giovedì 11 settembre 2014

PROCESSO: la revocazione; presupposti e conseguenze (Cons. St., Sez. V, sentenza 27 agosto 2014, n. 3979).


PROCESSO: 
la revocazione; 
presupposti e conseguenze 
(Cons. St., Sez. V,
 sentenza 27 agosto 2014, n. 3979)


Massima

1. E' bene chiarire entro quali limiti può operare lo strumento della cd. revocazione ordinaria. Ipotesi che ricorre nel caso in cui chi agisce fa valere doglianze tutte riconducibili all’art. 395, comma 1, nn. 4 e 5, c.p.c. (in merito, in particolare, al n. 4:  “Le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione… 4. se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare).
2. . La nozione di “errore di fatto” è stata scandagliata dalla giurisprudenza di questo Consiglio, alla quale hanno contribuito anche alcune pronunce dell’Adunanza Plenaria, i cui dicta vanno utilizzati come guida anche nell’odierno giudizio. L’errore di fatto per essere rilevante: 
a)  deve essere immediatamente ed obiettivamente rilevabile dagli atti o dai documenti acquisiti in giudizio e deve avere ad oggetto l’esistenza e non la valutazione di un fatto; b) deve riguardare un punto non controverso; I
c) deve riguardare un elemento decisivo per la soluzione della controversia. Queste le condizioni chiaramente indicate dall’Adunanza Plenaria (nn. 2/2010 e 1/2013): “L'errore di fatto che consente di rimettere in discussione il decisum del giudice con il rimedio straordinario della revocazione - secondo l'espresso dettato legislativo (art. 395 n. 4 Cod. proc. civ., art. 81 n. 4 R.D. 17 agosto 1907 n. 642 e art. 36 L. 6 dicembre 1971 n. 1034) - è solo quello che non coinvolge l'attività valutativa dell'organo decidente, ma tende, invece, ad eliminare un ostacolo materiale frappostosi tra la realtà del processo e la percezione che di questa il giudice abbia avuto, ostacolo promanante da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, sempre che il fatto oggetto dell'asserito errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato, dovendosi escludere che il giudizio revocatorio, in quanto rimedio eccezionale, possa essere trasformato in un ulteriore grado di giudizio.
È inammissibile il ricorso per revocazione per errore di fatto nel caso in cui si contestino le conclusioni a cui il giudice è pervenuto sulla base di specifici presupposti di fatto, dal momento che in tal caso la domanda di revocazione viene utilizzata solo come pretesto per rimettere in discussione il tema controverso al fine di pervenire a una diversa decisione.”.
3. Un’ipotesi particolare di errore di fatto revocatorio è quello che concerne l’omessa pronuncia, ossia una violazione del principio di rispondenza tra chiesto e pronunciato, che si genera quando l’omesso esame dipende da una svista sul sostrato materiale del giudizio. Così già Cons. St., Ad. Plen., 22 gennaio 1997, n. 3: “L'errore di fatto revocatorio può essere configurabile anche quando cade sull'esistenza o sul contenuto di atti processuali e determina una omissione di pronuncia, purché essa sia identificabile attraverso la motivazione della sentenza”.
4. Come appare evidente le pronunce dell’Adunanza Plenaria e la conforme giurisprudenza di questo Consiglio (Cons. St., Sez. IV, 25 giugno 2010, n. 4130; Id., Sez. VI, 17 febbraio 2009, n. 899) delimitano attentamente il recinto dell’errore di fatto revocatorio, onde evitare che un minor rigore nella verifica dei suoi presupposti possa comportare una confusione con l’errore di giudizio e conseguentemente aprire la via al ricorso per revocazione quale ulteriore grado di giudizio. A riprova di ciò, Cons. St., Ad. Plen., 11 giugno 2001, n. 3, sostiene che: “Non rientra tra le ipotesi di revocazione previste dall'art. 395 n. 5 cod. proc. civ. la richiesta di riesame di una tesi di diritto o di un punto controverso su cui la sentenza di cui si chiede la revocazione si è espressamente pronunciata.
5. Non ricorre l'ipotesi di revocazione per errore di fatto, ai sensi dell'art. 395 n. 4 cod. proc. civ., quando si lamenti una presunta erronea valutazione delle risultanze processuali o una anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio (in quanto ciò si risolve in un errore di giudizio), nonché quando una questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita”.


