venerdì 5 settembre 2014

SOCIETA' PUBBLICHE & RIPARTO DI GIURISDIZIONE: le Sezioni Unite ribadiscono che spetta alla giurisdizione del Giudice ordinario il giudizio sulla responsabilità dell'amministratore per il danno sociale arrecato al patrimonio di una società pubblica (Cass. civ., Sez. Un., sentenza 11 luglio 2014, n. 15942).


SOCIETA' PUBBLICHE 
& RIPARTO DI GIURISDIZIONE: 
le Sezioni Unite ribadiscono che 
spetta alla giurisdizione del Giudice ordinario
 il giudizio sulla responsabilità dell'amministratore 
per il danno sociale  arrecato 
al patrimonio di una società pubblica
 (Cass. civ., Sez. Un., 
sentenza 11 luglio 2014, n. 15942)


Le Sezioni Unite ribadiscono nella materia in esame i principi di diritto recentemente posti dalla stessa Suprema Corte con le sentenze nn. 26283 e 26936 del 2013 (sempre a Sezioni Unite), e nn. 3201 e 5491 del 2014, i cui dicta si collocano a loro volta nel solco tracciato dalle Sezioni Unite n. 26806 del 2009.


Massima 

1. Il danno cagionato dagli organi della società al patrimonio sociale, idoneo a dar vita, nel sistema del codice civile, all'azione sociale di responsabilità ed eventualmente a quella dei creditori sociali, non è idoneo a fondare anche un'ipotesi di azione ricadente nella giurisdizione della Corte dei conti, perché esso non implica alcuna conseguenza di tipo erariale, bensì unicamente un vulnus sofferto da un soggetto privato (appunto, la società), riferibile al patrimonio appartenente soltanto a quel soggetto e non ai singoli soci - pubblici o privati - i quali sono unicamente titolari delle rispettive quote di partecipazione, ed i cui originari conferimenti restano confusi ed assorbiti nel patrimonio sociale medesimo.
2. Tale soluzione, ispirata dall'esigenza di ricondurre la soluzione del problema di giurisdizione entro un quadro coerente di principi giuridici che sono a fondamento del sistema ordinamentale, deve essere in via generale tenuta ferma anche alla luce della normativa sopravvenuta, alla quale il carattere spesso frammentario e l'esser frutto di esigenze contingenti impediscono di assumere idonea valenza sistematica che vada oltre il dettato della singola disposizione. La disciplina speciale dettata per le cosiddette società pubbliche non ha tuttora assunto le caratteristiche di un sistema conchiuso ed a sé stante, ma continua ad apparire come un insieme di deroghe alla disciplina generale, sia pure con ampio ambito di applicazione.
3. L'inclusione delle società a partecipazione pubblica nel novero delle amministrazioni pubbliche cui si estende l'opera di supervisione, monitoraggio e coordinamento nell'approvvigionamento di beni e servizi, demandata al commissario straordinario nominato dal Governo a norma del D.L. 7 maggio 2010, n. 52, art. 2, non consente certo sol per questo di qualificare ad ogni effetto come enti pubblici le società a partecipazione pubblica cui detta norma si riferisce; e lo stesso dicasi per l'assoggettamento delle società partecipate a vincoli economici derivanti dal c.d. patto di stabilità e per i conseguenti maggiori controlli, da parte degli enti pubblici partecipanti, a tal fine imposti dall'art. 147 quater del T.U.E.L. (articolo introdotto dal D.L.  n. 174/2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 213/2012). 
Analogamente le disposizioni contenute nel D.L. n. 95/2012, art. 4, (convertito con modificazioni dalla L. n. 135/2012), nel dettare regole particolari in tema di nomina e di compensi spettanti ai componenti dei consigli di amministrazione ed ai dipendenti delle società a partecipazione pubblica, non si discostano dalla logica da cui è già ispirato il citato art. 2449 c.c., mentre il co. 13 del medesimo art. 4 ribadisce espressamente che, "per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque (alle società a partecipazione pubblica) la disciplina del codice civile in materia di società di capitali".
