martedì 3 giugno 2014

PROCESSO: il termine annuale previsto dall'art. 31 co. 2 C.p.A., in materia di silenzio-inadempimento, non è perentorio (Cons. St., Sez. V, sentenza 27 maggio 2014 n. 2742).


PROCESSO: 
il termine annuale previsto 
dall'art. 31 co. 2 C.p.A.,
 in materia di silenzio-inadempimento,
 non è perentorio 
(Cons. St., Sez. V, 
sentenza  27 maggio 2014 n. 2742).


Repetita iuvant (anche se "perseverare diabolicum est"!).

Massima (di Filippo De Luca).

1. Alla stregua di consolidata giurisprudenza, si deve escludere che il termine annuale previsto dall’art. 31, co. 2, c.p.a., produca una decadenza sostanziale che colpisce la posizione soggettiva, atteggiandosi invece a mera sanzione processuale, che non impedisce la proposizione di autonomo giudizio a seguito della presentazione di una nuova istanza volta al conseguimento del provvedimento amministrativo.
2. Per espressa previsione di legge (art. 31, co. 2, c.p.a.) secondo la quale: “è fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti”, la decorrenza del termine annuale incide soltanto sul piano processuale, senza che si produca nessuna vicenda estintiva dell’interesse legittimo pretensivo sotteso all’iniziativa procedimentale di parte; pertanto, se tale situazione giuridica soggettiva persiste in capo al cittadino anche dopo un anno dalla formazione del silenzio-rifiuto, sussiste pure la legittimazione a riproporre l’istanza di avvio del procedimento e, conseguentemente, a promuovere l’azione avverso il silenzio.
3. Va soggiunto che, stante la natura del termine in una con la relativa ratio, la diffida a provvedere va equiparata ad una nuova istanza ai sensi dell'art. 31, comma 2, c.p.a.



Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5301 del 2013, proposto da:
Comune di Atina, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Antonio Caputo, con domicilio eletto presso Francesco A. Caputo in Roma, via Ugo Ojetti, 114; 
contro
Acea Ato 5 Spa, rappresentata e difesa dagli avv.ti Carlo Mirabile, Pasquale Cristiano e Alessandro Mannocchi, con domicilio eletto presso Carlo Mirabile in Roma, via Borgognona 47;
nei confronti di
Autorità d'Ambito Territoriale Ottimale N.5-Lazio Meridionale-Frosinone; 
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. Lazio - Sez. staccata di Latina, Sezione I n. 356/2013, resa tra le parti, concernente inadempimento dell’obbligo di provvedere all'integrale consegna delle opere, dei beni e degli impianti pertinenti il servizio idrico integrato insistenti nel territorio comunale di Cassino;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Acea Ato 5 Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 maggio 2014 il Cons. Francesco Caringella e uditi per le parti gli avvocati Francesco Antonio Caputo e Carlo Mirabile;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. Acea Ato 5 s.p.a., quale gestore del servizio idrico integrato (S.I.I.) nell'Ambito Territoriale Ottimale n. 5 (Lazio meridionale - Frosinone), ha proposto ricorso al TAR del Lazio, sede di Latina, ai sensi degli artt. 31 e 117 del d.lgs. n. 104/2010, al fine di ottenere:
1) l'accertamento e la declaratoria dell'inadempimento del Comune di Atina e dell'A.A.T.O. n. 5, ciascuno per quanto di competenza, all'obbligo di provvedere in favore dell'ACEA S.p.A. alla consegna integrale delle opere, dei beni e degli impianti pertinenti il servizio idrico integrato insistenti nel territorio comunale di Atina;
2) la consequenziale condanna del Comune di Atina e dell'A.A.T.O. n. 5, ciascuno per quanto di competenza, a provvedere alla consegna integrale in favore dell'ACEA S.p.A. delle opere, dei beni e degli impianti pertinenti il servizio idrico integrato insistenti nel territorio comunale di Atina;
3) la nomina di un Commissario ad acta incaricato di provvedere, ove le Amministrazioni non provvedano, entro il termine stabilito dall'adito Tribunale.
