ADUNANZE PLENARIE & APPALTI:
la Plenaria si esprime
la Plenaria si esprime
sulla dichiarazione sostitutiva
"ex" art. 38
(Ad.Plen., sentenza 30 luglio 2014, n. 16).
Principi
di diritto
1. La dichiarazione sostitutiva
relativa all’assenza delle condizioni preclusive previste dall’art. 38 del d.lgs. 163/2006 può essere legittimamente riferita in via generale ai requisiti previsti
dalla norma e non deve necessariamente indicare in modo puntuale le singole
situazioni ostative previste dal legislatore.
2. La dichiarazione sostituiva relativa
all’insussistenza delle condizioni ostative previste dall’art. 38 del d.lgs. n.163/2006 non deve contenere la menzione nominativa di tutti i soggetti muniti
di poteri rappresentativi dell’impresa, quando questi ultimi possano essere
agevolmente identificati mediante l’accesso a banche dati ufficiali o a
registri pubblici.
3. Una dichiarazione sostituiva confezionata
nei sensi di cui alle precedenti lettere a) e b) è completa e non necessita di
integrazioni o regolarizzazioni mediante l’uso dei poteri di soccorso
istruttorio.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il
Consiglio di Stato
in
sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha
pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso numero di registro generale 19 di A.P. del 2014, proposto da:
Accenture Spa, Accenture Technology Solutions Srl, rappresentati e difesi dagli avv. Damiano Lipani, Francesca Sbrana, Luigi Mazzoncini, con domicilio eletto presso Lipani & Partners in Roma, via Vittoria Colonna ,40;
Accenture Spa, Accenture Technology Solutions Srl, rappresentati e difesi dagli avv. Damiano Lipani, Francesca Sbrana, Luigi Mazzoncini, con domicilio eletto presso Lipani & Partners in Roma, via Vittoria Colonna ,40;
contro
Wolters Kluwer Italia Srl, Skill On Line Srl,
Knowledge Management & Security Srl, Project Automation Spa, Media Touch
2000 Srl, rappresentati e difesi dagli avv. Maurizio
Zoppolato, Eva Maschietto, Katja Besseghini, con domicilio eletto presso
Maurizio Zoppolato in Roma, via del Mascherino 72;
nei
confronti di
Ministero
dell'Interno - Dipartimento di Pubblica Sicurezza - Dir.Centr.Ist.Istr.,
rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, via dei
Portoghesi, 12;
per
la riforma
della
sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione I Ter, n. 9376 del 4
novembre 2013, resa tra le parti, concernente la gara d'appalto per la
realizzazione e la gestione del progetto SISFOR - Sistema di formazione on-line
delle Forze dell'ordine.
Visti
il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti
gli atti di costituzione in giudizio di Wolters Kluwer Italia Srl e di Skill On
Line Srl e di Knowledge Management & Security Srl e di Project Automation
Spa e di Media Touch 2000 Srl e di Ministero dell'Interno - Dipartimento di
Pubblica Sicurezza - Dir.Centr.Ist.Istr.;
Viste
le memorie difensive;
Visti
tutti gli atti della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 9 luglio 2014 il Cons. Carlo Deodato e uditi
per le parti gli avvocati Lipani, Sbrana, Besseghini, e dello Stato Gentili;
Ritenuto
e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con
la sentenza impugnata il tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha
respinto il ricorso incidentale proposto da Accenture S.p.A. e Accenture
Techonology Solutions S.r.l. (d’ora innanzi RTI Accenture) e, in accoglimento
dei primi due motivi del ricorso principale proposto da Wolters Kluver Italia
S.r.l., Skill On Line S.r.l., Knowledge Managment & Security S.r.l.,
Project Automation S.p.A. e Media Touch 2000 S.r.l. (d’ora innanzi RTI Wolters
Kluver), ha: 1) annullato l’aggiudicazione, in esito alla procedura ristretta
bandita dal Ministero dell’Interno, al RTI Accenture dell’appalto avente ad
oggetto la realizzazione e la gestione del progetto “SISFOR – sistema di formazione
on-line delle forze dell’ordine”, per un periodo di 48 mesi dalla stipula del
contratto; 2) disposto l’aggiudicazione dell’appalto in favore di RTI Wolters
Kluver; 3) ordinato, in caso di avvenuta stipulazione del contratto d’appalto,
il subentro nel rapporto del RTI ricorrente principale.
Avverso
la predetta decisione proponeva appello RTI Accenture, contestando sia il capo
di reiezione del proprio ricorso incidentale in primo grado, sia la statuizione
di annullamento dell’aggiudicazione in proprio favore dell’appalto, e
concludendo per la riforma della sentenza gravata e per la conseguente
declaratoria di inammissibilità o, in subordine, per il rigetto nel merito del
ricorso originario di RTI Wolters Kluver.
Si
costituiva RTI Wolters Kluver, contestando la fondatezza dell’appello
principale, impugnando, in via incidentale, il capo di reiezione del terzo
motivo del proprio ricorso incidentale in primo grado e concludendo per la
conferma della decisione appellata e, in subordine, per l’accoglimento del
proprio appello incidentale.
Resisteva
anche il Ministero dell’Interno, contestando la fondatezza delle censure
dedotte a sostegno dell’appello principale, difendendo la correttezza della
statuizione appellata e domandandone la conferma.
L’esecutività
della sentenza appellata veniva sospesa con l’ordinanza adottata nella camera
di consiglio del 19 dicembre 2013.
