lunedì 27 gennaio 2014

ELEZIONI & PROCESSO: alcuni aspetti processuali della recente sentenza sulle elezioni piemontesi (T.A.R. Piemonte, Sez. I, sentenza 15 gennaio 2014 n. 66).


ELEZIONI & PROCESSO: 
alcuni aspetti processuali 
della recente sentenza 
sulle elezioni piemontesi 
(T.A.R. Piemonte, Sez. I, 
sentenza 15 gennaio 2014 n. 66)


Breve commento

La vera innovatività della sentenza non consiste nei principi (consolidati) sull'inammissibilità/irricevibilità del ricorso incidentale (che va notificato e depositato entro 15 giorni a pena di decadenza), quanto nelle questioni sottese sollevate dal T.A.R. Piemonte (sent. n. 3196/10) e dal Consiglio di Stato (sent. n. 999 ed ord. n. 1000 del 2011) sulla possibilità per il G.A. di un autonomo accertamento incidentale su l'illecito civile/fatto di reato (nello specifico la falsa attestazione della firma in sede di accettazione delle candidature da parte due Consiglieri comunali).
La Consulta (sent. n. 304/11) ha negato questo potere al G.A. ed ha riconosciuto la giurisdizione esclusiva del G.O. (artt. 221 c.p.c. e 537 c.p.p.).
Ecco spiegati il ritardo di quattro anni dalle elezioni per la sentenza (la 66/14).



Sentenza per esteso


INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 555 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Bresso Mercedes e Staunovo Polacco Luigina del "Partito Pensionati e Invalidi", come in ricorso generalizzate, rappresentate e difese dagli avv.ti Sabrina Molinar Min, Anna Casavecchia, Marco Casavecchia, Paolo Davico Bonino e Valentina Stefutti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Sabrina Molinar Min in Torino, largo Migliara, 16; 
contro
Regione Piemonte, in persona del Presidente della Giunta Regionale, rappresentata e difesa dall'avv. Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giovanna Scollo in Torino, piazza Castello, 165;
Ufficio Centrale Regionale presso la Corte Appello di Torino; Ministero dell'Interno, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Torino, corso Stati Uniti, 45; 
nei confronti di
Presidente della Regione Piemonte Cota Roberto, rappresentato e difeso dall'avv. Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giovanna Scollo in Torino, piazza Castello, 165;
Giovine Michele e Franchino Sara, rappresentati e difesi dagli avv.ti Giorgio Strambi, Giovanni Nigra e Monica Maria Negro, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giorgio Strambi in Torino, via Cibrario, 6;
Antonello Angeleri, Mario Carossa, Elena Maccanti, Roberto De Magistris, Federico Gregorio, Michele Marinello, Gianfranco Novero, Claudio Sacchetto, Paolo Tiramani, rappresentati e difesi dall'avv. Fabrizio Borasio, con domicilio eletto presso il suo studio in Torino, corso Lione 91/a;
Marco Botta, Cristiano Bussola, Carla Spagnuolo, Angelo Burzi, Angiolino Mastrullo, Daniele Cantore, Fabrizio Comba, Alberto Cortopassi, Claudia Porchietto, Alberto Cirio, Michele Coppola, Rosa Anna Costa, Pietro Francesco Toselli, Luca Pedrale, Franco Maria Botta, Valerio Cattaneo, Massimiliano Motta, Alfredo Roberto Tentoni, Gianluca Vignale, Ugo Cavallera, Caterina Ferrero, Barbara Bonino, Rosanna Valle, Lorenzo Leardi, Raffaele Costa, Augusta Montaruli, Roberto Ravello, rappresentati e difesi dagli avv.ti Carlo Emanuele Gallo e Antonio Bertoldini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Carlo Emanuele Gallo in Torino, via Pietro Palmieri, 40;
Ufficio Centrale Circoscrizionale presso il Tribunale di Torino, Ufficio Centrale Circoscrizionale presso il Tribunale di Biella, Ufficio Centrale Circoscrizionale presso il Tribunale di Alessandria, Ufficio Centrale Circoscrizionale presso il Tribunale di Cuneo, Ufficio Centrale Circoscrizionale presso il Tribunale di Asti, Ufficio Centrale Circoscrizionale presso il Tribunale di Novara, Ufficio Centrale Circoscrizionale presso il Tribunale di Vercelli, Ufficio Centrale Circoscrizionale presso il Tribunale di Verbania;
Andrea Buquicchio, Eleonora Artesio, Fabrizio Biole', Antonino Boeti, Davide Bono, Monica Cerutti, Luigi Cursio, Michele Dell'Utri, Davide Gariglio, Alberto Goffi, Girolamo La Rocca, Mauro Laos, Stefano Lepri, Giuliana Manica, Angela Motta, Rocchino Muliere, Giovanni Negro, Giovanna Pentenero, Roberto Placido, Tullio Ponso, Aldo Reschigna, Gianni Wilmer Ronzani, Andrea Stara, Giacomino Taricco, Associazione Italiana World Wide Fund For Nature (Wwf) Onlus Ong con Sede in Roma;
Gianluca Buonanno, Massimo Giordano, Maurizio Lupi, Riccardo Molinari, rappresentati e difesi dall'avv. Paolo Forno, con domicilio eletto presso il suo studio in Torino, corso Vittorio Emanuele II, 198; 
e con l'intervento di
ad opponendum:
Sara Franchino, rappresentata e difesa dagli avv.ti Monica Maria Negro e Giorgio Strambi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giorgio Strambi in Torino, via Cibrario, 6; 
per l'annullamento
- del provvedimento dell'Ufficio Circoscrizionale per il Piemonte - Provincia di Torino - quale atto presupposto e preparatorio al conseguente atto di proclamazione degli eletti, con il quale è stata accettata ed ammessa la lista "Pensionati per Cota" collegata al candidato presidente per la coalizione di centrodestra, onorevole Roberto Cota;
- del provvedimento dell'Ufficio Circoscrizionale per il Piemonte istituito presso il Tribunale di Torino, con cui è stato proclamato il consigliere Giovine Michele;
- dell'atto di proclamazione degli eletti dell'Ufficio Elettorale Centrale costituito presso la Corte di Appello di Torino con il quale, in data 9 aprile 2010, veniva proclamata l'elezione del Presidente della Giunta Regionale e del listino e si prendeva atto dell'avvenuta proclamazione dei consiglieri regionali per la Regione Piemonte a seguito della consultazione elettorale tenutasi nei giorni 28 e 29 marzo 2010;
- dei provvedimenti adottati in data sconosciuta e ignoti nel loro esatto contenuto, con cui gli Uffici Circoscrizionali costituiti presso i Tribunali della Regione Piemonte hanno proclamato i consiglieri eletti;
- di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’art. 130, comma 7, cod. proc. amm.;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Piemonte, Presidente della Regione Piemonte Cota Roberto, Ministero dell'Interno, Giovine Michele, Franchino Sara, Antonello Angeleri, Mario Carossa, Elena Maccanti, Roberto De Magistris, Federico Gregorio, Michele Marinello, Gianfranco Novero, Claudio Sacchetto, Paolo Tiramani, Marco Botta, Cristiano Bussola, Carla Spagnuolo, Angelo Burzi, Angiolino Mastrullo, Daniele Cantore, Fabrizio Comba, Alberto Cortopassi, Claudia Porchietto, Alberto Cirio, Michele Coppola, Rosa Anna Costa, Pietro Francesco Toselli, Luca Pedrale, Franco Maria Botta, Valerio Cattaneo, Massimiliano Motta, Alfredo Roberto Tentoni, Gianluca Vignale, Ugo Cavallera, Caterina Ferrero, Barbara Bonino, Rosanna Valle, Lorenzo Leardi, Raffaele Costa, Augusta Montaruli, Roberto Ravello, Gianluca Buonanno, Massimo Giordano, Maurizio Lupi, Riccardo Molinari;
Visto l'atto di costituzione in giudizio e il ricorso incidentale proposto dal ricorrente incidentale Michele Giovine, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giovanni Nigra e Giorgio Strambi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giorgio Strambi in Torino, via Cibrario, 6;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 gennaio 2014 il dott. Giovanni Pescatore e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
1.1 Il 28 e 29 marzo 2010 si sono tenute in Piemonte le elezioni amministrative per l’elezione del Presidente della Regione e del Consiglio Regionale.
I risultati della procedura elettorale sono stati trasfusi nel verbale dell’Ufficio Elettorale Centrale del 9 aprile 2010, dal quale è risultata la proclamazione a Presidente della Regione Piemonte di Roberto Cota, avendo questi conseguito un numero di voti pari a 1.042.483, con un divario di 9.157 preferenze (pari allo 0,4%) rispetto ai 1.033.326 voti ottenuti dalla presidente uscente Mercedes Bresso.
1.2 Quest’ultima, agendo in proprio e in qualità di candidato presidente della coalizione di centro sinistra, nonché di candidata capolista del listino regionale “Uniti per Bresso”, e Luigina Staunovo Polacco, agendo in proprio e in qualità di coordinatrice del partito “Pensionati e invalidi”, hanno impugnato, con ricorso depositato in data 7 maggio 2010 e successivo atto di motivi aggiunti, il predetto atto di proclamazione degli eletti e il presupposto provvedimento di ammissione della lista “Pensionati per Cota”, collegata con il candidato alla carica di Presidente della Giunta Regionale risultato vincitore, deducendo in premessa le seguenti circostanze di fatto:
- tra le liste collegate al candidato presidente Cota figurava la menzionata lista “Pensionati per Cota”, presente in tutte le circoscrizioni elettorali del Piemonte e promossa dal Consigliere Regionale del Piemonte Michele Giovine, in qualità di presidente del "Gruppo regionale del Piemonte Consumatori”;
- detta lista aveva riportato un totale di 27.892 voti validi a livello regionale (di cui 15.805 voti nella sola circoscrizione elettorale della Provincia di Torino), superiore allo scarto registrato all’esito delle elezioni tra le due principali coalizioni in lizza;
- anche nella circoscrizione elettorale della Provincia di Torino era stata presentata una lista “Pensionati per Cota”, recante i nominativi di 19 candidati e premiata da un consenso di 15.805 preferenze;
- l’autenticazione delle dichiarazioni di accettazione delle relative candidature era stata effettata dallo stesso Michele Giovine, dal di lui padre Giovine Carlo e dalla di lui madre Trigila Sebastiana, in qualità, rispettivamente, di consigliere comunale del Comune di Gurro (VCO), del Comune di Miasino (NO) e del Comune di Monastero Bormida (AT), ai sensi dell’art. 14 L. 21 marzo 1990, n. 53;
- detta norma abilita il consigliere comunale ad esercitare, nel territorio del comune ove ricopre la carica elettiva, le funzioni di pubblico ufficiale autenticatore delle sottoscrizioni dei candidati;
- plurimi elementi inducevano le ricorrenti a ritenere che almeno 11 delle 19 sottoscrizioni di accettazione delle candidature, relative alla lista “Pensionati per Cota” per la Provincia di Torino, fossero false; e che il disposto dell’art. 14 L. 53/1990 non fosse stato rispettato, ovvero che i tre citati consiglieri comunali avessero falsamente attestato di avere effettuato le autentiche negli ambiti territoriali di rispettiva competenza, nel quale ricoprivano la carica di consigliere comunale. Analogo sospetto veniva esteso alle modalità di presentazione della lista “Pensionati per Cota” in tutte le altre circoscrizioni elettorali del Piemonte, ed era alla base di un atto di esposto presentato sul punto da Luigina Staunovo Polacco, in data 4 maggio 2010, presso la locale Procura della Repubblica.