La società ricorrente esponeva:
- di essere stata individuata dall'A.A.T.O. quale soggetto gestore del S.I.I., stipulando con la citata Autorità d'Ambito il 27 giugno 2003 la convenzione per la gestione del servizio, ma di essersi sin da subito trovata dinanzi ad una condotta inadempiente e non collaborativa da parte del Comune di Atina;
- che, più specificamente, il predetto Comune, pur avendo sottoscritto con la ricorrente un verbale preliminare di consegna delle opere in data 3 marzo 2004 ed un verbale definitivo in data 5 maggio 2004, non avrebbe né sottoscritto gli allegati a quest'ultimo verbale, contenenti la descrizione e la ricognizione degli impianti afferenti il S.I.I. oggetto di consegna al gestore, né avrebbe provveduto alla consegna dei beni, di fatto non consentendo ad ACEA ATO 5 S.p.A. il subentro nella gestione del S.I.I. nel territorio comunale di Atina;
- che nonostante le ripetute richieste di consegna e le riunioni effettuate, l'obbligo di consegna delle reti e degli impianti afferenti il S.I.I. restava inadempiuto dal Comune di Atina ed anzi quest'ultimo, con deliberazioni della Giunta Municipale nn. 143-146 del 26 novembre 2010, avrebbe autorizzato allacci alla rete idrica (che continuava nel frattempo a gestire direttamente) anche ad utenti residenti al di fuori del proprio territorio comunale;
- che anche l'atteggiamento tenuto dall'Autorità d'Ambito sarebbe censurabile, risolvendosi esso, in buona sostanza, da un lato, nella presa d'atto dell'inerzia del Comune di Atina (tanto da richiedere l'intervento sostitutivo della Regione), dall'altro, però, nella pretesa di far ricadere sull'ACEA ATO 5 S.p.A. il ritardo nell'acquisizione degli impianti;
- che allo stato, nonostante, da ultimo, la diffida inoltrata in data 3 agosto 2012 al Comune di Atina, quest'ultimo non avrebbe ancora provveduto all'adempimento dell'obbligo di consegna delle reti e degli impianti inerenti il S.I.I.;
- che, quindi, l'ACEA ATO 5 S.p.A. non avrebbe ottenuto la totalità della concessione del S.I.I. nel territorio del Comune di Atina, con evidenti effetti negativi sulla remuneratività e sull'efficienza del servizio;
A supporto del gravame la ricorrente ha dedotto, con un unico motivo, le doglianze di violazione degli artt. 12 della l. n. 36/1994, 148 e 153 del d.lgs. n. 152/2006, degli artt. 20, comma 1, e 24 della convenzione di cooperazione, dell'art. 19 della convenzione di gestione e dell'art. 19 del disciplinare tecnico.
Il TAR Lazio, con la sentenza 23.04.2013 n. 356, ha accolto il ricorso nella parte in cui era rivolto avverso il Comune di Atina e per l'effetto ha dichiarato illegittima l'inerzia serbata dal predetto Comune sulla diffida/nuova istanza presentata dalla ricorrente il 3 agosto 2012, ordinando al medesimo Comune di provvedere su detta istanza mediante l'esecuzione delle attività di ricognizione ed affidamento in concessione di cui agli artt. 20 e 24 della convenzione di cooperazione nonché con la consegna materiale delle opere e impianti afferenti il S.I.I., entro il termine di novanta giorni. Il Collegio giudicante ha altresì nominato un Commissario ad acta. Il ricorso è stato, invece, respinto nella parte in cui era rivolto avverso l'Autorità d'Ambito.
Il Comune di Atina ha proposto appello al Consiglio di Stato.
Si è costituita l’originaria ricorrente.
La società Acea Ato 5 s.p.a. si è costituita nel giudizio di appello e ha concluso per il rigetto del gravame proposto.
Le parti hanno affidato al deposito di apposite memorie l’ulteriore illustrazione delle rispettive tesi difensive.
2. L’appello è infondato.
2.1. Non merita accoglimento, in primo luogo, il motivo con il quale parte l’appellante deduce l’inammissibilità del ricorso originario in ragione dell’omessa impugnazione di una pregressa determinazione amministrativa.
L’Amministrazione comunale appellante indica un precedente giurisprudenziale (Cons. Stato, Sez. V, 2 maggio 2013, n. 2398), asseritamente afferente ad una vicenda analoga a quella oggetto del presente giudizio, al fine di sostenere l’inammissibilità del ricorso introduttivo per mancanza dei presupposti per l’attivazione del ricorso avverso il silenzio, in ragione della sussistenza, anche nel caso oggetto del presente giudizio, di un’inoppugnata nota della P.A. idonea a determinare un arresto procedimentale.
