domenica 18 maggio 2014

PUBBLICO IMPIEGO E GIURISDIZIONE: il riparto di giurisdizione sul conferimento degli incarichi dirigenziali (Cons. St, Sez. IV, sentenza 14 maggio 2014 n. 2495).


PUBBLICO IMPIEGO E GIURISDIZIONE: 
il riparto di giurisdizione 
sul conferimento degli incarichi dirigenziali 
(Cons. St, Sez. IV,
 sentenza 14 maggio 2014 n.  2495).

Massima (di Filippo De Luca)

1. L’art. 63 del d.gls. 165/2001 prevede espressamente e chiaramente che gli atti di conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali siano di competenza del giudice ordinario del lavoro, in quanto esercizio dei privati poteri datoriali, che rimangono tali anche quando la legge imponga a tal fine una previa valutazione di professionalità e competenza (art. 19, comma 1 e 1 bis del d.lgs. 165/2001).
Tale assunto è stato confermato anche della Corte regolatrice della giurisdizione, la quale, anche di recente, ha avuto modo di affermare che “in tema di impiego pubblico privatizzato, nell'ambito del quale anche gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall'amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, le norme contenute nell'art. 19, primo comma, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, obbligano l'amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri generali di correttezza e buona fede (art. 1175 e 1375 cod. civ.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost. Poiché, dunque, il superamento di un concorso pubblico, indipendentemente dalla nomina, consolida nel patrimonio dell'interessato una situazione giuridica individuale di diritto soggettivo, il mancato conferimento dell'incarico dirigenziale, per un errore nell'attribuzione dei punteggi in sede di approvazione della graduatoria concorsuale, è configurabile come inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre un danno risarcibile.” (Cassazione civile sez. un. 23 settembre 2013 n. 21671; in tal senso già Cassazione civile sez. lav. 30 agosto 2010 n. 18857”).

2. Su posizioni conformi si è attestata anche la giurisprudenza amministrativa affermando che il conferimento dell’incarico dirigenziale rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, a meno che la contestazione non investa direttamente il corretto esercizio del potere amministrativo mediante la deduzione della non conformità a legge degli atti “organizzativi” con i quali le Amministrazioni pubbliche definiscono le linee fondamentali di organizzazione degli uffici e i modi di conferimento della titolarità degli stessi (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato sez. V 14 maggio 2013 n. 2607).


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 196 del 2014, proposto da:
Anna Maria Affanni, rappresentata e difesa dall'avv. Gaudenzio Pierantozzi, con domicilio eletto presso Gaudenzio Pierantozzi in Roma, via degli Scipioni, 284; 
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento della Funzione Pubblica), in persona del Presidente p.t.; Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro p.t., entrambi rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
nei confronti di
Isabella Lapi, rappresentata e difesa dagli avv. Mauro Giovannelli, Guido Giovannelli, con domicilio eletto presso Studio Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
Fabrizio Magani, rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Giovannelli, Aniello Sorrentino, con domicilio eletto presso Aniello Sorrentino in Roma, via Belsiana 71; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II QUATER n. 07843/2013, resa tra le parti, con cui il giudice amministrativo ha dichiarato il difetto di giurisdizione - conferimento di incarico di funzione dirigenziale di livello generale di direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici - risarcimento danni

