PROCESSO:
il termine annuale previsto
dall'art. 31 co. 2 C.p.A.,
in materia di silenzio-inadempimento,
non è perentorio
(Cons. St., Sez. V,
sentenza 27 maggio 2014 n. 2742).
Repetita iuvant (anche se "perseverare diabolicum est"!).
Massima (di Filippo De Luca).
1. Alla
stregua di consolidata giurisprudenza, si deve escludere che il termine annuale
previsto dall’art. 31, co. 2, c.p.a., produca una decadenza sostanziale che
colpisce la posizione soggettiva, atteggiandosi invece a mera sanzione
processuale, che non impedisce la proposizione di autonomo giudizio a seguito
della presentazione di una nuova istanza volta al conseguimento del
provvedimento amministrativo.
2. Per
espressa previsione di legge (art. 31, co. 2, c.p.a.) secondo la quale: “è
fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne
ricorrano i presupposti”, la decorrenza del termine annuale incide soltanto sul
piano processuale, senza che si produca nessuna vicenda estintiva
dell’interesse legittimo pretensivo sotteso all’iniziativa procedimentale di
parte; pertanto, se tale situazione giuridica soggettiva persiste in capo al
cittadino anche dopo un anno dalla formazione del silenzio-rifiuto, sussiste
pure la legittimazione a riproporre l’istanza di avvio del procedimento e, conseguentemente,
a promuovere l’azione avverso il silenzio.
3. Va
soggiunto che, stante la natura del termine in una con la
relativa ratio, la diffida a provvedere va equiparata ad una nuova
istanza ai sensi dell'art. 31, comma 2, c.p.a.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha
pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale
5301 del 2013, proposto da:
Comune di Atina, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Antonio Caputo, con domicilio eletto presso Francesco A. Caputo in Roma, via Ugo Ojetti, 114;
Comune di Atina, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Antonio Caputo, con domicilio eletto presso Francesco A. Caputo in Roma, via Ugo Ojetti, 114;
contro
Acea Ato 5 Spa, rappresentata e difesa
dagli avv.ti Carlo Mirabile, Pasquale Cristiano e Alessandro Mannocchi, con
domicilio eletto presso Carlo Mirabile in Roma, via Borgognona 47;
nei confronti di
Autorità d'Ambito Territoriale Ottimale
N.5-Lazio Meridionale-Frosinone;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. Lazio -
Sez. staccata di Latina, Sezione I n. 356/2013, resa tra le parti, concernente
inadempimento dell’obbligo di provvedere all'integrale consegna delle opere,
dei beni e degli impianti pertinenti il servizio idrico integrato insistenti
nel territorio comunale di Cassino;
Visti il ricorso in appello e i relativi
allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio
di Acea Ato 5 Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno
6 maggio 2014 il Cons. Francesco Caringella e uditi per le parti gli avvocati
Francesco Antonio Caputo e Carlo Mirabile;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto
quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Acea Ato 5 s.p.a., quale gestore del
servizio idrico integrato (S.I.I.) nell'Ambito Territoriale Ottimale n. 5
(Lazio meridionale - Frosinone), ha proposto ricorso al TAR del Lazio, sede di
Latina, ai sensi degli artt. 31 e 117 del d.lgs. n. 104/2010, al fine di
ottenere:
1) l'accertamento e la declaratoria
dell'inadempimento del Comune di Atina e dell'A.A.T.O. n. 5, ciascuno per
quanto di competenza, all'obbligo di provvedere in favore dell'ACEA S.p.A. alla
consegna integrale delle opere, dei beni e degli impianti pertinenti il
servizio idrico integrato insistenti nel territorio comunale di Atina;
2) la consequenziale condanna del Comune
di Atina e dell'A.A.T.O. n. 5, ciascuno per quanto di competenza, a provvedere
alla consegna integrale in favore dell'ACEA S.p.A. delle opere, dei beni e
degli impianti pertinenti il servizio idrico integrato insistenti nel
territorio comunale di Atina;
3) la nomina di un Commissario ad
acta incaricato di provvedere, ove le Amministrazioni non provvedano,
entro il termine stabilito dall'adito Tribunale.
