EDILIZIA & PROCESSO:
"vicinitas", art. 30 c.p.a.
e giurisdizione esclusiva
in materia edilizia
(Cons. St., Sez. IV,
sentenza 22 settembre 2014, n. 4764)
"Tropizzazione": qui il Consiglio di Stato esagera... Esiste solo "l'antropizzazione"! Credevo fosse un neologismo di Palazzo Spada ed invece...
Massima
1. Se, in linea generale, l’interesse a ricorrere nel processo amministrativo è caratterizzato dagli stessi requisiti che qualificano l’interesse ad agire di cui al citato art. 100 c.p.c., in materia edilizia la giurisprudenza più recente ha da tempo specificato che:
1.1 la c.d. “vicinitas”, cioè la una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato, è sufficiente a radicare la legittimazione del confinante;
1.2 non è necessario accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato comportino o no un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione in quanto la realizzazione di interventi che comportano un’alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio che è pregiudizievole “in re ipsa” in quanto consegue necessariamente dalla maggiore tropizzazione (traffico, rumore), dalla minore qualità panoramica, ambientale, paesaggistica; e dalla possibile diminuzione di valore dell’immobile;
1.3 ciò esime, di norma, il Giudice da qualsiasi necessità di accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato comportino o non un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione.
2. Va smentita la tesi secondo cui l’art. 30 del c.p.a. postulerebbe la sola condanna nei confronti della P.A., e non potrebbe, viceversa, avere mai ad oggetto l’imposizione di un facere o di un dare nei confronti di un soggetto privato.
2.1 Rientrando, difatti, la materia dell'edilizia nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’articolo 133 co. 1 lett. a) del c.p.a. (il quale stabilisce che “sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge: a) le controversie in materia di: “... silenzio di cui all’art. 31 commi 1, 2 e 3, e provvedimenti espressi adottati in sede di verifica di segnalazione certificata, denuncia e dichiarazione di inizio attività, di cui all’art. 19 comma 6-ter, della legge 7 agosto 1990 n. 241”) il ricorrente può ben adire il giudice amministrativo, proponendo, ai sensi dell’art. 30 co. 1 del c.p.a., azione di condanna, autonomamente, od anche contestualmente ad altra azione.
2.2 Inoltre, ex art. 30 co. 2 c.p.a, in queste materie “può essere chiesto il risarcimento del danno da lesione dei diritti soggettivi. Sussistendo i presupposti previsti dall’art. 2058 del codice civile, può essere chiesto il risarcimento del danno in forma specifica”.
Lo specifico richiamo all’art. 2058 c.c. ed al risarcimento del danno da lesione di diritto soggettivo (nel caso di specie, la proprietà) consentono di affermare che, fra i poteri attribuiti al giudice amministrativo, nell’ambito della sua giurisdizione esclusiva, rientrano senz’altro sia la possibilità di ordinare al privato la demolizione delle opere costruite sine titulo - o in virtù un titolo abilitativo venuto meno per effetto di una pronuncia giurisdizionale - e sia l’imposizione del risarcimento, per i danni cagionati in epoca anteriore all’accertamento relativo alla difformità dell’opera alle normative tecniche.
3. In definitiva, l’attribuzione del potere di condanna alla reintegrazione in forma specifica ed al risarcimento per equivalente è coerente ed implicito nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: non può limitarsi tale potere in virtù della differente configurazione soggettiva nei cui confronti si dirige.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il
Consiglio di Stato
in
sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha
pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso numero di registro generale 1647 del 2012, proposto da:
Giuseppe Tiraboschi, rappresentato e difeso dagli avv. Francesco Daminelli, Stefano Santarelli, con domicilio eletto presso Stefano Santarelli in Roma, via Asiago, 8;
Giuseppe Tiraboschi, rappresentato e difeso dagli avv. Francesco Daminelli, Stefano Santarelli, con domicilio eletto presso Stefano Santarelli in Roma, via Asiago, 8;
contro
Carlo
Gustinetti, Liliana Mistrini, Marco Giuseppe Farina, rappresentati e difesi
dagli avv. Giulio Fustinoni, Aldo Fontanelli, con domicilio eletto presso Aldo
Fontanelli in Roma, via Emilio Dè Cavalieri N.11;
nei
confronti di
Comune
di Selvino;
per
la riforma
della
sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - SEZ. STACCATA DI BRESCIA: SEZIONE I n.
