l'azione d'accertamento
ed il principio di legittimo affidamento
[T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III ter,
ord. (di rimessione alla Corte Cost.)
1 settembre 2015, n. 10987)
Visti gli artt. 134 Cost., 1 l. cost. n. 1/1948, e 23 l. n. 87/1953, il TAR Lazio, Roma, ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, co. 3, del d.l. n. 91/2014, conv. con l. n. 116/2014, in relazione agli artt. 3, 11, 41, 77 e 117, 1° co., della Cost., nonché 1, Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU e 6, paragrafo 3, del TUE.
La controversia è tecnica, ma offre spunti di carattere generale molto interessanti (v. Massima).
Massima
A. Sull'azione di accertamento
1. L’ammissibilità della domanda di accertamento consegue alla natura di diritto soggettivo della situazione giuridica azionata dalle ricorrenti, nel caso di specie identificabile nella pretesa all’incentivo come quantificato nei “contratti di diritto privato” espressamente menzionati dall’art. 24, co. 2, lett. b), d.lgs. n. 28/2011, e la qualificazione in termini di diritto soggettivo della pretesa al mantenimento dell’incentivo è, pertanto, desumibile dalla natura “di diritto privato” dell’atto da cui promana la quantificazione dell’incentivo stesso.
2. Anche a volere qualificare la posizione giuridica soggettiva della parte ricorrente come interesse legittimo, l’azione di accertamento deve ritenersi comunque ammissibile, come ha avuto modo di ritenere l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 15/2011 in riferimento alle ipotesi in cui “detta tecnica di tutela sia l’unica idonea a garantire una protezione adeguata ed immediata dell'interesse legittimo” (presupposto che ricorre nella fattispecie), a nulla rilevando l’assenza di una previsione legislativa espressa. Impostazione che trova “fondamento nelle norme immediatamente precettive dettate dalla Carta fondamentale al fine di garantire la piena e completa protezione dell’interesse legittimo (artt. 24, 103 e 113)".
3. Circa, poi, l’esistenza, in concreto, delle condizioni legittimanti l’esperibilità dell’azione di accertamento, parte ricorrente, sin dal momento dell’entrata in vigore dell’art. 26 d.l. n. 91/2014, ha subìto una lesione diretta e immediata della sua situazione giuridica soggettiva (identificabile nella pretesa al mantenimento dell’incentivo “convenzionato”) per effetto del regime introdotto dalla disposizione in esame; in particolare, tale pregiudizio è ravvisabile nell’immediata operatività dell’obbligo di scelta – da esercitare entro il 30.11.2014 – di una delle tre opzioni di rimodulazione degli incentivi previste dall’art. 26 d. l. n. 91/2014.
Come già rilevato (v. par. 3), ciascuna delle opzioni del comma 3 impatta in senso peggiorativo sulla posizione degli operatori siccome definita nelle convenzioni di incentivazione.
Ne deriva che la lesione, attualmente riferibile alla posizione di parte ricorrente, consegue all’immediata operatività dell’obbligo, imposto dall’art. 26, co. 3, cit., di scelta di uno dei tre regimi peggiorativi previsti dalla norma, e tale obbligo qualifica, in capo alla parte ricorrente, l’interesse ad agire in relazione alla proposta azione di accertamento.
B. Sul principio del legittimo affidamento
1. Quanto alla lesione del principio del legittimo affidamento e di quello, ad esso sotteso, della certezza del diritto, deve richiamarsi la sentenza della Corte di giustizia 10 settembre 2009, in causa C-201/08, Plantanol, concernente l’abolizione anticipata di un regime di esenzione fiscale per un biocarburante, nella quale il Giudice comunitario ha chiarito:
i) per un verso, che il principio di certezza del diritto non postula l’“assenza di modifiche legislative”, richiedendo “piuttosto che il legislatore tenga conto delle situazioni particolari degli operatori economici e preveda, eventualmente, adattamenti all’applicazione delle nuove norme giuridiche” (punto 49); e, per altro verso,
ii) che la possibilità di far valere la tutela del legittimo affidamento è bensì “prevista per ogni operatore economico nel quale un’autorità nazionale abbia fatto sorgere fondate aspettative”, ma non “qualora un operatore economico prudente ed accorto sia in grado di prevedere l’adozione di un provvedimento idoneo a ledere i suoi interessi” (nel caso in cui il provvedimento venga adottato); in tale prospettiva, inoltre, “gli operatori economici non possono fare legittimamente affidamento sulla conservazione di una situazione esistente che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle autorità nazionali” (punto 53), spettando al giudice nazionale, in una valutazione globale e in concreto delle pertinenti circostanze fattuali, stabilire se l’impresa ricorrente disponesse “come operatore prudente e accorto, […] di elementi sufficienti per consentirle di aspettarsi che il regime di esenzione fiscale di cui trattasi fosse abolito prima della data iniziale prevista per la sua scadenza”, non sussistendo - giova ribadire - preclusioni derivanti dai canoni della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento (punti 67 e 68).
i) per un verso, che il principio di certezza del diritto non postula l’“assenza di modifiche legislative”, richiedendo “piuttosto che il legislatore tenga conto delle situazioni particolari degli operatori economici e preveda, eventualmente, adattamenti all’applicazione delle nuove norme giuridiche” (punto 49); e, per altro verso,
ii) che la possibilità di far valere la tutela del legittimo affidamento è bensì “prevista per ogni operatore economico nel quale un’autorità nazionale abbia fatto sorgere fondate aspettative”, ma non “qualora un operatore economico prudente ed accorto sia in grado di prevedere l’adozione di un provvedimento idoneo a ledere i suoi interessi” (nel caso in cui il provvedimento venga adottato); in tale prospettiva, inoltre, “gli operatori economici non possono fare legittimamente affidamento sulla conservazione di una situazione esistente che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle autorità nazionali” (punto 53), spettando al giudice nazionale, in una valutazione globale e in concreto delle pertinenti circostanze fattuali, stabilire se l’impresa ricorrente disponesse “come operatore prudente e accorto, […] di elementi sufficienti per consentirle di aspettarsi che il regime di esenzione fiscale di cui trattasi fosse abolito prima della data iniziale prevista per la sua scadenza”, non sussistendo - giova ribadire - preclusioni derivanti dai canoni della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento (punti 67 e 68).
2. In riferimento al caso allora in esame, è stata in particolare esclusa la lesione degli anzidetti principi generali, non potendo “dubitarsi della circostanza che il settore del fotovoltaico abbia subìto negli anni più recenti notevoli modifiche in ragione così dell’andamento dei costi delle componenti impiantistiche (in particolare, per effetto della forte riduzione del costo dei pannelli solari) come dell’aumento progressivo delle potenze installate (elementi che le deduzioni di parte ricorrente non riescono a confutare)”.
Sicché, evidenziati gli elementi relativi alla notoria evoluzione del comparto, si è ritenuto che “un operatore ‘prudente e accorto’ fosse ben consapevole, oltre che dell’intrinseca mutevolezza dei regimi di sostegno, delle modalità con cui questi sono stati declinati dalle autorità pubbliche nazionali sin dal Primo conto, vale a dire: a) con un orizzonte temporale assai limitato (tanto che da taluni è stata lamentata questa eccessiva brevità rispetto al termine di sette anni contenuto nella direttiva 2001/77/CE; cfr. 16° consid. e art. 4, par. 2, lett. e); b) con ripetuti interventi a breve distanza di tempo (quattro in soli cinque anni, dal luglio 2005 all’agosto 2010).
2. Il Consiglio di Stato ha mostrato di condividere detta impostazione, riconoscendo che “la tutela del legittimo affidamento è principio connaturato allo Stato di diritto sicché, regolamentando contro di esso, il legislatore statale viola i limiti della discrezionalità legislativa (Corte Cost., sentenze 9 luglio 2009, n. 206, e 8 maggio 2007, n. 156)”, e negando in particolare che nella specie fosse ravvisabile un “legittimo affidamento tutelabile”, posto che non si controverteva su “provvedimenti e diritti già legittimamente acquisiti sulla base della normativa anteriore” e non era risultato che l’amministrazione pubblica avesse “orientato le società ricorrenti verso comportamenti negoziali che altrimenti non avrebbero tenuto”.
Né è stata riscontrata la sussistenza di “un investimento meritevole di essere salvaguardato perché la rimodulazione legislativa non è stata affatto incerta o improvvisa ma conosciuta dagli operatori (accorti) del settore come in itinere (la nuova direttiva comunitaria è infatti del 2009)”.
Su tali basi, il Giudice d’appello ha ritenuto che mancassero “i fondamentali causali di un legittimo e ragionevole affidamento, non essendo infatti intervenuta in vicenda nessuna inosservanza da parte della pubblica amministrazione statale della disciplina comunitaria e nazionale ovvero alcuna condotta, omissiva o commissiva, in violazione di una specifica norma dalla materia di settore posta, oppure trasgressione ai principi generali di prudenza, di diligenza e di proporzionalità, nel concretizzare in modo conforme la volontà di legge” (così Cons. Stato, sez. V, 8 agosto 2014, nn. 4233 e 4234).
Ha inoltre reputato manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale relative alle inerenti norme del d.lgs. n. 28/2011, “dovendosi ritenere che la violazione del diritto alla iniziativa economica, così come dei principi di buon andamento e di parità di trattamento, si concretino solo allorquando la nuova norma incida in modo peggiorativo su aspettative qualificate, già pervenute, però, ad un livello di consolidamento così elevato da creare un affidamento costituzionalmente protetto alla conservazione di quel trattamento, tale da prevalere su vincoli di bilancio e di buona amministrazione o sulla revisione prevista di precedenti politiche economiche pubbliche”.
Ha inoltre reputato manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale relative alle inerenti norme del d.lgs. n. 28/2011, “dovendosi ritenere che la violazione del diritto alla iniziativa economica, così come dei principi di buon andamento e di parità di trattamento, si concretino solo allorquando la nuova norma incida in modo peggiorativo su aspettative qualificate, già pervenute, però, ad un livello di consolidamento così elevato da creare un affidamento costituzionalmente protetto alla conservazione di quel trattamento, tale da prevalere su vincoli di bilancio e di buona amministrazione o sulla revisione prevista di precedenti politiche economiche pubbliche”.
Ciò sul rilievo che la disciplina del IV° conto “non tocca le iniziative già avviate (quelle per cui gli impianti sono entrati in esercizio al 31 maggio 2011) e introduce una ragionevole distinzione tra le diverse situazioni di fatto, operando una distinzione sulla base della data di entrata in esercizio degli impianti […]” (così, da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 3 marzo 2015, n. 1043).
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione
Terza Ter)
ha
pronunciato la presente
ORDINANZA
sul
ricorso numero di registro generale 14819 del 2014, proposto da:
Soc
Lizzanello Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Francesco Saverio Marini,
Andrea Sticchi Damiani, con domicilio eletto presso Studio Legale Marini in
Roma, Via dei Monti Parioli, 48;
contro
Ministero
dello Sviluppo Economico, Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentati
e difesi per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi,
12; Soc Gestore Servizi Energetici Gse Spa;
per
l'annullamento, previa sospensiva
a)
del decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 17 ottobre 2014, recante
"Modalità per la rimodulazione delle tariffe incentivanti per l'energia
elettrica prodotta da impianti fotovoltaici, in attuazione dell'articolo 26,
comma 3, lett. b) del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con
modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116", pubblicato in G.U.,
serie generale n. 248 del 24.10.2014, mediante il quale sono stati individuati
i criteri e le percentuali di rimodulazione degli incentivi per l'energia
prodotta da impianti fotovoltaici;
b)
delle "Istruzioni operative per gli interventi sulle tariffe incentivanti
relative agli impianti foto voltaici, ai sensi dell'art. 26 della legge n.
116/2014 (c.d. Legge “Competitività"), pubblicate dal G.S.E. sul proprio
sito internet in data 3.11.2014;
c)
il correlativo accertamento del diritto della ricorrente a non esercitare
alcuna delle tre opzioni di riduzione dell'incentivo riconosciuto per la
produzione di energia elettrica da impianto solare fotovoltaico, previste
dall'articolo 26, comincia 3, lett. a), b), e c), del d.1. 24.6.2014, n. 91,
convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116 e a
conservare le condizioni contrattuali stabilite nelle Convenzioni stipulate con
il G.S.E., senza che quest'ultimo possa applicare l'opzione c) nel caso in cui
la ricorrente non eserciti, entro il 30 novembre 2014, l'opzione di scelta fra
una delle alternative di riduzione dell'incentivo riconosciuto per la
produzione di energia elettrica da impianto solare fotovoltaico, stabilite dall'art.
26, comma 3, lett. a), b), e c), del medesimo atto normativo;
per
il risarcimento dei danni subiti e subendi dalla società ricorrente, da
determinarsi in corso di causa o da quantificarsi anche in via equitativa dal
Collegio;
Visti
il ricorso e i relativi allegati;
Viste
le memorie difensive;
Visti
tutti gli atti della causa;
Visti
gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dello Sviluppo Economico e di
Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 19 marzo 2015 la dott.ssa Maria Grazia
Vivarelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
In
FATTO:
L'odierna
ricorrente è proprietaria dell'impianto fotovoltaico denominato "Nardò
Lizzanello", ubicato in Loc. Conga-FG. 89-PLLE, 78 snc, Nardò (LE), della
potenza nominale di 467,72 kW. Tale impianto fruisce delle tariffe incentivanti
riconosciute in base all'articolo 7 del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387
("Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione
dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato
interno dell'elettricità"), all'articolo 25, comma 10, del d.lgs. 3 marzo
2011, n. 28 ("Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione
dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva
abrogazione delle direttive 2001/77/ CE e 2003/30/CE"), e al D.M.
19.2.2007, con i termini e le modalità stabilite in un' apposita Convenzione di
diritto privato stipulata con il GSE.
Con
ricorso, spedito per la notifica il 14/11/14 e depositato il 28/11/14, la
società Lizzanello srl ha chiesto l’annullamento delle "Istruzioni
operative per gli interventi sulle tariffe incentivanti relative agli impianti
fotovoltaici, ai sensi dell'art. 26 della Legge 116/2014 (c.d. "Legge
Competitività")” emanate dal GSE e pubblicate sul relativo sito internet
in data 3 novembre 2014; nonché del decreto del Ministro dello Sviluppo
Economico del 17 ottobre 2014, recante "Modalità per la rimodulazione
delle tariffe incentivanti per l'energia elettrica prodotta da impianti
fotovoltaici, in attuazione dell'articolo 26, comma 3, lett. b) del
decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge
11 agosto 2014, n. 116, pubblicato in G.U., serie generale n. 248 del
24.10.2014 e delle relative tabelle redatte e pubblicate dal GSE; ha inoltre
chiesto l’accertamento del diritto di non esercitare alcuna delle tre opzioni
di rimodulazione dell’incentivo per la produzione di energia elettrica
fotovoltaica, previste dall’art. 26 comma 3° lettere a), b) e c) d.l. n.
91/2014, e la condanna delle parti resistenti al risarcimento dei danni.
Esposti
gli argomenti a sostegno dell’ammissibilità dell’azione di accertamento e
illustrata la natura provvedimentale e autoapplicativa dell’art. 26, co. 3,
d.l. n. 91/2014, parte ricorrente ha denunciato l’illegittimità costituzionale
di questa disposizione per contrasto con gli artt.: 3 e 41 Cost.; 11 e 117, 1°
co., Cost., in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU; 11 e 117, 1° co., Cost.,
in relazione agli obblighi internazionali derivanti dal Trattato sulla Carta
europea dell’energia; 11 e 117, 1° co., Cost., in relazione ai contenuti della
dir. 2009/28/CE (conss. 14 e 25 e artt. 23 e 24 d.lgs. n. 28/2011); 77 Cost.