1.3 Sulla base delle menzionate circostanze, le ricorrenti chiedevano - in via principale – che il giudice amministrativo accertasse autonomamente i fatti penalmente rilevanti emersi nel corso dell’indagine penale avviata a seguito del menzionato esposto del 4 maggio 2010, dichiarando l’illegittimità dell’ammissione della lista “Pensionati per Cota” e, di conseguenza, annullando l’esito della competizione elettorale, in quanto alterato in misura determinante da un numero di voti invalidi (oltre 27.892) superiore allo scarto numerico registrato tra le due coalizioni più votate (pari a 9.157 voti).
In via subordinata e in funzione delle medesime conclusioni, le ricorrenti formulavano espressa riserva di querela di falso nel termine eventualmente assegnato dal T.A.R..
1.4 Le parti controinteressate, come indicate in epigrafe, si sono costituite ritualmente con i rispettivi atti, svolgendo e sollevando molteplici eccezioni preliminari di rito e instando, nel merito, per il rigetto del gravame, del quale hanno sostenuto l’infondatezza.
1.5 Si sono costituiti anche gli Uffici elettorali e il Ministero degli Interni intimato, con il patrocinio dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, la quale ha invocato l’estromissione dal giudizio di entrambe le amministrazioni per difetto di legittimazione passiva a resistervi, 
1.6 Le ricorrenti hanno dedotto motivi aggiunti, con atto depositato il 29 giugno 2010, ritualmente notificato nel termine assegnato.
Il 30 giugno 2010 è stato depositato un intervento ad opponendum da parte di Franchino Sara, candidata nella lista “Pensionati per Cota”.
Il 9 luglio 2010 si è costituito anche Giovine Michele, eletto consigliere regionale nella lista “Pensionati per Cota”.
All’esito della pubblica udienza del 15 luglio 2010, la causa è stata introitata a decisione.
2. Con sentenza parziale n. 3196 del 6 agosto 2010 la Sezione:
- ha scrutinato le numerose eccezioni preliminari sollevate dai controinteressati nelle loro varie memorie e ulteriormente propugnate nel corso della discussione di pubblica udienza, inerenti, in particolare, asseriti vizi di irricevibilità del ricorso per tardività della sua proposizione; di nullità della notifica del ricorso, in quanto tardiva e incompleta di alcune pagine; di inammissibilità e improcedibilità del gravame per assoluta genericità dell’individuazione degli atti impugnati e mancato deposito dei medesimi;
- ha pronunciato l’estromissione dal giudizio degli Uffici elettorali e del Ministero degli Interni;
- nel merito, ha ritenuto priva di fondamento la tesi avanzata in via principale circa la possibilità di diretto accertamento delle dedotte falsità da parte del giudice amministrativo e ha assegnato alla parte ricorrente il termine di sessanta giorni dalla data di comunicazione o di notificazione, se anteriore, della sentenza, per consentire la proposizione dinanzi al competente Tribunale Ordinario della querela di falso, relativamente all’autenticità delle dichiarazioni di accettazione delle candidature della lista “Pensionati per Cota” e delle autenticazioni delle relative sottoscrizioni, ai sensi dell’art. 41 del R.D. 17/8/1907, n. 642 e degli artt. 221 e ss. c.p.c.;
- ha rinviato il procedimento all’udienza pubblica del 18 novembre 2010, per la verifica dell’interposta querela di falso e per la conseguente sospensione del giudizio.
3. Con ordinanza del 19 novembre 2010, constatata l’avvenuta proposizione della querela di falso, notificata in data 23 settembre 2010, il Tribunale ha sospeso il giudizio di cui al ricorso in epigrafe, ai sensi dell’art. 77, comma 4, c.p.a..
4. Mercedes Bresso e Luigina Staunovo Polacco hanno proposto ricorso in appello avverso la sentenza parziale n. 3196/2010, chiedendo l’accoglimento della propria originaria domanda principale di accertamento diretto, da parte del giudice amministrativo, della falsità dei predetti atti.
4.1 Non definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalle ricorrenti, la Sezione Quinta del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 999 del 16 febbraio 2011, dichiarati preliminarmente inammissibili i ricorsi incidentali spiegati da Michele Giovine e Sara Franchino - in quanto firmati da avvocati non abilitati al patrocinio davanti alla giurisdizioni superiori - e respinte le altre eccezioni preliminari (in particolare, quella di inammissibilità dell’appello per la pretesa natura meramente istruttoria della sentenza di primo grado), ha sospeso il giudizio disponendo la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, avendo ritenuto con la coeva ordinanza n. 1000/2011 rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 8, comma 2 , 77, 126, 127, 128, 129, 130 e 131 del codice del processo amministrativo e delle previgenti disposizioni di cui agli artt. 7 del r.d. n. 2840/1923; 41 e 43 del r.d. n. 642/1907; 28, comma 3, e 30, comma 2, r.d. 1054/1924 (T.U. Cons. Stato); 7, comma 3, ultima parte, e 8 della legge n. 1034/1971 (l. Tar); 2700 cod. civ., in relazione agli articoli 24, 76, 97, 103, 11, 113 e 117 della Costituzione che precludono al giudice amministrativo di accertare incidentalmente eventuali falsità di atti del procedimento elettorale.
4.2 La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 304 depositata in data 11 novembre 2011, ha dichiarato non fondata la sollevata questione di legittimità costituzionale.
4.3 E’ necessario precisare che nelle more del presente procedimento, il processo penale avviato a carico di Michele Giovine e Carlo Giovine, per i reati di cui agli artt. 110 e 81 cpv. c.p., art. 90, comma 2, D.P.R. n. 570 del 16 maggio 1960, era giunto ad una prima pronuncia di condanna dei due imputati, emessa dal Tribunale Penale di Torino in data 30 giugno/28 luglio 2011. La stessa sentenza aveva accertato e statuito, ai sensi dell'art. 537 c.p.p., la falsità di 17 delle 19 autenticazioni di firma apposte in calce alle dichiarazioni di candidatura relative alla lista “Pensionati per Cota” presentata per la Provincia di Torino.
4.4 Dunque, conclusosi l’incidente di legittimità costituzionale e fissata nuova udienza di discussione nel procedimento di appello innanzi al Consiglio di Stato, all’esito della stessa, la Quinta Sezione ha pronunciato la sentenza n. 4395, del 1 agosto 2012, con la quale ha esaminato la questione, reiterata nell’atto di appello, della possibilità dell’accertamento diretto da parte del giudice amministrativo delle falsità delle sottoscrizioni e delle autenticazioni delle firme di presentazione della lista “Pensionati per Cota”.
Il giudice, nel respingere l’appello: I) ha confermato - secondo quanto già statuito da questo Tribunale - essere precluso al giudice amministrativo l’accertamento in via diretta dell’asserita falsità delle firme e delle relative autentiche delle candidature incluse nella lista “Pensionati per Cota”; II) ha respinto la tesi, esposta nelle memorie difensive delle appellanti, secondo cui la peculiare modalità con cui sarebbe stato realizzato il falso, e quindi l’autenticazione delle sottoscrizioni da parte di un consigliere comunale al di fuori del territorio comunale di elezione, sarebbe tale da escludere la natura di atto pubblico delle stesse certificazioni di autenticazioni (quanto meno per la carenza di un elemento essenziale, quale la qualifica di pubblico ufficiale) e da configurare, quindi, la diversa fattispecie della falsità materiale compiuta dal privato, rispetto alla quale non sarebbe precluso l’accertamento diretto della falsità da parte del giudice amministrativo; III) ha constatato, al contempo, che questo Tribunale non si era ancora pronunciato sul merito del ricorso di primo grado, essendosi limitato ad affermare che non vi era ancora prova dell’asserita falsità che inficiava la lista “Pensionati per Cota” e che la denunciata falsità non poteva essere accertata in via diretta dal giudice amministrativo; IV) ha rilevato, quindi, la possibilità che il giudice di primo grado, in funzione della decisione di merito, esaminasse le risultanze sia della querela di falso avviata in sede civile dalle odierne ricorrenti, con atto di citazione notificato in data 9 settembre 2010; sia del processo penale avviato a carico di Michele Giovine e Carlo Giovine, in relazione ai reati di falso commessi nell’ambito delle operazioni di presentazione della lista “Pensionati per Cota” e giunto, in allora, alla pronuncia di condanna di primo grado, emessa dal Tribunale Penale di Torino in data 30 giugno/28 luglio 2011; V) ha escluso, infine, la possibilità di una immediata decisione su dette questioni di merito da parte del giudice d’appello, pena la violazione del diritto di difesa e del principio del doppio grado di giudizio.
5. In data 7 giugno 2012, Michele Giovine ha depositato nel presente procedimento un ricorso incidentale preordinato all'annullamento degli atti degli uffici circoscrizionali centrali di ammissione della lista "Pensionati ed Invalidi per Bresso", collegata alla candidata Mercedes Bresso, nonché del provvedimento dell'Ufficio Centrale Regionale nella parte in cui comunica che detta lista ha conseguito 12.582 voti validi.