01460/2011, resa tra le parti, concernente d.i.a. per la costruzione di un
fabbricato di civile abitazione
Visti
il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti
gli atti di costituzione in giudizio di Carlo Gustinetti e di Liliana Mistrini
e di Marco Giuseppe Farina;
Viste
le memorie difensive;
Visti
tutti gli atti della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 13 maggio 2014 il Cons. Umberto Realfonzo e
uditi per le parti gli avvocati Stefano Santarelli e Aldo Fontanelli;
Ritenuto
e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Si
deve premettere che l’appellante sig. Tiraboschi, in data 14 febbraio 1990
sottoscriveva una convenzione di lottizzazione con il Comune di Selvino, al
fine della realizzazione sia di capannoni artigianali, sia di fabbricati
residenziali e in virtù di tale convenzione ed in asserita conformità alla
variante al P.R.G. n. 2/2006, presentava il 22 dicembre 2008 una d.i.a. al
Comune di Selvino per l’edificazione di un fabbricato destinato a civile
abitazione.
Con
il presente gravame l’appellante impugna la sentenza, meglio specificata in
epigrafe, con cui il T.A.R. Lombardia - su ricorso degli odierni appellati - ha
disposto:
--
l’annullamento della d.i.a. n. 9274 del 22 dicembre 2008, destinata alla
realizzazione di un fabbricato di civile abitazione;
--
la demolizione delle opere edilizie private del titolo;
--
il risarcimento dei danni nei confronti dei ricorrenti pari ad € 3.000;
--
il pagamento, in solido con il Comune di Selvino, delle spese per la verificazione
per € 1.500;
--
il pagamento, in solido con il Comune di Selvino, delle spese di lite per €
2.500.
L’appello
è affidato alla denuncia della carenza di interesse dei ricorrenti in primo
grado, all’errata applicazione dell’art. 19 della l. n. 241/1990; al
sostanziale rispetto delle Norme Tecniche di Attuazione ed all’erroneità della
condanna al risarcimento in forma specifica e per equivalente.
L’istanza
cautelare, finalizzata alla sospensione dell’esecutività della sentenza
impugnata, è stata accolta con ordinanza n. 1235 del 27 marzo 2012, sul
presupposto della necessità di approfondire taluni aspetti inerenti all’entità
ed alla natura delle opere realizzate.
Gli
appellati, costituitisi in giudizio, hanno replicato ai singoli motivi di
appello del sig. Tiraboschi e concluso per la conferma della sentenza di primo
grado.
Con
memoria corredata da fotografie e disegni tecnici dell’8 aprile 2014,
l’appellante ha sottolineato le tesi a supporto delle proprie argomentazioni.
Chiamata
all’udienza pubblica del 13 maggio 2014, uditi i patrocinatori delle parti, la
causa è stata ritenuta in decisione.
DIRITTO
L’appello
è infondato.
__1.§.
Preliminarmente va affrontata l’eccezione, che non sarebbe stata rilevata dal
TAR, per cui, stante la diversità delle quote a cui sarebbero poste le
abitazioni delle varie parti, i ricorrenti in primo grado sarebbero stati
carenti di interesse. Inoltre l’abitazione degli appellati sarebbe ubicata di
fronte a quella dell’appellante e sarebbe separata da quest’ultima dalla Strada
Provinciale n. 28. Per l’appellante la mera vicinitas degli
edifici non sarebbe sufficiente a fondare l’interesse al ricorso, come
configurato dall’art. 100 c.p.c.. Sarebbe altresì mancata nel caso la prova
concreta del danno inferto agli appellati.
