sistematica, gli istituti giuridici applicabili nella
presente vicenda contenziosa, ha sottoposto all’Adunanza plenaria le seguenti
cinque questioni:
a) se nel processo amministrativo, a
fronte di un ricorso di annullamento avverso l’aggiudicazione, qualora si
facciano valere diverse tipologie di censure, alcune che denunciano una
radicale illegittimità della gara ed altre che denunciano l’illegittima mancata
esclusione dell’aggiudicatario ovvero l’illegittima pretermissione del
ricorrente, si sia dinanzi ad una o a più domande;
b) se nel processo amministrativo, il
principio della domanda e quello dell’interesse al ricorso consentono di
ritenere che il ricorrente possa graduare implicitamente i motivi di ricorso
attraverso il mero ordine di prospettazione degli stessi;
c) se e in che termini il giudice
amministrativo, in assenza di espressa indicazione della parte, sia vincolato
ad osservare l’ordine di esame dei motivi di ricorso proposti all’interno della
stessa domanda, utilizzando come parametro il massimo soddisfacimento dell’utilità
ritraibile dal ricorrente;
d) se e in che in termini il giudice
amministrativo, in assenza di espressa indicazione della parte, sia vincolato
ad osservare l’ordine di esame delle domande proposte all’interno di uno stesso
giudizio da un’unica parte, utilizzando come parametro il massimo
soddisfacimento dell’utilità ritraibile dal ricorrente;
e) se il vizio di incompetenza relativa,
in quanto vizio dell’organizzazione e non della funzione amministrativa, sfugga
alla facoltà di graduazione, esplicita o implicita, dei motivi di ricorso.
5. LA DELIMITAZIONE DELL’AMBITO DI
INTERVENTO DELL’ADUNANZA PLENARIA.
5.1. La tassonomia delle modalità di
esercizio della potestas iudicandi da parte del giudice
amministrativo è una tematica di particolare vastità, delicatezza e complessità
dal punto di vista diacronico, sistematico e per le interazioni con il valore
costituzionale ed internazionale del <<giusto processo>>.
In relazione al primo aspetto, è
sufficiente porre mente alla circostanza che essa può acquisire rilievo
decisivo sin dal momento in cui il giudice deve decidere, in una fase del tutto
iniziale della causa, l’incidente cautelare.
In relazione al secondo aspetto, si
osserva che in tale ambito si colloca non solo il tema dell’ordine di esame dei
motivi di ricorso in senso proprio (ovvero i c.d. vizi – motivi e le singole
censure che li compongono), ma, in linea più generale ed astratta, l’ordine di
esame di tutte le questioni, domande ed eccezioni nel rispetto del
contraddittorio (siano introdotte col ricorso principale o incidentale); il
tema, dunque, abbraccia anche quello dell’ordine di esame di tutti i ricorsi
che vengono riuniti e decisi con un’unica sentenza.
In relazione al terzo aspetto si evidenzia
che la <<regola processuale di fonte legale che impone al giudice
di rispettare la tassonomia propria delle questioni ….garantisce e attua il
principio di “parità delle armi” perché predetermina, in astratto ed in via
generale, per tutti i litiganti, le modalità di esercizio del potere
giurisdizionale>> (cfr. Cons. Stato, Adunanza plenaria 25
febbraio 2014, n. 9).
5.2. E’ una tematica in cui si incontrano,
e talora si scontrano, principi cardine del processo.
Infatti si schierano, al momento della
decisione, da un lato i poteri delle parti e dall’altro quelli del giudice, e
dunque il principio della domanda e i temperamenti di esso che derivano dai
poteri ufficiosi, il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e il
principio di economia processuale che fa sempre più concessioni all’assorbimento
dei motivi che, da prassi censurabile, nella legislazione recente è divenuto
istituto normativo corollario dell’economia processuale.
Questo metodo di analisi della tematica in
esame, è stato di recente proposto da due fondamentali sentenze gemelle delle
Sezioni unite della Corte di cassazione - sia pure nell’ambito proprio delle
interazioni fra azioni contrattuali di impugnazione e di nullità e delle
specifiche disposizioni del processo civile - secondo cui: <<Non
sempre il rispetto dell'ordine logico nella trattazione delle questioni esprime
una scelta di efficienza e di coerenza processuale: l'efficienza, la stabilità
e la definitiva strutturazione di una decisione dipende invece dal tipo di
controversia e dal tipo di decisione che il giudice intende adottare, e
costituisce un valore pregnante, ma non assoluto, delle decisioni stesse…. Non
bisogna, pertanto, sovrapporre la successione cronologica delle attività' di
cognizione del giudice con il quadro logico della decisione complessivamente
adottata in esito ad esse, all'interno delle quali si collocano i passaggi che
portano alla decisione finale. L'ordine di trattazione delle questioni va
infatti distinto dall'ordine di decisione delle stesse. Il principio trova
conferma nel diritto positivo: sia l'articolo 276 c.p.c., comma 2, sia
l'articolo 118 disp. att. c.p.c., comma 2 - del quale le modifiche
originariamente apportate dal Decreto Legge n. 69 del 2009, articolo 79 sono
state poi soppresse in sede di conversione - disciplinano rispettivamente l'attività
del collegio e la struttura della motivazione del provvedimento decisorio
finale, a conferma della correlazione tra ordine delle questioni e struttura
della decisione. Più in generale, anche a voler prescindere dal dato normativo,
non sembra discutibile che il nostro ordinamento processuale contempli un
modello di trattazione unitaria, in cui esame sul rito e trattazione del merito
si svolgono all'interno dell'unico processo>> (cfr. Cass. civ.,
Sez. un., 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243).
5.3. Per prevenire ogni possibile
equivoco, è bene precisare sin da ora che esulano dal perimetro dei temi
sottoposti all’odierno vaglio dell’Adunanza plenaria le problematiche
concernenti:
a) l’ordine di esame delle questioni
processuali in primo grado - inter se ed in relazione a quelle
sostanziali (ovvero ai vizi – motivi dedotti negli atti introduttivi del
giudizio di primo grado) – sicuramente sottratte alle scelte processuali
vincolanti delle parti e sempre rilevabili d’ufficio; sul punto è sufficiente
rimandare alle coordinate ermeneutiche elaborate dalle Adunanze plenarie 25
febbraio 2014, n. 9, 3 giugno 2011, n. 10, e 7 aprile 2011, n. 4, che hanno
fatto applicazione delle norme sancite dal combinato disposto degli artt. 76,
co. 4, c.p.a. e 276, co. 2, c.p.c.; per completezza e chiarezza si ribadisce
che l’ordine di esame delle questioni processuali investe i seguenti aspetti:
I) l’accertamento dei presupposti del
processo (nell’ordine: giurisdizione, competenza, capacità delle parti, ius
postulandi, ricevibilità e rimessione in termini, contraddittorio,
estinzione del giudizio), e delle condizioni dell’azione (interesse ad agire,
titolo o legittimazione al ricorso, legitimatio ad causam);
II) l’accertamento delle cause di nullità
degli atti processuali che, traducendosi in una ragione ostativa alla pronuncia
sul merito, impone una declaratoria di inammissibilità del ricorso (art. 35,
co.1, lett. b), c.p.a.);
III) la statuizione sulle altre questioni
di rito (ordine di intervento in causa del terzo, qualificazione della domanda
e conversione del rito, riunione dei giudizi, rimessione della causa sul ruolo
ordinario se non ricorre il presupposto dell’unica questione di diritto ex art.