Si deve osservare che, in realtà, i due casi risultano differenti, anche se entrambi vertono sugli stessi accordi negoziali rispetto ai quali si sarebbe perpetrata l’inerzia amministrativa con riguardo all’istanza volta alla consegna degli impianti inerenti al S.I.I.
Nella vicenda definita con la citata sentenza n. 2398/2013 la nota emanata dall’Amministrazione, infatti, comunicava che “il trasferimento degli impianti dell'acquedotto del centro urbano di Cassino all'ATO 5 non può essere in alcun modo effettuato, in quanto mancano i presupposti amministrativi e legali perché ciò possa avvenire” e concludeva informando che “il Comune di Cassino si opporrà in tutte le sedi, con tutti i mezzi legali, a qualsiasi iniziativa che porti al trasferimento in oggetto senza previa risoluzione di tutte le problematiche a monte”. A sua volta, con la successiva nota prot. n. 48239 del 10.10.2007, il Comune di Cassino confermava che non avrebbe effettuato alcuna consegna.
Dette note, quindi, non avevano contenuto meramente interlocutorio ma, al contrario, manifestavano chiaramente l'inequivoca intenzione del Comune di Cassino di non addivenire alla consegna degli impianti, in tal guisa incidendo in maniera diretta e negativa sull’interesse di ACEA ATO 5 ad ottenere la consegna degli impianti.
Nella fattispecie qui in rilievo, invece, la nota del 27 ottobre 2012, adottata in risposta alla succitata diffida dell'ACEA, ATO 5 S.p.A., richiama l'esigenza di “svolgere in contraddittorio la preliminare attività tecnica/ricognitiva necessaria per il trasferimento delle opere, beni ed impianti funzionali al S.I.I.”. Tale nota, in ciò chiaramente differenziandosi dalla fattispecie precedentemente esaminata, non solo non contiene una risposta negativa, necessitante di immediata impugnazione, ma, al contrario, contiene il riconoscimento dell’inadempimento degli obblighi convenzionali, pur se accompagnato dall’indicazione di percorso procedurale da seguire per l’effettuazione della consegna.
La nota del 27 ottobre, in altri termini, non può essere considerata come un diniego esplicito né come un provvedimento dotato di autonoma capacità lesiva, manifestandosi in concreto come un atto soprassessorio, inidoneo in sé a determinare un arresto procedimentale. In ragione della sua natura meramente interlocutoria e della descritta inidoneità a manifestare la volontà dell'Amministrazione, l’atto soprassessorio non è autonomamente impugnabile (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 3 maggio 2012, n. 2530) e non rende inammissibile l’azione avverso il silenzio.
2.2. E’ infondato anche il secondo motivo di appello con cui si deduce la violazione del principio del ne bis in idem, collegata all’instaurazione, innanzi al Tribunale di Cassino, di una causa, recante n. r.g. 2747/2011, con identiche parti ed identici petitum causa petendi.
A confutazione della doglianza si deve rimarcare che, ai fini dell’applicazione dell’istituto della litispendenza (art. 39 c.p.c.), i due giudici aditi debbono appartenere al medesimo plesso giurisdizionale: la contemporanea presenza, infatti, della stessa causa dinanzi al giudice ordinario e a quello amministrativo esula dalla nozione di litispendenza, integrando piuttosto una questione di giurisdizione.
Anche la Corte di Cassazione ha recentemente ribadito che la litispendenza, ai sensi dell’art. 39 c.p.c., “si riferisce alla proposizione della stessa causa di fronte a giudici diversi nell’ambito della giurisdizione ordinaria” (Cass., Sez. VI civ., 20 maggio 2013, n. 12187) e, pertanto, “non può valere ad introdurre deroghe ai criteri di riparto della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice di diversa giurisdizione, ancorché aditi con la medesima domanda” (Cass. 30/7/2007, n. 16834; Cass. civ. SS.UU., n. 5243 del 1981).
2.3. E’ infondato anche il terzo motivo di gravame con cui l’amministrazione comunale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso introduttivo stante la decadenza dall’azione ex art. 117 c.p.a. per decorso del termine annuale previsto dall’art. 31, co. 2, c.p.a.