La società ricorrente esponeva:
- di essere stata individuata
dall'A.A.T.O. quale soggetto gestore del S.I.I., stipulando con la citata
Autorità d'Ambito il 27 giugno 2003 la convenzione per la gestione del
servizio, ma di essersi sin da subito trovata dinanzi ad una condotta
inadempiente e non collaborativa da parte del Comune di Atina;
- che, più specificamente, il predetto
Comune, pur avendo sottoscritto con la ricorrente un verbale preliminare di
consegna delle opere in data 3 marzo 2004 ed un verbale definitivo in data 5
maggio 2004, non avrebbe né sottoscritto gli allegati a quest'ultimo verbale,
contenenti la descrizione e la ricognizione degli impianti afferenti il S.I.I.
oggetto di consegna al gestore, né avrebbe provveduto alla consegna dei beni,
di fatto non consentendo ad ACEA ATO 5 S.p.A. il subentro nella gestione del
S.I.I. nel territorio comunale di Atina;
- che nonostante le ripetute richieste di
consegna e le riunioni effettuate, l'obbligo di consegna delle reti e degli
impianti afferenti il S.I.I. restava inadempiuto dal Comune di Atina ed anzi
quest'ultimo, con deliberazioni della Giunta Municipale nn. 143-146 del 26
novembre 2010, avrebbe autorizzato allacci alla rete idrica (che continuava nel
frattempo a gestire direttamente) anche ad utenti residenti al di fuori del
proprio territorio comunale;
- che anche l'atteggiamento tenuto
dall'Autorità d'Ambito sarebbe censurabile, risolvendosi esso, in buona
sostanza, da un lato, nella presa d'atto dell'inerzia del Comune di Atina
(tanto da richiedere l'intervento sostitutivo della Regione), dall'altro, però,
nella pretesa di far ricadere sull'ACEA ATO 5 S.p.A. il ritardo
nell'acquisizione degli impianti;
- che allo stato, nonostante, da ultimo,
la diffida inoltrata in data 3 agosto 2012 al Comune di Atina, quest'ultimo non
avrebbe ancora provveduto all'adempimento dell'obbligo di consegna delle reti e
degli impianti inerenti il S.I.I.;
- che, quindi, l'ACEA ATO 5 S.p.A. non
avrebbe ottenuto la totalità della concessione del S.I.I. nel territorio del
Comune di Atina, con evidenti effetti negativi sulla remuneratività e
sull'efficienza del servizio;
A supporto del gravame la ricorrente ha
dedotto, con un unico motivo, le doglianze di violazione degli artt. 12 della
l. n. 36/1994, 148 e 153 del d.lgs. n. 152/2006, degli artt. 20, comma 1, e 24
della convenzione di cooperazione, dell'art. 19 della convenzione di gestione e
dell'art. 19 del disciplinare tecnico.
Il TAR Lazio, con la sentenza 23.04.2013
n. 356, ha accolto il ricorso nella parte in cui era rivolto avverso il Comune
di Atina e per l'effetto ha dichiarato illegittima l'inerzia serbata dal
predetto Comune sulla diffida/nuova istanza presentata dalla ricorrente il 3
agosto 2012, ordinando al medesimo Comune di provvedere su detta istanza
mediante l'esecuzione delle attività di ricognizione ed affidamento in
concessione di cui agli artt. 20 e 24 della convenzione di cooperazione nonché
con la consegna materiale delle opere e impianti afferenti il S.I.I., entro il termine
di novanta giorni. Il Collegio giudicante ha altresì nominato un
Commissario ad acta. Il ricorso è stato, invece, respinto nella
parte in cui era rivolto avverso l'Autorità d'Ambito.
Il Comune di Atina ha proposto appello al
Consiglio di Stato.
Si è costituita l’originaria ricorrente.
La società Acea Ato 5 s.p.a. si è
costituita nel giudizio di appello e ha concluso per il rigetto del gravame
proposto.
Le parti hanno affidato al deposito di
apposite memorie l’ulteriore illustrazione delle rispettive tesi difensive.
2. L’appello è infondato.
2.1. Non merita accoglimento, in primo
luogo, il motivo con il quale parte l’appellante deduce l’inammissibilità del
ricorso originario in ragione dell’omessa impugnazione di una pregressa
determinazione amministrativa.
L’Amministrazione comunale appellante
indica un precedente giurisprudenziale (Cons. Stato, Sez. V, 2 maggio 2013, n.
2398), asseritamente afferente ad una vicenda analoga a quella oggetto del
presente giudizio, al fine di sostenere l’inammissibilità del ricorso
introduttivo per mancanza dei presupposti per l’attivazione del ricorso avverso
il silenzio, in ragione della sussistenza, anche nel caso oggetto del presente
giudizio, di un’inoppugnata nota della P.A. idonea a determinare un arresto
procedimentale.