Con
ordinanza n.2214/2014 in data 29 aprile 2014 la terza sezione del Consiglio di
Stato rimetteva all’Adunanza Plenaria la soluzione della questione, afferente
all’accoglimento del primo motivo del ricorso principale di primo grado e in
relazione alla quale giudicava utile un chiarimento definitivo, relativa alla
necessità (o meno) dell’indicazione nominativa, nella dichiarazione sostitutiva
depositata ai sensi dell’art.38 d.lgs. 12 aprile 2006, n.163, di tutte le
persone munite della rappresentanza legale della società che devono possedere i
requisiti morali prescritti dalla predetta disposizione.
Alla
pubblica udienza del 9 luglio 2014, dinanzi all’Adunanza Plenaria, il ricorso
veniva trattenuto in decisione.
DIRITTO
1.-
Occorre preliminarmente definire i confini dell’oggetto della presente
statuizione, al fine di circoscrivere l’esame alla sola questione effettivamente
controversa dinanzi all’Adunanza Plenaria.
Ancorchè
la disamina della parte dell’appello principale, intesa a contestare il capo di
reiezione del ricorso incidentale proposto in primo grado da RTI Accenture,
apparisse logicamente antecedente, rispetto allo scrutinio della fondatezza del
gravame rivolto avverso l’accoglimento dei primi due motivi del ricorso
proposto in primo grado da RTI Wolters Kluver, la terza sezione ha, nondimeno,
ritenuto utile un chiarimento, da parte dell’Adunanza Plenaria, su una
questione che attiene proprio all’accoglimento del primo motivo del ricorso di
primo grado e che, tuttavia, nella decisione dell’appello potrebbe anche
rivelarsi ininfluente (nell’ipotesi in cui venisse accolto l’appello di RTI
Accenture nella parte in cui si contesta la reiezione del ricorso incidentale
di primo grado e che comporterebbe la declaratoria dell’inammissibilità del
ricorso di prima istanza di RTI Wolters Kluver).
L’ordinanza
di rimessione risulta, a ben vedere, strutturata e motivata come devolutiva al
giudizio dell’Adunanza Plenaria della sola questione, di seguito meglio
illustrata, relativa alla valenza della dichiarazione sostitutiva nella specie
depositata da RTI Accenture ai sensi dell’art.38 d.lgs. n.163/06.
Ritiene,
quindi, questa Adunanza, esercitando la facoltà riconosciutale dall’art.99,
comma 4, c.p.a., di limitare il proprio giudizio all’affermazione del principio
di diritto relativo alla sola questione rimessale dalla terza sezione e di
restituire a quest’ultima la definizione del giudizio di appello, anche tenuto
conto che il dibattito processuale (sia scritto, sia orale) è rimasto
circoscritto alla disamina del solo problema esaminato nell’ordinanza di
rimessione e che, quindi, anche il rispetto del contraddittorio esige che il
presente esame resti limitato al predetto scrutinio.
2.-
Così definito l’ambito oggettivo della presente cognizione, occorre illustrare
e precisare i termini, di fatto e di diritto, della questione controversa.
2.1-
Principiando dalla disamina dei profili di fatto, si deve rammentare che il
bando (sezione III.2.1) e il disciplinare di gara (artt.6.2 e 9 lett.a)
richiedevano, a pena di esclusione, il possesso dei requisiti prescritti
dall’art.38 d.lgs. cit., ammettendo esplicitamente la possibilità di attestarlo
tramite dichiarazione sostituiva di atto di notorietà ai sensi dell’art.47
d.P.R. 28 dicembre 2000, n.445 e indicando la formulazione della dichiarazione
nei seguenti termini: “di non trovarsi in nessuna delle condizioni di
esclusione dalla partecipazione alle gare ai sensi dell’art.38 del d.lgs.
n.163/2006…” (art.6.2 lett.a n.4 del disciplinare di gara).
Accenture
S.p.A. aveva prodotto una dichiarazione di un procuratore ad negotia (Giovanni
Mario Pisanu) formulata nei termini indicati nel disciplinare ma senza
l’indicazione nominativa dei due legali rappresentanti della società, mentre
l’amministratore delegato di Accenture Technology Solutions S.r.l. (Carlo
Trimarchi) aveva omesso la specifica menzione del presidente del consiglio di
amministrazione, ancorchè (anch’egli) dotato di poteri di rappresentanza legale
dell’impresa.
In
particolare, le due dichiarazioni contenevano l’esplicita e specifica
attestazione “che non sussistono a carico di coloro i quali rivestono la legale
rappresentanza dell’impresa condanne irrogate con sentenze passate in giudicato
o con sentenze di applicazione della pena a richiesta ai sensi dell’art.444
c.p.p. per qualsiasi reato che incida sulla moralità professionale o per
delitti finanziari” e la più generica attestazione, testualmente conforme al
lessico del disciplinare, “di non trovarsi in nessuna delle condizioni di
esclusione dalla partecipazione alle gare ai sensi dell’art.38 del d.lgs.
n.163/2006 e successive modificazioni”.
Dalla
relazione depositata dal Ministero dell’Interno nella camera di consiglio del
19 dicembre 2013 risulta che “a conclusione della procedura di gara,
l’Amministrazione, espletate tutte le predette verifiche, ha accertato, con
l’acquisizione di merito di tutta la necessaria documentazione, che entrambe le
società costituenti il RTI Accenture, nonché tutti i suoi rappresentanti,
risultano pienamente in regola con tutti gli obblighi posti dalla normativa
vigente in materia”.
Deve,
ancora, precisarsi che non risultano controversi, in fatto, sia il possesso dei
requisiti di moralità prescritti dall’art.38 d.lgs. cit. da parte di tutti i
soggetti muniti di poteri rappresentativi di entrambe le società che
costituiscono il RTI Accenture, sia l’effettivo e positivo accertamento, da
parte dell’Amministrazione appaltante, dell’insussistenza delle relative
condizioni ostative.
2.2-
Così chiarita la situazione di fatto, occorre illustrare i termini di diritto
della questione controversa.