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento della Funzione Pubblica) e del Ministero Per i Beni e Le Attivita' Culturali; dei dott.ri Isabella Lapi e Fabrizio Magani;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 marzo 2014 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati Pierantozzi, Giovanni Giovannelli, in proprio ed in sostituzione degli Avvocati Sorrentino e Mauro Giovannelli e l'Avvocato dello Stato Varrone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
L’arch. Affanni, dirigente di seconda fascia del Ministero per i beni e le attività culturali, si duole del mancato conferimento dell’incarico dirigenziale di direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Abruzzo e della Puglia.
Il T.A.R. Lazio, investito in primo grado del ricorso, lo ha dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo. In particolare, il TAR ha sottolineato come l’art. 63 del d.gls. 165/2001 preveda espressamente che gli atti di conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali siano di competenza del giudice ordinario del lavoro, posto che trattasi di atti di natura privatistica, assunti dal datore di lavoro pubblico con la spendita di poteri c.d. datoriali, ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. 165/2001. Il conferimento di incarico dirigenziale non potrebbe del resto qualificarsi come procedura concorsuale poiché difettano le finalità di assunzione e la valutazione comparativa dei candidati.
L’arch. Affanni insiste in appello. Precisa che la procedura alla quale ha partecipato è stata avviata con circolare n. 375/2010 con la quale l’amministrazione comunicava la disponibilità di cinque incarichi dirigenziali di prima fascia, tra i quali quelli di direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Abruzzo e della Puglia, avvisando che la partecipazione al procedimento era riservata al personale con qualifica dirigenziale, e prescrivendo le modalità di partecipazione (indicazione delle preferenze, allegazione curriculum vitae). Si tratterebbe, secondo l’appellante, di una vera e propria procedura concorsuale, non essendo consunstanziale ad essa lo svolgimento di prove o l’assegnazione di punteggi, bensì sufficiente la scelta comparativa fra i candidati; tra l’altro finalizzata alla novazione del rapporto di lavoro attraverso la progressione dalla seconda fascia alla prima fascia dirigenziale. Tanto chiarito sul versante della giurisdizione, l’appellante ripropone poi tutte le censure già spiegate in primo grado, che renderebbero, a suo dire, la procedura illegittima.
Si sono costituiti in giudizio sia la dott.ssa Lapi ed il dott. Magani (entrambi controinteressati), che l’Avvocatura dello Stato per l’amministrazione interessata.
La causa è stata trattenuta in decisione alla c.d.c. del 18 marzo 2014.
L’appello è infondato.
E’ pacifico che nel caso di specie si tratti di impiego pubblico privatizzato, così com’è incontroverso che non vengano in rilievo atti organizzativi propedeutici all’interpello. Si discute piuttosto della natura della procedura a mezzo della quale l’amministrazione ha deciso di conferire incarichi di dirigente di prima fascia.
L’appellante sostiene che la fattispecie integri un vero e proprio concorso finalizzato alla novazione del rapporto di lavoro, e richiama le pronunce della Corte di Cassazione in relazione ai concorsi interni per la progressione ad un’area superiore; nonostante l’instaurazione del nuovo rapporto di lavoro avvenga in forza dei poteri del privato datore di lavoro, la procedura concorsuale propedeutica involgerebbe invece posizioni di interesse legittimo.
La tesi non può essere accolta. L’art. 63 del d.gls. 165/2001 prevede espressamente e chiaramente che gli atti di conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali siano di competenza del giudice ordinario del lavoro, in quanto esercizio dei privati poteri datoriali, che rimangono tali anche quando la legge imponga a tal fine una previa valutazione di professionalità e competenza (art. 19, comma 1 e 1bis del dlgs 165/2001).
Questa è del resto la posizione della Corte regolatrice della giurisdizione, la quale, anche di recente, ha avuto modo di affermare che “in tema di impiego pubblico privatizzato, nell'ambito del quale anche gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall'amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, le norme contenute nell'art. 19, primo comma, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, obbligano l'amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri generali di correttezza e buona fede (art. 1175 e 1375 cod. civ.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost. Poiché, dunque, il superamento di un concorso pubblico, indipendentemente dalla nomina, consolida nel patrimonio dell'interessato una situazione giuridica individuale di diritto soggettivo, il mancato conferimento dell'incarico dirigenziale, per un errore nell'attribuzione dei punteggi in sede di approvazione della graduatoria concorsuale, è configurabile come inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre un danno risarcibile.” (Cassazione civile sez. un. 23 settembre 2013 n. 21671; in tal senso già Cassazione civile sez. lav. 30 agosto 2010 n. 18857”).
La giurisprudenza amministrativa si è da tempo attestata su posizioni conformi, affermando recisamente che il conferimento dell’incarico dirigenziale rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, a meno che la contestazione non investa direttamente il corretto esercizio del potere amministrativo mediante la deduzione della non conformità a legge degli atti “organizzativi” con i quali le Amministrazioni pubbliche definiscono le linee fondamentali di organizzazione degli uffici e i modi di conferimento della titolarità degli stessi (Cfr., da ultimo, Consiglio di Stato sez. V 14 maggio 2013 n. 2607).
E, nel caso di specie, come già innanzi chiarito, non vengono in rilievo atti organizzativi.
L’appello è pertanto respinto.
Le spese seguono la soccombenza in relazione ai controinteressati, mentre appare equo compensarle nei confronti dell’Avvocatura dello Stato, costituitasi senza svolgere difese.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento di €. 1.500,00 per ciascuna della parti controinteressate; le compensa nei confronti dell’amministrazione resistente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Sandro Aureli, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/05/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)



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