Il
Ministero dello sviluppo economico e la Presidenza del Consiglio dei Ministri,
costituitisi con atto depositato il 05/12/14, hanno eccepito l’inammissibilità
delle domande e concluso per la reiezione del gravame.
All’udienza
pubblica del 19 marzo 2015, in vista della quale le parti resistenti hanno
depositato memorie, il giudizio è stato discusso e trattenuto in decisione.
In
DIRITTO:
Con
separata sentenza non definitiva, decisa in pari data e pubblicata, sono state
respinte le eccezioni di rito sollevate dalle parti resistenti e sono state
disattese alcune questioni prospettate dalla parte ricorrente.
Per
la disamina delle rimanenti doglianze è necessario sottoporre in via
pregiudiziale l’art. 26, co. 3, d.l. n. 91/2014 al giudizio della Corte
costituzionale, secondo quanto si passa a dire (nei nn. da 1 a 3 si darà conto
del contesto di riferimento, nel n. 4 della rilevanza e infine, nel n. 5 della
della non manifesta infondatezza).
1.
Quadro normativo relativo all’incentivazione della produzione elettrica da
fonte solare.
1.1.
Le direttive europee.
La
produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è obiettivo rilevante
delle politiche energetiche e ambientali europee.
Essa
trova collocazione nel contesto di favore sancito a livello internazionale dal
Protocollo di Kyoto (Protocollo alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui
cambiamenti climatici, fatto a Kyoto l’11 dicembre 1997, di cui è stata
autorizzata la ratifica e disposta l’esecuzione con l. 1° giugno 2002, n. 120;
cfr. anche art. 11, co. 5, d.lgs. n. 79/1999 nella versione anteriore alle
modificazioni di cui al d.lgs. n. 28/2011; in Europa, il protocollo è stato
approvato con decisione del Consiglio 2002/358/CE del 25 aprile 2002), il cui
art. 2, par. 1, lett. a), del Protocollo impegna le parti contraenti,
“nell’adempiere agli impegni di limitazione quantificata e di riduzione delle
emissioni […], al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile”, ad applicare o
elaborare “politiche e misure, in conformità con la sua situazione nazionale,
come: […] iv) Ricerca, promozione, sviluppo e maggiore utilizzazione di forme
energetiche rinnovabili […]”.
Con
la dir. n. 2001/77/CE (sulla “promozione dell’energia elettrica prodotta da
fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità”) il
legislatore europeo, riconosciuta “[…] la necessità di promuovere in via
prioritaria le fonti energetiche rinnovabili, poiché queste contribuiscono alla
protezione dell’ambiente e allo sviluppo sostenibile”, potendo “inoltre creare
occupazione locale, avere un impatto positivo sulla coesione sociale,
contribuire alla sicurezza degli approvvigionamenti e permettere di conseguire
più rapidamente gli obiettivi di Kyoto” (cons. 1, che sottolinea ulteriormente
la necessità di “garantire un migliore sfruttamento di questo potenziale
nell’ambito del mercato interno dell’elettricità”), ha affermato chiaramente
che “la promozione dell’elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili è
un obiettivo altamente prioritario a livello della Comunità […]” (cons. 2; come
tale, essa costituisce “parte importante del pacchetto di misure necessarie per
conformarsi al protocollo di Kyoto […]”) e ha ritenuto di intervenire
attraverso l’assegnazione agli Stati membri di “obiettivi indicativi nazionali
di consumo di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili”, con
riserva di proporre “obiettivi vincolanti” in ragione dell’eventuale progresso
rispetto all’“obiettivo indicativo globale” del 12% del consumo interno lordo
di energia nel 2010 (cons. 7), ferma la possibilità per ciascuno Stato membro
di individuare “il regime più rispondente alla sua particolare situazione” per
il raggiungimento degli “obiettivi generali dell’intervento” (cons. 23).
Ciò
al dichiarato fine di “garantire una maggiore penetrazione sul mercato, a medio
termine dell’elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili” e ribadendo
“gli impegni nazionali assunti nel contesto degli obblighi in materia di
cambiamenti climatici contratti dalla Comunità a titolo del protocollo di
Kyoto” (conss. nn. 5 e 6).
In
coerenza con tali premesse, la dir. 2001/77 ha individuato all’art. 3 i
menzionati “obiettivi indicativi nazionali” e ha conferito agli Stati membri la
possibilità di stabilire specifici “regimi di sostegno”, demandando alla
Commissione:
-
al par. 1, la valutazione della coerenza di questi ultimi con i principi in
materia di aiuti di Stato (artt. 87 e 88 Trattato CE, oggi artt. 107 e 108
Trattato UE), “tenendo conto che essi contribuiscono a perseguire gli obiettivi
stabiliti negli articoli 6 e 174 del Trattato” (si tratta delle disposizioni
sulla tutela dell’ambiente e sulla politica ambientale; cfr. oggi artt. 11 e
191 Tratt. UE);
-
al par. 2, la presentazione di una relazione (entro il 27.10.2005)
sull’esperienza maturata (e sul “successo, compreso il rapporto
costo-efficacia, dei regimi di sostegno […] nel promuovere il consumo di
elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili in conformità con gli
obiettivi indicativi nazionali […]) e di un’eventuale “proposta relativa a un
quadro comunitario” per i regimi di sostegno tale da: “a) contribuire al
raggiungimento degli obiettivi indicativi nazionali; b) essere compatibile con
i principi del mercato interno dell’elettricità; c) tener conto delle
caratteristiche delle diverse fonti energetiche rinnovabili, nonché delle
diverse tecnologie e delle differenze geografiche; d) promuovere efficacemente
l’uso delle fonti energetiche rinnovabili, essere semplice e al tempo stesso
per quanto possibile efficiente, particolarmente in termini di costi; e)
prevedere per i regimi nazionali di sostegno periodi di transizione sufficienti
di almeno sette anni e mantenere la fiducia degli investitori”.
La
dir. n. 2009/28/CE (“promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili,
recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE”)
compie l’annunciato cambio di passo, avendo il legislatore comunitario ritenuto
di procedere attraverso l’indicazione agli Stati membri di “obiettivi nazionali
obbligatori” per il raggiungimento di una quota pari al 20% di consumo di
energia entro il 2020 (cons. 13); tali obiettivi hanno, come precisato al cons.
14, la “principale finalità” di “creare certezza per gli investitori nonché
stimolare lo sviluppo costante di tecnologie capaci di generare energia a
partire da ogni tipo di fonte rinnovabile. […]”.
In
questa nuova prospettiva – e ravvisata la necessità, alla luce delle diverse
condizioni iniziali, di “tradurre l’obiettivo complessivo comunitario del 20%
in obiettivi individuali per ogni Stato membro, procedendo ad un’allocazione
giusta e adeguata che tenga conto della diversa situazione di partenza e delle
possibilità degli Stati membri, ivi compreso il livello attuale dell’energia da
fonti rinnovabili e il mix energetico” (cons. 15) –, la direttiva prende
specificamente in considerazione i regimi di sostegno nazionali.
Segnatamente,
il cons. 25 (nel rilevare che “gli Stati membri hanno potenziali diversi in
materia di energia rinnovabile e diversi regimi di sostegno all’energia da
fonti rinnovabili a livello nazionale”, che la maggioranza di essi “applica
regimi di sostegno che accordano sussidi solo all’energia da fonti rinnovabili
prodotta sul loro territorio” e che “per il corretto funzionamento dei regimi
di sostegno nazionali è essenziale che gli Stati membri possano controllare gli
effetti e i costi dei rispettivi regimi in funzione dei loro diversi
potenziali”) riconosce che “uno strumento importante per raggiungere
l’obiettivo fissato dalla presente direttiva consiste nel garantire il corretto
funzionamento dei regimi di sostegno nazionali, come previsto dalla direttiva
2001/77/CE, al fine di mantenere la fiducia degli investitori e permettere agli
Stati membri di elaborare misure nazionali efficaci per conformarsi al suddetto
obiettivo […]” (ciò anche in vista del coordinamento tra le misure di “sostegno
transfrontaliero all’energia da fonti rinnovabili” e i regimi di sostegno
nazionale).
L’art.
3 individua pertanto gli “obiettivi e [le] misure nazionali generali
obbligatori per l’uso dell’energia da fonti rinnovabili” (quello per l’Italia è
pari al 17%; cfr. Tabella All. I, parte A) e rimarca la possibilità per gli
Stati membri di utilizzare, tra l’altro, i regimi di sostegno (par. 3),
definiti dal precedente art. 2, par. 2, lett. k), nei seguenti termini:
“strumento, regime o meccanismo applicato da uno Stato membro o gruppo di Stati
membri, inteso a promuovere l’uso delle energie da fonti rinnovabili
riducendone i costi, aumentando i prezzi a cui possono essere vendute o
aumentando, per mezzo di obblighi in materia di energie rinnovabili o altri
mezzi, il volume acquistato di dette energie. Ciò comprende, ma non in via
esclusiva, le sovvenzioni agli investimenti, le esenzioni o gli sgravi fiscali,
le restituzioni d’imposta, i regimi di sostegno all’obbligo in materia di
energie rinnovabili, compresi quelli che usano certificati verdi, e i regimi di
sostegno diretto dei prezzi, ivi comprese le tariffe di riacquisto e le
sovvenzioni”.
1.2.
Il recepimento delle direttive in Italia: i cc.dd. conti energia.
1.2.1.
La dir. 2001/77 è stata recepita con il d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, che in
attuazione della delega di cui all’art. 43 l. 1° marzo 2002, n. 39 (l.
comunitaria 2001), ha offerto il quadro di riferimento generale per la
promozione delle “fonti energetiche rinnovabili o fonti rinnovabili” (art. 1,
co. 1, lett. a), introducendo varie misure incentivanti.
Per
quel che oggi rileva, la produzione di energia elettrica da fonte solare è
specificamente presa in considerazione dall’art. 7 (“disposizioni specifiche
per il solare”), che ha demandato a “uno o più decreti” interministeriali (del
Ministro delle attività produttive, d’intesa con il Ministro dell’ambiente e
della tutela del territorio e d’intesa con la Conferenza unificata) la
definizione dei “criteri” di incentivazione (co. 1).
La
delega all’autorità governativa è assai ampia.
La
disposizione sancisce infatti (co. 2, lettere da a a g) che detti “criteri”
stabiliscano (“senza oneri per il bilancio dello Stato e nel rispetto della
normativa comunitaria vigente”): a) “i requisiti dei soggetti che possono
beneficiare dell’incentivazione”; b) “i requisiti tecnici minimi dei componenti
e degli impianti”; c) “le condizioni per la cumulabilità dell’incentivazione
con altri incentivi”; d) le modalità per la determinazione dell’entità dell’incentivazione.
Per l’elettricità prodotta mediante conversione fotovoltaica della fonte solare
prevedono una specifica tariffa incentivante, di importo decrescente e di
durata tali da garantire una equa remunerazione dei costi di investimento e di
esercizio”; e) “un obiettivo della potenza nominale da installare”; f) “il
limite massimo della potenza elettrica cumulativa di tutti gli impianti che
possono ottenere l'incentivazione”; g) l’eventuale “utilizzo dei certificati
verdi” ex art. 11, co. 3, d.lgs. n. 79/1999 (enf. agg.).
I
decreti ministeriali adottati in base a detto art. 7 sono noti con la
denominazione di “conti energia” e sono identificati con numero ordinale
progressivo in relazione alle versioni via via succedutesi:
-
I° conto (dd.mm. 28.7.2005 e 6.2.2006, recanti distinzione delle tariffe in
relazione alla potenza nominale, se superiore o non a 20 kW; le “tariffe
decrescenti” sono stabilite in dipendenza dell’anno in cui la domanda di
incentivazione è presentata);
-
II° conto (d.m. 19.2.2007, che introduce ulteriori incentivazioni per gli
impianti integrati architettonicamente e un premio per quelli abbinati a un uso
efficiente dell’energia);
-
III° conto (d.m. 6.8.2010, nelle cui premesse si ravvisa la necessità di
“intervenire al fine di aggiornare le tariffe incentivanti, alla luce della
positiva decrescita dei costi della tecnologia fotovoltaica, al fine di
rispettare il principio di equa remunerazione dei costi” ex art. 7 d.lgs. n.
387 del 2003 e “di stimolare l’innovazione e l’ulteriore riduzione dei costi”,
revisione delle tariffe da attuare “tramite una progressiva diminuzione [di
dette tariffe] che, da un lato, miri ad un allineamento graduale verso gli
attuali costi delle tecnologie e che, dall’altro, mantenga stabilità e certezza
sul mercato”).
In
ciascuno di questi provvedimenti la durata dell’incentivazione è stabilita in
venti anni, decorrenti dalla data di entrata in esercizio dell’impianto (cfr.
artt. 5, co. 2, e 6, commi 2 e 3, d.m. 28.7.2005,; art. 6 d.m. 19.2.2007, che
precisa come il valore della tariffa sia “costante in moneta corrente” per
tutto il periodo ventennale; artt. 8, 12 e 14 d.m. 6.8.2010).
1.2.2.
La dir. 2009/28 è stata recepita con il d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28, in
attuazione della delega di cui all’art. 17, co. 1, l. 4 giugno 2010, n. 96 (l.
comunit. 2009).
Individuate
all’art. 1 le “finalità” (“il presente decreto, in attuazione della direttiva
2009/28/CE e nel rispetto dei criteri stabiliti dalla legge 4 giugno 2010, n.
96, definisce gli strumenti, i meccanismi, gli incentivi e il quadro
istituzionale, finanziario e giuridico, necessari per il raggiungimento degli
obiettivi fino al 2020 in materia di quota complessiva di energia da fonti
rinnovabili sul consumo finale lordo di energia e di quota di energia da fonti
rinnovabili nei trasporti. […]”), l’art. 3 stabilisce gli “obiettivi
nazionali”, prevedendo, per quanto qui rileva, che “la quota complessiva di
energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia da conseguire
nel 2020 è pari a 17 per cento” (co. 1), obiettivo da perseguire “con una
progressione temporale coerente con le indicazioni dei Piani di azione
nazionali per le energie rinnovabili predisposti ai sensi dell’articolo 4 della
direttiva 2009/28/CE” (co. 3).
Ai
regimi di sostegno è dedicato il Titolo V, aperto dall’art- 23 sui “principi
generali” – capo I – , ai sensi del quale:
“1.
Il presente Titolo ridefinisce la disciplina dei regimi di sostegno applicati
all’energia prodotta da fonti rinnovabili e all’efficienza energetica
attraverso il riordino ed il potenziamento dei vigenti sistemi di
incentivazione. La nuova disciplina stabilisce un quadro generale volto alla
promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili e dell’efficienza
energetica in misura adeguata al raggiungimento degli obiettivi di cui
all’articolo 3, attraverso la predisposizione di criteri e strumenti che
promuovano l’efficacia, l’efficienza, la semplificazione e la stabilità nel
tempo dei sistemi di incentivazione, perseguendo nel contempo l’armonizzazione
con altri strumenti di analoga finalità e la riduzione degli oneri di sostegno
specifici in capo ai consumatori.
2.
