PUBBLICO IMPIEGO E GIURISDIZIONE:
il riparto di giurisdizione
sul conferimento degli incarichi dirigenziali
(Cons. St, Sez. IV,
sentenza 14 maggio 2014 n. 2495).
Massima (di Filippo De Luca)
1. L’art. 63 del d.gls. 165/2001 prevede espressamente e chiaramente che gli atti di conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali siano di competenza del giudice ordinario del lavoro, in quanto esercizio dei privati poteri datoriali, che rimangono tali anche quando la legge imponga a tal fine una previa valutazione di professionalità e competenza (art. 19, comma 1 e 1 bis del d.lgs. 165/2001).
Tale assunto è stato confermato anche della Corte regolatrice della giurisdizione, la quale, anche di recente, ha avuto modo di affermare che “in tema di impiego pubblico privatizzato, nell'ambito del quale anche gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall'amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, le norme contenute nell'art. 19, primo comma, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, obbligano l'amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri generali di correttezza e buona fede (art. 1175 e 1375 cod. civ.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost. Poiché, dunque, il superamento di un concorso pubblico, indipendentemente dalla nomina, consolida nel patrimonio dell'interessato una situazione giuridica individuale di diritto soggettivo, il mancato conferimento dell'incarico dirigenziale, per un errore nell'attribuzione dei punteggi in sede di approvazione della graduatoria concorsuale, è configurabile come inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre un danno risarcibile.” (Cassazione civile sez. un. 23 settembre 2013 n. 21671; in tal senso già Cassazione civile sez. lav. 30 agosto 2010 n. 18857”).
2. Su posizioni conformi si è attestata anche la giurisprudenza amministrativa affermando che il conferimento dell’incarico dirigenziale rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, a meno che la contestazione non investa direttamente il corretto esercizio del potere amministrativo mediante la deduzione della non conformità a legge degli atti “organizzativi” con i quali le Amministrazioni pubbliche definiscono le linee fondamentali di organizzazione degli uffici e i modi di conferimento della titolarità degli stessi (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato sez. V 14 maggio 2013 n. 2607).
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale
196 del 2014, proposto da:
Anna Maria Affanni, rappresentata e difesa dall'avv. Gaudenzio Pierantozzi, con domicilio eletto presso Gaudenzio Pierantozzi in Roma, via degli Scipioni, 284;
Anna Maria Affanni, rappresentata e difesa dall'avv. Gaudenzio Pierantozzi, con domicilio eletto presso Gaudenzio Pierantozzi in Roma, via degli Scipioni, 284;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri
(Dipartimento della Funzione Pubblica), in persona del Presidente p.t.;
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro p.t.,
entrambi rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato,
domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
Isabella Lapi, rappresentata e difesa
dagli avv. Mauro Giovannelli, Guido Giovannelli, con domicilio eletto presso
Studio Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
Fabrizio Magani, rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Giovannelli, Aniello Sorrentino, con domicilio eletto presso Aniello Sorrentino in Roma, via Belsiana 71;
Fabrizio Magani, rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Giovannelli, Aniello Sorrentino, con domicilio eletto presso Aniello Sorrentino in Roma, via Belsiana 71;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA:
SEZIONE II QUATER n. 07843/2013, resa tra le parti, con cui il giudice
amministrativo ha dichiarato il difetto di giurisdizione - conferimento di
incarico di funzione dirigenziale di livello generale di direttore regionale
per i beni culturali e paesaggistici - risarcimento danni
Visti il ricorso in appello e i relativi
allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio
della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento della Funzione
Pubblica) e del Ministero Per i Beni e Le Attivita' Culturali; dei dott.ri
Isabella Lapi e Fabrizio Magani;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del
giorno 18 marzo 2014 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati
Pierantozzi, Giovanni Giovannelli, in proprio ed in sostituzione degli Avvocati
Sorrentino e Mauro Giovannelli e l'Avvocato dello Stato Varrone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto
quanto segue.
FATTO e DIRITTO
L’arch. Affanni, dirigente di seconda
fascia del Ministero per i beni e le attività culturali, si duole del mancato
conferimento dell’incarico dirigenziale di direttore regionale per i beni
culturali e paesaggistici dell’Abruzzo e della Puglia.
Il T.A.R. Lazio, investito in primo grado
del ricorso, lo ha dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del
Giudice amministrativo. In particolare, il TAR ha sottolineato come l’art. 63
del d.gls. 165/2001 preveda espressamente che gli atti di conferimento e revoca
degli incarichi dirigenziali siano di competenza del giudice ordinario del
lavoro, posto che trattasi di atti di natura privatistica, assunti dal datore
di lavoro pubblico con la spendita di poteri c.d. datoriali, ai sensi dell’art.
5 del d.lgs. 165/2001. Il conferimento di incarico dirigenziale non potrebbe
del resto qualificarsi come procedura concorsuale poiché difettano le finalità
di assunzione e la valutazione comparativa dei candidati.