72, co. 2, c.p.a., potere di fissazione d’ufficio dell’udienza a prescindere dalla
domanda di parte previsto per taluni riti dagli artt. 87, co. 3, 120, co. 6,
129, co. 5, 130, co. 2, c.p.a.);
IV) la possibilità, come affermato dalla
consolidata giurisprudenza, che il giudice, in ossequio al superiore principio
di economia dei mezzi processuali in connessione con quello del rispetto della
scarsità della risorsa - giustizia (cfr. da ultimo Sez. un., nn. 26242 e 26243
del 2014 cit.; Ad. plen., n. 9 del 2014 cit.), derogando alla naturale rigidità
dell’ordine di esame, ritenga preferibile risolvere la lite rigettando il
ricorso nel merito o nel rito in base ad una ben individuata ragione più
liquida <<…sulla scorta del paradigma sancito dagli artt. 49, co.
2, e 74 c.p.a. ….sempre che il suo esercizio non incida sul diritto di difesa
del contro interessato e consenta un’effettiva accelerazione della definizione
della lite…>> (Ad. plen. n. 9 del 2014 cit.), e purché sia stata
preventivamente assodata, da parte del medesimo giudice, la giurisdizione e la
competenza (Ad. plen., n. 9 del 2014 e n. 10 del 2011 cit.);
b) l’esame, in primo grado, di talune
questioni preliminari di merito - altre, infatti, integrando vere e proprie
eccezioni in senso stretto sono sottratte ex lege al rilievo
officioso (è il caso emblematico dell’eccezione di prescrizione, sul punto cfr.
Cons. Stato, Ad. plen. 29 dicembre 2004, nn. 14 e 15) -; si pensi alla nullità
del provvedimento amministrativo che, da quando ha fatto ingresso nel diritto
sostanziale, al pari che nel diritto e nel processo civile, è rilevabile d’ufficio
anche nel processo amministrativo (art. 31, co. 4); ovvero alla cessazione
della materia del contendere, che il c.p.a. classifica tra le pronunce di
merito e che attiene, al tempo stesso, al diritto sostanziale ed a quello
processuale (art. 34, co. 5, c.p.a.);
c) il problema del corretto ordine di
esame delle questioni, domande, eccezioni e motivi sollevati nell’appello
principale e nell’appello incidentale (sia o meno condizionato), ovvero
riproposti dall’appellato ai sensi dell’art. 101, co. 2, c.p.a.; il principio
secondo cui la tassonomia della potestas iudicandi è rimessa
al giudice (e non può essere condizionata dal potere dispositivo delle parti,
specie se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio), vale, infatti, solo per
il giudizio di primo grado. Quando, invece, la decisione su una questione, una
domanda, un’eccezione o un motivo vi sia stata, ovvero sia stata assorbita
(esplicitamente o implicitamente attraverso il non esame), la sottoposizione
della stessa al giudice dell’impugnazione è rimessa necessariamente all’impulso
di parte, per il principio devolutivo attenuato che regge il sistema delle
impugnazioni e che ha portato a considerare il relativo giudizio una revisio
prioris istantiae e non un mero iudicium novum (cfr.
da ultimo le pregevoli considerazioni sviluppate da Cons. Stato, Sez. VI, 23
marzo 2015, n. 1596), fermo restando il dovere del Consiglio di Stato di
assodare, preliminarmente e d’ufficio, la tempestività e ritualità della
costituzione del rapporto processuale in appello.
5.4. Per concludere sul punto, si
evidenzia che rientra nel fuoco dell’intervento nomofilattico cui è chiamata la
Plenaria ogni processo impugnatorio di legittimità limitatamente al giudizio di
primo grado, con le esclusioni precisate al precedente § 5.3.,e
indipendentemente dal fatto che si controverta di gare di appalto, ben potendo
le medesime esigenze riscontrarsi tendenzialmente in tutti i tipi di
contenzioso di tale natura (si pensi alle complesse controversie in materia
elettorale, di pianificazione urbanistica, di esproprio, di concorrenza e così
via).
6. UNICITA’ O PLURALITA’ DI DOMANDE DI
ANNULLAMENTO.
6.1. Per stabilire se un unico ricorso
(corredato da eventuali motivi aggiunti ovvero contrastato da ricorso
incidentale), introduca(no) nella singola causa, una o più domande di
annullamento, ancorché il provvedimento impugnato sia unico ma molteplici e
distinti i vizi – motivi articolati nei confronti del medesimo, non si deve
fare applicazione del c.d. criterio della maggiore satisfattività dell’interesse.
Come ben evidenziato dall’ordinanza di
rimessione <<… utilizzando lo schema tradizionale che individua i
tre elementi costitutivi della domanda (soggetti, causa petendi e petitum),
potrebbe dirsi che la domanda sia unica e fondata su più ragioni, poiché a
fronte di un unico interesse legittimo che si assume essere leso, si invoca
l’eliminazione dal mondo giuridico dell’atto impugnato>>.
6.1.1. L’apprezzamento delle diverse
declinazioni dell’interesse materiale (o bene della vita) avuto di mira dal ricorrente
(principale o incidentale) può rilevare, anche in relazione alle singole
censure, ai fini della valutazione della sussistenza delle condizioni
dell’azione o degli effetti rinnovatori e conformativi del giudicato, ma non
assume valore dirimente per individuare se si è in presenza di una o più
domande di annullamento: in questo caso, infatti, ciò che conta è l’effetto
cassatorio avuto di mira, che è unico, se si dispiega nei confronti di singoli
e ben individuati atti (ciascuno espressione di autonoma volontà
provvedimentale dell’amministrazione), ovvero plurimo, se aggredisce distinti
provvedimenti.
Nel processo amministrativo impugnatorio,
infatti, la regola generale è che il ricorso abbia ad oggetto un solo
provvedimento e che i vizi – motivi si correlino strettamente a quest’ultimo,
salvo che tra gli atti impugnati esista una connessione procedimentale o
funzionale (da accertarsi in modo rigoroso onde evitare la confusione di
controversie con conseguente aggravio dei tempi del processo, ovvero l’abuso
dello strumento processuale per eludere le disposizioni fiscali in materia di
contributo unificato), tale da giustificare la proposizione di un ricorso
cumulativo (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4277; Sez. V, 27
gennaio 2014, n. 398; Sez. V, 14 dicembre 2011, n. 6537).
6.1.2. E’ questa l’impostazione
tradizionale che la Plenaria intende ribadire e che riposa su dati testuali
eloquenti rinvenibili dal tenore letterale delle disposizioni codicistiche di
riferimento ricondotte a sistema:
a) art. 40, co. 1, lett. b), e art. 42,
co. 2, che, nell’individuare il contenuto del ricorso (principale e
incidentale), correlano l’oggetto della domanda al singolo provvedimento
impugnato;
b) art. 43, co.1, che, nel recepire la
giustapposizione fra motivi aggiunti propri e impropri, fonda la distinzione a
seconda che sia o meno impugnato un provvedimento ulteriore e diverso rispetto
a quello(i) oggetto del ricorso introduttivo e dell’eventuale ricorso
incidentale;
c) art. 104, co. 3, che circoscrive
rigorosamente la proposizione dei motivi aggiunti in appello esclusivamente nei
confronti del medesimo atto (o dei medesimi atti) che hanno costituito
l’oggetto delle domande proposte in primo grado;
d) art. 120, co. 7, che, eccezionalmente
per le sole controversie disciplinate dal c.d. rito appalti, impone il ricorso
ai motivi aggiunti c.d. impropri allorquando si debbano impugnare nuovi
provvedimenti attinenti alla medesima procedura di gara.
6.1.3 Del resto, nella visione d’insieme
che ha correttamente ispirato l’ordinanza di rimessione, ciò che effettivamente
rileva, è stabilire se sia possibile o meno che la parte gradui i motivi posti
a sostegno dell’unica domanda di annullamento proposta ovvero gradui le diverse
domande di annullamento proposte avverso una pluralità di autonomi
provvedimenti (di solito costitutivi di una complessa fattispecie
procedimentale).