Costituiscono ulteriori principi generali dell’intervento di riordino e di
potenziamento dei sistemi di incentivazioni la gradualità di intervento a
salvaguardia degli investimenti effettuati e la proporzionalità agli obiettivi,
nonché la flessibilità della struttura dei regimi di sostegno, al fine di tener
conto dei meccanismi del mercato e dell’evoluzione delle tecnologie delle fonti
rinnovabili e dell’efficienza energetica.”.
Il
Capo II (artt. da 24 a 26) concerne specificamente la produzione di energia
elettrica da fonti rinnovabili.
L’art.
24 delinea i “meccanismi di incentivazione” per gli impianti che entrino in
esercizio dopo il 31.12.2012 (co. 1), individuando al co. 2, tra gli altri, i
seguenti “criteri generali”: “a) l’incentivo ha lo scopo di assicurare una equa
remunerazione dei costi di investimento ed esercizio; b) il periodo di diritto
all’incentivo è pari alla vita media utile convenzionale delle specifiche
tipologie di impianto e decorre dalla data di entrata in esercizio dello
stesso; c) l’incentivo resta costante per tutto il periodo di diritto e può
tener conto del valore economico dell’energia prodotta; d) gli incentivi sono assegnati
tramite contratti di diritto privato fra il GSE e il soggetto responsabile
dell’impianto, sulla base di un contratto-tipo definito dall’Autorità per
l’energia elettrica e il gas, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore
del primo dei decreti di cui al comma 5; […]”.
L’art.
25 reca la disciplina transitoria, sancendo al co. 1 che la produzione da
impianti entrati in esercizio entro il 31.12.2012 è “incentivata con i
meccanismi vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, con i
correttivi di cui ai commi successivi”.
I
commi 9 e 10 dettano i “correttivi” per gli impianti da fonte solare, mentre il
successivo co. 11, lett. b), n. 3, dispone l’abrogazione, a far tempo
dall’1.1.2013, dell’art. 7 d.lgs. n. 387/03 cit. “fatti salvi i diritti
acquisiti”.
In
particolare:
-
il co. 9 sancisce l’applicabilità del III° conto (d.m. 6.8.2010 cit.) “alla
produzione degli impianti fotovoltaici “che entrino in esercizio entro il 31
maggio 2011”;
-
il co. 10, per gli impianti con data di entrata in esercizio successiva
all’1.6.2011– e fatte salve le previsioni dell’art. 2-sexies d.l. 25 gennaio
2010, n. 3 (conv., con modif., dalla l. 22 marzo 2010, n. 41), che ha esteso
l’operatività del II° Conto agli impianti ultimati entro il 31.12.2010 purché entrati
in esercizio entro il 30.6.2011 – ha demandato la disciplina del regime
incentivante a un decreto interministeriale (emanato dal Ministro dello
sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela
del territorio e del mare, sentita la Conferenza unificata), da adottare sulla
base dei seguenti principi: “a) determinazione di un limite annuale di potenza
elettrica cumulativa degli impianti fotovoltaici che possono ottenere le
tariffe incentivanti; b) determinazione delle tariffe incentivanti tenuto conto
della riduzione dei costi delle tecnologie e dei costi di impianto e degli
incentivi applicati negli Stati membri dell’Unione europea; c) previsione di
tariffe incentivanti e di quote differenziate sulla base della natura dell’area
di sedime; d) applicazione delle disposizioni dell’articolo 7 del decreto
legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, in quanto compatibili […]”.
In
attuazione del co. 10 cit. sono stati adottati gli ultimi due conti energia:
-
IV° conto (d.m. 5.5.2011), di cui giova richiamare: l’art. 1, co. 2, secondo
cui “[…] il presente decreto si applica agli impianti fotovoltaici che entrano
in esercizio in data successiva al 31 maggio 2011 e fino al 31 dicembre 2016,
per un obiettivo indicativo di potenza installata a livello nazionale di circa
23.000 MW, corrispondente ad un costo indicativo cumulato annuo degli incentivi
stimabile tra 6 e 7 miliardi di euro”; nonché l’art. 2, co. 3: “al
raggiungimento del minore dei valori di costo indicativo cumulato annuo di cui
all’art. 1, comma 2, con decreto del Ministro dello sviluppo economico di
concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del
mare, sentita la Conferenza unificata, possono essere riviste le modalità di
incentivazione di cui al presente decreto, favorendo in ogni caso l’ulteriore
sviluppo del settore”;
-
V° conto (d.m. 5.7.2012), il cui art. 1 prevede:
-
co. 1: che, in attuazione dell’art. 25, co. 10, cit. (e tenuto conto di quanto
stabilito dal IV° conto all’art. 2, comma 3, cit.), esso disciplina le modalità
di incentivazione “da applicarsi successivamente al raggiungimento di un costo
indicativo cumulato annuo degli incentivi di 6 miliardi di euro”;
-
comma 2: che l’Autorità per l’energia elettrica e il gas (di seguito, Aeeg o
anche Aeegsi) “[…] individua la data in cui il costo indicativo cumulato annuo
degli incentivi […] raggiunge il valore di 6 miliardi di euro l’anno”
(precisando al comma 3 l’applicabilità delle modalità incentivanti ivi previste
“decorsi quarantacinque giorni solari dalla data di pubblicazione della
deliberazione di cui al comma”);
-
co. 5: che lo stesso d.m. “cessa di applicarsi, in ogni caso, decorsi trenta
giorni solari dalla data di raggiungimento di un costo indicativo cumulato di
6,7 miliardi di euro l’anno” (data parimenti individuata dall’Aeeg).
L’Aeeg
ha da ultimo dato atto del raggiungimento di tale “costo indicativo cumulato
annuo degli incentivi”:
i)
al 12.7.2012, quanto al valore di 6 miliardi di euro l’anno, con conseguente
applicazione delle modalità incentivanti del V°conto a decorrere dal 27.8.2012”
(delib. 12 luglio 2012, n. 292/2012/R/EFR, pubbl. in pari data nel sito
internet Aeeg);
ii)
al 6.6.2013, quanto al valore di 6,7 miliardi di euro l’anno, con conseguente
cessazione degli effetti del V° conto al 6.7.2013 (delib. 6 giugno 2013, n.
250/2013/R/EFR (pubbl. in pari data nel sito internet Aeeg).
Ne
segue che non sono più incentivati gli impianti aventi data di entrata in
esercizio successiva al 7.7.2013.
Giova
infine precisare che anche il IV° e il V° conto, analogamente ai tre
precedenti, stabiliscono in venti anni la durata dell’incentivazione (artt. 12,
16 e 18 d.m. 5.5.2011; art. 5 d.m. 5.7.2012).
In
relazione alla data di entrata in esercizio degli impianti, i vari conti
energia hanno operato per i seguenti periodi:
-
I° conto: 19.9.2005-30.6.2006;
-
II° conto: 13.4.2007-31.12.2010 (ma v. anche il cit. art. 2-sexies d.l. n.
3/2010);
-
III° Conto: 1.1.2011-31.5.2011 (cinque mesi anziché i 3 anni originariamente
previsti, ossia fino a tutto il 2013, sebbene con tariffe inferiori a seconda
dell’annualità di riferimento; cfr. artt. 1 e 8 d.m. 6.8.2010 e art. 25, co. 9
d.lgs. n. 28/2011);
-
IV° conto: 1.6.2011-26.8.2012;
-
V° conto: 27.8.2012-6.7.2013.
Dal
quadro normativo innanzi riportato si desume, per quel che rileva, che tutte le
incentivazioni concesse ai sensi dei conti energia hanno durata ventennale e
sono di importo proporzionale all’energia prodotta.
1.2.3.
Quanto allo strumento giuridico per l’erogazione dei benefici, l’art. 24, co.
2, lett. d), d.lgs. n. 28/2011 cit., ha stabilito, come si è visto, che le
tariffe incentivanti siano assegnate “tramite contratti di diritto privato fra
il GSE e il soggetto responsabile dell’impianto […]”, sulla base di un
“contratto-tipo” definito dall’Aeeg (enf. agg.; gli schemi di “contratti-tipo”
predisposti dal GSE per l’erogazione degli incentivi previsti per gli impianti
fotovoltaici sono stati approvati dall’Autorità con delib. 6.12.2012, n.
516/2012/R/EFR, pubbl. in pari data nel sito internet istituzionale).
La
disposizione, direttamente riferibile al IV° e al V° conto, ha portata
ricognitiva della situazione venutasi a determinare durante la vigenza dei
primi tre conti, in relazione ai quali il Gestore ha proceduto attraverso la
stipulazione di “convenzioni” con i singoli fruitori (cfr. in proposito, con
riferimento al III° conto, l’art. 13, all. A, delib. Aeeg ARG/elt n. 181/2010
del 20.10.2010, pubbl. sul sito Aeeg il 25.10.2010, recante previsione della
redazione di uno schema tipo di convenzione; v. anche, nello stesso senso, i
richiami alle convenzioni dei primi tre conti presenti nel “Manuale utente per
la richiesta di trasferimento di titolarità” del novembre 2014, pubblicato nel
sito internet del GSE).
Si
tratta di atti aventi la medesima natura.
Tanto
la “convenzione” quanto il “contratto” hanno infatti lo scopo di regolamentare
il rapporto giuridico tra il GSE e il soggetto responsabile dell’impianto,
secondo il consueto modello dei rapporti concessori, nei quali accanto al
provvedimento di concessione l’amministrazione concedente e il privato
concessionario concludono un contratto (c.d. accessivo) per la disciplina delle
rispettive obbligazioni.
1.3.
Il contenzioso relativo al passaggio dal III° al IV° e dal IV° al V° conto.
L’entrata
in vigore dell’art. 25, commi 9 e 10, d.lgs. n. 28/2011 e l’introduzione del
IV° conto per gli impianti aventi data di entrata in esercizio successiva al
31.5.2011 ha dato origine a una serie di controversie aventi a oggetto, in
estrema sintesi, l’anticipata cessazione degli effetti del III° conto.
A)
Con più pronunce di questa Sezione i ricorsi sono stati respinti, poiché, per
quanto oggi interessa, le contestate innovazioni riguardavano impianti non
ancora entrati in esercizio, ciò avendo consentito di escludere una posizione
di affidamento tutelabile (v., ex multis, sentt. 13 febbraio 2013, n. 1578,
conf in appello, 26 marzo 2013, nn. 3134, 3139, 3141, 3142, 3144; 2 aprile
2013, nn. 3274 e 3276, confermate da Cons. Stato, sez. VI, 8 agosto 2014, n.
4233, e, rispettivamente, n. 4234).
Più
precisamente, è stato affermato che la nuova disciplina non avesse “efficacia
retroattiva, proponendosi di regolamentare l’accesso ai relativi incentivi
soltanto rispetto agli impianti che ancora non ne fruiscano”, atteso che “l’ammissione
al regime di sostegno non sortisce dal possesso del titolo amministrativo
idoneo alla realizzazione dell’impianto (titolo che pure costituisce un
requisito essenziale a questo fine), ma dall’entrata in esercizio dell’impianto
medesimo, vale a dire dalla sua effettiva realizzazione e messa in opera”.
Si
è in particolare affermato che “il d.lgs. n. 28/2011 dispone per l’avvenire,
individuando quale discrimen temporale per l’applicazione delle nuove regole
l’entrata in esercizio al 31.5.2011 e disciplinando il passaggio al Quarto
conto attraverso la previsione di tre periodi”, il primo, inteso a consentire
l’accesso agli incentivi di tutti gli impianti entrati in esercizio entro il
31.8.2011, al fine di tutelare l’affidamento degli operatori che avessero quasi
ultimato la realizzazione degli impianti sotto il vigore del Terzo conto; il
secondo, dall’1.9.2011 al 31.12.2012, in cui l’accesso avviene attraverso
l’iscrizione nei registri; il terzo, a regime, dal 2013 sino alla cessazione
del Quarto conto.
Sicché,
muovendo dalla considerazione che la peculiare natura dell’azione pubblica
volta alla promozione, per finalità di carattere generale, di uno specifico
settore economico attraverso la destinazione di risorse pubbliche, non esclude
di per sé che vi sia “un momento nel quale l’aspettativa del privato si
consolida e acquisisce consistenza giuridica” e che tale momento vada
individuato “sulla base di elementi dotati di apprezzabile certezza, pena
l’indeterminatezza delle situazioni e la perpetrazione di possibili
discriminazioni”, è stata riconosciuta la correttezza dell’individuazione di un
“discrimen ancorato alla data di entrata in esercizio dell’impianto”, scelta da
ritenere giustificata alla luce delle caratteristiche del sistema incentivante
in esame, “fondato sulla distinzione tra la (pur complessa) fase di
predisposizione dell’intervento impiantistico e quella (altrettanto se non più
complessa) di sua messa in opera. Ed è a questo secondo momento (l’entrata in
esercizio, appunto) che occorre rivolgere l’attenzione per individuare il fatto
costitutivo del diritto alla percezione dei benefici, ciò che si spiega alla
luce della generale finalità del regime di sostegno (produzione di energia da
fonte rinnovabile) e dell’esigenza, a tale scopo strumentale, che le iniziative
imprenditoriali si traducano in azioni concrete ed effettive”.
È
stato pertanto rilevato come in quelle ipotesi venisse in esame la posizione di
soggetti che intendevano tutelare “più che l’interesse alla conservazione di un
assetto che ha prodotto effetti giuridicamente rilevanti […], scelte
imprenditoriali effettuate in un momento nel quale le stesse, a loro giudizio,
si sarebbero rivelate foriere di flussi reddituali positivi”, non risultando in
concreto ravvisabili elementi tali da deporre nel senso dell’immutabilità del
contributo pubblico al settore in considerazione. “Ciò in quanto le autorità
pubbliche hanno reputato di ovviare a una situazione di inefficienza del
mercato (market failure) attraverso l’esplicazione di attribuzioni rientranti
nella loro sfera (e capacità giuridica) di diritto pubblico, vale a dire
attraverso l’attivazione di specifici meccanismi di redistribuzione delle
risorse, individuati all’esito della consueta ponderazione di tutti gli
interessi in rilievo, ivi inclusi quelli di cui sono portatori, a es., gli
utenti di energia elettrica (che attraverso la componente A3 della bolletta
finanziano in larga misura gli incentivi […]) o anche i produttori da fonti
convenzionali” (questa Sezione ha anche affrontato il tema della copertura
degli incentivi di competenza del GSE; cfr. sent. 13 agosto 2012, n. 7338).
È
stata inoltre affrontata la questione, dedotta in quei giudizi, della lesione
del principio del legittimo affidamento e di quello, ad esso sotteso, della
certezza del diritto.
Sotto
questo profilo, è stata richiamata la sentenza della Corte di giustizia 10
settembre 2009, in causa C-201/08, Plantanol, concernente l’abolizione
anticipata di un regime di esenzione fiscale per un biocarburante, nella quale
il Giudice comunitario ha chiarito: i) per un verso, che il principio di
certezza del diritto non postula l’“assenza di modifiche legislative”,
richiedendo “piuttosto che il legislatore tenga conto delle situazioni
particolari degli operatori economici e preveda, eventualmente, adattamenti
all’applicazione delle nuove norme giuridiche” (punto 49); e, per altro verso,
ii) che la possibilità di far valere la tutela del legittimo affidamento è
bensì “prevista per ogni operatore economico nel quale un’autorità nazionale
abbia fatto sorgere fondate aspettative”, ma non “qualora un operatore
economico prudente ed accorto sia in grado di prevedere l’adozione di un
provvedimento idoneo a ledere i suoi interessi” (nel caso in cui il
provvedimento venga adottato); in tale prospettiva, inoltre, “gli operatori
economici non possono fare legittimamente affidamento sulla conservazione di
una situazione esistente che può essere modificata nell’ambito del potere
discrezionale delle autorità nazionali” (punto 53), spettando al giudice
nazionale, in una valutazione globale e in concreto delle pertinenti
circostanze fattuali, stabilire se l’impresa ricorrente disponesse “come
operatore prudente e accorto, […] di elementi sufficienti per consentirle di
aspettarsi che il regime di esenzione fiscale di cui trattasi fosse abolito
prima della data iniziale prevista per la sua scadenza”, non sussistendo -
giova ribadire - preclusioni derivanti dai canoni della certezza del diritto e
della tutela del legittimo affidamento (punti 67 e 68).
