ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA'
& GIURISDIZIONE:
le Sezioni Unite
sul riparto di giurisdizione
sulla domanda di restituzione del fondo
illegittimante appreso dalla p.a.
in base ad un'occupazione "usurpativa spuria"
(Sez. Un., 12 giugno 2015, n. 12179)
Massima
1. Nel caso di specie, la domanda ha per oggetto l'accertamento della validità della procedura espropriativa e, ove ne fosse accertata l'illegittimità, la restituzione dei fondi oggetto di occupazione.
Più in particolare, la parte attrice contesta l'efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, rilevando che, per il combinato disposto del già richiamato D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, artt. 12 e 13 detta dichiarazione era venuta meno dato che, decorsi cinque anni dall'approvazione del progetto definitivo, non era stato eseguito il decreto di esproprio (c.d. occupazione usurpativa spuria).
2. In forza degli artt. 5 e 386 c.p.c., la giurisdizione si determina in base alla domanda e, ai fini del riparto tra il giudice ordinario e il giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche, e soprattutto, in funzione della causa petendi, ossia dell'intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice, con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti sono manifestazione.
3. La giurisprudenza di legittimità in tema di espropriazione ha affermato che, nel caso di vizi della procedura espropriativa che rendano quest'ultima giuridicamente inesistente e radicalmente nulla, viene meno il potere espropriativo dell'Amministrazione e l'affievolimento del diritto soggettivo di proprietà sui beni espropriando Ne consegue una situazione di carenza di potere che incide negativamente sia sul decreto di occupazione temporanea che su quello di esproprio, sia sull'irreversibile trasformazione dell'immobile successivamente, verificatasi i quali, siccome non collegati ad un fine di pubblico interesse legalmente dichiarato, divengono pur essi inidonei a sottrarre alla parte privata la disponibilità del bene.
La situazione giuridica venuta a crearsi integra, dunque, mera occupazione-detenzione illegittima dell'immobile privato, costituente illecito permanente, rispetto al quale sono esperibili le azioni reipersecutorie a tutela della non perduta proprietà del bene, secondo le previsioni degli artt. 2043 e 2058 cod. civ., con diritto per il proprietario di ottenere dal giudice ordinario, previa disapplicazione degli atti adottati in carenza di potere, la restituzione dell'immobile, esperibili dinanzi al giudice ordinario.
4. Tale soluzione aveva trovato spunto nella sentenza della Corte costituzionale n. 191/2006, che (riprendendo i principi già enunziati dalla sentenza n. 204/2004) aveva dichiarato l'illegittimità del D.Lgs. n. 325/2001, art. 53, co. 1, trasfuso nel D.P.R. 8 n. 327/2001, art. 53.
La disposizione in questione, infatti, devolveva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative ai "comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati", conseguenti all'applicazione delle disposizioni del testo unico, ma non escludeva i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere. Ne derivava che, prima della dichiarazione di incostituzionalità, l'attribuzione al giudice amministrativo della tutela giurisdizionale, pur fondandosi sull'esigenza di concentrare davanti ad un unico giudice la tutela del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica, non si giustificava quando, in concreto, la pubblica amministrazione non avesse esercitato, nemmeno mediatamente, il potere che la legge le attribuisce per la cura dell'interesse pubblico.
5. L'art. 133, comma 1, lett. g, c.p.a. prevede che "sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti, riconducibili, anche, mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere, delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione per pubblica utilità, ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario per quelle riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa".
La riferita disposizione, nel contemplare i comportamenti delle amministrazioni "riconducibili, anche mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere", intende far riferimento non solo ai casi in cui il pubblico potere è esercitato con l'adozione di strumenti intrinsecamente privatistici, ma anche al caso in cui l'espropriazione, iniziata con la dichiarazione di pubblica utilità e proseguita con la successiva occupazione d'urgenza, prosegue dopo la sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità.
In questo caso, infatti, esiste concreto esercizio del potere ablatorio, riconducibile alla pubblica potestà dell'Amministrazione e desumibile dall'adozione dello strumento procedimentale specifico, pur se l'ingerenza nella proprietà privata e la sua utilizzazione siano avvenute in assenza del titolo che le consentiva. Il comportamento dell'Amministrazione che omette di restituire il bene, pur dopo la l'inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità, è riconducile, seppure mediatamente, a quel provvedimento che è origine dell'apprensione del bene e, quindi, anche della mancata restituzione.
6. In conclusione, in applicazione dell'art. 133, comma 1, lett. g, c.p.a. e riconsiderando il precedente orientamento giurisprudenziale, deve affermarsi che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo nella controversia - riconducibile, parte direttamente e parte mediatamente, ad un provvedimento amministrativo - avente ad oggetto la domanda di restituzione di un terreno interessato da procedura espropriativa che si assume perenta per la mancata tempestiva esecuzione del decreto di esproprio.