Non può essere in alcun modo attribuita, pertanto, una valenza di ordine generale, che vada al di là della specifica portata di tale disposizione eccezionale, neppure alla previsione del precedente co. 12 dell'art. 4, per la quale gli amministratori ed i dirigenti delle anzidette società, in caso di violazione dei vincoli di spesa stabiliti dai commi precedenti, "rispondono, a titolo di danno erariale, per le retribuzioni ed i compensi erogati in virtù dei contratti stipulati".
4. In definitiva, non è dato comunque sottrarsi alla drastica alternativa per la quale, fin quando non si arrivi a negare la distinzione stessa tra ente pubblico partecipante e società di capitali partecipata, e quindi tra la distinta titolarità dei rispettivi patrimoni, la giurisdizione della Corte dei conti in tema di risarcimento dei danni arrecati dai gestori o dagli organi di controllo al patrimonio della società potrebbe fondarsi o su una previsione normativa che eccezionalmente lo stabilisca, quantunque si tratti di danno arrecato ad un patrimonio facente capo non già ad un soggetto pubblico bensì ad un ente di diritto privato - previsione certo possibile, ma che allo stato non appare individuabile in termini generali nell'ordinamento -, ovvero sull'attribuzione alla stessa società partecipata della qualifica di ente pubblico, onde il danno arrecato al suo patrimonio potrebbe qualificarsi senz'altro come danno erariale.
Soluzione, quest'ultima, che appare però ben difficilmente predicabile, trovando un solido ostacolo nel disposto della L. n. 70/1975, art. 4, a tenore del quale occorre l'intervento del legislatore per l'istituzione di un ente pubblico; e pare difficile dubitare che siffatta norma esprima un principio di ordine generale, ove si consideri la molteplicità e la rilevanza degli effetti giuridici potenzialmente implicati nel riconoscimento della natura pubblica di un ente.
5. Invero il legislatore si è preoccupato a più riprese di ribadire, in via generale e fatta salva l'applicazione di singole regole speciali, l'assoggettamento alla disciplina dettata dal codice civile per le società di diritto privato, con le già richiamate conseguenze in punto di riparto di giurisdizione (solo in presenza di società di fonte legale, regolate da una disciplina sui generis di chiara impronta pubblicistica, quale ad esempio la Rai, è parso necessario pervenire a conclusioni diverse, come ritenuto dalla citata Cass. Sez. un. 22 dicembre 2009, n. 27092).


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
EPIGRAFE
[…]
IN FATTO E IN DIRITTO
1. La procura regionale della Corte dei conti - sezione giurisdizionale per la Liguria - citò in giudizio L. L., R.F., S.B. - membri del consiglio di amministrazione della s.p.a. AMT - e P.G., sindaco di Genova, chiedendone la condanna, in solido tra loro e con G. H. e Ro.Fr.Ol. (anch'essi membri del consiglio di amministrazione della AMT), al risarcimento del danno cagionato alla società con l'approvazione di un contratto-quadro di consulenza stipulato, nel dicembre del 2006, tra la AMT e la s.r.l. TAG (già Transdev Italia), socio privato di minoranza che deteneva, all'epoca dei fatti, il 41% del capitale AMT. Nel presente procedimento, risulta ricorrente per regolamento preventivo di giurisdizione il solo Ro.Fr.Ol..
1.1. Il danno fu quantificato in 3 milioni 100 mila Euro dall'organo inquirente della magistratura contabile, che ritenne, nella specie, di affermare la propria giurisdizione in conseguenza della natura giuridica (di società c.d. in house), della AMT.
