SOCIETA' PUBBLICHE
& RIPARTO DI GIURISDIZIONE:
le Sezioni Unite ribadiscono che
spetta alla giurisdizione del Giudice ordinario
il giudizio sulla responsabilità dell'amministratore
per il danno sociale arrecato
al patrimonio di una società pubblica
(Cass. civ., Sez. Un.,
sentenza 11 luglio 2014, n. 15942)
Le Sezioni Unite ribadiscono nella materia in esame i principi di diritto recentemente posti dalla stessa Suprema Corte con le sentenze nn. 26283 e 26936 del 2013 (sempre a Sezioni Unite), e nn. 3201 e 5491 del 2014, i cui dicta si collocano a loro volta nel solco tracciato dalle Sezioni Unite n. 26806 del 2009.
Massima
1. Il danno cagionato dagli organi della società al patrimonio sociale, idoneo a dar vita, nel sistema del codice civile, all'azione sociale di responsabilità ed eventualmente a quella dei creditori sociali, non è idoneo a fondare anche un'ipotesi di azione ricadente nella giurisdizione della Corte dei conti, perché esso non implica alcuna conseguenza di tipo erariale, bensì unicamente un vulnus sofferto da un soggetto privato (appunto, la società), riferibile al patrimonio appartenente soltanto a quel soggetto e non ai singoli soci - pubblici o privati - i quali sono unicamente titolari delle rispettive quote di partecipazione, ed i cui originari conferimenti restano confusi ed assorbiti nel patrimonio sociale medesimo.
2. Tale soluzione, ispirata dall'esigenza di ricondurre la soluzione del problema di giurisdizione entro un quadro coerente di principi giuridici che sono a fondamento del sistema ordinamentale, deve essere in via generale tenuta ferma anche alla luce della normativa sopravvenuta, alla quale il carattere spesso frammentario e l'esser frutto di esigenze contingenti impediscono di assumere idonea valenza sistematica che vada oltre il dettato della singola disposizione. La disciplina speciale dettata per le cosiddette società pubbliche non ha tuttora assunto le caratteristiche di un sistema conchiuso ed a sé stante, ma continua ad apparire come un insieme di deroghe alla disciplina generale, sia pure con ampio ambito di applicazione.
3. L'inclusione delle società a partecipazione pubblica nel novero delle amministrazioni pubbliche cui si estende l'opera di supervisione, monitoraggio e coordinamento nell'approvvigionamento di beni e servizi, demandata al commissario straordinario nominato dal Governo a norma del D.L. 7 maggio 2010, n. 52, art. 2, non consente certo sol per questo di qualificare ad ogni effetto come enti pubblici le società a partecipazione pubblica cui detta norma si riferisce; e lo stesso dicasi per l'assoggettamento delle società partecipate a vincoli economici derivanti dal c.d. patto di stabilità e per i conseguenti maggiori controlli, da parte degli enti pubblici partecipanti, a tal fine imposti dall'art. 147 quater del T.U.E.L. (articolo introdotto dal D.L. n. 174/2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 213/2012).
Analogamente le disposizioni contenute nel D.L. n. 95/2012, art. 4, (convertito con modificazioni dalla L. n. 135/2012), nel dettare regole particolari in tema di nomina e di compensi spettanti ai componenti dei consigli di amministrazione ed ai dipendenti delle società a partecipazione pubblica, non si discostano dalla logica da cui è già ispirato il citato art. 2449 c.c., mentre il co. 13 del medesimo art. 4 ribadisce espressamente che, "per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque (alle società a partecipazione pubblica) la disciplina del codice civile in materia di società di capitali".
Analogamente le disposizioni contenute nel D.L. n. 95/2012, art. 4, (convertito con modificazioni dalla L. n. 135/2012), nel dettare regole particolari in tema di nomina e di compensi spettanti ai componenti dei consigli di amministrazione ed ai dipendenti delle società a partecipazione pubblica, non si discostano dalla logica da cui è già ispirato il citato art. 2449 c.c., mentre il co. 13 del medesimo art. 4 ribadisce espressamente che, "per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque (alle società a partecipazione pubblica) la disciplina del codice civile in materia di società di capitali".
