ADUNANZE PLENARIE & PROCESSO:
il giudice amministrativo
non è tenuto ad astenersi
se ha già conosciuto la causa in sede di revocazione
(Ad. Plen., sentenza 24 gennaio 2014 nn 4 e 5).
Massima
1. Anche alla luce del nuovo codice del processo amministrativo, debba escludersi l’applicabilità della norma di cui all’art. 51 n. 4 c.p.c. - richiamata dalla norma di rinvio di cui all’art. 17 c.p.a. - che prevede l’obbligo del giudice di astenersi quando abbia conosciuto della causa in altro grado del processo, allorquando sia lo “stesso ufficio giudiziario” che ha reso la pronuncia oggetto di revocazione, competente a decidere nuovamente.
2. Ne consegue che, ad eccezione dell’ipotesi del dolo del giudice o, comunque, dell’ipotesi in cui il giudice abbia un interesse proprio e diretto nella causa, i magistrati che hanno pronunciato la sentenza impugnata per revocazione possono legittimamente far parte del collegio investito della cognizione del giudizio revocatorio.
Sentenza per esteso (n. 4)
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza
Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 20 di A.P. del
2013, proposto da:
Riccardo Menichetti, rappresentato e difeso dagli avv. Domenico Pavoni, Stefano Matii, con domicilio eletto presso Domenico Pavoni in Roma, via A. Riboty, 28;
Riccardo Menichetti, rappresentato e difeso dagli avv. Domenico Pavoni, Stefano Matii, con domicilio eletto presso Domenico Pavoni in Roma, via A. Riboty, 28;
contro
Agenzia per lo Sviluppo Ippico (Assi), non costituita;
per la revocazione
della sentenza breve del Consiglio di Stato, Sez. VI,
6 ottobre 2001, n. 5482, resa tra le parti, concernente sospensione dalla
qualifica e pena pecuniaria.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 ottobre
2013 il Cons. Nicola Russo; nessuno è presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO
Il sig. Riccardo Menichetti ha proposto un ricorso
contro l’Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (ASSI) per la revocazione
della sentenza della VI Sezione di questo Consiglio, 19 luglio 2011, n. 5482,
con cui era stato accolto l’appello proposto dall’Unire (ora ASSI), con
conseguente riforma della sentenza della Sezione Autonoma di Bolzano del
Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino- Alto Adige 25
marzo 2011, n. 124, avente ad oggetto l’irrogazione, nei confronti del
ricorrente, della sanzione disciplinare della sospensione, per la durata di sei
mesi, da ogni qualifica ippica rivestita e della pena pecuniaria di euro
1.500,00.
Con nota prot. n. 7969 in data 29 aprile 2013, il
Presidente della VI Sezione, ha fatto presente di nutrire “perplessità in
ordine alle modalità di costituzione del collegio giudicante per la decisione
della predetta controversia” sulla base della decisione dell’Adunanza Plenaria
di questo Consiglio n. 2 del 2009, che ha affermato anche per il giudizio di
revocazione la necessità che il giudice non possa giudicare in una controversia
di cui ha conosciuto in altro grado del processo, in ragione della “forza della
prevenzione” che potrebbe svolgere un ruolo decisivo nella fase rescindente.
Nella specie, rileva il Presidente della VI Sezione, “entrambi i consiglieri di
Stato appartenenti al gruppo di lingua tedesca in servizio presso il Consiglio
di Stato hanno conosciuto della predetta controversia in altro grado di
giudizio”, l’uno in quanto componente del Collegio che ha pronunciato la
sentenza d’appello della cui revocazione si tratta e l’altro in quanto
componente del Collegio che ha pronunciato la sentenza di primo grado, per cui,
trattandosi di questione di massima riguardante la composizione dei Collegi, ha
ritenuto di rimettere l’affare al Presidente del Consiglio di Stato per la valutazione
circa l’opportunità di investire l’Adunanza Plenaria.
Il Presidente del Consiglio di Stato in data 17 maggio
2013 ha, quindi, deferito la controversia all’Adunanza plenaria, ai sensi
dell’art. 99, comma 2, c.p.a.
DIRITTO
Com’è noto, con decisione 25 marzo 2009, n. 2, questa
Adunanza plenaria, modificando l’indirizzo già prevalente nella giurisprudenza
amministrativa (cfr. Cons. St., sez. VI, 4 aprile 2005, n. 1477; sez. V, 30
luglio 1082, n. 622) e allineandosi all’indirizzo accolto dalla sentenza della
Corte Suprema di Cassazione a Sezioni Unite, 27 febbraio 2008, n. n. 5087, ha
riconosciuto che il dovere di astensione previsto dall’art. 51, n. 4, c.p.c.,
sussiste anche nei confronti del giudice chiamato a partecipare alla decisione
della causa su cui si sia già pronunciato nello stesso grado di giudizio, e non
solo nel caso in cui la seconda pronuncia intervenga in un nuovo e diverso
grado di giudizio, in quanto le ragioni di garanzia della imparzialità e della
terzietà del giudice valgono, allo stesso modo, in entrambi i casi (cfr. Corte
Cost., 3 luglio 2002, n. 305).
Pertanto, mentre in passato, nel caso di regressione
del processo al giudice di primo grado, si escludeva che il componente del
collegio che avesse partecipato alla prima decisione versasse in posizione di
incompatibilità per la nuova causa, successivamente, in adesione agli argomenti
sviluppati dalle citate Sezioni Unite del 2008, questa Adunanza plenaria ha
configurato l’obbligo di astensione nel caso di annullamento con rinvio.