Sentenza per esteso
FATTO E DIRITTO
1. La CLAN CAGI s.r.l. ha
convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Ariano Irpino il Comune di
Mirabella Eclano, esponendo di essere stata nel possesso di alcuni fondi fino
al 2006, quando il Comune, in esecuzione di una Delib. Giunta 14 giugno 2006,
adottata per la costruzione di una strada, aveva avviato un procedura di
espropriazione ed aveva occupato i fondi in questione, consegnandoli alla ditta
appaltatrice dei lavori. Essendo insorta controversia circa l'individuazione
dei terreni interessati dall'esecuzione dei lavori ed assumendo la mancanza di
un valido titolo per l'occupazione e la perenzione della dichiarazione di
pubblica utilità dell'opera, la società attrice aveva ottenuto dal Tribunale di
Ariano Irpino il sequestro giudiziario di vari terreni, tra i quali erano
comprese anche alcune particelle catastali rientranti nei due fondi sopra
indicati.
Conclude l'attrice perchè,
accertato il suo diritto di proprietà, il Comune di Mirabella Eclano venga condannato
a restituirle i fondi in questione essendo venuto meno il titolo per
l'occupazione, oltre il risarcimento dei danni, precisando che trattasi di
azione di contenuto petitorio da espletare necessariamente dinanzi all'a.g.o..
2. Il Comune, costituitosi in
giudizio, ha eccepito preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice
ordinario in favore del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 133, comma
1, lett. f) e g), c.p.a. e della L. 20 marzo 865, n. 2248, art. 4 dovendo la
posizione soggettiva della società attrice qualificarsi come interesse
legittimo.
3. Con ordinanza del 5.03.14 il
giudice istruttore del Tribunale di Benevento (che ha assorbito il Tribunale di
Ariano Irpino) si è riservato di esaminare la questione di giurisdizione assieme
al merito ed ha disposto procedersi all'istruttoria. Il Comune di Mirabella
Eclano ha promosso regolamento di giurisdizione ai sensi dell'art. 41 c.p.c.,
comma 1, con ricorso e memoria, cui risponde con controricorso Clan Cagi
s.r.l..
4. Il Procuratore generale ha
concluso nel senso che rientrano nella giurisdizione ordinaria l'azione
recuperatoria del bene e quella risarcitoria, derivanti dalla perdurante
occupazione o manipolazione del fondo di proprietà privata, ove la
dichiarazione di pubblica utilità non sia stata seguita da tempestiva adozione
del decreto di esproprio e, quindi, sia cessata ex lege, con effetto
retroattivo comportante la perdita del potere espropriativo e la riemersione
del diritto soggettivo.
5. Assumendo che entro il
quinquennio dall'approvazione del progetto definitivo dell'opera pubblica,
avvenuta il 14.06.06 ed equivalente a dichiarazione di pubblica utilità, non è
intervenuto il decreto di esproprio, ritenendo inefficace la procedura
espropriativa, la società attrice chiede che il giudice adito, affermato il suo
diritto di proprietà, disponga la restituzione dei terreni occupati dal Comune.
Di contro l'Amministrazione comunale, contestata la dedotta inefficacia e
rilevando l'avvenuta irreversibile trasformazione del bene, eccepisce il
difetto di giurisdizione dell'adito giudice ordinario in favore di quello
amministrativo.
Al riguardo deve premettersi che
in forza degli artt. 5 e 386 c.p.c., la giurisdizione si determina in base alla
domanda e, ai fini del riparto tra il giudice ordinario e il giudice
amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il petitum
sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della
concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche, e soprattutto, in funzione
della causa petendi, ossia dell'intrinseca natura della posizione dedotta in
giudizio ed individuata dal giudice, con riguardo ai fatti allegati ed al
rapporto giuridico del quale detti fatti sono manifestazione (v. S.u. 25.06.10
n. 15323, 27.11.07 n. 24625, 26.01.11 n. 1767).
Nel caso di specie, come appare
evidente dalle premesse, la domanda ha per oggetto l'accertamento della
validità della procedura espropriativa e, ove ne fosse accertata
l'illegittimità, la restituzione dei fondi oggetto di occupazione. E' sulla
base di questa impostazione, dunque, che deve procedersi all'individuazione del
giudice avente giurisdizione.