Non può essere in alcun modo attribuita, pertanto, una valenza di ordine generale, che vada al di là della specifica portata di tale disposizione eccezionale, neppure alla previsione del precedente co. 12 dell'art. 4, per la quale gli amministratori ed i dirigenti delle anzidette società, in caso di violazione dei vincoli di spesa stabiliti dai commi precedenti, "rispondono, a titolo di danno erariale, per le retribuzioni ed i compensi erogati in virtù dei contratti stipulati".
4. In definitiva, non è dato comunque sottrarsi alla drastica alternativa per la quale, fin quando non si arrivi a negare la distinzione stessa tra ente pubblico partecipante e società di capitali partecipata, e quindi tra la distinta titolarità dei rispettivi patrimoni, la giurisdizione della Corte dei conti in tema di risarcimento dei danni arrecati dai gestori o dagli organi di controllo al patrimonio della società potrebbe fondarsi o su una previsione normativa che eccezionalmente lo stabilisca, quantunque si tratti di danno arrecato ad un patrimonio facente capo non già ad un soggetto pubblico bensì ad un ente di diritto privato - previsione certo possibile, ma che allo stato non appare individuabile in termini generali nell'ordinamento -, ovvero sull'attribuzione alla stessa società partecipata della qualifica di ente pubblico, onde il danno arrecato al suo patrimonio potrebbe qualificarsi senz'altro come danno erariale.
Soluzione, quest'ultima, che appare però ben difficilmente predicabile, trovando un solido ostacolo nel disposto della L. n. 70/1975, art. 4, a tenore del quale occorre l'intervento del legislatore per l'istituzione di un ente pubblico; e pare difficile dubitare che siffatta norma esprima un principio di ordine generale, ove si consideri la molteplicità e la rilevanza degli effetti giuridici potenzialmente implicati nel riconoscimento della natura pubblica di un ente.
5. Invero il legislatore si è preoccupato a più riprese di ribadire, in via generale e fatta salva l'applicazione di singole regole speciali, l'assoggettamento alla disciplina dettata dal codice civile per le società di diritto privato, con le già richiamate conseguenze in punto di riparto di giurisdizione (solo in presenza di società di fonte legale, regolate da una disciplina sui generis di chiara impronta pubblicistica, quale ad esempio la Rai, è parso necessario pervenire a conclusioni diverse, come ritenuto dalla citata Cass. Sez. un. 22 dicembre 2009, n. 27092).
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
EPIGRAFE
[…]
IN FATTO E IN DIRITTO
1.
La procura regionale della Corte dei conti - sezione giurisdizionale per la
Liguria - citò in giudizio L. L., R.F., S.B. - membri del consiglio di amministrazione
della s.p.a. AMT - e P.G., sindaco di Genova, chiedendone la condanna, in
solido tra loro e con G. H. e Ro.Fr.Ol. (anch'essi membri del consiglio di
amministrazione della AMT), al risarcimento del danno cagionato alla società
con l'approvazione di un contratto-quadro di consulenza stipulato, nel dicembre
del 2006, tra la AMT e la s.r.l. TAG (già Transdev Italia), socio privato di
minoranza che deteneva, all'epoca dei fatti, il 41% del capitale AMT. Nel
presente procedimento, risulta ricorrente per regolamento preventivo di
giurisdizione il solo Ro.Fr.Ol..
1.1.
Il danno fu quantificato in 3 milioni 100 mila Euro dall'organo inquirente
della magistratura contabile, che ritenne, nella specie, di affermare la propria
giurisdizione in conseguenza della natura giuridica (di società c.d. in house),
della AMT.
2.