6. Con istanza del 29 agosto 2012, vista la decisione del Consiglio di Stato n. 4395/2012, le odierne ricorrenti hanno chiesto la fissazione dell’udienza di merito.
Con memoria del 7 settembre 2012, la Regione ha reso noto di avere interposto, avverso la sentenza del Consiglio di Stato n. 4395/2012, ricorso in Cassazione per eccesso di potere giurisdizionale, nonché ricorso in revocazione davanti al Consiglio di Stato per errore di fatto. Ha chiesto, quindi, la sospensione di questo procedimento in attesa dell’esito di tali giudizi (successivamente definiti con pronunce di inammissibilità dei gravami: Cass. sez. un., 12 marzo 2013, n. 6082 e Cons. St., sez. V, 15 gennaio 2013, n. 175).
7. In vista dell’udienza pubblica dell’8 novembre 2012, fissata con decreto presidenziale del 21 settembre 2012, sono state depositate deduzioni scritte da parte di Mercedes Bresso e Staunovo Polacco Luigina, in data 23 ottobre 2012; di Frachino Sara, in data 24 e 29 ottobre 2012; di Michele Giovine, in data 24 e 29 ottobre 2012; di Botta e altri, in data 22 ottobre 2012; di Angeleri e altri, in data 16 ottobre 2012.
In particolare, con la memoria depositata il 23 ottobre 2012, le ricorrenti hanno eccepito l’inammissibilità e irricevibilità sotto plurimi profili del ricorso incidentale proposto da Michele Giovine. Nel merito, hanno dato atto della mancata definizione del procedimento per querela di falso, avviato innanzi alla Prima Sezione Civile del Tribunale Ordinario di Torino, con atto di citazione notificato in data 23 settembre 2010, e dichiarato estinto con sentenza n. 7520/2011 del 21 dicembre 2011, avverso la quale pendeva il giudizio di secondo grado. Al contempo, tuttavia, prendendo atto dell’intervenuta conferma da parte della Corte d’Appello di Torino, III Sezione, con sentenza 22 maggio – 21 luglio 2012, della condanna penale pronunciata in primo grado a carico di Michele Giovine e Carlo Giovine, hanno chiesto che il T.A.R. si pronunciasse in via immediata sull’impugnativa, ovvero, in subordine, che attendesse il passaggio in giudicato della condanna penale, in quanto rilevante, al pari del giudicato civile ex art. 221 c.p.c., ai fini della risoluzione della questione incidentale di falso.
8. All’udienza dell’8 novembre 2012 la discussione della causa, su istanza delle parti, è stata rinviata a data da destinarsi, non essendo intervenuta alcuna pronuncia definitiva sulla questione pregiudiziale di falso.
9. Con istanza del 18 novembre 2013, vista la decisione n. 2918/2013 della Quinta Sezione della Corte di Cassazione Penale, che aveva respinto i ricorsi proposti da Michele Giovine e Carlo Giovine, confermando integralmente la sentenza di condanna penale emessa dalla Corte d’Appello di Torino, le odierne ricorrenti hanno chiesto e ottenuto la fissazione di nuova udienza pubblica di discussione al 9 gennaio 2014.
10. A seguito dello scambio di memorie e repliche scritte, la causa è stata nuovamente discussa in pubblica udienza e, all’esito, è stata trattenuta a decisione.
11. In data 10 gennaio 2014 è stato pubblicato il dispositivo di sentenza, cui fa seguito, nel prescritto termine di 10 giorni fissato dall’art. 130, comma 7, c.p.a., la pubblicazione della presente sentenza.

DIRITTO
1.1 Il Collegio è chiamato a decidere le questioni di merito veicolate nel giudizio con il ricorso principale e con quello incidentale, al netto delle eccezioni preliminari già vagliate e respinte con la pronuncia parziale n. 3196 del 6 agosto 2010.
1.2 L’ordine logico di trattazione delle questioni induce a posporre la disamina del contenuto di merito del ricorso principale al prioritario scrutinio delle deduzioni contenute nel ricorso incidentale, in quanto afferenti ad una supposta e preclusiva carenza di interesse ad agire in capo alle ricorrenti, e preordinate, quindi, alla declaratoria di inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio per difetto di un’essenziale condizione dell’azione.
1.3 Più precisamente, con il mezzo incidentale depositato in data 7 giugno 2012, Michele Giovine ha chiesto l’annullamento del provvedimento di ammissione della lista “Pensionati e Invalidi per Bresso”, collegata a Mercedes Bresso quale candidato presidente, e la conseguente correzione dell’atto di proclamazione degli eletti nella parte in cui attribuisce a detta lista 12.582 voti validi.
Secondo la prospettazione sottesa a dette istanze, l’invalidazione di tali preferenze priverebbe di consistenza l’interesse ad agire sotteso al ricorso principale, in quanto la differenza tra le stesse e i voti contestati alla Lista “Pensionati con Cota” (15.765), risulterebbe inferiore al margine di 9.157 voti con cui il Presidente Cota si è aggiudicato le elezioni.
1.4 Trattasi, quindi, di ricorso incidentale paralizzante, che intende determinare la correzione dell’atto di proclamazione in favore della lista vincitrice, in misura (e per un numero di voti) tale da ristabilire un divario numerico tra le preferenze delle due liste sufficiente a vanificare l’utilità di un eventuale accoglimento dell’impugnativa principale.
1.5 L’argomentazione viene affidata, in termini speculari a quelli del ricorso principale, ad una doglianza incentrata sulla falsità delle attestazioni di autenticazione della lista “Pensionati e Invalidi per Bresso”, di cui vi è riscontro negli atti del procedimento penale (iscritto ad R.G. 17344/12) instaurato a carico di Di Silvestro, autenticatore e candidato della lista "Pensionati ed Invalidi per Bresso", per il reato di cui agli artt. 81 cpv. c.p. e 90, comma 2, D.P.R. n. 570 del 16 maggio 1960, conclusosi con sentenza di condanna e contestuale pronuncia di falsità, ex art. 537 c.p.p., del G.I.P. del Tribunale di Torino, in data 20 dicembre 2013.
1.6 La parte ricorrente ha eccepito la radicale inammissibilità del mezzo incidentale, in quanto non notificato e ampiamente tardivo, essendo sopravvenuto ad oltre due anni distanza dall’atto di proclamazione degli eletti.
1.7 Il Collegio ritiene di non poter dissentire da tale ostativo rilievo preliminare.
Va da sé, infatti, che le considerazioni reiterate in atti sulla valenza penalistica delle vicende citate e sulla legittima stigmatizzazione che le stesse possono indurre nell’opinione pubblica in ordine al complessivo svolgimento della tornata elettorale, afferiscono ad un livello di valutazione metagiuridica che è del tutto estraneo alle prerogative degli organi giurisdizionali.
Ciò detto, sul piano processuale non è ravvisabile alcun margine per poter derogare alla generale regola che impone di arrestare la valutazione di merito delle istanze processuali innanzi a preliminari e risolutivi rilievi di inammissibilità del rimedio che le veicola.
1.8 Nel caso di specie detti rilievi - sollecitamente eccepiti dalla parte ricorrente e comunque, in ultima analisi, valutabili d’ufficio - attengono alla stessa concreta integrazione dei presupposti necessari a conferire giuridica esistenza al mezzo processuale e a radicarlo correttamente nel rapporto processuale in essere.
1.9 Un primo profilo di radicale inammissibilità del mezzo consegue alla sua mancata notifica alle controparti. Contravvenendo a consumate e pacifiche regole processuali, il ricorrente incidentale si è limitato a depositare l’atto, in data 7 giugno 2012, senza tuttavia procedere alla sua notifica, né prima né a seguito del suo deposito, e nemmeno in vista dell’udienza del 21 settembre 2012, fissata con decreto presidenziale adottato a seguito dell’istanza inoltrata dalle ricorrenti in data 29 agosto 2012.
La tempestiva notifica costituisce, per contro, adempimento necessario ai fini della corretta introduzione di un atto ampliativo del thema decidendum e della rituale instaurazione del contraddittorio.
In proposito l'art. 129, comma 5, del codice del processo amministrativo - riferito al giudizio avverso gli atti di esclusione dal procedimento preparatorio per le elezioni, ma espressivo di una regola generale costantemente affermata dalla giurisprudenza in punto di modalità per la proposizione del gravame incidentale in materia elettorale - prescrive che "alla notifica del ricorso incidentale si provvede con le forme previste per il ricorso principale”.
La disposizione corrisponde alla tralaticia regola interpretativa secondo cui nel termine di quindici giorni il ricorso incidentale deve essere notificato alle controparti e anche depositato (ex multis, T.A.R. Piemonte sez. I 09 ottobre 2010, n. 3728; Cons. St., sez. V, 22 maggio 2006, n. 2971; T.A.R. Catania, sez. III, 20 maggio 2008 , n. 939).
L’omessa rituale proposizione del mezzo ha rilevanza preclusiva sulla cognizione del giudice, in quanto in un sistema processuale di giurisdizione soggettiva imperniato sul principio dispositivo, quale è quello elettorale, la mancata proposizione di rituale ricorso incidentale preclude l'allargamento del thema decidendum rispetto a quanto delineato in modo puntuale nel ricorso introduttivo (cfr. Cons. St., sez. V, 31 luglio 2012 n. 4358; T.A.R. Piemonte, sez. II, 3 marzo 2012, n. 295). Al fine di contemperare tutti gli interessi in conflitto, il legislatore ha attribuito, infatti, nello specifico e delicato settore della materia elettorale, valore predominante al principio della certezza dei rapporti di diritto pubblico, prevedendo rigorosi termini di decadenza entro i quali gli atti vanno contestati e, decorsi inutilmente i quali, i risultati elettorali diventano intangibili per la parte non oggetto di tempestiva impugnazione.
1.10 Dall’assenza di notifica discende, quindi, l’inammissibilità del gravame (cfr. Cons. St., sez. V, 22 marzo 2012, n. 1631; sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8280; sez. V, 12 giugno 2009, n. 3747; sez. VI, 30 maggio 2008, n. 2602).
1.11 All’assorbente profilo di inammissibilità del ricorso incidentale, si assomma - in via gradata - l’altrettanto fondato e dirimente rilievo di irricevibilità per tardività.
