EDILIZIA:
NOZIONE DI INTERVENTO EDILIZIO UNITARIO & DEFINIZIONE DI SAGOMA
NOZIONE DI INTERVENTO EDILIZIO UNITARIO & DEFINIZIONE DI SAGOMA
(Cons. St., Sez.VI, sentenza 15 marzo 2013 n. 1564)
Massima
1. La
sostituzione della s.c.i.a. alla d.i.a è stata prevista in via generale con
l’art. 49, comma 4-ter, del decreto-legge n. 78 del 2010, con
entrata in vigore dal 31 luglio 2010; si è poi avvertita la necessità di
precisare la portata di tale sostituzione riguardo alla normativa in materia
edilizia con un ulteriore intervento legislativo, disposto con l’articolo 5,
comma 1, lett. b) e comma 2, lett. c), del decreto-legge 13 maggio
2011, n. 70, convertito dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, per il quale le
disposizioni sulla s.c.i.a. si applicano alle denunce di inizio attività in
materia edilizia disciplinate dal d.P.R. n. 380 del 2001 “con esclusione dei
casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale,
siano alternative o sostitutive del permesso di costruire”.
2. Al
riguardo si osserva che: ai sensi dell’art. 22, comma 3, del d.P.R. n. 380 del
2001, “in alternativa al permesso di costruire, possono essere realizzati
mediante denuncia di inizio attività: a) gli interventi di ristrutturazione di
cui all’art. 10, comma 1, lett. c)”; l’intervento in questione, ossia un
(reiterato eppoi sanato) "recupero di sottotetto a uso
abitativo" è stato qualificato quale ristrutturazione dalla
legislazione regionale (art. 3, comma 2, della legge regionale n. 15 del 1996;
art. 64, comma 2, della legge regionale n. 12 del 2005), per cui per la
fattispecie in esame la s.c.i.a. non risulta sostitutiva della d.i.a.; tale
conclusione deve essere applicata al caso di specie, il cui procedimento si è
svolto tra il 19 ottobre 2010 (data di presentazione della d.i.a.) e il 22
giugno 2011 (data di adozione del diniego di sanatoria) e, perciò, nel periodo
di oggettiva incertezza sull’ambito di riferibilità della s.c.i.a. alla
normativa speciale in materia edilizia, non potendosi ritenere dirimente e
obbligatoria, nel frattempo, l’interpretazione data con lo strumento della
circolare e risultando confermata la detta incertezza dalla necessità del
ricorso al successivo intervento chiarificatore reso con il decreto-legge n. 70
del 2011.
3. La
definizione della “sagoma” di un edificio quale “conformazione planovolumetrica
della costruzione ed il suo perimetro considerato in senso verticale ed
orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese
le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti”, è quella consolidata in
giurisprudenza, anche penale (cfr. Cass., III: 9 ottobre 2008, n. 38408; 6
febbraio 2001, n. 9427), e da ultimo ripresa dalla Corte costituzionale
(sentenza 23 novembre 2011, n. 309) a proposito della stessa l.r. Lombardia n.
12 del 2005.
4. Quanto
alla fattispecie concreta ed alla rilevazione dell’intervento edilizio
come unitario appare corretta sia per la stretta ed oggettiva coerenza delle
opere rispetto all’innovazione dell’edificio, sia per la stessa qualificazione
operata dall’interessata, dovendosi tenere conto che già nella d.i.a di data 3
aprile 2009 veniva anche denunciato il “recupero di sottotetto a uso
abitativo ex LR 12/05” e che con la d.i.a. presentata il 19 ottobre 2010
erano altresì denunciati un intervento ugualmente denominato ai sensi
degli articoli 63 e seguenti della detta legge regionale, insieme con un
intervento di variante essenziale dei progetti di data 3 aprile 2009, e perciò,
in quanto tale, idoneo a modificare le linee essenziali degli stessi; con la
domanda di sanatoria poi si denunciano opere di “ristrutturazione edilizia”
descritte per “recupero abitativo del sottotetto dell’edificio”, risultando
perciò pertinente che le opere di cui alla prima d.i.a. siano riferite agli “interventi
realizzati di cui si richiede la sanatoria” nel provvedimento di diniego della
stessa.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8194 del 2012,
proposto da
Com. Univ s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,
da. IMG s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,
da Berni Lorenzo, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Ercole Romano,
Aldo Russo e Natalino Irti, con domicilio eletto presso Natalino Irti in Roma,
via Andrea Vesalio, 22;
contro
Comune di Milano, in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Raffaele Izzo, Maria Rita