Rilevò in proposito il magistrato contabile:
-
che la Transdev Italia s.r.l., nell'anno 2005, era risultata aggiudicataria
della gara per l'ingresso nella compagine sociale di A.M.T. quale socio di minoranza
operativo;
-
che, a seguito della gara, il Comune di Genova (già titolare dell'intera
partecipazione della società) e la stessa Transdev avevano sottoscritto, nel novembre
2005, un primo contratto-quadro di consulenza per la messa a disposizione del
know how e dell'assistenza tecnica a favore di AMT, approvato dal Consiglio di
Amministrazione della società, con il parere favorevole del collegio sindacale,
nella adunanza del 22 dicembre 2005;
-
che il 7 dicembre 2006 Comune e società della cordata Transdev avevano
stipulato un accordo integrativo volto a sostituire alcune voci di costo fisse relative
all'attività di assistenza tecnica originariamente
contemplate dal primo contratto quadro: le modifiche furono approvate dal
Consiglio di Amministrazione della AMT, ancora con il voto favorevole del
collegio sindacale, nella adunanza del 21 dicembre 2006. Il contratto di
consulenza tra AMT e TAG s.r.l. (già Transdev Italia s.r.l.) sarebbe poi stato
stipulato il 22 dicembre 2006;
-
che i pagamenti effettuati dal 2006 al 2009 dalla Società A.M.T. al socio
privato Transdev/TAG a titolo di premio variabile costituivano danno erariale
perchè "a fronte di tali pagamenti, AMT non aveva ricevuto in cambio
nulla, nè tali premi incentivanti erano in alcun modo previsti negli attidi
gara (ovvero nell'offerta della cordata)";
-
che la gestione del servizio trasporti era stata svolta in esclusiva dalla
società pubblica per l'ente proprietario, era stata prevalentemente assistita
da contribuzione pubblica, era totalmente vincolata rispetto agli interessi
pubblici perseguiti, era priva di rischio d'impresa e di possibilità di
conseguire profitto, essendo per statuto governata e controllata dal Comune:
onde l'inapplicabilità delle medesime norme del diritto civile regolanti
l'impresa in libero mercato, attesa la assoluta prevalenza di elementi
pubblicistici destinati ad attrarre la società/ente nell'ambito delle regole
disciplinanti la responsabilità degli enti pubblici - ben potendo la AMT
avvalersi, come tutti gli enti pubblici, degli strumenti del diritto provato
per i rapporti da questo regolati (così, testualmente, il controricorso della
Procura regionale ai ff. 28-29).
3.
Nella pendenza del giudizio contabile, gli odierni ricorrenti hanno proposto
rituale istanza di regolamento preventivo di giurisdizione dinanzi a questa
Corte, evidenziando in premessa come, all'epoca dei fatti, la AMT fosse
partecipata al 41% da un socio privato scelto in esito ad una procedura di gara
indetta nel 2004 dal Comune di Genova per la privatizzazione della società di
trasporto pubblico genovese. Di qui, l'impredicabilità di qualsivoglia tesi
affermativa della giurisdizione del giudice contabile.
4.
Nel costituirsi in giudizio con controricorso, il Procuratore regionale presso
la Corte dei conti ligure ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
5.
Con relazione scritta depositata, ex art. 375 c.p.c., il 23.10.2013, il P.G.
presso questa Corte, nel concludere per la sussistenza, nella specie, la
giurisdizione contabile, osserverà, in sintesi:
-
che, all'epoca dei fatti e successivamente, fino al momento di inizio del
giudizio contabile, la società A.M.T. non era a totale partecipazione pubblica,
ma era partecipata, in via minoritaria, dal socio operativo TAG s.r.l.;
-
che, di essa, non appariva pertanto predicabile la natura di società c.d. in
house providing (espressione utilizzata per la prima volta nel "libro
bianco" del 1998 della Commissione europea che, con riferimento al settore
degli appalti pubblici, coniò tale espressione, riferendosi "a quegli
appalti aggiudicati all'interno della Pubblica amministrazione, ad esempio tra
Amministrazione centrale e locale o, ancora, tra una Amministrazione ed una società
interamente controllata") le cui caratteristiche, come individuate anche
dalla giurisprudenza amministrativa (ex multis, Cons. Stato, Ad. Plen., n.