Si deve osservare che, in realtà, i due
casi risultano differenti, anche se entrambi vertono sugli stessi accordi
negoziali rispetto ai quali si sarebbe perpetrata l’inerzia amministrativa con
riguardo all’istanza volta alla consegna degli impianti inerenti al S.I.I.
Nella vicenda definita con la citata
sentenza n. 2398/2013 la nota emanata dall’Amministrazione, infatti, comunicava
che “il trasferimento degli impianti dell'acquedotto del centro urbano di
Cassino all'ATO 5 non può essere in alcun modo effettuato, in quanto mancano i
presupposti amministrativi e legali perché ciò possa avvenire” e concludeva
informando che “il Comune di Cassino si opporrà in tutte le sedi, con tutti i
mezzi legali, a qualsiasi iniziativa che porti al trasferimento in oggetto senza
previa risoluzione di tutte le problematiche a monte”. A sua volta, con la
successiva nota prot. n. 48239 del 10.10.2007, il Comune di Cassino confermava
che non avrebbe effettuato alcuna consegna.
Dette note, quindi, non avevano contenuto
meramente interlocutorio ma, al contrario, manifestavano chiaramente
l'inequivoca intenzione del Comune di Cassino di non addivenire alla consegna
degli impianti, in tal guisa incidendo in maniera diretta e negativa
sull’interesse di ACEA ATO 5 ad ottenere la consegna degli impianti.
Nella fattispecie qui in rilievo, invece,
la nota del 27 ottobre 2012, adottata in risposta alla succitata diffida
dell'ACEA, ATO 5 S.p.A., richiama l'esigenza di “svolgere in contraddittorio la
preliminare attività tecnica/ricognitiva necessaria per il trasferimento delle
opere, beni ed impianti funzionali al S.I.I.”. Tale nota, in ciò chiaramente
differenziandosi dalla fattispecie precedentemente esaminata, non solo non
contiene una risposta negativa, necessitante di immediata impugnazione, ma, al
contrario, contiene il riconoscimento dell’inadempimento degli obblighi
convenzionali, pur se accompagnato dall’indicazione di percorso procedurale da
seguire per l’effettuazione della consegna.
La nota del 27 ottobre, in altri termini,
non può essere considerata come un diniego esplicito né come un provvedimento
dotato di autonoma capacità lesiva, manifestandosi in concreto come un atto
soprassessorio, inidoneo in sé a determinare un arresto procedimentale. In
ragione della sua natura meramente interlocutoria e della descritta inidoneità
a manifestare la volontà dell'Amministrazione, l’atto soprassessorio non è
autonomamente impugnabile (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 3 maggio 2012, n. 2530) e
non rende inammissibile l’azione avverso il silenzio.
2.2. E’ infondato anche il secondo motivo
di appello con cui si deduce la violazione del principio del ne bis in
idem, collegata all’instaurazione, innanzi al Tribunale di Cassino, di
una causa, recante n. r.g. 2747/2011, con identiche parti ed identici petitum e causa
petendi.
A confutazione della doglianza si deve
rimarcare che, ai fini dell’applicazione dell’istituto della litispendenza
(art. 39 c.p.c.), i due giudici aditi debbono appartenere al medesimo plesso
giurisdizionale: la contemporanea presenza, infatti, della stessa causa dinanzi
al giudice ordinario e a quello amministrativo esula dalla nozione di
litispendenza, integrando piuttosto una questione di giurisdizione.
Anche la Corte di Cassazione ha
recentemente ribadito che la litispendenza, ai sensi dell’art. 39 c.p.c., “si
riferisce alla proposizione della stessa causa di fronte a giudici diversi
nell’ambito della giurisdizione ordinaria” (Cass., Sez. VI civ., 20 maggio
2013, n. 12187) e, pertanto, “non può valere ad introdurre deroghe ai criteri
di riparto della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice di diversa
giurisdizione, ancorché aditi con la medesima domanda” (Cass. 30/7/2007, n.
16834; Cass. civ. SS.UU., n. 5243 del 1981).
2.3. E’ infondato anche il terzo motivo di
gravame con cui l’amministrazione comunale ha eccepito l’inammissibilità del
ricorso introduttivo stante la decadenza dall’azione ex art. 117 c.p.a. per
decorso del termine annuale previsto dall’art. 31, co. 2, c.p.a.