L’esempio classico, cui ha avuto riguardo
l’ordinanza di rimessione, è quello delle procedure selettive scindibili in più
sub procedimenti, ciascuno dotato del proprio grado di autonomia e culminante
in un distinto provvedimento amministrativo (determinazione a indire la gara e
relativo bando, nomina dei componenti della commissione, esclusione,
aggiudicazione o approvazione della graduatoria, e così via): dal punto di
vista delle conseguenze sui poteri esercitabili ex officio dal
giudice amministrativo è irrilevante che si sia in presenza di una sola o di
più domande di annullamento.
6.1.4. E’ appena il caso di rammentare
che, ovviamente, tali conclusioni non possono estendersi alla diversa
situazione in cui la parte ricorrente, nelle forme e con le modalità sancite
dal codice, proponga domande diverse rispetto a quella di annullamento (ovvero
di accertamento, di condanna, di adempimento, di esecuzione, di
interpretazione); in tal caso, infatti, il giudice amministrativo è sempre
vincolato dalla prospettazione delle parti.
6.2. La soluzione prescelta, dal punto di
vista strettamente dogmatico, è coerente con il paradigma di riferimento
rappresentato dalle azioni costitutive del processo civile, la cui causa
petendi si atteggia, secondo l’opinione comune, in un modo intermedio
rispetto ai due estremi delle azioni a tutela di diritti di credito (dove la causa
petendi si identifica tendenzialmente col singolo fatto genetico del
diritto relativo), e di quelle a tutela di diritti assoluti (dove la causa
petendi si identifica con tutti i possibili fatti genetici); per le
azioni costitutive, invero, lacausa petendi può investire una serie
di fatti genetici in quanto considerati dalla legge, quoad effectum,
come costitutivi del medesimo ed unico diritto (cfr. fra le tante Cons. Stato,
Sez. V, 23 febbraio 2012, n. 1058; Cass. civ., Sez. III, 24 ottobre 2007, n.
22329).
Tale impostazione è stata definitivamente
consacrata dalle già menzionate decisioni delle Sezioni unite (cfr. nn. 26242 e
26243 del 2014 cit.) secondo cui: <<la ricostruzione della tutela
costitutiva nella ristretta dimensione del diritto alla modificazione
giuridica, ipotizzata come situazione soggettiva rivolta verso lo
Stato-giudice, piuttosto che nei confronti della controparte, e' destinata a
infrangersi sulla piu' ampia linea di orizzonte rappresentata dalla necessita'
che il giudice dichiari, in sede di tutela costitutiva e non solo, e in modo
vincolante per il futuro, il modo d'essere (o di non essere) del rapporto
sostanziale che, con la sentenza, andra' a costituirsi, modificarsi,
estinguersi>>.
In questo senso le Sezioni unite hanno
rilevato, in presenza dell’impugnativa del medesimo atto negoziale, l’unicità
della situazione soggettiva sostanziale ad esso ricollegabile, l’unicità della causa
petendi e la conseguente unicità dell’azione proposta.
6.3. In conclusione, avuto riguardo alla
prima questione sottoposta all’Adunanza plenaria, deve enunciarsi il seguente
principio di diritto: <<nel giudizio impugnatorio di legittimità,
l’unicità o pluralità di domande proposte dalle parti, mediante ricorso
principale motivi aggiunti o ricorso incidentale, si determina esclusivamente
in funzione della richiesta di annullamento di uno o più provvedimenti>>.
7. IL DOVERE DEL GIUDICE DI PRONUNCIARE SU
TUTTA LA DOMANDA E LE SUE DEROGHE.
7.1. Il principio della domanda, il
principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, il principio della
rilevabilità d’ufficio di talune “grandi” questioni afferenti al rito o al
merito, sono enunciati nel c.p.c. (artt. 99 e 112) e nel c.c. (art. 2907, al
quale l’art. 99 c.p.c. è strettamente collegato, perché sancisce che alla
tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria su domanda
di parte), ma non riprodotti espressamente e singolarmente nel codice del
processo amministrativo, anche se l’art. 34, co. 1, del medesimo codice
stabilisce, in perfetta consonanza con essi, che <<In caso di
accoglimento del ricorso il giudice, nei limiti, della domanda….>> eroga
le varie forme di tutela ivi disciplinate (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 13
aprile 2015, n. 4).
In ogni caso, trattandosi di principi
generali, devono intendersi compresi nella clausola di rinvio esterno divisata
dall’art. 39, co. 1, c.p.a. non rinvenendosi su tali aspetti <<…nel
processo amministrativo una sufficiente ed esaustiva declinazione
regolatoria>> (Cons. Stato, Ad. plen., 10 dicembre 2014, n. 33;
Ad. plen. n. 4 del 2015 cit.).
Questa soluzione, del resto, era
largamente condivisa anche prima della vigenza del codice.
7.2. Da qui la ricorrente affermazione che
il processo amministrativo è certamente un processo di parte governato, in
linea generale e salvo quanto si dirà in prosieguo, dal principio della domanda
nella duplice accezione di principio dispositivo sostanziale – inteso quale
espressione del potere esclusivo della parte di disporre del suo interesse
materiale sotto ogni aspetto compresa la scelta di richiedere o meno la tutela
giurisdizionale – e di principio dispositivo istruttorio (sia pure con i
temperamenti enucleabili dagli artt. 63 e 64 c.p.a., in relazione al processo
impugnatorio, ed ispirati al c.d. sistema dispositivo con metodo acquisitivo).
Sul punto non può che ribadirsi quanto più
volte enunciato da questa stessa Adunanza plenaria (cfr. da ultimo n. 4 del
2015; n. 9 del 2014, n. 7 del 2013, n. 4 del 2011), in ordine all’impossibilità
di considerare quella amministrativa una giurisdizione di diritto oggettivo e
su come tale approdo sia coerente con il significato che assume il principio
della domanda nel dettato dell’art. 24, co. 1, Cost. che affianca, sia pure
prendendo atto per ciò solo della loro diversità, le due situazioni soggettive
attive del diritto soggettivo e dell’interesse legittimo quali presupposti per
l’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale intesa come principio
fondamentale costitutivo dell’ordine pubblico costituzionale (cfr. da ultimo le
fondamentali conclusioni cui è pervenuta Corte cost. 22 ottobre 2014, n. 238).
E' assodato, pertanto, che il principio
della domanda e quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, hanno
dignità di Generalklausel nel processo civile (cfr. Sez. un.,
nn. 26242 e 26243 del 2014 cit.) ed in quello amministrativo (cfr. Ad. plen. n.
4 del 2015, n. 9 del 2014 e n. 4 del 2011).
A queste prime conclusioni si saldano le
ulteriori considerazioni – che contribuiscono alla migliore comprensione del
fenomeno nella sua portata teorica e nelle conseguenti soluzioni operative -
sul ruolo del giudice amministrativo come giudice naturale degli interessi
legittimi in virtù di diretta attribuzione costituzionale di tale competenza
(art. 103 co. 1, Cost.); sulle peculiari modalità di erogazione della tutela
giurisdizionale dell’interesse legittimo attraverso il controllo necessario
sull’esercizio (o il mancato esercizio) della funzione pubblica financo
all’interno dell’amministrazione (art. 100, co. 1, Cost.); sull’importanza
strategica dell’iniziativa della persona che agisce in giudizio, nella logica
del private enforcement, perché, sia pure nei limiti della domanda,
concorre a (e rende possibile la) tutela dell’interesse pubblico mediante il
ripristino della legalità violata.
7.3. Sempre in linea generale è bene
precisare sin da ora che l’obbligo del giudice amministrativo di pronunciare su
tutti i vizi – motivi e le domande di annullamento non è però incondizionato
(cfr., sul principio generale, Ad. plen. n. 4 del 2015 cit.).