Surano e Antonello Mandarano, con domicilio eletto presso Raffaele Izzo in
Roma, Lungotevere Marzio, 3;
Regione Lombardia, non costituita nel presente grado del giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE
II n. 1897/2012, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di
Milano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 febbraio
2013 il consigliere Maurizio Meschino e uditi per le parti gli avvocati
Mandarano e Romano;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO
1. La Com. Univ s.r.l., la I.M.G. s.r.l. e il signor
Lorenzo Berni (in seguito “ricorrenti”), con il ricorso n. 250 del 2011 e con
il ricorso n. 2615 del 2011, integrato con motivi aggiunti, proposti al
Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, hanno chiesto
l’annullamento:
- quanto al ricorso n. 250 del 2011:
-del provvedimento del dirigente del settore sportello
unico per l'edilizia in data 19 novembre 2010 pratica n. 8596/2010, concernente
sospensione lavori e diffida a proseguire opere d.i.a. relative a recupero
abitativo di sottotetto nell'edificio sito in Milano, via San Damiano n. 2;
nonché, come mezzo al fine, dell'art. 18.5.2 delle n.t.a. del p.r.g. del comune
di Milano (variante adottata con delibera c.c. n. 50 del 26 marzo 2001 ed
approvata con delibera c.c. n. 87 del 19 ottobre 2006); di tutti gli atti
preordinati e connessi;
- quanto al ricorso n. 2615 del 2011:
-quanto al ricorso principale, del provvedimento del
dirigente del settore sportello unico per l'edilizia in data 22 giugno 2011
p.g. n. 470021/2011, notificato in data 29 giugno 2011, recante diniego
dell'istanza di permesso di costruire in sanatoria del 30 dicembre 2010 p.g.
1009793/2010 e ordine di demolizione e ripristino nello stato quo ante entro
120 giorni dalla ricezione del medesimo provvedimento, in relazione a recupero
abitativo di sottotetto nell'edificio sito in Milano, via San Damiano n. 2; nonché,
come mezzo al fine, dell'art. 18.5.2 delle n.t.a. del p.r.g. del comune di
Milano; di ogni atto preordinato e connesso, ivi compreso il presupposto avviso
di diniego della sanatoria ex art. 10-bis della legge 7 agosto
1990, n. 241 in data 28 febbraio 2011 pg 220468/011;
-quanto ai motivi aggiunti, depositati il 16 aprile
2012, della delibera del consiglio comunale di Milano n. 60 in data 21 novembre
2011, relativa alla revoca della delibera 4 febbraio 2011 n. 7 (approvazione
del p.g.t.) nel punto in cui dispone di mantenere in vita la precedente
delibera di adozione del medesimo p.g.t. al fine di sostenere misure di
salvaguardia su progetti edilizi contrastanti con le sue previsioni.
2. Il Tribunale amministrativo regionale per la
Lombardia, Sezione seconda, con la sentenza n. 1897 del 2012, ha dichiarato
improcedibile il ricorso n. 250 del 2011; ha respinto il ricorso principale n.
2615 del 2011 e ha dichiarato inammissibili i motivi aggiunti. Ha compensato
tra le parti le spese del giudizio.
3. Con l’appello in epigrafe è chiesto l’annullamento in
parte qua della sentenza di primo grado, con domanda cautelare di
sospensione dell’esecutività.
Alla camera di consiglio del 4 dicembre 2012 l’esame
della domanda cautelare è stato abbinato alla trattazione della controversia
nel merito.
4. All’udienza del 26 febbraio 2013 la causa è stata
trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Nell’appello la sentenza di primo grado è impugnata
per i motivi che sono di seguito sintetizzati.
1.1. Violazione dell’art 33 del d.P.R. 6 giugno 2001,
n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia edilizia; in seguito “Testo unico”); errore nel presupposto di
fatto e di diritto.
La sentenza sarebbe errata poiché:
-a) vi è ritenuta l’unitarietà dell’intervento
edilizio per cui è causa, come anche erroneamente ritenuto
dall’Amministrazione, mentre si tratta di due interventi distinti, il primo dei
quali, non contestato, è stato attivato con d.i.a. del 2009, con destinazione
abitativa del sottotetto non quale recupero abitativo ai sensi dell’art. 63
della legge regionale della Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il
governo del territorio) ma per traslazione di una superficie lorda di
pavimento (s.l.p.), e, il secondo, con d.i.a. in variante presentata il 19
ottobre 2010, comportante una vetrata sostitutiva delle precedenti finestre,
oggetto dell’impugnato provvedimento comunale del 19 novembre 2010 (pratica n.