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9076 del 2012, proposto da:
Rita Festa, rappresentata e difesa dagli avvocati Carmela Festa, Riccardo Rotigliano, con domicilio eletto presso Virginia Iannuzzi in Roma, via Appia Nuova, n. 612; 
contro
Provincia di Avellino, in persona del Presidente in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Gennaro Galietta, Oscar Mercolino, con domicilio eletto presso Gianluigi Cassandra in Roma, via Gallia, n. 86; 
nei confronti di
Arlas di Napoli (Agenzia Regionale della Campania Per il Lavoro e La Scuola); 
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 7 novembre 2012, n. 5648.

Visti il ricorso in revocazione e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Provincia di Avellino;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 aprile 2014 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati Carmela Festa e Gennaro Galietta;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
1. In data 7 novembre 2012, questa Sezione con la sentenza n. 5648, definiva il giudizio intercorso tra i Sigg.ri Sergio Trezza, Rita Festa, Anna Grazia Carbone e la Provincia di Avellino, accogliendo il gravame proposto da quest’ultima ed in riforma della sentenza impugnata, respingendo il ricorso di primo grado proposto dagli appellati.
2. Con il ricorso in esame la sola Sig.ra Rita Festa invoca la revocazione della suddetta pronuncia per i seguenti motivi: a) violazione art. 395 comma 1, n. 5, c.p.c., in quanto erroneo e non controverso sarebbe il rilievo che il mancato avvio delle attività progettuali medio tempore fosse tale da giustificare il recesso, perché tra la stipula del contratto (20 maggio 2009) ed il recesso (11 agosto 2009) è intercorso un breve lasso temporale; b) violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, atteso che la Provincia presupponeva la legittimità del proprio recesso fondando sulla validità dell’accordo, mentre incidentalmente il Consiglio sottolinea la nullità della clausola contenuta nell’art. 6 dell’accordo di programma, ma nessuna domanda di declaratoria di nullità è mai stata proposta; c) errore revocatorio per applicazione di norma inesistente, perché la sentenza afferma che l’obbligo di concorso vale anche per i contratti d’impiego alle dipendenze della p.a. a tempo determinato, ma nella fattispecie si tratta di contratti a progetto. Questi non sono considerati dalla legge contratti di lavoro subordinato a tempo determinato (art. 61 e 69 d.lgs. 276/2003); d) errore di percezione dei documenti agli atti, perché la sentenza afferma che è legittimo l’annullamento operato dalla Provincia alla luce dell’approvazione del nuovo masterplan, mentre le attività ivi previste sarebbero sostanzialmente identiche alle attività previste per l’implementazione dei servizi del centro per l’impiego di Avellino; e) errore revocatorio per omessa pronuncia per non avere motivato sul rigetto della domanda risarcitoria; f) errore revocatorio per inesistenza degli atti richiamati in sentenza.
3. Costituitasi in giudizio l’amministrazione provinciale invoca la reiezione del ricorso in esame per insussistenza dei presupposti necessari per disporre la revocazione.