Il punto di equilibrio fra la tutela
dell’interesse pubblico e la tutela degli interessi privati, nel processo
amministrativo dominato dal principio della domanda, si coglie, infatti, in
primo luogo nelle norme e nei principi che ne rappresentano il punto di
emersione a livello positivo (infra §§ 8.3. e 9.3.); al di fuori di
tali casi, però, non è possibile sostenere una esegesi della disciplina
processuale che dia vita ad una derogatoria giurisdizione di diritto oggettivo,
contraria all’ordinamento ed al principio di legalità (Ad. plen., n. 4 del 2015
e n. 9 del 2014 cit.); al tempo stesso, il principio di corrispondenza fra il
chiesto e il pronunciato comporta il divieto di attribuire un bene della vita
non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi
corrispondenza nella domanda, ed è da ritenersi violato ogni qual volta il
giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri uno degli
elementi identificativi dell'azione, cioè il petitum e la causa
petendi, attribuendo quindi un bene della vita diverso da quello richiesto
ovvero ponga a fondamento della propria decisione fatti o situazioni estranei
alla materia del contendere, ma non anche quando procede alla qualificazione
giuridica dei fatti e della domanda giudiziale ovvero alla sua interpretazione
(Ad. plen. n. 7 del 2013 cit.).
Entro questi limiti è chiamato ad
esercitare il suo munus il giudice amministrativo che, giova ribadirlo,
non è però sempre e incondizionatamente tenuto a scrutinare, in caso di
accoglimento del ricorso, tutti i vizi – motivi e le correlate domande di
annullamento.
8. LA GRADUAZIONE DEI MOTIVI E DELLE
DOMANDE COME DEROGA ALL’OBBLIGO DEL GIUDICE DI PRONUNCIARE SU TUTTA LA MATERIA
DEL CONTENDERE.
8.1. Nozione di graduazione.
La graduazione è un ordine dato dalla
parte ai vizi - motivi (o alle domande di annullamento), in funzione del
proprio interesse; serve a segnalare che l’esame e l’accoglimento di alcuni
motivi (o domande di annullamento) ha, per la parte, importanza prioritaria, e
che i motivi (o le domande) indicati come subordinati o graduati per ultimi,
hanno minore importanza e se ne chiede l’esame esclusivamente in caso di
mancato accoglimento di quelli prioritari; la graduazione impedisce, pertanto,
al giudice di passare all’esame dei vizi – motivi subordinati perché tale
volizione equivale ad una dichiarazione di carenza di interesse alla loro
coltivazione una volta accolta una o più delle preminenti doglianze.
La graduazione dei motivi o delle domande
diventa allora un limite al dovere del giudice di pronunciare per intero sopra
di esse, prescindendo dall’ordine logico delle medesime o dalla loro pregnanza.
Tale limitazione è coerente con il canone logico di non contraddizione: come il
più contiene il meno, se alla parte è dato di delimitare ineludibilmente il
perimetro del thema decidendum (perché al giudice non è
consentito di cercare vizi di legittimità sua sponte), così deve
ammettersi che la parte possa imporre a quest’ultimo la tassonomia dell’esame
dei vizi di legittimità e delle eventuali plurime correlate domande di
annullamento.
Siffatta conclusione, inoltre, non è in
contrasto con il codice del processo amministrativo: in relazione al contenuto
del ricorso, il c.p.a., come già la previgente disciplina, si limita ad
indicare il contenuto necessario, non anche quello eventuale. Esige la
specificità dei motivi, non anche la loro graduazione, che resta una facoltà
della parte non vietata dalla disciplina processuale.
La graduazione dei motivi, pertanto,
vincola il giudice amministrativo sebbene la sua osservanza possa portare, in
concreto, ad un risultato non in linea con la tutela piena dell’interesse
pubblico e della legalità; tale fenomeno, come bene evidenziato dalla ordinanza
di rimessione, si manifesta in particolare nelle controversie aventi ad oggetto
procedure competitive o selettive, allorquando il ricorrente anteponga l’esame
delle censure che gli permettono di conseguire il bene della vita finale
(l’aggiudicazione di una gara d’appalto, la nomina ad un pubblico ufficio,
l’inserimento in un graduatoria), rispetto a quelle il cui accoglimento
implicherebbe l’eliminazione di tutta o parte della sequenza procedurale
attraverso la rimozione di tutti i vizi riscontrati.
In definitiva, da un esame complessivo del
sistema si evince il principio per cui nei processi connotati da parità delle
parti e principio dispositivo, l’ordine dei motivi vincola il giudice, laddove
nei processi connotati da un primato assoluto dell’interesse pubblico l’ordine
dei motivi non è vincolante per il giudice: nei giudizi di costituzionalità, ad
esempio, secondo il costante insegnamento della Corte costituzionale, a fronte
del denunciato contrasto delle norme impugnate con uno o più parametri
costituzionali, rientra nella discrezionalità della Corte la scelta dell’ordine
di esame dei differenti parametri, e, inoltre, dichiarata l’incostituzionalità
della norma alla luce di un determinato parametro, la Corte può dichiarare
assorbiti gli altri, per difetto di rilevanza, e per ragioni di economia
processuale (cfr. fra le tante Corte cost., 19 ottobre 2009 n. 262).
Risulta, pertanto, definitivamente
superato il tradizionale e più risalente orientamento giurisprudenziale -
maggiormente preoccupato di assicurare una coerente tutela all’interesse
pubblico, sembrando incoerente e paradossale che il ricorrente vittorioso consegua
il bene della vita finale sulla scorta di una procedura viziata molto spesso ab
imis - secondo cui spetta sempre e comunque al giudice amministrativo
individuare l’ordine di esame dei motivi dedotti dal ricorrente, sulla base
della loro consistenza oggettiva, e del rapporto fra gli stessi esistente sul
piano logico giuridico, non alterabile dalla mera richiesta della parte.
8.2. Modalità della graduazione.
La graduazione dei vizi - motivi,
consistendo in una eccezione all’obbligo del giudice di esaminare
tendenzialmente tutti i vizi di legittimità costitutivi del thema
decidendum (siano essi articolati in un'unica o in più domande di
annullamento proposte in via principale o incidentale), e trovando fondamento
nella disponibilità degli interessi dei soggetti che agiscono in giudizio,
richiede una puntuale ed esplicita esternazione da parte di questi ultimi;
tanto, sia per ragioni di certezza dei rapporti processuali, che per evitare
che sia il giudice a sostituirsi alle parti nella ricerca, per ciò solo
arbitraria, della maggiore satisfattività dell’interesse concreto perseguito da
queste ultime. In tale contesto, non può considerarsi menomato il principio di
pienezza ed effettività della tutela sancito dal codice del processo
amministrativo (art. 1), in quanto lo sforzo collaborativo richiesto alle parti
ha un contenuto minimo, è di pronta esecuzione ed è coerente con l’obbligo di
queste ultime di cooperare col giudice per la realizzazione del giusto processo
(art. 2).
In questa prospettiva risulta confermata
la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha sempre richiesto,
ai fini della rituale ed effettiva subordinazione dei motivi (ovvero delle
domande di annullamento), che questa sia espressa e non desumibile
implicitamente dalla semplice enumerazione delle censure o dal mero ordine di
prospettazione delle stesse (cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. V, 8 aprile 2014,
n. 1662; Cons. giust. amm., 7 marzo 2014, n. 98; Cons. Stato, Sez. III, 24
maggio 2013, n. 2837).
8.3. Limiti al potere della parte di
graduare i motivi e le domande.
8.3.1. La situazione precedente il codice
del processo amministrativo.
L’art. 26, co. 2, l. T.a.r. imponeva, in
caso di accoglimento del vizio di incompetenza, di rimettere l’affare
all’autorità competente.