Il
motivo è infondato.
Se,
in linea generale, l’interesse a ricorrere nel processo amministrativo è
caratterizzato dagli stessi requisiti che qualificano l’interesse ad agire di
cui al citato art. 100 c.p.c., in materia edilizia la giurisprudenza più
recente (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 22 gennaio 2013 n. 361; Consiglio di
Stato, Sez. IV, 17 settembre 2012 n. 4926; Consiglio di Stato, sez. IV, 29
agosto 2012 n. 4643; Consiglio di Stato, sez. IV, 10 luglio 2012 n. 4088;
C.G.A. della Regione Siciliana Sent. 4 giugno 2013 n. 553) ha da tempo
specificato che:
--
la c.d. “vicinitas”, cioè la una situazione di stabile collegamento
giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato, è
sufficiente a radicare la legittimazione del confinante;
-- non
è necessario accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato
comportino o no un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone
l'impugnazione in quanto la realizzazione di interventi che comportano
un’alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio che è
pregiudizievole “in re ipsa” in quanto consegue necessariamente dalla maggiore
tropizzazione (traffico, rumore), dalla minore qualità panoramica, ambientale,
paesaggistica; e dalla possibile diminuzione di valore dell’immobile;
--
ciò esime, di norma, il Giudice da qualsiasi necessità di accertare, in
concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato comportino o non un
effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione.
Nella
fattispecie in esame, se deve peraltro prescindersi dalla dedotta ubicazione,
frontista o limitrofa che sia, del terreno di proprietà degli uni e dell’altro,
dagli atti versati risulta peraltro evidente il collegamento sussistente fra la
proprietà degli odierni appellati e le opere contestate dagli stessi, ed il
nocumento collegabile alla riduzione del cono visivo causata dall’edificazione
del fabbricato di proprietà dell’appellante.
Non
vi sono quindi dubbi sull’interesse a ricorrere degli odierni appellati
__2.§.
Nel merito del contendere, l’appellante ritiene errata la decisione del giudice
di prime cure che avrebbe ritenuto ammissibile la proposizione, da parte dei
ricorrenti, dell’azione di annullamento avverso la d.i.a. del sig. Tiraboschi,
alla luce della recente giurisprudenza e della legislazione vigente in materia.
Per l’appellante la tutela dei terzi che si ritengano lesi da un’attività
iniziata previa presentazione di d.i.a. (o s.c.i.a.) è affidata:
--
alle azioni avverso il silenzio-inadempimento dell’amministrazione, ai sensi
del combinato disposto di cui agli articoli 31 e 117 c.p.a.;
--
o all’azione di accertamento;
--
ovvero all’azione di condanna dell’amministrazione all’emanazione del
provvedimento richiesto.
Nella
fattispecie, invece, gli odierni appellati avrebbero proposto in primo grado
un’inammissibile ordinaria azione di annullamento della d.i.a..
L’assunto
è privo di pregio.
Certamente,
come è noto, con la decisione n. 15 del 29 luglio 2011, l’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato - dopo aver ripercorso i pregressi contrasti
giurisprudenziali interni a questa materia - ha chiarito che:
-
la d.i.a. “…non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non
dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo ma costituisce un atto privato
volto a comunicare l’intenzione di intraprendere un’attività direttamente
ammessa dalla legge … ”,
--
il silenzio, opposto dall’amministrazione alla richiesta del terzo che si
ritenga leso dallo svolgimento dell’attività dichiarata con la d.i.a., debba
essere configurato come provvedimento tacito, per cui il terzo
controinteressato all’esercizio dell’attività denunciata può tutelarsi mediante
l’azione impugnatoria, ex art. 29 c.p.a. la quale deve essere proposta
nell’ordinario termine decadenziale di sessanta giorni, che decorre dal momento
della piena conoscenza dell’adozione dell’atto lesivo (art. 41, comma 2,
c.p.a.). Detta conoscenza si acquisisce non con il mero inizio dei lavori ma
con il loro completamento. Laddove sia indubbio che la piena conoscenza della
presentazione della d.i.a. si collochi in un momento anteriore al decorso del
termine per l’esercizio del potere inibitorio, il dies a quo coinciderà
con il decorso del termine per l’adozione delle doverose misure interdittive.