DIRITTO
1. In via pregiudiziale l'appellante eccepisce l'inammissibilità della costituzione in giudizio della Regione Puglia, in quanto avvenuta oltre il termine di sessanta giorni dal perfezionamento nei suoi confronti della notificazione del ricorso, contrariamente a quanto disposto dall'art. 46 del codice del processo amministrativo.
Il rilievo non ha pregio.
Come è noto, infatti, anche nell'attuale quadro normativo, nel silenzio del legislatore, i termini di costituzione delle parti intimate devono ritenersi senz'altro di natura ordinaria e non perentoria.
Pertanto, la costituzione in giudizio della intimata Provincia di Avellino, ancorché avvenuta oltre il termine di sessanta giorni di cui al richiamato art. 46 c.p.a., è ammissibile.
2. Il ricorso per revocazione è inammissibile, considerato che nessuno dei denunciati vizi revocatori appare sussistente.
3. Prima di procedere nell’esame dei singoli motivi revocatori è bene chiarire entro quali limiti può operare lo strumento della cd. revocazione ordinaria. Ipotesi che ricorre nel caso in cui chi agisce fa valere doglianze tutte riconducibili all’art. 395, comma 1, nn. 4 e 5, c.p.c. Nella fattispecie, peraltro, contrariamente a quanto indicato, ad esempio, a pag. 1 del ricorso per revocazione, tutti i motivi sono riconducibili al solo n. 4 del citato art. 395 c.p.c., secondo il quale: “Le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione… 4. se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.
3.1. La nozione di “errore di fatto” è stata scandagliata dalla giurisprudenza di questo Consiglio, alla quale hanno contribuito anche alcune pronunce dell’Adunanza Plenaria, i cui dicta vanno utilizzati come guida anche nell’odierno giudizio. L’errore di fatto per essere rilevante: I) deve essere immediatamente ed obiettivamente rilevabile dagli atti o dai documenti acquisiti in giudizio e deve avere ad oggetto l’esistenza e non la valutazione di un fatto; II) deve riguardare un punto non controverso; III) deve riguardare un elemento decisivo per la soluzione della controversia. Queste le condizioni chiaramente indicate dall’Adunanza Plenaria (nn. 2/2010 e 1/2013): “L'errore di fatto che consente di rimettere in discussione il decisum del giudice con il rimedio straordinario della revocazione - secondo l'espresso dettato legislativo (art. 395 n. 4 Cod. proc. civ., art. 81 n. 4 R.D. 17 agosto 1907 n. 642 e art. 36 L. 6 dicembre 1971 n. 1034) - è solo quello che non coinvolge l'attività valutativa dell'organo decidente, ma tende, invece, ad eliminare un ostacolo materiale frappostosi tra la realtà del processo e la percezione che di questa il giudice abbia avuto, ostacolo promanante da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, sempre che il fatto oggetto dell'asserito errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato, dovendosi escludere che il giudizio revocatorio, in quanto rimedio eccezionale, possa essere trasformato in un ulteriore grado di giudizio.
È inammissibile il ricorso per revocazione per errore di fatto nel caso in cui si contestino le conclusioni a cui il giudice è pervenuto sulla base di specifici presupposti di fatto, dal momento che in tal caso la domanda di revocazione viene utilizzata solo come pretesto per rimettere in discussione il tema controverso al fine di pervenire a una diversa decisione.”.
3.1.1. Un’ipotesi particolare di errore di fatto revocatorio è quello che concerne l’omessa pronuncia, ossia una violazione del principio di rispondenza tra chiesto e pronunciato, che si genera quando l’omesso esame dipende da una svista sul sostrato materiale del giudizio. Così già Cons. St., Ad. Plen., 22 gennaio 1997, n. 3: “L'errore di fatto revocatorio può essere configurabile anche quando cade sull'esistenza o sul contenuto di atti processuali e determina una omissione di pronuncia, purché essa sia identificabile attraverso la motivazione della sentenza”.
3.2. Come appare evidente le pronunce dell’Adunanza Plenaria e la conforme giurisprudenza di questo Consiglio (Cons. St., Sez. IV, 25 giugno 2010, n. 4130; Id., Sez. VI, 17 febbraio 2009, n. 899) delimitano attentamente il recinto dell’errore di fatto revocatorio, onde evitare che un minor rigore nella verifica dei suoi presupposti possa comportare una confusione con l’errore di giudizio e conseguentemente aprire la via al ricorso per revocazione quale ulteriore grado di giudizio. A riprova di ciò, Cons. St., Ad. Plen., 11 giugno 2001, n. 3, sostiene che: “Non rientra tra le ipotesi di revocazione previste dall'art. 395 n. 5 Cod. proc. civ. la richiesta di riesame di una tesi di diritto o di un punto controverso su cui la sentenza di cui si chiede la revocazione si è espressamente pronunciata.
Non ricorre l'ipotesi di revocazione per errore di fatto, ai sensi dell'art. 395 n. 4 Cod. proc. civ., quando si lamenti una presunta erronea valutazione delle risultanze processuali o una anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio (in quanto ciò si risolve in un errore di giudizio), nonché quando una questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita”.