Viene qui in rilievo l’ulteriore e basilare regola processuale secondo cui il termine per notificare e depositare il ricorso incidentale è di 15 gg dalla ricezione del ricorso principale (T.A.R. Piemonte, sez. I, 09 ottobre 2010, n. 3728; Cons. St., sez. V, 22 maggio 2006, n. 2971; id., 05 maggio 1999, n. 519 e 16 giugno 1998, n. 885). Altra tesi – che si differenzia solo parzialmente da quella maggioritaria testé menzionata – ritiene che, in assenza di una disciplina specifica del ricorso incidentale elettorale, si debba fare riferimento ai termini del rito ordinario, sia pure dimezzati (cfr. T.A.R. Catania, 28 febbraio 2008, n. 2274).
Per entrambi gli orientamenti e in maniera univoca in giurisprudenza, i termini processuali in esame sono tutti pacificamente considerati "perentori" e da osservarsi "a pena di decadenza". Con la conseguenza che il relativo decorso non può che essere impedito dal compimento dell'atto previsto dalla legge e, cioè, dalla tempestiva proposizione, mediante notifica e successivo deposito, del ricorso incidentale.
Difettando nella specie la tempestiva proposizione del mezzo (depositato, come detto, ad oltre due anni di distanza dall’atto di proclamazione degli eletti) risulta ulteriormente confermata l’impossibilità di estendere la cognizione ai profili di merito con esso veicolati.
1.12 In senso contrario a quanto sin qui osservato non assume rilevanza la deduzione del ricorrente incidentale secondo cui un fatto nuovo e rilevante - e, cioè, l'avviso ex art. 415 bis c.p.p. a carico di Marco di Silvestro, autenticatore, dirigente, candidato della lista "Pensionati ed Invalidi per Bresso", di cui egli ricorrente asserisce essere venuto conoscenza solo il 23 maggio 2012 - avrebbe giustificato la proposizione solo da tale data del ricorso incidentale.
Come esposto, la decorrenza è dalle scadenze di legge e non dalla conoscenza dei presupposti di fatto. Questi ultimi, se sopravvenuti alla scadenza dei termini previsti per l'esercizio dell'azione principale o incidentale, diventano irrilevanti nel contenzioso elettorale e tale conclusione trova la propria ratio nell’essenziale regola di contemperamento delle esigenze di difesa con quelle di certezza del risultato elettorale, in termini compatibili con la durata degli organi rappresentativi della cui elezione si tratta.
1.13 L’elusione del termine decadenziale non può conseguire nemmeno ad una diversa qualificazione delle contestazioni portate nel ricorso incidentale alla stregua di mere “controdeduzioni”, non soggette all’onere della previa notifica e ai perentori termini di ingresso nel giudizio.
Tra le controdeduzioni e il ricorso incidentale intercorre, infatti, la fondamentale differenza per cui soltanto quest'ultimo, diversamente dalle prime, integra, allargandolo, il thema decidendum del ricorso principale; laddove le controdeduzioni si limitano a rappresentare ragioni di confutazione dei motivi proposti dal ricorrente principale (cfr. T.A.R. Latina, sez. I 27 maggio 2010, n. 952 ; T.A.R. Milano, sez. IV 14 ottobre 2010, n. 6943 e 02 febbraio 2010, n. 231).
Il resistente, avvalendosi del ricorso incidentale, non si limita a resistere semplicemente alla domanda principale volta a censurare un atto amministrativo (ciò che concreterebbe una mera "controdeduzione"), ma chiede anche che l'atto venga modificato in maniera diversa e per sé più vantaggiosa rispetto a quanto introdotto con ricorso principale.
La mera difesa esplicata nei confronti delle censure espresse in ricorso, mediante deposito di memorie, scritti difensivi ed esibizione di documenti, è quindi attività ben diversa dal "contrattacco" esercitato contestando sotto altri profili la legittimità dello stesso provvedimento impugnato in via principale; sicché l’equiparazione tra l’una e l’altra attività processuale, sotto il profilo delle modalità di instaurazione del contraddittorio con le controparti, risulterebbe irriguardosa dei principi costituzionali posti a salvaguardia del diritto di difesa processuale.
La segnalata differenza spiega, pertanto, perché per proporre ricorso incidentale non sia sufficiente, come per le controdeduzioni, il semplice deposito: proprio per la sua diversa natura di atto introduttivo di autonomo seppur connesso gravame, esso esige una preliminare specifica notificazione e un successivo deposito, "con la prova delle eseguite notificazioni". La carenza di uno dei due adempimenti necessitati determina l'inammissibilità della domanda.
1.14 Deve quindi concludersi che la contestazione del provvedimento di ammissione della lista “Pensionati e Invalidi per Bresso”, collegata a Mercedes Bresso quale candidato presidente, per tutte le segnalate ragioni non può essere parte dell’oggetto di cognizione del presente procedimento.
1.15 Se così è, alcuna rilevanza può attribuirsi alle risultanze probatorie dei procedimenti penali che hanno riguardato l’asserita falsità delle attestazioni di autenticazione della lista “Pensionati e Invalidi per Bresso”: mancando una specifica e rituale impugnazione che possa dare ingresso a dette questioni nel presente procedimento, il Tribunale non è abilitato a esaminarle a nessun titolo, né in via principale, né in via incidentale.
1.16 Per lo stesso motivo, tali deduzioni non incidono in alcun modo sull’interesse ad agire delle ricorrenti. E’ vero, infatti, che le condizioni dell’azione sono esaminabili d’ufficio. Ciò nondimeno, l’invocata detrazione dei voti attribuiti alla lista “Pensionati e Invalidi per Bresso”, dalla quale si farebbe discendere la carenza di interesse ad agire in capo alle ricorrenti, avrebbe imposto una rituale impugnazione incidentale dell’atto di ammissione di detta lista e, in parte qua, del conseguente atto di proclamazione degli eletti.
In difetto di tale impugnazione, si configura impossibile un riconteggio in pejus dei voti attribuiti alla lista Bresso e, pertanto, l’utilità concreta eventualmente ricavabile dalle ricorrenti in esito ad una favorevole valutazione del ricorso principale - in quanto rapportata alle sole deduzioni e istanze contenute nel ricorso principale - in alcun modo può risentire delle argomentazioni contenute nel ricorso incidentale.
1.17 Ancora più in radice e sotto diverso profilo, l’effetto paralizzante che si intende affidare al ricorso incidentale è inficiato nelle sue fondamenta dal fatto che la domanda azionata dalle ricorrenti mira principalmente alla invalidazione generale della procedura elettorale, assumendola viziata in origine e in misura rilevante dall’illegittima ammissione della lista “Pensionati per Cota”. La radicalità dell’interesse dedotto supera la necessità di un riconteggio di voti in funzione di una loro possibile diversa attribuzione, sicché non vi è spazio per verificare se effettivamente - in applicazione del criterio della prova di resistenza - l’illegittimità denunciata possa tradursi in un rovesciamento dell’esito elettorale in misura favorevole alle posizioni rappresentate dalla parte ricorrente.
Al contrario, una volta acclarata la rilevanza numerica delle liste illegittimamente ammesse alla competizione elettorale, l’effetto perturbatore che ne discende sull’espressione della volontà degli elettori è da intendersi come direttamente proporzionale al numero e alla portata di dette liste illegittime. Sicché, come meglio si chiarirà nel prosieguo esaminando gli effetti invalidanti degli atti impugnati, l’assommarsi di liste illegittime, anche se collocate su fronti contrapposti della competizione elettorale, giammai attenua, ma al più aggrava, l’effetto di alterazione della corretta espressione del voto, che è alla base, laddove se ne apprezzi una non trascurabile consistenza quantitativa, della invalidazione generale della procedura elettorale.
1.18 Infine, in ragione dell’illustrata inammissibilità del ricorso incidentale, non pare centrata e va respinta l’obiezione sollevata dalla difesa della Regione (pag. 3, memoria depositata il 27 dicembre 2013) secondo cui la nullità dell’atto di presentazione della lista “Pensionati e Invalidi per Bresso” potrebbe essere rilevata d’ufficio, ai sensi dell’art. 31, comma 4, c.p.a., e quindi a prescindere dal valido radicamento del rimedio incidentale. La disposizione richiamata, infatti, contrariamente a quanto divisato dalla Regione, nel prevedere che “la nullità dell’atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice”, presuppone sempre che sussista una domanda, correttamente introdotta nel giudizio e che si fondi su un atto nullo, esigendosi quindi che il profilo di nullità acceda a deduzioni e istanze ritualmente inserite nel thema decidendum. E ciò per la decisiva considerazione che il rilievo d’ufficio della nullità non può mai derogare al principio dispositivo che governa il processo amministrativo (e quindi anche il giudizio elettorale), trattandosi di sistema di giurisdizione soggettiva.
In conclusione, il ricorso incidentale, per tutte le ragioni esposte, va dichiarato inammissibile.




2. Vengono quindi in considerazione le ulteriori eccezioni preliminari sollevate dai controinteressati in ordine alla carenza di legittimazione ad agire di Staunovo Polacco Luigina (pag. 5, memoria depositata il 24 dicembre 2013) e alla inammissibilità del ricorso per conflitto di interessi delle ricorrenti (pagg. 9 - 10, memoria depositata il 23 dicembre 2013).
2.1 Della ricorrente Staunovo si deduce - reiterando argomenti già spesi con il ricorso incidentale - che la stessa non sarebbe legittimata a ricorrere, in quanto agisce in qualità di coordinatore nazionale di una formazione politica (“Pensionati ed Invalidi”) che, stante la falsità delle autentiche sulla base delle quali è stata ammessa alla competizione elettorale, è da ritenersi nulla o insistente.
2.2 L’eccezione non ha pregio. In disparte le già svolte osservazioni sull’irrilevanza processuale del mezzo incidentale - che come non incide sull’interesse ad agire delle ricorrenti, così non può influire sulla loro legittimazione a ricorrere - resta da rilevare che Staunovo Polacco, oltre che in qualità di coordinatore nazionale del partito "Pensionati ed Invalidi", ha agito in proprio, in qualità di cittadina elettrice in Piemonte, sicché certamente sotto questo specifico e ulteriore profilo la sua legittimazione ad agire non può essere posta in dubbio.