Sul punto, la sentenza del TAR Lazio ha ritenuto ricevibile il ricorso poiché introdotto entro un anno dalla diffida che Acea Ato 5 s.p.a. ha inviato al Comune di Atina il 3 agosto 2012.
A conferma della statuizione si deve notare che, alla stregua di consolidata giurisprudenza, si deve escludere che il termine annuale previsto dall’art. 31, co. 2, c.p.a., produca una decadenza sostanziale che colpisce la posizione soggettiva, atteggiandosi invece a mera sanzione processuale che non impedisce la proposizione di autonomo giudizio a seguito della presentazione di una nuova istanza volta al conseguimento del provvedimento amministrativo.
Per espressa previsione di legge (art. 31, co. 2, c.p.a., secondo alinea: “è fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti”), infatti, la decorrenza del termine annuale incide soltanto sul piano processuale, senza che si produca nessuna vicenda estintiva dell’interesse legittimo pretensivo sotteso all’iniziativa procedimentale di parte: pertanto, se tale situazione giuridica soggettiva persiste in capo al cittadino anche dopo un anno dalla formazione del silenzio-rifiuto, sussiste pure la legittimazione a riproporre l’istanza di avvio del procedimento e, conseguentemente, a promuovere l’azione avverso il silenzio.
Va soggiunto che, stante la natura del termine in una con la relativa ratio, la diffida a provvedere va equiparata ad una nuova istanza ai sensi dell'art. 31, comma 2, c.p.a.
2.4. Il Comune di Atina, come ulteriore motivo di appello, deduce l’inammissibilità del ricorso introduttivo alternativamente: a) se considerato come attinente ad attività discrezionale, in quanto volto ad ottenere una pronuncia sulla fondatezza dell’istanza in eccesso di potere giurisdizionale b) se considerato come afferente ad una mera attività materiale della p.A., in quanto la materia del contendere sarebbe estranea alla giurisdizione amministrativa e rientrerebbe invece nella giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche.
L’ipotesi sub a) risulta non attinente al caso di specie, dal momento che ci si trova di fronte ad un’attività amministrativa vincolata, poiché il Comune, a fronte della Convenzione di cooperazione stipulata, deve eseguire le attività di ricognizione ed affidamento in concessione di cui agli artt. 20 e 24 della citata Convenzione nonché consegnare materialmente le opere e gli impianti afferenti il S.I.I.
Gli Enti locali ricompresi nell'A.T.O. n. 5 ebbero, infatti, ad approvare, nella Conferenza dei Sindaci del 2 ottobre 1996, una convenzione di cooperazione, stipulata ai sensi dell'art. 9 della l. n. 36/1994, nonché ai sensi degli artt. 4, comma 1, lett. a), della l.r. n. 6/1996 e 24 della l. n. 142/1990, avente ad oggetto la regolamentazione dell'organizzazione e del controllo della gestione del S.I.I. (servizio idrico integrato, costituito dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e depurazione delle acque reflue, che ricadono all'interno dell'A.T.O. appena indicato).
Tale convenzione, da ricomprendere nella categoria degli accordi tra Pubbliche Amministrazioni di cui all'art. 15 della l. n. 241/1990, ha stabilito, all'art. 24, l'obbligo, per i Comuni convenzionati, di affidare in concessione al soggetto gestore del S.I.I. (con le modalità definite nell'ambito della convenzione per la gestione del servizio stesso), le opere, beni ed impianti pertinenti i servizi idrici gestiti anche in economia, e di trasferirgli le immobilizzazioni, le attività e le passività relative, nonché il personale addetto ai servizi idrici (dei singoli Enti locali che risultano compresi nell'A.T.O.).
La consegna di beni, impianti ed opere pertinenti il S.I.I. non può prescindere dall'attività di ricognizione delle opere di captazione, adduzione, distribuzione, fognatura e depurazione presenti nel territorio comunale (cfr. art. 20 della convenzione di cooperazione), di indubbia natura pubblicistica (v. T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, sent. n. 600/2012 e ord. n. 858/2006), di modo che la medesima consegna non rappresenta una mera attività materiale, ma si esplica attraverso provvedimenti amministrativi, avvenendo essa mediante l'affidamento in concessione di opere, beni ed impianti pertinenti il S.I.I. (art. 24 della convenzione di cooperazione), con il corollario della piena esperibilità dell'azione ex artt. 31 e 117 c.p.a. Tali attività, ad ogni modo, risultano vincolate, poiché, a fronte di quanto stipulato in sede di accordo fra PP.AA., la ricognizione delle opere e la successiva loro consegna non risultano oggetto di possibili scelte fra più comportamenti giuridicamente leciti volti a perseguire l’interesse pubblico.