6. La giurisprudenza di
legittimità in tema di espropriazione ha affermato che, nel caso di vizi della
procedura espropriativa che rendano quest'ultima giuridicamente inesistente e
radicalmente nulla, viene meno il potere espropriativo dell'Amministrazione e
l'affievolimento del diritto soggettivo di proprietà sui beni espropriando Ne
consegue una situazione di carenza di potere che incide negativamente sia sul
decreto di occupazione temporanea che su quello di esproprio, sia
sull'irreversibile trasformazione dell'immobile successivamente, verificatasi i
quali, siccome non collegati ad un fine di pubblico interesse legalmente
dichiarato, divengono pur essi inidonei a sottrarre alla parte privata la
disponibilità del bene. La situazione giuridica venuta a crearsi integra,
dunque, mera occupazione-detenzione illegittima dell'immobile privato,
costituente illecito permanente, rispetto al quale sono esperibili le azioni
reipersecutorie a tutela della non perduta proprietà del bene, secondo le
previsioni degli artt. 2043 e 2058 cod. civ., con diritto per il proprietario
di ottenere dal giudice ordinario, previa disapplicazione degli atti adottati
in carenza di potere, la restituzione dell'immobile, esperibili dinanzi al
giudice ordinario (sentenze a S.u. 4.11.14 n. 23470, 23.12.08 n. 30254,
16.07.08 n. 19501).
7. Tale soluzione aveva trovato
spunto nella sentenza della Corte costituzionale 11.05.06 n. 191, che
(riprendendo i principi già enunziati dalla sentenza 6.07.04 n. 204) aveva
dichiarato l'illegittimità del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 325, art. 53, comma 1,
trasfuso nel D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 53, recante il testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per
pubblica utilità. La disposizione in questione, infatti, devolveva alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative ai
"comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse
equiparati", conseguenti all'applicazione delle disposizioni del testo
unico, ma non escludeva i comportamenti non riconducibili, nemmeno
mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere. Ne derivava che, prima della
dichiarazione di incostituzionalità, l'attribuzione al giudice amministrativo
della tutela giurisdizionale, pur fondandosi sull'esigenza di concentrare
davanti ad un unico giudice la tutela del cittadino avverso le modalità di
esercizio della funzione pubblica, non si giustificava quando, in concreto, la
pubblica amministrazione non avesse esercitato, nemmeno mediatamente, il potere
che la legge le attribuisce per la cura dell'interesse pubblico.
8. Il codice del processo
amministrativo (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104), all'art. 133, comma 1, lett. g,
prevede che "sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo
le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i
comportamenti, riconducibili, anche, mediatamente, all'esercizio di un pubblico
potere, delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione per
pubblica utilità, ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario per
quelle riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in
conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa".
La riferita disposizione, nel
contemplare i comportamenti delle amministrazioni "riconducibili, anche
mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere", intende far
riferimento non solo ai casi in cui il pubblico potere è esercitato con
l'adozione di strumenti intrinsecamente privatistici, ma anche al caso in cui
l'espropriazione, iniziata con la dichiarazione di pubblica utilità e
proseguita con la successiva occupazione d'urgenza, prosegue dopo la sopravvenuta
inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità.
In questo caso, infatti, esiste
concreto esercizio del potere ablatorio, riconducibile alla pubblica potestà
dell'Amministrazione e desumibile dall'adozione dello strumento procedimentale
specifico, pur se l'ingerenza nella proprietà privata e la sua utilizzazione
siano avvenute in assenza del titolo che le consentiva. Il comportamento
dell'Amministrazione che omette di restituire il bene, pur dopo la
l'inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità, è riconducile, seppure
mediatamente, a quel provvedimento che è origine dell'apprensione del bene e,
quindi, anche della mancata restituzione (v. S.u. 27.05.15 n. 10879).
9. Nella fattispecie interessata
dal regolamento la parte attrice contesta l'efficacia della dichiarazione di
pubblica utilità, rilevando che, per il combinato disposto del già richiamato
D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, artt. 12 e 13 detta dichiarazione era venuta meno
dato che, decorsi cinque anni dall'approvazione del progetto definitivo, non
era stato eseguito il decreto di esproprio. Si verte, dunque, in una
controversia in materia di espropriazione per pubblica utilità avente ad
oggetto atti, provvedimenti e comportamenti, riconducibili mediatamente
all'esercizio di un pubblico potere, che, ai sensi della menzionata
disposizione del codice del processo amministrativo impone l'assegnazione della
giurisdizione al giudice amministrativo.
10. In conclusione, in
applicazione dell'art. 133, comma 1, lett. g, c.p.a. e riconsiderando il
precedente orientamento giurisprudenziale, deve affermarsi che sussiste la
giurisdizione del giudice amministrativo nella controversia - riconducibile,
parte direttamente e parte mediatamente, ad un provvedimento amministrativo -
avente ad oggetto la domanda di restituzione di un terreno interessato da
procedura espropriativa che si assume perenta per la mancata tempestiva
esecuzione del decreto di esproprio.
12. Considerata la novità delle
questioni, sussistono giusti motivi per compensare le spese del presente
regolamento.
La Corte dichiara la
giurisdizione del giudice amministrativo, compensando le spese del regolamento.
Così deciso in Roma, il 10 marzo
2015.
Depositato in Cancelleria il 12
giugno 2015
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