Sul punto, la sentenza del TAR Lazio ha
ritenuto ricevibile il ricorso poiché introdotto entro un anno dalla diffida
che Acea Ato 5 s.p.a. ha inviato al Comune di Atina il 3 agosto 2012.
A conferma della statuizione si deve
notare che, alla stregua di consolidata giurisprudenza, si deve escludere che
il termine annuale previsto dall’art. 31, co. 2, c.p.a., produca una decadenza
sostanziale che colpisce la posizione soggettiva, atteggiandosi invece a mera
sanzione processuale che non impedisce la proposizione di autonomo giudizio a
seguito della presentazione di una nuova istanza volta al conseguimento del
provvedimento amministrativo.
Per espressa previsione di legge (art. 31,
co. 2, c.p.a., secondo alinea: “è fatta salva la riproponibilità dell’istanza
di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti”), infatti, la
decorrenza del termine annuale incide soltanto sul piano processuale, senza che
si produca nessuna vicenda estintiva dell’interesse legittimo pretensivo
sotteso all’iniziativa procedimentale di parte: pertanto, se tale situazione
giuridica soggettiva persiste in capo al cittadino anche dopo un anno dalla
formazione del silenzio-rifiuto, sussiste pure la legittimazione a riproporre
l’istanza di avvio del procedimento e, conseguentemente, a promuovere l’azione
avverso il silenzio.
Va soggiunto che, stante la natura del
termine in una con la relativa ratio, la diffida a provvedere
va equiparata ad una nuova istanza ai sensi dell'art. 31, comma 2, c.p.a.
2.4. Il Comune di Atina, come ulteriore
motivo di appello, deduce l’inammissibilità del ricorso introduttivo
alternativamente: a) se considerato come attinente ad attività discrezionale,
in quanto volto ad ottenere una pronuncia sulla fondatezza dell’istanza in
eccesso di potere giurisdizionale b) se considerato come afferente ad una mera
attività materiale della p.A., in quanto la materia del contendere sarebbe
estranea alla giurisdizione amministrativa e rientrerebbe invece nella
giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche.
L’ipotesi sub a) risulta non attinente al
caso di specie, dal momento che ci si trova di fronte ad un’attività
amministrativa vincolata, poiché il Comune, a fronte della Convenzione di
cooperazione stipulata, deve eseguire le attività di ricognizione ed affidamento
in concessione di cui agli artt. 20 e 24 della citata Convenzione nonché
consegnare materialmente le opere e gli impianti afferenti il S.I.I.
Gli Enti locali ricompresi nell'A.T.O. n.
5 ebbero, infatti, ad approvare, nella Conferenza dei Sindaci del 2 ottobre
1996, una convenzione di cooperazione, stipulata ai sensi dell'art. 9 della l.
n. 36/1994, nonché ai sensi degli artt. 4, comma 1, lett. a), della l.r. n.
6/1996 e 24 della l. n. 142/1990, avente ad oggetto la regolamentazione
dell'organizzazione e del controllo della gestione del S.I.I. (servizio idrico
integrato, costituito dall'insieme dei servizi pubblici di captazione,
adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e depurazione
delle acque reflue, che ricadono all'interno dell'A.T.O. appena indicato).
Tale convenzione, da ricomprendere nella
categoria degli accordi tra Pubbliche Amministrazioni di cui all'art. 15 della
l. n. 241/1990, ha stabilito, all'art. 24, l'obbligo, per i Comuni
convenzionati, di affidare in concessione al soggetto gestore del S.I.I. (con
le modalità definite nell'ambito della convenzione per la gestione del servizio
stesso), le opere, beni ed impianti pertinenti i servizi idrici gestiti anche
in economia, e di trasferirgli le immobilizzazioni, le attività e le passività
relative, nonché il personale addetto ai servizi idrici (dei singoli Enti
locali che risultano compresi nell'A.T.O.).
La consegna di beni, impianti ed opere
pertinenti il S.I.I. non può prescindere dall'attività di ricognizione delle
opere di captazione, adduzione, distribuzione, fognatura e depurazione presenti
nel territorio comunale (cfr. art. 20 della convenzione di cooperazione), di
indubbia natura pubblicistica (v. T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, sent. n.
600/2012 e ord. n. 858/2006), di modo che la medesima consegna non rappresenta
una mera attività materiale, ma si esplica attraverso provvedimenti
amministrativi, avvenendo essa mediante l'affidamento in concessione di opere,
beni ed impianti pertinenti il S.I.I. (art. 24 della convenzione di
cooperazione), con il corollario della piena esperibilità dell'azione ex artt.