In ossequio al dettato legislativo,
secondo un costante orientamento, il vizio di incompetenza doveva essere sempre
scrutinato per primo, in quanto la valutazione del merito della controversia si
sarebbe risolto in un giudizio meramente ipotetico sull’ulteriore attività
amministrativa dell’organo competente cui spettava l’effettiva valutazione
della vicenda e che avrebbe potuto emanare o meno l’atto in questione o
comunque provvedere con un contenuto diverso. Diversamente opinando si sarebbe
leso il principio del contraddittorio rispetto all’autorità competente dato che
la regola di condotta giudiziale si sarebbe formata senza che questa abbia
partecipato al giudizio; il che trovava positiva conferma nel menzionato art.
26, co. 2, primo periodo. Si era conseguentemente escluso che la parte potesse
subordinare l’esame del vizio di incompetenza al rigetto di altri motivi di
impugnazione.
L’indirizzo tradizionale che si era
formato all’interno della giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. Sez. V, 6
aprile 2009, n. 2143; Sez. V, 6 marzo 2001, n. 1253; Sez. IV, 1 agosto 2001, n.
4214; Sez. IV, 12 marzo 1996 n. 310), aveva in conclusione stabilito che:
a) nel conflitto fra ordine legale di
esame dei motivi di ricorso - quanto al vizio di incompetenza ai sensi
dell’art. 26, l. T.a.r. - e potere dispositivo della parte, la richiesta del
ricorrente di previo esame degli altri motivi rispetto alla censura di
incompetenza costituiva una condizione nulla, che come tale non soltanto era
inutile, ma rendeva inammissibile per carenza di interesse il motivo di
incompetenza proposto dalla parte subordinatamente agli altri motivi, con
conseguente obbligo del giudice di esame con priorità degli altri motivi, cui
la parte aveva interesse prevalente;
b) se il potere è stato esercitato da
un’autorità incompetente, il giudice sul piano logico non può fare altro che
rilevare il vizio di incompetenza, ma non può dettare le regole dell’azione
amministrativa, posto che l’azione amministrativa non è ancora stata esercitata
dall’organo preposto;
c) l’accoglimento del ricorso
giurisdizionale per la riconosciuta sussistenza del vizio di incompetenza
comporta l’assorbimento degli ulteriori motivi di impugnazione, in quanto la
valutazione del merito della controversia si risolverebbe in un giudizio meramente
ipotetico sull’ulteriore attività amministrativa dell’organo competente, cui
spetta l’effettiva valutazione della vicenda e che potrebbe emanare, o non,
l’atto in questione e comunque, provvedere con un contenuto diverso.
8.3.2. La situazione dopo il c.p.a.
Nonostante sia formalmente scomparsa la
previsione dell’art. 26, co. 2, l. T.a.r., con il nuovo c.p.a. i termini del
dibattito restano invariati e, anzi, si amplia il novero dei vizi che
impediscono alla parte di graduare ad libitum i relativi motivi.
Invero l’art. 34, co. 2, c.p.a., dispone
che <<in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a
poteri amministrativi non ancora esercitati>>.
Una parte della giurisprudenza ha
valorizzato tale disposizione in chiave di limite normativo espresso del potere
di graduazione delle parti (cfr., oltre all’ordinanza di rimessione, Cons.
Stato, Sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 761).
Tale situazione, si badi, può
riscontrarsi:
a) nella fase iniziale del procedimento
(si pensi alla mancanza della proposta vincolante prevista ex lege come
indefettibile);
b) nel corso del procedimento (si pensi
alla mancata acquisizione di un parere obbligatorio per legge, ed alla
complessa disciplina sostanziale sancita dagli artt. 16 e 17 l. n. 241 del 1990
per fronteggiare tale evenienza);
c) alla fine del procedimento (è questo il
caso classico del provvedimento reso da un’autorità diversa da quella
legalmente competente).
Secondo una lettura oggettiva, i poteri
cui si riferisce l’art. 34, co. 2, c.p.a. sono quelli mai esercitati da alcuna
autorità; secondo una opposta lettura, d’indole soggettiva, il riferimento è
anche ai poteri non esercitati dall’autorità competente, ovvero quella chiamata
a esplicare la propria volontà provvedimentale in base al micro ordinamento di
settore.
E’ senza dubbio da preferirsi quest’ultima
esegesi, più rispettosa del quadro sistematico e dei valori costituzionali che
si correlano a tale norma: diversamente opinando, del resto, verrebbe leso il
principio del contraddittorio rispetto all’autorità amministrativa competente
nel senso dianzi precisato - sia essa appartenente al medesimo ente ovvero ad
ente diverso ma comunque interessato alla materia - dato che la regola di
condotta giudiziale si formerebbe senza che questa abbia partecipato, prima al
procedimento, e poi al processo, in violazione di precise coordinate
costituzionali: l’art. 97, co. 2 e 3 Cost., infatti, riserva alla legge
l’ordinamento delle amministrazioni ed il riparto delle sfere di competenza ed
attribuzione, impedendo all’autorità amministrativa di derogarvi a suo
piacimento (cfr. Cons. Stato, n. 761 del 2013 cit.).
L’art. 34, co. 2, cit., è espressione del
principio costituzionale fondamentale di separazione dei poteri (e di riserva
di amministrazione) che, storicamente, nel disegno costituzionale, hanno
giustificato e consolidato il sistema della Giustizia amministrativa (sul
valore del principio e la sua declinazione avuto riguardo al potere
giurisdizionale in generale, ed a quello esercitato dal giudice amministrativo
in particolare, cfr. da ultimo Corte cost., 9 maggio 2013, n. 85; 23 febbraio
2012, n. 40; Cass. civ., sez. un., 17 febbraio 2012, n.. 2312 e 2313; Ad. plen.
n. 9 del 2014 cit.; Ad. plen., 3 febbraio 2014, n. 8).
Tale principio fondamentale è declinato
nel codice del processo amministrativo in svariate disposizioni che si
ricompongono armonicamente a sistema:
d) divieto assoluto del sindacato
giurisdizionale sugli atti politici (art. 7, co. 1);
e) divieto del giudice di sostituirsi agli
apprezzamenti discrezionali amministrativi e tecnici dell’amministrazione
ancorché marginali (art. 30, co. 3);
f) tassatività ed eccezionalità dei casi
di giurisdizione di merito (art. 134).
Pertanto, in tutte le situazioni di
incompetenza, carenza di proposta o parere obbligatorio, si versa nella
situazione in cui il potere amministrativo non è stato ancora esercitato,
sicché il giudice non può fare altro che rilevare, se assodato, il relativo
vizio e assorbire tutte le altre censure, non potendo dettare le regole
dell’azione amministrativa nei confronti di un organo che non ha ancora
esercitato il suo munus.
A ben vedere, nel disegno del codice tale
tipologia di vizi è talmente radicale e assorbente che non ammette di essere
graduata dalla parte.
A quest’ultima, se intende ottenere una
pronuncia su tali peculiari modalità di (mancato) esercizio del potere
amministrativo, si aprono perciò due strade: non sollevare la censura di
incompetenza (e le altre assimilate), oppure sollevarla ma nella consapevolezza
della impossibilità di graduarla.
Per concludere sul punto si osserva che
bisogna prendere atto che taluni vizi di legittimità esprimono una così
radicale alterazione dell’esercizio della funzione pubblica che il codice ha
imposto al giudice amministrativo di non ritenersi vincolato, a tutela della
legalità dell’azione amministrativa e degli interessi pubblici sottostanti,
dalla prospettazione del ricorrente e dalla eventuale graduazione dei motivi da
quest’ultimo effettuata. Tale impostazione produce, inoltre, effetti deflattivi
sul contenzioso perché dissuade il ricorrente dalla proposizione di impugnative
di procedimenti attinti da una pletora di motivi sostanzialmente di facciata e
lo stimola a concentrarsi solo sull’interesse sostanziale effettivamente
perseguibile; si evitano, per tale via, gli eccessi di tutela spesso forieri di
veri abusi del processo (il cui divieto assume, ormai, rilevanza costituzionale
ex articolo 54 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, in
termini Sez. un., nn. 26242 e 26243 del 2014 cit.).