In
riferimento al caso allora in esame, è stata in particolare esclusa la lesione
degli anzidetti principi generali, non potendo “dubitarsi della circostanza che
il settore del fotovoltaico abbia subìto negli anni più recenti notevoli
modifiche in ragione così dell’andamento dei costi delle componenti
impiantistiche (in particolare, per effetto della forte riduzione del costo dei
pannelli solari) come dell’aumento progressivo delle potenze installate
(elementi che le deduzioni di parte ricorrente non riescono a confutare)”.
Sicché,
evidenziati gli elementi relativi alla notoria evoluzione del comparto, si è
ritenuto che “un operatore ‘prudente e accorto’ fosse ben consapevole, oltre
che dell’intrinseca mutevolezza dei regimi di sostegno, delle modalità con cui
questi sono stati declinati dalle autorità pubbliche nazionali sin dal Primo
conto, vale a dire: a) con un orizzonte temporale assai limitato (tanto che da
taluni è stata lamentata questa eccessiva brevità rispetto al termine di sette
anni contenuto nella direttiva 2001/77/CE; cfr. 16° consid. e art. 4, par. 2,
lett. e); b) con ripetuti interventi a breve distanza di tempo (quattro in soli
cinque anni, dal luglio 2005 all’agosto 2010).
Con
la finale affermazione che “un operatore avveduto fosse senz’altro in grado di
percepire le mutazioni del contesto economico di riferimento nonché il prossimo
raggiungimento della grid parity degli impianti fotovoltaici rispetto a quelli
convenzionali”.
B)
Il Consiglio di Stato ha mostrato di condividere detta impostazione,
riconoscendo che “la tutela del legittimo affidamento è principio connaturato
allo Stato di diritto sicché, regolamentando contro di esso, il legislatore
statale viola i limiti della discrezionalità legislativa (Corte Cost., sentenze
9 luglio 2009, n. 206, e 8 maggio 2007, n. 156)”, e negando in particolare che
nella specie fosse ravvisabile un “legittimo affidamento tutelabile”, posto che
non si controverteva su “provvedimenti e diritti già legittimamente acquisiti
sulla base della normativa anteriore” e non era risultato che l’amministrazione
pubblica avesse “orientato le società ricorrenti verso comportamenti negoziali
che altrimenti non avrebbero tenuto”.
Né
è stata riscontrata la sussistenza di “un investimento meritevole di essere
salvaguardato perché la rimodulazione legislativa non è stata affatto incerta o
improvvisa ma conosciuta dagli operatori (accorti) del settore come in itinere
(la nuova direttiva comunitaria è infatti del 2009)”.
Su
tali basi, il Giudice d’appello ha ritenuto che mancassero “i fondamentali
causali di un legittimo e ragionevole affidamento, non essendo infatti
intervenuta in vicenda nessuna inosservanza da parte della pubblica
amministrazione statale della disciplina comunitaria e nazionale ovvero alcuna
condotta, omissiva o commissiva, in violazione di una specifica norma dalla
materia di settore posta, oppure trasgressione ai principi generali di
prudenza, di diligenza e di proporzionalità, nel concretizzare in modo conforme
la volontà di legge” (così Cons. Stato, sez. V, 8 agosto 2014, nn. 4233 e
4234).
Sempre
sulla medesima questione, il Consiglio di Stato – osservato che “l’incentivo
sulla produzione ha il fine di stimolare la installazione di impianti
fotovoltaici con l’effetto e il vantaggio di garantire, assieme alla copertura
parallela (parziale o totale) dei propri consumi elettrici e alla vendita di
eventuali surplus energetici prodotti da parte dell’impianto stesso, un minore
tempo di recupero dei costi di impianto iniziale di investimento e successivo
maggiore guadagno (specifica tariffa incentivante, di importo decrescente e di
durata tali da garantire una equa remunerazione dei costi di investimento e di
esercizio ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. n. 387 del 2003 su menzionato)” – ha
disatteso la prospettazione degli operatori sulla portata lesiva delle
innovazioni – in quanto “foriere di effetti deleteri per la tutela degli
investimenti già programmati sulla base del quadro normativo previgente (terzo
conto energia), che doveva estendersi fino a tutto il 2012” – reputando
manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale relative
alle inerenti norme del d.lgs. n. 28/2011, “dovendosi ritenere che la
violazione del diritto alla iniziativa economica, così come dei principi di
buon andamento e di parità di trattamento, si concretino solo allorquando la
nuova norma incida in modo peggiorativo su aspettative qualificate, già
pervenute, però, ad un livello di consolidamento così elevato da creare un
affidamento costituzionalmente protetto alla conservazione di quel trattamento,
tale da prevalere su vincoli di bilancio e di buona amministrazione o sulla
revisione prevista di precedenti politiche economiche pubbliche”.
Ciò
sul rilievo che la disciplina del IV° conto “non tocca le iniziative già
avviate (quelle per cui gli impianti sono entrati in esercizio al 31 maggio
2011) e introduce una ragionevole distinzione tra le diverse situazioni di
fatto, operando una distinzione sulla base della data di entrata in esercizio
degli impianti […]” (così, da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 3 marzo 2015, n.
1043).
C)
Giova anche ricordare che sulla base di un’analoga linea argomentativa sono
state respinte le domande di alcuni operatori, destinatari degli incentivi del
V° conto, dirette a ottenere l’applicazione del IV°, con le precisazioni
ulteriori:
-
dell’impossibilità di invocare le tutela dei “diritti quesiti” accordata
dall’art. 25, co. 11, d.lgs. n.28/2011, sul rilievo (tra l’altro) della
circostanza concreta che “nella specie, il diritto non era sorto” (pur essendo “comprensibile
il rammarico del soggetto che, avviata un’attività imprenditoriale, si veda
modificato il quadro delle agevolazioni su cui faceva conto”, risultato
tuttavia dipendente “dalla restrizione strutturale delle risorse disponibili” e
che “non essendo né irragionevole né imprevedibile alla luce della normativa
[…], rappresenta un evento che va riportato al rischio di impresa, nel momento
in cui il ‘boom del fotovoltaico’ si è espresso in un numero di iniziative
verosimilmente superiore a quello previsto dai soggetti pubblici e dagli stessi
operatori privati del settore”);
-
dell’infondatezza della doglianza prospettante la “retroattività della
imposizione patrimoniale introdotta con l’art. 10, comma 4, del d.m. 5 luglio
2012” a far tempo dall’1.1.2011 e a carico di tutti i soggetti beneficiari
delle incentivazioni (ai fini della “copertura degli oneri di gestione,
verifica e controllo in capo al GSE”), in quanto “l’impianto era già entrato in
esercizio, ma esso non godeva ancora di alcun incentivo, cosicché sarebbe
improprio dire che la norma vada a modificare in peggio una situazione
giuridica consolidata” (così, ex aliis, Cons. Stato, sez, IV, 29 gennaio 2015,
n. 420, confermativa della sentenza di questa Sezione 14 novembre 2013, n.
9749).
2.
I successivi interventi del legislatore nazionale.
Sulla
situazione dei conti energia innanzi descritta è successivamente intervenuto il
legislatore nazionale, dapprima col d.l. n. 145/2013 e poi col d.l. oggi in
esame.
2.1.
Il d.l. n. 145/2013: lo “spalma-incentivi volontario”.
Il
d.l. 23 dicembre 2013, n. 145, c.d. “Destinazione Italia” (“Interventi urgenti
di avvio del piano ‘Destinazione Italia’, per il contenimento delle tariffe
elettriche e del gas, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la
digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere
pubbliche ed EXPO 2015”), convertito in legge, con modificazioni, dalla l. 21
febbraio 2014, n. 9 (d.l. c.d. “Destinazione Italia”), all’art. 1, recante (tra
l’altro) “disposizioni per la riduzione dei costi gravanti sulle tariffe
elettriche […]”, introduce - oltre alla misura relativa ai cc.dd. “prezzi
minimi garantiti” (co. 2) per gli impianti che possono accedere al regime del
c.d. ritiro dedicato (consistente nell’obbligo del gestore di rete di ritirare
a prezzo amministrato l’energia prodotta e immessa in rete, regime riservato,
tra gli altri, all’energia elettrica prodotta da impianti alimentati a fonte
solare), ivi inclusi quelli fotovoltaici incentivati con i conti energia dal I°
al IV° (se non accedano, quanto a questi ultimi, al regime di tariffa
onnicomprensiva) – un meccanismo di rimodulazione degli incentivi “al fine di
contenere l’onere annuo sui prezzi e sulle tariffe elettriche degli incentivi
alle energie rinnovabili e massimizzare l’apporto produttivo nel medio-lungo
termine dagli esistenti impianti” (commi da 3 a 5), tale che “i produttori di
energia elettrica da fonti rinnovabili titolari di impianti che beneficiano di
incentivi sotto la forma di certificati verdi, tariffe omnicomprensive ovvero
tariffe premio possono, per i medesimi impianti, in misura alternativa:a)
continuare a godere del regime incentivante spettante per il periodo di diritto
residuo […]; b) optare per una rimodulazione dell’incentivo spettante, volta a
valorizzare l’intera vita utile dell’impianto” e con un incremento del periodo
dell’incentivazione di 7 anni.
Si
tratta del c.d. “spalma-incentivi volontario” (così definito nella relazione
illustrativa al d.d.l. di conversione del d.l. n. 91/2014, sub art. 23, A.S. n.
1541, recante illustrazione dei principi ispiratori).
2.2.
Il d.l. n. 91/2014: lo “spalma-incentivi obbligatorio”.
Da
ultimo è stato adottato il d.l. 24 giugno 2014, n. 91, c.d. “decreto
Competitività”, recante “Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la
tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e
universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei
costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di
adempimenti derivanti dalla normativa europea” (pubbl. nella G.U. n. 144 del 24
giugno 2014, in vigore dal 25.6.2014), convertito in legge, con modificazioni,
dalla l. 11 agosto 2014, n. 116 (in vigore dal 21.8.2014).
L’art.
26 concerne “interventi sulle tariffe incentivanti dell’elettricità prodotta da
impianti fotovoltaici” (la disposizione, introdotta con il d.l., è stata
profondamente modificata nel corso dell’iter di conversione).
Ai
fini di un più agevole esame, esso può essere suddiviso in quattro parti.
A) Ambito
applicativo e finalità (co. 1).
“1.
Al fine di ottimizzare la gestione dei tempi di raccolta ed erogazione degli
incentivi e favorire una migliore sostenibilità nella politica di supporto alle
energie rinnovabili, le tariffe incentivanti sull’energia elettrica prodotta da
impianti solari fotovoltaici, riconosciute in base all’articolo 7 del decreto
legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, e all’articolo 25, comma 10, del decreto
legislativo 3 marzo 2011, n. 28, sono erogate secondo le modalità previste dal
presente articolo.”
L’intervento
è pertanto ispirato a due finalità – “ottimizzare la gestione dei tempi di
raccolta ed erogazione degli incentivi” e “favorire una migliore sostenibilità
nella politica di supporto alle energie rinnovabili” – e si rivolge ai soggetti
che beneficiano delle tariffe incentivanti riconosciute in base ai conti
energia.
B)
Modalità di erogazione (co. 2).
“2.
A decorrere dal secondo semestre 2014, il Gestore dei servizi energetici S.p.A.
eroga le tariffe incentivanti di cui al comma 1, con rate mensili costanti, in
misura pari al 90 per cento della producibilità media annua stimata di ciascun
impianto, nell’anno solare di produzione ed effettua il conguaglio, in
relazione alla produzione effettiva, entro il 30 giugno dell’anno successivo.
Le modalità operative sono definite dal GSE entro quindici giorni dalla
pubblicazione del presente decreto e approvate con decreto del Ministro dello
sviluppo economico.”.
La
norma introduce, a decorrere dall’1.7.2014, un sistema di erogazione delle
tariffe incentivanti secondo il meccanismo acconti-conguaglio (acconto pari al
90% della “producibilità media annua stimata di ciascun impianto” nell’anno di
produzione, da versare in “rate mensili costanti”, e in un “conguaglio” basato
sulla “produzione effettiva” da operare entro il 30.6 dell’anno successivo a
quello di produzione).
Al
meccanismo è stata data attuazione col d.m. 16.10.2014 (pubbl. nella G.U. n.
248 del 24.10.2014).
C)
Rimodulazione (co. 3).
“3.
A decorrere dal 1° gennaio 2015, la tariffa incentivante per l’energia prodotta
dagli impianti di potenza nominale superiore a 200 kW è rimodulata, a scelta
dell’operatore, sulla base di una delle seguenti opzioni da comunicare al GSE
entro il 30 novembre 2014:
a)
la tariffa è erogata per un periodo di 24 anni, decorrente dall'entrata in
esercizio degli impianti, ed è conseguentemente ricalcolata secondo la
percentuale di riduzione indicata nella tabella di cui all'allegato 2 al
presente decreto;
b)
fermo restando il periodo di erogazione ventennale, la tariffa è rimodulata
prevedendo un primo periodo di fruizione di un incentivo ridotto rispetto
all'attuale e un secondo periodo di fruizione di un incentivo incrementato in
ugual misura. Le percentuali di rimodulazione sono stabilite con decreto del
Ministro dello sviluppo economico, sentita l'Autorità per l'energia elettrica,
il gas e il sistema idrico, da emanare entro il 1° ottobre 2014 in modo da
consentire, nel caso di adesione di tutti gli aventi titolo all'opzione, un
risparmio di almeno 600 milioni di euro all'anno per il periodo 2015-2019,
rispetto all'erogazione prevista con le tariffe vigenti; (116)
c)
fermo restando il periodo di erogazione ventennale, la tariffa è ridotta di una
quota percentuale dell'incentivo riconosciuto alla data di entrata in vigore
del presente decreto, per la durata residua del periodo di incentivazione,
secondo le seguenti quantità:
1)
6 per cento per gli impianti aventi potenza nominale superiore a 200 kW e fino
alla potenza nominale di 500 kW;
2)
7 per cento per gli impianti aventi potenza nominale superiore a 500 kW e fino
alla potenza nominale di 900 kW;
3)
8 per cento per gli impianti aventi potenza nominale superiore a 900 kW.
In
assenza di comunicazione da parte dell'operatore il GSE applica l’opzione di
cui alla lettera c).”
Il
comma 3 delinea la disciplina sostanziale della rimodulazione (operativa
dall’1.12015).
L’ambito
di applicazione è più ristretto di quello contemplato dal co. 1.
Sono
infatti presi in considerazione i soli “impianti di potenza nominale superiore
a 200 kW”.
L’art.
22-bis, co. 1, d.l. 12 settembre 2014, n. 133 (conv., con modif., dalla l. 11
novembre 2014, n. 164), ha in seguito operato un’ulteriore restrizione,
prevedendo che “le disposizioni di cui ai commi da 3 a 6” dell’art. 26 “non si
applicano agli impianti i cui soggetti responsabili erano [alla data di entrata
in vigore della legge di conversione del d.l. 91/2014] enti locali o scuole”.