31 e 117 c.p.a. Tali attività, ad ogni modo, risultano vincolate, poiché, a
fronte di quanto stipulato in sede di accordo fra PP.AA., la ricognizione delle
opere e la successiva loro consegna non risultano oggetto di possibili scelte
fra più comportamenti giuridicamente leciti volti a perseguire l’interesse
pubblico.
2.5. Con l’ipotesi sub b), l’appellante
sostiene infine l’inammissibilità del ricorso introduttivo, se considerato come
afferente ad una mera attività materiale della p.A., in quanto la materia del
contendere sarebbe estranea alla giurisdizione amministrativa e rientrerebbe
invece nella giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche.
Anche tale motivo risulta infondato.
L’art. 140 del R.D. n. 1775/1933 devolve
al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche le controversie aventi ad oggetto
la demanialità delle acque, i limiti dei corsi o bacini, i diritti relativi
alle deviazioni e alle utilizzazioni dell’acqua pubblica: in base alla citata
norma non è possibile includere nella cognizione del TSAP le controversie
concernenti il diritto del concessionario alla corretta applicazione delle
disposizioni regolanti la concessione delle opere e degli impianti pertinenti
il S.I.I.
L’art. 143, co. 1, lett. a) dello stesso
R.D., invece, attribuisce alla cognizione del TSAP i ricorsi avverso i
provvedimenti definitivi della P. A. in materia di acque pubbliche; secondo la
giurisprudenza prevalente afferiscono alla giurisdizione del TSAP, dunque,
tutti i ricorsi contro provvedimenti caratterizzati dall’incidenza immediata e
diretta sulla materia delle acque pubbliche, ancorché adottati da autorità
diverse da quelle specificamente preposte alla tutela delle acque.
Ai fini del riparto di giurisdizione, di
conseguenza, il discrimine viene individuato dall’incidenza diretta o meno del
provvedimento amministrativo sul governo delle acque pubbliche (cfr. Cons.
Stato, Sez. V, 25 maggio 2010, n. 3325). La giurisdizione del TSAP sussiste
quando si impugnano provvedimenti amministrativi che incidano direttamente sul
regime delle acque pubbliche, nel senso che concorrano, in concreto, a
disciplinare la gestione e l'esercizio delle opere idrauliche o a determinare i
modi di acquisto dei beni necessari all'esercizio e alla realizzazione delle
opere stesse od a stabilire o modificarne la localizzazione o a influire nella
loro realizzazione mediante sospensione o revoca dei relativi provvedimenti.
Si deve notare però che l'incidenza
diretta del provvedimento amministrativo sul regime delle acque pubbliche, che
radica la giurisdizione di legittimità del Tribunale superiore delle acque
pubbliche, è configurabile non solo quando l'atto provenga da organo
amministrativo preposto alla cura di pubblici interessi in tale materia e
costituisca manifestazione dei poteri attributi a tale organo per vigilare o
disporre in ordine agli usi delle acque, ma anche quando l'atto, ancorché
proveniente da organi dell'amministrazione non preposti alla cura degli
interessi del settore, finisca, tuttavia, con l'incidere immediatamente
sull'uso delle acque pubbliche, in quanto interferisca con i provvedimenti
relativi a tale uso, autorizzando, impedendo o modificando i lavori relativi.
Nel caso di specie non si ravvisa tale
incidenza diretta sul regime delle acque pubbliche, potendosi al più ipotizzare
un incidenza indiretta del comportamento inerte tenuto dalla P.A., non idonea a
radicare la giurisdizione del TSAP (cfr. ancora Cons. Stato, Sez. V, 25 maggio
2010, n. 3325).
La controversia in esame, avendo ad
oggetto l'esecuzione dell'obbligo previsto dall'art. 24 della convenzione di
cooperazione approvata dalla Conferenza dei Sindaci del 2 ottobre 1996,
riguarda, pertanto, l'esecuzione di un accordo tra Pubbliche Amministrazioni,
con il corollario della sua devoluzione alla giurisdizione esclusiva del G.A.
ex art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, c.p.a.
3. Le considerazioni che precedono
impongono la reiezione del ricorso.
Sussistono, tuttavia, alla luce della
complessità delle questioni affrontate, giusti motivi per disporre la
compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello,
come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di
consiglio del giorno 6 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Mario Luigi Torsello, Presidente
Francesco Caringella, Consigliere,
Estensore
Manfredo Atzeni, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/05/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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