2. Rilevò in proposito il magistrato contabile:
- che la Transdev Italia s.r.l., nell'anno 2005, era risultata aggiudicataria della gara per l'ingresso nella compagine sociale di A.M.T. quale socio di minoranza operativo;
- che, a seguito della gara, il Comune di Genova (già titolare dell'intera partecipazione della società) e la stessa Transdev avevano sottoscritto, nel novembre 2005, un primo contratto-quadro di consulenza per la messa a disposizione del know how e dell'assistenza tecnica a favore di AMT, approvato dal Consiglio di Amministrazione della società, con il parere favorevole del collegio sindacale, nella adunanza del 22 dicembre 2005;
- che il 7 dicembre 2006 Comune e società della cordata Transdev avevano stipulato un accordo integrativo volto a sostituire alcune voci di costo fisse relative all'attività di assistenza tecnica  originariamente contemplate dal primo contratto quadro: le modifiche furono approvate dal Consiglio di Amministrazione della AMT, ancora con il voto favorevole del collegio sindacale, nella adunanza del 21 dicembre 2006. Il contratto di consulenza tra AMT e TAG s.r.l. (già Transdev Italia s.r.l.) sarebbe poi stato stipulato il 22 dicembre 2006;
- che i pagamenti effettuati dal 2006 al 2009 dalla Società A.M.T. al socio privato Transdev/TAG a titolo di premio variabile costituivano danno erariale perchè "a fronte di tali pagamenti, AMT non aveva ricevuto in cambio nulla, nè tali premi incentivanti erano in alcun modo previsti negli attidi gara (ovvero nell'offerta della cordata)";
- che la gestione del servizio trasporti era stata svolta in esclusiva dalla società pubblica per l'ente proprietario, era stata prevalentemente assistita da contribuzione pubblica, era totalmente vincolata rispetto agli interessi pubblici perseguiti, era priva di rischio d'impresa e di possibilità di conseguire profitto, essendo per statuto governata e controllata dal Comune: onde l'inapplicabilità delle medesime norme del diritto civile regolanti l'impresa in libero mercato, attesa la assoluta prevalenza di elementi pubblicistici destinati ad attrarre la società/ente nell'ambito delle regole disciplinanti la responsabilità degli enti pubblici - ben potendo la AMT avvalersi, come tutti gli enti pubblici, degli strumenti del diritto provato per i rapporti da questo regolati (così, testualmente, il controricorso della Procura regionale ai ff. 28-29).
3. Nella pendenza del giudizio contabile, gli odierni ricorrenti hanno proposto rituale istanza di regolamento preventivo di giurisdizione dinanzi a questa Corte, evidenziando in premessa come, all'epoca dei fatti, la AMT fosse partecipata al 41% da un socio privato scelto in esito ad una procedura di gara indetta nel 2004 dal Comune di Genova per la privatizzazione della società di trasporto pubblico genovese. Di qui, l'impredicabilità di qualsivoglia tesi affermativa della giurisdizione del giudice contabile.
4. Nel costituirsi in giudizio con controricorso, il Procuratore regionale presso la Corte dei conti ligure ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
5. Con relazione scritta depositata, ex art. 375 c.p.c., il 23.10.2013, il P.G. presso questa Corte, nel concludere per la sussistenza, nella specie, la giurisdizione contabile, osserverà, in sintesi:
- che, all'epoca dei fatti e successivamente, fino al momento di inizio del giudizio contabile, la società A.M.T. non era a totale partecipazione pubblica, ma era partecipata, in via minoritaria, dal socio operativo TAG s.r.l.;
- che, di essa, non appariva pertanto predicabile la natura di società c.d. in house providing (espressione utilizzata per la prima volta nel "libro bianco" del 1998 della Commissione europea che, con riferimento al settore degli appalti pubblici, coniò tale espressione, riferendosi "a quegli appalti aggiudicati all'interno della Pubblica amministrazione, ad esempio tra Amministrazione centrale e locale o, ancora, tra una Amministrazione ed una società interamente controllata") le cui caratteristiche, come individuate anche dalla giurisprudenza amministrativa (ex multis, Cons. Stato, Ad. Plen., n. 1/2008), si sostanziano in un modello di organizzazione meramente interno, qualificabile in termini di delegazione interorganica, in deroga ai principi di concorrenza, non discriminazione, e trasparenza (tutti costituenti canoni fondamentali del trattato istitutivo della Comunità europea), e perciò ammissibile solo nel rispetto di alcune rigorose condizioni rappresentate: 1) dal così detto "controllo analogo" a quello svolto sui propri servizi, necessariamente esercitato dall'ente pubblico nei confronti dell'impresa affidataria; 2) dal rapporto di stretta strumentante fra le attività dell'impresa in