2.3 Per argomentare l’inammissibilità del ricorso per conflitto di interessi delle ricorrenti si è dedotto, invece, che mentre Bresso Mercedes, quale candidata eletta consigliere, non avrebbe interesse alla rinnovazione della consultazione elettorale in quanto, per effetto dell’annullamento delle elezioni già celebrate, decadrebbe dalla carica di consigliere regionale; viceversa, Staunovo Polacco avrebbe interesse all’annullamento delle elezioni per poter ambire, in occasione di un rinnovato procedimento elettorale, a conquistare un seggio nel rinnovato Consiglio Regionale.
2.4 Anche quest’ultima eccezione va respinta in quanto omette di considerare che le ricorrenti, entrambe residenti in Piemonte, hanno agito in giudizio a vario titolo e, precisamente, Mercedes Bresso ha agito in proprio, in qualità di candidato presidente della coalizione di centrosinistra nonché di candidata capolista del listino "Uniti per Bresso" (Mercedes Bresso); Luigina Staunovo ha agito in proprio e in qualità di coordinatore nazionale del partito "Pensionati e Invalidi”.
Sotto il primo dei profili di legittimazione dedotti, quello dell’esercizio dell’azione “in proprio”, le posizioni soggettive delle ricorrenti coincidono.
Le stesse ricorrenti, inoltre, hanno proposto in via principale domanda di annullamento degli atti impugnati e, se si considera che il risultato elettorale non ha corrisposto alla massima aspettativa della Bresso di conseguire la presidenza della Giunta Regionale, non pare potersi negare una comunanza di interessi strumentali, tra le due ricorrenti, alla caducazione integrale della procedura elettorale.
Né pare sostenibile argomentare, a contrario, che il fatto di avere conseguito l’ufficio di consigliere regionale priverebbe Mercedes Bresso dell’interesse all'annullamento di atti che hanno comportato la sua elezione. Anche il consigliere eletto, in considerazione della rappresentanza politica e del relativo mandato, resta titolare dell'interesse teso a garantire che l'elezione avvenga nel rispetto delle regole che disciplinano la competizione elettorale.
In ogni caso, egli resta titolare dell'interesse strumentale alla riedizione della competizione in vista del raggiungimento di una posizione più favorevole alla propria coalizione.
Esaminando casi analoghi a quello in oggetto, la giurisprudenza ha escluso profili di inammissibilità per conflitto d'interessi del ricorso collettivo proposto avverso la proclamazione degli eletti anche da parte di alcuni dei consiglieri eletti, potendo gli stessi vantare un interesse strumentale all'annullamento in toto delle elezioni, al fine di divenire maggioranza nelle nuove elezioni (T.A.R. Latina, 05 giugno 2002, n. 666).
In definitiva, l’ampia latitudine delle posizioni azionate inficia la dedotta inammissibilità del ricorso introduttivo.
Sussistono, pertanto, sotto tutti i profili considerati, le condizioni per poter sindacare nel merito la fondatezza della domanda con esso introdotta.


3. Per meglio circoscrivere l’oggetto del giudizio occorre chiarire, preliminarmente, che il presupposto logico - giuridico dal quale la domanda delle ricorrenti prende le mosse attiene alla falsità delle sottoscrizioni di accettazione delle candidature inserite nella lista provinciale “Pensionati per Cota, nonché delle relative attestazioni di autenticazione.
Su tale assunto si innesta la richiesta di annullamento dell’atto di proclamazione degli eletti e dei provvedimenti di ammissione della lista “Pensionati per Cota”, collegata con il candidato alla carica di Presidente della Giunta Regionale.
3.1 Per giungere all’auspicato esito caducatorio, le ricorrenti hanno chiesto – in via principale - che il giudice amministrativo accertasse autonomamente i fatti penalmente rilevanti inerenti il falso documentale, oggetto di un indagine penale avviata a seguito di un esposto del 4 maggio 2010, depositato presso la locale Procura della Repubblica, e conclusasi con la menzionata decisione n. 2918/2013 della Quinta Sezione della Corte di Cassazione Penale.
In via subordinata, le ricorrenti hanno formulato espressa riserva di querela di falso nel termine eventualmente assegnato dal T.A.R..
3.2 Questa sezione, con la pronuncia parziale 3196/2010, ha respinto la domanda principale, ritenendo che le certificazioni sottoposte alla sua attenzione possedessero i tratti distintivi dell’atto pubblico, assunto da pubblico ufficiale e come tale assistito da fede privilegiata, ex art. 2700 c.c., revocabile in dubbio e contestabile unicamente mediante lo strumento processuale della querela di falso disciplinata agli artt. 221 e seguenti c.p.c..
3.3 La statuizione è stata confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 4395/2012.
3.4 E’ di chiara evidenza, tuttavia, che la decisione che si è consolidata in via definitiva attiene esclusivamente all’esclusione della possibilità di un autonomo accertamento dell’asserita falsità documentale da parte del giudice amministrativo.
3.5 Nessuna statuizione e conseguente preclusione è intervenuta, invece, in ordine alla possibilità per questo T.A.R. di valutare autonomamente altre pronunce giurisdizionali attestanti, con efficacia equivalente a quella emessa in esito a querela ex art. 221 c.p.c., dette ipotesi di falso. La tematica del falso penale, infatti, oltre a risultare estranea alle argomentazioni contenute in sentenza, non appare in alcun modo connessa alla questione - oggetto della pronuncia parziale - dell’accertamento autonomo del falso da parte del giudice amministrativo.
3.6 In definitiva, dal giudicato maturato sulla pronuncia parziale non discende alcun effetto preclusivo alla disamina degli esiti del giudizio penale maturati in parallelo allo svolgimento del presente procedimento.


4. Sempre al fine di chiarire la rilevanza nel presente procedimento del giudicato penale consolidatosi in capo a Michele Giovine e Carlo Giovine, è utile precisare che la Quinta sezione penale della Corte di Cassazione, con la decisione n. 2918/2013, nel respingere i ricorsi di legittimità e confermare integralmente la sentenza di condanna adottata dalla Corte d’Appello di Torino (n. 7110 del 22 maggio 2012), ha convalidato, al contempo, la declaratoria di falsità – già adottata dal giudice di secondo grado ai sensi dell’art. 537 c.p.p. - delle diciassette autenticazioni di firma poste in calce alle rispettive dichiarazioni di accettazione di candidatura relative alla lista provinciale “Pensionati per Cota”.
4.1 Quanto alle condotte di falsificazione, Giovine Carlo e Giovine Michele sono stati definitivamente condannati per aver falsamente attestato come vere e autentiche – perché apposte in loro presenza e nel luogo nel quale essi esercitavano la pubblica funzione di consigliere comunale – alcune delle firme poste in calce ai moduli di accettazione della candidatura, relative alla lista provinciale torinese dei candidati per il partito politico “Pensionati per Cota”. In tale condotta si sono estrinsecate fattispecie di falso materiale (l’apposizione di firme mediante utilizzo di nome e cognome di altra persona) e di falso ideologico (l’autenticazione di firme effettivamente apposte dagli aventi diritto ma certificate in data e luoghi diversi da quelli riportati sui documenti).
In particolare, il falso ideologico accertato è originato dal fatto che alcuni dei pretesi firmatari dei moduli di accettazione della candidatura in qualche caso non li avevano sottoscritti in presenza degli imputati, mentre in altri casi non avevano mai neppure avallato l’accettazione della candidatura, apponendo a tal fine la propria firma, oppure erano addirittura all’oscuro di essere inseriti nella lista dei candidati.
L’accertamento di tali condotte, come detto, ha imposto al giudice penale la declaratoria ai sensi dell’art. 537 c.p.p..
4.2 L’accertata falsità delle diciassette autenticazioni di firma si innesta come dato rilevante nel presente giudizio in quanto inficia la validità dell’atto di ammissione della lista provinciale “Pensionati per Cota”.
A tanto si perviene in considerazione del fatto che l’autentica della dichiarazione di accettazione delle candidature - prevista dall'articolo 32, comma 9, n. 2 del TU n. 570/1960 - è indefettibile requisito prescritto ad substantiam e non integrabile aliunde, funzionale a garantire la certezza della provenienza delle dichiarazioni medesime (Cons. St., sez. V, 08 maggio 2013, n. 2500 e 11 febbraio 2013, n. 779 ).
La mancanza o la irritualità di detto elemento essenziale della fattispecie determina non la mera irregolarità, ma la nullità insanabile della sottoscrizione, e, quindi, dello stesso atto di presentazione delle candidature (Cons. St., sez. V, 10 marzo 1998, n. 282; id., sez. V, 7 marzo 1986, n.148 e 29 giugno 1979, n. 470).
4.3 Nel caso di specie, è incontestato che l’accertata falsità delle autentiche delle sottoscrizioni fa venire meno il numero minimo di candidature per la valida presentazione della lista, stante il disposto dell’art.9, comma 5, della L. 108/1968, secondo il quale “ciascuna lista deve comprendere un numero di candidati non superiore al numero di consiglieri da eleggere nel collegio e non inferiore ad un terzo arrotondato all’unità superiore”.
4.4 Il tema del giudicato penale offre occasione per chiarire, a soluzione di una deduzione sollevata sul punto dalla difesa dei controinteressati, che il passaggio in giudicato della sentenza non è condizionato al decorso del termine di proposizione del ricorso ex art. 625 bis c.p.p., essendo questo un mezzo di impugnazione straordinaria, esperibile nei confronti di pronunce già divenute irrevocabili e in quanto tale non incidente sull‘intangibilità del loro passaggio in giudicato, ai sensi dell’art. 648 c.p.p. (cfr. Cass. pen., sez. VI, 07 gennaio 2008, n. 5694; Sez. V, 16 luglio 2009, n. 40171; sez. I, 20 maggio 2010, n. 23854; sez. VI, 08 giugno 2010, n. 25977; sez. un., 21 giugno 2012, n. 28717).