Successivamente
alla sent. n. 15/2011, il legislatore ha inciso sulla stessa materia con il
D.L. n. 138 del 13 agosto 2011 (convertito in l. n. 148 del 2011) ma la
normativa de quo non risulta applicabile al caso in esame, stante l’entrata in
vigore successiva - 17 settembre 2011 - rispetto alla presentazione della
d.i.a. - 22 dicembre 2008 -.
Dunque,
nessun dubbio può sussistere in ordine all’ammissibilità dell’impugnativa il
cui ricorso è stato depositato il 10 marzo 2010 (in data molto risalente
rispetto alla ricordata decisione della Plenaria del 29 luglio 2011) e quindi
in conformità alle indicazioni di questa Sezione (cfr. ex plurimis, Cons.
Stato, Sez. IV, 4 maggio 2010, n. 2558; 24 maggio 2010, n, 3263; 8 marzo 2011,
n. 1423).
Nel
caso in esame, come sarà evidente anche in seguito, al di là della
qualificazione formale della d.i.a., l’attività oggetto della stessa era
comunque illegittima.
Per
cui del tutto legittimamente, all’epoca dei fatti, i ricorrenti in primo grado
hanno richiesto, ed ottenuto, l’annullamento dell’atto dalla cui attuazione
illegittima insorgevano dei pregiudizi concreti e personali nelle proprie
situazioni giuridiche soggettive.
In
definitiva dunque, stante l’inapplicabilità ratione temporis della
sopravvenuta disposizione di cui all’art. 19 co. 6-ter l. n. 241/1990 deve
denegarsi che, in relazione alle incertezze giurisprudenziali e dottrinarie in
materia, l’azione di impugnazione avverso la d.i.a., presentata dagli odierni
appellati, dovesse essere dichiarata inammissibile.
__3.§
L’appellante ritiene, altresì, priva di fondamento l’affermazione dalla
sentenza, relativamente alla violazione della norme tecniche di attuazione di
cui alla variante n. 2 del 2006, in quanto pur essendo stata accertata la
difformità fra il piano di spiccato effettivo e quello invece inserito nella
d.i.a., la sua edificazione sarebbe stata complessivamente conforme alle
disposizioni relative all’altezza massima dei fabbricati.
Conseguentemente,
chiede l’applicabilità della disposizione di cui all’art. 34 co. 2-ter del
D.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001 per il quale “ai fini dell’applicazione del
presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in
presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che
non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure
progettuali”.
L’assunto
va respinto .
In
base alle esatte risultanze della verificazione prodotta in primo grado risulta
che:
--
lo strumento urbanistico attuativo prevede l’altezza massima dei fabbricati in
m. 6,50 per cui considerando che “… la quota reale dei terreni corrisponde,
in base ai riscontri misurati sugli elaborati agli atti del Comune di Selvino
alla quota di - m. 3,30, mentre la quota fittizia si trova a - m. 2,90 (ovvero
al di sopra del terreno naturale di m. 0,40)” e che “…il piano
seminterrato, con riferimento al piano di spiccato intesa come quota esistente
si trova, pertanto, per più della metà realizzato fuori terra”;
--
“…che la d.i.a. del 2008 ha erroneamente documentato il calcolo dell’altezza
del fabbricato dovendosi riferire il conteggio al medesimo piano di spiccato
erroneamente individuato”.
Da
ciò deve dedursi l’erroneo presupposto su cui si basa il computo dell’altezza
del fabbricato eseguito dall’appellante nella parte in cui ha artatamente
escluso il piano seminterrato dal conteggio dei piani emergenti e, dunque,
dell’altezza massima dell’edificio.