La
norma concede agli operatori la possibilità di optare entro il 30.11.2014 fra
tre modalità alternative di rimodulazione:
-
lett. a) estendere la durata dell’incentivazione sino a 24 anni, decorrenti
dalla data di entrata in esercizio dell’impianto.
In
tal caso si applicano le riduzioni indicate nella tabella allegata al d.l. n.
91/2014 (all. 2), formulata sulla base di una proporzione inversa tra “periodo
residuo” (dell’incentivazione) e “percentuale di riduzione”; essa è suddivisa
in 8 scaglioni annuali, a partire da “12 anni”, cui corrisponde una riduzione
del 25%, sino a “19 anni e oltre”, cui corrisponde una riduzione del 17%.
L’art.
26, co. 4, chiarisce che le riduzioni in questione, ove riferite alle c.d.
“tariffe onnicomprensive” erogate ai sensi del IV° e del V° conto “si applicano
alla sola componente incentivante […]”;
-
lett. b) ferma la durata dell’incentivazione (20 anni), suddividerla in due
“periodi”: “un primo periodo di fruizione di un incentivo ridotto rispetto
all’attuale” e “un secondo periodo di fruizione di un incentivo incrementato in
ugual misura”.
Secondo
la disposizione, le relative percentuali (di rimodulazione) avrebbero dovuto
essere emanate entro l’1.10.2014 “in modo da consentire, nel caso di adesione
di tutti gli aventi titolo all’opzione, un risparmio di almeno 600 milioni di
euro all’anno per il periodo 2015-2019, rispetto all’erogazione prevista con le
tariffe vigenti”.
A
tale previsione è stata data attuazione con il d.m. 17.10.2014 (pubbl. nella
G.U. n. 248 del 24.10.2014, entrato in vigore il 25.10; cfr. art. 2), che
all’all. 1 ha delineato il procedimento matematico per stabilire l’entità della
rimodulazione (“riducendo e poi incrementando gli incentivi vigenti,
comprensivi di eventuali premi” ex art. 1, co. 1, e disponendo la pubblicazione
sul sito internet del GSE delle “tabelle dei fattori moltiplicativi da
applicare ai previgenti incentivi per il calcolo dell'incentivo rimodulato, in
funzione del periodo residuo di diritto agli incentivi, espresso in anni e
mesi”; art. 1, co. 3);
-
lett. c) ferma la durata dell’incentivazione (20 anni), applicare una riduzione
“dell’incentivo riconosciuto alla data di entrata in vigore del presente
decreto, per la durata residua del periodo di incentivazione”, secondo
percentuali determinate in relazione alla potenza (6% per gli impianti con
potenza nominale maggiore di 200 e inferiore a 500 kW; 7% per quelli con
potenza superiore a 500 e inferiore a 900 kW; 8% per gli impianti con potenza
superiore a 900 kW).
In
caso di mancato esercizio della scelta, la legge prescrive l’applicazione di
questa terza modalità (riduzione secca dell’incentivo).
D)
Misure di “accompagnamento” (commi 5-12).
Un
altro blocco di disposizioni introduce alcune misure di “accompagnamento”:
D.1)
finanziamenti bancari (co. 5):
-
il “beneficiario della tariffa incentivante di cui ai commi 3 e 4 può accedere
a finanziamenti bancari per un importo massimo pari alla differenza tra
l’incentivo già spettante al 31 dicembre 2014 e l’incentivo rimodulato”;
-
tali finanziamenti “possono beneficiare, cumulativamente o alternativamente,
sulla base di apposite convenzioni con il sistema bancario, di provvista
dedicata o di garanzia concessa dalla Cassa depositi e prestiti S.p.A. (Cdp)”;
- a
sua volta, “l’esposizione di Cdp è garantita dallo Stato […] secondo criteri e
modalità stabiliti con decreto di natura non regolamentare del Ministro
dell’economia e delle finanze.”
A
quest’ultima disposizione è stata data attuazione col d.m. 29.12.2014 (pubbl.
nella G.U. 22.1.2015, n. 17).
Questo
decreto, richiamate le comunicazioni della Commissione europea sugli aiuti di Stato
(con particolare riferimento a quello concessi sotto forma di garanzie),
stabilisce, tra l’altro, che “è garantita dallo Stato l’esposizione” di Cdp
“rappresentata da crediti connessi ad operazioni di provvista dedicata o di
garanzia, per i finanziamenti bancari a favore dei beneficiari della tariffa
incentivante” ai sensi del menzionato art. 26, co. 5 (art. 1, co. 1) e che la
garanzia dello Stato, “concessa a titolo oneroso […] diretta, incondizionata,
irrevocabile e a prima richiesta” (art. 1, co. 2), copre fino all’80%
dell’ammontare:
-
“di ciascuna operazione finanziaria di provvista effettuata da CDP a favore di
banche, economicamente e finanziariamente sane, per l’erogazione dei
finanziamenti […]. Entro tale limite massimo di copertura, la garanzia dello
Stato copre fino all’80 percento dell’ammontare dell’esposizione creditizia,
comprensiva di capitale e interessi, di CDP nei confronti della banca” (co. 3).
-
“di ciascuna garanzia concessa da CDP a banche sui finanziamenti a favore di
soggetti, economicamente e finanziariamente sani, beneficiari della tariffa
incentivante, di cui al citato art. 26, comma 5, del decreto-legge 24 giugno
2014, n. 91. Entro il predetto limite, la garanzia dello Stato copre fino
all’80 percento della somma liquidata da CDP alla banca garantita” (co. 4).
L’art.
2 concerne la remunerazione della garanzia e prevede che Cdp effettui la
“valutazione del merito di credito di ciascuna esposizione garantita dallo
Stato”, mentre l’art. 3 detta le procedure per l’escussione della garanzia e il
recupero delle somme.
D.2)
adeguamento della durata dei titoli (co. 6):
per
il solo caso di scelta della opzione di sub lett. a), “Le regioni e gli enti
locali adeguano, ciascuno per la parte di competenza e ove necessario, alla
durata dell’incentivo come rimodulata […], la validità temporale dei permessi
rilasciati, comunque denominati, per la costruzione e l’esercizio degli
impianti fotovoltaici ricadenti nel campo di applicazione del presente
articolo”
D.3)
“acquirente selezionato” (commi da 7 a 10, 12 e 13):
la
misura concerne tutti “i beneficiari di incentivi pluriennali, comunque
denominati, per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili” – non
solo, dunque, i produttori da energia solare – , i quali “possono cedere una
quota di detti incentivi, fino ad un massimo dell’80 per cento, ad un
acquirente selezionato tra i primari operatori finanziari europei” (co. 7).
L’“acquirente
selezionato” subentra ai beneficiari “nei diritti a percepire gli incentivi”,
“salva la prerogativa” di Aeggsi “di esercitare annualmente […] l’opzione di
acquisire tali diritti” per un importo definito dalla stessa disposizione (co.
8: “a fronte della corresponsione di un importo pari alla rata annuale
costante, calcolata sulla base di un tasso di interesse T, corrispondente
all'ammortamento finanziario del costo sostenuto per l'acquisto dei diritti di
un arco temporale analogo a quello riconosciuto per la percezione degli
incentivi”).
La
norma demanda poi all’Aeegsi: i) la definizione (entro il 19.11.2014) delle
inerenti modalità attuative, attraverso un complesso sistema per gli acquisti e
la cessione delle quote (co. 9); ii) la destinazione “a riduzione della
componente A3 degli oneri di sistema”, “nel rispetto di specifici indirizzi”
dettati con decreto del Ministro dello sviluppo economico, dell’“eventuale
differenza tra il costo annuale degli incentivi” acquistati dall’acquirente
selezionato e l’importo annuale determinato ai sensi del comma 8.
L’art.
26 prevede ancora:
-
al comma 12, che “alle quote di incentivi cedute ai sensi delle disposizioni di
cui al comma 9 non si applicano, a decorrere dalla data di cessione, le misure
di rimodulazione di cui al comma 3”;
-
al comma 13, che “l’efficacia delle disposizioni di cui ai commi da 7 a 12 è
subordinata alla verifica da parte del Ministero dell’economia e delle finanze
della compatibilità degli effetti delle operazioni sottostanti sui saldi di
finanza pubblica ai fini del rispetto degli impegni assunti in sede europea”.
D.4)
Infine, con il comma 11 viene demandato al Governo di “assumere ogni iniziativa
utile a dare piena esecuzione alle disposizioni del presente articolo, inclusi
eventuali accordi con il sistema bancario per semplificare il recesso totale o
parziale dei soggetti beneficiari di incentivi pluriennali dai contratti di
finanziamento stipulati”.
Da
ultimo, giova dare atto che il GSE ha pubblicato nel proprio sito istituzionale
le “Istruzioni operative per gli interventi sulle tariffe incentivanti relative
agli impianti fotovoltaici” (con data 3.11.2014), recanti precisazioni sulle
modalità di applicazione del nuovo meccanismo.
3.
Gli effetti dell’art. 26, co. 3, d.l. n. 91/2014.
Le
previsioni dell’art. 26, co. 3, incidono sugli incentivi percepiti dai titolari
degli impianti fotovoltaici aventi potenza superiore a 200 kW in base alle
convenzioni stipulate con il GSE in attuazione dei vari conti energia.
Quanto
al campo applicativo soggettivo, la platea dei destinatari della norma
costituisce una percentuale ridotta dei soggetti percettori dei benefici (cfr.
i dati pubblicati dal GSE nel proprio sito istituzionale nonché, in riferimento
all’anno 2013, il “rapporto relativo all’attività svolta e ai risultati
conseguiti” a seguito dell’applicazione dei conti energia, redatto e pubblicato
ai sensi dell’art. 14, co. 1, d.m. 5.7.2012).
Sotto
il profilo oggettivo, occorre precisare che ciascuna delle opzioni del comma 3
impatta in senso peggiorativo sulla posizione degli operatori siccome
cristallizzata nelle convenzioni di incentivazione stipulate con il GSE,
esplicando un effetto novativo sugli elementi della durata o dell’importo delle
tariffe incentivanti o su entrambi, e tanto anche a non voler tener conto dei
costi di transazione derivanti dalla necessità di adeguare gli assetti in
essere alla nuova situazione.
A
parte la riduzione secca delle tariffe di cui alla lett. c), avente chiaro
impatto negativo:
-
la lett. a) opera un’estensione della durata dell’incentivazione, portata a 24
anni, con proporzionale riduzione delle quote annuali.
In
questa ipotesi è evidente che l’allungamento del periodo, oltre a comportare
una differita percezione degli incentivi, di per sé (notoriamente)
pregiudizievole, non può non incidere sui parametri iniziali dell’investimento,
impattando anche sui costi dei fattori produttivi (durata degli eventuali
finanziamenti bancari, dei contratti stipulati per la disponibilità delle aree,
assicurazioni, ecc.), ferma la necessità del parallelo adeguamento dei
necessari titoli amministrativi (cfr. co. 6);
-
la lett. b) determina una riduzione degli importi per il quadriennio 2015-2019
(tale da generare un risparmio di “almeno 600 milioni” di euro per l’ipotesi di
adesione di tutti gli interessati all’opzione) e un incremento nel periodo
successivo (secondo l’algoritmo definito col d.m. 17.10.2014).
La
soluzione non tiene però conto del fisiologico invecchiamento degli impianti,
assoggettati nel corso del tempo a una diminuzione di produttività, sicché,
venendo l’incentivo determinato in funzione della produzione, la riduzione che
intervenga in un periodo di maggiore efficienza degli impianti stessi
(2015-2019), non potrà essere compensata con gli incrementi delle tariffe
riferibili al periodo successivo (nel quale gli impianti stessi hanno minore
efficienza).
4.
Rilevanza.
In
ordine alla rilevanza, il Tribunale ritiene che l’art. 26, co. 3, d.l. n.
91/2014, della cui legittimità si dubita, costituisca parametro normativo
necessario, stante il tenore dei motivi di ricorso, ai fini della valutazione
della fondatezza delle domande proposte dalla parte ricorrente, alla luce della
(incontestata) titolarità di impianti di produzione di energia di potenza
superiore a 200 kW che usufruisce degli incentivi previsti dagli artt. 7 d.lgs.
n. 387/2003 e 25 d.lgs. n. 28/2011, oggetto di convenzioni stipulate con il
GSE.
Come
evidenziato nella parte in “fatto”, le domande formulate nel giudizio hanno a
oggetto:
-
l’accertamento del diritto di non esercitare alcuna delle tre opzioni di
rimodulazione dell’incentivo per la produzione di energia elettrica
fotovoltaica, previste dal ridetto art. 26, co. 3, con conservazione delle
condizioni contrattuali stabilite nelle convenzioni stipulate con il GSE,
nonché dell’insussistenza del potere del Gestore di applicare l’opzione
prevista dall’art. 26, co. 3, lett. c), nel caso di mancato esercizio
dell’opzione entro il 30.11.2014;
-
l’annullamento del d.m. 17.10.2014, emanato in applicazione dell’art. 26, co.
3, lett. b), recante i criteri e le percentuali di rimodulazione degli
incentivi, e delle “Istruzioni operative per gli interventi sulle tariffe
incentivanti relative agli impianti fotovoltaici, ai sensi dell’art. 26 della
legge n. 116/2014” pubblicate dal GSE nel proprio sito internet in data
3.11./2014.
La
questione di legittimità costituzionale risulta rilevante:
-
in relazione alla domanda caducatoria, perché gli atti impugnati sono stati
emanati dall’autorità amministrativa in dichiarata attuazione dell’art. 26 d.
l. n. 91/2014 (la cui legittimità è oggetto di contestazione) che nella
fattispecie riveste il ruolo e la funzione di norma legittimante l’esercizio
del potere amministrativo contestato in giudizio; peraltro, tali atti sono
strumentali alla rimodulazione degli incentivi, prevista dall’art. 26, co. 3, e
avversata da parte ricorrente;
-
ai fini della decisione in ordine alla fondatezza della domanda di
accertamento, avente a oggetto l’invocata inapplicabilità, alle convenzioni in
corso di efficacia, delle rimodulazioni previste dall’art. 26, co. 3;
l’accoglimento della domanda presuppone infatti la non applicabilità di tale
disposizione normativa.
In
ordine all’ammissibilità della predetta domanda di accertamento, la stessa è
stata dal Tribunale riconosciuta con sentenza non definitiva, decisa in pari
data, sulla base delle seguenti argomentazioni:
a)
l’ammissibilità della domanda di accertamento consegue alla natura di diritto
soggettivo della situazione giuridica azionata dalle ricorrenti e
identificabile nella pretesa all’incentivo come quantificato nei “contratti di
diritto privato” espressamente menzionati dall’art. 24, co. 2, lett. b), d.lgs.
n. 28/2011 (si rinvia alle precedenti considerazioni sull’omogeneità della
natura giuridica delle convenzioni e dei contratti; v. ante, par. 1.2.3): la
qualificazione in termini di diritto soggettivo della pretesa al mantenimento
dell’incentivo è, pertanto, desumibile dalla natura “di diritto privato”
dell’atto da cui promana la quantificazione dell’incentivo stesso;
b)
anche a volere qualificare la posizione giuridica soggettiva della parte ricorrente
come interesse legittimo, l’azione di accertamento deve ritenersi comunque
ammissibile, come ha avuto modo di ritenere l’Adunanza Plenaria del Consiglio
di Stato in riferimento alle ipotesi in cui “detta tecnica di tutela sia
l’unica idonea a garantire una protezione adeguata ed immediata dell'interesse
legittimo” (presupposto che ricorre nella fattispecie come si avrà modo di
precisare in prosieguo in ordine alla natura della lesione subita da parte
ricorrente), a nulla rilevando l’assenza di una previsione legislativa
espressa. Impostazione che trova “fondamento nelle norme immediatamente
precettive dettate dalla Carta fondamentale al fine di garantire la piena e
completa protezione dell’interesse legittimo (artt. 24, 103 e 113)” (A.P. n.