I
giudici di prima istanza, pur riconoscendo in capo a una persona munita dei
relativi poteri rappresentativi la legittimazione a presentare le dichiarazioni
prescritte per conto della società e dei suoi legali rappresentanti (come è
accaduto per Accenture S.p.A.), hanno, nondimeno, rilevato la carenza, in
entrambe le dichiarazioni depositate dalle due società che costituiscono il RTI
Accenture, di alcune informazioni essenziali, giudicando, quindi, doverosa
l’esclusione del RTI inadempiente e, quindi, illegittima l’aggiudicazione in
suo favore dell’appalto per cui è causa.
Il
TAR ha, in particolare, ritenuto mancanti le attestazioni specificamente
riferite a tutti i soggetti muniti di poteri di rappresentanza delle due
imprese, sia per la genericità delle dichiarazioni prodotte, sia per l’omessa
identificazione delle suddette persone, ha, quindi, ritenuto inapplicabile, a
fronte della predetta, insanabile carenza, la regola del c.d. soccorso
istruttorio e ha, pertanto, giudicato illegittima l’omessa esclusione di RTI
Accenture e l’aggiudicazione in suo favore dell’appalto.
La
terza sezione del Consiglio di Stato, non condividendo le conclusioni raggiunte
dai primi giudici, rilevando un’incertezza giurisprudenziale sulla suddetta
questione e reputando, quindi, necessario un chiarimento, con valenza
nomofilattica, da parte dell’Adunanza Plenaria, ha rimesso a quest’ultima la
delibazione del problema, prospettando, quale soluzione preferibile,
l’affermazione del principio della mancanza di necessità che la dichiarazione
sull’assenza delle cause ostative dettagliate all’art.38 d.lgs. cit. contenga
l’indicazione nominativa di tutti i soggetti per i quali dev’essere attestato
il possesso dei relativi requisiti morali.
3.-
Così chiariti i termini della questione controversa, occorre, ancora in via
preliminare, precisare che la gravata statuizione di accoglimento del primo
motivo del ricorso originario si compone di due distinti accertamenti: la
genericità della dichiarazione relativa all’assenza delle condizioni preclusive
previste dall’art.38 d.lgs. cit. (e, cioè, l’omessa indicazione delle singole
cause ostative) e la mancata indicazione nominativa dei legali rappresentanti
ai quali si riferiscono i requisiti di moralità personali.
A
ben vedere, con l’ordinanza di rimessione si investe l’Adunanza Plenaria della
sola questione relativa al secondo accertamento, ma si ritiene, per esigenze di
completezza di trattazione del capo di appello in questione, di esaminare anche
la prima statuizione (che, si ricorda, attiene alla riscontrata genericità
della dichiarazione sostituiva sull’inesistenza delle condizioni ostative
prescritte dal codice dei contratti pubblici).
Occorre,
al riguardo, rilevare che la necessità di indicare puntualmente l’assenza di
tutte le condizioni ostative dettagliate all’art.38 d.l.gs. cit. dev’essere
esclusa sia perché gli stessi atti di gara suggerivano la formulazione testuale
della dichiarazione in termini omnicomprensivi (ingenerando, in tal modo, un
affidamento meritevole di tutela sulla sua correttezza), sia perché, ai fini
dell’attestazione (con la valenza assegnata alle dichiarazioni sostitutive dal
d.P.R. n.445/2000) dei requisiti di moralità in questione, il richiamo generico
(ma esaustivo) alla disposizione legislativa che li contempla si rivela del
tutto sufficiente (nella fase di gara a cui si riferisce il deposito della
dichiarazione) a fornire all’Amministrazione quell’impegno (assistito dalla
sanzione penale per le dichiarazioni false) sull’insussistenza delle condizioni
ostative nel quale si risolve l’acquisizione delle attestazioni ai sensi dell’art.47
d.P.R. cit.
Né
varrebbe obiettare che la dichiarazione avrebbe dovuto menzionare
specificamente l’assenza di cause preclusive quantomeno per i requisiti di
moralità riferite alle persone munite di poteri rappresentativi dell’impresa,
atteso che, ai fini che qui rilevano, l’attestazione omnicomprensiva
sull’insussistenza delle condizioni ostative previste dall’art.38 d.lgs. cit.
dev’essere, evidentemente, intesa come riferita, quanto ai requisiti relativi
ai legali rappresentanti della società (e non alla persona giuridica), alle
singole persone fisiche che rivestono la qualifica di legali rappresentanti.
Un’interpretazione
delle dichiarazioni de quibus coerente con i principi di ragionevolezza, di
buona fede e di conservazione degli effetti giuridici, impone, infatti, di
riferire, di volta in volta, il contenuto delle stesse alla persona giuridica
concorrente o alle persone fisiche munite, nell’ambito della compagine
societaria, di poteri rappresentativi, a seconda del referente soggettivo
all’uopo preso in considerazione nelle varie fattispecie di cui al paradigma
normativo citato.
Le
dichiarazioni depositate dalle due società che costituiscono il RTI Accenture
devono, quindi, essere giudicate complete, sotto il profilo appena esaminato,
nella misura in cui andavano intese (così come le ha correttamente valutate il
Ministero appaltante) come riferite a tutte le condizioni ostative previste
dall’art.38 d.lgs. cit. e, relativamente ai requisiti di moralità personali, ai
singoli soggetti dotati di poteri di rappresentanza legale all’interno delle
due società.
4.-
Resta, quindi, da esaminare la questione, principalmente controversa, della
necessità o meno della menzione nominativa, nella dichiarazione sostituiva
relativa al possesso dei requisiti di cui all’art.38 d.lgs. cit., di tutti i
soggetti muniti di rappresentanza legale dell’impresa e delle eventuali
conseguenze, sulla legittimità della procedura, di una attestazione che la
omette.