L’eccedenza
di m 0.40 delle maggiori edificazioni fuori terra viola, dunque, le misure
stabilite dalle norme tecniche di attuazione in una misura ben maggiore al 2%
di m.6,50 (pari a m. 0,13): poiché detta eccedenza risulta ben superiore alla
ricordata “tolleranza di cantiere”, non è applicabile alla fattispecie l’art.
34 co. 2-ter del D.P.R. n. 380/2001.
__
4.§. L’appellante censura infine l’erroneità della decisione di primo grado,
con la quale è stato condannato alla demolizione delle opere realizzate ed al
risarcimento del danno nei confronti degli odierni appellati. L’art. 30 del
c.p.a. postulerebbe la sola condanna nei confronti dell’amministrazione, e non
potrebbe, viceversa, avere mai ad oggetto l’imposizione di un facere o
di un dare nei confronti di un soggetto privato.
L’assunto
è privo di pregio.
Innanzitutto
va ribadito che la materia oggetto del presente gravame rientra nella
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’articolo 133
co. 1 lett. a) del c.p.a., il quale stabilisce che “sono devolute alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni
di legge: a) le controversie in materia di: “... silenzio di cui all’art. 31
commi 1, 2 e 3, e provvedimenti espressi adottati in sede di verifica di
segnalazione certificata, denuncia e dichiarazione di inizio attività, di cui
all’art. 19 comma 6-ter, della legge 7 agosto 1990 n. 241”.
Nell’ambito
della giurisdizione esclusiva, il ricorrente può dunque adire il giudice
amministrativo, proponendo, ai sensi del primo comma dell’art. 30 del c.p.a.,
azione di condanna, autonomamente, od anche contestualmente ad altra azione;
inoltre, ex comma 2 del medesimo articolo, in queste materie “può essere
chiesto il risarcimento del danno da lesione dei diritti soggettivi.
Sussistendo i presupposti previsti dall’art. 2058 del codice civile, può essere
chiesto il risarcimento del danno in forma specifica”.
Lo
specifico richiamo all’art. 2058 c.c. ed al risarcimento del danno da lesione
di diritto soggettivo (nel caso di specie, la proprietà) consentono di
affermare che, fra i poteri attribuiti al giudice amministrativo, nell’ambito
della sua giurisdizione esclusiva, rientrano senz’altro sia la possibilità di
ordinare al privato la demolizione delle opere costruite sine titulo - o in
virtù un titolo abilitativo venuto meno per effetto di una pronuncia
giurisdizionale - e sia l’imposizione del risarcimento, per i danni cagionati
in epoca anteriore all’accertamento relativo alla difformità dell’opera alle
normative tecniche.
Di
qui l’esattezza della decisione impugnata sul punto.
In
definitiva, l’attribuzione del potere di condanna alla reintegrazione in forma
specifica ed al risarcimento per equivalente è coerente ed implicito nella
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: non può limitarsi tale
potere in virtù della differente configurazione soggettiva nei cui confronti si
dirige.
___5.
In conclusione, la sentenza impugnata merita integrale conferma, nei sensi di
cui sopra e pertanto l’appello deve essere respinto.
In
relazione alla natura controversa delle questioni dedotte, sussistono giusti
motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente
pronunciando:
__1
Respinge l 'appello come in epigrafe proposto.
__2
Spese compensate.
Ordina
che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 maggio 2014 con
l'intervento dei magistrati:
Giorgio
Giaccardi, Presidente
Sandro
Aureli, Consigliere
Andrea
Migliozzi, Consigliere
Umberto
Realfonzo, Consigliere, Estensore
Oberdan
Forlenza, Consigliere
|
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L'ESTENSORE
|
IL PRESIDENTE
|
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DEPOSITATA
IN SEGRETERIA
Il
22/09/2014
IL
SEGRETARIO
(Art.
89, co. 3, cod. proc. amm.)
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