2.5. Con l’ipotesi sub b), l’appellante sostiene infine l’inammissibilità del ricorso introduttivo, se considerato come afferente ad una mera attività materiale della p.A., in quanto la materia del contendere sarebbe estranea alla giurisdizione amministrativa e rientrerebbe invece nella giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche.
Anche tale motivo risulta infondato.
L’art. 140 del R.D. n. 1775/1933 devolve al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche le controversie aventi ad oggetto la demanialità delle acque, i limiti dei corsi o bacini, i diritti relativi alle deviazioni e alle utilizzazioni dell’acqua pubblica: in base alla citata norma non è possibile includere nella cognizione del TSAP le controversie concernenti il diritto del concessionario alla corretta applicazione delle disposizioni regolanti la concessione delle opere e degli impianti pertinenti il S.I.I.
L’art. 143, co. 1, lett. a) dello stesso R.D., invece, attribuisce alla cognizione del TSAP i ricorsi avverso i provvedimenti definitivi della P. A. in materia di acque pubbliche; secondo la giurisprudenza prevalente afferiscono alla giurisdizione del TSAP, dunque, tutti i ricorsi contro provvedimenti caratterizzati dall’incidenza immediata e diretta sulla materia delle acque pubbliche, ancorché adottati da autorità diverse da quelle specificamente preposte alla tutela delle acque.
Ai fini del riparto di giurisdizione, di conseguenza, il discrimine viene individuato dall’incidenza diretta o meno del provvedimento amministrativo sul governo delle acque pubbliche (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 25 maggio 2010, n. 3325). La giurisdizione del TSAP sussiste quando si impugnano provvedimenti amministrativi che incidano direttamente sul regime delle acque pubbliche, nel senso che concorrano, in concreto, a disciplinare la gestione e l'esercizio delle opere idrauliche o a determinare i modi di acquisto dei beni necessari all'esercizio e alla realizzazione delle opere stesse od a stabilire o modificarne la localizzazione o a influire nella loro realizzazione mediante sospensione o revoca dei relativi provvedimenti.
Si deve notare però che l'incidenza diretta del provvedimento amministrativo sul regime delle acque pubbliche, che radica la giurisdizione di legittimità del Tribunale superiore delle acque pubbliche, è configurabile non solo quando l'atto provenga da organo amministrativo preposto alla cura di pubblici interessi in tale materia e costituisca manifestazione dei poteri attributi a tale organo per vigilare o disporre in ordine agli usi delle acque, ma anche quando l'atto, ancorché proveniente da organi dell'amministrazione non preposti alla cura degli interessi del settore, finisca, tuttavia, con l'incidere immediatamente sull'uso delle acque pubbliche, in quanto interferisca con i provvedimenti relativi a tale uso, autorizzando, impedendo o modificando i lavori relativi.
Nel caso di specie non si ravvisa tale incidenza diretta sul regime delle acque pubbliche, potendosi al più ipotizzare un incidenza indiretta del comportamento inerte tenuto dalla P.A., non idonea a radicare la giurisdizione del TSAP (cfr. ancora Cons. Stato, Sez. V, 25 maggio 2010, n. 3325).
La controversia in esame, avendo ad oggetto l'esecuzione dell'obbligo previsto dall'art. 24 della convenzione di cooperazione approvata dalla Conferenza dei Sindaci del 2 ottobre 1996, riguarda, pertanto, l'esecuzione di un accordo tra Pubbliche Amministrazioni, con il corollario della sua devoluzione alla giurisdizione esclusiva del G.A. ex art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, c.p.a.
3. Le considerazioni che precedono impongono la reiezione del ricorso.
Sussistono, tuttavia, alla luce della complessità delle questioni affrontate, giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Mario Luigi Torsello, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere, Estensore
Manfredo Atzeni, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/05/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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