A
tale questione possono offrirsi tre soluzioni: a) la dichiarazione che omette
la menzione nominativa delle persone fisiche dotate di poteri rappresentativi e
che si limita ad attestare l’assenza delle condizioni ostative previste
dall’art.38 d.lgs. cit. è completa e non necessita di alcuna integrazione; b)
una dichiarazione siffatta impone all’amministrazione l’uso dei poteri di
soccorso istruttorio e non autorizza, di per sé, l’esclusione dell’impresa che
l’ha prodotta; c) una dichiarazione siffatta dev’essere considerata mancante di
elementi essenziali, non consente l’integrazione e (anzi) impone l’esclusione
dell’impresa che l’ha prodotta.
4.1-
Così identificate le opzioni di catalogazione della fattispecie esaminata ed i
connessi effetti di diritto di ognuna delle possibili classificazioni, si deve
osservare che il problema risulta risolto de futuro dall’art.39 del decreto legge
24 giugno 2014, n.90, che, per le sole procedure bandite dopo la sua entrata in
vigore, inserisce un comma 2-bis all’art.38 d.lgs. cit., che introduce una
sanzione pecuniaria per la mancanza, l’incompletezza e ogni altra regolarità
essenziale delle dichiarazioni sostitutive, obbliga la stazione appaltante
(l’uso del verbo assegnare all’indicativo presente segnala la doverosità del
comportamento) ad assegnare al concorrente un termine non superiore a dieci
giorni per la produzione o l’integrazione delle dichiarazioni carenti e
consente (anzi: impone) l’esclusione nel solo caso di inosservanza di tale
ultimo adempimento.
La
disposizione, poi, distingue, con un lessico infelice e foriero di incertezze
interpretative ed applicative (e, quindi, anche di contenzioso), la diversa
fattispecie di irregolarità non essenziali o di mancanza o incompletezza di
dichiarazioni non indispensabili, per la quale viene esclusa la necessità di
regolarizzazione e, a fortiori, l’applicabilità della sanzione dell’esclusione.
Si
tratta di una disposizione che, a prescindere dalle prevedibili difficoltà
esegetiche sottese alla qualificazione come essenziali o meno delle
irregolarità delle dichiarazioni sostitutive in questione, risulta finalizzata
proprio a superare le incertezze interpretative e applicative del combinato
disposto degli artt.38 e 46 d.lgs. cit., mediante la procedimentalizzazione del
potere di soccorso istruttorio (che diventa doveroso per ogni ipotesi di
mancanza o di irregolarità delle dichiarazioni sostitutive) e la configurazione
dell’esclusione dalla procedura come sanzione unicamente legittimata
dall’omessa produzione, integrazione o regolarizzazione delle dichiarazioni
carenti entro il termine assegnato dalla stazione appaltante (e non più da
carenze originarie).
Nonostante,
al momento della redazione della presente decisione, la disposizione (come già
rilevato, inserita nel decreto legge n.90 del 2014) sia ancora in fase di
conversione in legge, la stessa, ancorchè non applicabile direttamente alla
presente controversia (come chiarito dall’art.39, comma 3) offre, quale indice
ermeneutico, l’argomento della chiara volontà del legislatore di evitare (nella
fase del controllo delle dichiarazioni e, quindi, dell’ammissione alla gara
delle offerte presentate) esclusioni dalla procedura per mere carenze
documentali (ivi compresa anche la mancanza assoluta delle dichiarazioni), di
imporre un’istruttoria veloce, ma preordinata ad acquisire la completezza delle
dichiarazioni (prima della valutazione dell’ammissibilità della domanda), e di
autorizzare la sanzione espulsiva quale conseguenza della sola inosservanza, da
parte dell’impresa concorrente, all’obbligo di integrazione documentale (entro
il termine perentorio accordato, a tal fine, dalla stazione appaltante).
Si
tratta, quindi, di un’innovazione legislativa che, per quanto inapplicabile
alla presente controversa, indica la volontà univoca del legislatore di
valorizzare il potere di soccorso istruttorio al duplice fine di evitare
esclusioni formalistiche e di consentire le più complete ed esaustive
acquisizioni istruttorie.
4.2-
Così esclusa la diretta ed immediata applicabilità dello ius superveniens alla
fattispecie controversa, occorre procedere alla descrizione del sistema di
regole vigente al momento dell’aggiudicazione della procedura in questione.
La
definizione del quadro normativo di riferimento postula una lettura coordinata
e coerente degli artt. 38 e 46 d.lgs. cit. e degli atti di gara (e segnatamente
del bando e del disciplinare).
Occorre,
al riguardo, premettere che le questioni attinenti alla portata escludente
delle omissioni o delle carenze nelle dichiarazioni relative all’assenza delle
condizioni ostative dettagliate all’art.38 cit., ai rapporti, a questi fini,
tra la normativa primaria e la lex specialis di gara e agli ambiti entro i
quali può reputarsi legittimo o, addirittura, doveroso l’esercizio dei poteri
di cui all’art.46, comma 1, d.lgs. cit. sono state decifrate e risolte con
indirizzi giurisprudenziali incerti e, a volte, contraddittori, sicchè anche su
tali profili si impone un chiarimento da parte dell’Adunanza Plenaria.