L’arch. Affanni insiste in appello.
Precisa che la procedura alla quale ha partecipato è stata avviata con
circolare n. 375/2010 con la quale l’amministrazione comunicava la
disponibilità di cinque incarichi dirigenziali di prima fascia, tra i quali
quelli di direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Abruzzo
e della Puglia, avvisando che la partecipazione al procedimento era riservata
al personale con qualifica dirigenziale, e prescrivendo le modalità di
partecipazione (indicazione delle preferenze, allegazione curriculum vitae). Si
tratterebbe, secondo l’appellante, di una vera e propria procedura concorsuale,
non essendo consunstanziale ad essa lo svolgimento di prove o l’assegnazione di
punteggi, bensì sufficiente la scelta comparativa fra i candidati; tra l’altro
finalizzata alla novazione del rapporto di lavoro attraverso la progressione
dalla seconda fascia alla prima fascia dirigenziale. Tanto chiarito sul
versante della giurisdizione, l’appellante ripropone poi tutte le censure già
spiegate in primo grado, che renderebbero, a suo dire, la procedura
illegittima.
Si sono costituiti in giudizio sia la
dott.ssa Lapi ed il dott. Magani (entrambi controinteressati), che l’Avvocatura
dello Stato per l’amministrazione interessata.
La causa è stata trattenuta in decisione
alla c.d.c. del 18 marzo 2014.
L’appello è infondato.
E’ pacifico che nel caso di specie si
tratti di impiego pubblico privatizzato, così com’è incontroverso che non
vengano in rilievo atti organizzativi propedeutici all’interpello. Si discute
piuttosto della natura della procedura a mezzo della quale l’amministrazione ha
deciso di conferire incarichi di dirigente di prima fascia.
L’appellante sostiene che la fattispecie
integri un vero e proprio concorso finalizzato alla novazione del rapporto di
lavoro, e richiama le pronunce della Corte di Cassazione in relazione ai
concorsi interni per la progressione ad un’area superiore; nonostante
l’instaurazione del nuovo rapporto di lavoro avvenga in forza dei poteri del
privato datore di lavoro, la procedura concorsuale propedeutica involgerebbe
invece posizioni di interesse legittimo.
La tesi non può essere accolta. L’art. 63
del d.gls. 165/2001 prevede espressamente e chiaramente che gli atti di
conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali siano di competenza del
giudice ordinario del lavoro, in quanto esercizio dei privati poteri datoriali,
che rimangono tali anche quando la legge imponga a tal fine una previa
valutazione di professionalità e competenza (art. 19, comma 1 e 1bis del dlgs
165/2001).
Questa è del resto la posizione della
Corte regolatrice della giurisdizione, la quale, anche di recente, ha avuto
modo di affermare che “in tema di impiego pubblico privatizzato, nell'ambito
del quale anche gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la
natura di determinazioni negoziali assunte dall'amministrazione con la capacità
e i poteri del privato datore di lavoro, le norme contenute nell'art. 19, primo
comma, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, obbligano l'amministrazione datrice di
lavoro al rispetto dei criteri generali di correttezza e buona fede (art. 1175
e 1375 cod. civ.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di
buon andamento di cui all'art. 97 Cost. Poiché, dunque, il superamento di un concorso
pubblico, indipendentemente dalla nomina, consolida nel patrimonio
dell'interessato una situazione giuridica individuale di diritto soggettivo, il
mancato conferimento dell'incarico dirigenziale, per un errore
nell'attribuzione dei punteggi in sede di approvazione della graduatoria
concorsuale, è configurabile come inadempimento contrattuale, suscettibile di
produrre un danno risarcibile.” (Cassazione civile sez. un. 23 settembre 2013
n. 21671; in tal senso già Cassazione civile sez. lav. 30 agosto 2010 n.
18857”).
La giurisprudenza amministrativa si è da
tempo attestata su posizioni conformi, affermando recisamente che il
conferimento dell’incarico dirigenziale rientra nella giurisdizione del giudice
ordinario, a meno che la contestazione non investa direttamente il corretto
esercizio del potere amministrativo mediante la deduzione della non conformità
a legge degli atti “organizzativi” con i quali le Amministrazioni pubbliche
definiscono le linee fondamentali di organizzazione degli uffici e i modi di
conferimento della titolarità degli stessi (Cfr., da ultimo, Consiglio di Stato
sez. V 14 maggio 2013 n. 2607).
E, nel caso di specie, come già innanzi
chiarito, non vengono in rilievo atti organizzativi.
L’appello è pertanto respinto.
Le spese seguono la soccombenza in
relazione ai controinteressati, mentre appare equo compensarle nei confronti
dell’Avvocatura dello Stato, costituitasi senza svolgere difese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello,
come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento di €.
1.500,00 per ciascuna della parti controinteressate; le compensa nei confronti
dell’amministrazione resistente.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di
consiglio del giorno 18 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Sandro Aureli, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/05/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.)
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