1/2008), si sostanziano in un modello di organizzazione meramente interno,
qualificabile in termini di delegazione interorganica, in deroga ai principi di
concorrenza, non discriminazione, e trasparenza (tutti costituenti canoni
fondamentali del trattato istitutivo della Comunità europea), e perciò
ammissibile solo nel rispetto di alcune rigorose condizioni rappresentate: 1)
dal così detto "controllo analogo" a quello svolto sui propri
servizi, necessariamente esercitato dall'ente pubblico nei confronti
dell'impresa affidataria; 2) dal rapporto di stretta strumentante fra le
attività dell'impresa in
house
e le esigenze pubbliche che l'ente controllante è chiamato a soddisfare; 3)
dalla "autoproduzione" di beni, servizi o lavori da parte della pubblica
amministrazione, la quale acquisisce un bene o un servizio attingendoli
all'interno della propria compagine organizzativa senza ricorrere a terzi tramite
gara (così detta esternalizzazione) e dunque al mercato. In ragione del
"controllo analogo" e della "destinazione prevalente
dell'attività", l'ente in house non può, pertanto, ritenersi terzo
rispetto all'amministrazione controllante, ma deve considerarsi come uno dei
servizi propri dell'amministrazione stessa;
-
che, in particolare, la sussistenza del controllo analogo andava esclusa in
presenza di una compagine societaria composta anche da capitale privato, essendo
di converso necessaria una partecipazione pubblica di tipo totalitario. La
presenza (sia pur minoritaria) di un'impresa privata nel capitale di una
società alla quale partecipi anche l'amministrazione aggiudicatrice esclude in
ogni caso che tale amministrazione possa esercitare su detta società un
controllo analogo a quello che essa svolge sui propri servizi (Corte giust. CE,
sez. 2, 19 aprile 2007, C-295/05; 21 luglio 2005, C-231/03; 11 gennaio 2005,
C-26/03), occorrendo piuttosto che l'ente possegga l'intero pacchetto azionario
della società affidataria (Cons. Stato, sez. 5, 13 luglio 2006, n. 4440 e 22
dicembre 2005, n. 7345, secondo cui la quota pubblica doveva essere comunque
superiore al 99%);
-
che, per altro verso, la partecipazione pubblica totalitaria doveva ritenersi
necessaria ma non sufficiente (C. giust. CE, 11 maggio 2006, C-340/04; Cons.
Stato, sez. 6, 1 giugno 2007, n. 2932 e 3 aprile 2007, n. 1514), in mancanza di
maggiori strumenti di controllo da parte dell'ente rispetto a quelli previsti
dal diritto civile: il solo controllo societario totalitario non è garanzia
della ricorrenza dei presupposti della in house, occorrendo anche un'influenza
determinante da parte del socio pubblico sia sugli obiettivi strategici che
sulle decisioni importanti (secondo il Consiglio di giustizia amministrativa
della Sicilia - sentenza 4 settembre 2007, n. 719 - in aggiunta alla necessaria
totale proprietà del capitale da parte del soggetto pubblico, sarebbe
essenziale il concorso di ulteriori fattori, quali: a) il controllo del
bilancio; b) il controllo sulla qualità della amministrazione; c) la spettanza
di poteri ispettivi diretti e concreti; d) la totale dipendenza
dell'affidatario diretto in tema di strategie e politiche aziendali);
-
che, pertanto, la qualifica di società in house poteva legittimamente
attribuirsi alla A.M.T. di Genova soltanto prima dell'ingresso nella compagine sociale
della Transdev Italia s.r.l., (poi TAG s.r.l.), mentre, con riferimento
all'epoca dei fatti e ad a quella di inizio del giudizio contabile, l'ingresso del
socio di minoranza aveva fatto venire meno il requisito della partecipazione
totalitaria, presupposto necessario per l'attribuzione di tale qualifica, senza
potersi, per altro verso, affermare (come pure opinato dalla Procura regionale
della Corte dei Conti) che la natura di socio operativo, stante la sua
particolare posizione, non aveva fatto venir meno il requisito del controllo
analogo;
-
che, nonostante la impredicabilità del carattere di società in house in capo
alla AMT, attesane la partecipazione pubblica soltanto maggioritaria, la giurisdizione
contabile non poteva dirsi perciò solo esclusa, alla luce dei numerosi
interventi normativi che, nel periodo successivo alla sentenza n. 26806/2009 di
queste sezioni unite (affermativa, come è noto, della giurisdizione ordinaria
in casi consimili), avevano significativamente inciso sulla materia delle
società partecipate da enti pubblici (come indirettamente confermato dalle
decisioni 27092/2009, 5032/2010 e 8429/2010 di questa stessa Corte,
rispettivamente emesse con riferimento a società aventi uno statuto giuridico
speciale quali la RAI, l'ENAV e il Casinò Municipale di Campione d'Italia).