8596/2010) di sospensione dei lavori e diffida a proseguire; è seguita la
presentazione da parte della s.r.l Com.Univ. della domanda di permesso
costruire in sanatoria per i medesimi interventi che è stata rigettata, previo
preavviso ex art. 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, con
provvedimento comunale del 22 giugno 2011 (p.g. n. 470021/2011) anche
impugnato;
- b) il primo giudice ha quindi ritenuto la d.i.a
presentata il 19 ottobre 2010 come recante il recupero abitativo del sottotetto
con l’effetto dell’innalzamento dell’edificio, per innalzamento della falda, e
conseguente modifica della sagoma dello stesso, mentre, si deduce nell’appello,
da un lato, con la detta d.i.a. si è perseguito il recupero abitativo del
sottotetto con il solo intervento sulle vetrate sulla falda preesistente, senza
alcuna incidenza sul colmo del tetto e sulla gronda, e, dall’altro, il primo
giudice si è riferito ad una nozione di sagoma difforme da quella del
regolamento edilizio comunale che, correttamente, vi include la sola volumetria
abitabile, avendo trascurato, inoltre, l’applicabilità nella specie dell’art. 64
della legge regionale n. 12 del 2005 che consente l’apertura nei sottotetti di
finestre e strutture simili per ragioni di salubrità;
- c) non è stata rilevata l’erroneità del riferimento
del diniego di sanatoria alla pretesa violazione del P.G.T. in salvaguardia (il
cui art. 13, comma 2, della n.t.a. consente interventi di ristrutturazione
edilizia solo con mantenimento della sagoma e del sedime), riguardando tale
normativa le nuove costruzioni;
- d) è affermata dal primo giudice l’inapplicabilità
nella specie dell’istituto della s.c.i.a. introdotto dalla legge 30 luglio
2010, n. 122 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31
maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitività economica), mentre, secondo l’interpretazione di
tale normativa data dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, essendo
qualificato l’intervento in questione come “ristrutturazione edilizia” ai sensi
dell’art. 3, comma 2, della legge regionale della Lombardia 15 luglio 1996, n.
15 (Recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti) e del citato
art. 64 della legge regionale n. 12 del 2005, la s.c.i.a. si applica anche alle
attività edilizie per le quali era consentita la d.i.a.
1.2. Violazione ed erronea interpretazione dell’art.
18.5.2. delle n.t.a del p.r.g. del Comune di Milano
Il primo giudice ha ritenuto che l’edificio in
questione rientri nel divieto, posto dalla norma citata, di eseguire negli “immobili
esistenti” al 1940 interventi di recupero dei sottotetti comportanti
variazione delle altezze di gronda, di colmo e della pendenza delle falde del
tetto, con ciò trascurando che, nella specie, i caratteri originari
dell’edificio sono stati radicalmente variati con opere eseguite nel tempo che
lo hanno, in sostanza, ricomposto come nuovo; né lo scopo della normativa può
essere individuato nella salvaguardia della morfologia attuale di ogni edificio
anteriore al 1940 pure profondamente modificato essendo inoltre intervenuto,
per il caso in esame, il parere di compatibilità dell’intervento espresso dalla
Commissione paesaggistica.
1.3. Violazione dell’art. 1 della legge regionale n.
15 del 1996 e degli articoli 63 e seguenti della legge regionale n. 12 del
2005.
Nella sentenza è anche respinta la censura di illegittimità
del citato art. 18. 5.2. delle n.t.a. del p.r.g. per violazione della
legislazione regionale sul recupero dei sottotetti, che sussiste, deducono gli
appellanti, poiché la detta norma del p.r.g., in quanto approvata nel 2001, è
in contrasto con la legge regionale n. 15 del 1996 all’epoca vigente, per la
quale il recupero dei sottotetti a fini abitativi è in linea di principio
consentito, ricorrendone le condizioni, anche in deroga agli strumenti
urbanistici, e i Comuni, nel termine di centottanta giorni dall’entrata in
vigore della legge, possono soltanto escludere da ciò parti del territorio non
riguardanti, peraltro, le zone A e B (art.1, comma 7).