L’Adunanza plenaria ha, dunque, aderito alla (nuova)
linea interpretativa, secondo la quale l’alterità del giudice in sede di rinvio
prosecutorio costituisce applicazione del principio di imparzialità-terzietà
della giurisdizione, che ha “pieno valore costituzionale in relazione a
qualunque tipo di processo” (cfr.: Corte 21 marzo 2002 n. 78; Corte Cost. 3
luglio 2002 n. 305; Corte Cost. 22 luglio 2003 n. 262 cit.).
In questa direzione, ha, pertanto, affermato che
l’esigenza di proteggere l’imparzialità del giudice impedisce che quest’ultimo
possa pronunciarsi due volte sulla medesima res iudicanda, in quanto dal primo
giudizio potrebbero derivare convinzioni precostituite sulla materia
controversa, determinandosi così, propriamente, un “pregiudizio” contrastante
con l’esigenza costituzionale che la funzione del giudicare sia svolta da un
soggetto “terzo”, non solo scevro di interessi propri che possano far velo alla
rigorosa applicazione del diritto, ma anche sgombro da convinzioni formatesi in
occasione dell’esercizio di funzioni giudicanti in altre fasi del giudizio
(Corte Cost. 12 luglio 2002 n. 335; Corte Cost. 22 luglio 2003 n. 262 cit.).
Inoltre, ha pure osservato che negli ordinamenti
processuali è avvertita l’esigenza di evitare la cd. forza della prevenzione,
attraverso la predisposizione di meccanismi processuali capaci di garantire che
il giudice non subisca condizionamenti psicologici tali da rendere probabile il
venir meno della sua serenità di giudizio.
Facendo applicazione degli indicati principi, la
decisione n. 2 del 2009 ha ritenuto fondato il primo motivo di appello, essendo
risultato che del collegio che aveva adottato la decisione in sede di rinvio
avevano fatto parte due magistrati - persone fisiche (uno dei quali nella veste
di relatore in entrambe le pronunce) che avevano partecipato alla precedente
sentenza e, pertanto, ha annullato la sentenza impugnata con rinvio al medesimo
giudice di primo grado.
Sebbene la materia del contendere vertesse solo sul
giudizio a seguito di annullamento con rinvio, tuttavia la decisione n. 2 del
2009 cit. ha affermato che il dovere di astensione si estende anche all’ipotesi
in cui il giudice sia chiamato a pronunciarsi nuovamente sulla vertenza in
seguito a ricorso per revocazione della precedente sentenza, riconoscendo che
il dovere di astensione deve valere ad assicurare anche l’“immagine”
dell’imparzialità del giudice, così da evitare che egli possa sembrare
condizionato dalla precedente pronuncia resa nella medesima controversia.
Conclusione diversa, invece, è stata accolta per il
giudizio di opposizione di terzo, per il quale la prefata decisione, n. 2/2009
cit., ha ricavato dall’art. 405 c.p.c. la regola secondo cui il giudice che ha
partecipato alla deliberazione della sentenza oggetto di opposizione potrebbe
legittimamente intervenire nella pronuncia sull’opposizione (in realtà l’art.
405 c.p.c. in base al quale l’opposizione di terzo va proposta avanti allo
stesso giudice che ha pronunciato sulla sentenza opposta si riferisce alla
competenza dell’ufficio giudiziario, e non alla persona del giudice).
La decisione n. 2 del 2009 cit. ha, infine, confermato
l’indirizzo consolidato secondo cui non sussiste alcuna incompatibilità nella
partecipazione dello stesso giudice alla pronuncia in sede cautelare e alla
pronuncia in sede di merito, data la diversità dei caratteri della cognizione
nell’uno e nell’altro caso.
Ciò premesso, ad avviso di questo Collegio,
l’indirizzo interpretativo espresso dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 2
del 2009, nella parte in cui, sia pure con un obiter dictum - atteso che la
materia del contendere verteva solo sul giudizio a seguito di annullamento con
rinvio - ha affermato un principio di diritto comunque capace di orientare la
futura attività dei giudici amministrativi, escludendo che del giudizio di
revocazione possa conoscere la stessa persona fisica - o le stesse persone
fisiche, quali componenti del Collegio - che ha pronunciato la sentenza
impugnata, a parte la sua condivisibilità o meno, appare, comunque, superato
dal nuovo codice del processo amministrativo (c.p.a.).
E, invero, le affermazioni dell’anzidetta decisione
non sono state trasfuse negli articoli 106 e 107 c.p.a., sebbene emanato a
breve distanza di tempo.
Anzi, l’art. 106, secondo comma, c.p.a. afferma, al
comma 2, che “La revocazione è proponibile dinanzi allo stesso giudice che ha
pronunciato la sentenza impugnata”.
Naturalmente, dicendo “stesso giudice” la legge
intende lo stesso “ufficio giudiziario”, e perciò deve ritenersi che la causa
potrà essere affidata sia alla stessa e sia ad un’altra Sezione (cfr. Cass. 5
settembre 2006, n. 19041).