house e le esigenze pubbliche che l'ente controllante è chiamato a soddisfare; 3) dalla "autoproduzione" di beni, servizi o lavori da parte della pubblica amministrazione, la quale acquisisce un bene o un servizio attingendoli all'interno della propria compagine organizzativa senza ricorrere a terzi tramite gara (così detta esternalizzazione) e dunque al mercato. In ragione del "controllo analogo" e della "destinazione prevalente dell'attività", l'ente in house non può, pertanto, ritenersi terzo rispetto all'amministrazione controllante, ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa;
- che, in particolare, la sussistenza del controllo analogo andava esclusa in presenza di una compagine societaria composta anche da capitale privato, essendo di converso necessaria una partecipazione pubblica di tipo totalitario. La presenza (sia pur minoritaria) di un'impresa privata nel capitale di una società alla quale partecipi anche l'amministrazione aggiudicatrice esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare su detta società un controllo analogo a quello che essa svolge sui propri servizi (Corte giust. CE, sez. 2, 19 aprile 2007, C-295/05; 21 luglio 2005, C-231/03; 11 gennaio 2005, C-26/03), occorrendo piuttosto che l'ente possegga l'intero pacchetto azionario della società affidataria (Cons. Stato, sez. 5, 13 luglio 2006, n. 4440 e 22 dicembre 2005, n. 7345, secondo cui la quota pubblica doveva essere comunque superiore al 99%);
- che, per altro verso, la partecipazione pubblica totalitaria doveva ritenersi necessaria ma non sufficiente (C. giust. CE, 11 maggio 2006, C-340/04; Cons. Stato, sez. 6, 1 giugno 2007, n. 2932 e 3 aprile 2007, n. 1514), in mancanza di maggiori strumenti di controllo da parte dell'ente rispetto a quelli previsti dal diritto civile: il solo controllo societario totalitario non è garanzia della ricorrenza dei presupposti della in house, occorrendo anche un'influenza determinante da parte del socio pubblico sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti (secondo il Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia - sentenza 4 settembre 2007, n. 719 - in aggiunta alla necessaria totale proprietà del capitale da parte del soggetto pubblico, sarebbe essenziale il concorso di ulteriori fattori, quali: a) il controllo del bilancio; b) il controllo sulla qualità della amministrazione; c) la spettanza di poteri ispettivi diretti e concreti; d) la totale dipendenza dell'affidatario diretto in tema di strategie e politiche aziendali);
- che, pertanto, la qualifica di società in house poteva legittimamente attribuirsi alla A.M.T. di Genova soltanto prima dell'ingresso nella compagine sociale della Transdev Italia s.r.l., (poi TAG s.r.l.), mentre, con riferimento all'epoca dei fatti e ad a quella di inizio del giudizio contabile, l'ingresso del socio di minoranza aveva fatto venire meno il requisito della partecipazione totalitaria, presupposto necessario per l'attribuzione di tale qualifica, senza potersi, per altro verso, affermare (come pure opinato dalla Procura regionale della Corte dei Conti) che la natura di socio operativo, stante la sua particolare posizione, non aveva fatto venir meno il requisito del controllo analogo;
- che, nonostante la impredicabilità del carattere di società in house in capo alla AMT, attesane la partecipazione pubblica soltanto maggioritaria, la giurisdizione contabile non poteva dirsi perciò solo esclusa, alla luce dei numerosi interventi normativi che, nel periodo successivo alla sentenza n. 26806/2009 di queste sezioni unite (affermativa, come è noto, della giurisdizione ordinaria in casi consimili), avevano significativamente inciso sulla materia delle società partecipate da enti pubblici (come indirettamente confermato dalle decisioni 27092/2009, 5032/2010 e 8429/2010 di questa stessa Corte, rispettivamente emesse con riferimento a società aventi uno statuto giuridico speciale quali la RAI, l'ENAV e il Casinò Municipale di Campione d'Italia).