4. Sulla scorta delle suddette premesse nessuno dei vizi denunciati appare fondato.
4.1. In ordine al primo motivo, in disparte l’erroneo riferimento all’art. 395 comma 1, n. 5, c.p.c., piuttosto che all’art. 395 comma 1, n. 4, c.p.c., deve rilevarsi come lo stesso risulta strutturato come critica valutativa, poiché, si contesta che il mancato avvio delle attività progettuali medio tempore fosse tale da giustificare il recesso, evidenziando un errore di giudizio e non un errore di fatto: la sentenza sarebbe erronea perché avrebbe ritenuto sufficiente per giustificare il recesso il breve lasso di tempo intercorso tra la stipula del contratto e l’inizio della progettazione. Trattasi quindi di censura che pone in evidenza non un errore di fatto, ma un errore di giudizio.
4.2. Infondato risulta anche il secondo motivo di revocazione, perché non vi è mai stata affermazione in ordine alla nullità, dell’art. 6 degli accordi di collaborazione, ma al contrario la pronuncia deduce che il contrasto tra il citato art. 6 e un fondamentale principio di rango, costituzionale abbia giustificato il provvedimento di annullamento, che non sarebbe potuto essere adottato, se il vizio riscontrato fosse quello della nullità. Del pari, alcuna violazione della rispondenza tra chiesto e pronunciato può desumersi dalla circostanza che la pronuncia qualifica come annullamento, invece che come recesso, l’atto impugnato, spettando al Giudice la qualificazione giuridica degli atti, che ricadono sotto il suo sindacato. Del resto di annullamento parla anche la sentenza del TAR riformata dalla pronuncia di cui si chiede la revocazione, rispetto alla quale non consta esservi appello incidentale sul punto da parte dell’odierno ricorrente.
4.3. Palesemente infondato è anche il motivo sub 2 della parte in fatto lett. c), nella parte in cui ha sostenuto che l’obbligo di concorso vale anche per i contratti d’impiego alle dipendenze della p.a. a tempo determinato, mentre nella fattispecie si tratterebbe di contratti a progetto. La qualificazione della tipologia di negozio giuridico spetta all’organo giudicante e nel caso in cui la stessa risulti erronea, non è possibile invocare la presenza di un errore di fatto, quanto al più di un errore di giudizio. Né vale affermare che il Consiglio avrebbe applicato una norma inesistente, giacché la norma che impone il concorso pubblico esiste, ma in questa sede si contesta la possibilità di applicarla a dei contratti che diversamente da quanto ritenuto nella sentenza oggetto di revocazione sarebbero non meri contratti a tempo determinato, ma contratti a progetto. Non vi è errore di fatto, ma al più errore di giudizio, perché il Consiglio avrebbe ritenuto la disciplina dei contratti a tempo determinato possa estendersi anche a quella dei contratti a progetto.
4.4. La stessa sorte segue anche il quarto motivo revocatorio, giacché a detta dello stesse ricorrente vi sarebbero differenze non trascurabili per ciò che attiene la provenienza e l’entità dei fondi stazionati. Anche in questo caso, quindi, è la valutazione del Consiglio a poter essere messa in discussione, ma non si registra un abbaglio dei sensi.
4.5. Quanto al motivo sub 2 della parte in fatto lett. e): errore revocatorio per omessa pronuncia per non avere motivato sul rigetto della domanda risarcitoria. Occorre rammentare che dinanzi al TAR Campania con motivi aggiunti al ricorso n. 6110 del 2010, l’odierna ricorrente aveva avanzato istanza risarcitoria, sulla quale in parte motiva il TAR così si era espresso: “Non può tenersi conto della pretesa risarcitoria avanzata sia in ragione dell’accoglimento dei ricorsi, con conseguente soddisfazione in forma specifica, sia per la genericità della stessa”. In parte dispositiva dichiarava di: “accoglie i ricorsi riuniti in epigrafe… secondo quanto precisato in parte motiva;”. A fronte del suddetto rigetto l’odierna ricorrente non aveva proposto appello incidentale, sicché la questione risarcitoria non poteva dirsi devoluta in secondo cure. Pertanto, non appare apprezzabile alcuna omessa pronuncia a fini revocatori.
4.6. Infine, va disatteso anche l’ultimo dei motivi revocatori, laddove deduce l’inesistenza degli atti richiamati in sentenza. Si tratta, infatti, di un motivo generico, giacché il ricorrente non indica quali atti sarebbero stati utilizzati dal Collegio, pur se non presenti nel fascicolo di causa, tanto da essere risultati decisivi per la definizione del giudizio.
5. Appare giocoforza, pertanto, respingere il ricorso. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto,
lo respinge.
Condanna Rita Festa al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in 3.000,00 (tremila/00) euro, oltre accessori di legge, a favore della Provincia di Avellino.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 aprile 2014 con l'intervento dei magistrati:
Alessandro Pajno, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore
Raffaele Prosperi, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/07/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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