Il primo giudice ha in particolare ritenuto
inapplicabile la normativa regionale al caso di specie poiché l’edificio in
questione rientra nella zona A, ciò che, al contrario, dimostra l’illegittimità
della disciplina comunale in quanto non limitata alla deroga della legge
regionale da questa consentita; così come è erroneo il riferimento all’art. 65,
comma 1-bis, della legge regionale n. 12 del 2005, pure fatto nella
sentenza, poiché la possibilità ivi prevista di esclusione dall’applicazione
della norma sul recupero dei sottotetti di “determinate tipologie di edifici”
non può essere ricondotta al semplice criterio della datazione degli edifici
stessi.
1.4. Violazione dell’art. 21-quinquies della
legge n. 241 del 1990 e dell’art. 13 della legge regionale n. 12 del 2005;
sviamento di potere.
Il primo giudice, avendo affermato la legittimità del
provvedimento impugnato in quanto sorretta dalla legittimità anche di uno solo
dei suoi motivi, ha dichiarato inammissibili i motivi aggiunti proposti in
primo grado avverso la sopravveniente delibera comunale, n. 60 del 2011, con
cui si è revocata l’approvazione del P.G.T. ritenendo di mantenere in vita, al
contempo, la delibera di adozione del piano per consentire la permanenza delle
misure di salvaguardia.
Sussiste invece l’interesse dei ricorrenti alle
censure dedotte in primo grado poiché dall’annullamento della detta delibera
deriverebbe la caducazione di uno motivi posti a base del diniego di sanatoria
con possibile rinnovazione del procedimento; il Comune infatti non può revocare
il solo atto di approvazione del piano, tanto più a fronte di conclamate
necessità di incisive revisioni dello stesso, lasciandone sussistere effetti
ormai consumati; si deve inoltre richiamare che, decorso il termine di 90
giorni per l’approvazione definitiva del piano di cui all’art. 13, comma 7,
della legge regionale n. 12 del 2005, decade l’efficacia degli effetti esterni
al procedimento sostenibili sulla base della sola intervenuta adozione del
piano.
2. Le censure così sintetizzate sono infondate per le
ragioni che seguono.
2.1. La rilevazione dell’intervento edilizio come
unitario appare corretta sia per la stretta ed oggettiva coerenza delle opere
rispetto all’innovazione dell’edificio, sia per la stessa qualificazione
operata dall’interessata, dovendosi tenere conto che già nella d.i.a di data 3
aprile 2009 (documento n. 8 della produzione della parte ricorrente in primo
grado relativo alla richiesta di autorizzazione paesaggistica) veniva anche
denunciato il “recupero di sottotetto a uso abitativo ex LR 12/05” e che con la
d.i.a. presentata il 19 ottobre 2010 (documento n. 9) erano altresì denunciati
un intervento ugualmente denominato ai sensi degli articoli 63 e seguenti della
detta legge regionale, insieme con un intervento di variante essenziale dei
progetti di data 3 aprile 2009, e perciò, in quanto tale, idoneo a modificare le
linee essenziali degli stessi; con la domanda di sanatoria poi (documento n. 7
del fascicolo dell’Amministrazione in primo grado) si denunciano opere di
“ristrutturazione edilizia” descritte per “recupero abitativo del sottotetto
dell’edificio”, risultando perciò pertinente che le opere di cui alla prima
d.i.a. siano riferite agli “interventi realizzati di cui si richiede la
sanatoria” nel provvedimento di diniego della stessa (punto B del
provvedimento; documento n. 9 del fascicolo dell’Amministrazione).
2.2. La definizione della “sagoma” di un edificio
accolta dal primo giudice, quale “conformazione planovolumetrica della
costruzione ed il suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale,
ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture
perimetrali con gli aggetti e gli sporti”, è quella consolidata in
giurisprudenza, anche penale (cfr. Cass., III: 9 ottobre 2008, n. 38408; 6
febbraio 2001, n. 9427), e da ultimo ripresa dalla Corte costituzionale
(sentenza 23 novembre 2011, n. 309) a proposito della stessa l.r. Lombardia n.
12 del 2005.