- che, in tali casi, il regime di governance della società, quanto all'amministrazione, ai controlli e alla distribuzione degli utili, subiva significative deroghe rispetto a quello previsto in via ordinaria dal codice civile, per assumere caratteristiche analoghe, anche se non identiche, a quelle degli enti pubblici, così da giustificare, in un approccio di tipo sostanzialista, una qualifica tale da superare la formale veste societaria;
- Che il quadro normativo risultava composto: 1) dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 18 convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 1, comma 1; 2) dal D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148, art. 1, comma 1; 3) dal D.L. 7 maggio 2012, n. 52, art. 2 convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 6 luglio 2012, n. 94, art. 1, comma 1; 4) dal D.L. 6 luglio 2012, n. 95, art. 4 convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 135, art. 1, comma 1; 5) dal D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, art. 3 convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 7 dicembre 2012, n. 213, art. 1, comma 1; sostitutivo dell'art. 147 del TUEL con gli artt. 147, 147-quater; 6) dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 34 convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, art. 1, comma 1; 7) dalla L. 6 novembre 2012, n. 190; che il dato comune emergente da tale, articolato plesso legislativo doveva individuarsi nella decisiva circostanza che le società con partecipazione pubblica totalitaria o maggioritaria erano state, a vario titolo, ma costantemente, prese in considerazione dalla manovre di razionalizzazione della spesa pubblica e di rafforzamento della trasparenza amministrativa: in particolare, il D.L. 6 luglio 2012, n. 95, art. 4, comma 12 espressamente prevedeva un'ipotesi di responsabilità contabile per gli amministratori esecutivi e i dirigenti responsabili della società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2 in caso di assunzione ed erogazione di compensi in violazione delle disposizioni di cui ai commi 9 - 11 (e, secondo la Corte dei Conti, Sez. 1 centrale Appello, n. 809/2012, tale norma, e con essa il D.L. 7 maggio 2012, n. 52, art. 2 aveva carattere interpretativo e non innovativo);
- che non potevano per altro verso trascurarsi le irrisolte incertezze, in punto di giurisdizione, conseguenti all'entrata in vigore del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 16 bis (in relazione al quale queste stesse Sezioni Unite, con la sentenza n. 26806/2009, avevano riconosciuto come tale norma lasciasse chiaramente intendere che, in ordine alla responsabilità di amministratori e dipendenti di società a partecipazione pubblica, vi sia una naturale area di competenza giurisdizionale diversa da quella ordinaria. Non si capirebbe, altrimenti, la ragione per la quale il legislatore ha inteso stabilire che, per l'avvenire - e limitatamente alle società quotate, o loro controllate, con partecipazione pubblica inferiore al 50% -, la giurisdizione spetta invece in via esclusiva proprio al giudice ordinario), contenente due statuizioni in punto di giurisdizione, una esplicita, recante l'affermazione della giurisdizione del giudice ordinario per le controversie in tema di responsabilità degli amministratori e dei dipendenti delle "società con azioni quotate in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti pubblici inferiore al 50 per cento, nonchè per le loro controllate", l'altra, implicita e di incerta perimetrazione, recante l'affermazione della giurisdizione contabile nelle controversie in
tema di responsabilità degli amministratori e dei dipendenti delle società partecipate diverse da quelle individuate dalla norma, così ammettendosi, implicitamente, attraverso la specifica enunciazione di una regola contraria, che, con riferimento alle società partecipate, esisteva uno spazio appartenente alla giurisdizione contabile (spazio da individuarsi, sulla base del rinvio dinamico contenuto nel R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 13 e nella L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1, comma 4, verificando se nella normativa via via vigente nel tempo, definitoria della figura di amministratori e dipendenti pubblici fossero individuabili le condizioni per l'assimilazione a tale figura anche degli amministratori e dei dipendenti delle società
partecipate;
- che l'intera disciplina di recente emersione aveva dunque sancito definitivamente il principio di assimilazione tra società a totale o parziale partecipazione dell'ente pubblico ed ente stesso, secondo uno schema tipico della c.d. coammnistrazione, ravvisabile quando più soggetti, sia pure distinti, operano in modo coordinato per l'espletamento della medesima funzione o servizio.