L’esegesi
delle predette disposizioni è stata, infatti, condotta sia con l’uso di canoni
interpretativi formalistici, che hanno fondato l’affermazione che ogni mancanza
nelle dichiarazioni comporta la sanzione dell’esclusione e non ammette il c.d.
soccorso istruttorio, che si risolverebbe in una lesione della par condicio
(Cons. St., sez. III, 24 giugno 2014, n.3198; sez. V, 16 ottobre 2013, n.5023;
sez. III, 2 luglio 2013, n.3550), sia mediante parametri più sostanzialistici,
che, valorizzando una lettura teleologica delle disposizioni interpretate,
hanno fondato la diversa e contraria affermazione che, nelle ipotesi in cui
difetti un’espressa comminatoria di esclusione nel bando, solo la mancanza
oggettiva del requisito di moralità, e non anche la sua omessa dichiarazione,
giustifica l’esclusione (Cons. St., sez. III, 6 febbraio 2014, n.583; sez. V, 9
dicembre 2013, n.5883) e che, in tali fattispecie, il soccorso istruttorio costituisce
il doveroso strumento amministrativo per garantire il favor partecipationis ed
evitare misure espulsive inappropriate e formalistiche (Cons. St., sez. V, 8
aprile 2014, n.1648).
Non
solo, ma anche sui rapporti tra normativa primaria e atti di gara, quanto alla
portata escludente delle violazioni delle prescrizioni relative alle
dichiarazioni sostitutive, possono registrarsi soluzioni giurisprudenziali
differenti (anche se la recente decisione dell’Adunanza Plenaria 25 febbraio
2014, n.9 ha offerto univoci canoni risolutivi della questione): da quelle
(Cons. St., sez. V, 9 settembre 2013, n.4471) che annettono valenza preminente
e cogente al principio di tassatività espresso dall’art.46, comma 1-bis, d.lgs.
cit. e che concludono nel senso che le omissioni in questione comportano la
sanzione dell’esclusione anche se non prevista dal bando (o se prevista solo
come conseguenza del possesso oggettivo del requisito) a quelle (Cons. St.,
sez. VI, 1 febbraio 2013, n.634) che, invece, riconoscono portata prevalente
alla lex specialis (là dove prevede l’esclusione come conseguenza della sola
esistenza oggettiva di una causa ostativa e non anche della sua mancata
attestazione) e all’art.38, comma 1, d.lgs. cit. e che, quindi, ammettono
l’esclusione quale conseguenza del solo accertamento della mancanza in fatto
del requisito di moralità (riconoscendo valenza recessiva al disposto dell’art.
46, comma 1-bis).
E’
stato, al riguardo, già chiarito (Ad. Plen. 16 ottobre 2013, n.23, 7 giugno
2012, n.21 e, da ultimo, n.9/2014) che la costruzione della disposizione
contenuta nell’art.46, comma 1-bis, d.lgs. n.163/2006, che ha codificato il
principio di tassatività delle cause di esclusione, impone una sua esegesi ed
applicazione nel senso che la sanzione dell’esclusione dev’essere ritenuta
operativa non solo nei casi in cui sia stata espressamente prevista dallo
stesso codice dei contratti pubblici, ma anche quale conseguenza
dell’inosservanza di adempimenti doverosi stabiliti dallo stesso codice,
ancorchè non espressamente a pena di esclusione.
Un
ulteriore corollario di tale principio dev’essere individuato nell’inserzione
automatica, ai sensi dell’art.1339 c.c., della clausola espulsiva nel bando, là
dove questo ometta di prevedere espressamente l’esclusione quale conseguenza
dell’inosservanza di prescrizioni previste dal codice (Ad. Plen., n.9/2014).
In
coerenza e ad integrazione dei principi di diritto già enunciati da questa
Adunanza Plenaria (con la citata decisione n.9 del 2014) si ritiene, quindi, di
ribadire o di ulteriormente precisare che: a) la formulazione letterale
dell’art.46, comma 1-bis, impone di applicare la sanzione dell’esclusione alla
violazione della prescrizione del codice (contenuta nell’art.38, comma 2)
relativa alla presentazione delle dichiarazioni attestanti l’assenza delle
relative condizioni ostative (quand’anche queste fossero in concreto
inesistenti); b) la sanzione espulsiva dev’essere applicata anche nelle ipotesi
in cui la lex specialis di gara la preveda come conseguenza della sola assenza
oggettiva dei requisiti di moralità (e non anche della loro omessa
attestazione); c) in presenza di dichiarazioni radicalmente mancanti resta
precluso all’Amministrazione l’uso del soccorso istruttorio (che si
risolverebbe in una lesione del principio della par condicio).
Alla
stregua delle considerazioni appena svolte, si rileva che, per quanto ci si
sforzi di offrire una lettura delle suddette disposizioni (anche valorizzando
la formulazione testuale delle previsioni del bando e del disciplinare di gara)
che legittimi la sanzione dell’esclusione per i soli casi di difetto oggettivo
dei requisiti di moralità prescritti dall’art.38 d.lgs. cit. (e non anche per
le ipotesi di carenze nelle relative dichiarazioni sostitutive), l’esegesi
dell’art.46, comma 1-bis d.lgs. cit. impone la diversa interpretazione della
doverosità dell’esclusione nei casi di inosservanza dell’obbligo, codificato
all’art.38, comma 2, d.lgs. cit., di produrre le dichiarazioni sostitutive.
La
portata univoca e generale del richiamo al “mancato adempimento alle
prescrizioni previste dal presente codice”, quale violazione che impone
l’esclusione dei concorrenti inadempienti, non ammette, infatti, alcuna
interpretazione riduttiva e vincola, anzi, l’interprete ad assegnare alla
disposizione la più ampia latitudine precettiva, con la conseguenza che
l’inosservanza dell’obbligo di attestazione previsto dal secondo comma
dell’art.38 impone all’Amministrazione l’esclusione del concorrente che lo ha
violato (secondo, si ripete, il regime normativo vigente al momento della
definizione della procedura qui controversa).
4.3-
Occorre, quindi, procedere alla qualificazione della dichiarazione prodotta da
RTI Accenture, al fine di verificare la condotta che l’Amministrazione avrebbe
dovuto tenere, a fronte di essa, e, quindi, di giudicare la legittimità dei
provvedimenti concretamente adottati.