A questi fini rileva la qualificazione dell’intervento
che, con la d.i.a. del 2010, è stato riferito agli articoli 63, 64 e 65 della
legge regionale n. 12 del 2005, individuandosi di conseguenza quale
“ristrutturazione edilizia” (art. 64, comma 2, con rinvio all’art. 27, comma 1,
lett. d) e perciò vincolata in linea di principio alla non modificazione della
sagoma dell’edificio, ai sensi della normativa regionale e statale [(art. 3, comma
1, lett. d), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380)].
Ciò rilevato, esaminati gli elaborati grafici allegati
alla d.i.a. del 2010 (cfr. in particolare gli elaborati 5 e 13 sullo stato di
fatto e sul progetto, recanti entrambi il “prospetto sezioni”, l’elaborato 10,
in cui sono rappresentate le costruzioni e le demolizioni, e l’elaborato 14,
con “viste 3D”) risultano variazioni incidenti sulla sagoma del fabbricato con
innalzamento della falda, come ritenuto dal primo giudice sulla base della
documentazione fotografica allegata al verbale di sopralluogo del 16 novembre
2010, al cui esito è stato emanato l’impugnato provvedimento del Comune, di
pari data, di sospensione lavori e diffida a proseguire le opere.
2.3. In questo quadro assume rilievo decisivo
l’applicabilità al caso di specie dell’articolo 18.5.2. delle n.t.a del p.r.g.
per il quale “Gli interventi edilizi relativi al recupero dei sottotetti ai
fini abitativi riguardanti gli immobili esistenti all’anno 1940, accertabili
sulle mappe catastali storiche dell’epoca e nell’archivio comunale dei progetti
edilizi, non possono comportare alterazioni delle altezze di colmo e di gronda
e delle linee di pendenza delle falde dei tetti; pertanto, le altezze e le
pendenze massime di cui all’art. 2 della L.R. 15 luglio 1996, n. 15, come
modificato dall’art. 6 della L.R. 19 novembre 1999, n. 322, devono intendersi
quelle esistenti.”.
La questione riveste nella specie particolare
delicatezza poiché, come mostrato nella “Relazione storico-architettonica
asseverata”, in atti, e allegate schede catastali storiche con “comparazione
per immagini”, l’edificio, risalente agli inizi del 1900, è stato oggetto di
modifiche di certo non marginali dopo il 1940, consistenti in particolare negli
anni sessanta proprio nel sopralzo con la costruzione di tre nuovi livelli, con
due nuovi piani abitabili, il quarto e il quinto, e il piano sesto sottotetto
non abitabile, con incidenza complessiva di indubbia rilevanza sulla
configurazione dell’edificio.
Ciò nonostante si deve osservare che l’edificio non
appare radicalmente diverso da quello originario, come sarebbe stato in caso di
completa distruzione e ricostruzione con tutt’altra forma architettonica o,
anche, con sopralzo caratterizzato da una palese diversità morfologica o di
materiali, essendo stato sovrapposti i nuovi piani in continuità estetica e
costruttiva con quelli preesistenti ed essendo rimasto l’intero edificio
coerente con il contesto edilizio circostante per tipologia e dimensioni.
D’altro lato è dato di comune esperienza che le
modifiche intervenute riguardano numerosissimi edifici di data anteriore al
1940, per effetto delle complesse vicende storiche, economiche e sociali
seguite nel tempo e delle connesse trasformazioni edilizie, cosicché in questo
contesto, come correttamente osservato dal primo giudice, il citato articolo
18.5.2. resterebbe in sostanza inapplicato; è ragionevole assumere, infatti,
che pochi edifici siano restati del tutto identici dopo il 1940, essendo volta
la norma proprio allo scopo di salvaguardare quelli da allora “esistenti” per
conservarne la tipologia di base, se non del tutto cancellata, e la
caratterizzazione che ne deriva per le aree storiche della città.
2.4. Né l’articolo citato risulta in contrasto con la
legge regionale n. 15 del 1996 sul recupero abitativo dei sottotetti (abrogata
poi dalla legge n. 12 del 2005), essendo compatibile con la ratio della
detta legislazione, di favore per il recupero abitativo, la particolare
disciplina di tutela degli edifici storici qui in esame, poiché recante non il
divieto di procedere al recupero ma soltanto la prescrizione di farlo senza
alterazioni alle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle
falde; neppure rileva al riguardo l’art. 1, comma 7, della citata legge
regionale n. 15 del 1996, poiché relativo alla possibilità di escludere dall’applicazione
della normativa “parti del territorio” (limitatamente alle zone C e D),
laddove qui si tratta della disciplina di edifici singoli in ragione della loro
datazione storica, secondo una ratio, quindi, del tutto
diversa e particolare, confermata poi con l’art. 65, comma 1-bis, della
legge regionale n. 12 del 2005, con il quale, ribadita la possibilità da parte
dei Comuni di escludere dall’applicazione della normativa sul recupero dei
sottotetti “parti del territorio”, si specifica che essi possono
ulteriormente disporre tale esclusione per “tipologie di edifici” (non
essendo irragionevole che la tipologia sia individuata in relazione alla
datazione degli stessi).