6. Le conclusioni del P.G., pur efficacemente e suggestivamente argomentate, non possono essere condivise dal collegio - se non nella parte in cui (del tutto correttamente) escludono tout court la natura di società in house della AMT.
6.1. Pur volendo prescindere dalla assorbente considerazione, in rito, per la quale le norme indicate dal P.G. nella sua relazione sono tutte sopravvenute ai fatti di causa (giurisprudenza di questa Corte regolatrice essendo quella per la quale la giurisdizione della Corte dei Conti va accertata verificando la sussistenza del relativo presupposto con riferimento al momento della produzione del danno erariale, a nulla rilevando che, per successivi mutamenti normativi, l'ente danneggiato abbia mutato natura: Cass. ss.uu. 5491/2014), devono, difatti, essere riaffermati, nella specie, i principi di diritto recentemente posti da questa stessa Corte con le sentenze di cui a Cass. ss.uu. nn. 26283 e 26936 del 2013, e 3201 e 5491 del 2014(i cui dicta si collocano a loro volta nel solco tracciato dalla già citata Cass. ss. uu. n. 26806 del 2009).
6.2. In particolare, con la sentenza n. 26283 del 2013 (così come con la pronuncia n. 5491 del 2014), è stato condivisibilmente riaffermato:
- che il danno cagionato dagli organi della società al patrimonio sociale, idoneo a dar vita, nel sistema del codice civile, all'azione sociale di responsabilità ed eventualmente a quella dei creditori sociali, non è idoneo a fondare anche un'ipotesi di azione ricadente nella giurisdizione della Corte dei conti, perchè esso non implica alcuna conseguenza di tipo erariale, bensì unicamente un vulnus sofferto da un soggetto privato (appunto, la società), riferibile al patrimonio appartenente soltanto a quel soggetto e non ai singoli soci - pubblici o privati - i quali sono unicamente titolari delle rispettive quote di partecipazione, ed i cui originari conferimenti restano confusi ed assorbiti nel patrimonio sociale medesimo;
- che tale soluzione, ispirata dall'esigenza di ricondurre la soluzione del problema di giurisdizione entro un quadro coerente di principi giuridici che sono a fondamento del sistema ordinamentale, deve essere in via generale tenuta ferma anche alla luce della normativa sopravvenuta, alla quale il carattere spesso frammentario e l'esser frutto di esigenze contingenti impediscono di assumere idonea valenza sistematica che vada oltre il dettato della singola disposizione, onde risulterebbe quanto mai azzardato il voler trarre da essa argomenti di ordine generale, tali da incidere sui principi giuridici su cui è basata la giurisprudenza di questa Corte in subiecta materia, o anche solo indici dell'esistenza di principi in tutto o in parte diversi da quelli. La disciplina speciale dettata per le cosiddette società pubbliche - come anche la più attenta dottrina non ha mancato di rilevare - non ha tuttora assunto le caratteristiche di un sistema conchiuso ed a sè stante, ma continua ad apparire come un insieme di deroghe alla disciplina generale, sia pure con ampio ambito di applicazione;
- Che tale soluzione va riferita, in particolare, all'inclusione delle società a partecipazione pubblica nel novero delle amministrazioni pubbliche cui si estende l'opera di supervisione, monitoraggio e coordinamento nell'approvvigionamento di beni e servizi, demandata al commissario straordinario nominato dal Governo a norma del D.L. 7 maggio 2010, n. 52, art. 2, inclusione ovviamente ispirata dall'esigenza di evitare aggravamenti anche solo indiretti della spesa pubblica, ma che non consente certo sol per questo di qualificare ad ogni effetto come enti pubblici le società a partecipazione pubblica cui detta norma si riferisce; e lo stesso dicasi per l'assoggettamento delle società partecipate a vincoli economici derivanti dal c.d. patto di stabilità e per i conseguenti maggiori controlli, da parte degli enti pubblici partecipanti, a tal fine imposti dall'art. 147 quater del testo unico sugli enti locali (articolo introdotto dal D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni dalla L. 7 dicembre 2012, n. 213). Analogamente le disposizioni contenute nel D.L. 6 luglio 2012, n. 95, art. 4, (convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 135), nel dettare regole particolari in tema di nomina e di compensi spettanti ai componenti dei consigli di amministrazione ed ai dipendenti delle società a partecipazione pubblica, non si discostano dalla logica da cui è già ispirato il citato art. 2449 c.c. - che s'è visto essere coerente con l'inquadramento generale di tali enti, per tutto il resto, nel novero delle società azionarie soggette alla disciplina privatistica -, mentre il comma 13 del medesimo art. 4 ribadisce espressamente che, "per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque (alle società a partecipazione pubblica) la disciplina del codice civile in materia di società di capitali".