-
che, in tali casi, il regime di governance della società, quanto
all'amministrazione, ai controlli e alla distribuzione degli utili, subiva
significative deroghe rispetto a quello previsto in via ordinaria dal codice
civile, per assumere caratteristiche analoghe, anche se non identiche, a quelle
degli enti pubblici, così da giustificare, in un approccio di tipo
sostanzialista, una qualifica tale da superare la formale veste societaria;
-
Che il quadro normativo risultava composto: 1) dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112,
art. 18 convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133,
art. 1, comma 1; 2) dal D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito in legge, con
modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148, art. 1, comma 1; 3) dal D.L.
7 maggio 2012, n. 52, art. 2 convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 6
luglio 2012, n. 94, art. 1, comma 1; 4) dal D.L. 6 luglio 2012, n. 95, art. 4
convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 135, art. 1,
comma 1; 5) dal D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, art. 3 convertito in legge, con
modificazioni, dalla L. 7 dicembre 2012, n. 213, art. 1, comma 1; sostitutivo
dell'art. 147 del TUEL con gli artt. 147, 147-quater; 6) dal D.L. 18 ottobre
2012, n. 179, art. 34 convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012,
n. 221, art. 1, comma 1; 7) dalla L. 6 novembre 2012, n. 190; che il dato
comune emergente da tale, articolato plesso legislativo doveva individuarsi
nella decisiva circostanza che le società con partecipazione pubblica
totalitaria o maggioritaria erano state, a vario titolo, ma costantemente,
prese in considerazione dalla manovre di razionalizzazione della spesa pubblica
e di rafforzamento della trasparenza amministrativa: in particolare, il D.L. 6
luglio 2012, n. 95, art. 4, comma 12 espressamente prevedeva un'ipotesi di
responsabilità contabile per gli amministratori esecutivi e i dirigenti
responsabili della società controllate direttamente o indirettamente dalle
pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2 in
caso di assunzione ed erogazione di compensi in violazione delle disposizioni
di cui ai commi 9 - 11 (e, secondo la Corte dei Conti, Sez. 1 centrale Appello,
n. 809/2012, tale norma, e con essa il D.L. 7 maggio 2012, n. 52, art. 2 aveva
carattere interpretativo e non innovativo);
-
che non potevano per altro verso trascurarsi le irrisolte incertezze, in punto
di giurisdizione, conseguenti all'entrata in vigore del D.L. 31 dicembre 2007, n.
248, art. 16 bis (in relazione al quale queste stesse Sezioni Unite, con la
sentenza n. 26806/2009, avevano riconosciuto come tale norma lasciasse
chiaramente intendere che, in ordine alla responsabilità di amministratori e
dipendenti di società a partecipazione pubblica, vi sia una naturale area di
competenza giurisdizionale diversa da quella ordinaria. Non si capirebbe,
altrimenti, la ragione per la quale il legislatore ha inteso stabilire che, per
l'avvenire - e limitatamente alle società quotate, o loro controllate, con
partecipazione pubblica inferiore al 50% -, la giurisdizione spetta invece in
via esclusiva proprio al giudice ordinario), contenente due statuizioni in
punto di giurisdizione, una esplicita, recante l'affermazione della
giurisdizione del giudice ordinario per le controversie in tema di
responsabilità degli amministratori e dei dipendenti delle "società con
azioni quotate in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta
dello Stato o di altre amministrazioni o di enti pubblici inferiore al 50 per
cento, nonchè per le loro controllate", l'altra, implicita e di incerta
perimetrazione, recante l'affermazione della giurisdizione contabile nelle
controversie in
tema
di responsabilità degli amministratori e dei dipendenti delle società
partecipate diverse da quelle individuate dalla norma, così ammettendosi, implicitamente,
attraverso la specifica enunciazione di una regola contraria, che, con
riferimento alle società partecipate, esisteva uno spazio appartenente alla
giurisdizione contabile (spazio da individuarsi, sulla base del rinvio dinamico
contenuto nel R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 13 e nella L. 14 gennaio 1994,
n. 20, art. 1, comma 4, verificando se nella normativa via via vigente nel
tempo, definitoria della figura di amministratori e dipendenti pubblici fossero
individuabili le condizioni per l'assimilazione a tale figura anche degli
amministratori e dei dipendenti delle società
partecipate;
-
che l'intera disciplina di recente emersione aveva dunque sancito definitivamente
il principio di assimilazione tra società a totale o parziale partecipazione
dell'ente pubblico ed ente stesso, secondo uno schema tipico della c.d.
coammnistrazione, ravvisabile quando più soggetti, sia pure distinti, operano
in modo coordinato per l'espletamento della medesima funzione o servizio.