4.5 Va poi precisato che la conferma integrale della decisione del giudice d’appello priva di ragion d’essere la richiesta di rinvio dell’udienza, avanzata nel corso della discussione del 9 gennaio 2014 dalla difesa dei controinteressati e motivata dalla produzione tardiva del testo integrale sentenza della Corte di Cassazione, avvenuta in data 28 dicembre 2013 e quindi in difetto del termine minimo di 20 giorni prima dell’udienza di cui agli artt. 73, comma 1, e 130, comma 10, c.p.a.. Sul punto si osserva che, ai fini del decidere, ciò che assume rilievo è il solo dispositivo di integrale conferma della pronuncia di secondo grado, già versato in atti in data 18 novembre 2013, risultando irrilevanti le ulteriori produzioni documentali riferite alle motivazioni della pronuncia penale, in quanto afferenti a materia estranea alla statuizione accessoria del falso documentale.
5. Le premesse consentono di addivenire al tema centrale relativo alla ammissibilità e rilevanza nel presente giudizio della statuizione di falsità documentale adottata dal giudice penale ai sensi dell’art. 537 c.p.p..
5.1 I controinteressati, dopo aver fatto rilevare che il Presidente Cota e molti dei consiglieri eletti, pur costituiti nel presente giudizio, non si sono costituiti come parte civile nel processo penale a carico di Giovine Michele e Carlo, sostengono che, per effetto dell'art. 654 del vigente codice di procedura penale, la declaratoria della falsità dei predetti documenti non sarebbe loro opponibile, in quanto inidonea a spiegare autorità di giudicato in un diverso giudizio, civile o amministrativo, che veda come parti dei terzi che siano rimasti estranei al procedimento penale (Cass. Civ., sez. I, 22 novembre 1996, n. 10358; Cass. Civ., sez. I, 28 agosto 1999, n. 9070).
5.2 La questione dell’efficacia e opponibilità in altri giudizi del giudicato sulla declaratoria di falso, pronunciata ai sensi dell’art. 537 c.p.p., ha trovato in giurisprudenza scarse e inappaganti occasioni di approfondimento.
5.3 Tuttavia, costituisce dato condiviso da tutte le pronunce rinvenibili in materia che nella disciplina relativa alla dichiarazione di falsità di atti o di documenti nel processo penale concorrono due distinte ed autonome azioni, suscettibili di epiloghi differenziati: l'azione penale principale, volta all'accertamento della colpevolezza, o meno, dell'imputato (rispetto alle ipotesi di reato ex art. 476 e ss. c.p.) ed eventualmente alla pronuncia di condanna; e l'azione, accessoria, complementare e di valenza civilistica (art. 537 c.p.p.), preordinata alla tutela della fede pubblica e destinata a concludersi con la declaratoria di falsità del documento, allorché, indipendentemente dall'esito dell'altra azione, la falsità stessa sia accertata dal giudice.
5.4 Ulteriore dato pacifico è costituito dalla ratio di favor veri dell’art. 537 c.p.p., al quale si ascrive la duplice funzione di tutela della fede pubblica - realizzabile mediante la rimozione integrale dalla circolazione dell'efficacia probatoria del documento riconosciuto falso - e di attuazione dell’economia processuale nell’ambito dei rapporti tra giudizio civile e penale di falso (Cass. pen. sez. V, n. 712 del 19 gennaio 1999, n. 712; id., sez. V, 31 luglio 1997, n. 2827 e 14 ottobre 1998, n. 712).
5.5 La divaricazione funzionale e strutturale tra le due azioni veicolate nella disciplina del falso penale, induce a respingere radicalmente la possibilità di costringere la rilevanza della declaratoria di falso ex art. 537 c.p.p. nei limiti di efficacia dettati dall’art. 654 c.p.p..
Quest’ultima norma prescrive una regola di ingresso dell’efficacia del giudicato penale in altri giudizi civili e amministrativi, condizionandola, tra le altre cose, alla coincidenza soggettiva delle parti costituite nei due procedimenti. Ciò che più conta è che la regola di estensione dell’efficacia del giudicato è circoscritta ai soli fatti “materiali” afferenti all’azione criminosa, come accertati nel giudizio penale (ove il fatto va inteso in senso naturalistico, nella sua dimensione fenomenica di condotta).
5.6 Tutt’altra è la portata dell’art. 537 c.p.p., in quanto la dichiarazione di falsità ha finalità diverse da quelle proprie della repressione penale. Essa fonda sul solo fatto dell'acclarata non rispondenza al vero dell'atto o del documento, e, pertanto, è indipendente dalla circostanza che il processo penale si concluda, quanto all’accertamento della condotta di falsificazione, con un verdetto di colpevolezza o di proscioglimento. La declaratoria in esame corrisponde, infatti, alla preminente esigenza di tutela dell’interesse pubblico alla rimozione dell'efficacia probatoria del documento che ne forma oggetto e assume la tutela della fede pubblica a bene giuridico primario della collettività (o a interesse giuridico collettivo). Come tale essa è sottratta alla disponibilità delle parti - tanto che neppure l'ammissione del fatto da parte dell'imputato può di per sé sola giustificare detta dichiarazione, qualora manchi un accertamento positivo del falso, che deve essere compiuto alla luce di tutte le risultanze probatorie acquisite (Cass. pen., sez. un., 27 ottobre 1999, n. 20) - ed è doverosamente imposta al giudicante, il quale deve obbligatoriamente inserirla in dispositivo.
5.7 Sul piano processuale l’attestazione di falsità si inserisce come statuizione accessoria ma distinta, per contenuto e presupposti, dall’indagine condotta sulla condotta penale di falsificazione, configurandosi come “un accertamento atipico sul nudo fatto” (la genuinità del documento) che deve essere disposto qualunque sia l’esito penalistico del procedimento.
5.8 Nell’ottica di un inquadramento di tipo sistematico è significativo il fatto che l’art. 537 c.p.p. (già inserito sub art. 480 nel previgente codice di procedura, del quale condivideva il generale regime di efficacia erga omnes del giudicato penale), oltre a trovare collocazione topografica distinta dal 654 c.p.p., non ne ripete i contenuti limitativi riferiti all’efficacia soggettiva, né contiene elementi di rimando esplicito o implicito alla disciplina del giudicato (ove ha sede l’art. 654 c.p.p.), contenuta nel titolo I del libro decimo del codice di procedura penale.
5.9 Si tratta quindi, a ben vedere, di statuizione di accertamento di valenza civilistica tendente, al pari del giudicato che si forma a seguito della querela di falso, a rimuovere erga omnes l'efficacia probatoria del documento che ne forma oggetto e come tale astratta dalla disciplina propria del giudicato penale che viene a formarsi sulla cognizione condotta sull’actio criminis.
5.10 La controprova dell’autonomia delle due norme (artt. 654 e 537 c.p.p.) si ricava da una serie di argomenti logici e, in primis, dalla considerazione per cui, stante l’attinenza della dichiarazione di falsità alla tutela di un interesse inerente alla fede pubblica, sottratto alla disponibilità delle parti, condizionare la valenza assoluta e generalizzata di detto accertamento alla scelta della parte privata di intervenire o meno nel giudizio penale, significherebbe degradare l’interesse pubblico indisponibile ad un condizione di piena disponibilità da parte del privato, vanificando l’utilità e l’impronta pubblicistica della stessa disposizione di cui all’art. 537 c.p.p..
Così opinando, infatti, la valenza dell’accertamento di falso sarebbe rimessa alla libera scelta della parte privata di comprimere, secondo propria convenienza, gli effetti di un accertamento concepito nell’interesse giuridico della collettività e a garanzia generale della certezza dei rapporti giuridici.
5.11 Col che sarebbe lecito interrogarsi sull’utilità di un siffatto sistema di accertamento della veridicità documentale; e sulla sua coerenza con la preminente necessità di garantire la fede pubblica nel modo più energico, cioè mediante la tutela penale (che individua oltre alla falsità anche l’autore della stessa), concepita come difesa avanzata posta a presidio del “traffico giuridico” che si svolge tra i consociati e il cui presupposto è costituito dalla certezza dei mezzi di prova documentale sui quali si fonda.
5.12 Nello stesso ordine di considerazioni logico-sistematiche è doveroso osservare che la platea dei potenziali interessati a costituirsi parte civile in relazione all’accertamento di falsità di documenti di vasta rilevanza, come quelli che vengono in rilievo nel presente giudizio, è talmente ampia e differenziata da sconfinare nella sostanziale indeterminatezza. La diffusività dell’interesse al corretto espletamento della competizione elettorale, riconoscibile in capo ad ogni singolo elettore (ognuno di questi essendo legittimato ad agire in giudizio), è infatti tale da rendere pressoché impossibile l’individuazione nominativa dei terzi potenzialmente pregiudicati dalla pronuncia ex art. 537 c.p.p..
Pertanto, a voler condizionare la valenza dell’accertamento dell’art. 537 c.p.p. alla piena integrazione di tale contraddittorio, ritenendo che solo in tal caso di realizzerebbe l’opponibilità erga omnes dell’accertamento sul documento, si innescherebbe un evidente cortocircuito logico-giuridico che vanificherebbe, nuovamente, il senso e l’applicazione della norma.
5.13 Ancora, a voler ritenere insuperabili i limiti dettati dall’art. 654 c.p.p. in tema di opponibilità verso terzi del giudicato penale, di uno stesso atto pubblico dichiarato falso ex art. 537 c.p.p. verrebbe a dirsi che esso è privo di rilevanza giuridica tra le parti del giudizio penale; e che lo stesso, al contempo, è ancora efficace e opponibile ai soggetti rimasti terzi rispetto al giudizio penale. Di modo che verrebbe ad essere irrimediabilmente intaccato il proprium indefettibile dell’atto pubblico, che consiste nella sua capacità di attribuire “pubblica fede” alle dichiarazioni e ai fatti attestati dal pubblico ufficiale, con un’efficacia assoluta ed erga omnes che suggella una verità giuridica valida per tutti i consociati.
5.14 È chiaro, infatti, che l’efficacia probatoria dell’atto pubblico si estende anche nei confronti dei terzi, cioè dei soggetti che non hanno partecipato alla formazione dell’atto, nel senso che gli stessi, se interessati, potranno esigere che vengano considerate come effettuate le dichiarazioni - e veri gli altri fatti – risultanti nell’atto pubblico; le stesse dichiarazioni e gli stessi fatti non potranno dai medesimi terzi essere disconosciute.
Se questa è la natura intrinseca dell’atto pubblico, evidentemente non può darsene una variante a “efficacia soggettiva variabile”, e cioè rilevante verso taluni consociati e non rispetto ad altri.