15/2011);
c)
circa, poi, l’esistenza, in concreto, delle condizioni legittimanti
l’esperibilità dell’azione di accertamento, parte ricorrente, sin dal momento
dell’entrata in vigore dell’art. 26 d.l. n. 91/2014, ha subìto una lesione
diretta e immediata della sua situazione giuridica soggettiva (identificabile
nella pretesa al mantenimento dell’incentivo “convenzionato”) per effetto del
regime introdotto dalla disposizione in esame; in particolare, tale pregiudizio
è ravvisabile nell’immediata operatività dell’obbligo di scelta – da esercitare
entro il 30.11.2014 – di una delle tre opzioni di rimodulazione degli incentivi
previste dall’art. 26 d. l. n. 91/2014.
Come
già rilevato (v. par. 3), ciascuna delle opzioni del comma 3 impatta in senso
peggiorativo sulla posizione degli operatori siccome definita nelle convenzioni
di incentivazione, esplicando un effetto novativo sugli elementi della durata o
dell’importo delle tariffe incentivanti o su entrambi, e tanto anche a non
voler tener conto dei costi di transazione derivanti dalla necessità di
adeguare gli assetti in essere alla nuova situazione.
Ne
deriva che la lesione, attualmente riferibile alla posizione di parte
ricorrente, consegue all’immediata operatività dell’obbligo, imposto dall’art.
26, co. 3, cit., di scelta di uno dei tre regimi peggiorativi previsti dalla
norma.
La
norma in esame, pertanto, ha carattere autoapplicativo; in questa ottica
l’intervento del GSE da essa divisato serve solo a quantificare in concreto, in
riferimento alle percentuali ivi previste, la riduzione dell’incentivo
riconducibile all’opzione di cui alla lett. c), applicata in via imperativa
dalla legge, e non costituisce in alcun modo autonoma manifestazione di volontà
di applicazione dell’opzione in esame.
Proprio
l’esistenza di una modificazione della realtà giuridica, peggiorativa di quella
preesistente, conseguente all’introduzione dell’obbligo vigente di scegliere
entro il 30.11.2014 una delle opzioni previste dal co. 3, qualifica, in capo
alla parte ricorrente, l’interesse ad agire in relazione alla proposta azione
di accertamento;
d)
in una fattispecie simile a quella oggetto di causa la Corte di cassazione
(ord. n. 12060/2013), nel sollevare la questione di legittimità costituzionale
di norme elettorali (poi accolta dalla Corte costituzionale con la sentenza n.
1/2014), ha avuto modo di affermare che “ci si allontana dall'archetipo delle
azioni di mero accertamento per avvicinarsi a quello delle azioni costitutive o
di accertamento-costitutive” allorché (come nell’ipotesi in esame) l’interesse
“è quello di rimuovere un pregiudizio che invero non è dato da una mera
situazione di incertezza ma da una (già avvenuta) modificazione della realtà
giuridica che postula di essere rimossa mediante un'attività ulteriore,
giuridica e materiale”.
Nell’occasione
la stessa Corte, con un ragionamento estensibile anche alla presente
fattispecie, ha avuto modo di precisare che “una interpretazione della
normativa elettorale che, valorizzando la tipicità delle azioni previste in
materia (di tipo impugnatorio o concernenti l'ineleggibilità, la decadenza o
l'incompatibilità dei candidati), escludesse in radice ovvero condizionasse la
proponibilità di azioni come quella qui proposta al maturare di tempi
indefiniti o al verificarsi di condizioni non previste dalla legge (come, ad
esempio, la convocazione dei comizi elettorali), entrerebbe in conflitto con i
parametri costituzionali (art. 24, e art. 113, comma 2) della effettività e
tempestività della tutela giurisdizionale” aggiungendo che “ci sono leggi che
creano in maniera immediata restrizioni dei poteri o doveri in capo a
determinati soggetti, i quali nel momento stesso in cui la legge entra in
vigore si trovano già pregiudicati da esse, senza bisogno dell'avverarsi di un
fatto che trasformi l'ipotesi legislativa in un concreto comando. In tali casi
l'azione di accertamento può rappresentare l'unica strada percorribile per la
tutela giurisdizionale di diritti fondamentali di cui, altrimenti, non sarebbe
possibile una tutela ugualmente efficace e diretta”;
e)
in relazione a tale ultimo profilo è utile precisare che nella fattispecie in
esame l’esigenza di tutela giurisdizionale è qualificata dal fatto che la
posizione della parte istante è incisa da una vera e propria
legge-provvedimento.
Secondo
la giurisprudenza costituzionale, sono leggi-provvedimento “quelle che
«contengono disposizioni dirette a destinatari determinati» […], ovvero
«incidono su un numero determinato e limitato di destinatari» […], che hanno
«contenuto particolare e concreto» […], «anche in quanto ispirate da
particolari esigenze» […], e che comportano l’attrazione alla sfera legislativa
«della disciplina di oggetti o materie normalmente affidati all’autorità
amministrativa»” (così C. cost. n. 275/2013, e giurispr. ivi richiamata).
Queste
leggi, anche se compatibili con l’assetto dei poteri stabilito dalla
Costituzione, “devono soggiacere ad un rigoroso scrutinio di legittimità
costituzionale per il pericolo di disparità di trattamento insito in previsioni
di tipo particolare e derogatorio […], con l’ulteriore precisazione che «tale
sindacato deve essere tanto più rigoroso quanto più marcata sia […] la natura
provvedimentale dell’atto legislativo sottoposto a controllo” (così, ancora, C.
cost. n. 275/2013 cit.).
Ciò
posto, al fine di qualificare nei sensi appena detti l’art. 26, co. 3, d.l. n.
91/2014, il Collegio ritiene significativa non soltanto la finalità
dell’intervento (“ottimizzare la gestione dei tempi di raccolta ed erogazione
degli incentivi e favorire una migliore sostenibilità nella politica di
supporto alle energie rinnovabili”) ma, soprattutto, il meccanismo di
operatività della rimodulazione degli incentivi.
In
quest’ottica deve essere evidenziato che la norma:
-
ha un ambito applicativo limitato, in quanto concerne i soli titolari di
impianti fotovoltaici di potenza nominale superiore a 200 kW che hanno
stipulato con il GSE convenzioni in corso di esecuzione per l’erogazione degli
incentivi;
-
disciplina puntualmente l’entità della rimodulazione degli incentivi e per la
sua applicazione non necessita dell’esercizio del potere amministrativo, almeno
per quanto concerne le opzioni di cui alle lettere a) e c);
-
disciplina direttamente le modalità di esercizio dell’opzione e la conseguenza
riferibile al mancato esercizio dell’opzione.
In
sostanza, l’art. 26, co. 3, d.l. n. 91/2014 finisce con l’esercitare competenze
sostanzialmente amministrative perché non si limita a fissare un obiettivo, ma
disciplina specificamente le modalità e l’entità delle rimodulazioni come si
evince dal fatto che l’autorità amministrativa non è chiamata ad attuare la
disposizione (se non limitatamente all’opzione di cui alla lett. b).
La
qualificazione in termini di legge-provvedimento dell’art. 26, co. 3, cit.
costituisce ulteriore argomento ai fini dell’ammissibilità dell’azione di
accertamento proposta in questo giudizio sia perché gli obblighi lesivi per la
parte ricorrente sono direttamente riconducibili alla norma primaria sia perché
questo tipo di azione costituisce il necessario strumento per potere accedere
alla tecnica di tutela tipica (sindacato di legittimità costituzionale)
dell’atto (legge-provvedimento) pregiudizievole per il destinatario.
Sempre
in relazione alla rilevanza, il Tribunale rileva che la norma sub judice, per
il suo contenuto univoco, non si presta in alcun modo a una interpretazione
costituzionalmente orientata, imponendo la rimessione della questione alla
Corte costituzionale in relazione ai profili di possibile illegittimità che
sono di seguito evidenziati.
5.
Profili di non manifesta infondatezza.
5.1.
Violazione degli artt. 3 e 41 Cost.: irragionevolezza, sproporzione e
violazione del principio del legittimo affidamento..
Il
comma 3 dell’art. 26 d.l. n. 91/2014 presenta profili di irragionevolezza e
risulta di possibile incompatibilità con gli artt. 3 e 41 Cost., poiché incide
ingiustificatamente sulle posizioni di vantaggio consolidate (peraltro
riconosciute da negozi “di diritto privato”; cfr. art. 24 d.lgs. n. 28/2011) e
sul legittimo affidamento dei fruitori degli incentivi.
5.1.1.
La questione rientra nel tema dei limiti costituzionali alle leggi di
modificazione dei rapporti di durata (e della c.d. retroattività impropria,
quale attributo delle disposizioni che introducono “per il futuro una
modificazione peggiorativa del rapporto di durata”, con riflessi negativi
“sulla posizione giuridica già acquisita dall'interessato”; C. cost. sent. n.
236/2009).
La
Corte costituzionale ha più volte ricordato come nella propria giurisprudenza
fosse ormai “consolidato il principio del legittimo affidamento nella sicurezza
giuridica, che costituisce elemento fondamentale dello Stato di diritto e non
può essere leso da disposizioni retroattive, che trasmodino in regolamento
irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori”(sent. n.
236/2009 cit. e giurispr. ivi richiamata).
Più
precisamente, il Giudice delle leggi ha precisato che “nel nostro sistema
costituzionale non è affatto interdetto al legislatore di emanare disposizioni
le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la
disciplina dei rapporti di durata, anche se l’oggetto di questi sia costituito
da diritti soggettivi perfetti (salvo, ovviamente, in caso di norme
retroattive, il limite imposto in materia penale dall’art. 25, secondo comma, della
Costituzione). Unica condizione essenziale è che tali disposizioni non
trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni
sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento del cittadino nella
sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di
diritto” (sent. n. 64/2014, che cita testualmente la sent. n. 264 del 2005, e
richiama , in senso conforme, le sentt. n. 236 e n. 206 del 2009).
E
ha richiamato in proposito anche “la giurisprudenza della Corte di giustizia
dell’Unione europea, che ha sottolineato che una mutazione dei rapporti di
durata deve ritenersi illegittima quando incide sugli stessi in modo
«improvviso e imprevedibile» senza che lo scopo perseguito dal legislatore
imponga l’intervento (sentenza del 29 aprile 2004, in cause C-487/01 e C-7/02)”
(così sent. n. 64/2014 cit.).
In
applicazione di tali canoni la Corte ha, a es., escluso l’incostituzionalità di
un intervento legislativo teso alla “variazione dei criteri di calcolo dei canoni
dovuti dai concessionari di beni demaniali” volto ad adeguare i canoni di
godimento di beni pubblici con lo scopo di consentire allo Stato una
maggiorazione delle entrate e di rendere i canoni più equilibrati rispetto a
quelli pagati a favore di locatori privati, sul rilievo che tale effetto non
era “frutto di una decisione improvvisa ed arbitraria del legislatore”, ma si
inseriva “in una precisa linea evolutiva nella disciplina dell’utilizzazione
dei beni demaniali” (sent. n. 302/2010; v. anche sent. n. 64/2014, in cui è
stata giudicata “non irragionevole l’opzione normativa di rideterminazione del
canone sulla base di fasce di utenza commisurate alla potenza nominale degli
impianti di derivazione idroelettrica, sulla quale si è assestato nel tempo il
legislatore provinciale allo scopo di attuare un maggiore prelievo al
progredire della risorsa sottratta all’uso della collettività, nell’ottica
della più idonea preservazione delle risorse idriche”, alla luce, tra l’altro,
del “dato storico della reiterazione nel tempo dell’intervento normativo
sospettato di illegittimità costituzionale”).
Al
contrario, ha ritenuto non conforme a Costituzione la disposizione introduttiva
della graduale riduzione e finale abolizione del periodo di fuori ruolo del
docenti universitari (art. 2, co. 434, l. n. 244/07), ravvisandone
l’irragionevolezza, all’esito del “necessario bilanciamento” tra il
perseguimento della finalità avuta di mira dalla norma “e la tutela da
riconoscere al legittimo affidamento nella sicurezza giuridica, nutrito da
quanti, sulla base della normativa previgente, hanno conseguito una situazione
sostanziale consolidata” (ciò alla luce di una serie di elementi fattuali,
quali le caratteristiche di detta posizione giuridica, “concentrata nell'arco
di un triennio”, interessante “una categoria di docenti numericamente
ristretta”, non produttiva di “significative ricadute sulla finanza pubblica”,
non rispondente “allo scopo di salvaguardare equilibri di bilancio o altri
aspetti di pubblico interesse” e neppure potendosi definire “funzionale
all'esigenza di ricambio generazionale dei docenti universitari”, con
sacrificio pertanto “ingiustificato e perciò irragionevole, traducendosi nella
violazione del legittimo affidamento – derivante da un formale provvedimento
amministrativo – riposto nella possibilità di portare a termine, nel tempo
stabilito dalla legge, le funzioni loro conferite e, quindi, nella stabilità
della posizione giuridica acquisita”).
Più
in generale, sul tema dell’efficacia retroattiva delle leggi, la Corte ha più
volte affermato che il divieto di retroattività delle leggi non riceve
nell’ordinamento la tutela privilegiata di cui all’art. 25 Cost., ben potendo
il legislatore emanare norme retroattive “purché la retroattività trovi
adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di
rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti «motivi imperativi di
interesse generale», ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali (CEDU)” e con una serie di limiti generali,
“attinenti alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, di altri
fondamentali valori di civiltà giuridica, posti a tutela dei destinatari della
norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del
principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre
ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell’affidamento
legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di
diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto
delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario” (sentt.
160/2013 e 209/2010).
Tali
conclusioni non si discostano (e anzi sembrano permeate) dagli esiti raggiunti
dalla giurisprudenza della Corte di giustizia UE sull’operatività del principio
di legittimo affidamento (cui è sotteso quello della certezza del diritto) nel
campo dei rapporti economici, in relazione alla quale è stato elaborato il
criterio dell’operatore economico “prudente e accorto” (o dell’“applicazione
prevedibile”), secondo cui la possibilità di far valere la tutela del legittimo
affidamento è bensì “prevista per ogni operatore economico nel quale
un’autorità nazionale abbia fatto sorgere fondate aspettative”, ma non “qualora
un operatore economico prudente ed accorto sia in grado di prevedere l’adozione
di un provvedimento idoneo a ledere i suoi interessi” (nel caso in cui il
provvedimento venga adottato); in tale prospettiva, inoltre, “gli operatori
economici non possono fare legittimamente affidamento sulla conservazione di
una situazione esistente che può essere modificata nell’ambito del potere
discrezionale delle autorità nazionali” (cfr. punto 53 della menzionata sent.
C. giust. 10 settembre 2009, in causa C-201/08, Plantanol).
Per
completezza, si può sottolineare come nel campo dei rapporti tra privati e
pubblica amministrazione lo stesso legislatore nazionale abbia conferito
valenza pregnante all’affidamento.