Nondimeno va ricordato che, a fronte della medesima
espressione contenuta nell’art. 398, comma primo, c.p.c., secondo la
giurisprudenza della Cassazione solo nel caso di revocazione per dolo del
giudice (art. 395 n. 6 c.p.c.) non potrà far parte dell’organo giudicante la
stessa persona fisica che ha emesso la sentenza revocanda, non sussistendo,
negli altri casi, per il magistrato che ha pronunciato la sentenza impugnata
per revocazione, alcuna incompatibilità a partecipare al giudizio di revocazione
stesso (cfr. Cass., sez. lav., 12 settembre 2006, n. 19498).
Va altresì ricordato che nel processo civile ed
amministrativo non sono applicabili le regole sulle incompatibilità soggettive
del giudice fissate nel processo penale bensì soltanto le cause di astensione e
ricusazione stabilite dal c.p.c..
La Corte costituzionale, con sentenza 15 ottobre 1999,
n. 387, ha, infatti, ribadito che non sono applicabili al giudizio civile ed a
quello amministrativo, proprio per la particolarità e le diversità dei sistemi
processuali, le regole delle incompatibilità soggettive per precedente attività
(tipizzata) svolta nello stesso procedimento penale, bensì le disposizioni
sull’astensione e la ricusazione del codice di procedura civile, cui anche le
norme proprie del processo amministrativo fanno rinvio: ciò in quanto il
principio di imparzialità-terzietà della giurisdizione ha pieno valore
costituzionale con riferimento a qualunque tipo di processo, in relazione
specifica al quale, peraltro, può e deve trovare attuazione, pur tuttavia con
le peculiarità proprie di ciascun tipo di procedimento.
In tale circostanza, si è sottolineato che l’esigenza
generale di assicurare che sempre il giudice rimanga, ed anche appaia, del
tutto estraneo agli interessi oggetto del processo, viene assicurata nel
processo civile solo attraverso gli istituti dell’astensione e ricusazione, che
rinvengono il proprio supporto normativo nella previsione dell’art. 51, n. 4,
cod. proc. civ.
Infatti, sul piano generale, esigenza imprescindibile,
rispetto ad ogni tipo di processo, è solo quella di evitare che lo stesso
giudice, nel decidere, abbia a ripercorrere l’identico itinerario logico
precedentemente seguito; sicché condizione necessaria per dover ritenere una
incompatibilità endoprocessuale è la preesistenza di valutazioni che cadano
sulla stessa res iudicanda.
Senonché, come anche ripetutamente affermato dalla
Corte di Cassazione, salva ovviamente l’ipotesi di dolo del giudice, non
sussiste per i magistrati che avevano pronunciato la sentenza revocanda alcuna
incompatibilità a partecipare alla decisione sulla domanda di revocazione,
atteso che essa non predica, per sua natura, un errore di giudizio (Cass. nn.
2342/1962, 1624/1965, 2222/1987 e, da ultimo, sez. lav., 12 settembre 2006, n.
19498).
Il principio trae giustificazione dalla circostanza
che la decisione impugnata è dovuta ad un errore involontario del giudice, o
talmente grossolano da risolversi in una svista; pertanto, il fatto che non sia
possibile imputare al giudice un errore di giudizio comporta che allo stesso
non sia addebitabile un pregiudizio tale da impedirgli, allorchè chiamato
nuovamente a giudicare della materia controversa, di assumere una decisione
senza essere condizionato da quella precedentemente resa (cfr. Cass., n.
19498/06 cit.).
Tale principio non trova ovviamente applicazione
nell’ipotesi di dolo del giudice (cfr. Cass. Sez. Un., n. 733 del 2005, in tema
di revocazione delle sentenze del Consiglio di Stato; nonché Corte Conti, sez.
I giur. centr. app., 24.3.2004, n. 120/A); detto caso rappresenta, invero,
l’unica ipotesi di incompatibilità del magistrato a partecipare alla decisione
sulla domanda di revocazione.
E, invero, in difetto di tempestiva ricusazione la
violazione da parte del giudice dell’obbligo di astenersi nell’ipotesi prevista
dall’art. 51 n. 4 c.p.c. (a cui rinvia espressamente l’art. 17 c.p.a.), non
comporta la nullità della sentenza ex art. 158 c.p.c., al di fuori del caso in
cui il giudice abbia un interesse proprio e diretto nella causa, in modo da
porlo nella posizione sostanziale di parte (cfr. Cass., Sez. Un., 28.1.2002, n.
1007; Cass., 18.1.2002, n. 528; Cass., 22.6.2005, n. 13370; Cass., 29.3.2007,
n. 7702).
Tale principio è perfettamente condivisibile, in
quanto l’art. 111 Cost., nel fissare i principi fondamentali del giusto
processo, ha demandato al legislatore ordinario di dettarne la disciplina anche
attraverso gli istituti dell’astensione e della ricusazione, sancendo, come ha
affermato la Corte Costituzionale (sent. 15.10.1999, n. 387 cit.), che, in
considerazione della peculiarità del processo civile, fondato – come quello
amministrativo – sull’impulso paritario delle parti – non è arbitraria la
scelta del legislatore di garantire l’imparzialità-terzietà del giudice solo
attraverso gli istituti dell’astensione e della ricusazione.