6.
Le conclusioni del P.G., pur efficacemente e suggestivamente argomentate, non
possono essere condivise dal collegio - se non nella parte in cui (del tutto
correttamente) escludono tout court la natura di società in house della AMT.
6.1.
Pur volendo prescindere dalla assorbente considerazione, in rito, per la quale
le norme indicate dal P.G. nella sua relazione sono tutte sopravvenute ai fatti
di causa (giurisprudenza di questa Corte regolatrice essendo quella per la
quale la giurisdizione della Corte dei Conti va accertata verificando la
sussistenza del relativo presupposto con riferimento al momento della
produzione del danno erariale, a nulla rilevando che, per successivi mutamenti
normativi, l'ente danneggiato abbia mutato natura: Cass. ss.uu. 5491/2014),
devono, difatti, essere riaffermati, nella specie, i principi di diritto
recentemente posti da questa stessa Corte con le sentenze di cui a Cass. ss.uu.
nn. 26283 e 26936 del 2013, e 3201 e 5491 del 2014(i cui dicta si collocano a
loro volta nel solco tracciato dalla già citata Cass. ss. uu. n. 26806 del
2009).
6.2.
In particolare, con la sentenza n. 26283 del 2013 (così come con la pronuncia
n. 5491 del 2014), è stato condivisibilmente riaffermato:
-
che il danno cagionato dagli organi della società al patrimonio sociale, idoneo
a dar vita, nel sistema del codice civile, all'azione sociale di responsabilità
ed eventualmente a quella dei creditori sociali, non è idoneo a fondare anche
un'ipotesi di azione ricadente nella giurisdizione della Corte dei conti,
perchè esso non implica alcuna conseguenza di tipo erariale, bensì unicamente
un vulnus sofferto da un soggetto privato (appunto, la società), riferibile al
patrimonio appartenente soltanto a quel soggetto e non ai singoli soci -
pubblici o privati - i quali sono unicamente titolari delle rispettive quote di
partecipazione, ed i cui originari conferimenti restano confusi ed assorbiti
nel patrimonio sociale medesimo;
-
che tale soluzione, ispirata dall'esigenza di ricondurre la soluzione del
problema di giurisdizione entro un quadro coerente di principi giuridici che sono
a fondamento del sistema ordinamentale, deve essere in via generale tenuta
ferma anche alla luce della normativa sopravvenuta, alla quale il carattere
spesso frammentario e l'esser frutto di esigenze contingenti impediscono di
assumere idonea valenza sistematica che vada oltre il dettato della singola
disposizione, onde risulterebbe quanto mai azzardato il voler trarre da essa
argomenti di ordine generale, tali da incidere sui principi giuridici su cui è
basata la giurisprudenza di questa Corte in subiecta materia, o anche solo indici
dell'esistenza di principi in tutto o in parte diversi da quelli.
La disciplina speciale dettata per le cosiddette società pubbliche - come anche
la più attenta dottrina non ha mancato di rilevare - non ha tuttora assunto le
caratteristiche di un sistema conchiuso ed a sè stante, ma continua ad apparire
come un insieme di deroghe alla disciplina generale, sia pure con ampio ambito
di applicazione;
-
Che tale soluzione va riferita, in particolare, all'inclusione delle società a
partecipazione pubblica nel novero delle amministrazioni pubbliche cui si estende
l'opera di supervisione, monitoraggio e coordinamento nell'approvvigionamento
di beni e servizi, demandata al commissario straordinario nominato dal Governo
a norma del D.L. 7 maggio 2010, n. 52, art. 2, inclusione ovviamente ispirata
dall'esigenza di evitare aggravamenti anche solo indiretti della spesa
pubblica, ma che non consente certo sol per questo di qualificare ad ogni
effetto come enti pubblici le società a partecipazione pubblica cui detta norma
si riferisce; e lo stesso dicasi per l'assoggettamento delle società
partecipate a vincoli economici derivanti dal c.d. patto di stabilità
e per i conseguenti maggiori controlli, da parte degli enti pubblici
partecipanti, a tal fine imposti dall'art. 147 quater del testo unico sugli
enti locali (articolo introdotto dal D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito
con modificazioni dalla L. 7 dicembre 2012, n. 213). Analogamente le disposizioni
contenute nel D.L. 6 luglio 2012, n. 95, art. 4, (convertito con modificazioni
dalla L. 7 agosto 2012, n. 135), nel dettare regole particolari in tema di
nomina e di compensi spettanti ai componenti dei consigli di amministrazione ed
ai dipendenti delle società a partecipazione pubblica, non si discostano dalla
logica da cui è già ispirato il citato art. 2449 c.c. - che s'è visto essere
coerente con l'inquadramento generale di tali enti, per tutto il resto,
nel novero delle società azionarie soggette alla disciplina privatistica -,
mentre il comma 13 del medesimo art. 4 ribadisce espressamente che, "per
quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque
(alle società a partecipazione pubblica) la disciplina del codice civile in
materia di società di capitali".