9. ASSENZA DELLA GRADUAZIONE E
ASSORBIMENTO DEI MOTIVI E DELLE DOMANDE.
9.1. Conseguenze della mancata
graduazione.
In mancanza di una espressa graduazione,
si riespande nella sua pienezza l’obbligo del giudice di primo grado di
pronunciare, salvo precise deroghe, su tutti i motivi e le domande (retro §
7, infra § 9.3.).
In tal modo il giudice assicura un
completo controllo di legalità su tutti gli aspetti dell’azione amministrativa
a lui sottoposti; garantisce il diritto di difesa della parte (consistente nel
diritto ad una pronuncia esaustiva, arg. ex art. 105, co. 1, c.p.a.); infine,
rende effettivo il doppio grado di giudizio imposto dall’art. 125 Cost. (sia
pure in senso solo ascendente) e declinato dagli artt. 4 – 6 c.p.a. come
principio generale del processo amministrativo (specie per quello impugnatorio
di legittimità): qui, infatti, come dianzi evidenziato, la tutela
dell’interesse legittimo passa per il sindacato della funzione pubblica, il che
spiega, attesa la delicatezza della materia, la costituzionalizzazione del
doppio grado (cfr., in termini e da ultimo, Cons. Stato, Sez. V, 27 gennaio
2014, n. 401, ivi i richiami a Corte cost., n. 295 del 1988, n. 8 del 1982; n.
62 del 1981).
9.2. Superamento del criterio del
soddisfacimento del massimo interesse della parte.
Una diversa diffusa tesi ritiene, invece,
che la stella polare che deve guidare il giudice nell’ordinare i vizi – motivi,
sia sempre e solo quella di assicurare la maggior soddisfazione dell’interesse
del privato, specie se trattasi di imprenditore, onde tutelare, in questo caso,
i valori sovranazionali e nazionali compendiati nella libertà di iniziativa
economica e di concorrenza, assunti come parametri (unici o prevalenti) di
produzione normativa e di interpretazione della disciplina processuale secondo
il rapporto annuale Doing business della Banca mondiale (poi
sostanzialmente ripreso dalla Commissione europea nell’annuale European
Justice Scoreboard) che dal 2003 elabora gli indicatori delle prestazioni
dei sistemi giudiziari nazionali.
L’adesione acritica alla tesi che annette
importanza dirimente, nell’interpretazione delle norme processuali, all’uso di
indicatori economici e la funzionalizzazione della disciplina processuale ad
obbiettivi esclusivi di politica economica, è un approccio al tema dell’ordine
di esame dei motivi che si inserisce in una delle linee classiche della
dottrina del processo (civile ma anche amministrativo in quanto entrambi
accomunati dalla logica del principio dispositivo): individuare lo scopo o la
finalità del processo.
Si contrappongono opposte storiche
visioni, per cui da un lato il processo è accertamento della volontà concreta
della legge, dall’altro è composizione della lite; in chiave più moderna
(ispirata all’analisi economica e comparata dei sistemi legali), il pensiero
corre all’elaborazione teorica che ha ipostatizzato l’alternativa tra conflict
solving epolicy-implementing justice.
In contrario deve evidenziarsi, come
osservato dalle più volte menzionate Sez. un., nn. 26242 e 26243 del 2014 cit.,
che la dove il principio della domanda lo consenta, da un lato, è necessario
evitare una disarticolazione, tramite il processo, di una realtà sostanziale
unitaria onde evitare che esso si presti a tattiche dilatorie, opportunistiche
o ad un vero e proprio abuso; dall’altro, si deve accettare una concezione del
processo troppo semplicisticamente definita come “pubblicistica”, ma che, ad
una più attenta analisi, trae linfa applicativa proprio nel valore di
“giustizia” della decisione.
Tale esigenza è ancor più avvertita nel
processo amministrativo di legittimità concentrato sul controllo della legalità
dell’azione amministrativa necessariamente esercitata in funzione
dell’interesse pubblico: sarebbe paradossale che quanto teorizzato per il
processo civile circa l’importanza della dimensione pubblica dello stesso, non
trovasse piena applicazione per il processo amministrativo come disegnato,
nella sua genesi storica repubblicana, dalla Costituzione.
Il principio dispositivo non può
cancellare il dato di fatto che l’interesse pubblico di cui è portatrice una
delle parti in causa rimane il convitato di pietra che impronta più o meno
consapevolmente svariate disposizioni; la visione del processo amministrativo
nella logica ”parte privata contro parte pubblica”, “interesse privato contro
interesse pubblico”, non considera, sullo sfondo, l’interesse generale
dell’intera collettività da un lato ad una corretta gestione della cosa
pubblica, e dall’altro ad una corretta gestione del processo, anche per le
ripercussioni finanziarie che ricadono sulla collettività; il processo in cui
sia parte una pubblica amministrazione deve consentire l’accertamento di una
verità processuale vicina se non coincidente con quella storica perché è interesse
della collettività la legittimità dell’azione amministrativa; si comprende
così, alla fine, che effettività e giusto processo significano soddisfacimento
della domanda di giustizia per i realmente bisognosi, senza incoraggiamento di
azioni opportunistiche (specie sul piano risarcitorio come bene messo in luce
dall’ordinanza di rimessione), emulative o pretestuose.
Conclusivamente, sul punto, deve ritenersi
che, in assenza della graduazione operata dalla parte, in ragione del
particolare oggetto del giudizio impugnatorio legato al controllo
sull’esercizio della funzione pubblica, il giudice stabilisce l’ordine di
trattazione dei motivi (e delle domande di annullamento) sulla base della loro
consistenza oggettiva (radicalità del vizio) nonché del rapporto corrente fra
le stesse sul piano logico - giuridico e diacronico procedimentale (in questo
senso si erano già pronunciate, sia pure incidentalmente, Ad. plen., n. 9 del
2014, pag. 36; Ad. plen. n. 7 del 2014, pag. 16 e 18; Ad. plen., 14 aprile
2010, n. 1; successivamente, funditus, Cons. Stato, Sez. V, 8
aprile 2014, n. 1662).
9.3. Assorbimento dei vizi - motivi e
delle domande di annullamento.
In questo articolato (e tormentato)
contesto deve essere affrontato l’ultimo consustanziale aspetto della tematica
dell’ordine di esame dei vizi - motivi e delle domande di annullamento,
rappresentato dalla prassi giurisprudenziale denominata “assorbimento dei
motivi”.
Invero, come illustrato in precedenza, in
mancanza di una espressa graduazione dei vizi – motivi, si riespande il dovere
del giudice amministrativo di vagliare, di regola, tutti i motivi e le domande,
ma al contempo - potendo egli selezionare, in vista della completa tutela
dell’interesse legittimo ed al contempo della legalità e dell’interesse pubblico,
le censure da cui principiare secondo l’ordine dettato dalla maggior pregnanza
del vizio di legittimità e dallo sviluppo logico e diacronico del procedimento
- è possibile che, in taluni ben delimitati casi, l’esame del giudice si
arresti prima di aver esaurito l’intero compendio delle censure (o delle
domande) proposte.
Anticipando e sintetizzando gli argomenti
più diffusamente esposti in prosieguo, deve ritenersi che nel processo
amministrativo, la tecnica dell’assorbimento dei motivi deve ritenersi legittima
quando è espressione consapevole del controllo esercitato dal giudice
sull’esercizio della funzione pubblica e se è rigorosamente limitata ai soli
casi disciplinati dalla legge ovvero quando sussista un rapporto di stretta e
chiara continenza, pregiudizialità o implicazione logica tra la censura accolta
e quella non esaminata.