Ritiene, pertanto, questa Adunanza plenaria che, anche
alla luce del nuovo codice del processo amministrativo, debba escludersi
l’applicabilità della norma di cui all’art. 51 n. 4 c.p.c. - richiamata dalla
norma di rinvio di cui all’art. 17 c.p.a. - che prevede l’obbligo del giudice
di astenersi quando abbia conosciuto della causa in altro grado del processo,
allorquando sia lo “stesso ufficio giudiziario” che ha reso la pronuncia
oggetto di revocazione, competente a decidere nuovamente; ne consegue che, ad
eccezione dell’ipotesi del dolo del giudice o, comunque, dell’ipotesi in cui il
giudice abbia un interesse proprio e diretto nella causa, i magistrati che
hanno pronunciato la sentenza impugnata per revocazione possono legittimamente
far parte del collegio investito della cognizione del giudizio revocatorio.
Del resto, l’illegittima composizione dell’organo
giudicante è ravvisabile solo ed esclusivamente nelle diverse ipotesi di
alterazioni strutturali dell’organo medesimo per vizi di numero o qualità dei
suoi membri, che ne precludono l’identificazione con quello delineato dalla
legge (cfr. Cass., Sez. Un., 1.6.2006, n. 13034; analogamente è a dirsi con
riguardo alla pronuncia del giudice contabile: Cass., Sez. Un., 13.7.2006, n.
15900).
Tanto premesso in ordine alla questione di massima
rimessa a questa Adunanza plenaria, relativa alla valida costituzione dei
Collegi chiamati a pronunciarsi nei giudizi di revocazione, l’Adunanza Plenaria
ritiene di dover rinviare alla Sezione remittente per la decisione del presente
ricorso per revocazione, ai sensi dell’art. 99, comma quarto, c.p.a..
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Adunanza Plenaria), decide la questione di massima sottoposta al suo esame nei
sensi di cui in motivazione.
Rinvia alla Sezione remittente per la decisione sul
ricorso per revocazione.
Spese al definitivo.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 9 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Riccardo Virgilio, Presidente
Stefano Baccarini, Presidente
Alessandro Pajno, Presidente
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Marzio Branca, Consigliere
Aldo Scola, Consigliere
Vito Poli, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere
Nicola Russo, Consigliere, Estensore
Salvatore Cacace, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere
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IL PRESIDENTE
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L'ESTENSORE
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IL SEGRETARIO
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24/01/2014
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Il Dirigente della Sezione
Sentenza per esteso (n. 5)
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza
Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 30 di A.P. del
2013, proposto da:
Ministero dell'Economia e delle Finanze - Comando Generale Guardia Di Finanza, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici, ope legis, domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Ministero dell'Economia e delle Finanze - Comando Generale Guardia Di Finanza, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici, ope legis, domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Felice Grieco, rappresentato e difeso dall'avv.
Valeria Pellegrino, con domicilio eletto presso Valeria Pellegrino in Roma,
Corso Rinascimento, 11; Biagio Magaudda;
per la revocazione
dell’ordinanza cautelare della IV Sezione del
Consiglio di Stato n. 855 del 2013, depositata in data 13 marzo 2013, resa tra
le parti, concernente esclusione dal concorso per il reclutamento di 16 tenenti
in servizio permanente effettivo del ruolo tecnico logistico amministrativo del
corpo della guardia di finanza.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Felice
Grieco;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 ottobre
2013 il Cons. Nicola Russo e uditi per le parti gli avvocati dello Stato Greco,
e Gianluigi Pellegrino per delega di Valeria Pellegrino.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO
Il sig. Felice Grieco ha partecipato al concorso per
il reclutamento di 16 tenenti in servizio permanente effettivo del ruolo
tecnico - logistico - amministrativo del Corpo della Guardia di Finanza,
posizionandosi al 14° posto della graduatoria unica di merito ed al 2° posto
della specialità motorizzazione di cui all’art. 1 comma 1 lett. b) del bando di
concorso. Il primo in graduatoria e, quindi, il vincitore del posto specialità
motorizzazione è risultato il sig. Biagio Magaudda, con una differenza rispetto
al ricorrente di soli 0,55 punti.
Con ricorso proposto innanzi al T.A.R. del Lazio il
sig. Felice Grieco ha chiesto l’annullamento della graduatoria di merito e di
tutti i verbali delle operazioni compiute della Commissione con specifico
riferimento alla “specialità motorizzazione” e ha contestualmente impugnato, ex
art. 116, comma 2, c.p.a., il parziale diniego di accesso agli atti di cui alla
nota 10.10.2012 prot. n. 0168707 chiedendo al giudice di “ordinare alla P.A.
l’esibizione dei documenti richiesti con istanza 13.09.2012 e 14.09.2012”.
Con ordinanza n. 4673 del 20.12.2012, il TAR,
pronunciandosi limitatamente all’impugnazione contro il diniego di accesso agli
atti, ha accolto l’istanza, ordinando all’amministrazione resistente di esibire
copia di tutta la documentazione relativa alla partecipazione del
controinteressato Biagio Magaudda.
Con ricorso notificato in data 01.02.2013, il
Ministero dell’Economia e delle Finanze ha appellato la suddetta ordinanza in
quanto erronea ed ingiusta, dal momento che, da un lato, il T.A.R. avrebbe
dovuto dichiarare irricevibile per tardività il ricorso di primo grado e,
dall’altro, perché non vi sarebbero i presupposti giuridici per ordinare
l’esibizione dei documenti riguardanti il sig. Biagio Magaudda.
Si è costituito in giudizio il sig. Felice Grieco,
eccependo preliminarmente l’irricevibilità per tardività dell’appello, nonché
la sua inammissibilità e l’infondatezza nel merito.