Il che dimostra con evidenza come non possa essere in alcun modo attribuita una valenza di ordine generale, che vada al di là della specifica portata di tale disposizione eccezionale, neppure alla previsione del precedente comma 12, per la quale gli amministratori ed i dirigenti delle anzidette società, in caso di violazione dei vincoli di spesa stabiliti dai commi precedenti, "rispondono, a titolo di danno erariale, per le retribuzioni ed i compensi erogati in virtù dei contratti stipulati".
- che, pur in virtù di tali disposizioni, ovvero di altre altrettanto frammentarie e disorganiche norme che sono sparse nell'ordinamento, non è dato comunque sottrarsi alla drastica alternativa per la quale, fin quando non si arrivi a negare la distinzione stessa tra ente pubblico partecipante e società di capitali partecipata, e quindi tra la distinta titolarità dei rispettivi patrimoni, la giurisdizione della Corte dei conti in tema di risarcimento dei danni arrecati dai gestori o dagli organi di controllo al patrimonio della società potrebbe fondarsi o su una previsione normativa che eccezionalmente lo stabilisca, quantunque si tratti di danno arrecato ad un patrimonio facente capo non già ad un soggetto pubblico bensì ad un ente di diritto privato - previsione certo possibile, ma che allo stato non appare individuabile in termini generali nell'ordinamento -, ovvero sull'attribuzione alla stessa società partecipata della qualifica di ente pubblico, onde il danno arrecato al suo patrimonio potrebbe qualificarsi senz'altro come danno erariale.
Soluzione, quest'ultima, che appare però ben difficilmente predicabile, trovando un solido ostacolo nel disposto della L. 20 marzo 1975, n. 70, art. 4, a tenore del quale occorre l'intervento del legislatore per l'istituzione di un ente pubblico; e pare difficile dubitare che siffatta norma esprima un principio di ordine generale, ove si consideri la molteplicità e la rilevanza degli effetti giuridici potenzialmente implicati nel riconoscimento della natura pubblica di un ente.
Di modo che, se in via di principio può ammettersi che un siffatto riconoscimento sia desumibile anche per implicito da una o più disposizioni di legge, occorre nondimeno che la volontà del legislatore in tal senso risulti da quelle disposizioni in modo assolutamente inequivoco.
Ma, quanto alle società a partecipazione pubblica, lungi dal ravvisarsi disposizioni normative che inequivocabilmente attribuiscano loro la qualifica di ente pubblico, s'è già visto come il legislatore si sia preoccupato a più riprese di ribadirne, in via generale e fatta salva l'applicazione di singole regole speciali, l'assoggettamento alla disciplina dettata dal codice civile per le società di diritto privato, con le già richiamate conseguenze in punto di riparto di giurisdizione (solo in presenza di società di fonte legale, regolate da una disciplina sui generis di chiara impronta pubblicistica, quale ad esempio la Rai, è parso necessario pervenire a conclusioni diverse, come ritenuto dalla citata Cass. Sez. un. 22 dicembre 2009, n. 27092).
7. A tali principi il collegio intende dare continuità.
Deve essere, pertanto, dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice contabile e conoscere del caso in esame.
P.Q.M.
La Corte pronunziando sul ricorso, dichiara il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti.
Nulla per le spese.
Così deciso in Roma, il 25 marzo 2014.


Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2014.


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