Come
già rilevato, le due dichiarazioni prodotte dalle società che costituiscono RTI
Accenture sono state confezionate anche ai sensi dell’art.47, comma 2, d.P.R. cit.,
là dove consente che la dichiarazione sostituiva “può riguardare anche stati,
qualità personali e fatti relativi ad altri soggetti”, di cui il dichiarante
abbia diretta conoscenza.
Al
fine di circoscrivere l’ambito della presente indagine, giova ribadire che non
risulta contestata la facoltà (peraltro espressamente ammessa dagli atti di
gara) che gli autori delle dichiarazioni (il procuratore ad negotia per
Accenture S.p.A. e l’amministratore delegato per Accenture Techonology
Solutions S.r.l.) potessero attestare l’assenza delle condizioni ostative anche
per le altre persone munite di poteri di rappresentanza legale per le due
rispettive società, sicché la questione resta circoscritta alla verifica della
necessità o meno della identificazione di queste ultime e delle eventuali
conseguenze giuridiche della sua omissione (nell’ipotesi in cui la stessa
dovesse essere qualificata incompleta o, addirittura, mancante).
Il
problema appena illustrato si risolve, a sua volta, nell’esegesi dell’art.47,
comma 2, d.P.R. n.445/2000 e, segnatamente, della locuzione “altri soggetti”.
Si
tratta, cioè, di verificare se tale disposizione, là dove ammette
l’attestazione di stati, qualità personali e fatti relativi a persone diverse
dal dichiarante, imponga anche (ed a quali condizioni) la relativa
identificazione nel corpo della dichiarazione (come ritenuto da Cons. St., sez.
III, 7 aprile 2014, n.1634; sez. III, 9 aprile 2013, n.1953; sez. IV, 16
novembre 2011, n.6053).
Prima
di esaminare le argomentazioni addotte a sostegno delle tesi contrapposte
appare, tuttavia, utile una sintetica ricognizione dei principi che governano
l’uso delle dichiarazioni sostitutive ai fini dell’attestazione dei requisiti
di partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici.
Com’è
noto, una delle più rilevanti innovazioni legislative preordinate a
semplificare i rapporti tra cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni è
stata quella che ha consentito ai primi di attestare il possesso di stati,
qualità o fatti, mediante la presentazione di una dichiarazione sostituiva di
atto di notorietà e fermo restando il compito dell’amministrazione di
controllarne la veridicità (art.43 d.P.R. cit.).
Ovviamente
le finalità pubblicistiche sottese alle verifiche relative alla produzione di documentazione
amministrativa risultano presidiate e garantite dalle regole concernenti
l’identificazione del dichiarante, la completezza delle informazioni contenute
nella dichiarazione e la responsabilità penale del dichiarante per il caso di
dichiarazioni false (art.76 d.P.R. cit.).
Occorre,
quindi, verificare, ai fini di una corretta esegesi della disposizione in
esame, se, nel tipo di dichiarazione controversa, le predette regole siano
state rispettate e se, in definitiva, gli interessi pubblicistici coinvolti
siano stati pregiudicati o, al contrario, compiutamente realizzati.
Posto
che l’identità dei dichiaranti non è in discussione, risultando nella
fattispecie osservate le prescrizioni poste a presidio della loro
identificazione, resta da stabilire se le dichiarazioni prodotte contenessero
tutte le informazioni indispensabili al fine dell’accertamento d’ufficio della
loro veridicità e se i soggetti che le hanno rese risultino o meno esposti a
responsabilità penale per il caso di attestazioni mendaci.
4.3.1-
Ora, posto che la dichiarazione deve contenere tutte le informazioni di cui
necessita l’Amministrazione per verificarne d’ufficio la correttezza e la
veridicità, anche ai sensi dell’art.43 d.P.R. cit. (Cons. St., sez. III, 26
settembre 2013, n.4785), ritiene l’Adunanza che, mentre deve escludersi
l’ammissibilità di dichiarazioni riferite a persone non identificate e non
identificabili, deve, al contrario, giudicarsi consentita, anche in
applicazione dei principi civilistici in punto di determinabilità del contenuto
degli atti giuridici mediante rinvii ob relationem di semplice decifrazione, la
presentazione di dichiarazioni riferite a persone (ancorchè non identificate)
agevolmente identificabili mediante la consultazione di registri pubblici o di
banche dati ufficiali.
Mentre,
infatti, nel primo caso, la finalità della disposizione, agevolmente
identificabile nella semplificazione dell’attività dichiarativa (Cons. St.,
sez. VI, 12 luglio 2011, n.4206) ma senza alcun sacrificio delle esigenze di
certezza e di completezza nell’acquisizione delle attestazioni da parte
dell’Amministrazione, resterebbe irrimediabilmente frustrata (precludendo
qualsivoglia accertamento d’ufficio circa la veridicità delle dichiarazioni),
nella seconda ipotesi l’interesse pubblico sotteso alla disposizione resterebbe
integro e compiutamente realizzato.
Se,
infatti, come nel caso in esame, la dichiarazione sostitutiva consente
all’Amministrazione (prima) l’identificazione dei soggetti a cui la stessa si
riferisce e (poi) la verifica dell’esattezza e della veridicità delle
attestazioni rese, la stessa non può che reputarsi del tutto conforme alla
disposizione primaria che l’ha consentita e che realizza entrambi gli interessi
a cui risulta preordinata: la semplificazione dell’attività dichiarativa e la
conservazione dell’integrità delle necessità conoscitive dell’Amministrazione.