Con ordinanza n. 855/2013 questo Consiglio ha accolto
l’eccezione di tardività dichiarando irricevibile l’appello proposto dal
Ministero “considerato che nella fattispecie sussistono profili che appaiono
ostativi ad un esito favorevole del ricorso in appello, con riferimento al
mancato rispetto del termine dimidiato ai sensi dell’art. 106 del c.p.a., in
materia di procedimenti giurisdizionali inerenti l’accesso documentale”.
Con ricorso notificato in data 25.03.2013, il
Ministero dell’Economia e delle Finanze ha chiesto la revocazione della
predetta ordinanza 13.03.2013 n. 855.
Si è costituito in giudizio il sig. Felice Grieco,
eccependo l’inammissibilità e, gradatamente, l’infondatezza del ricorso per
revocazione.
Con nota prot. n. 3005/I in data 16 maggio 2013, il
Presidente della IV Sezione, ha fatto presente che “esaminando la composizione
dei collegi sino a dicembre riesce difficile comporre un collegio che, in base
a quanto stabilito nell’Adunanza Plenaria n. 2 del 2009 escluda tutti i
precedenti componenti che, sempre in base alla predetta decisione, sarebbero da
ritenere incompatibili” e, pertanto, trattandosi di questione di massima
riguardante la composizione dei Collegi, ha ritenuto di rimettere l’affare al
Presidente del Consiglio di Stato per la valutazione circa l’opportunità di
investire l’Adunanza Plenaria.
Il Presidente del Consiglio di Stato in data 17 maggio
2013 ha, quindi, deferito la controversia all’Adunanza plenaria, ai sensi
dell’art. 99, comma 2, c.p.a.
DIRITTO
Com’è noto, con decisione 25 marzo 2009, n. 2, questa
Adunanza plenaria, modificando l’indirizzo già prevalente nella giurisprudenza
amministrativa (cfr. Cons. St., sez. VI, 4 aprile 2005, n. 1477; sez. V, 30
luglio 1082, n. 622) e allineandosi all’indirizzo accolto dalla sentenza della
Corte Suprema di Cassazione a Sezioni Unite, 27 febbraio 2008, n. n. 5087, ha
riconosciuto che il dovere di astensione previsto dall’art. 51, n. 4, c.p.c.,
sussiste anche nei confronti del giudice chiamato a partecipare alla decisione
della causa su cui si sia già pronunciato nello stesso grado di giudizio, e non
solo nel caso in cui la seconda pronuncia intervenga in un nuovo e diverso
grado di giudizio, in quanto le ragioni di garanzia della imparzialità e della
terzietà del giudice valgono, allo stesso modo, in entrambi i casi (cfr. Corte
Cost., 3 luglio 2002, n. 305).
Pertanto, mentre in passato, nel caso di regressione
del processo al giudice di primo grado, si escludeva che il componente del
collegio che avesse partecipato alla prima decisione versasse in posizione di
incompatibilità per la nuova causa, successivamente, in adesione agli argomenti
sviluppati dalle citate Sezioni Unite del 2008, questa Adunanza plenaria ha
configurato l’obbligo di astensione nel caso di annullamento con rinvio.
L’Adunanza plenaria ha, dunque, aderito alla (nuova)
linea interpretativa, secondo la quale l’alterità del giudice in sede di rinvio
prosecutorio costituisce applicazione del principio di imparzialità-terzietà
della giurisdizione, che ha “pieno valore costituzionale in relazione a
qualunque tipo di processo” (cfr.: Corte 21 marzo 2002 n. 78; Corte Cost. 3
luglio 2002 n. 305; Corte Cost. 22 luglio 2003 n. 262 cit.).
In questa direzione, ha, pertanto, affermato che
l’esigenza di proteggere l’imparzialità del giudice impedisce che quest’ultimo
possa pronunciarsi due volte sulla medesima res iudicanda, in quanto dal primo
giudizio potrebbero derivare convinzioni precostituite sulla materia
controversa, determinandosi così, propriamente, un “pregiudizio” contrastante
con l’esigenza costituzionale che la funzione del giudicare sia svolta da un
soggetto “terzo”, non solo scevro di interessi propri che possano far velo alla
rigorosa applicazione del diritto, ma anche sgombro da convinzioni formatesi in
occasione dell’esercizio di funzioni giudicanti in altre fasi del giudizio
(Corte Cost. 12 luglio 2002 n. 335; Corte Cost. 22 luglio 2003 n. 262 cit.).
Inoltre, ha pure osservato che negli ordinamenti
processuali è avvertita l’esigenza di evitare la cd. forza della prevenzione,
attraverso la predisposizione di meccanismi processuali capaci di garantire che
il giudice non subisca condizionamenti psicologici tali da rendere probabile il
venir meno della sua serenità di giudizio.
Facendo applicazione degli indicati principi, la
decisione n. 2 del 2009 ha ritenuto fondato il primo motivo di appello, essendo
risultato che del collegio che aveva adottato la decisione in sede di rinvio
avevano fatto parte due magistrati - persone fisiche (uno dei quali nella veste
di relatore in entrambe le pronunce) che avevano partecipato alla precedente
sentenza e, pertanto, ha annullato la sentenza impugnata con rinvio al medesimo
giudice di primo grado.