Si
considerino le rilevanti innovazioni apportate alla legge n. 241/90 dal d.l. 12
settembre 2014, n. 133 (conv. in l. con modif., dalla l. 11 novembre 2014, n.
164), recante “Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione
delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione
burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle
attività produttive”.
Con
l’art. 25, co. 1, lett. b-ter), di detto d.l. (lettera aggiunta dalla legge di
conversione) è stato infatti modificato l’art. 21-quinquies, co. 1, l. n.
241/90 cit., sulla “revoca del provvedimento”, nel duplice senso: a) di
circoscrivere il presupposto del “mutamento della situazione di fatto”, che per
la nuova disposizione deve essere “non prevedibile al momento dell’adozione del
provvedimento”; b) di precludere, nell’ipotesi di “nuova valutazione
dell’interesse pubblico originario”, la revoca dei provvedimenti
“autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici” (a efficacia
durevole).
Ciò
che costituisce un ulteriore e significativo passo nell’articolato processo di
emersione della centralità del principio di sicurezza giuridica.
5.1.2.
Tanto premesso, ritiene il Collegio che in capo ai soggetti titolari di
impianti fotovoltaici, fruitori delle relative incentivazioni pubbliche in
forza di “contratto di diritto privato” (ex art. 24 d.lgs. n. 28/2011) o
convenzione (avente la medesima natura, come già precisato) stipulati col GSE
(previo riconoscimento delle condizioni per l’erogazione attraverso specifico
provvedimento ammissivo), sussista una posizione di legittimo affidamento nei
sensi innanzi precisati, non essendo mai emersi nel corso del tempo elementi
alla stregua dei quali un operatore “prudente e accorto” avrebbe potuto
prevedere (al momento di chiedere gli incentivi, di decidere se far entrare in
esercizio il proprio impianto e di stipulare con il Gestore il negozio che
disciplina l’erogazione degli incentivi) l’adozione da parte delle autorità
pubbliche di misure lesive del diritto agli incentivi stessi.
La
ratio dell’intervento pubblico nel settore è chiaramente desumibile dalla
rassegna normativa innanzi riportata: attraverso il meccanismo dei conti
energia il legislatore nazionale, in adesione alle indicazioni di matrice
europea, ha consentito la nascita e favorito lo sviluppo di un settore di
attività economica ritenuto particolarmente importante e, quel che più rileva,
lo ha presentato sin dalla sua genesi con caratteristiche di “stabilità” con
specifico riferimento (non già all’accesso agli incentivi, ma) alla circostanza
che gli stessi, una volta riconosciuti, sarebbero rimasti invariati per
l’intera durata del rapporto.
Ciò
si desume anzitutto dal contesto internazionale di favore per la produzione di
energia da fonti rinnovabili, tale da avere determinato a livello europeo
l’introduzione di obiettivi prima soltanto indicativi (dir. 2011/77) ma dopo
divenuti obbligatori (dir. 2009/28) e l’individuazione di specifici regimi di
sostegno per ovviare all’assenza di iniziativa da parte del mercato (il
legislatore europeo ha cioè giudicato necessario l’intervento pubblico di cui
si tratta).
In
secondo luogo, il legislatore nazionale ha mostrato una piena e convinta
adesione agli indirizzi sovranazionali di politica energetica e in particolare
all’obiettivo di promozione della produzione energetica da fonti rinnovabili.
Sin
dal d.lgs. n. 387/03, e nonostante la non obbligatorietà dell’obiettivo
nazionale, è stato introdotto un regime di sostegno con incentivi che avrebbero
dovuto, tra l’altro, “garantire una equa remunerazione dei costi di investimento
e di esercizio” (art. 7, co. 2, lett. d), tanto che i primi tre conti energia
hanno chiaramente enucleato l’immutabilità per vent’anni dell’incentivazione
riconosciuta al singolo operatore.
All’indomani
della determinante connotazione degli obiettivi nazionali in termini di
vincolatività, il d.lgs. n. 28/2011 ha amplificato la percezione di
“stabilità”, individuando:
a)
all’art. 23, tra i “principi generali” dei “regimi di sostegno applicati
all’energia prodotta da fonti rinnovabili”:
-
“la predisposizione di criteri e strumenti che promuovano l’efficacia,
l’efficienza, la semplificazione e la stabilità nel tempo dei sistemi di
incentivazione, perseguendo nel contempo l’armonizzazione con altri strumenti
di analoga finalità e la riduzione degli oneri di sostegno specifici in capo ai
consumatori” (enf. agg.; co. 1);
-
“la gradualità di intervento a salvaguardia degli investimenti effettuati e la
proporzionalità agli obiettivi, nonché la flessibilità della struttura dei
regimi di sostegno, al fine di tener conto dei meccanismi del mercato e
dell’evoluzione delle tecnologie delle fonti rinnovabili e dell’efficienza
energetica” (enf. agg.; co. 2).
b)
all’art. 24, tra gli specifici “criteri generali” dei meccanismi di
incentivazione, quelli indicati al co. 2, lettere b), c) e d), secondo cui,
rispettivamente, “il periodo di diritto all’incentivo è pari alla vita media
utile convenzionale delle specifiche tipologie di impianto” (il principio si
collega a quello dell’“equa remunerazione dei costi di investimento e di
esercizio”, confermato dalla precedente lettera a), “l’incentivo resta costante
per tutto il periodo di diritto” e “gli incentivi sono assegnati tramite
contratti di diritto privato fra il GSE e il soggetto responsabile
dell’impianto” (enf. agg.);
c)
all’art. 25, comma 11, recante clausola di salvezza dei “diritti acquisiti”.
Ed
è significativo che il legislatore delegato utilizzi ripetutamente i termini
“diritto” (all’incentivo) o “diritti”.
In
terzo luogo, il d.l. n. 145/2013 ha rafforzato questo convincimento, adottato
successivamente alla conclusione del sistema dei conti energia e dunque in un
contesto nel quale il novero dei destinatari delle incentivazioni era ormai
definito (o in via di definizione).
Tale
provvedimento, pur muovendo dalla ritenuta “straordinaria necessità ed urgenza
di emanare misure” (tra le altre) “per il contenimento delle tariffe elettriche
[…], quali fattori essenziali di progresso e opportunità di arricchimento
economico, culturale e civile e, nel contempo, di rilancio della competitività
delle imprese” (v. preambolo), e al dichiarato duplice fine di “contenere
l’onere annuo sui prezzi e sulle tariffe elettriche degli incentivi alle
energie rinnovabili e massimizzare l’apporto produttivo nel medio-lungo termine
dagli esistenti impianti”, ha, tuttavia, introdotto meccanismi di tipo
facoltativo e dunque non pregiudizievoli per i fruitori degli incentivi.
In
questa prospettiva, sia gli interventi divisati ex ante, in corso di vigenza
dei conti energia, dal d.lgs. n. 28/2011, quali l’anticipata cessazione del
III° conto e la connotazione di immanente temporaneità dei due conti successivi
(la cui operatività è stata collegata, come si è visto, al raggiungimento di
specifici obiettivi indicati negli inerenti provvedimenti), sia quelli previsti
dal d.l. n. 145/2013 ex post, ossia dopo la chiusura del regime di sostegno,
dimostrano come lo stesso legislatore abbia comunque preservato il “sinallagma”
tra incentivi e iniziative imprenditoriali in corso.
E
infatti, l’incontestato “boom del fotovoltaico” sotteso alle inerenti
determinazioni delle autorità pubbliche, puntualmente elevato dall’art. 23, co.
2, d.lgs. n. 28/2011 a parametro di esercizio della discrezionalità nella parte
in cui individua la finalità di “tener conto dei meccanismi del mercato e
dell’evoluzione delle tecnologie delle fonti rinnovabili”, è stato affrontato
con misure operanti pro futuro, perché applicabili a impianti non ancora
entrati in esercizio (come attestato dalle riferite vicende giudiziali relative
al passaggio dal III° al IV° conto), mentre sono state accuratamente evitate
scelte aventi efficacia pro praeterito tempore.
In
altri termini, anche l’anticipata cessazione del III° conto, ancorché abbia
prodotto effetti negativi nei confronti degli investitori che avessero
intrapreso attività preliminari allo svolgimento della propria iniziativa, non
ha tuttavia messo in discussione il “patto” stipulato con gli interessati,
consentendo a ciascun operatore non ancora “contrattualizzato” di ponderare
consapevolmente e adeguatamente il merito economico della propria iniziativa e
di assumere le conseguenti determinazioni.
È
pertanto possibile ravvisare il vulnus arrecato dall’art. 26, co. 3, in esame
al “diritto all’incentivo” e al principio del legittimo affidamento, stante
l’imprevedibilità, da parte di un soggetto “prudente e accorto”, titolare di un
incentivo ventennale a seguito dell’adesione a uno dei conti energia, delle
modificazioni in pejus del rapporto.
5.1.3.
Le precedenti considerazioni non paiono superate dagli elementi addotti dalla
parte pubblica al fine di escludere che l’art. 26 abbia dato vita a un
“regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori”
(quale aspetto sintomatico dell’incostituzionalità della disposizione), potendo
dubitarsi della ragionevolezza e proporzionalità dell’intervento.
L’art.
23 d.l. n. 91/2014, rubricato “Riduzione delle bollette elettriche a favore dei
clienti forniti in media e bassa tensione”, prevede quanto segue:
“1.
Al fine di pervenire a una più equa distribuzione degli oneri tariffari fra le
diverse categorie di consumatori elettrici, i minori oneri per l’utenza
derivanti dagli articoli da 24 a 30 del presente decreto-legge, laddove abbiano
effetti su specifiche componenti tariffarie, sono destinati alla riduzione
delle tariffe elettriche dei clienti di energia elettrica in media tensione e
di quelli in bassa tensione con potenza disponibile superiore a 16,5 kW,
diversi dai clienti residenziali e dall’illuminazione pubblica.
2.
Alla stessa finalità sono destinati i minori oneri tariffari conseguenti
dall’attuazione dell’articolo 1, commi da 3 a 5, del decreto-legge 23 dicembre
2013 n. 145, convertito, con modificazioni, in legge 21 febbraio 2014 n. 9.
3.
Entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto-legge, l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema
idrico adotta i provvedimenti necessari ai fini dell’applicazione dei commi 1 e
2, garantendo che i medesimi benefici siano ripartiti in modo proporzionale tra
i soggetti che ne hanno diritto e assicurando che i benefici previsti agli
stessi commi 1 e 2 non siano cumulabili a regime con le agevolazioni in materia
di oneri generali di sistema, di cui all’articolo 39 del decreto-legge 22
giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012,
n. 134.”.
Ora,
non sono certo contestabili gli scopi complessivi avuti di mira dal
legislatore, che intende “pervenire a una più equa distribuzione degli oneri
tariffari fra le diverse categorie di consumatori elettrici”, distribuendo tra
costoro “i minori oneri per l’utenza” derivanti, tra le altre, dalle misure
dell’art. 26 e, in ultima analisi, alleggerendo i costi dell’energia elettrica
per i “clienti […] in media tensione e […] in bassa tensione con potenza
disponibile superiore a 16,5 kW, diversi dai clienti residenziali e
dall’illuminazione pubblica”.
Sennonché,
tale obiettivo – oltre a non sembrare del tutto consonante con la finalità
specificamente declinata dal comma 1 dell’art. 26, nel senso di “favorire una
migliore sostenibilità nella politica di supporto alle energie rinnovabili”,
non risultando in particolare chiaro il nesso tra la “migliore sostenibilità
nella politica di supporto alle energie rinnovabili” e la “più equa
distribuzione degli oneri tariffari” tra gli utenti – è perseguito attraverso
una “leva” che appare irragionevole e sproporzionata.
Il
reperimento delle necessarie risorse finanziarie è infatti attuato attraverso
una modificazione unilaterale e autoritativa dei rapporti in essere, di cui è
dubbia di per sé la proporzionalità rispetto all’obiettivo avuto di mira dal
legislatore, tenuto conto del rango e della natura degli scopi del regime di
sostegno (basti por mente all’evocazione, da parte della dir. 2001/77, delle
norme del Trattato UE sulla tutela dell’ambiente), e che comunque non appare
bilanciata da adeguate misure compensative (art. 26, commi 5 e ss.), con
ulteriore profilo di irragionevolezza.
Quanto
ai “finanziamenti bancari” (co. 5), è sufficiente rilevare – in disparte gli
aspetti collegati all’onerosità per i beneficiari dei meccanismi ipotizzati e
ai costi di transazione comunque derivanti dall’impalcatura
giuridico-finanziaria dei nuovi contratti – che la garanzia dello Stato non
copre l’intero importo dell’eventuale operazione finanziaria (sino all’80%
dell’ammontare dell’“esposizione creditizia […] di CDP nei confronti della
banca” o della “somma liquidata da CDP alla banca garantita”) e che comunque si
tratta di “finanziamenti” non automatici (residuando uno spazio di
apprezzamento circa i requisiti dei beneficiari finali, che devono a es. essere
soggetti “economicamente e finanziariamente sani”, e circa il “merito di
credito”; cfr. artt. 1 e 2 d.m. 29.12.2014).
Né
presenta natura compensativa l’adeguamento della durata dei titoli
autorizzatori (co. 6), che costituisce piuttosto una conseguenza necessitata –
peraltro, non priva, in sé, di costi aggiuntivi – della protrazione del periodo
di incentivazione oltre i venti anni nel caso di scelta dell’opzione di cui al
co. 3, lett. a).
Quanto
all’“acquirente selezionato” (commi da 7 a 12), va osservato come lo stesso
legislatore sia consapevole della natura solo eventuale della misura, tenuto
conto dell’art. 26, co. 13, che ne subordina l’efficacia “alla verifica da
parte del Ministero dell’economia e delle finanze della compatibilità degli
effetti delle operazioni sottostanti sui saldi di finanza pubblica ai fini del
rispetto degli impegni assunti in sede europea”.
Verifica
tanto più stringente alla luce del relativo ambito di applicazione, non
riservato ai soli produttori da fonte solare, ma esteso a tutti i percettori di
incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili.
In
ogni caso, ferma l’impossibilità di apprezzarne compiutamente il contenuto in
assenza delle necessarie disposizioni attuative (si pensi, a es., al co. 9,
lett. d, che demanda all’Autorità di “stabilire i criteri e le procedure per
determinare la quota annuale costante di incentivi pluriennali che può essere
oggetto di cessione da parte di ciascun soggetto beneficiario, tenendo conto
anche della tipologia e della localizzazione degli impianti”), anche qui è
posto un limite quantitativo agli incentivi cedibili (80%), mentre non paiono
disciplinate le conseguenze sui rapporti di finanziamento eventualmente accesi
dai produttori di energia (i quali, attraverso la cessione, intendano
monetizzare immediatamente l’incentivo).
La
possibilità di un recesso anticipato del produttore dal contratto di finanziamento
sembra in effetti presa in considerazione dal co. 11, che reca però un impegno
per il Governo assolutamente generico (“assumere ogni iniziativa utile a dare
piena esecuzione alle disposizioni del presente articolo, inclusi eventuali
accordi con il sistema bancario per semplificare il recesso totale o parziale
dei soggetti beneficiari di incentivi pluriennali dai contratti di
finanziamento stipulati”).
5.1.4.