Diversamente
opinando, invero, si perverrebbe alla paradossale e inaccettabile conseguenza
di ritenere inammissibile (con il probabile corollario della necessità
dell’esclusione dell’impresa che l’ha prodotta) una dichiarazione che
l’Amministrazione ha potuto agevolmente verificare, sia in ordine all’identità
dei soggetti ai quali si riferisce (mediante l’accesso a una banca dati
ufficiale), sia in ordine alla corrispondenza al vero delle attestazioni che li
riguardano.
4.3.2-
In ordine, invece, alla configurabilità della responsabilità penale in capo al
soggetto che dichiari falsamente qualità personali, stati o fatti di altri
soggetti (che costituisce il più forte ed efficace presidio dell’affidabilità
del sistema delle dichiarazioni sostitutive), ancorchè non menzionati
nominativamente nella dichiarazione, basti rilevare che la già riscontrata
agevole identificabilità (mediante l’accesso al registro delle imprese) delle
persone a cui si riferisce la dichiarazione e (soprattutto) la logicamente
presupposta loro conoscenza da parte del dichiarante implicano la sicura
individuazione nella fattispecie considerata degli estremi (soggettivi ed
oggettivi) del reato di falso.
4.4-
Così verificata la coerenza delle dichiarazioni contestate con il paradigma
legale di riferimento (art.47, comma 2, d.P.R. n.445/2000), restano da
esaminare le altre argomentazioni addotte dal RTI appellato per sostenere la
diversa tesi della mancanza o, comunque, della grave incompletezza delle
attestazioni in questione, con la preliminare avvertenza che le stesse non solo
non smentiscono le conclusioni ut supra raggiunte, ma ne confermano la validità
e la correttezza.
4.4.1-
Con un primo, suggestivo argomento si allega la segnalazione dell’Autorità di
vigilanza dei contratti pubblici n.1 in data 18 marzo 2014 a sostegno della
tesi della necessaria identificazione di tutti i soggetti muniti di poteri
rappresentativi dell’impresa.
Sennonchè,
nella predetta deliberazione, l’AVCP, esaminando il problema della necessità
del riferimento delle dichiarazioni prescritte dall’art.38 anche ai procuratori
speciali della società (come già affermata da Cons. St., Ad. Plen., 16 ottobre
2013, n.23), si è limitata a suggerire una modifica legislativa (a dire il vero
ultronea) che autorizzi il legale rappresentante dell’impresa a dichiarare
l’assenza delle condizioni ostative anche con riferimento ai procuratori
speciali, in un’ottica di semplificazione degli adempimenti imposti all’impresa
partecipante alla gara.
Come
si vede, quindi, l’AVCP non ha in alcun modo affrontato la questione qui
dibattuta, ma ha offerto una soluzione al problema ivi affrontato (la
difficoltà di individuazione dei procuratori speciali ai quali devono essere
riferite le dichiarazioni) che, anzi, pare avvalorare le conclusioni ut supra
raggiunte e, cioè, l’ammissibilità di una dichiarazione che riguardi terzi
soggetti e senza la loro necessaria identificazione (nel chè sembra risolversi
la misura di semplificazione suggerita dall’Autorità).
4.4.2-
Con una seconda argomentazione, invece, si valorizza la direttiva europea sugli
appalti pubblici in data 26 febbraio 2014, n.24, non ancora recepita in Italia,
quale provvedimento che, per un verso, impedisce la produzione di dichiarazioni
che omettano tutte le informazioni indispensabili ad eseguire le verifiche
d’ufficio sulla loro veridicità e che, per un altro, preclude, nella
fattispecie considerata, l’esercizio dei poteri di soccorso istruttorio.
Anche
tali argomentazioni si rivelano infondate e vanno disattese.
Premesso
che la direttiva in questione dev’essere ancora trasposta nel nostro
ordinamento, che, quindi, risulta priva di qualsiasi efficacia direttamente
precettiva e che le sue previsioni possono essere utilizzate ai soli fini
ermeneutici (e, comunque, con una valenza assai limitata), si osserva che la
direttiva configura un nuovo sistema di attestazione dell’insussistenza di
situazioni ostative (art.59), che si fonda (anch’esso) su un’autodichiarazione
(quale prova preliminare sostitutiva di certificati), a sua volta
cristallizzata nel documento di gara unico europeo (DGUE), e su una coerente,
diversa disciplina dei poteri di controllo e di soccorso istruttorio riservati
alle amministrazioni aggiudicatrici.
Ora,
anche prescindendo dall’inutilità del richiamo della suddetta previsione
(attesa l’inoperatività del sistema ivi configurato, sia perché il modello del
DGUE dev’essere previamente approvato dalla Commissione, sia perché la
direttiva dev’essere ancora recepita nel nostro ordinamento), si può rilevare
che il relativo regime dell’autodichiarazione e dei successivi controlli non
appare, ai fini che qui rilevano, molto dissimile da quello vigente e non
contiene, comunque, principi o regole idonei a smentire le conclusioni appena
raggiunte.
Né
vale, ancora, richiamare il disposto dell’art.57, comma 4, lett. h), per
dimostrare la doverosità dell’esclusione nella fattispecie in esame, sia perché
tale previsione sancisce una mera facoltà (e non un obbligo) di escludere gli
operatori economici che si trovano nelle condizioni ivi dettagliate, sia,
ancora, perché, mentre la previsione richiamata contempla quale causa di
esclusione l’omessa trasmissione delle informazioni richieste per verificare
l’assenza di motivi di esclusione, si è accertato che, nella fattispecie in
esame, tali informazioni fossero state trasmesse (tanto che l’amministrazione
aggiudicatrice ha potuto, in concreto, verificare l’assenza di condizioni
ostative).
4.4-3-
Il RTI Wolters Kluver assume, ancora, che la mancata allegazione da parte
dell’Amministrazione di modelli di dichiarazione (al contrario di quanto ex
adverso sostenuto) impedisce di riconoscere, in capo a RTI Accenture, alcun
affidamento meritevole di tutela circa la formulazione letterale della
dichiarazione sostituiva effettivamente dovuta.