5.15 Oltre che sul piano civilistico e negoziale, un siffatto atto pubblico ad “efficacia variabile” susciterebbe perplessità anche in ordine all’integrazione del reato di “uso di atto falso” contemplato dall’art. 489 c.p., fattispecie questa che consegue all’utilizzo che chiunque, senza essere concorso nella falsità (che si presuppone già consumata – Cass. pen., sez. II, 19ottobre 1981, n. 1978), faccia dell’atto falso.
5.16 Dall’insieme di considerazioni che precedono consegue che allo statuto sostanziale di rilevanza assoluta dell’atto pubblico deve coniugarsi uno statuto processuale di analoga forza, in quanto l’opponibilità della sentenza che accerta la genuinità dell’atto incide direttamente sull’indefettibile valenza probatoria erga omnes del documento.
5.17 Ed è inevitabile, pertanto, che i terzi, così come beneficiano della pubblicità dell’atto, pure se non ne sono stati parti, così non ne possano più beneficiare se quella pubblicità viene meno, senza poterla far rivivere o cessare a propria scelta.
5.18 In conclusione, deve ritenersi che lo statuto di rilevanza di un atto o documento è direttamente condizionato dal regime di opponibilità del giudicato che ne accerta la genuinità, sicché risulta contraddittorio predisporre un regime sostanziale di generale efficacia del documento e, al contempo, limitare la statuizione che ne riconosce l’eventuale falsità entro i circoscritti limiti del contraddittorio instaurato con le parti del giudizio penale (sul punto convengono C. Conti reg. Veneto, sez. giurisd.,10 gennaio 2007, n. 3 e 08 settembre 2006, n. 835; C. Conti reg. Emilia Romagna, sez. giurisd., 13 aprile 2005, n. 410; id., 12 febbraio 2004, n. 231 e 23 maggio 2003 n.1333; C. Conti Sezione I centr. 82/2000).
5.19 Da quanto esposto e da una generale esigenza di interpretazione delle norme che vada nel senso di farne salvo l’effetto utile sostanziale, si trae conferma del fatto che la statuizione disciplinata dall’art. 537 c.p.p. ha natura accessoria ma distinta dall’accertamento condotto sul factum criminis, e che quindi ad essa si annettono regole di opponibilità distinte da quelle contemplate dall’art. 654 c.p.p..
5.20 Ulteriori dati sistematici inducono ad avvalorare tale conclusione, ed in particolare le indicazioni ricavabili dagli artt. 221, 1° comma, e 226 e 227 c.p.c., laddove il primo – secondo unanime interpretazione dottrinaria - preclude la proposizione della querela di falso ove la verità (o falsità) del documento sia stata accertata con sentenza passata in giudicato, tanto civile quanto penale, indipendentemente dal fatto che la stessa sia stata pronunciata o meno tra le parti in causa; mentre gli artt. 226 e 227 c.p.c. impongono, nel caso di sentenza di accertamento del falso, adottata in accoglimento della querela ex art. 221 c.p.c., l’adozione delle misure esecutive previste dall’art. 480 c.p.p. (ora art. 537 c.p.p.), così confermando l’equivalenza e il parallelismo tra i due mezzi di accertamento del falso documentale, che a sua volta fornisce riscontro di quell’esigenza di economia processuale, nell’ambito dei rapporti tra giudizio penale e civile di falso, che è sottesa, unitamente all’esigenza di tutela della fede pubblica, alla ratio dell’art. 537 c.p.p..
5.21 Infine, la valenza generalizzata dell’accertamento di falsità ex art. 537 c.p.p. non pare in alcun modo contraddetta dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 304/2011, resa in esito alla questione di legittimità costituzionale sollevata nel corso di questo procedimento giudiziario dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 1000/0211.
Il tema preso in esame dalla Corte riguardava, infatti, l’accertamento incidentale di falso, attivabile su impulso di parte in occasione e in funzione di un giudizio principale condizionato dalla rilevanza probatoria del documento.
La statuizione sulla falsità del documento ex art. 537 c.p.p., per converso, esula dal perimetro della problematica indagata dal giudice di legittimità, trattandosi di giudizio privo del descritto carattere di incidentalità e del tutto estraneo al novero degli strumenti attivabili dalla parte privata.
Come noto - il giudizio penale è promuovibile unicamente dalla parte pubblica, non è strumentale a interessi privati e ha carattere meramente accidentale, potendo prendere avvio secondo fattori imponderabili e del tutto sottratti alle scelte della parte privata.
Per quanto più conta, poi, esso non nasce con finalità “probatorie”, nel senso (qui la sua “non-incidentalità”) che non è concepito per rilevare in funzione di un altro procedimento (principale), nell’ambito del quale occorra acquisire certezza di rilevanti elementi probatori documentali.
Ne consegue che la verifica della falsità da parte del giudice penale – in quanto non destinata a confluire in altro processo ai fini della definizione della controversia – riguarda il puro “documento”, a prescindere dalla specifica valenza “probatoria” che ad esso possa ascriversi in altri contesti processuali.
Da qui la sua estraneità al sistema di definizione delle questioni “pregiudiziali di falso” preso in esame dalla Corte Costituzionale.


6.1 Resta da rilevare – sempre sul tema della eccepita inopponibilità della statuizione ex art. 537 c.p.p. - che gli odierni controinteressati non adducono le ragioni concrete che avrebbero reso il loro intervento nel giudizio penale rilevante ai fini dell’accertamento della falsità dei documenti.
6.2 Sul punto è d’uopo osservare – non dopo avere premesso che la parte civile è chiamata ad interloquire nel processo penale sulla domanda risarcitoria conseguente alla condotta incriminata, coltivando un posizione astrattamente concidente con quella della pubblica accusa – che gli stessi controinteressati hanno beneficiato della facoltà di costituirsi parte civile nel processo penale e che volutamente non se ne sono avvalsi; né si sono avvalsi della facoltà, pure prevista dall’art. 537, 3° comma, c.p.p., di impugnare in via autonoma la pronuncia sulla falsità (Cass. pen., sez. un., 27 ottobre 1999, n. 20).
6.3 Ne consegue che nei loro confronti pare essersi integrata un’adeguata garanzia di tutela, secondo i parametri fissati dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 55 del 22 marzo 1971, stando ai quali la relazione di efficacia di una sentenza si esprime nei confronti di quanti siano stati in grado di partecipare al processo penale, senza che a ciò debba aggiungersi l’ulteriore condizione di una loro effettiva partecipazione, che può anche mancare per libera scelta della parte (nello stesso senso cfr. Cass. Civ. sez. I, 15 settembre 1995, n. 9770).
6.4 Va respinta, da ultimo, l’argomentazione incentrata sul 2° comma dell’art. 537 c.p.p. e tendente a sostenere che solo la cancellazione materiale del documento renderebbe la pronuncia di falsità opponibile erga omnes. Il 2° comma, infatti, è disposizione riferita non all'effetto generalizzato dell'accertata falsità degli atti o dei documenti, bensì ai provvedimenti riparatori di rilevanza meramente esecutiva che conseguono alla privazione di efficacia del documento (cancellazione, ripristino, rinnovazione o riforma dell'atto o documento).
Mentre, infatti, la dichiarazione di falsità (537 1°, comma) inerisce all’efficacia giuridica del documento, la misura ripristinatoria (537, 2° comma) attiene alla sua materiale esistenza, ma è bene ribadire che è già dalla prima che deriva la privazione di efficacia giuridica del documento.
6.5 Ancora, dalla lettura combinata degli artt. 537, 2° comma, c.p.p. e 675 c.p.p., si evince che mentre la dichiarazione di falsità costituisce una conseguenza necessaria dell'accertamento di essa, i provvedimenti c.d. riparatori, volti a realizzare la restitutio in pristinum dell'atto o del documento su cui è caduta la falsificazione, hanno invece carattere soltanto eventuale. Gli stessi sono pensati per rimediare ad eventuali omissioni occorse nella fase cognitiva e vengono adottati in stretta esecuzione dell’accertamento contenuto in sentenza, con un rito semplificato, senza attività istruttorie supplementari e senza possibilità da parte del giudice che le adotti di riesaminare il materiale probatorio acquisito, per pervenire ad un autonomo giudizio difforme dalle statuizioni adottate sul punto nel procedimento di cognizione (Cass. pen. sez. I, 13 marzo 2000; id., sez. V, 14 novembre 2001, n. 2671). Non vi è margine giuridico, quindi, per attribuire alle misure esecutive una valenza di integrazione o implementazione dell’accertamento del falso documentale, dalla quale possa farsi dipendere la portata della statuizione di falsità contenuta in sentenza.
7. Per tutto quanto fin qui esposto, ritenuta l’equivalenza e la pari efficacia assoluta della declaratoria di falso ex art. 537 c.p.p. e di quella emessa su querela di falso ex art. 221 c.p.c., in quanto entrambe risolutive della questione pregiudiziale di falso demandata dall’art. 8 c.p.a. all’autorità giudiziaria ordinaria, deve concludersi che le parti ricorrenti hanno correttamente riassunto il presente giudizio, una volta intervenuto il giudicato penale e cessata, quindi, la causa di sospensione, in conformità alle prescrizioni dettate in materia dall’art. 80 c.p.a..
8. Resta da esaminare il tema delle conseguenze invalidanti delle illegittimità emerse.
8.1 Sostengono le difese dei controinteressati che, alla stregua della normativa che disciplina le modalità di espressione del voto nelle consultazioni regionali, disciplinate dall'art. 2 della legge n. 43 del 1995, ove anche dovesse ipotizzarsi l'annullamento dell'ammissione della lista "Pensionati per Cota", nondimeno, tutti i voti espressi al Presidente collegato resterebbero validi.
8.2 Ai sensi dell’art. 2, “l'elettore esprime il suo voto per una delle liste provinciali tracciando un segno nel relativo rettangolo, e può esprimere un voto di preferenza scrivendo il cognome, ovvero il nome e cognome di uno dei candidati compresi nella lista stessa. L'elettore esprime il suo voto per una delle liste regionali anche non collegata alla lista provinciale prescelta e per il suo capolista tracciando un segno sul simbolo della lista o sul nome del capolista. Qualora l'elettore esprima il suo voto soltanto per una lista provinciale il voto si intende validamente espresso anche a favore della lista regionale collegata”.