Il
che dimostra con evidenza come non possa essere in alcun modo attribuita una
valenza di ordine generale, che vada al di là della specifica portata di tale
disposizione eccezionale, neppure alla previsione del precedente comma 12, per
la quale gli amministratori ed i dirigenti delle anzidette società, in caso di
violazione dei vincoli di spesa stabiliti dai commi precedenti,
"rispondono, a titolo di danno erariale, per le retribuzioni ed i compensi
erogati in virtù dei contratti stipulati".
-
che, pur in virtù di tali disposizioni, ovvero di altre altrettanto
frammentarie e disorganiche norme che sono sparse nell'ordinamento, non è dato comunque
sottrarsi alla drastica alternativa per la quale, fin quando non si arrivi a
negare la distinzione stessa tra ente pubblico partecipante e società di
capitali partecipata, e quindi tra la distinta titolarità dei rispettivi
patrimoni, la giurisdizione della Corte dei conti in tema di risarcimento dei
danni arrecati dai gestori o dagli organi di controllo al patrimonio della
società potrebbe fondarsi o su una previsione normativa che eccezionalmente lo stabilisca,
quantunque si tratti di danno arrecato ad un patrimonio facente capo non già ad
un soggetto pubblico bensì ad un ente di diritto privato - previsione certo
possibile, ma che allo stato non appare individuabile in termini generali
nell'ordinamento -, ovvero sull'attribuzione alla stessa società partecipata
della qualifica di ente pubblico, onde il danno arrecato al suo patrimonio
potrebbe qualificarsi senz'altro come danno erariale.
Soluzione,
quest'ultima, che appare però ben difficilmente predicabile, trovando un solido
ostacolo nel disposto della L. 20 marzo 1975, n. 70, art. 4, a tenore del quale
occorre l'intervento del legislatore per l'istituzione di un ente pubblico; e
pare difficile dubitare che siffatta norma esprima un principio di ordine
generale, ove si consideri la molteplicità e la rilevanza degli effetti
giuridici potenzialmente implicati nel riconoscimento della natura pubblica di
un ente.
Di
modo che, se in via di principio può ammettersi che un siffatto riconoscimento
sia desumibile anche per implicito da una o più disposizioni di legge, occorre
nondimeno che la volontà del legislatore in tal senso risulti da quelle
disposizioni in modo assolutamente inequivoco.
Ma,
quanto alle società a partecipazione pubblica, lungi dal ravvisarsi
disposizioni normative che inequivocabilmente attribuiscano loro la qualifica
di ente pubblico, s'è già visto come il legislatore si sia preoccupato a più
riprese di ribadirne, in via generale e fatta salva l'applicazione di singole
regole speciali, l'assoggettamento alla disciplina dettata dal codice civile
per le società di diritto privato, con le già richiamate conseguenze in punto
di riparto di giurisdizione (solo in presenza di società di fonte legale,
regolate da una disciplina sui generis di chiara impronta pubblicistica, quale
ad esempio la Rai, è parso necessario pervenire a conclusioni diverse, come
ritenuto dalla citata Cass. Sez. un. 22 dicembre 2009, n. 27092).
7.
A tali principi il collegio intende dare continuità.
Deve
essere, pertanto, dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice contabile
e conoscere del caso in esame.
P.Q.M.
La
Corte pronunziando sul ricorso, dichiara il difetto di giurisdizione della
Corte dei Conti.
Nulla
per le spese.
Così
deciso in Roma, il 25 marzo 2014.
Depositato
in Cancelleria il 11 luglio 2014.
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