Sebbene la materia del contendere vertesse solo sul
giudizio a seguito di annullamento con rinvio, tuttavia la decisione n. 2 del
2009 cit. ha affermato che il dovere di astensione si estende anche all’ipotesi
in cui il giudice sia chiamato a pronunciarsi nuovamente sulla vertenza in
seguito a ricorso per revocazione della precedente sentenza, riconoscendo che
il dovere di astensione deve valere ad assicurare anche l’“immagine”
dell’imparzialità del giudice, così da evitare che egli possa sembrare
condizionato dalla precedente pronuncia resa nella medesima controversia.
Conclusione diversa, invece, è stata accolta per il
giudizio di opposizione di terzo, per il quale la prefata decisione, n. 2/2009
cit., ha ricavato dall’art. 405 c.p.c. la regola secondo cui il giudice che ha
partecipato alla deliberazione della sentenza oggetto di opposizione potrebbe
legittimamente intervenire nella pronuncia sull’opposizione.
La decisione n. 2 del 2009 cit. ha, infine, confermato
l’indirizzo consolidato secondo cui non sussiste alcuna incompatibilità nella
partecipazione dello stesso giudice alla pronuncia in sede cautelare e alla
pronuncia in sede di merito, data la diversità dei caratteri della cognizione
nell’uno e nell’altro caso.
Ciò premesso, ad avviso di questo Collegio,
l’indirizzo interpretativo espresso dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 2
del 2009, nella parte in cui, sia pure con un obiter dictum - atteso che la
materia del contendere verteva solo sul giudizio a seguito di annullamento con
rinvio - ha affermato un principio di diritto comunque capace di orientare la
futura attività dei giudici amministrativi, escludendo che del giudizio di
revocazione possa conoscere la stessa persona fisica - o le stesse persone
fisiche, quali componenti del Collegio - che ha pronunciato la sentenza
impugnata, a parte la sua condivisibilità o meno, appare, comunque, superato
dal nuovo codice del processo amministrativo (c.p.a.).
E, invero, le affermazioni dell’anzidetta decisione
non sono state trasfuse negli articoli 106 e 107 c.p.a., sebbene emanato a
breve distanza di tempo.
Anzi, l’art. 106, secondo comma, c.p.a. afferma, al
comma 2, che “La revocazione è proponibile dinanzi allo stesso giudice che ha
pronunciato la sentenza impugnata”.
Naturalmente, dicendo “stesso giudice” la legge
intende lo stesso “ufficio giudiziario”, e perciò deve ritenersi che la causa
potrà essere affidata sia alla stessa e sia ad un’altra Sezione (cfr. Cass. 5
settembre 2006, n. 19041).
Nondimeno va ricordato che, a fronte della medesima
espressione contenuta nell’art. 398, comma primo, c.p.c., secondo la
giurisprudenza della Cassazione solo nel caso di revocazione per dolo del
giudice (art. 395 n. 6 c.p.c.) non potrà far parte dell’organo giudicante la
stessa persona fisica che ha emesso la sentenza revocanda, non sussistendo,
negli altri casi, per il magistrato che ha pronunciato la sentenza impugnata
per revocazione, alcuna incompatibilità a partecipare al giudizio di
revocazione stesso (cfr. Cass., sez. lav., 12 settembre 2006, n. 19498).
Va altresì ricordato che nel processo civile ed
amministrativo non sono applicabili le regole sulle incompatibilità soggettive
del giudice fissate nel processo penale bensì soltanto le cause di astensione e
ricusazione stabilite dal c.p.c..
La Corte costituzionale, con sentenza 15 ottobre 1999,
n. 387, ha, infatti, ribadito che non sono applicabili al giudizio civile ed a
quello amministrativo, proprio per la particolarità e le diversità dei sistemi
processuali, le regole delle incompatibilità soggettive per precedente attività
(tipizzata) svolta nello stesso procedimento penale, bensì le disposizioni
sull’astensione e la ricusazione del codice di procedura civile, cui anche le
norme proprie del processo amministrativo fanno rinvio: ciò in quanto il
principio di imparzialità-terzietà della giurisdizione ha pieno valore
costituzionale con riferimento a qualunque tipo di processo, in relazione
specifica al quale, peraltro, può e deve trovare attuazione, pur tuttavia con
le peculiarità proprie di ciascun tipo di procedimento.
In tale circostanza, si è sottolineato che l’esigenza
generale di assicurare che sempre il giudice rimanga, ed anche appaia, del
tutto estraneo agli interessi oggetto del processo, viene assicurata nel
processo civile solo attraverso gli istituti dell’astensione e ricusazione, che
rinvengono il proprio supporto normativo nella previsione dell’art. 51, n. 4,
cod. proc. civ.
Infatti, sul piano generale, esigenza imprescindibile,
rispetto ad ogni tipo di processo, è solo quella di evitare che lo stesso
giudice, nel decidere, abbia a ripercorrere l’identico itinerario logico
precedentemente seguito; sicché condizione necessaria per dover ritenere una
incompatibilità endoprocessuale è la preesistenza di valutazioni che cadano
sulla stessa res iudicanda.
Senonché, come anche ripetutamente osservato dalla
Corte di Cassazione, salva ovviamente l’ipotesi di dolo del giudice, non
sussiste per i magistrati che avevano pronunciato la sentenza revocanda alcuna
incompatibilità a partecipare alla decisione sulla domanda di revocazione,
atteso che essa non predica, per sua natura, un errore di giudizio (Cass. nn.