2.5. La sostituzione della s.c.i.a. alla d.i.a è stata
prevista in via generale con l’art. 49, comma 4-ter, del già citato
decreto-legge n. 78 del 2010, con entrata in vigore dal 31 luglio 2010,
essendosi poi avvertita la necessità di precisare la portata di tale
sostituzione riguardo alla normativa in materia edilizia con un ulteriore intervento
legislativo, disposto con l’articolo 5, comma 1, lett. b) e comma
2, lett. c), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito
dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, per il quale le disposizioni sulla s.c.i.a.
si applicano alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate
dal d.P.R. n. 380 del 2001 “con esclusione dei casi in cui le denunce
stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o
sostitutive del permesso di costruire”.
Al riguardo si osserva che: ai sensi dell’art. 22,
comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, “in alternativa al permesso di
costruire, possono essere realizzati mediante denuncia di inizio attività: a)
gli interventi di ristrutturazione di cui all’art. 10, comma 1, lett. c)”;
l’intervento in questione è stato qualificato quale ristrutturazione dalla
legislazione regionale (art. 3, comma 2, della legge regionale n. 15 del 1996;
art. 64, comma 2, della legge regionale n. 12 del 2005), per cui per la
fattispecie in esame la s.c.i.a. non risulta sostitutiva della d.i.a.; tale
conclusione deve essere applicata al caso di specie, il cui procedimento si è
svolto tra il 19 ottobre 2010 (data di presentazione della d.i.a.) e il 22
giugno 2011 (data di adozione del diniego di sanatoria) e, perciò, nel periodo
di oggettiva incertezza sull’ambito di riferibilità della s.c.i.a. alla
normativa speciale in materia edilizia, non potendosi ritenere dirimente e
obbligatoria, nel frattempo, l’interpretazione data con lo strumento della
circolare e risultando confermata la detta incertezza dalla necessità del
ricorso al successivo intervento chiarificatore reso con il decreto-legge n. 70
del 2011 nei termini sopra visti.
2.6. Il Collegio condivide, infine, la sentenza
impugnata quanto alla dichiarazione di inammissibilità dei motivi aggiunti
dedotti avverso la delibera del consiglio comunale di Milano n. 60 in data 21
novembre 2011, recante la revoca della delibera 4 febbraio 2011 n. 7, (di
approvazione del Piano di Governo del Territorio, in seguito “p.g.t.”), proposti
per essere stato motivato il diniego della sanatoria anche con il contrasto con
il p.g.t., con conseguente applicazione di una misura di salvaguardia ritenuta
efficace stante la mancata revoca del provvedimento di adozione del piano.
Il primo giudice ha correttamente rilevato il difetto
di interesse all’impugnazione, considerato che il provvedimento di cui qui si
tratta è sorretto anzitutto dalla motivazione del contrasto dell’intervento con
il più volte citato art. 18.5.2. delle n.t.a del p.r.g., che è confermato nel
presente grado del giudizio, e che, a fronte di ciò, l’ulteriore motivo del
contrasto con le misure di salvaguardia del piano adottato ha valenza autonoma,
restando perciò valido ed efficace il provvedimento impugnato anche
nell’ipotesi dell’accoglimento delle censure avverso tale motivo.
3. Per le ragioni che precedono l’appello è infondato
e deve essere perciò respinto.
Le spese seguono, come di regola, la soccombenza e
sono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Sesta) respinge l’appello in epigrafe n. 8194 del 2012.
Condanna gli appellanti, Com. Univ s.r.l., I.M.G.
s.r.l. e signor Lorenzo Berni al pagamento in solido a favore del Comune di
Milano, appellato, delle spese del secondo grado del giudizio che liquida nel
complesso in euro 5.000,00 (cinquemila/00) oltre gli accessori di legge se
dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del
giorno 26 febbraio 2013, con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere, Estensore
Gabriella De Michele, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere
L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/03/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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