In considerazione di quanto detto, e all’esito del bilanciamento tra
l’interesse perseguito dal legislatore e la lesione dei diritti dei fruitori
delle agevolazioni, emerge la possibile irragionevolezza e la possibile assenza
di proporzionalità, ai sensi dell’art. 3 Cost., delle norme dell’art. 26, co.
3, d.l. n. 91/2014 (come convertito dalla l. n. 116/2014), apparendo altresì
violato anche l’art. 41 Cost., alla luce dell’irragionevole effetto della
frustrazione delle scelte imprenditoriali attraverso la modificazione degli
elementi costitutivi dei rapporti in essere come contrattualizzati o, comunque,
già negoziati.
Ciò
in quanto, e riassuntivamente:
-
il sistema degli incentivi perde la sua stabilità nel tempo nonostante lo
stesso sia stato già individuato e predeterminato in una convenzione o
contratto di diritto privato (art. 24, co. 2, lett. d, d.lgs. n. 28/2011);
-
gli investimenti effettuati non sono salvaguardati;
-
viene meno l’equa remunerazione degli investimenti effettuati;
-
il periodo di tempo per la percezione dell’incentivo, invariato nella misura
complessiva, viene prolungato indipendentemente dalla vita media convenzionale
degli impianti (lett. a); l’incentivo non è più costante per tutto il periodo
di diritto, ma si riduce in assoluto per tutto il periodo residuo (lett. c) o
varia in diminuzione nell’ambito del ventennio originario di durata della
convenzione (lett. a) o per cinque anni (lett. b).
5.2.
Violazione degli artt. 11 e 117, 1° co., Cost. in relazione all’art. 1,
Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali (di cui è stata autorizzata la ratifica
e disposta l’esecuzione con l. 4 agosto 1955, n. 848) e all’art. 6, par. 3,
Trattato UE.
Il
comma 3 dell’art. 26 d.l. n. 91/2014 si pone in rapporto di possibile
incompatibilità anche con gli artt. 11 e 117, comma 1, Cost. in relazione,
quali norme interposte, all’art. 1, Protocollo addizionale n. 1, alla
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (di cui è stata autorizzata la ratifica e disposta l’esecuzione
con l. 4 agosto 1955, n. 848) e all’art. 6, par. 3, Trattato UE, che introduce
nel diritto dell’Unione “in quanto principi generali”, i “diritti fondamentali”
garantiti dall’anzidetta Convenzione.
Secondo
la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo detto art. 1 – che
afferma il principio di “protezione della proprietà”, ammettendo al contempo
l’adozione delle misure legislative “ritenute necessarie per disciplinare l’uso
dei beni in modo conforme all’interesse generale” – conferisce protezione anche
ai diritti di credito (e alle aspettative legittime; si veda, tra le altre,
Maurice c. Francia [GC], del 6 ottobre 2005, n. 11810/03, parr. 63 e ss.),
reputando ammissibili le “interferenze” (ingerenze) da parte della pubblica
autorità in presenza di un interesse generale (cfr. Arras e altri c. Italia, n.
17972/07, 14 febbraio 2012 e 14 maggio 2012, final, parr. 77-79).
In
questa prospettiva, l’ingerenza costituita dalla sottrazione di parte dei
crediti spettanti ai produttori di energia in forza delle convenzioni stipulate
con il GSE non appare giustificata ed è in contrasto con il principio di
proporzionalità, non risultando l’intervento ablatorio adeguatamente bilanciato
dalla finalità di diminuire le tariffe elettriche in favore di alcune categorie
di consumatori.
5.3.
Ulteriore violazione degli artt. 3 e 41 Cost.: disparità di trattamento ed
ulteriori profili di irragionevolezza e sproporzione.
È
dubbia la costituzionalità dell’art. 26, co. 3, d.l. n. 91/2014, rispetto
all’art. 3 Cost., eventualmente anche in relazione all’art. 41 Cost., nella
parte in cui prevede che la rimodulazione si applichi soltanto agli “impianti
di potenza nominale superiore a 200 kW” (recte: ai soggetti fruitori di tariffe
incentivanti per l’energia elettrica prodotta da tali impianti).
5.3.1.
Tale restrizione del campo applicativo comporta la creazione, all’interno
dell’insieme dei titolari degli impianti fotovoltaici incentivati, di due
sottoinsiemi di imprese distinte in base alla “potenza nominale”
(dell’impianto), destinatarie di un trattamento differenziato.
A
dire della parte pubblica le ragioni di tale scelta sarebbero da ricondurre
essenzialmente alla circostanza che i soggetti incisi dalla rimodulazione, pur
costituendo un’esigua percentuale (4%) del totale di quelli agevolati,
fruirebbero di benefici pari alla maggior parte della spesa totale per
l’incentivazione.
In
disparte l’esattezza del dato numerico, questa considerazione non integra,
tuttavia, un profilo idoneo a sorreggere la contestata differenziazione di trattamento
e, in particolare, il deteriore trattamento disposto per quelli di maggiori
dimensioni, occorrendo tener conto delle modalità di funzionamento delle
tariffe incentivanti.
La
relativa entità dipende infatti dalla quantità di energia prodotta, sicché è
evenienza del tutto normale, e insita nel sistema, che i soggetti dotati di più
elevata capacità produttiva, fruendo di incentivi proporzionati, possano
assorbire un ammontare di benefici più che proporzionale rispetto al relativo
numero.
In
altri termini, nel regime di sostegno delineato dai conti energia rileva la
quantità dell’energia prodotta, non già il numero dei produttori, con la
conseguenza che misure dirette a colpire soltanto alcuni di costoro sortiscono
l’effetto di differenziare posizioni giuridiche omogenee.
Le
precedenti considerazioni dimostrano al contempo l’ulteriore irragionevolezza
delle misure, foriera di un trattamento deteriore per alcuni produttori in
assenza di adeguata causa giustificativa, non risultando percepibili le ragioni
di interesse pubblico poste a base della distinzione.
La
sussistenza dei vizi innanzi indicati pare avvalorata dall’ulteriore esonero
disposto dall’art. 22-bis, co. 1, d.l. n. 133/14 cit. in favore degli impianti
i cui soggetti responsabili erano, alla data di entrata in vigore della legge
di conversione del d.l. 91/2014, “enti locali o scuole”: la norma opera infatti
un distinguo fondato sulla peculiare qualità dei percettori dei benefici,
indipendentemente dalla quantità di energia prodotta.
5.3.2.
Altro profilo di discriminazione si desume dal trattamento degli impianti di
produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili diverse dal solare.
Nell’ambito
dell’art. 26 il legislatore prende in considerazione anche tali soggetti nella
parte relativa all’“acquirente selezionato” (commi 7 e ss.).
Sennonché,
non si comprendono le ragioni del deteriore trattamento dei produttori da fonte
solare rispetto agli altri percettori di incentivi, parimenti finanziati dagli
utenti attraverso i cc.dd. oneri generali di sistema (e dunque con il
versamento delle componenti della bolletta elettrica A3 o assimilate).
5.3.3.
La creazione di categorie differenziate determina anche un vulnus alla
concorrenza e una lesione della libertà di iniziativa economica ex art. 41
Cost. dei produttori di energia elettrica destinatari dell’art. 26, comma 3, i
quali, ancorché in un contesto economico connotato dal sostegno pubblico,
vedono pregiudicata la possibilità di operare sul mercato a parità di
condizioni con gli altri produttori da fonte solare e, più, in generale, di
energia rinnovabile.
Sotto
questo profilo risultano pertanto lesi gli artt. 3 e 41 Cost..
5.4.
Violazione dell’art. 77 Cost.
Secondo
la Corte costituzionale “la preesistenza di una situazione di fatto comportante
la necessità e l’urgenza di provvedere tramite l’utilizzazione di uno strumento
eccezionale, quale il decreto-legge, costituisce un requisito di validità
dell’adozione di tale atto, la cui mancanza configura un vizio di legittimità
costituzionale del medesimo, che non è sanato dalla legge di conversione”
(sent. n. 93 del 2011).
Essa
precisa anche che il relativo sindacato “va […] limitato ai casi di «evidente
mancanza» dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza richiesti
dall’art. 77, secondo comma, Cost. o di «manifesta irragionevolezza o
arbitrarietà della relativa valutazione»” (v. ex plur. sent. n. 10/2015).
Ai
fini della relativa indagine la Corte ha rimarcato la centralità dell’elemento
dell’“evidente estraneità” della norma censurata rispetto alla materia
disciplinata da altre disposizioni del decreto-legge in cui è inserita, dovendo
risultare una “intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o
dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e
finalistico. La urgente necessità del provvedere può riguardare una pluralità
di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate,
ovvero anche dall’intento di fronteggiare situazioni straordinarie complesse e
variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti
quindi a materie diverse, ma indirizzati all’unico scopo di approntare rimedi
urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare” (sent. n. 22/2012
nonché sentt. nn. 128/2008 e 171/2007).
Ciò
in quanto “l’inserimento di norme eterogenee all’oggetto o alla finalità del
decreto spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo
dell’urgenza del provvedere ed «i provvedimenti provvisori con forza di legge»”
di cui all’art. 77 Cost., con l’ulteriore precisazione che “il presupposto del
«caso» straordinario di necessità e urgenza inerisce sempre e soltanto al
provvedimento inteso come un tutto unitario, atto normativo fornito di
intrinseca coerenza, anche se articolato e differenziato al suo interno” e
ponendosi “la scomposizione atomistica della condizione di validità prescritta
dalla Costituzione […] in contrasto con il necessario legame tra il
provvedimento legislativo urgente ed il «caso» che lo ha reso necessario,
trasformando il decreto-legge in una congerie di norme assemblate soltanto da
mera casualità temporale”.
In
tale ottica, la Corte ha conferito rilievo anche all’art. 15, co. 3, l. 23
agosto 1988, n. 400, che “pur non avendo, in sé e per sé, rango costituzionale,
e non potendo quindi assurgere a parametro di legittimità in un giudizio
davanti a questa Corte, costituisce esplicitazione della ratio implicita nel
secondo comma dell’art. 77 Cost., il quale impone il collegamento dell’intero
decreto-legge al caso straordinario di necessità e urgenza, che ha indotto il
Governo ad avvalersi dell’eccezionale potere di esercitare la funzione
legislativa senza previa delegazione da parte del Parlamento” (sent. n. 22/2012
cit., in cui è preso in esame anche il preambolo dell’atto sottoposto a scrutinio).
Ora,
premesso che ai sensi dell’art. 15, co. 1, l. n. 400/88 cit. i decreti-legge
sono presentati per l’emanazione “con l’indicazione, nel preambolo, delle
circostanze straordinarie di necessità e di urgenza che ne giustificano
l’adozione”, mentre il co. 3 sancisce che “i decreti devono contenere misure di
immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e
corrispondente al titolo”, il dubbio di costituzionalità dell’art. 26, co. 3,
d.l. n. 91/2014 insorge con riferimento alla circostanza che, pur rinvenendosi
nel titolo del d.l. n. 91/2014 il riferimento al “rilancio e [al]lo sviluppo
delle imprese” e al “contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche”,
nel preambolo del provvedimento non si rinviene tuttavia esplicitazione di tali
punti.
Risulta
infatti presa in considerazione unicamente (con riguardo alla materia in esame)
“la straordinaria necessità e urgenza di adottare disposizioni volte a superare
alcune criticità ambientali, alla immediata mitigazione del rischio
idrogeologico e alla salvaguardia degli ecosistemi, intervenendo con
semplificazioni procedurali, promuovendo interventi di incremento
dell’efficienza energetica negli usi finali dell’energia nel settore pubblico e
razionalizzando le procedure in materia di impatto ambientale” (gli altri
enunciati del preambolo riguardano la straordinaria necessità e urgenza di
adottare “disposizioni finalizzate a coordinare il sistema dei controlli e a
semplificare i procedimenti amministrativi”, di “prevedere disposizioni
finalizzate alla sicurezza alimentare dei cittadini”, di adottare “disposizioni
per rilanciare il comparto agricolo, quale parte trainante dell’economia
nazionale, e la competitività del medesimo settore […]”; di adottare
“disposizioni per semplificare i procedimenti per la bonifica e la messa in
sicurezza dei siti contaminati e per il sistema di tracciabilità dei rifiuti,
per superare eccezionali situazioni di crisi connesse alla gestione dei rifiuti
solidi urbani, nonché di adeguare l’ordinamento interno agli obblighi
derivanti, in materia ambientale, dall’appartenenza dell’Italia all'Unione
europea”);
Il
testo è poi articolato in un titolo unico (tit. I “misure per la crescita
economica”) e in 3 capi (“disposizioni urgenti per il rilancio del settore agricolo”;
“disposizioni urgenti per l’efficacia dell'azione pubblica di tutela
ambientale, per la semplificazione di procedimenti in materia ambientale e per
l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza all'unione europea”;
“disposizioni urgenti per le imprese”).
L’art.
26 è contenuto nel capo III, “disposizioni urgenti per le imprese”, insieme a
una serie di articoli omogenei (da 23 a 30), effettivamente attinenti al tema
della “più equa distribuzione degli oneri tariffari fra le diverse categorie di
consumatori elettrici” (così l’art. 23 cit., che individua gli artt. da 24 a 30
quali generatori di “minori oneri per l’utenza”), ma in un contesto di norme
del tutto eterogenee (cfr. artt. 18 ss).
Appare
dunque carente l’elemento finalistico, non sembrando ravvisabile “l’intento di
fronteggiare situazioni straordinarie complesse e variegate, che richiedono
interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma
indirizzati all’unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni
straordinarie venutesi a determinare”.
Sotto
altro profilo, esso contiene anche misure che non sono “di immediata
applicazione”, come sancito dall’art. 15, co. 3, l. n. 400/88, essendo
sufficiente considerare le menzionate norme sull’“acquirente selezionato” e sul
recesso dai contratti di finanziamento (commi da 7 a 12).
***
Tanto
premesso, il Collegio ritiene rilevanti e non manifestamente infondate le
esposte questioni di costituzionalità, relative all’applicazione del comma 3
dell’art. 26 d.l. n. 91/2014 agli impianti di produzione di energia elettrica
da fonte solare, aventi potenza superiore a 200 kW, che fruiscano di
incentivazioni in atto ai sensi dei conti energia.
Il
giudizio è di conseguenza sospeso per la rimessione delle questioni suddette
all’esame della Corte Costituzionale, mandando alla Segreteria di trasmettere
alla Corte la presente ordinanza, unitamente a copia del ricorso, di
notificarla alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri
nonché di comunicarla ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato
della Repubblica;
P.Q.M.
Il
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Ter)
a)
visti gli artt. 134 Cost., 1 l. cost. 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 l. 11 marzo
1953, n. 87, dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 3, del decreto legge n. 91/2014,
convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 116/2014, in relazione
agli articoli 3, 11, 41, 77 e 117, 1° comma, della Costituzione, nonché 1,
Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali e 6, paragrafo 3, Trattato UE secondo
quanto specificato in motivazione;
b)
dispone la sospensione del presente giudizio;
c)
ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale,
unitamente alla prova delle previste comunicazioni e notificazioni;
d)
ordina che, a cura della Segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle
parti del giudizio e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai
Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.
Così
deciso in Roma nelle Camere di Consiglio dei giorni 19 marzo e 8 maggio 2015,
con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe
Daniele, Presidente
Mario
Alberto di Nezza, Consigliere
Maria
Grazia Vivarelli, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
|
IL PRESIDENTE
|
|
DEPOSITATA
IN SEGRETERIA
Il
01/09/2015
IL
SEGRETARIO
(Art.
89, co. 3, cod. proc. amm.)
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