2342/1962, 1624/1965, 2222/1987 e, da ultimo, Sez. lav., 12 settembre 2006, n.
19498).
Il principio trae giustificazione dalla circostanza
che la decisione impugnata è dovuta ad un errore involontario del giudice, o
talmente grossolano da risolversi in una svista; pertanto, il fatto che non sia
possibile imputare al giudice un errore di giudizio comporta che allo stesso
non sia addebitabile un pregiudizio tale da impedirgli, allorchè chiamato
nuovamente a giudicare della materia controversa, di assumere una decisione
senza essere condizionato da quella precedentemente resa (cfr. Cass., n.
19498/06 cit.).
Tale principio non trova – ripetesi - ovviamente
applicazione nell’ipotesi di dolo del giudice (cfr. Cass. Sez. Un., n. 733 del
2005, in tema di revocazione delle sentenze del Consiglio di Stato; nonché
Corte Conti, sez. I giur. centr. app., 24.3.2004, n. 120/A); detto caso
rappresenta, invero, l’unica ipotesi di incompatibilità del magistrato a
partecipare alla decisione sulla domanda di revocazione.
E, invero, in difetto di tempestiva ricusazione la
violazione da parte del giudice dell’obbligo di astenersi nell’ipotesi prevista
dall’art. 51 n. 4 c.p.c. (a cui rinvia espressamente l’art. 17 c.p.a.), non
comporta la nullità della sentenza ex art. 158 c.p.c., al di fuori del caso in
cui il giudice abbia un interesse proprio e diretto nella causa, in modo da
porlo nella posizione sostanziale di parte (cfr. Cass., Sez. Un., 28.1.2002, n.
1007; Cass., 18.1.2002, n. 528; Cass., 22.6.2005, n. 13370; Cass., 29.3.2007,
n. 7702).
Tale principio è perfettamente condivisibile, in
quanto l’art. 111 Cost., nel fissare i principi fondamentali del giusto
processo, ha demandato al legislatore ordinario di dettarne la disciplina anche
attraverso gli istituti dell’astensione e della ricusazione, sancendo, come ha
affermato la Corte Costituzionale (sent. 15.10.1999, n. 387 cit.), che, in
considerazione della peculiarità del processo civile, fondato – come quello
amministrativo – sull’impulso paritario delle parti – non è arbitraria la
scelta del legislatore di garantire l’imparzialità-terzietà del giudice solo
attraverso gli istituti dell’astensione e della ricusazione.
Ritiene, pertanto, questa Adunanza plenaria che, anche
alla luce del nuovo codice del processo amministrativo, debba escludersi
l’applicabilità della norma di cui all’art. 51 n. 4 c.p.c. - richiamata dalla
norma di rinvio di cui all’art. 17 c.p.a. - che prevede l’obbligo del giudice
di astenersi quando abbia conosciuto della causa in altro grado del processo,
allorquando sia lo “stesso ufficio giudiziario” che ha reso la pronuncia
oggetto di revocazione, competente a decidere nuovamente; ne consegue che, ad
eccezione dell’ipotesi del dolo del giudice o, comunque, dell’ipotesi in cui il
giudice abbia un interesse proprio e diretto nella causa, i magistrati che
hanno pronunciato la sentenza impugnata per revocazione possono legittimamente
far parte del collegio investito della cognizione del giudizio revocatorio.
Del resto, l’illegittima composizione dell’organo
giudicante è ravvisabile solo ed esclusivamente nelle diverse ipotesi di
alterazioni strutturali dell’organo medesimo per vizi di numero o qualità dei
suoi membri, che ne precludono l’identificazione con quello delineato dalla
legge (cfr. Cass., Sez. Un., 1.6.2006, n. 13034; analogamente è a dirsi con
riguardo alla pronuncia del giudice contabile: Cass., Sez. Un., 13.7.2006, n.
15900).
Tanto premesso in ordine alla questione di massima
rimessa a questa Adunanza plenaria, relativa alla valida costituzione dei
Collegi chiamati a pronunciarsi nei giudizi di revocazione, può ora passarsi ad
esaminare il merito del presente giudizio.
Occorre, però, preliminarmente precisare che il
presente ricorso per revocazione, avente per oggetto l’impugnativa di
un’ordinanza cautelare, deve ritenersi ammissibile, in quanto l’istituto della
revocazione è suscettibile di applicazione anche all’ordinanza che pronuncia
sulla domanda di sospensione dell’atto impugnato, essendo assimilabile, quanto
ad efficacia decisoria, alla sentenza che definisce il merito (cfr. Cons. St.,
A.P., 20 gennaio 1978, n. 1 e 24 febbraio 1978, n. 6; Cons. St., sez. VI, ord.
23 settembre 2004, n. 4289).
Venendo dunque ad esaminare il merito della proposta
revocazione, con essa il Ministero istante sostiene che l’ordinanza n. 855/2013
sarebbe frutto di un errore di fatto ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c., affermando
che “il termine di trenta giorni di cui all’art. 116 co. 1 c.p.a. si riferisce
all’impugnazione dei provvedimenti della p.a. in materia di accesso ... e non
sembra che nella nozione di determinazioni possano ricomprendersi anche i
provvedimenti giurisdizionali ... Il dimezzamento per il rito dell’accesso …
comporta che la sentenza ... vada impugnata entro tre mesi, se non notificata,
ovvero entro trenta giorni se notificata”.