8.3 Argomentando sul punto, i controinteressati pongono in particolare rilievo il contenuto dell’ultimo periodo dell’art. 2, secondo cui, qualora l'elettore esprima il suo voto soltanto per una lista provinciale, detto voto si intende validamente espresso anche a favore della lista regionale collegata. Ne ricavano, quindi, che anche in caso di annullamento dell'ammissione della lista "Pensionati per Cota" i voti espressi a favore della sola lista annullata ed automaticamente computati a favore del pres. Cota, ai sensi dell'art. 2 della legge n. 43 del 1995, resterebbero validamente assegnati a quest’ultimo.
8.4 A supporto di tale tesi sottolineano che il meccanismo delineato dalla norma consente all'elettore di esprimere due voti concettualmente diversi, uno per la lista provinciale ed uno per la collegata lista regionale; sicché l’eventuale invalidità del voto espresso in favore di una lista illegittimamente ammessa alla competizione elettorale non si propagherebbe al voto espresso per la lista regionale (e quindi per il candidato presidente).
E ciò in asserita osservanza della presunzione di riconducibilità della preferenza alla volontà dell’elettore, che fa sì che si debba attribuire il massimo significato possibile all’espressione di voto.
8.5 Il Collegio ritiene di non potere aderire all’impostazione in commento.
Essa trova smentita nella consolidata giurisprudenza che ha affrontato il tema prendendo costantemente le mosse dalla considerazione preliminare secondo cui la fattispecie in esame non pone un problema di “estensione” (praeter legem, secondo i controinteressati) dei vizi dei voti da una lista provinciale a quella regionale, bensì un problema di verifica della possibile perniciosa incidenza degli stessi vizi sull’andamento della consultazione elettorale nel suo insieme. Si è detto, infatti, che i voti assegnati ad una lista illegittimamente ammessa non possono essere considerati alla stregua di voti nulli o illegittimamente assegnati, bensì restano ontologicamente voti incerti, costituendo un mero coefficiente di aleatorietà che aleggia sul dato elettorale e che è impossibile rideterminare e correggere ex post (cfr. T.A.R. Molise. Sez. I, 28 maggio 2012, n.224).
L'influenza che trae origine dal collegamento politico tra le liste si esercita, infatti, principalmente sulla formazione della volontà dell'elettore, quali che siano le modalità in cui il suo voto individuale si manifesti (solo per la lista provinciale, o anche per il relativo candidato presidente).
8.6 E’ da dirsi, quindi, che il voto espresso in favore del presidente per un verso risulta indotto, almeno in una sua frazione, dal fatto che tale candidato fosse espressione di una coalizione di forze politiche, la partecipazione tra le quali della lista votata (e illegittima) poteva costituire per l'elettore motivo determinante, molteplici essendo i fattori aggregativi del consenso elettorale (non determinato, tanto meno per le elezioni amministrative, soltanto da un metro di astratta "coerenza politica"); e che, per altro verso, l'eliminazione ex post di una lista da una competizione elettorale determina un'insuperabile impossibilità di stabilire a chi quei voti sarebbero andati, non potendosi accertare in quale modo il comportamento dei suoi elettori sarebbe mutato. Sicché i voti assegnati ad una lista illegittimamente ammessa sono ontologicamente dei voti incerti, non potendosi escludere che una diversa configurazione del quadro politico avrebbe potuto determinare orientamenti di voto ed esiti finali diversi da quelli registrati.
8.7 Il descritto effetto perturbatore indotto sull’elettorato dalla presenza della lista non legittimata, è ulteriormente amplificato dal meccanismo del premio di maggioranza introdotto dall’art. 3 della L. 43/1995 e appare particolarmente evidente nelle ipotesi - come quella in esame - in cui l’esito della consultazione è deciso da scarti differenziali assai contenuti. Proprio in questi casi è rilevante - e va tenuto in debita considerazione anche in fase contenziosa - l’apporto marginale delle liste minori (spesso di estemporanea formazione), aggregate alla coalizione al preordinato fine di massimizzarne la capacità ricettiva del consenso.
8.8 Superata l’obiezione della permanenza di validità del voto, nei termini sin qui esposti, resta da ribadire il principio guida costantemente affermato dalla giurisprudenza, in ipotesi di illegittima ammissione di una lista, secondo cui, al fine di una giusta composizione di due esigenze egualmente fondamentali per l'ordinamento, l'una inerente alla conservazione - nei limiti del possibile - degli atti giuridici e alla massima utilizzazione dei relativi effetti, e l'altra inerente alla salvaguardia della volontà dell'elettore dall'influenza di eventuali cause perturbatrici, bisogna tener conto della consistenza numerica dei voti espressi a favore della lista illegittimamente ammessa. Quando essa non sia tale da alterare in modo rilevante la posizione conseguita dalle liste legittimamente ammesse, piuttosto che annullarsi integralmente il risultato delle elezioni e disporsi quindi la rinnovazione di esse, va esercitato il potere di correzione (cfr. Cons. Stato, V, 23 agosto 2000, n.4586; id., sez. V, 07 marzo 2001, n. 1343; id., sez. V, 18 giugno 2001, n. 3212).
8.9 Si tratta quindi di apprezzare la consistenza dell’indebito perturbamento o dell’illegittima influenza esercitati sulla consultazione elettorale dalla presenza della lista che non doveva essere ammessa e, laddove sia riscontrabile un effetto perturbante tale da alterare in modo non trascurabile la posizione conseguita dalle liste legittimamente ammesse, si impone l’annullamento delle elezioni e la rinnovazione del procedimento elettorale (cfr. Cons. St., sez. V, 10 maggio 1999, n. 535; id., sez. V, 23 agosto 2000, n.4586 e 7 marzo 2001, n. 1343).
Il che, in definitiva, impone di verificare che la consistenza numerica dei voti espressi a favore della lista illegittimamente ammessa sia prevalente rispetto ai voti di scarto tra le due coalizioni più votate.
8.10 Proprio questo requisito, della necessità di una non trascurabile preponderanza dei voti ricevuti dalla lista illegittimamente ammessa (15.805) rispetto allo scarto dei voti registrato tra i due candidati alla presidenza risultati più votati (9.157), sussiste ampiamente nel caso di specie, ed è un criterio che può dirsi - per quanto sin qui esposto - costante e pacifico nella giurisprudenza (cfr., tra le altre, Cons. St., sez. V, 29 ottobre 2012, n. 5504; id., 31 marzo 2012, n. 1889; 20 marzo 2006, n. 1437; 18 giugno 2001, n. 3212; 7 marzo 2001, n.1343; 10 maggio 1999, n. 535).
8.11 A puro titolo di inciso e in applicazione dei principi sin qui espressi, occorre osservare, infine, che l’eventuale ammissibilità e fondatezza del ricorso incidentale depositato da Michele Giovine in data 7 giugno 2012 giammai avrebbe consentito di prefigurare soluzioni conservative dell’esito elettorale, secondo un criterio di prova di resistenza che - al netto di tutti i voti invalidi riferiti alle liste illegittimamente ammesse su entrambi i fronti politici - avesse visto nuovamente prevalere, sul piano numerico, il presidente Cota.
Ed infatti, una volta acclarato il superamento della soglia critica costituita dal rapporto tra voti espressi a favore di una lista illegittimamente ammessa e voti di scarto tra le due coalizioni più votate, la presenza di ulteriori liste illegittime non farebbe che incrementare ulteriormente l’effetto perturbatore esercitato sulla consultazione elettorale, rendendone quindi l’esito a maggior ragione opaco e non suscettibile di interpretazione o correzione ex post.
8.12 In conclusione, va ritenuto fondata e accoglibile la domanda formulata dalle ricorrenti in via principale e, una volta stabilito che la lista provinciale illegittimamente ammessa ha influito in modo determinante sul risultato elettorale, non può non trarsi la dovuta conseguenza che da tale illegittima ammissione viene invalidato e travolto tutto il procedimento elettorale, complessivamente inteso, che va quindi rinnovato.
Va quindi accolta la domanda di annullamento dell’atto di proclamazione degli eletti, unitamente agli atti presupposti oggetto di impugnativa, ai fini della rinnovazione della competizione elettorale.
9. Non si ravvisano i presupposti, infine, per l’applicazione dell’art. 89 c.p.c., invocato dalla parte controinteressata Franchino (pag. 10 memoria avv. Strambi) in relazione ad un capoverso (pag. 23) della memoria di parte ricorrente, del 24 dicembre 2013, riferito a specifici risvolti in fatto della vicenda penalistica connessa al presente giudizio.
La sussistenza delle condizioni per la cancellazione di espressioni sconvenienti e offensive contenute negli scritti difensivi, prevista dall'art. 89 c.p.c. va infatti ravvisata allorquando le espressioni in parola siano dettate da un passionale ed incomposto intento dispregiativo e rilevino, pertanto, un’esclusiva volontà offensiva nei confronti della controparte (o dell'ufficio) non bilanciata da alcun profilo di attinenza, anche indiretta, con la materia controversa (Cass. civ., sez. I, 06 luglio 2004 n. 12309; id., sez. III, 06 dicembre 2011, n. 26195).
Nel caso in esame, la formulazione delle espressioni contestate non pare censurabile sotto il profilo dell’assoluta mancanza di pertinenza con i temi di causa, né paiono ravvisabili nella stessa accenti di intonazione volutamente offensiva o spregiativa, gratuitamente intesi a denigrare la parte.
10. Ai fini della regolamentazione delle spese di lite si ravvisano giusti motivi di compensazione integrale tra tutte le parti in giudizio, in considerazione, oltre che della complessità e peculiarità delle questioni trattate, anche della riscontrata sussistenza, in fatto, di diffusi e generalizzati profili di irregolarità nello svolgimento della competizione elettorale.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,
accoglie il ricorso principale, come integrato dai motivi aggiunti, e per l’effetto annulla l’atto di proclamazione degli eletti, unitamente agli atti presupposti oggetto di impugnativa, ai fini della rinnovazione della competizione elettorale.
Dichiara inammissibile il ricorso incidentale.
Compensa integralmente le spese di lite tra tutte le parti in giudizio.
Manda alla Segreteria di provvedere agli incombenti di cui all’art. 130, comma 8, c.p.a..
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 9 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Lanfranco Balucani, Presidente
Paola Malanetto, Primo Referendario
Giovanni Pescatore, Referendario, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/01/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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