Tale conclusione, strettamente collegata
al principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, espresso
dall’art. 112, c.p.c., con disposizione avente il valore di principio generale
di ogni processo, diventa inevitabile in un contesto sistematico diretto ad
assicurare il più intenso e integrale accertamento del rapporto amministrativo
controverso, in relazione ai profili ritualmente prospettati dalle parti
interessate, anche per evitare lunghi e defatiganti contenziosi diretti a
riproporre le stesse domande in seguito al rinnovo del provvedimento, affetto
dagli stessi vizi non esaminati dal giudice.
9.3.1. Nozione di assorbimento.
Il riconoscimento in capo al giudice del
potere di decidere l’ordine di esame dei vizi – motivi (e delle domande di
annullamento), ha favorito in passato la diffusione di tale prassi: il giudice
“sceglie” un motivo fondato di ricorso e sulla base di questo solo motivo, che
accoglie, annulla il provvedimento, omettendo di esaminare le altre censure
proposte dal ricorrente, che vengono, appunto, dichiarate assorbite.
La tecnica dell’assorbimento è stata in
passato utilizzata in modo tale da condurre, in alcuni casi, alla pronuncia di
sentenze di annullamento per vizi di mera forma che lasciavano, invece,
impregiudicate le questioni d’ordine sostanziale.
Ne derivava che:
a) la pretesa del ricorrente,
apparentemente soddisfatta dalla sentenza di accoglimento, poteva non esserlo
nella sostanza, se l’amministrazione reiterava l’atto riproducendo i vizi
dedotti dal ricorrente con i motivi assorbiti;
b) l’Amministrazione rimaneva
nell’incertezza circa la fondatezza delle censure sostanziali e dunque sulle
modalità di un eventuale riesercizio della funzione pubblica.
9.3.2. Critiche alla prassi
dell’assorbimento.
Muovendo da tali evidenze, la prassi
dell’assorbimento è stata criticata rilevandosi che:
a) l’assorbimento di alcune censure riduce
il c.d. effetto conformativo della sentenza e l’effettività del giudizio di
ottemperanza; conseguentemente frena l’ambizione del processo amministrativo ad
atteggiarsi come processo a cognizione piena sul rapporto tra cittadino e
amministrazione tutelando, in maniera tendenzialmente completa, l’interesse
legittimo e la funzione pubblica;
b) la stessa esigenza di economia dei
mezzi processuali, che viene talvolta posta a giustificazione dell’assorbimento
può, in concreto, mancare del tutto, soprattutto se ci si colloca nell’ottica
non del singolo processo, ma della definizione del rapporto sostanziale tra
amministrazione e cittadino; è evidente, infatti, che accogliere un motivo di
difetto di motivazione, e assorbire profili di eccesso di potere e censure di
violazione di legge, rende possibile la reiterazione dell’atto con altra
motivazione, cui può seguire un nuovo giudizio nel quale saranno riproposte le
stesse censure che il giudice avrebbe potuto e dovuto esaminare proprio al fine
di ridurre il rischio di una nuova impugnazione;
c) dopo che è stato ammesso il
risarcimento del danno derivante dall’esercizio illegittimo dell’attività
amministrativa, per assorbire un motivo, deve essere certo che dall’eventuale
accoglimento della censura assorbita non possa derivare alcun vantaggio al
ricorrente, neanche sotto il profilo risarcitorio;
d) il mancato esame di alcune censure,
inoltre, non può mai essere giustificato da esigenze di carattere istruttorio,
in quanto in alcun modo difficoltà istruttorie o esigenze di sollecita
definizione della causa possono condurre ad una limitazione della tutela, salvi
i casi di abuso del processo.
9.3.3. Divieto di assorbimento e nuovo
codice del processo amministrativo.
Giova sul punto ricordare che lo schema
originario del c.p.a., nel testo licenziato dalla commissione di studio
istituita in seno al Consiglio di Stato, conteneva una disposizione espressa
secondo cui <<Quando accoglie il ricorso, il giudice deve
comunque esaminare tutti i motivi, ad eccezione di quelli dal cui esame non
possa con evidenza derivare alcuna ulteriore utilità al ricorrente>>.
Tanto, in linea con la considerazione che
il giudice deve esaminare tutte le relative censure, in modo da orientare il
futuro esercizio del potere amministrativo sia in relazione ai vizi che
riscontri sussistenti, sia in relazione a quelli che consideri infondati. Non
vi è dubbio, infatti, che l’effetto conformativo può derivare anche
dall’accertamento della riscontrata legittimità dell’atto nella parte
considerata. La previsione è stata espunta nel testo finale (forse non a torto,
visto che vietava espressamente l’assorbimento solo in caso di accoglimento del
ricorso, mentre il divieto avrebbe dovuto operare, e a fortiori, in
caso di rigetto del ricorso), ma essa costituisce un principio tendenziale
evincibile dal sistema del c.p.a. e senz’altro operante pur in difetto di
espressa previsione. Da ultimo, come manifestazione di tale principio generale,
può leggersi la norma sancita dall’art. 40, co. 1, lett. a), d.l. n. 90 del
2014 nella parte in cui, novellando l’art. 120, co. 6, c.p.a., ha previsto
esplicitamente che il <<…il giudice è tenuto a esaminare tutte le
questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti….>>.
In conclusione, il principio di
corrispondenza tra chiesto e pronunciato e il conseguente dovere del giudice di
pronunciarsi su tutta la domanda, unitamente alle esigenze di miglior cura
dell’interesse pubblico e della legalità, comportano che il c.d. assorbimento dei
motivi sia, in linea di principio, da considerarsi vietato.
9.3.4. Deroghe al divieto di assorbimento.
Limitate e ben circostanziate deroghe al
divieto di assorbimento sono tuttavia ammissibili nelle seguenti ipotesi
generali:
a) espressa previsione di legge;
b) evidenti e ineludibili ragioni di
ordine logico - pregiudiziale;
c) ragioni di economia processuale, se
comunque non risulti lesa l’effettività della tutela dell’interesse legittimo e
della funzione pubblica.
9.3.4.1. Assorbimento previsto dalla legge.
L’assorbimento consentito dalla legge era,
prima del c.p.a., previsto nel caso di accoglimento del vizio di incompetenza
(art. 26, l. Tar) e in caso di giudizio immediato.
Con il c.p.a. l’assorbimento legale è
previsto in tre ipotesi:
a) nel caso illustrato retro al
§ 8.3.
b) in caso di giudizio immediato (sentenza
in forma semplificata) in cui il giudice può motivare con riferimento al punto
ritenuto risolutivo (art. 74);
c) in caso di manifesta irricevibilità,
inammissibilità, improcedibilità e infondatezza, che consente di assorbire la
questione di mancata integrità del contraddittorio (art. 49, co. 2).
Alcune precisazioni si impongono in
relazione all’ipotesi sub b).
Nel caso di giudizio immediato, infatti,
si consente al giudice di motivare avuto riguardo al punto ritenuto risolutivo,
il che implica che il giudice è esonerato da una motivazione puntuale sulle
singole questioni; anche tale autorizzazione legislativa, tuttavia, va mediata
con il principio che la tutela deve essere piena ed effettiva nell’ambito della
domanda. Pertanto, se è risolutiva una questione di rito, non vi sono ostacoli
né logici né giuridici all’assorbimento delle questioni di merito.
Ma se vanno affrontate solo questioni di
merito, la motivazione su un solo punto ritenuto risolutivo, con assorbimento
degli altri motivi, non può tradursi in un’omissione di pronuncia o in una
tutela non pienamente satisfattiva.
Quanto a una pronuncia di accoglimento,
essa deve essere pienamente satisfattiva, per cui anche in caso di utilizzo della
sentenza in forma semplificata, occorre rispettare quanto dianzi assodato circa
la vincolatività della graduazione, le sue deroghe, l’obbligo del giudice di
ordinare le questioni in base alla pregnanza dei vizi ed alla sequenza logico –
procedurale.