Da quanto precede si evince chiaramente che
l’Amministrazione non denuncia un errore di fatto, ma di giudizio e, quindi, di
diritto (cfr. Cons. St., sez. III, 04/05/2012, n. 2558), con conseguente
inammissibilità della istanza di revocazione proposta.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato e quella
della Corte di Cassazione, invero, hanno pressoché univocamente individuato le
caratteristiche dell’errore di fatto revocatorio, che, ai sensi rispettivamente
dell’art. 81 n. 4 del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, ora dell’art. 106 c.p.a., e
dell’art. 395, comma 4, c.p.c., può consentire di rimettere in discussione il
contenuto di una sentenza, e ciò per evitare che il distorto utilizzo di tale
rimedio straordinario dia luogo ad un inammissibile ulteriore grado di giudizio
di merito, non previsto e non ammesso dall’ordinamento.
E’ stato, infatti, più volte ribadito che l’errore di
fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi delle citate
disposizioni normative deve essere caratterizzato: a) dal derivare da una pura
e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli
atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla
base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto
documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato; b)
dall’attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia
espressamente motivato; c) dall’essere stato un elemento decisivo della
decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra
l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa (Cons. St., A.P., n. 1 del 2013
e n. 2 del 2010; sez. III, 1° ottobre 2012, n. 5162; 24 maggio 2012, n. 3053;
sez. IV, 24 gennaio 2011, n. 503, 23 settembre 2008, n. 4607; 16 settembre
2008, n. 4361; 20 luglio 2007, n. 4097; e meno recentemente, 25 agosto 2003, n.
4814; 25 luglio 2003, n. 4246; 21 giugno 2001, n. 3327; 15 luglio 1999 n. 1243;
C.G.A., 29 dicembre 2000 n. 530; sez. VI, 9 febbraio 2009, n, 708; 17 dicembre
2008, n. 6279; C.G.A., 29 dicembre 2000, n. 530; Cass. Civ., sez. I, 24 luglio
2012, n. 12962; 5 marzo 2012, n. 3379; sez. III, 27 gennaio 2012, n. 1197);
l’errore deve inoltre apparire con immediatezza ed essere di semplice
rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini
ermeneutiche (C.d.S., sez. VI 25 maggio 2012, n. 2781; 5 marzo 2012, n. 1235)
L’errore di fatto revocatorio si sostanzia quindi in
una svista o abbaglio dei sensi che ha provocato l’errata percezione del
contenuto degli atti del giudizio (ritualmente acquisiti agli atti di causa),
determinando un contrasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto,
l’una emergente dalla sentenza e l’altra risultante dagli atti e documenti di
causa: esso pertanto non può (e non deve) confondersi con quello che coinvolge
l’attività valutativa del giudice, costituendo il peculiare mezzo previsto dal
legislatore per eliminare l’ostacolo materiale che si frappone tra la realtà
del processo e la percezione che di essa ha avuto il giudicante, proprio a
causa della svista o abbaglio dei sensi (Cons. St., sez. III, 1° ottobre 2012,
n. 5162; sez. VI, 2 febbraio 2012, n. 587; 1 dicembre 2010, n. 8385).
Pertanto, mentre l’errore di fatto revocatorio è
configurabile nell’attività preliminare del giudice di lettura e percezione
degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al significato
letterale (senza coinvolgere la successiva attività d’interpretazione e di
valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni ai fini della
formazione del convincimento), esso non ricorre nell’ipotesi di erroneo, inesatto
o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del
procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio ovvero quando
la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni
ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita,
tutte ipotesi queste che danno luogo se mai ad un errore di giudizio, non
censurabile mediante la revocazione (che altrimenti si trasformerebbe in un
ulteriore grado di giudizio, non previsto dall’ordinamento, Cons. St., sez.
III, 8 ottobre 2012, n. 5212; sez. V, 26 marzo 2012, n. 1725; sez. VI, 2
febbraio 2012, n. 587; 15 maggio 2012, n. 2781; 16 settembre 2011, n. 5162;
Cass. Civ., sez. I, 23 gennaio 2012, n. 836; sez. II, 31 marzo 2011, n. 7488).
Inoltre, l’articolo 395 n. 4 c.p.c. prevede che
sussiste errore di fatto se "il fatto non costituì un punto controverso
sul quale la sentenza ebbe a pronunciare".
Nel caso di specie, tuttavia, il fatto sul quale si
pretende di fondare l’errore revocatorio è stato proprio il punto decisivo sul
quale il Collegio ha fondato la propria decisione di tardività dell’appello,
accogliendo la specifica eccezione sollevata dalla parte appellata.
In base alle suesposte considerazioni, la presente
istanza di revocazione è, pertanto, inammissibile.
Sussistono, tuttavia, giusti motivi per disporre
l’integrale compensazione tra le parti delle spese, competenze ed onorari del
presente giudizio di revocazione.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Adunanza Plenaria), definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione,
come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 9 ottobre 2013 con l’intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Riccardo Virgilio, Presidente
Stefano Baccarini, Presidente
Alessandro Pajno, Presidente
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente di sezione
Marzio Branca, Consigliere
Aldo Scola, Consigliere
Vito Poli, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Nicola Russo, Consigliere, Estensore
Salvatore Cacace, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere
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IL PRESIDENTE
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L'ESTENSORE
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IL SEGRETARIO
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24/01/2014
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.)
Il Dirigente della Sezione
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