Ora,
anche prescindendo dal (peraltro dirimente) rilievo che le dichiarazioni
presentate da RTI Accenture sono state già giudicate conformi alla normativa
primaria di riferimento e, quindi, immuni dai vizi alle stesse ascritti, si
osserva che, se è vero che l’Amministrazione non ha reso disponibile alcun
modello o format di dichiarazione, è anche vero che nel disciplinare di gara
risulta riportata la formulazione testuale della dichiarazione relativa
all’assenza delle condizioni ostative previste dall’art.38 d.lgs. cit., di
talchè la presentazione di una dichiarazione dal tenore letterale identico a
quello riportato negli atti di gara impone la tutela della buona fede in ordine
alla sua correttezza ed impedisce, in ogni caso, qualsivoglia sanzione
espulsiva del concorrente che l’ha presentata.
Si
tratta, in altri termini, di una fattispecie nella quale la conformità della
dichiarazione presentata alle espressioni lessicali contenute nella lex specialis
impone di accordare una tutela più pregnante all’affidamento ingenerato
nell’impresa concorrente (che eviti, in sostanza, interpretazioni preclusive
del suo accesso alla gara) e di perseguire contestualmente l’interesse pubblico
alla più ampia partecipazione alle procedure (sulla valenza del principio del
favor partecipationis cfr. ex multis Cons. St., sez. V, 8 aprile 2014, n.1648).
Si
aggiunga, per altro verso, che proprio la mancata predisposizione di un modello
da parte della stazione appaltante e la genericità del richiamo operato nella
lex specialis alla normativa primaria, hanno prodotto l’effetto della
rimessione ai concorrenti della scelta relativa alle modalità di formulazione
della dichiarazione, di guisa da impedire, anche alla luce dei principi
comunitari di tutela dell’affidamento legittimo e di proporzionalità,
l’adozione di una sanzione espulsiva in ragione di pretese irregolarità formali
che non impediscano, mediante un rinvio ob relationem a dati e informazioni
agevolmente verificabili, il raggiungimento dello scopo di identificare la
portata delle dichiarazioni e di controllarne la relativa veridicità.
4.4.4-
Con un ultimo ordine di argomentazioni il RTI appellato sostiene che la
gravosità dell’istruttoria imposta all’Amministrazione, per effetto dell’omessa
indicazione nominativa dei soggetti muniti di poteri rappresentativi, risulta
incompatibile con le esigenze di celerità della procedura ed imponeva, quindi,
per ciò solo, l’esclusione del concorrente che l’aveva determinata.
Anche
tale assunto dev’essere disatteso, in quanto fondato su un presupposto (la
complessità delle verifiche istruttorie originate dalle dichiarazioni
presentate da RTI Accenture) che risulta smentito in fatto dallo stesso
Ministero, là dove, nella relazione sopra menzionata, riferisce di avere
espletato gli accertamenti relativi all’identità delle persone munite di
rappresentanza legale ed all’insussistenza, a loro carico, di cause ostative,
senza che constino, al riguardo difficoltà, ritardi o complicazioni procedurali.
Ne
consegue che, anche sotto il profilo appena esaminato, va confermata la
correttezza della procedura in contestazione, non risultando in alcun modo che
l’interesse pubblico alla sua celerità sia stato inficiato o pregiudicato dalle
dichiarazioni presentate da RTI Accenture.
5.-
Sulla base delle considerazioni che precedono possono, quindi, affermarsi i
seguenti principi di diritto:
a)
la dichiarazione sostitutiva relativa all’assenza delle condizioni preclusive
previste dall’art.38 d.lgs. cit. può essere legittimamente riferita in via
generale ai requisiti previsti dalla norma e non deve necessariamente indicare
in modo puntuale le singole situazioni ostative previste dal legislatore;
b)
la dichiarazione sostituiva relativa all’insussistenza delle condizioni
ostative previste dall’art.38 d.lgs. n.163 del 2006 non deve contenere la
menzione nominativa di tutti i soggetti muniti di poteri rappresentativi
dell’impresa, quando questi ultimi possano essere agevolmente identificati
mediante l’accesso a banche dati ufficiali o a registri pubblici;
c)
una dichiarazione sostituiva confezionata nei sensi di cui alle precedenti
lettere a) e b) è completa e non necessita di integrazioni o regolarizzazioni
mediante l’uso dei poteri di soccorso istruttorio.
6.-
Così affermato il principio di diritto relativo alla sola questione di cui è
stata investita l’Adunanza Plenaria, devono essere restituiti gli atti alla
terza sezione per la definizione del ricorso.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), non
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto:
a)
formula i principi di diritto di cui in motivazione;
b)
restituisce gli atti alla III Sezione del Consiglio di Stato per ogni ulteriore
statuizione, in rito, nel merito nonché sulle spese del giudizio.
Ordina
che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 luglio 2014 con
l'intervento dei magistrati:
Giorgio
Giovannini, Presidente
Pier
Giorgio Lignani, Presidente
Stefano
Baccarini, Presidente
Alessandro
Pajno, Presidente
Giorgio
Giaccardi, Presidente
Marzio
Branca, Consigliere
Carlo
Saltelli, Consigliere
Maurizio
Meschino, Consigliere
Carlo
Deodato, Consigliere, Estensore
Nicola
Russo, Consigliere
Salvatore
Cacace, Consigliere
Sergio
De Felice, Consigliere
Manfredo
Atzeni, Consigliere
IL PRESIDENTE
|
||
L'ESTENSORE
|
IL SEGRETARIO
|
|
DEPOSITATA
IN SEGRETERIA
Il
30/07/2014
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Il
Dirigente della Sezione
Nessun commento:
Posta un commento