Pertanto, nell’esegesi dell’art. 74
c.p.a., l’espressione “punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo” va
intesa non solo nel senso di idoneità a chiudere il processo rapidamente, ma
nel senso più ampio e sostanziale di idoneità a chiudere la lite definitivamente.
9.3.4.2. Assorbimento logico necessario.
Oltre all’assorbimento sancito dalla
legge, deve ritenersi consentito l’assorbimento c.d. logico o necessario, che
si profila quando evidenti ragioni di ordine logico comportano che
l’accoglimento o il rigetto di un dato motivo implica l’assorbimento necessario
di altre questioni; si pensi ai seguenti casi:
a) la reiezione per motivi di rito,
comporta il necessario assorbimento delle questioni di merito (retro §
5.3.);
b) l’accoglimento di una censura (o domanda)
prospettata alternativamente o in via prioritaria rispetto ad un’altra,
comporta l’assorbimento della censura alternativa o subordinata (retro §
8.1).;
c) il rigetto del ricorso principale
comporta l’assorbimento del ricorso incidentale (espressamente o
implicitamente) subordinato o condizionato all’accoglimento di quello
principale.
In tale linea di pensiero, sin da epoca
risalente, è stato affermato che il principio formale dell’assorbimento può
trovare applicazione da parte del giudice solo nei casi in cui fra le questioni
sottoposte al suo esame siano accertati nessi di continenza logica sotto
profili di pregiudizialità o di dipendenza, secondo una intrinseca tassonomia,
mentre non è consentito prescindere dalla pronunzia su alcuna questione, della
quale debba riconoscersi la rilevanza nella fattispecie, in considerazione
esclusivamente del risultato cui praticamente il giudice pervenga in base a
diverso criterio di decisione, comunque ostativo dell’accoglimento della
domanda del ricorrente (Cons. Stato, Ad. plen., 16 dicembre 1980 n. 52;
successivamente, Sez. IV, 20 dicembre 2013, n. 6160).
In quest’ottica rigorosa è consentito
assorbire il motivo di per sé inammissibile in forza dell’estraneità della
questione proposta rispetto all’oggetto del potere esercitato con il
provvedimento impugnato, ed in ordine alla quale, l’accertamento anticipato,
lungi dall’incidere direttamente sul provvedimento medesimo, oltre a non dare
soddisfazione immediata all’interesse dedotto in giudizio, si risolverebbe in
una proposizione incidentale, se non addirittura in un giudizio idoneo a
compromettere, non fosse altro che per l’autorevolezza degli argomenti, il
futuro assetto degli interessi.
In sintesi (e rinviando a quanto più
diffusamente illustrato retro ai §§ 9.1. e 9.2.), il giudice adito deve
procedere, nell’ordine logico, preliminarmente all’esame di quelle domande o di
quei motivi che evidenziano in astratto una più radicale illegittimità del
provvedimento (o dei provvedimenti) impugnato(i), per passare poi, soltanto in
caso di rigetto di tali censure, all’esame degli altri motivi che, pur idonei a
determinare l’annullamento dell’atto gravato, evidenzino profili meno radicali
d’illegittimità.
Si deve pertanto escludere che la
riscontrata fondatezza del motivo riguardante l’omissione della comunicazione
di avvio del procedimento possa assumere carattere assorbente, impedendo
l’esame degli altri mezzi. È preferibile, invece, l’opposta tesi secondo cui,
in mancanza di una esplicita richiesta di segno diverso del ricorrente,
l’accoglimento di censure relative alla correttezza della sequenza
procedimentale, comprese quelle relative alla rituale formazione del
contraddittorio e alla comunicazione di avvio del procedimento, non comporta
l’assorbimento delle censure “sostanziali”, riferite ad altri aspetti
contenutistici della determinazione impugnata.
Siffatta soluzione ha trovato conferma da
parte della giurisprudenza anche dopo il c.p.a., alla luce del principio
dispositivo cui esso si ispira (cfr. Cons. Stato, sez. V, 25 gennaio 2011 n.
513).
9.3.4.3. Assorbimento per ragioni di
economia processuale.
Secondo una condivisibile impostazione che
non pregiudica l’effettività della tutela, rientrano in tale categoria:
a) la reiezione della domanda in forza
della c.d. ragione più liquida, nei casi e nei limiti in precedenza illustrati
(retro § 5.3.);
b) l’assorbimento dei motivi meramente
ripetitivi di altri già esaminati e respinti;
c) nel caso in cui il provvedimento
impugnato si fondi su una pluralità di ragioni autonome, il giudice, qualora
ritenga infondate le censure indirizzate verso uno dei motivi assunti a base
dell’atto controverso, idoneo, di per sé, a sostenerne ed a comprovarne la
legittimità, ha la potestà di respingere il ricorso sulla sola base di tale
rilievo, con assorbimento delle censure dedotte avverso altri capi del
provvedimento, in quanto la conservazione dell’atto implica la perdita di
interesse del ricorrente all’esame delle altre doglianze.
Coerentemente, non si dà luogo ad
assorbimento per ragioni di economia processuale:
d) in caso di accoglimento di censure
relative alla rituale formazione del contraddittorio e alla comunicazione di
avvio del procedimento, che non può consentire di non esaminare censure
“sostanziali”, riferite ad altri aspetti contenutistici della determinazione
impugnata;
e) se il motivo accolto riguardi uno
soltanto degli atti impugnati, non esaurendosi l’intera materia del contendere.
10. L’Adunanza plenaria restituisce gli
atti alla V Sezione del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, co. 1,
ultimo periodo, e 4, c.p.a., affinché si pronunci sull’appello principale della
società Postest nel rispetto dei seguenti principi di diritto:
a) <<nel giudizio
impugnatorio di legittimità in primo grado, l’unicità o pluralità di domande
proposte dalle parti, mediante ricorso principale motivi aggiunti o ricorso
incidentale, si determina esclusivamente in funzione della richiesta di
annullamento di uno o più provvedimenti autonomamente lesivi>>;
b) <<nel giudizio
impugnatorio di legittimitàin primo grado, la parte può graduare,
esplicitamente e in modo vincolante per il giudice, i motivi e le domande di
annullamento, ad eccezione dei casi in cui, ex art. 34, co. 2, c.p.a., il vizio
si traduca nel mancato esercizio di poteri da parte dell’autorità per legge
competente>>;
c) <<nel giudizio
impugnatorio di legittimità in primo grado, non vale a graduare i motivi di
ricorso o le domande di annullamento il mero ordine di prospettazione degli
stessi>>;
d) <<nel giudizio impugnatorio di
legittimità in primo grado, in mancanza di rituale graduazione dei motivi
e delle domande di annullamento, il giudice amministrativo, in base al
principio dispositivo e di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, è
obbligato ad esaminarli tutti, salvo che non ricorrano i presupposti per
disporne l’assorbimento nei casi ascrivibili alle tre tipologie precisate in
motivazione (assorbimento per legge, per pregiudizialità necessaria e per
ragioni di economia>>.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Adunanza Plenaria), non definitivamente pronunciando
sull'appello, come in epigrafe proposto:
a) formula i principi di diritto di cui in
motivazione;
b) restituisce gli atti alla V Sezione del
Consiglio di Stato per ogni ulteriore statuizione, in rito, nel merito nonché
sulle spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di
consiglio del giorno 25 febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Riccardo Virgilio, Presidente
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Stefano Baccarini, Presidente
Alessandro Pajno, Presidente
Vito Poli, Consigliere, Estensore
Francesco Caringella, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Carlo Deodato, Consigliere
Nicola Russo, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere
Sergio De Felice, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere
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IL PRESIDENTE
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L'ESTENSORE
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IL SEGRETARIO
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/04/2015
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Il Dirigente della Sezione
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